UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PERUGIA Polo Scientifico Didattico di Terni Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Laurea in Esperto in Progettazione per l’Insegnamento a distanza Approfondimento di studio nell’insegnamento di: STORIA CONTEMPORANEA Prof.ssa Stefania Magliani “Colonialismo italiano nel corno d’Africa” A cura di Carlo Catalano Matricola n. 192062 INDICE 1. Prefazione 2. Introduzione 3. Eritrea: la prima colonia 4. Somalia: un paese inventato 4.1. La regione OGADEN nella saga della Somalia 4.2. Dubat - I Bersaglieri Neri 5. Il mito del “buon italiano” 5.1. L’impiego degli aggressivi chimici 5.2. I campi di sterminio 5.3. Le stragi 6. Bibliografia 7. Sitografia 2 1. Prefazione Questo mio lavoro intende documentare criticamente le molteplici relazioni che il fenomeno coloniale del corno d’Africa ha avuto con la società italiana e con i territori colonizzati nella fase più propriamente imperialistica. L’espressione “colonialismo imperialistico” può suscitare qualche perplessità: essa appare come ridondante, e uno dei due termini congiunti si direbbe pleonastico. Ho voluto usare questa espressione, tuttavia, a ragion veduta, perché, se è vero che in una certa epoca storica, precisamente quella che prenderò in considerazione nel corso di questo lavoro, colonialismo significava imperialismo, l’identificazione non sempre è valida, e può dar luogo a generalizzazioni che obiettivamente ostacolano la comprensione del divenire storico, confondendo il tutto in una falsa omogeneità. Oggi esiste anche una tendenza ad identificare colonialismo e neocolonialismo, facendo tutt’uno di due momenti storici che, se hanno degli elementi in comune, in realtà sono differenti, e sono da analizzare separatamente, tenendo conto di queste differenze. L’elemento unificante in questo caso è l’imperialismo del capitale finanziario, ma neppure il capitale finanziario è rimasto oggi la stessa cosa, né rappresenta la stessa realtà socio-economica che lo caratterizzava agli inizi del secolo scorso: sono cambiate le sue strutture, gli strumenti e le modalità operative, è cambiata la società. È stato scelto, come termine d’inizio, il 2 Marzo del 1896: la sconfitta di Adua conclude, infatti, il colonialismo del periodo crispino ed apre la fase di transizione verso l’imperialismo sia nella gestione delle colonie che nella lotta per la conquista di nuovi possedimenti. Vorrei risaltasse nel lavoro che segue l’importanza che l’imperialismo coloniale italiano ha avuto nella storia dello Stato Unitario, ben al di là delle opposte tesi di chi ha cercato di liquidarlo superficialmente come « imperialismo straccione » e di chi, con uguale superficialità, ha cercato di esaltarlo trionfalmente come « imperialismo civilizzatore », costruttore di infrastrutture e benefattore. Inoltre, vorrei precisare che se la data del 28 Ottobre 1922, cioè l’avvento al potere di Benito Mussolini e del fascismo, di per sé non ha un significato rilevante ed immediato nello svolgimento della politica coloniale, rappresenta comunque l’inizio di un processo che introduce elementi notevoli di novità anche nella vicenda imperialistico-coloniale. Per quanto paradossale possa apparire, la questione se l’Italia giolittiana sia stata una potenza imperialistica o abbia, al contrario, dato via ad una forma di tardo colonialismo, è ancora un problema aperto per la storiografia. Per una risposta pragmatica, ma anche storicamente fondata, a questa questione occorre affrontare i particolari problemi interpretativi che si pongono nell’esaminare l’esperienza di un paese arrivato in ritardo allo sviluppo capitalistico che però ha la presunzione di essere portatore di civiltà. 3 2. Introduzione Dopo aver conseguito l'unità, anche l'Italia, a somiglianza delle altre grandi Potenze europee, cercò di acquistare (o conquistare) possedimenti coloniali fuori d'Europa, sia per dirigere in territori di sua appartenenza la popolazione esuberante, che già si avviava all'emigrazione transoceanica, sia per aprire nuovi sbocchi al suo commercio. Le pressioni dell'industria armatoriale, cantieristica, siderurgica che non trovavano in patria sufficienti occasioni di profitto non erano estranee a queste sollecitazioni imperialistiche. Del resto le altre potenze avevano già iniziato da anni a formare i loro imperi coloniali, e negli ultimi tempi queste mire si stavano estendendo a dismisura. Infatti in questo ventennio di fine del secolo le grandi potenze avevano iniziato a spartirsi il mondo; una vera e propria era imperialistica. Chi per procurarsi materie prime, chi per estendere i suoi commerci, chi per piazzare nelle esportazioni il surplus della produzione in patria, e chi per accaparrarsi le grandi miniere di oro o di diamanti. A dominare nelle conquiste coloniali ovviamente l'Inghilterra, che già da un centinaio di anni (tra la fine del Settecento e la prima metà del XIX secolo) aveva mostrato la sua vocazione nell’occupazione delle terre. Nel 1882 ai suoi 244.000 kmq dell'isola, gli inglesi avevano già aggiunto e "conquistato" 22.000.000 di territori sparsi nei cinque continenti. Questa situazione fino al 1884. Dopo la Conferenza Internazionale di Berlino le potenze in tacito accordo pianificarono la spartizione dell'Africa intera e tutto quanto non era stato ancora conquistato. Inghilterra, Germania, Belgio, Olanda, Russia, Stati Uniti, Italia e Francia iniziarono la "gara" con ogni mezzo, in ogni luogo e con varie forme. Una intesa diplomatica c’era inizialmente, ed erano impegni volti al non darsi fastidio in questa espansione coloniale. Ma poi alcune nazioni iniziarono ad ignorare le mire di altre. La Francia fu una temibile concorrente di tutti ma, soprattutto, dell'Italia che fino al 1882 non aveva nulla. I Francesi invece erano sbarcati già nel 1830 in Algeria, ma prima ancora della Conferenza di Berlino (nel 1881) iniziarono a penetrare in Tunisia. Un territorio che ambiva l'Italia, per motivi storici ma anche perchè era di fronte alla vicina Sicilia. C'erano stati a Berlino degli accordi Francia-Italia, ma poi i Francesi non li rispettarono. Oltre che la Tunisia, proseguirono nelle 4 conquiste africane ed estesero la loro influenza in Marocco, Senegal, Congo francese, Ciad, Madagascar, buona parte del Sahara, e sul Corno d'Africa (Gibuti). Nel 1914 la Francia poteva già contare su una superficie di oltre 10.000.000 di kmq di possedimenti. (30 volte l'Italia). Tralasciamo Belgio, Olanda, Russia e Stati Uniti, e soffermiamoci in Italia che si buttò nell'avventura colonialistica senza avere né i mezzi logistici, né il potenziale economico e tanto meno abili statisti. Le sollecitazioni vennero dai nuovi governi della Sinistra (Crispi) e soprattutto dettate da questioni di prestigio. Fin dal 1869 la Compagnia di navigazione genovese Rubattino aveva occupato la Baia di Assab sulla costa occidentale del Mar Rosso, per crearvi un deposito di carbone. In quell'epoca, arditi esploratori italiani, sostenendo fatiche e patimenti d'ogni sorta, superando difficoltà inaudite, penetravano nel cuore dell'Africa, ne percorrevano i deserti interminabili, attraversavano le foreste, seguivano il corso dei fiumi, si internavano tra i monti, svelavano i segreti di quel continente in gran parte sconosciuto. acquisto della baia di Assab 1882 conquista prima colonia africana dell'Italia (Dogali, città eritrea) 26 gennaio1887 possedimenti italiani riuniti nella Colonia Eritrea 1890 conquista della Somalia 1908 conquista dell’Etiopia 1935 La conoscenza della Somalia fu opera di Luigi Ribecchi Bricchetti, di Antonio Cecchi e, specialmente, di Vittorio Bottego, il quale in due viaggi (1892-93 e 1895-97) scoprì le sorgenti del fiume Giuba e determinò il corso dell'Omo-Bottego, immissario del lago Rodolfo. Alle esplorazioni tennero dietro occupazioni di piccoli territori. Ma Francia e Inghilterra allarmate di così tanto dinamismo, si affrettarono a occupare le regioni più ricche ed anche la Germania si fece avanti arditamente. Nel 1882 il governo italiano impossibilitato a fare una vera e propria spedizione coloniale offensiva, ebbe una singolare idea: comprò la Baia di Assab dalla Compagnia Rubattino. Messa così una base, che diventò ben presto con l'invio di alcune migliaia di soldati una testa di ponte, nel 1884 occupò la città di Massaua, anch'essa sul Mar Rosso, con lo scopo di farne un porto commerciale delle regioni retrostanti. Di qui poi l'Italia avanzò verso l'interno, per occupare la parte settentrionale 5 dell'Altipiano Etiopico. L’avanzata e poi l'insediamento fu ostacolato dal Negus Giovanni II, sovrano dell'Etiopia (dagli italiani battezzata Abissinia). A Dogali 500 soldati italiani, comandati dal colonnello De Cristoforis, furono assaliti da orde innumerevoli di Abissini, e dopo due ore di accanito combattimento caddero, bagnando col loro sangue il suolo della prima colonia africana dell'Italia (26 gennaio 1887). Un’altra spedizione ristabilì senza molte difficoltà il prestigio italiano e tenne più in rispetto i nemici. Poco dopo il Negus morì; Francesco Crispi capo del governo italiano, fece subito con Menelik, re dello Scioia, un patto e lo aiutò a diventare Negus dell'Abissinia (1889). Nello stesso anno con il Trattato di Uccialli, Menelik, dopo l'aiuto di Crispi, ovviamente riconosceva il protettorato italiano sull'Abissinia. I possedimenti furono allora riuniti sotto il nome di Colonia Eritrea (1890). Alcuni anni dopo, nel '95, dopo che l'Italia si era spinta a occupare anche il Tigreè, Menelik rinnegò le sue promesse, e provocò una guerra che, dopo varie vicende, terminò con la sfortunata battaglia di Adua (1 marzo 1896). I soldati italiani vi combatterono con valore, ma il loro capo, Oreste Baratieri, non seppe guidarli alla vittoria e l'Abissinia fu libera dalle grinfie italiane. I confini fra Colonia Eritrea e l'Abissinia rimasero fissati dal fiume Mareb, dal suo affluente Belesa e dal torrente Muna. Frattanto fin dal 1890, in seguito ad accordi con il sultano di Zanzibar, con l'Inghilterra e con la Germania, l'Italia aveva acquistato il possesso della Somalia, dal capo Guardafui alla foce del Giuba. Nei primi anni la Somalia, fu amministrata dalla Società del Benedir; nel 1908 passò alla dipendenza del governo. Per lungo tempo, soltanto la zona meridionale, o Benedir (capitale Mogadiscio), fu dominio diretto; la zona settentrionale comprendeva tre protettorati: il Sultanato di Obbia; il territorio di Nogal; il Sultanato dei Migiurtini: tutti e tre amministrati da un commissario residente a Benedir Alula. Il Governo Nazionale fascista abolì i protettorati e ridusse tutto il territorio a dominio diretto. La Colonia Somalia si ingrandì poi con l'Oltregiuba, zona a ovest del fiume Giuba, ceduta dall'Inghilterra all'Italia, in esecuzione dei patti fatti per la guerra europea. Un altro problema s'impose poi all'Italia:lo scoppio della Guerra Mondiale andò a sconvolgere non solo tutti gli stati europei ma anche tutte le colonie. A spartirsi quelle tedesche furono le ingorde Francia e Inghilterra. Per volontà di Mussolini nel 1935-1936 fu poi riconquistato all'Italia l'Impero Etiopico. 6 Fu la "grande realizzazione" del regime fascista. Mussolini fin dall'inizio del suo governo lo aveva promesso all'Italia. Pur vittoriosa nella Grande Guerra, gli era stata nella pace sottratta i suoi diritti. I suoi alleati, già ricchi di pingue colonie, si erano spartiti i possedimenti tedeschi, cedendo all'Italia soltanto alcuni tratti desertici, senza valore. Ciò accadde per la debolezza degli uomini che allora reggevano i destini dell'Italia, e che non seppero far rispettare i diritti conquistati a prezzo di tante sangue. Mussolini su questa indignazione iniziò a costruire la sua fortuna e salito al potere, si propose di educare e preparare il popolo italiano alla giusta rivincita che -inutile aggiungere- tutti volevano; anche se molti italiani pensavano ancora che le colonie fossero politicamente un ingombro, economicamente una passività, perchè chiusi nel fiacco egoismo di una politica casalinga, desiderosi soltanto di pace a qualsiasi prezzo. Ignorando però che gli altri non pensavano le stesse cose, ma continuarono a spadroneggiare con ulteriore colonialismo, ulteriori annessioni, usando la forza, giustificandola come "sicurezza delle nazioni". Implicitamente affermavano che "unicamente con la forza i popoli, se sanno osare e combattere, si fanno grandi". Nacque così, in 14 anni di regime, quello "spirito coloniale nel Popolo italiano e la volontà di potenza" dei suoi governanti: del Re, di Mussolini, dei Militari di carriera, di una miriade di gerarchi in cerca di facile gloria, di fortuna, di prebende, di rendite o di semplici medaglie da mettersi sul petto da sfoggiare nelle adunate. Nè mancarono gli industriali e le banche con i lucrosi affari, sia della guerra che delle opere pubbliche da realizzare sul nuovo territorio. La grande avventura africana iniziò nel 1935. L’Impero Etiopico, confinante con le colonie dell'Eritrea e della Somalia molestava i possedimenti italiani con frequenti razzie e con atti di ostilità. Un incidente più grave del solito (ma alcuni storici riferiscono pretestuoso) fece "traboccare la bilancia". L'Italia chiese soddisfazione dei danni morali e materiali subiti per opera degli Abissini cui il Negus non era in condizione di soddisfare. Fu dunque ritenuto "giusto" e "necessario" ricorrere alle armi (3 Ottobre 1935) nonostante l'ostilità dichiarata della Società delle Nazioni, che offrendo una ambigua solidarietà al Negus, bandì contro l'Italia il blocco economico con le (blande) Sanzioni. Dopo tante crisi militari (esonero di De Bono) e dopo un attacco giudicato immorale (l'uso dei gas ipirite) il 5 maggio del 1936 il corpo italiano di spedizione guidato da Badoglio (quasi in gara con Graziani nell'arrivare primo) entrava ad Addis Abeba, la capitale dell'Ex Impero Scioiano. Il 9 maggio dal balcone del Palazzo Venezia, Mussolini annunciava al popolo italiano che i territori (1.149.000 kmq) e le genti (8 milioni di abitanti) già appartenenti all'Impero Etiopico venivano posti sotto la sovranità piena ed intera del Re d'Italia, il quale assumeva anche il titolo di Imperatore. 7 3. Eritrea: la prima colonia Il 17 agosto 1869, dopo dieci anni di lavori, si inaugura il canale di Suez che mette in comunicazione il Mediterraneo con le rotte dell'Oriente senza circumnavigare l'Africa. Negli stessi mesi il Prof. Giuseppe Sapeto, Padre Lazzarista, esploratore e inconsapevole pedina di una futura espansione, compra la baia di Assab in Dancalia per 6.000 talleri austriaci dai locali capi mussulmani. Rientrato in Italia cede i diritti alla società di navigazione Rubattino. Per dieci anni il piccolo presidio dell'attracco convive con le tribù dell'interno senza eccessivi problemi (siamo padroni del suolo fisico non del paese politico/geografico) . Da qui partono le esplorazioni per l'Etiopia o Abissinia, terra sconosciuta ai più e i mercanti alla ricerca di nuovi prodotti da scambiare. Le carovane che si addentrano in territori sconosciuti si scontrano sempre più spesso con bande incontrollate di predoni. Nel 1882, a seguito dell'ennesimo incidente, il Governo Italiano decide di assumere la proprietà e la protezione della baia con un plotone di carabinieri. Nel 1884 tre esploratori vengono aggrediti dalla tribù degli Aussa a 200 km da Assab. La notizia della strage, per il modo e i tempi in cui è stata attuata, provoca grande scalpore in parlamento. Il 3 gennaio 1885 il governo decide di inviare un piccolo corpo per individuare i responsabili della strage. Sotto la guida del maggiore Emilio Putti, il 17 gennaio, 800 bersaglieri tratti dal 1°,4°,7° e 8° reggimento e altro personale di servizi e artiglieria partono da Napoli. Dopo una lunga navigazione funestata da diversi incidenti (fra l’altro la corazzata di scorta Principe Amedeo s’incagliò a Porto Said) il Saletta ebbe l’ordine di sbarcare non più ad Assab, ma a Massaua. Saletta non possedeva nessuna carta topografica della zona, ma aveva avuto notizia che “ risultava che gli egiziani avessero eretto a Massaua dei forti armati di cannoni Krupp ». Lo Stato Maggiore con minuziosa precisione aveva inviato al Saletta questa determinazione ministeriale: «Si dispone che gli ufficiali abbiano a sbarcare con l’uniforme di marcia: elmo completo, cravatta di tessuto bianco, giubba e pantaloni in tela color bianca, sciabola e sciarpa. È fatta facoltà agli ufficiali di sostituire al cotone la tela o la flanella bianca. La giubba sarà ad un sol petto da abbottonarsi nel mezzo, col colletto diritto, senza mostreggiature e con piccoli taschini sul davanti col bottoncino centrale all’altezza del terzo bottone. In tutte le altre parti la foggia della giubba sarà identica a quella prescritta per le varie armi dell’uniforme di panno conservandone le stellette, i bottoni e i distintivi di grado». Fortuna, però, che non ci fu bisogno di sparare quel 25 febbraio 1883, alle ore 15, quando i mille bersaglieri di Saletta, sbarcati a Massaua, occuparono l’immediato territorio circostante, ponendolo sotto la sovranità italiana. I bersaglieri avevano raggiunto secondo le istruzioni del colonnello Saletta, comandante la spedizione, i forti di Otumlo e Moncullo, due località dell'entroterra di Massaua sulla strada di Dogali. Nel Sudan, nella valle del Nilo trovava frattanto epilogo il primo atto della rivolta dei Dervisci guidati da Ahmad Ibn Abd Allah, detto il Mahdi, integralista, in guerra contro gli 8 europei per la politica d'espansione e con gli inglesi per il protettorato sul Sudan Anglo-Egiziano (Equatoria). Dopo la caduta di Khartum e la morte di Gordon Pascià (al secolo Charles George Gordon), avvenuta il 25 gennaio 1885, gli inglesi sollecitano il Governo Italiano a prendere posizione sull'eventuale costituzione di un corpo di spedizione per la riconquista della capitale del Sudan. Come unico provvedimento l’Italia garantisce l'occupazione della parte settentrionale dell'Eritrea ai confini col Sudan con l'invio di un contingente di bersaglieri. L'intervento inglese aveva già facilitato il passaggio per il controllo politico sui sultani locali, prima tappa per la creazione di una colonia. A Massaia, porto del Nord, l'amministrazione resterà comunque formalmente Egiziana fino a Dicembre. Per i Ras, regnanti regionali etiopici, soggetti al Negus Johannes IV, il blocco dello sbocco al mare viene preso a motivo di scaramucce e rivendicazioni. Quello contro cui il Governo Italiano andava a confrontarsi era l'ultimo dei grandi imperi d’Africa. Il contingente italiano era stato intanto rinforzato. Il ras Alula, partendo dall’Asmara, attacca il 25 gennaio 1887 prima il Forte di Saati che gli resiste, poi, con 10.000 guerrieri, una colonna italiana (500 uomini) mossasi da Moncullo in soccorso. Gli uomini del T.Colonnello De Cristoforis a Dogali vengono quasi tutti uccisi. Per riscattare i pochi prigionieri bisognava consegnare 1000 fucili. Il Negus si dissocia dall'impresa ed Alula (anche per le gravi perdite subite) non si fa più vedere nei dintorni. Anche se armati prevalentemente di lance gli abissini attaccano con forze dieci-venti volte superiori e solo l'intervento di un vero corpo di spedizione di 13.000 uomini del Gen. Di San Marzano permette agli italiani di riprendersi i forti dell'interno. Sono intanto partiti i lavori per la costruzione della ferrovia Massaua-Saati. Il 17 marzo 1888 una pattuglia di eritrei si scontra con uomini del ras Alula. Bersaglieri, alpini e soldati coloniali del Gen. Baldissera intervengono per coprire una eventuale allargamento degli scontri. Ai soldati italiani si è aggiunto nel 1888 un corpo di truppe indigene detti Ascari che successivamente (1892) confluiscono nel Regio Esercito. L’Etiopia esisteva come paese, ma non come nazione. La struttura feudale l'aveva divisa in regni. Qui vigeva la solita regola imperialista di prendersi quanta più terra si poteva. Ai problemi interni poi si aggiungevano quelli esterni a cui si cercava di fare fronte comune. Nel marzo 1889 Il negus Johannes muore in combattimento contro i Dervisci. Contrasti da sempre in essere fra i Ras, accresciuti per la successione al trono e una grave carestia inducono gli italiani ad aiutare il pretendente al trono Menelik contro Ras Mangascià del Tigrai figlio illegittimo di Johannes IV. La collaborazione porta in cambio un trattato di alleanza e di collaborazione in politica estera ( Uccialli 2/5/1889 ). L’Italia si riservava la possibilità di occupare il forte di Cheren e la città di Asmara a 2.400 m. di altitudine, che viene ben presto collegata con strade alla costa. Le orde mahadiste imperversavano ormai da otto anni con violenze e razzie, e si spingevano anche sul 9 ciglio dell'altopiano. È qui ad Agordat nel territorio dei Beni-Amer che nel giugno del 1890 avviene il primo scontro con 2 compagnie di nostri ascari sotto il comando del Cap. Gustavo Fara distaccato dal 8° Reggimento bersaglieri. Nonostante la vittoria, la partita coi Dervisci non è ancora chiusa. Nel 1892 e nel 1893 si ripresentano sotto Agordat per essere battuti di nuovo. Il 27 gennaio 1890 anche Adua viene occupata precauzionalmente. Lotte interne, tradimenti e cambiamenti di fronte sono ormai all'ordine del giorno in Etiopia, paese sepolto nel medioevo ed avviato ad una inesorabile decadenza. Sedati i dissidi e i contrasti interni, il Negus Menelik può stracciare il trattato di Uccialli, contestando diversi passi del testo italiano, ritenuti non conformi al suo in lingua amarica. Il 21 dicembre 1893 oltre 10.000 guerrieri Dervisci degli emiri Ahmed Ali di Gedaref e Gaidum di Kassala sono di nuovo sotto Agordat. Gli ascari dei battaglioni indigeni I-II-III-IV guidati dal Gen. Arimondi (bersagliere) escono ancora una volta vincitori dallo scontro. 4. Somalia: un paese inventato. Poche settimane dopo l’occupazione di Massàua, il Regio Avviso "Barbarigo" ebbe l’ordine di recarsi a Zanzibar, di visitare le coste di terraferma dipendenti dall'omonimo sultanato (protettorato inglese) e di esplorare le foci del Giuba. La missione: avviare col sultano negoziati per un trattato commerciale. L'incarico fu affidato al Cap. Antonio Cecchi e al comandante della nave. Nel maggio del 1885 veniva concluso il primo accordo commerciale col sultano. Ulteriori accordi portarono poi all'affitto del Benadir, la fascia di costa meridionale con le città di Mogadiscio e Brava, tramite le imprese private di Filonardi e la Società del Benadir creata appositamente. Ricordiamo che l'Italia aveva aiutato gli Inglesi in Sudan nella guerra contro il Mahdi ed era quindi in credito di favori. Le lotte intestine, gli sconfinamenti di bande dall'interno abissino spingono nel 1889 i sultani di Obbia, (Yusuf Ali) e Migiurtina (Osman Mahamud), due regioni confinanti a nord, a chiedere il nostro protettorato. Per conformazione geografica e climatica la Somalia vive dalla costa verso l'interno sui corsi d’acqua torrentizi e stagionali, ma non lungo il litorale. Le località costiere si raggiungono quindi in quegli anni via mare da punto a punto. Nei successivi due anni sono colonizzate altre città minori della costa. Filonardi nominato console fonda nel villaggio El Ataleh la nuova colonia Itala. 12 Agosto 1892: preceduta dal protocollo anglo-italiano per determinare la sfera d'influenza delle due potenze coloniali nel Corno d'Africa è firmata la convenzione italo-zanzibarese con la quale è stabilito l'affitto all'Italia di Uarscéc, Mogadìscio, Mérca, Bràva e territori circostanti per 25 anni. Scaduti i 25 anni l'Italia poteva rinnovare la convenzione per altri 25. Il canone annuo da corrispondere al sultano (Zanzibar) era di 160.000 rupie, ridotte poi a 120.000. L'affitto delle 10 quattro stazioni passò in subconcessione alla Società Filonardi. Dai punti della costa, come era già successo in Eritrea, partono le spedizioni scientifiche e geografiche per conoscere le potenzialità dell'interno. Qui era anche più facile perché si potevano in alcuni mesi dell'anno sfruttare i fiumi. Su queste coste era tuttora fiorente il commercio degli schiavi neri da parte degli arabi. 26 Novembre 1896: il cap. Cecchi, divenuto console e impegnato per conto della Società del Benàdir in una pacifica penetrazione a scopo di amicizia col sultano di Ghelédi, è massacrato nella boscaglia di Lafolé a soli 20 Km da Mogadiscio. Persero la vita, insieme a comandanti, ufficiali e alcuni marinai delle navi "Staffetta" e "Volturno", anche alcuni europei. A Lugh, Ugo Ferrandi è costretto a resistere da solo agli attacchi dei razziatori abissini, imbaldanziti dalle sconfitte italiane in Eritrea. La località si chiamerà poi Lugh Ferrandi. Il triangolo compreso fra il Somaliland britannico e la Somalia colonizzata si chiama Ogaden. Qui sorgeranno i primi problemi con i Ras Abissini, che sfoceranno in guerra aperta nel 36 e successivamente nella prima guerra africana fra la Somalia e L’Etiopia. Marzo 1902: la Società del Benàdir presenta al Parlamento un programma d'azione vasto e coordinato che porta poi all'occupazione di Bardéra e Lugh, l'istituzione di un servizio di trasporti di terra e di mare e un trattato col sultano di Ghelédi. Le forze militari italiane in quel paese sono veramente esigue e costituite solo da locali o yemeniti costituiti in bande comandate da Italiani e da eritrei. Due anni dopo, la crisi commerciale della Società del Benadir e la politica restrittiva italiana che prendeva provvedimenti contro la schiavitù delle tribù arabe della costa, portò al primo scontro con la fazione dei Bimal nella zona di Merca. Nostre accuse di schiavismo ritenute infondate e timori di invasione del Mùllah portano alla risoluzione della convenzione con la Società del Benàdir. Di fatto, però l'Italia si era sostituita alla Società già da alcuni mesi. Nei successivi quattro anni si conteranno altre due guerre contro questa Tribù. 13 Gennaio 1905: accordo tra Italia e Inghilterra (che rappresentava integralmente il sultano di Zanzibàr). L'Italia riscatta i quattro scali somali in cambio di un compenso forfettario di 144.000 sterline destinate al governo di Zanzibàr. Con un altro accordo, l'Inghilterra affitta all'Italia un appezzamento di terreno nella baia di Chisimàio. Il terreno è destinato alla costruzione di uno sbarcatoio e di magazzini merci. Nello stesso anno è proclamata la colonia italiana di Somalia (a nordest e sud). 26 Agosto 1905: vittoria italiana a Gilìb contro i ribelli Bimàl, contrari ad abolizione e repressione della schiavitù. 06 Febbraio 1907: sulla costa fra Mérca e Mogadìscio è previsto un concentramento di ribelli Bimàl; per impedirla, 2 colonne (600 ascari comandati dal Ten. Streva e 4 ufficiali) muovono dalle città e disperdono i ribelli ritirandosi poi a Danàne. 11 Settembre 1907: Menelik invia dall’Etiopia una spedizione per estorcere tributi. Dopo essere stata respinta una prima volta dagli uomini del Mullah, riesce a raggiungere i pozzi di Berdalè presso Lugh dando inizio ad una serie di razzie. I capitani Bongiovanni e Molinari con 300 uomini decidono di intervenire per ottenere pacificamente la restituzione del bottino. Raggiunta Bahallè sono costretti allo scontro dagli abissini e vi trovano la morte. Gli eccessi compiuti nelle razzie verranno puniti dallo stesso Menelik. In seguito a questi fatti si conclude ad Addis Abeba un trattato per la delimitazione dei confini tra Etiopia e Somalia italiana. In pratica però i confini furono fissati solo da Dòlo (a sud) a Lét. 15 Dicembre 1907-02 Marzo 1908: il cap. Vitali alla testa di 500 ascari batte a Dongàb i ribelli Bimàl, tornati all'azione contro l'estendersi della occupazione italiana. L'azione è sostenuta dalla Regia Nave “Staffetta”, con la cooperazione della Regia Nave “Volta”, che dal mare disperdono a cannonate i ribelli presso Danàne. 11-12 Luglio 1908: la spedizione guidata dal magg. Di Giorgio libera Mérca, minacciata dai ribelli. Scontro a Merére tra i ribelli e gli uomini di Di Giorgio che sono costretti ad incendiare il villaggio ed in seguito ad occupare Afgòi. Il sultano di Ghelédi con 5000 armati si sottomette all'Italia. 01 Agosto 1912: gli italiani occupano Uànle Uén mentre gli inglesi combattono ferocemente contro gli uomini del Mullah che stanno dilagando nel Somaliland. Questi era un ribelle, che passerà alla storia col nome di Mad Mullah “Mullah Matto” noto ai somali come Sayed Mohamed Abdulla Hassan. Egli tenne impegnate per oltre un trentennio (1889-1920) soprattutto le forze britanniche del Somaliland, ma diede molti fastidi militari, fino alla sua morte, anche alla colonia italiana. Gli strascichi della guerra Italo-Turca coinvolgono anche piccoli scontri a Balad (gennaio 1912) e Scidle (marzo 1912) 19 Giugno 1913: truppe italiane a Bur Acaba e ad Iscia Baidòa. Febbraio 1920: la grande offensiva inglese contro il Mullah termina con la fuga di quest'ultimo nel nostro territorio del Nogàl. Egli morirà presso Imi nell'alto Uébi nel 1921. In Italia intanto è costituita a Milano la Società Agricola Italo-Somala su iniziativa di S.A.R. il Duca degli Abruzzi. 15 Luglio 1924 Convenzione di Londra: l’Inghilterra cede lo Jubaland all’Italia come compenso post-bellico. Nel luglio dell’anno successivo iniziano le operazioni per l’occupazione dello Jubaland sotto il Commissariato Generale dell’Oltregiuba. La Somalia non diventerà mai una colonia di popolamento, anzi la capitale Mogadiscio non arriverà certo alle dimensioni "italiane" di Asmara, arrivando a contare, al massimo dell’immigrazione italiana, non più di 10.000 italiani. 12 4.1 La regione Ogaden nella saga della Somalia. La provincia era parte integrante del territorio somalo, prima che fosse ceduta al re etiope Menelik II, che nel 1887 andò a Berlino a mendicare presso le grandi potenze uno sbocco verso il mare. I tre firmatari Italia, Gran Bretagna e Francia durante gli anni 1884-1886 cedettero l'Ogaden a titolo di gratificazione all’Etiopia per non aver ostacolato la ricerca delle concessioni territoriali nel corno d'Africa. L’impero Ottomano attraverso il Khedive d’Egitto, esercitava una sorta di potere coloniale sul territorio, tra cui i tre sultanati di Obbia, Migiurtinia e Zanzibar. Nel 1882, lo Stato italiano decise di rilevare alcune aree per iniziare la sua conquista coloniale, cominciando dall’Eritrea (che sarà colonia l’1/1/1890). Giuseppe Candeo (è a lui che si deve la conoscenza dell'Ogaden e la compilazione della grande carta della stessa regione) fece un viaggio di esplorazione nel 1891 con Baudi di Vesme nella Somalia centrale. Giunti ad Harar, il 22 maggio, furono imprigionati per ordine del Ras Makonnen poi espulsi. L’Italia, dopo la pace dell'ottobre del 1896 stipulò, il 10 luglio del 1900, il trattato relativo alla frontiera. Con questo si cancellava per sempre il Trattato di Uccialli (protettorato italiano sull’Etiopia). Più tardi, vennero due convenzioni: una il 15 maggio del 1902, per la delimitazione del confine tra l'Eritrea, il Sudan e l'Etiopia verso il Setit e, l'altra il 16 maggio del 1908 per il confine tra l'Abissinia e la Somalia italiana e tra l'Abissinia e l'Eritrea verso la Dancalia. Un ribelle, che passerà alla storia col nome di Mad Mullah “Mullah Matto” (noto ai somali come Sayed Mohamed Abdulla Hassan), tenne impegnate per oltre un trentennio (1889/1920) le forze britanniche del Somaliland, dando, fino alla sua morte, molti fastidi militari anche alla colonia italiana. 1 Giugno 1936: con la costituzione dell'impero, l’Ogaden ex-etiope, è inserito nuovamente nel territorio provinciale somalo. Scoppiata la seconda guerra mondiale, la Somalia fu occupata dalle truppe britanniche che, passato il confine dell’Oltregiuba, il 27 febbraio 1941 entravano nella capitale Mogadiscio, assumendone l’amministrazione e costituendo il territorio separato dell’Ogaden. L'Ogaden veniva reso definitivamente all’Etiopia. Nel sud gli inglesi facevano analogo regalo al Kenya della regione somala NFD (North Front District). L’occupazione inglese del Somaliland durò fino al 31 marzo 1950, quando questo divenne indipendente. La Somalia, ad amministrazione italiana, divenne a sua volta indipendente il 1 luglio 1960 e ci fu l’unione delle due ex colonie. L’Ogaden nell’ambito della storia somala è la regione dove si sono combattute battaglie epiche. Correvano i lontani anni 1541-1543 quando le truppe imperiali etiopi furono salvate da un tracollo militare contro i somali da 400 cattolici portoghesi che aiutarono il negus, cristiano- copto, usando per la prima volta in Africa Orientale i fucili. I rapporti tra i due imperi (Portoghese ed Etiope) erano cominciati nel 1502 e dureranno fino al 1769. Nel 1520 c’era già una Ambasciata portoghese in Etiopia. Ma torniamo agli anni 60, con l’indipendenza della Somalia, 13 che non ha mai cessato di rivendicare la regione dell’Ogaden come entità geografica e politica somala, Capo di Stato Maggiore somalo era Daud Mohamed Hersi, ci fu una breve scaramuccia di confine, che gli americani nel periodo protettori di Haile Selassie, circoscrissero immediatamente prima che sfociasse in guerra. Oggi si ricorda invece Giggiga come una delle più ardite operazioni aeromobili condotte dai sovietici in appoggio agli etiopi. Chi ricorda ancora che nell'Ogaden fu combattuta (1977) una delle più sanguinose guerre convenzionali della storia?. Quando la Somalia sotto la guida del dittatore Siad Barre tentò di strappare l’arida regione all'Etiopia, i sovietici comandati dal Generale dell'esercito Vasily Petrov e il Tenente Generale dell’Aviazione Dolnikov congiuntamente ai cubani guidati dal Generale di Divisione Arnaldo Ochoa (fucilato poi da Castro per traffico di droga), stabilirono uno stato maggiore congiunto di cui Menghistu fu il leader politico. La forza armata era formata da 5 Generali etiopi, 8 cubani, 5 sovietici 2 yemeniti (lo Yemen inviò 2000 soldati), 50.000 soldati etiopici aiutati da 18.000 cubani, piloti israeliani sugli F5, piloti cubani e yemeniti sui Mig. Ricorrendo ad un imponente ponte aereo in aggiunta alle informazioni militari dei cubani e dei sovietici che avevano armato fino a quel momento il regime di Mohamed Siad Barre, nel giro di un anno ricacciarono i Somali dalle posizioni conquistate, sconfiggendoli nelle battaglie di Diredaua e Giggiga. Restò famosa l'operazione con cui I russi scavalcarono la linea somala trasbordando su una imponente massa di elicotteri un'intera divisione motorizzata. Questa in sintesi la storia dell’Ogaden, terra somala, abitata dagli Ogaden, etnia somala dei Darod. La Somalia attuale conta circa 6.450.000 abitanti su un territorio di 637.650 kmq densita 10 abitanti per kmq. Chi spadroneggia sono ancora i vecchi clan, o signori della guerra come è sempre stato. 4.2 Dubat - I Bersaglieri Neri Il Governatore De Vecchi diede vita nel 1924 ad una specialità denominata "Bande Armate di Confine" meglio conosciuta con il nome di "Dubat" (Dub=turbanti AT=bianchi). I Dubat erano una truppa intermedia fra i regolari e gli irregolari. La loro principale caratteristica consisteva nell'estrema leggerezza di armamento e di equipaggiamento che consentiva spostamenti rapidissimi. I «dubat» sono snelli e scattanti, dal passo lungo, nerissimi di pelle ma bianchissimi nei turbanti e nell'abbigliamento molto leggero per potersi muovere con agilità a guardia delle frontiere. Sono scelti fra gli uomini più dotati fisicamente e intellettualmente. Vigili e fedeli furono impareggiabili cavalcatori del Generale Graziani, divisi in bande comandate da ufficiali italiani, cui venne affidato il compito di vigilare sul confine. Sempre pronti a reagire contro le incursioni dei razziatori abissini entro i nostri confini, si spostavano attraverso la pianura allagata per raggiungere gli obbiettivi (Ogaden conteso), con zattere abilmente improvvisate, oppure a nuoto, sfidando il pericolo dei 14 coccodrilli. Gli africani, e soltanto loro, possono confrontarsi con i coccodrilli a nuoto. Il più famoso fu Ali Ualie, che comandava il posto di frontiera di Ual-Ual al momento del proditorio attacco del capo predone Omar Sammantar. Questi in precedenza aveva assassinato a pugnalate un nostro ufficiale e con i suoi uomini massacrato i difensori di un nostro presidio. Con la ritirata degli aggressori (sostenuti dal maggiore inglese Chifford del «Camel's Corp» della vicina Somalia britannica) si accese il conflitto italo-etiopico del 1935. 5. Il mito del “buon italiano” I paesi europei che hanno partecipato alla spartizione dell'Africa, si sono macchiati, tutti, indistintamente, dei peggiori crimini. E' un dato suffragato da episodi sui quali esiste, nella memoria e negli archivi, una documentazione imponente. Cominciarono i boeri, due secoli fa, massacrando le popolazioni indigene del Sudafrica, in modo particolare gli Ottentotti, gli Zulù e gli Ama Xosa. Gli inglesi non furono da meno, nel Sudan, quando si trattò di annientare la resistenza mahdista. Negli stessi anni i francesi demolivano, l'uno dopo l'altro, i regni Bambara, Mossi, Fulbe, Mande, Yoruba, dalla Mauritania al Ciad, dal Senegal al Gabon. Poi intervennero i tedeschi, i quali fecero scempio degli Herero e dei Nama, nell'attuale Namibia, mentre i belgi colonizzavano il Congo con metodi spietati. Le stragi di popolazioni africane continuarono anche dopo la seconda guerra mondiale, quando il periodo coloniale sembrava ormai concluso. Come dimenticare le repressioni del maggio 1945, nella regione di Costantina, a causa delle quali persero la vita dai 20 ai 50mila algerini? E la caccia al malgascio, dopo l'insurrezione del 1947, che fece, secondo le stime dello stesso Alto Commissario in Madagascar, Pierre de Chevigné, «più di centomila morti»? E che dire della campagna contro i Mau Mau del Kenya, fra il 1952 e il 1956, con un bilancio di 10.527 uccisi e 77.000 incarcerati? Ma un autentico genocidio di un popolo si sarebbe verificato in Algeria, fra il 1954 e il 1961, quando i francesi, nel folle, antistorico tentativo di conservare alla Francia la sua più antica colonia, scatenavano una guerra che avrebbe causato un milione di morti. Tanto nel periodo della liberal-democrazia che durante i vent’anni del regime fascista, il comportamento dell’Italia nelle sue colonie di dominio diretto non fu dissimile da quello delle altre potenze coloniali. Impiegò i metodi più brutali sia nelle campagne di conquista che nel periodo successivo, stroncando ogni tentativo di ribellione. Con l’avvento del fascismo, poi, le condizioni dei sudditi coloniali si fecero ancora più precarie, soprattutto perché fu messa a tacere in Italia l'opposizione, tanto in Parlamento che negli organi di informazione. Grazie infine alle più capillari pratiche censorie, furono tenuti nascosti agli italiani episodi di inaudita gravità, come, ad esempio, la deportazione di intere popolazioni del Gebel cirenaico, la creazione nella Sirtica di quindici letali 15 campi di concentramento, l'uso dei gas durante il conflitto italo-etiopico, le tremende rappresaglie in Etiopia dopo il fallito attentato al viceré Graziani. Quando Mussolini arrivò al potere, la riconquista della Libia era appena iniziata, mentre sulle regioni centrali e settentrionali della Somalia il dominio italiano era soltanto virtuale. A Mussolini, più che ai suoi generali, va dunque la responsabilità di aver adottato i metodi più crudeli per riconquistare le colonie pre-fasciste e per dare, con l'Etiopia, un impero agli italiani. 5.1 L’impiego degli aggressivi chimici Usati sporadicamente in Libia, nel 1928, contro la tribù dei Mogàrba er Raedàt, e nel 1930, contro l'oasi di Taizerbo, i gas vennero invece impiegati in maniera massiccia e sistematica durante il conflitto italo-etiopico del 1935-36 e nelle successive operazioni di «grande polizia coloniale» e di controguerriglia. L'Italia fascista aveva firmato a Ginevra, il 17 giugno 1925, con altri venticinque paesi, un trattato internazionale che proibiva l'utilizzazione delle armi chimiche e batteriologiche, ma, come abbiamo visto, neppure tre anni dopo violava il solenne impegno usando fosgene ed iprite contro le popolazioni libiche. In Etiopia le violazioni furono così numerose e palesi da sollevare l'indignazione dell'opinione pubblica mondiale. Le prime bombe all'ipirite furono lanciate sul finire del 1935 per bloccare l'avanzata dell'armata di ras Immirù Haile Sellase, che puntava decisamente all'Eritrea, e quella di ras Destà Damtèu, che aveva come obiettivo Dolo, in Somalia. In tutto, durante il conflitto italoetiopico del 1935-36, furono sganciate su obiettivi militari e civili 1.597 bombe a gas, in prevalenza del tipo C.500-T, per un totale di 317 tonnellate. Altre 524 bombe a gas furono lanciate, tra il 1936 e il 1939, durante le operazioni contro i patrioti etiopici. Se si aggiunge, infine, che durante la battaglia dell'Endertà furono sparati dalle batterie di cannoni di Badoglio 1.367 proiettili caricati ad arsine, non si è lontani dal ritenere che in Etiopia siano stati impiegati non meno di 500 tonnellate di aggressivi chimici. 5.2 I campi di sterminio Con il fascismo le vessazioni nei confronti degli indigeni raggiunsero livelli mai prima segnalati. Dall'esproprio dei terreni, dalla confisca dei beni dei «ribelli», dal diffuso esercizio del lavoro forzato, si passò alla deportazione di intere popolazioni e alla loro segregazione in campi di concentramento, che soltanto la cinica prosa dei documenti ufficiali aveva il coraggio di definire «accampamenti». Il più noto e drammatico di questi trasferimenti coatti avvenne in Cirenaica nel 1930, dopo che Graziani aveva fallito il tentativo di domare la ribellione capeggiata da Omar elMukhtàr. Su ordine del governatore generale Badoglio, il quale era convinto che la rivolta si 16 sarebbe potuta infrangere soltanto spezzando i legami tra gli insorti e le popolazioni del Gebel cirenaico, Graziani predisponeva il trasferimento di 100mila civili dalla Marmarica e dal Gebel elAckdar ai campi di concentramento che aveva fatto costruire nella Sirtica, una delle regioni più inospitali dall'Africa del Nord. Quando i lager vennero definitivamente sciolti nel 1933, i sopravvissuti erano appena 60mila. Gli altri 40mila erano morti durante le marce di trasferimento, per le pessime condizioni sanitarie dei campi (per i 33mila reclusi nei lager di Soluch e di Sidi Ahmed el-Magrun c'era un solo medico), per il vitto insufficiente e spesso avariato, per le inevitabili epidemie di tifo petecchiale, dissenteria bacillare, elmintiasi, per le violenze compiute dai guardiani e per le esecuzioni sommarie per chi tentava la fuga. I campi di sterminio nella Sirtica non furono i soli. Memore della loro macabra efficacia, Graziani ne istituì uno anche in Somalia, a Danane, a sud di Mogadiscio. Secondo Micael Tesemma, un alto funzionario del ministero degli Esteri etiopico, che fu recluso a Danane per tre anni e mezzo, dei 6.500 etiopici e somali che si avvicendarono nel campo, tra il 1936 e il 1941, 3.171 vi persero la vita. Un secondo campo fu istituito nell'isola di Nocra, in Eritrea. Qui le condizioni di vita erano anche più intollerabili, perché i detenuti erano costretti al lavoro forzato nelle cave di pietra, con temperature che a volte raggiungevano i 50 gradi. L'alto tasso di mortalità a Nocra era causato principalmente dalla malaria e dalla dissenteria, poi dal cattivo nutrimento e dalle insolazioni. 5.3 Le stragi L’intera storia delle conquiste coloniali italiane è punteggiata da stragi e da esecuzioni sommarie. Ma vi sono episodi che emergono per la loro spiccata gravità. Nella notte del 26 ottobre 1926, ad esempio, avendo saputo che lo scek Ali Mohamed Nur, un capo religioso ostile all'Italia, era sfuggito all'arresto e si era barricato con i suoi seguaci nella moschea di El Hagi, a Merca, una cinquantina di coloni italiani di Genale, ex squadristi, armati di moschetti e di fucili da caccia, puntò su Merca, circondò la moschea e trucidò tutti i suoi occupanti, un centinaio di somali. Il massacro sarebbe stato anche più ingente se, al mattino, a sostituire gli squadristi, che intendevano liquidare tutta la popolazione indigena della zona, non fossero intervenuti i reparti dell'esercito. Ma è in Etiopia, nel cristiano e millenario impero del Prete Gianni, che furono consumati i più orrendi eccidi, alcuni dei quali non ancora studiati a fondo per cui il numero delle vittime potrebbe ancora aumentare. Cominciamo con le stragi compiute ad Addis Abeba dopo l'attentato del 19 febbraio 1937 al viceré Graziani. Per tre giorni, su ordine del segretario federale della capitale, Guido Cortese, fu impartita agli etiopici, che erano assolutamente estranei all'attentato, una «lezione indimenticabile». Alla selvaggia repressione presero soprattutto parte camicie nere, civili italiani ed 17 ascari libici e fu condotta, come riferisce un testimone degno di fede, il giornalista Ciro Poggiali, «fulmineamente, coi sistemi del più autentico squadrismo fascista». Quando, il 21 febbraio, Graziani diramò, dall'ospedale in cui era stato ricoverato per le ferite subite, l'ordine di cessare la rappresaglia, la capitale era disseminata di cadaveri. Mille morti, secondo Graziani; da 1.400 a 6.000, secondo le stime dei testimoni stranieri; 30mila, a sentire gli etiopici. Cessata la strage in Addis Abeba, la repressione continuò in tutte le altre regioni dell'impero. Si dava soprattutto la caccia agli indovini e ai cantastorie, ritenuti responsabili di aver annunciato nelle città e nei villaggi la fine prossima del dominio italiano in Etiopia. Secondo una relazione del colonnello Azolino Hazon, la sola arma dei carabinieri passò per le armi, in meno di quattro mesi, 2.509 indigeni. Alle operazioni repressive partecipò anche l'esercito. Al generale Pietro Maletti venne infatti affidato l'incarico di punire i religiosi della città conventuale di Debrà Libanòs, ingiustamente sospettati di aver favorito l'attentato a Graziani ospitando i due esecutori materiali, gli eritrei Abraham Debotch e Mogus Asghedom. Tra il 18 e il 27 maggio 1937 Maletti portò a termine la sua missione fucilando 449 monaci e diaconi. Queste cifre sono state desunte dai dispacci che Graziani inviava quotidianamente a Mussolini, e fino a qualche tempo fa si ritenevano attendibili poiché Graziani ha sempre avuto la tendenza a non celebrare, e soprattutto a non ridurre, le cifre della sua macabra contabilità. Il viceré, infatti, commentando la strage di Debrà Libanòs non aveva mostrato alcuna reticenza nel sottolineare l'estremo rigore della punizione: «È titolo di giusto orgoglio per me aver avuto la forza d'animo di applicare un provvedimento che fece tremare le viscere di tutto il clero, dall’Abuna all'ultimo prete o monaco». Questa non è che una sintesi dei torti che l’Italia fascista ha fatto alle popolazioni africane da essa amministrate. Dovremmo infatti anche parlare delle leggi razziali, che confinavano gli indigeni nei loro ghetti, anticipando di vent'anni i rigori e gli abusi dell'apartheid sudafricana. Dovremmo ricordare i limiti imposti all'istruzione, tanto che in settant'anni di presenza italiana in Africa nessun indigeno ebbe la facoltà e i mezzi per ottenere un diploma o una laurea. Dovremmo infine ricordare che ai sudditi africani erano riservati soltanto ruoli subalterni, i più modesti ed umilianti. Un fatto del genere non accadeva nelle colonie africane della Francia e della Gran Bretagna. Questi crimini furono accuratamente nascosti agli italiani con tutti gli strumenti di cui può disporre una dittatura. E se qualche verità filtrava all'estero, ad esempio sui gas impiegati in Etiopia, il regime reagiva rabbiosamente sostenendo che un popolo che stava portando la civiltà in Africa non poteva macchiarsi di tali infamie. Molti testimoni italiani di stragi o dell'impiego delle armi chimiche si decideranno a svelare i loro segreti soltanto trenta, quaranta, cinquanta anni dopo gli avvenimenti e sempre con qualche 18 reticenza. Altri, invece, e sono i più numerosi, non hanno mai testimoniato sui crimini, perché non li ritenevano tali, ma li consideravano normali pratiche per tenere a freno popolazioni che giudicavano barbare. Molti, fra costoro, si sono fatti fotografare in posa dinanzi alle forche o reggendo per i capelli teste mozze di patrioti etiopici. Questa macabra, allucinante documentazione fotografica è visibile negli Archivi storici di Addis Abeba e proviene dagli uffici degli organi giudiziari italiani scampati alle distruzioni della guerra, o dai portafogli degli italiani finiti prigionieri degli etiopici alla caduta dell'impero. Il mito degli «italiani brava gente» cominciò ad affermarsi quando ancora l'Italia era impegnata in Africa a difendere i suoi territori. Se si sfogliano le riviste coloniali dell'epoca si nota l'insistenza con la quale il regime fascista cercava di accreditare la tesi dell'italiano impareggiabile costruttore di strade, ospedali, scuole; dell'italiano che in colonia è pronto a deporre il fucile per impugnare la vanga; dell'italiano gran lavoratore, generoso al punto da porre la sua esperienza al servizio degli indigeni. Si tentava, insomma, di costruire il mito di un italiano diverso dagli altri colonizzatori, più intraprendente e dinamico, ma anche più buono, più prodigo, più tollerante. Insomma il prodotto esemplare di una civiltà millenaria, illuminato dalla fede cattolica, fortificato dalla dottrina fascista. Questo mito sopravvivrà alla sconfitta nella seconda guerra mondiale e impregnerà tutti i documenti che i primi governi della Repubblica presenteranno alle Nazioni unite o ad altre assise internazionali nel tentativo, fallito, di salvare, se non tutte, almeno le colonie prefasciste. Non soltanto resisteva il mito degli «italiani brava gente», ma si impediva con ogni mezzo che si svolgesse nel paese un sereno e costruttivo dibattito sul colonialismo. Gli effetti del mancato dibattito sono visibili, come sono palesi i danni arrecati. Il primo dato negativo è la rimozione quasi totale, nella memoria e nella cultura storica dell'Italia, del fenomeno dell'imperialismo e degli arbitri, soprusi, crimini, genocidi ad esso connessi. Nonostante sia trascorso decine di anni dallo sbarco a Massaua del colonnello Tancredi Saletta, dallo sbarco del generale Caneva a Tripoli, dall’aggressione fascista all'Etiopia, l’Italia repubblicana non ha ancora saputo sbarazzarsi dei miti, delle leggende, delle contraffazioni che si sono formate nel periodo coloniale, mentre una minoranza non insignificante di reduci e di nostalgici li coltiva amorevolmente e li difende con iattanza. Non soltanto è stato contrastato ogni tentativo di aprire un dibattito a livello nazionale sul colonialismo, che coinvolgesse storici, forze politiche ed opinione pubblica, ma si è anche tentato, da parte di alcune istituzioni dello Stato, di esercitare il monopolio su alcuni archivi per impedire che affiorasse la verità, mentre una storiografia di segno moderato o revanscista favoriva palesemente la rimozione delle colpe coloniali. 19 6. Bibliografia Franco Antonicelli. Trent'anni di storia italiana 1915 - 1945. Torino, Mondadori, 1961 Angelo Del Boca. Italiani in Africa Orientale: La caduta dell'Impero. Laterza, Bari, 1986 Nicola Labanca. Storia dell'espansione coloniale italiana. Bologna, Il Mulino, 2007 Angelo Del Boca. Il negus. Vita e morte dell’ultimo re dei re. Bari, Laterza, 1995 7. Sitografia www.it.wikipedia.org www.treccani.it www.it.encarta.msn.com www.pbmstoria.it www.anpi.it www.storia900bivc.it www.massimoromandini.it 20