In un angolo del giardino c’erano piante e f i o r i che mandavano profumi forti. A me piaceva una piantina, alta come me, che aveva le foglie gialle- verdine quasi trasparenti, un po’ ruvide. Mi divertivo a staccare ogni tanto una foglia e ad annusarla: aveva un intenso profumo di limone che restava sulle dita se la stropicciavo. Una volta che stavo appunto annusandone una, mia mamma si avvicinò e mi chiese: - Non buttarla, mettila fra la camicia e la maglietta. - Perché? - Ha un buon profumo di pulito – disse. La foglia di limonino era il mio profumo personale; dopo il bagno nella tinozza la mamma mi diceva: - Vai, e mettiti il limonino! Io andavo nel giardino, coglievo una foglia e la annusavo a lungo: sembrava che mi entrasse dentro un’aria fresca e profumata. Poi la infilavo sotto la camicia. E spesso trovavo nel letto le foglie ormai secche ma ancora delicatamente profumate. Allora pensavo al mistero dei profumi che escono dalle foglie e dai fiori e si spandono nell’aria, ma la foglia non si consuma. E mi chiedevo: “Che Che cos’è il profumo? E come fa a volare via dalla pianta e arrivare fino al mio naso senza farsi vedere?” - Il profumo si sente – spiegava la mamma. - E chi lo porta in giro? - L’aria, il vento. Un altro mistero era che ogni piantina aveva il suo particolare profumo, diverso dagli altri. Nell’angolo, sotto la finestra, c’era il basilico, dal profumo inconfondibile, intenso. La mamma lo coglieva per preparare salse e intingoli, insieme alle foglie di salvia e al rosmarino. C’era ogni anno un giorno in cui la mamma diceva a noi ragazzi che si doveva cogliere la camomilla. - Le margherite! – dicevo io. Ma lei mi correggeva: - Sembrano margherite, ma il loro nome è camomilla. E ci mostrava com’era un cespo di camomilla pronto per la raccolta. La camomilla era un’erba che cresceva un po’ dappertutto: negli angoli del cortile, ai bordi del vialetto d’ingresso, lungo il fosso che costeggiava la strada, in certe zone incolte vicino ai prati. I cespi raccolti li posavamo su un tavolo di una stanza-magazzino e la mamma li selezionava, li ripuliva dalle altre erbe e formava dei mazzetti. Poi legava i mazzetti con un filo e li appendeva, con i fiori in giù, alle travi del soffitto e lungo la parete. Quando i fiori della camomilla erano secchi e i petali erano caduti, tagliava e conservava in vasetti i bottoni (infiorescenze): erano quelli che usava per preparare l’infuso quando c’era qualcuno che aveva mal di pancia o diceva di non dormire abbastanza. - Una buona camomilla fa sempre bene a tutti- diceva la mamma, e la offriva agli ospiti come bevanda calda dopo la cena. A me non piaceva. (M. Lodi, Il cielo che si muove, Emme)