Il 1 aprile 2009 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 14,2 della legge 40/2004 sulla fecondazione medicalmente assistita. Tale comma indicava la possibilità di produrre e impiantare contemporaneamente fino a tre embrioni. È lasciata ora al medico e alla donna la possibilità di decidere liberamente il numero di embrioni da impiantare, anche superiori a tre, al fine di garantire la massima riuscita della gravidanza. In controtendenza con quanto proposto paradossalmente dalla Corte Costituzionale, il quotidiano La Stampa, infatti, ha recentemente registrato la preoccupazione di alcuni operatori sanitari dell’Ospedale Sant’Anna di Torino, perplessi per la diffusa tendenza di molte donne a richiedere nei primi tre mesi di gravidanza la riduzione embrionaria, quando, a seguito dell’impianto dei tre embrioni, si trovano in grembo un numero di figli giudicato eccessivo. La notizia non è purtroppo sorprendente. La cinica logica della riduzione embrionaria è da sempre contenuta nella legge 40/2004. Mentre infatti il primo articolo sostiene che la legge tutela la vita fin dal concepimento, l’articolo 14,1 afferma, invece, che la soppressione di embrioni è vietata «fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194». L’articolo quarto di tale legge indica appunto la possibilità di abortire entro i primi novanta giorni quando la donna accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza comporti un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica. Molte donne, giustificate legislativamente, avvertendo il peso economico e psicologico di partorire e allevare più figli, preferiscono ricorrere all’aborto selettivo. Non possiamo non ribadire ancora una volta che questo modo di procedere susciti notevoli perplessità sia in ambito laico che religioso. Manifesta, infatti, l’uso strumentale ed egoistico della scienza, nonché l’esasperata patologia del desiderio confondendo la legittima attesa di un figlio con un pretenzioso diritto ad ottenerlo, come un qualsiasi altro prodotto, secondo le proprie autoreferenziali aspettative. L’Istruzione Dignitas personae, emanata recentemente dalla Congregazione della Fede, trattando al paragrafo 21 della riduzione embrionale ha osservato: «La decisione di sopprimere esseri umani, in precedenza fortemente desiderati, rappresenta un paradosso». Si era già occupato della questione il Pontificio Consiglio per la Famiglia in una dichiarazione pubblicata nel 2000. Il documento asseriva che la selezione embrionale «non può essere giustificata né in base al principio del cosiddetto male minore né in base a quello del duplice effetto». Il principio del duplice effetto si giustifica, infatti, quando l’azione, posta per ottenere una finalità positiva, provoca un prevedibile effetto collaterale negativo, non direttamente voluto e non aggirabile. Allo stesso modo non si può indicare nella pratica della riduzione embrionale un male minore perché la soppressione della vita umana è sempre una violazione grave, non giustificabile neanche se fosse determinata dalla volontà di garantire un miglior sviluppo per i feti sopravvissuti. Non solo il Magistero della Chiesa, ma anche illustri scienziati e pensatori laici come J. Habermas hanno osservato che l’inizio della vita umana deve essere indisponibile: è lesivo della dignità personale scoprire di essere stati “costruiti” in laboratorio secondo la volontà arbitraria di altre persone. Se nonostante questa consapevolezza diffusa, si continua a rinnegare il concetto di figlio come dono, ostinandosi caparbiamente a voler ricorrere alla fecondazione artificiale (in merito alla quale la posizione della Chiesa è chiaramente contraria) si dovrebbe almeno avere l’accortezza di ridurre il danno, evitando di impiantare contemporaneamente un numero di embrioni superiore al numero di figli desiderati. Enrico Larghero Giuseppe Zeppegno