Paolo Cattorini Estetica nell’etica Cattorini x stampa.indd 1 14/10/10 18.11 Collana «ETICA TEOLOGICA OGGI» diretta da Luigi Lorenzetti La collana raccoglie una serie di volumi che si propongono di attualizzare il messaggio morale cristiano all’uomo d’oggi; rispondere alla domanda di senso e di progettualità dell’epoca attuale; dialogare con l’etica secolare. 5. Per una teologia del lavoro nell’epoca attuale 6. Carlos-Josaphat Pinto de Oliveira, La dimensione mondiale dell’etica 7. Vittorio Possenti, Tra secolarizzazione e nuova cristianità 8. Antonio Da Re, L’etica tra felicità e dovere 9. Eutanasia 10. Giovanni Chimirri, Estetica e morale 11. Teologia e bioetica, a cura di E.E. Shelp 12. Georgios I. Mantzarídēs, Etica e vita spirituale 13. Questione energetica e questione morale 14. Giorgio Vendrame, Etica economica e sociale 15. Economia, politica e morale 16. Oltre l’eutanasia e l’accanimento, a cura di V. Salvoldi 17. Carlo Scilironi, Il volto del prossimo 18. Basilio Petrà, Tra cielo e terra 19. Rerum novarum (1891-1991) 20. Enrico Trevisi, Coscienza morale e obbedienza civile 21. Pier Giorgio Rauzi – Luigi Menna, La morte medicalizzata 22. Dottrina sociale della chiesa e ordine economico, a cura di A.F. Utz 23. La virtù e il bene dell’uomo, a cura di E. Kaczyński – F. Compagnoni 24. Mario Zatti, Il dolore (nel) creato 25. Religioni ed ecologia, a cura di K. Golser 26. Eric Fuchs, L’etica protestante 27. Paolo Cattorini, La morte offesa 28. Salvino Leone, La medicina di fronte ai miracoli 29. Daniel C. Maguire – A. Nicholas Fargnoli, L’etica come arte e come scienza 30. Renzo Gerardi, Alla sequela di Gesù 31. Simone Morandini, Nel tempo dell’ecologia: etica teologica e questione am­bientale 32. Paolo Cattorini, La morale dei sogni 33. Simone Morandini, Il lavoro che cambia 34. Luigi Lorenzetti, Tullo Goffi: dare un’anima alla morale 35. Eugenio Sarti, L’albero senza radici 36. Paolo Cattorini, I Salmi della follia 37. Réal Tremblay, Voi, luce del mondo... 38. Leonardo Salutati, Finanza e debito dei paesi poveri 39. André-Marie Jerumanis, L’uomo splendore della gloria di Dio 40. Réal Tremblay, «Ma io vi dico...» 41. José Noriega, Il destino dell’eros 42. Paolo Cattorini, Un buon racconto 43. Stefano Zamboni, «Chiamati a seguire l’Agnello» 44. Simone Morandini, Da credenti nella globalizzazione 45. Adriano Bompiani, Dichiarazioni anticipate di trattamento ed eutanasia 46. Etica teologica cattolica nella Chiesa universale, a cura di J.F. Keenan 47. Andrea Mariani, Le speranze e la speranza cristiana 48. Basilio Petrà, La contraccezione nella tradizione ortodossa 49. Paolo Cattorini, Estetica nell’etica Cattorini x stampa.indd 2 14/10/10 18.11 PAOLO CATTORINI Estetica nell’etica La forma di un’esistenza degna EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA Cattorini x stampa.indd 3 14/10/10 18.11 Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale srl, Firenze © 2010 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 – 40123 Bologna www.dehoniane.it EDB® ISBN 978-88-10-40610-6 Stampa: 2010 Cattorini x stampa.indd 4 14/10/10 18.11 Introduzione: l’oracolo Qualche tempo fa mi colpì la scritta riportata su un camioncino pubblicitario: «Se hai cura di te, pensa alla forma». Lì per lì pensai che dovevo misurarmi il peso e incrementare le mie ore di ginnastica. Ma la memoria di quello slogan non mi lasciava: le parole erano ben scelte e, ciò che contava, essenziali. Toccavano un vortice di riflessioni di cui cercavo di venire a capo, allora come ora, e che riguardavano il rapporto tra etica e narrazione, tra prossimità ed eleganza, più in genere fra la bontà e la bellezza. Da studioso e consulente di etica sentivo di non poter ignorare un consiglio, sia pure di origine commerciale, che suonava come un oracolo. Si trattava di capirne il senso. Il senso per me, ovviamente. E il senso – per come lo intesi – era più o meno questo: aver cura di sé e degli altri non è una questione solo di contenuti, di precetti materiali, di regole di sostanza, ma anche della forma, secondo cui si agisce. Il camioncino mi spingeva dunque verso Kant e la formalità del suo imperativo categorico? No, vi era dell’altro. Mi venne in mente che bello in spagnolo si dice hermoso e che questo termine si collega al latino formosus. Dunque venivo colpito su un nervo scoperto: se per te fare il bene significa aver cura – mi comunicava l’oracolo pubblicitario – allora insegui la bellezza, pensa al lato bello dell’essere. Alla bellezza del corpo, certamente, ma anche alla bellezza delle azioni e a quella dell’anima. Domandati se un gesto buono possiede una sua bellezza e anzi se il criterio della bellezza può servire a discriminare le buone dalle cattive azioni. Non stiamo cioè parlando dell’armonia, che una persona saggia riuscirebbe a conquistare ed esprimere (a dire il vero, su questa convergenza ho sempre nutrito molti sospetti). Stiamo piuttosto valutando quali siano i parametri del giudizio morale, quando esclamiamo: «Sì, è stato un bel gesto», oppure: «Sì, è una bella persona». ––––– 5 ––––– Cattorini x stampa.indd 5 14/10/10 18.11 Non volevo però cadere nelle braccia di una fra le tante teorie delle virtù e quindi cercai di esplorare direttamente l’ambito estetico. Se, nella storia del pensiero, buono e bello erano stati associati, qualche motivo doveva esserci. E se la nozione di bello appare oggi così difficile da definire, tanto valeva occuparsene un po’, anche perché dall’altro lato, quello dell’etica, l’incertezza in merito al significato di «buono» non è inferiore, come può verificare qualsiasi profano che si introduca nei dibattiti sull’eutanasia, la procreazione assistita o la genetica. Con buona pace del loro rigore logico, gli specialisti di bioetica sono in perenne litigio tra loro, per ragioni che hanno a che fare con le visioni e le passioni che li animano, più che con la logica degli enunciati intellettuali che adoperano. Sembra che non esista un principio, una regola, una teoria che riesca a convincere tutti. Allo stesso modo, quando ci domandiamo che cosa significhino bello o bellezza, ci cimentiamo con un enigma, di cui si sono date interpretazioni diverse e persino opposte. Non c’è del resto da spaventarsi: il pluralismo è l’atmosfera che respiriamo e che anzi «dobbiamo» respirare, perché proprio la mobilità dei concetti e la controversia delle risposte potrebbero segnalare una verità. Se sul tavolo del biliardo filosofico le bocce sono tutte in movimento, forse il motivo non è da ricercare nella confusione della sala o nella negligenza dei giocatori, ma nell’inclinazione inattesa assunta dal piano di gioco. Un’inclinazione che potrebbe essere benvenuta, poiché segnalerebbe non solo che qualche teoria fondativa vacilla, ma che in entrambi gli ambiti (quello etico e quello estetico) le teorie vanno impiegate con un sano scetticismo. Così del resto accade per i cosiddetti pittori della domenica: per quanti manuali leggano, per quante regole cromatiche imparino, per quanti esercizi svolgano, restano pittori della domenica, anche se applicano con diligenza tutti i precetti loro consigliati. Il capolavoro non viene. La teoria non basta. Da anni sostengo che chi fa etica applicata (bioetica clinica nel mio caso) lavora in modo simile a un critico d’arte. Si tratta di trovare parole e giustificazioni per esprimere il valore in cui ci si è imbattuti e per difendere l’azione che ci sembra giusta, senza la presunzione di possedere principi esaurienti e sicuri, da cui dedurre quale debba essere la decisione morale corretta nel prossimo dilemma morale che la vita ci riserverà. Applicando l’etica, non si tratta di derivare contenuti conoscitivi inconfutabili, ma di immaginare abilmente una variante degna e felice per la nostra vita. Il che assomiglia al compito degli artisti di plasmare una forma riuscita, e al compito dei critici d’arte di percepirne la rilevanza e indicarne alcune ragioni di eccellenza. ––––– 6 ––––– Cattorini x stampa.indd 6 14/10/10 18.11 La nuova inclinazione teorica potrebbe venire qualificata così: in etica come in estetica la rivalutazione dei sensi, del desiderio, della storicità pretende di incunearsi nel regno dell’intelletto, che si pensava ben ordinato al suo interno e difeso da sicure roccaforti rispetto a minacce esterne. Un regno (si auspicava) governato da rigorosi geometri, riparato nei confronti di disturbanti propensioni soggettive, allertato rispetto ai rischi dell’arbitrarietà, affascinato da verità astoriche, intangibili, perenni, universali, cui si dovrebbe semplicemente obbedire. L’ospite inatteso (il senso, il desiderio) reclama al contrario un linguaggio idoneo a testimoniare la propria valenza individuale, storica, metaforica. Esige un linguaggio narrativo e simbolico, che restituisca la preziosità delle vicende individuali, ricerchi al loro interno rivelazioni sul mondo, decifri le passioni che i soggetti reali hanno vissuto. Il che non significa affatto ripudiare il concetto. Vi è anzi una fiorente corrente artistica che ha il nome di arte concettuale e che sembra impegnata a svuotare i contenuti della vecchia bellezza figurativa e a sostituirvi pensieri, idee, ragionamenti. L’arte dunque morirà, fagocitata, secondo la profezia hegeliana, dalla filosofia? Forse. O forse quello dell’arte concettuale è assieme un compito impossibile e un avvertimento.1 Per quanto ci si voglia sbarazzare della presenza oggettuale dell’opera, sostituendola con liste di istruzione, con progetti esecutivi, con analisi percettive, con numeri o parole astratte, in realtà ci si trova sempre a che fare con «qualcosa»: non c’è un solo concetto che possa venire mostrato dall’artista senza che abbia una carne individuale, fosse pure un neon modellato come una parola del vocabolario. Per quanto si voglia demitizzare il culto dell’opera irripetibile, progettando riproduzioni seriali, copiative, collettive, lo spettatore deve immaginare lui stesso la «storia» che ha generato gli oggetti seriali, con le loro inevitabili, imprevedibili varianti e con le diverse fasi di lavorazione, dall’ufficio di progettazione alla stampante o al laboratorio artigianale. Descrivere un’opera, anche senza realizzarla, come fanno alcuni artisti concettuali quando «mostrano l’aria», ossia danno da vedere idee senza opere o progetti senza costruzioni, è già lavorare corpo a corpo con un oggetto immaginario, esattamente come l’agente morale, che non abbia ancora compiuto l’azione reale, fa congetture e riflessioni sulla «bellezza» del gesto in fieri. Scrivere sull’arte, invece che creare 1 A. Vettese, Capire l’arte contemporanea. Dal 1945 a oggi, Allemandi, Torino 2004, 205ss (c. «L’arte concettuale»). ––––– 7 ––––– Cattorini x stampa.indd 7 14/10/10 18.11 immagini (altra presunzione del concettualismo), risulta così impossibile: c’è sempre un orlo visivo/pittorico della scrittura, come c’è un orlo sonoro/musicale della parola detta, come c’è una percezione, più o meno piacevole, anche in un quadro completamente nero. Paradossalmente l’arte concettuale, naufragando sull’inesorabilità dell’oggetto (siano pure i due invisibili metri cubi di elio inerte liberati nell’atmosfera da Robert Barry nel 1969), riabilita l’individualità sensibile, potenzia il rimando simbolico del non-mostrato (si pensi alle tracce, come segno minimo del concettualismo), alimenta il desiderio di una materia, che non tradisca il sogno di libertà di una forma intellettuale che vorrebbe slegarsi dal compromesso con i limiti spazio-temporali. Così come rimane intatta la potenza del desiderio. Esso precede la responsabilità dell’esecuzione, ma è già carico di congetture esecutive; è invisibile e in-formale come un’opera neppure iniziata, ma è già attivo nel generare interessi e attese. Insomma anche il concettualismo, per via contraria, conferma l’esistenza di una nuova inclinazione teorica, che induce a ripensare i concetti ereditati dalla tradizione. Questo appunto cercano etica ed estetica: una teoria che salvi l’essenziale della vita di ogni giorno; un gesto vitale che riabiliti il concetto nella sua bellezza; una parola che si faccia corpo, un corpo che diventi parola. Mossi da questa curiosità, abbiamo scritto il presente volume. Nella prima parte sottolineiamo le analogie fra l’operare artistico e l’agire etico, e nella seconda verifichiamo le nostre intuizioni applicandole ad alcuni noti casi bioetici relativi alla fine della vita. Se bellezza e bontà possono scambiarsi le metafore, se entrambe implicano una visione dei valori, un rimando simbolico, una trama narrativa, una decisione del soggetto, ciò indica una loro comune radice ontologica e i saperi che se ne occupano (estetica ed etica appunto) possono giovarsi delle reciproche analogie. Ad esempio, l’applicazione della teoria ai casi (dell’estetica alle opere d’arte, dell’etica ai dilemmi morali) comporta inevitabilmente un rimbalzo e una correzione dei principi e dei criteri concettuali di partenza. Il senso e il desiderio non si lasciano studiare, catalogare e addomesticare senza contraccolpi e – come mostreremo per il caso Welby – l’analisi dei problemi concreti erode o addirittura fa esplodere le semplificazioni ideologiche e le regole interpretative troppo facili. Documenteremo quindi la nostra insoddisfazione per le versioni più abusate di alcune dicotomie concettuali, come quelle fra natura e artificio, tra fede e ragione, tra qualità e sacralità della vita. ––––– 8 ––––– Cattorini x stampa.indd 8 14/10/10 18.11 La dignità dell’esistenza ci sembra invece una cifra feconda per riorientare in senso ermeneutico ed estetico la fondazione delle valutazioni morali. Corrispondentemente, invece che l’idea di un’applicazione teorica modellata sulle scienze esatte, privilegeremo quella proprietà del significare allusa dalla nozione di stile, una nozione non casualmente impiegata in ambito etico, estetico e più globalmente personale. Lo stile riprende l’immagine dello stilo, l’arnese di metallo o di osso che incideva tavole cerate. La scrittura accade nell’incontro fra una materia (la cera) e una mano, con la mediazione di uno strumento (lo stilo). I tre soggetti contribuiscono al prodursi del segno: il tipo di cera, la forma del ferro e il tratto personale. Di quest’ultimo, che nel suo ripetersi svela un’identità che chiamiamo appunto stile, veniamo a sapere solo dopo che l’impatto tra libertà e natura si è realizzato. Prima, nemmeno lo scrivente sa quale verità egli custodisce. Lo saprà dopo, interpretando le forme rese visibili da tale impatto. Al di là dei contenuti scritti (che possono variare, nella continuità della grafia) e al di là delle intenzioni tematizzate dallo scrivano (il quale può scegliere una modalità di scrittura, ma non la può dirigere del tutto, poiché vi concorrono variabili preriflessive, come il peso della mano, il tremolio delle dita, la postura corporea), lo stile coincide con la coerenza estetica del gesto, con la forma artistica rivelata dalla decisione (diventata abitudine grafica) di modellare in una certa maniera la tavola di cera. Questa decisione è a sua volta simbolo di un’attitudine più radicale, quella con cui il soggetto attraversa il mondo intero e in cui reciprocamente il mondo stesso viene a parola secondo una prospettiva originale. Il corpo che scrive con lo stilo è figura concreta della verità che si annuncia attraverso lo stile di una persona, attraverso la costanza espressiva di una libertà incarnata che funge da mediatrice tra senso e natura, tra affetti e cose, tra pensieri e segni materici. Questa mediazione stilistica non è né del tutto subita né del tutto scelta: essa si impone alla coscienza come una tendenza preriflessiva, come una corrente che ci porta all’azione e assieme impone a un compito di appropriazione e riplasmazione. Possiamo sperimentare e correggere il nostro tratto stilistico, anzi dobbiamo farlo, ma non arbitrariamente, bensì a partire dagli appelli che una bellezza mai vista ci invia tra le righe e le forme che attualmente tracciamo.2 2 V. Melchiorre, Essere e parola, Vita e Pensiero, Milano 1982, 57. ––––– 9 ––––– Cattorini x stampa.indd 9 14/10/10 18.11 Questo è il fondo dell’enigma che l’oracolo ci invia e che al solito si può leggere in due direzioni. La prima: noi scriviamo la nostra vita secondo una forma, che abbiamo scelto. La seconda: un desiderio precede la nostra scelta e orienta la nostra scrittura, imprimendo inclinazioni inattese alla nostra stessa vita. ––––– 10 ––––– Cattorini x stampa.indd 10 14/10/10 18.11