Rosmini: una Letztbegründung non elenctica Metafisica ed epistemologia nel discorso della Spätmoderne Markus Krienke (Como-Lugano) “È ugualmente letale per lo spirito avere un sistema e non averne alcuno. Esso dovrà dunque ben decidersi a unire le due cose“1. 1. La “quarta fase”: come interpretare Rosmini dopo la beatificazione? Accusare la rosminiana Teosofia in senso razionalistico e quindi scoprire in essa una dottrina ontologistica e pan(en)teistica non fu affatto compito difficile per gli accusatori ottocenteschi del pensiero del Roveretano: Rosmini svolge in essa niente meno che il tentativo di una Letztbegründung (fondazione ultima) metafisica della classica ontologia scolastica. Contrariamente a quanto sostenevano i suoi accusatori, questa fondazione non è però “sistema” né in forma razionalistica né in senso hegeliano ma delinea una vera e propria “ontologia trinitaria”2, portando a compimento il suo progetto di “filosofia cristiana”, cioè di un sapere filosofico nel pieno senso della parola, in grado di trovare nella fede la risposta alle sue domande3. In questo senso, nel Nuovo Saggio Rosmini cercava, nei confronti della filosofia critica di Kant, di ripristinare la gnoseologia su una solida base, che al contempo doveva liberare l’intelletto umano da quei limiti ai quali Kant aveva legato epistemologicamente la filosofia moderna4. Il programma di sviluppare un’epistemologia filosofica che nonostante la pretesa scientifica di sistematicità non riducesse la domanda filosofica dei fondamenti entro i limiti di una presunta “ragione pura”, doveva però ancora essere realizzato. Questo avenne nel confronto con la Wissenschaft der Logik di Hegel in cui quest’ultimo impostava, sui presupposti kantiani, il “sistema” filosofico fondandolo oggettivamente e sviluppandone quindi una vera e 1 F. Schlegel, Frammenti dell’ “Athenaeum”, in: id., Frammenti critici e scritti di estetica, tr. it. V. Santoli, Firenze 1967, 45-129, qui 55 (41 [53]). 2 Proprio per la valenza ontologica della forma morale all’interno dell’ontologia trinitaria – in quanto è questa “terza forma” ad impedire, per la Teosofia, qualsiasi possibilità di ricadere in un sistema razionalistico o idealista –, da un lato, ma anche per l’importanza di questa impostazione ontologica per la teologia, l’ “ontologia trinitaria” di Rosmini è stata anche definita “metafisica della carità” (cfr. G. Lorizio, Ricerca della verità e “metafisica della carità” nel pensiero di Antonio Rosmini, in: Rassegna di Teologia 36 [1995] 527-552; P. Coda, La trinità delle persone come attuazione agapica dell’essere uno. Il contributo di A. Rosmini per un rinnovamento della teo-onto-logia trinitaria, in: Lateranum 62 [1996] 295-317). 3 Rosmini intende la “filosofia cristiana non già una filosofia mescolata coi misteri della religione, ma una filosofia sana, dalla quale non possano che venire conseguenze favorevoli alla religione, e nello stesso tempo una filosofia solida, che somministri le armi valide a combattere le false e temerarie filosofie, e metta i fondamenti di una teologia piena e soddisfacente” (Lettera a G. B. Loewenbruck del 17.03.1829, in: Epistolario completo di Antonio Rosmini Serbati prete roveretano, 13 voll., Casale Monferrato 1887-1894, III, p. 53). Secondo l’idea hegeliana di “filosofia cristiana” la fede è “risposta” solo in quanto forma di “sapere immediato”. 4 Cfr. A. Rosmini, Nuovo Saggio sull’origine delle idee, 3 voll., a c. di G. Messina (Ediz. crit., voll. 3-5), Roma 2003-2005 (d’ora in poi: NS), 331, 1133 nota; id., Il Rinnovamento della filosofia in Italia, 2 voll., a c. di G. Messina (Ediz. crit., voll. 6-7), Roma 2007-2008 (d’ora in poi: Rinnov), 354s.. 1 propria epistemologia. Così come Hegel aveva preparato la fondazione epistemologica della scienza con la Phänomenologie des Geistes, Rosmini trovava nel suo tentativo parallelo il punto di partenza necessario nel Nuovo Saggio5. Nella Teosofia egli realizza poi un progetto che, per il suo fine epistemologico, è paragonabile allo scopo della Wissenschaft der Logik cioè quello di sviluppare il fondamento metafisico: questo allora il motivo per cui Rosmini e Hegel, sin dai loro primi scritti sistematici, si rivolsero contro la soggettività kantiana6. Mentre Hegel elabora però un’epistemologia formalmente chiusa, Rosmini riesce a concepire un “sistema aperto”, epistemologicamente “non-chiuso”. Evidentemente, con questo progetto egli supera i confini dell’epistemologia moderna ed è perciò in grado di fornire ancora oggi degli stimoli positivi nella ricerca di una “nuova epistemologia” che permetta una Letztbegründung senza essere costretti a rimanere entro i limiti tradizionali dell’ “elenchos”. Lungi dall’intenzione solita di limitarsi all’analisi delle critiche immediate che Rosmini, nella Teosofia, rivolge al pensiero hegeliano e che certamente non mancano di accenti forti e aspri7, questo studio vuole essere un contributo ad un nuovo paradigma di interpretazione che ora, dopo la beatificazione, sembra essere possibile. In un’altra occasione, questo metodo è stato definito la “quarta fase” degli studi rosminiani8. È possibile suddividere la Wirkungsgeschichte del pensiero rosminiano, dall’epoca di Rosmini fino ai nostri giorni, approssimativamente in tre fasi. Nella “prima fase”, durante la vita di Rosmini, questi partecipò vivamente ai dibattiti filosofici del Risorgimento, nei quali i massimi rappresentanti del pensiero di allora si interessarono del suo approccio gnoseologico e della sua ricezione di Kant nel Nuovo Saggio. Sia in quanto filosofo che in quanto teologo egli fu riconosciuto pienamente come pensatore “moderno” – cosa che gli costò non solo l’accusa di psicologismo e soggettivismo (Gioberti, Mamiani) ma anche una reazione polemica da parte dei teologi dell’epoca (Dmowski, Sordi). Anche dopo la sua morte, che segna l’inizio della “seconda fase”, il pensiero di Rosmini fu interpretato prevalentemente in chiave “moderna” dai pensatori del neoidealismo italiano, che 5 Cfr. G. W. F. Hegel, Scienza della logica, 2 voll. a c. di C. Cesa, Roma-Bari 20048, 30s., 53; A. Rosmini, Teosofia, 6 voll., a c. di P. P. Ottonello e M. A. Raschini (Ediz. Crit., voll. 12-17), Roma 1998-2002 (d’ora in poi: T), 16s., 22, 79, 105. 6 Cfr., per quanto riguarda Hegel, V. Mancuso, Hegel: la salvezza trinitaria della storia, in: P. Coda / A. Tapken (edd.), La Trinità e il pensare. Figure – percorsi – prospettive, Roma 1997, 21-43, qui 24s., 31s.; per Rosmini cfr. M. Krienke, Soggetto ed esistenza. Alcune riflessioni sulla modernità del pensiero di Antonio Rosmini, in: Studia Patavina 53 (2006) 141-157. 7 Cfr. C. M. Fenu, Le fonti idealistiche del pensiero rosminiano, in: Rivista Rosminiana di filosofia e di cultura 91 (1997) 571-634; P. P. Ottonello, Kant und der deutsche Idealismo in der Teosofia und im Saggio storico critico sulle categorie Rosminis, in: M. Krienke (ed.), Rosmini und die deutsche Philosophie – Rosmini e la filosofia tedesca (Philosophische Schriften, vol. 71), Berlin 2007, 197-208; M. Krienke, Denken und Sein. Zur Hegelkritik Antonio Rosminis, in: Theologie und Philosophie 80 (2005) 56-74. 8 Cfr. per questa sistematica M. Krienke, Rosmini und die deutsche Philosophie. Stand der Forschung und Perspektiven, in: id. (ed.), Rosmini und die deutsche Philosophie, 15-76. Cfr. questo saggio anche per le considerazioni seguenti. 2 strumentalizzavano gli elementi kantiani del Nuovo Saggio per la loro costruzione di un neoidealismo italiano (Spaventa, Fiorentino, Gentile)9. Così essi consideravano Rosmini un riferimento storico nello sviluppo del loro pensiero ma proprio perciò lo ritenevano superato in esso. Riducendo in tal modo il pensiero di Rosmini ad una somma di idealismo, romanticismo e liberalismo – e attribuendo ovviamente consistenza teoretica a questa interpretazione patchwork –10, anche la Teosofia rosminiana fu interpretata in tale chiave immanentistica (Jaja). Così il pensiero rosminiano fu privato del suo originale apporto culturale: l’introduzione dell’aspetto della trascendenza nel discorso filosofico moderno. A tale fine Rosmini recepiva il pensiero della tradizione cristiana sia nella sua versione patristica (Agostino) che in quella scolastica (Tommaso). Dal punto di vista della prospettiva neoidealista, questo fondamentobase del suo pensiero fu giudicato come il resto di un oggettivismo dovuto all’ “incommodo freno della sua educazione strettamente religiosa”11, da superare nella “vera” intenzione idealista di Rosmini12. Nonostante questo grave riduzionismo, il neoidealismo ha senz’altro il merito di aver assegnato a Rosmini un posto importante nella storigrafia filosofica dell’Ottocento. D’altro canto però, proprio per l’aver consolidato nella storiografia un tal fraintendimento clamoroso, questa interpretazione potentissima ha estraniato alla filosofia moderna l’apporto originale di Rosmini. L’intenzione di “modernizzare” Rosmini attraverso l’interpretazione idealista finì, quindi, con un Rosmini “pre-moderno”, causando il primo grande ostacolo nella sua Wirkungsgeschichte. La “seconda fase”, poi, è segnata dalla famosa data del 1888, quando la condanna delle “quaranta proposizioni” sancì l’estromissione del pensiero di Rosmini anche dall’ambito ecclesiale e teologico, quindi proprio dall’unico contesto in cui vi erano i mezzi teoretici per valorizzare l’apporto rosminiano dell’istanza del trascendente nel pensiero moderno. Rosmini aveva riscoperto la grande eredità filosofico-teologica medievale, anticipando la teologia della seconda metà dell’Ottocento. Contrariamente a questa chance, il neotomismo mirava, in una singolare consonanza con le tesi del neoidealismo, alla condanna del pensiero rosminiano proprio in quanto ritenuto profondamente “compromesso” con le idee filosofiche della modernità che, 9 Unica eccezione Jaja, che sostituì, all’interno della ricezione neoidealista, l’interpretazione di Rosmini “Kant italiano” con il confronto con Hegel nella Teosofia. 10 “Rosminianismo significa risorgimento dello spirito italiano, e quindi restaurazione del sentimento religioso: idealismo in filosofia, romanticismo in letteratura, liberalismo in politica: quanto insomma di più vivo e fecondo agitò la coscienza italiana dal 1815 al ‘60” (G. Gentile, Albori della Nuova Italia. Varietà e documenti [Opere complete, voll. 20-21], Firenze 19692, II, 22). 11 F. Fiorentino, La filosofia contemporanea in Italia, Napoli 1876, 6. 12 Per la discussione sul “vero Rosmini” cfr. P. De Lucia, Essere e soggetto. Rosmini e la fondazione dell’antropologia ontologica (Biblioteca di filosofia, vol. 4), Pavia 1999, 17-29. 3 dal punto di vista teologico, erano da condannare in quanto “ontologismo” e “panteismo”13. Alcuni decenni prima di Gentile, in sintonia con l’interpretazione di Spaventa e Jaja, ma rovesciandone il segno e l’intenzione, la Civiltà Cattolica sintetizzava: “il Rosminianismo è Liberalismo in politica, Giansenismo in morale, Panteismo in filosofia”14. Riguardo alla Wirkungsgeschichte del grande progetto epistemologico del Roveretano, questa condanna sanciva, per così dire, un limite “esteriore”, “complementare” a quello rappresentato dall’interpretazione del neoidealismo: mentre quest’ultimo potrebbe essere specificato come un “limite interiore” in quanto impediva una reale comunicazione del pensiero rosminiano con l’ambiente culturale moderno – ridotto razionalisticamente, un tale “vero Rosmini” non aveva niente da dire alla cultura moderna –, il primo si può definire “esteriore” in quanto come “atto magisteriale” impediva l’insegnamento e la ricerca sul pensiero rosminiano all’interno della Chiesa e della Teologia tout court. La “seconda fase” è quindi caratterizzata dall’istaurazione di un “duplice limite” – risultato dell’ ‘alleanza’, certamente inintenzionale, tra neoidealismo e neotomismo15. Con l’opera epocale di Michele Federico Sciacca del 1937/38, La filosofia morale di Antonio Rosmini, e con il venir meno dell’influsso del neoidealismo italiano negli anni ’30 e ’40 del XX secolo ebbe inizio la terza fase che fu costretta ad accettare questi limiti, ma, fin da subito cercò di forzarli e di rompere il paradigma “neoidealistico-neoscolastico”. In questo senso si sottolineò l’orientamento piuttosto tradizionale e classico – tomistico ed agostiniano –, comunque la non-modernità di Rosmini. Se Rosmini, nella “terza fase”, poteva mai essere identificato con un “idealismo”, esso era quello della tradizione platonica e perciò un “idealismo oggettivo”16. Per enucleare questo “altro Rosmini”, la “terza fase” portava alla luce una serie di studi preziosissimi sui testi rosminiani, una vera esegesi rosminiana, proponendo tra l’altro due Edizioni Nazionali delle sue opera. Sugli studi di questa “terza fase” si basa la ricerca rosminiana di oggi e loro è stato il merito di aver strappato, in un primo momento e più indirettamente, Rosmini alla predominante interpretazione idealistica. Un secondo merito, e forse 13 Cfr. DH 3201-3241; cfr. L. M. Billia, Quaranta proposizioni attribuite ad Antonio Rosmini coi testi originali completi dell’autore e con altri dello stesso che ne compiono il senso, Milano 1889; L. Malusa, L’ultima fase della questione rosminiana e il decreto “Post obitum” (Biblioteca di studi rosminiani, vol. 9), Stresa 1989. 14 De Lucchi pubblicava questa asserzione con lo pseudonimo di Clama, insieme ad altre prese di posizione antirosminiane, nel Foglietto Religioso nel 1881. L’originale, non reperibile, è citato in: G. Mantese, La cultura religiosa e gli studi teologici a Vicenza negli anni dell’unificazione italiana, in: AA. VV., Chiesa e Stato nell’Ottocento, 2 voll. (Italia Sacra, voll. 3-4), Padova 1962, II, 391–418, qui 406. 15 “La principale deformazione e mutilazione storica della figura e dell’opera di Rosmini dipende in modo sostanziale dalla chiave risorgimentalista nella quale è stato assunto, laicisticamente, da Spaventa a Gentile. L’altra grande deformazione e mutilazione è dipesa dal prevalere storico, attraverso la politica curiale, dell’opposto polo clericalista sulla continuità rinnovatrice della tradizione cristiana” (P. P. Ottonello, Rosmini. L’ideale e il reale, Venezia 1998, 24). 16 Cfr. M. F. Sciacca, L’interiorità oggettiva, Milano 19675, 19, 61-72. 4 quello principale e più importante, fu quello di aver raggiunto, nel 2001, la riabilitazione di Rosmini ed ora, nel 2007, la sua beatificazione: con questi due atti ecclesiastici, è stato superato a tutti gli effetti il “limite esteriore” della condanna. Come si è detto, il “limite interiore” andava già perdendosi con il declino dell’idealismo nel XX secolo. Anche se quindi questi “limiti” possono essere ormai, dopo la “terza fase”, considerati superati, i loro effetti continuano ad sentirsi nella cultura di oggi in quanto Rosmini risulta emarginato sia dalla cultura filosofica che da quella teologica. La “caduta” del “limite esteriore” segna però l’inizio della quarta fase: per la prima volta, la ricera rosminiana si trova libera dai limiti “interiore” ed “esteriore”. In questa nuova libertà sta la storica occasione di ripresentare, senza i vincoli della cauta attenzione verso i limiti accennati, la rilevanza e la fecondità del pensiero rosminiano per la discussione filosofica di oggi. A livello della metodica e dell’impostazione della ricerca rosminiana, questo cambiamento dovrebbe incentivare delle conseguenze almeno dello stesso calibro di quelli che hanno accompagnato i precedenti passaggi di “fase”. Tutte e tre le precedenti fasi avevano in comune senza eccezione – bensì con risultati molto divergenti – il criterio principale per la determinazione del “valore effettivo” del pensiero di Rosmini e cioè la determinazione del rapporto del pensiero rosminiano con Kant ed Hegel. Liberato dai suddetti vincoli o limiti, è proprio questo programma che si rivela indispensabile per la rivalutazione del pensiero di Rosmini anche oggi e perciò del suo apporto alla discussione attuale. Questa rivalutazione deve essere svolta nella piena coscienza che “[s]i possono attualmente considerare ormai superati i motivi di preoccupazione e di difficoltà dottrinali e prudenziali, che hanno determinato la […] condanna”, ma anche che la condanna si ribadisse verso una lettura delle quaranta proposizioni “al di fuori del contesto di pensiero rosminiano, in un’ottica idealista, ontologista e con un significato contrario alla fede e alla dottrina cattolica”17. Sono da evitare, così intima il Decreto nell’interesse della ricerca rosminiana stessa, delle interpretazioni che significherebbero nient’altro che una ricaduta nelle polemiche delle fasi antecedenti. Sulla base di queste considerazioni preliminari si rivela come un desiderato della ricerca rosminiana innanzitutto enucleare l’impostazione epistemologica della Teosofia, cioè leggerla come un contributo originale alla discussione attuale di una nuova epistemologia metafisica, discussione che da parte della filosofia cristiana viene svolta nei termini dell’ “ontologia trinitaria”. Un tale progetto di ricerca sarebbe senza dubbi un’originale espressione degli studi della “quarta fase”, in quanto proprio il discorso fondativo, dopo il superamento dei sospetti neoidealistici e neoscolastici, riemerge come campo d’indagine. 17 Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota sul valore dei Decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del Rev.do sac. Antonio Rosmini Serbati, nº 7. 5 Invece di delineare i momenti concreti dell’ontologia trinitaria proposta da Rosmini18, questo studio è interessato piuttosto alla sua fondazione epistemologica e cioè alla questione della possibilità della metafisica nella modernità. Dato che il confronto con Hegel risulta centrale per la comprensione della Teosofia e le sue implicanze epistemologiche, il nostro discorso svolgerà contemporaneamente alcune intuizioni fondamentali della “quarta fase”. Si sottolineranno, nel secondo capitolo, alcuni aspetti caratteristici che le due opere monumentali della filosofia dell’Ottocento, la Teosofia di Rosmini e la Wissenschaft der Logik di Hegel, hanno in comune. Poi, nel terzo capitolo, si analizzerà il brano centrale della Teosofia per il discorso epistemologico-fondativo di un’ “ontologia trinitaria” come si delinea nel confronto di Rosmini con Hegel. 2. Rosmini ed Hegel 2.1 Modernità e Tarda modernità (Spätmoderne) L’intenzione della Teosofia può essere circoscritta con un termine coniato dalla sociologia ma che si rivela adatto per la descrizione del suo metodo, cioè l’ “ermeneutica del recupero”19. Il termine fa parte del progetto della Spätmoderne (tarda modernità), cioè di uscire dall’impasse causata dal “progetto della modernità” con il suo concetto di ragione astratta, razionalistica. Anche a livello sociale questo modello epistemologico ha causato dei danni irreparabili per tutti gli aspetti che ormai si riassumono sotto la denominazione dell’ “altro della ragione” – quali sono l’ambiente, la fiducia sociale, la solidarietà, i rapporti interpersonali ossia, in senso generale, il “capitale umano”. A livello filosofico, a sua volta, la Spätmoderne si esprime nella crisi della “ragione moderna”. Invece di accusare la ragione moderna e di attribuirle la responsabilità per questi esiti (questo il progetto di Horkheimer e Adorno), invece di superarla decostruendola (questa l’idea post-moderna), e invece di tornare ad una ragione pre-moderna (e cioè di recuperare acriticamente [!] l’ontologia medievale), il progetto della Spätmoderne intende essere una riflessione sui fondamenti della ragione moderna stessa – che sono basilari per il nostro sapere epistemologico –, cioè ridarle un aspetto che essa stessa, all’inizio della modernità, ha tralasciato: quello della auto-riflessività20 ossia auto-criticità. Questo si esprime 18 Cfr. ad es. M. Krienke / N. Salato, A proposito di ontologia trinitaria. Il contributo di Antonio Rosmini Serbati ed Edith Stein. Per una fondazione in chiave teosofica e fenomenologia della filosofia cristiana, in: Rassegna di Teologia 49 (2008) [in corso di pubblicazione]. 19 Questo concetto viene utilizzato contro i “maestri […] del sospetto” in quanto, a differenza loro, “non continuerà a spazzare via incessantemente ogni fondamento, ma tenterà invece di rivelare le fondamenta ontologiche” (S. Lash, La riflessività e i suoi doppi: struttura, estetica, comunità, in: U. Beck / A. Giddens / S. Lash, Modernizzazione riflessiva. Politica, tradizione ed estetica nell’ordine sociale della modernità, tr. it. L. Pelaschiar, Trieste 1999, 161-227, qui 203). 20 Per questo suo caratteristico, la Spätmoderne viene anche chiamata “modernità riflessiva” (cfr. Lash, La riflessività e i suoi doppi). 6 innanzitutto nel concetto hegeliano della “negazione determinata”21, ma anche nella “virtuosa” circolarità ontologico-ermeneutica in Rosmini22. Come emerge da questi concetti metafisici di Hegel e Rosmini, una tale strategia spätmoderna può aiutare a recuperare e valorizzare innanzitutto quei mezzi teoretici che ogni epoca propone a modo suo e di trovare in essi la chance per una reinterpretazione attualizzante della tradizione metafisica. Di più, è anche un’occasione, cioè di riscoprire, con uno sguardo nuovo sulla tradizione, degli aspetti e delle ricchezze inattese. Questa è la prospettiva che scopriamo – anche – nell’interpretazione rosminiana di Hegel23. Rimane sempre vero che in tutti i casi in cui Rosmini sente la necessità di un giudizio chiaro ed esplicito, egli non lascia dei dubbi sulle conseguenze perniciose (cioè nichilistiche24) che questo pensiero ha per la teologia, per la metafisica e per la fede. Nello spirito spät-moderno, che sotto questo aspetto si rivela “rosminiano”, ci interesseremo degli aspetti costruttivi e positivi. 2.2 Rosmini e Hegel nei rapporti con Kant Tante intuizioni comuni fra Rosmini e Hegel si spiegano a partire della loro rispettiva reazione al pensiero kantiano. Epistemologicamente, entrambi rivolgono una centrale attenzione sul tentativo kantiano di una ri-fondazione della metafisica contro il dubbio scettico evitando, allo stesso momento, la ricaduta in un dogmatismo razionalistico. Siccome sia Rosmini che Hegel mirano ad una rifondazione dell’oggettività del conoscere e del sapere umano “dopo” Kant, essi analizzano attentamente l’approccio kantiano arrivando alla conclusione che il dualismo gneoseologico del criticismo kantiano non è epistemologicamente in grado di superare il suo fondamentale soggettivismo25. Su questa base, perciò, Kant non sarebbe in grado di ripristinare la “scienza” contro l’argomento scettico. Così, non solo per Rosmini Kant rappresenta uno “scetticismo perfezionato, consumato sotto il novo nome di criticismo”26 – anche Hegel critica il fatto che Kant, in ultima analisi, non riuscirebbe a superare definitivamente lo scetticismo. Mentre, però, per Rosmini questo fatto dipende da una soggettivizzazione esagerata del 21 Cfr. Scienza della logica, 36s. Cfr. T 91-96. 23 Al di là delle prese di distanza nette e inequivocabili che non abbiamo l’intenzione di sottacere e di mettere da parte. 24 Cfr. NS 1419; Psicologia, 4 voll., a c. di V. Sala (Ediz. crit., 9-10A), Roma 1988, 170; Degli studi dell’autore, in: id., Introduzione alla filosofia, a c. di P. P. Ottonello (Ediz. crit., 2), Roma 1979, pp. 11-194 (d’ora in poi: IF, DSA), 63; Logica, a c. di V. Sala (Ediz. crit., 8), Roma 1984 (d’ora in poi: L), 1092-1098; T 1837. 25 Scienza della logica, 32s. 26 NS 330; cfr. A. Rosmini, Preliminare alle Opere Ideologiche, in: NS, p. 61-87 (d’ora in poi: NS, Prel.), 2. 22 7 fondamento epistemologico27, Hegel ritiene che Kant si sarebbe fermato troppo presto e giudica l’elemento scettico in Kant come un valido punto di partenza28. Questo “scetticismo a metà” sembra ad entrambi, Hegel e Rosmini, come “dogmatico” in quanto rivelano un momento irriflesso della Kritik der reinen Vernunft stessa29. Hegel nota, nel pensiero kantiano, ancora quel “dommatismo dell’Aufklärerey”30 e Rosmini interpreta il punto di partenza dello stesso come “assai dogmatic[o]”31. Molto prima dell’accusa di dogmatismo, rivolta da von Hartmann a Kant32, già per Rosmini ed Hegel Kant risulta in alcuni presupposti fondamentali troppo poco critico, in quanto manca di criticità appunto riguardo ai fondamenti del proprio sistema – particolarmente ai “noumeni” –, egli non riuscirebbe a superare effettivamente lo scetticismo33. Quel che importa per questa brevissima analisi sui rilievi comuni che Rosmini ed Hegel rivolgono a Kant (soggettivismo e scetticismo) è la loro comune intenzione, per quanto riguarda l’aspetto epistemologico, riguadagnare l’oggettività “dopo” Kant. Solo che le strade intraprese da entrambi sono diverse: mentre per il primo si tratta di rifondare questo discorso ontologicamente e di aprire il concetto di ragione kantiano all’ “altro” da se stessa, il secondo intende perfezionare il progetto incominciato dallo stesso Kant, e quindi derivare la metafisica dalla logica portando così a compimento la soggettivizzazione della ragione34. Partendo dal con- 27 Cfr. NS 1386. Cfr. G. W. F. Hegel, Fede e sapere, in: id., Primi scritti critici, a c. di R. Bodei, Milano 1971, 121-261, qui 144s., 148; cfr. id., Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, parte IV: Philosophie des Mittelalters und der neueren Zeit, a c. di P. Garniron e W. Jaeschke (Vorlesungen, vol. 9), Hamburg 1986, 176. 29 “L’intelletto discorsivo […] viene considerato come in sé e assoluto, e dommaticamente la conoscenza dei fenomeni viene considerata come l’unica forma di conoscenza e viene negata la conoscenza razionale”. Di questo, così Hegel, “Kant non sembra aver mai minimamente dubitato” (Fede e sapere, 147). Per Rosmini, Kant si sarebbe basato sul pregiudizio di “non uscire mai quella filosofia interamente dal soggetto, e di ammettere per cosa certa, e non bisognevole di prova, che il sapere sia una produzione o modificazione del soggetto pensante”, segnalando così il carattere “dogmatico” dell’inizio kantiano (Rinnov 352). Mentre Rosmini identifica proprio in questo pregiudizio il fondamento dell’idealismo tedesco, Hegel porta avanti, in questo stesso punto sistematico, lo “spirito” del pensiero kantiano: “La filosofia kantiana aveva bisogno che il suo spirito venisse separato dalla lettera ed il puro principio speculativo estratto da tutto quanto ancora apparteneva alla riflessione raziocinante o poteva venire utilizzato per essa. Nel principio della deduzione delle categorie questa filosofia è autentico idealismo” (G. W. F. Hegel, Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, in: id., Primi scritti critici, 1-120, qui 3). 30 Fede e sapere, 127. 31 NS 302 nota 91. 32 Cfr., in forma “classica”, E. v. Hartmann, Geschichte der Metaphysik, 2 voll., Leipzig 1899-1900 (rist. Darmstadt 1969), II, 19s. 33 Cfr. NS 330. 34 Scienza della logica, 45-47, 56s. Il fatto che Kant non ha elaborato una metafisica come “sistema della ragion pura” (KrV B 25-28), oltre alla “Logica trascendentale”, ha condotto già i primi suoi interpreti alla conclusione che sarebbe quindi la “Logica trascendentale” a realizzare questo progetto. “Secondo la mia concezione del logico, il metafisico cade peraltro interamente al suo interno. Posso citare a tal proposito Kant come precursore e autorità. La sua Critica riduce ciò che fino allora era stato considerato come il metafisico a un punto di vista dell’intelletto e della ragione” (G. W. F. Hegel, Sull’insegnamento della filosofia nel ginnasio, in: id., La scuola. Discorsi e relazioni Norimberga 1808-1816, a c. di A. Burgio e L. Sichirollo, Roma 1993, 99-112, qui 104). 28 8 fronto con tale progetto kantiano di legittimare la metafisica in chiave “logica”35, Rosmini ed Hegel cercano di riformare la logica – entrambi ovviamente dall’orizzonte dei loro rispettivi approcci e quindi o ri-fondando la logica sulla metafisica, nel caso di Rosmini, o portando all’estremo la tendenza di trattare la metafisica come logica, in Hegel. Entrambi i tentativi sentono comunque, dopo lo studio del criticismo kantiano, l’esigenza di riportare il discorso metafisico moderno alla domanda epistemologica sul fondamento ossia sul principio, in modo da evitare allo stesso momento la soluzione “facile” del dogmatismo e quella “insidiosa” dello scetticismo: “Chi trascura di considerare l’elemento soggettivo, renderà l’uomo baldanzoso e pieno di pretensioni, che non gli si convengono; come certe classi di dogmatici fanno. Chi trascura per opposto l’elemento oggettivo, avvilirà l’uomo, e lo spoglierà del suo vero e reale sapere; siccome fecero gli scettici critici. La ricerca dunque che noi qui facciamo, è di somma rilevanza per evitare questi due scogli della filosofia”36. 2.3 Contro lo scetticismo La presa di posizione contro lo scetticismo assume nella filosofia moderna un’importanza particolare dato che la modernità – in contrapposizione al medioevo che fu caratterizzato dalla non-tolleranza verso lo scetticismo – si costituisce sul riconoscimento del diritto proprio dello scetticismo, ben circoscritto e definitoriamente limitato, nella ricerca filosofica. Rosmini ed Hegel, pensatori moderni, concordano nel ritenere che una filosofia che si vuole costituire nella modernità come “scienza” e come “sistema” deve fare i conti con lo scetticismo, ma sotto la condizione – e in questo punto entrambi si rivelano “critici” della modernità – di evitare proprio attraverso un discorso “di principio” o “fondativo” che questo possa mettere in crisi l’edificio metafisico. Da Cartesio a Kant, così la loro critica unanime, il pensiero non ci sia riuscito. Rosmini ne vede la ragione nel fatto che il “dubbio” cartesiano che sfocia nella scissione tra essere e pensare abbia realizzato l’intenzione principale dello scetticismo stesso; evitando questa conseguenza, Rosmini cerca comunque di salvare il metodo cartesiano sostituendo il “dubbio metodico” con l’ “ignoranza metodica”37. La stessa strategia della “metodologizzazione” del progetto cartesiano aveva adoperato senz’altro già Kant argomentando con il “metodo scettico” contro lo stesso “scetticismo”38. Mentre, per Rosmini, questo metodo si 35 L 39. NS 1225 nota 155. 37 NS 1478s.; L 1093; T 24. 38 KrV B 451. Mentre il primo è il “metodo di assistere a un conflitto di asserzioni o addirittura di provocarlo, non per decidere infine a vantaggio dell’una o dell’altra parte, ma per ricercare se l’oggetto del conflitto non sia forse una mera illusione”, lo scetticismo si radica, per Kant, in un’ “ignoranza costruita ad arte e scientificamente, che mina dalle fondamenta ogni conoscenza, al fine di non lasciar sussistere da nessuna parte, se possibile, alcuna affidabilità e sicurezza nella conoscenza” (ibid.). 36 9 esprime come un “non sapere ancora” e quindi come un metodo epistemologico-fondativo, per Kant, invece, esso significa un’impossibilità di principio di afferrare epistemologicamente un fondamento ultimo. Hegel, come Rosmini, cercava di superare lo scetticismo intrinseco al principio kantiano, radicalizzando la “metodologizzazione” kantiana e quindi partendo proprio dallo scetticismo, inglobandolo al principio del suo sistema39 per poi superarlo, conservandolo ed elevandolo fino a poter chiamare la strategia della Phänomenologie des Geistes lo “scetticismo che viene maturandosi”40. Rosmini ed Hegel convergono quindi nell’intenzione di superare lo scetticismo, che ha accompagnato lo sviluppo della filosofia moderna sin dall’inizio, attraverso il metodo fondativo. Proprio nell’argomento contro lo scetticismo, la opposizione diametrale nella tipologia di questo discorso fondativo diventa palese: mentre per Hegel la filosofia in quanto “scienza” è il superamento definitivo di uno scetticismo iniziale che invece non è “ancora” scienza – definitivo nel senso che fu aufgehoben, dopo non ha più ragione d’esistenza –, per Rosmini lo scetticismo è un fenomeno di decadenza: esso non sta all’inizio dei grandi sistemi dell’antichità, del medioevo e della modernità, bensì “comparisce sempre al mondo dopo la Filosofia, quando questa si va perdendo e corrompendo”41, appunto nel momento in cui un’esagerata fiducia nelle capacità della ragione fa perdere all’uomo il senso dei suoi limiti e della verità al di là di essa42. Inoltre, una perlustrazione più dettagliata del confronto di Rosmini con lo scetticismo può rilevare il sorprendente fatto che egli riconosca un tale pericolo addirittura nel pensiero di quel filosofo che per la vigente storiografia filosofica ha elaborato una delle armi più forti contro lo scetticismo: Aristotele43. La ragione per il suo giudizio critico su Aristotele, come viene evidenziato nel prossimo paragrafo, sta nel suo realismo che Rosmini – e qui la sua interpretazione varia nei diversi momenti del suo percorso intellettuale – a volte giudica esagerato o almeno responsabile per lo sviluppo di un realismo esuberante44. Interpretato così, un 39 Hegel è in cerca di una filosofia “che non è né scetticismo né dogmatismo, e che è quindi entrambi allo stesso momento” (G. W. F. Hegel, Verhältnis des Skepticismus zur Philosophie, Darstellung seiner verschiedenen Modificationen, und Vergleichung des neuesten mit dem alten, in: id., Jenaer kritische Schriften, a c. di H. Buchner e O. Pöggeler [Gesammelte Werke, vol. 4], Hamburg 1968, 197-238, qui 206). 40 G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tr. it. V. Cicero, Milano 2000, 154s. 41 T 24. 42 Cfr. IF, DSA 32. 43 “Aristotele vuole che l’intelletto dia la propria forma a ciò che percepisce: questo, rimossa dall’intelletto ogni idea innata, è il fondamento dello scetticismo moderno. […] Facil cosa è vedere in tale dottrina la traccia del kantismo” (NS 254 e titolo; cfr. 255). 44 Cfr. la coincidenza della critica rosminiana con il giudizio di Hegel nella Scienza della logica, ad es. 212s. 10 tale realismo, per quanto opposto allo scetticismo berkeleyano moderno, si colloca, dal punto di vista dell’analisi spät-moderna, sullo stesso piano45. Dopo aver individuato questa duplice fronte dell’argomento anti-scettico della Teosofia, un’analisi più dettagliata di quest’opera porta alla luce che Rosmini, nel momento in cui radicalizza l’idea dell’essere quale principio di certezza del Nuovo Saggio nell’essere iniziale dialettico – appunto non fondandola direttamente nell’essere di Dio –, è mosso da un’esigenza legittima dello scetticismo, quella di non ricadere in un dogmatismo premoderno e di non sfociare nell’ontologismo o nel panteismo. Rosmini, insomma, anche nella Teosofia rimane fedele al suo programma metodico espresso nel Rinnovamento: di inverare la metafisica tradizionale nel discorso della modernità attraverso il metodo della filosofia moderna46. Bisogna considerare il fatto che dietro questa affermazione non sta un progetto “tranquillo”, una semplice “inversione” argomentativa, dato che l’esigenza epistemologica derivante dal pericolo dello scetticismo della filosofia moderna mette in questione proprio la struttura portante dell’argomento classico. Pertanto, in quest’affermazione si può scorgere a tutti gli effetti un “cambiamento paradigmatico”, nel senso di Thomas Kuhn, rispetto al pensiero medievale. 2.4 Antinomia e contraddizione La classica figura argomentativa contro il dubbio scettico era, sin dall’antichità, l’ “elenchos” che consisteva nella dimostrazione dell’autocontraddizione performativa dello scettico nel momento in cui egli pecca contro il principio di non contraddizione47. Nel classico contesto ontologico, la metafisica si basa sulla dimostrazione della contraddittorietà della negazione della capacità conoscitiva di relazionarsi alla realtà in quanto tale (quaestio facti). Dopo la scissione tra res cogitans e res extensae questo metodo viene sostituito dalla ricerca del “fundamentum inconcussum” che rappresenta allo stesso momento un altro livello sistematico di risposta al dubbio scettico: mentre nel contesto dell’ontologia classica bastava far rilevare la fatticità della conoscenza, lo sforzo filosofico nella modernità è indirizzato a trovare il fondamento sul quale poter affermare legittimamente la possibilità del sapere epistemologico. Il discorso fondativo moderno riguarda quindi la quaestio iuris della possibilità di ogni scienza. Non si tratta più della fatticità dell’adaequatio rei ed intellectus ma della legittimità 45 Per Rosmini queste costituiscono soluzioni “contrarie” cioè non vere alternative l’una rispetto all’altra perché basate sullo stesso fondamento teoretico. Può essere vista proprio come una Denkform rosminiana l’interpretare i diversi sistemi filosofici della modernità come modelli “contrari” l’uno all’altro di fronte a cui trovare l’alternativa “contraddittoria”. Rosmini, riassumendo la problematica delle alternative “contrarie”, la risolve su un piano speculativo diverso, proponendo quindi una soluzione “contraddittoria” ad esse (per questa sistematica cfr. A. Rosmini, Il razionalismo teologico, a c. di G. Lorizio [Ediz. crit., vol. 43], Roma 1992, 38, 49; questo schema logico sta già alla base dell’argomentazione di NS 331). 46 Rinnov 472. 47 Cfr. Aristotele, Metafisica, IV, 3, 1005 b 19s., 24-31; IV, 6, 1011 b 15-20. 11 dei contenuti metafisici48: perciò l’argomento scettico, da Kant in poi, non si presenta più nella forma logica contraddittoria bensì attraverso le “antinomie”. Accettando questo fondamento dello speculare moderno, Rosmini ed Hegel si rivolgono però unanimamente contro l’incombente soggettivismo di questo approccio: “Verità è l’accordo del pensiero coll’oggetto; e affin di produrre quest’accordo (poiché esso non sussiste in sé e per sé) bisogna allora che il pensiero si adatti e si acconci all’oggetto”49. Per quanto riguarda la classica “metaphysica specialis”, l’approccio “dogmatico”, davanti al “tribunale” della ragione critica, appunto per la sua esclusione dell’elemento soggettivo, si trovava sott’accusa. Così, il risultato della rifondazione della “metafisica generalis” nella Kritik der reinen Vernunft è che la ragione qualora essa, con i suoi concetti e principi trascendentali, supera i limiti “legittimi” del suo conoscere applicandoli o alle “cose in sé” o agli oggetti della “metaphysica specialis”, si espone necessariamente, per una “naturale e inevitabile dialettica della ragion pura”, alla “parvenza dialettica”50, che si esprime attraverso i “paralogismi” e le “antinomie” della ragion pura. Mentre i primi rivelano che il concetto dell’anima umana è una “naturale e inevitabile illusione”, le ultime distruggono la classica cosmologia, basata sull’idea del “mondo” per poi attaccare, infine, le classiche prove di Dio. Per Hegel, il merito di Kant era di aver mostrato non l’arbitrarietà “scettica” della dialettica ma di averla presentata come “un’opera necessaria della ragione”51 anche se poi la sua elaborazione attraverso le antinomie “non merita[] per vero dire gran lode”52. Hegel non si addentra nell’intrinseca sistematica della dottrina kantiana delle antinomie che si potrebbe riassumere in quanto segue: mentre nelle antinomie matematiche è possibile evitare la parvenza dialettica qualora esse vengono modificate passando da un’impostazione ontologica ad una epistemologica, questa traduzione nel caso delle antinomie fisiche non è possibile. In quest’ultimo caso, Kant non deve nemmeno provare la falsità delle rispettive alternative di ciascuna delle due antinomie, ma gli basta l’argomentazione indiretta per negare a queste il loro “diritto” di essere entro la nuova metafisica53. Hegel sottolinea però il momento decisivo e comune di entrambi i tipi di antinomie per la questione epistemologico-fondativa: “la nota affermazione che la ragione è incapace di conoscer l’infinito; – resultato singolare, questo, poiché l’infinito 48 Ci si chiede “in che modo […] le condizioni soggettive del pensiero debbano avere una validità oggettiva, vale a dire in che modo esse ci forniscano le condizioni di possibilità di ogni conoscenza degli oggetti” (KrV B 122; cfr. B 116). 49 Scienza della logica, 25; cfr. L 47; NS 1112-1124. 50 KrV B 349-355. 51 Scienza della logica, 38, 945. 52 Scienza della logica, 38. 53 KrV B 472-489. 12 è il razionale, di dir che la ragione non è capace di conoscere il razionale”54 – questo il momento del “tracollo [de]lla metafisica precedente”55, quindi, incapace di superare il punto di vista della limitatezza e soggettività. Per la mancata fondazione metafisica della sua sistematica epistemologica, Kant non riesce a spingere il discorso oltre l’accertamento delle antinomie. Dato che egli quindi non riesce a “chiudere”, secondo il criterio della “fondazione ultima”, il sistema nella connessione teoretica fra ragione ed essere, sarebbe stato conseguentemente costretto a lasciare aperta la possibilità di qualsiasi affermazione “ultima” su tutto l’ambito della classica “metaphysica specialis”, limitandosi all’unico giudizio certo dal suo punto di vista cioè che la classica “metafisica specialis” costituisce una proposta “dogmatica” – ed è proprio perciò che essa risulta distrutta già dall’impostazione della Kritik der reinen Vernunft. Rosmini ed Hegel riconoscono entrambi il merito kantiano di aver portato la problematica delle antinomie alla sua massima problematizzazione: “l’idea generale, che Kant pose per base e fece valere, è l’oggettività della apparenza, e la necessità della contraddizione appartenente alla natura delle determinazioni del pensiero”56. Questo è per Hegel quindi il punto di partenza per l’elaborazione di una nuova epistemologia filosofica, che esca dal dilemma o di tornare all’ontologia pre-moderna e quindi al modello elenctico o di sfociare nell’irresolubilità delle antinomie della dialettica trascendentale. A tal fine, egli analizza criticamente il significato della “dialettica” in Kant, perché quest’ultimo, nella sua intenzione di trovare il giusto mezzo tra “razionalismo” ed “empirismo” (ossia tra “idealismo” e “scetticismo” come forme estreme57), sanciva con il suo principio critico uno scetticismo limitato e tenuto a freno dalla ragione. Egli poteva quindi rivalutare positivamente e costruttivamente la dialettica – antica “arte sofistica di dare alla propria ignoranza, e addirittura alle proprie deliberate illusioni, l’aspetto della verità – rovesciando la sua funzione nella “critica della parvenza dialettica”58. La contraddittorietà diventa, così la conclusione hegeliana, la determinazione fondamentale delle cose, in quanto il loro essere profondo consiste nella negazione determinata59. In questo senso è proprio lo speculativo a delinearsi quale soluzione per il problema delle antinomie “nel comprendere l’opposto nella sua unità, ossia il positivo nel negativo”60. Per elaborare 54 Scienza della logica, 39. Per l’analisi hegeliana delle antinomie kantiane cfr. ibid. 202-213. Scienza della logica, 202. 56 Scienza della logica, 38s. Secondo Hegel, è “un merito infinito della filosofia kantiana […] di aver dato con ciò la spinta alla restaurazione della logica e della dialettica nel senso della considerazione delle determinazioni del pensiero in sé e per sé” (ibid. 945). 57 Cfr. NS 328-330. Risulta perciò interessante quando Rosmini osserva nel Preliminare alle opere ideologiche che Kant cerca la media strada tra “dogmatismo” e “scetticismo” (NS, Prel. 2). 58 KrV B 86. 59 “Tutte le cose sono in se stesse contraddittorie” (Scienza della logica, 490). 60 Scienza della Logica, 39. 55 13 questo concetto di antinomia Hegel attinge, oltre che a Kant, naturalmente a Eraclito e Platone, ma – significativamente – non ad Aristotele. Come Hegel, anche Rosmini parte dal problema delle antinomie nel suo progetto teosofico di riformulare la metafisica su una nuova base epistemologica. In entrambi gli ideatori della “critica della critica” il recupero della metafisica nella modernità si delinea in un cambiamento paradigmatico dell’epistemologia e parte, in quanto progetto “moderno”, dal problema kantiano delle antinomie. In questo senso, la problematica iniziale della Teosofia si articola nel modo seguente: “Dappertutto il concetto dell’ente è circondato d’antinomie. Infatti egli sembra che l’ente soggiaccia alle passioni dialettiche le piú contrarie. Poiché egli è uno ed è anche piú, egli è necessario ed è anche contingente, egli è infinito ed è anche finito, egli è immutabile e pure è anche mutabile […]”61. Per Rosmini l’ente è “contraddittorio”, ma non in quanto ente: esso viene definito da Rosmini non per la “negazione” ma per la “limitazione” – ma proprio in quanto limitato, è intrinsecamente positivo e quindi “circondato” – anziché “strutturato” – da antinomie. Con questa impostazione del discorso metafisico, Rosmini si colloca metodologicamente nel contesto della moderna domanda fondativa. Con Kant ed Hegel, egli è d’accordo che non si può ripristinare un’ontologia pre-moderna, perché era appunto quest’ultima ad aver condotto nelle antinomie che hanno portato allo scioglimento di questa metafisica nello scetticismo moderno: “Se si parla dell’andamento naturale e spontaneo della mente umana, essa incomincia dalla certezza e va sicura fino che urta nelle antinomie del pensar relativo: allora nasce dubbio, e, verificata la contraddizione, un periodo di scetticismo nel quale non può riposare, indi il desiderio d’uscirne, poi la speranza ai primi albori del pensare assoluto che ritorna a farsi vedere alla mente; il quale divenuto pienamente luminoso concilia le antinomie e restituisce alla mente il riposo”62. Accertato questo parallelismo nel porre i problemi, appare però subito la netta differenza con la quale Rosmini intende il concetto di “antinomia” rispetto all’accezione hegeliana: per Hegel si tratta del fatto che ogni formazione di concetti si svolge in modo antinomico in quanto la determinazione di un concetto è allo stesso momento l’esclusione del rispettivo contrario63. In questo senso, egli radicalizza il concetto kantiano dell’accezione dialettica della logica trascendentale, cioè della “critica” della “parvenza dialettica”, nella autoriflessione sistematica ossia logica delle determinazioni del pensiero: compiuta trasformazione dei principi dell’onto61 T 62. Cfr. l’analisi di Hegel: “Prodotti della riflessione di questo genere sono appunto infinitezza e finitezza, indeterminatezza e determinatezza ecc. Non c’è nessun passaggio dall’infinito al finito, dall’indeterminato al determinato. Il passaggio in quanto sintesi diviene un’antinomia” (Hegel, Differenza, 80s.) 62 T 2042. 63 Cfr. Scienza della logica, 108, 492s. 14 teo-logia nella riflessività in quanto nelle determinazioni del pensiero ossia – ancora in altre parole – elevazione di essi da principi dell’intelletto (Verstand) a determinazioni speculative della ragione (Vernunft). Rosmini considera l’impostazione dell’ “antinomia” e della “dialettica” in Hegel nelle sue conseguenze per la “fondazione ultima” nel principio – ossia nell’ “assioma” o nella “formula” – del sistema hegeliano cioè nell’ “equazione dell’essere e del niente”64. Attraverso questa operazione di “sostituire a una contraddizione psicologica, una contraddizione ontologica” Hegel non risolverebbe, però, – stando alla critica rosminiana – l’antinomia. Per Rosmini, le antinomie sono quindi nient’altro che contraddizioni che il pensiero nel suo stato “dialettico” affronta criticamente anziché ignorarle “elencticamente”. Allo stesso momento sono anche segno che il pensiero non è ancora giunto al suo stato “assoluto” per cui Rosmini può definire le “aninomie” ugualmente come “contraddizioni relative e non assolute”65: perciò Rosmini non “risolve” queste antinomie considerando i rispettivi termini conflittuali come delle alternative contrarie a livello della logica bivalente – che caratterizzerebbe lo stadio “dialettico” del pensare e segnerebbe il punto di vista hegeliano – ma interpretando i termini a un differente livello ontologico. In questo modo il Roveretano non assegna alla logica un problema che la logica stessa, fondta sul principio di non contraddizione non può affrontare, ma che può essere risolto solo sul piano dell’ontologia. Mentre Hegel assorbe l’ontologia nella logica, dovendo compiere a livello logico un “salto epistemologico”, Rosmini tratta questa operazione dell’ “oggettivazione” del problema kantiano a livello ontologico. Se Rosmini considera la soluzione hegeliana come “una maniera di pensare parziale” e cioè ancora all’interno dell’ambito del “pensare imperfetto”, egli non fa nient’altro che indicare che una soluzione logica, di per sé, non può rispondere alla domanda epistemologico-fondativa, appunto perché già per l’impostazione del pensiero stesso – che è la logica dialettica – esso non ci riesce. Un vero e proprio cambiamento epistemologico deve basarsi metafisicamente sull’essere, e quindi non su un’ontologia realistico-adialettica – in questo senso hegelianismo ed aristotelismo si presentano come due “estremi” contrari66 –, perciò Rosmini lo affronta “in contraddizione” con queste due soluzioni cioè a livello ontologico. Questa è per il Roveretano la moderna problematica della “legittimazione”, cioè della “ragion sufficiente”67. Trattare la domanda sulle 64 T 1739s. T 754. 66 “Contrari” nel senso della nota 45. 67 “Quello […] dobbiam dirlo […] rispetto a tutto ciò che veniamo a conoscere insieme colla sussistenza, per esempio la quantità della materia, il numero degli enti, la loro situazione nello spazio e nel tempo, le loro qualità accidentali e relazioni tra loro. Nella semplice idea di tali enti nulla di tutto ciò si contiene. Nell’idea del cavallo, e cosí dicasi di ogni altro ente, non si contiene mica né il numero dei cavalli esistenti, né il luogo e il tempo dove i cavalli esistenti trovansi collocati, né le qualità e relazioni accidentali tra loro: l’idea del cavallo non ci fa cono65 15 antinomie nel senso della “fondazione ultima” non significa “spiegarle” in modo contraddittorio né “ignorarle” in modo pre-moderno, ma fornirne la “ragione sufficiente”. 2.5 Il progetto della “fondazione ultima” (Letztbegründung) Alla domanda “[s]e e in che modo rimanga comunque aperta alla ragione, entro questa contraddizione, una via per la certezza”68, lasciata in eredità da Kant, Hegel e Rosmini rispondono quindi con dei tentativi di fondazione epistemologica della metafisica. Con questa idea, essi precorrono un progetto spät-moderno. La classica metafisica, in quanto ontologia dell’essere, di per sé non poteva essere messa in discussione nella sua capacità di fornire una fondazione ultima – una tale messa in discussione era scepsi e significava automaticamente una tendenza a sciogliere e a minare la metafisica. La relativa garanzia di quell’ontologia è stata, come già detto, l’argomento dell’ “elenchos”. Per questa struttura – cioè de facto e non de iure –, l’argomento dell’elenchos non è un “discorso fondativo” bensì l’imposizione “pratica” in quanto “fattuale”, per mezzo di convinzione performativa, della pretesa universale dell’ontologia classica. Questa struttura poteva essere infranta solamente attraverso la formulazione del dubbio radicale come avvenne con Cartesio. Tale rottura dell’argomento elenctico conduceva allora di per sé alla domanda fondativa, attraverso il dubbio scettico humeanokantiano al “fundamentum inconcussum” cartesiano-razionalistico, domanda che non poteva acquietarsi più nell’evidenza dell’essere universalmente comunicabile attraverso la metodologia dell’elenchos. Le soluzioni di Cartesio, dei razionalisti ed empiristi adoperavano in questo senso ancora un metodo “pre-moderno”, cercando il fondamento in un primo dato immediato, oggettivo, e cioè nelle “idee” cartesiane, nell’empiria sensibile o nella razionalità69. La situazione fondativa, che presentava l’antinomia fra le scuole razionalistica ed empirista, faceva un passo in avanti solo con Kant che poneva la emergente domanda della rifondazione della metafisica per la prima volta nella sua piena radicalità mettendo le basi, così, per il discorso vero e proprio della “fondazione ultima” (Letztbegründung). Con il suo metodo sintesi- scere nulla di tutto ciò, e però tutte queste appartenenze e attinenze del cavallo diconsi contingenti. L’intendimento adunque sente d’abbisognare d’una ragion sufficiente che gli spieghi tutte queste cose che egli riscontra nella sua cognizione di predicazione, ma che gli mancano affatto nella sua cognizione ideale delle essenze” (T 64). Questa è la questione “fondativa”: “Il fondamento, come le altre determinazioni della riflessione, è stato espresso in un principio: Ogni cosa ha la sua ragion sufficiente, cioè appunto il suo fondamento” (Scienza della logica, 498). 68 KrV B 449. 69 Si può analizzare – sia in base agli scritti antecedenti al Nuovo Saggio che anche per la sistematica di quest’opera stessa – come l’impostazione dell’idea dell’essere, teoricamente, è ancora influenzata da questa problematica. Proprio la caratterizzazione di quest’idea dell’essere come “innata”, ragione della maggior parte dei fraintendimenti concernenti il Nuovo Saggio, deve essere compresa in questa dinamica, cioè come l’atto – brusco – di Rosmini per uscire da questa alternativa senza disporre ancora di una adeguata base epistemologicometafisica. 16 stico egli poneva la problematica in tutta la chiarezza ma non riuscì a presentare una soluzione. Perciò egli doveva accontentarsi di soddisfare alla “disposizione naturale alla metafisica”70 con la sua fondazione a partire dalla sintesi a priori non riuscendo però a fornirle una base epistemologicamente nuova. In questo senso affermano Rosmini ed Hegel concordemente che Kant ha portato alla posizione radicale del problema senza poter risolverlo. La ragione per tale impasse era il fatto che a livello logico Kant non disponeva di alternative per il discorso fondativo. Hegel ha scoperto lucidamente questo momento essenziale per la comprensione dell’impostazione del discorso kantiano. Mentre Kant poteva dedurre (cioè svolgere l’argomento de iure) l’unità dell’esperienza tramite la Tavola delle categorie, egli non ottenne un’equivalente risultato per l’unità del pensare, dato che non disponeva delle funzioni unificanti ma doveva accontentarsi delle idee regolative che, dalla prospettiva hegeliana, non sono però niente più che vuote astrazioni. La scissione tra pensare ed essere comportava con sé quindi l’impossibilità di raggiungere un’ultima unità della ragione e quindi di “chiudere” il sistema attraverso l’elevazione della ragione “sopra il finito, il condizionato, il sensibile”71. A questo punto, lo scopo di Hegel è perfezionare la deduzione, l’ “origine delle forme del ragionamento”72. Questo però gli riuscì solo con l’introduzione di una nuova figura logica. Mentre la logica classica, appunto per il principio di non contraddizione, non permetteva un approccio che fondasse un sistema da una posizione all’interno del sistema stesso, la dialettica hegeliana presenta attraverso la sua triadicità una prospettiva di fuoriuscita73. In questo senso, Hegel realizza una fondazione ultima come sistema e allo stesso momento all’interno del sistema, ossia concepisce il sistema in quanto scienza. La sintesi non può avere luogo a priori, ma nel e attraverso lo svolgimento della totalità del sistema. Solo attraverso la dialettica trivalente Hegel è quindi riuscito a presentare una possibile soluzione per il problema kantiano proprio radicalizzando quest’ultimo. Il terzo momento chiude il sistema e lo rende completo, identificando le classiche “metaphysica generalis” e “metaphysica specialis” nello (auto-)svolgimento dell’ “onto-teo-logia”. In quanto Hegel poneva la contraddizione, in forma di antinomia, a livello fondativo, come momento strutturale della fondazione epistemologica della metafisica, egli superava 70 KrV B 21. Cfr. Scienza della logica, 754s.; la citazione si trova a p. 754. 72 T 2030. 73 In questo senso, Hegel presenta la dialetticità come soluzione al problema del criticismo che pretende di analizzare prima del conoscere il suo “istrumento”. Ciò, secondo Hegel, significa “[v]oler conoscere dunque prima che si conosca” e che sarebbe tanto “assurdo” quanto voler “imparare a nuotare prima di arrischiarsi nell’acqua” (G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, traduzione italiana, a c. di A. Nuzzo, RomaBari 20024, 16s. [§ 10]). 71 17 l’argomento elenctico74. In questo senso, indicava la problematicità di questo principio che si realizza precisamente nell’autoapplicazione del principio a se medesimo75: la prova di tornasole, cioè se questo principio può valere anche come principio fondativo, fallisce. E questo non per la ragione che esso, in quanto supremo principio logico-ontologico, non può essere di nuovo la conclusione di se medesimo76, ma proprio perché si rivela, a questo livello, autocontraddittorio esso stesso77. A questo punto si delinea il merito di Hegel per cui la contraddizione diventa struttura del “fondamento assoluto”78: “Se si riflette soltanto sull’aspetto formale della speculazione e si conserva la sintesi del sapere in forma analitica, l’antinomia è la contraddizione che toglie se stessa, la suprema espressione formale del sapere e della verità”79. Hegel sperava di trovare in questa radicalizzazione stessa la chiave di soluzione della problematica fondativa e cioè di superare lo scetticismo “bevendolo” fino in fondo80: reidentificazione di “essere” e “pensiero”81 e realizzazione di tale progetto attraverso il metodo dialettico cioè logico, definendo quindi l’antinomia come la struttura della ragione stessa, nonché perfezionando la “indicata” identificazione tra “metafiscia” e “logica” nella dialettica trascendentale della Kritik der reinen Vernunft. Rosmini, concordando con Hegel nel giudicare come un “passo infinitamente importante”82 di Kant l’aver portato la ragione ai limiti della propria costituzione, e mirando a rifondare la metafisica con un unico metodo oggettivo, non intende una soluzione in quanto riduzione logica dell’antinomicità quale punto di partenza della domanda metafisica, bensì propone il discorso della “onto-teo-sofia”. Anche se concorda con Hegel che “l’intelligenza ripugna alla contraddizione, onde fino a tanto che le pare di trovare un’antinomia nel suo sapere, le manca la quiete”83, per Rosmini ciò non significa che questo problema si possa risolvere facendo della stessa antinomia logica (contraddizione) il principio fondamentale. Anzi, proprio in questo caso, così la critica di Rosmini, Hegel non riuscirebbe veramente a risolvere il problema dell’antinomia, avendolo impostato, sulla scia kantiana, in termini di riduzione logico- 74 Proprio a questo aspetto del pensiero hegeliano si riferisce Rosmini in L 1092. Cfr. Scienza della logica, 27s.; cfr. anche NS, Prel. 3 e innanzitutto L 1905. 76 Cfr. per l’impossibilità di “fondazione ultima” sulla base della logica razionale, evidenziata dal “razionalismo critico”, H. Albert, Per un razionalismo critico, tr. it. E. Picardi, Bologna 1974. 77 “Così, quella che ci si era presentata come la straordinaria forza del principio della logica, cioè il fatto di poter prescindere dalla verità delle proposizioni, si rivela qui come la sua debolezza: esso non può fondare se stesso, e così si espone alla possibilità della falsificazione e della contraddizione” (L. V. Tarca, Differenza e negazione. Per una filosofia positiva [Il pensiero e la storia, vol. 81], Napoli 2001, 117). 78 Cfr. Scienza della logica, 499; cfr. W. Jaeschke, Hegel-Handbuch. Leben – Werk – Schule, Stuttgart-Weimar 2003, 239. 79 Hegel, Differenza, 29s. 80 Cfr. pars pro toto Scienza della logica, 203, 943s. 81 Cfr. L 1096. 82 Scienza della logica, 943. 83 T 55. 75 18 scientifica. Di conseguenza, la domanda dilemmatica sull’ “inizio” restava prigioniera della sottomissione della metafisica al parametro epistemologico delle scienze, cioè in ultima analisi alla logica84. Questo riduzionismo fa sì, però, che il suo metodo dialettico in ultima analisi non riesca ad istallare un vero e proprio metodo trivalente dato che il “terzo elemento” in Hegel, la sintesi, deve svolgersi assolutamente all’interno dell’identità fra posizione e negazione, assicurandola85. In questo senso, Hegel presenta il conseguente tentativo di fuoriuscire dalla problematica di una soluzione logica del problema fondativo – ma assegnando all’antinomiacontraddizione sempre il momento decisivo del discorso fondativo, la logica trivalente si riduce de facto alla postulazione dell’identità dei contradditori nel principio metafisico stesso, fondando in questo senso la contraddizione metafisicamente86. Questo però al prezzo che, a causa della riduzione della metafisica a logica, questa metafisica non è più riscontrabile nella realtà dove de facto le contraddizioni non si identificano e dove vale sempre il principio elenctico. Rimane quindi valido che, pensando all’interno del sistema razionale, è impossibile trascendere il principio elenctico stesso – così, esso indica senz’altro in modo valido il limite della logica razionale della ragione umana87. A tal punto, però, il “discorso di fondazione ultima” non si arresta in quanto la “disposizione naturale” dell’uomo a questo discorso non si restringe “entro i cancelli della coscienza”88 bensì eccede questi proprio nell’impresa della “fondazione ultima” stessa. In questa direzione, la Teosofia sviluppa una vera e propria “ontologia trinitaria”. Nella Logica, Rosmini analizza con precisione come Hegel, attraverso la radicalizzazione della “metodologizzazione” dello scetticismo da parte di Kant nel discorso fondativo, abbia radicalizzato, eo ipso, anche il momento “dogmatico” del kantismo nella cui scoperta e critica Rosmini ed Hegel convergono. In questo senso il pensiero di Hegel si rivela, per il Roveretano, anche sommamente dogmatico, ma nel senso dell’essere “assai piú che scettico e assai piú 84 T 73. Cfr. L 1096. 86 “E in fatti, sentendo pur il bisogno d’evitare quel soggettivismo, nel quale era incappato il Kant, non pervennero [sc. Fichte, Schelling ed Hegel] mai a intendere l’oggettività di quelle sue forme logiche; ma si persuasero in quella vece, che continuandosi coll’immaginativa filosofica a soggettivizzare piú e piú ogni cosa fino ad esaurire il soggetto, questo cesserebbe finalmente d’essere egli stesso soggetto, convertendosi in altro che, d’assoluto né soggetto né oggetto, ma amendue, tutt’insieme” (L 41). 87 “In conclusione potremmo dire così: uscire dalla dimensione del discorso è impossibile per l’uomo; ma dunque il paradosso della razionalità è inevitabile qualunque posizione si voglia asssumere [sic] (razionalista, irrazionalista, permissivista nei confronti della contraddizione, etc.); e inevitabile è anche la necessità di venire a capo della contraddizione, almeno nel senso che lo stesso porsi dell’antinomia è possibile nella misura in cui si riesce ad attribuire un senso diverso alle due affermazioni contraddittorie” (L. V. Tarca, Elenchos. Ragione e paradosso nella filosofia contemporanea, Genova 19932, 241). 88 A. Rosmini, Saggio storico critico sulle categorie, a c. di P. P. Ottonello (Ediz. crit., vol. 19), Roma 1997, p. 202. 85 19 che dogmatico nel tempo stesso”89, e proprio portando lo scetticismo alle sue ultime conseguenze assolutizza anche la premessa dogmatica di questo metodo. 3. L’ontologia trinitaria come “discorso di fondazione ultima” (Letztbegründungsdiskurs) Tornando alla problematica concreta delle antinomie, Rosmini ha rilevato chiaramente che esse nascono dalla restrizione del pensiero al pensiero comune. Il “pensiero dialettico” come criticità del pensiero che si accorge delle antinomie apre alla questione epistemologicometafisica. A tal punto, però, Rosmini analizza come Hegel, riprendendo da Kant il “pregiudizio idealistico” dell’immanentismo soggettivo, non afferra questo momento dialettico in tutta la sua portata critica, rinunciando de facto alla criticità stessa. Questo “pregiudizio” porta con sé, come analizza Rosmini lucidamente, che Hegel, nel suo tentativo di riproporre il discorso sulla “fondazione ultima” attraverso un fondamentale ripensamento dell’assoluto, non arriva ad un “pensare assoluto”90 e rimane fondamentalmente all’interno del paradigma epistemologico soggettivo-immanente ossia nell’ambito delle possibilità del “pensiero comune”91. Questo livello viene effettivamente – e cioè paradigmaticamente – superato solo nel momento in cui il passaggio verso il “pensiero assoluto” riesce – che è inconcepibile in un’epistemologia razionalistica – a intravvedere la fondazione ontologica del principio di noncontraddizione stesso senza perciò eccedere l’ambito “naturale” della razionalità92. Evidentemente, questo paradigma epistemologico-fondativo si basa su un concetto di razionalità diversa, non “chiusa” nei limiti razionalistici bensì essenzialmente dotato di uno slancio che va oltre. In questo senso l’analisi dell’ontologia trinitaria in Rosmini presuppone la sistematica rosminiana dei tre livelli del pensiero tra “comune”, “dialettico” e “assoluto”93. È solo quest’ultimo che supera l’ambito della razionalità immanente (livello “dialettico”) che, come visto nel punto precedente, è sì in grado di problematicizzare la domanda “del fondamento” (scoprendo la questione de iure nell’epistemologia), ma non dispone dei mezzi per risolverla. Una vera e propria analisi del discorso fondativo di Rosmini si dovrebbe estendere alla Teosofia tout court, alla ricerca di indicazioni sistematiche. Il presente studio si limita ad una breve indicazione del compatto e sintetico capitolo XX del primo libro dell’Ontologia (T 190-196). Questo capitolo tratta del rapporto del mistero della rivelazione della divina Trinità con la dottrina teosofico-ontologica delle tre forme dell’essere. Rosmini lo concepisce come un e- 89 L 1098. In effetti, il concetto “pensare assoluto” non si trova in Hegel; l’uso improprio di questo concetto (“absolutes Denken”) in Fede e Sapere viene perciò tradotto con “concetto infinito” (Fede e sapere, 133). 91 Cfr. L 51. 92 Cfr. T 79. 93 Cfr. T 1954-2029; L 36s. 90 20 xcursus nel passaggio fra l’esposizione teoretica del sistema delle tre forme nell’unico essere e l’applicazione di questa teoria al problema ontologico, quello tra l’unità dell’essere e la sua molteplicità. Dalla sistematica del suo inserimento epistemologico nella Teosofia emerge che Rosmini, qui, affronta questo problema non teologicamente bensì filosoficamente. Affinché non venga frainteso questo passaggio, Rosmini deve insistere sull’invalicabilità della differenza ontologica tra “essere assoluto” ed “essere contingente”, perché una teoria che identifica immediatamente il problema dell’unità e molteplicità dell’essere con quello del rapporto fra l’unità dell’essere assoluto e la molteplicità di quello contingente, rischia di sfociare nel panteismo. La problematica rimanda quindi ad un meta-livello, ad un livello trasversale rispetto a quello della domanda unità-molteplicità. Questo viene fondato dalla differenza ontologica e reso possibile dalla dottrina dell’analogia. Solo in questo modo, Rosmini riesce a stabilire la dinamica tra unità e molteplicità sia a livello dell’essere assoluto che a quello dell’essere contingente. Delineando questo schema, Rosmini deve essere però cauto e non scivolare in una dottrina razionalista. Perciò egli introduce l’accennata meta-riflessione con la sottolineatura “che il mistero dell’augustissima Trinità, che rivelato da Dio agli uomini noi cristiani professiamo di credere sulla parola di Dio rivelante, è cosa infinitamente diversa dalle nostre tre forme dell’essere, benché in queste risplenda una certa analogia con quell’altissimo dogma”94. Questo aspetto Rosmini lo approfondisce nel paragrafo successivo, spiegando la differenza ontologica con tre argomenti basati sulla triadicità delle forme: innanzitutto le tre forme dell’essere sono astratte, mentre le tre persone divine sono “perfette, assolute, intere”95. Inoltre, considerando filosoficamente le tre forme dell’essere, si può astrarre l’essere dalle forme e realizzare quindi la ‘piccola differenza ontologica’, il che non è possibile nel caso della divina Trinità nella quale le persone coincidono con l’essere divino. Il terzo argomento, infine, riprende il primo, considerando nelle forme dell’essere la mancanza di quella soggettività reale-personale che si trova invece nelle persone divine. Nel caso di quest’ultime la soggettività reale-personale non ricade nella forma soggettiva nell’essere com’è intesa nell’ontologia dell’essere finito (ontologia triadica)96. Dopo aver consolidato questa ‘grande differenza ontologica’, Rosmini può considerare di aver radicalizzato il classico concetto dell’analogia che si riferiva solo all’essere in quanto tale, e che ora è applicato anche alle sue forme; così per l’ “ontologia trinitaria” si offrono più possibilità di argomentazione rispetto ad un’ontologia fondata unicamente sull’essere comune. 94 T 191. T 192. 96 Cfr. per la distinzione tra “ontologia triadica” e “ontologia trinitaria” lo studio di M. F. Sciacca, Ontologia triadica e trinitaria. Discorso metafisico teologico (Opere complete di Michele F. Sciacca, vol. 36), Milano 1972. 95 21 Per evitare ogni fraintendimento rispetto a un possibile razionalismo in questa teoria, Rosmini insiste sul fondamento di questa dottrina della “triadicità delle forme” nella rivelazione e nella fede in essa. Anche se la ragione umana può arrivare al risultato che l’essere consiste in tre forme, essa trova l’ultima prova e certezza solo nella rivelazione: “quantunque il mistero della Triade non si sarebbe giammai rinvenuto dall’umana intelligenza, se lo stesso Dio non l’avesse rivelato agli uomini positivamente, tuttavia, dopo che fu rivelato, esso rimane bensí incomprensibile nella sua propria natura […] ma nondimeno non solo si può dimostrare col raziocinio l’esistenza di Dio, ma ben anco si può conoscere quella d’una Trinità in Dio in un modo almeno congetturale con ragioni positive e dirette, e dimostrativamente con ragioni negative e indirette: e che mediante queste prove puramente speculative dell’esistenza d’un’augustissima Triade, questa misteriosa dottrina rientra nel campo della Filosofia”97. Non è quindi possibile “dimostrare” la trinità dell’Urgrund della realtà “con ragioni positive e dirette”, e quindi per poter svolgere una “ontologia trinitaria” in quanto “discorso fondativo”, in chiave filosofica e non teologica, è necessario svolgere una riflessione epistemologicofondativa98. Rosmini differenzia innanzitutto la dottrina della Trinità divina, dal punto di vista filosofico, in un aspetto storico, relativo alla sua origine dalla rivelazione, ed in un aspetto sistematico, relativo alla sua validità razionale. Ora alla metafisica in quanto scienza, secondo Rosmini, non spetta di giudicare sulla provenienza di una qualsiasi propostizione scientifica. Per essa, si tratta unicamente di accettarla o meno, in virtù della sua intrinseca ragionevolezza e magari anche dell’utilità per la rispettiva scienza. In quanto la questione della sua ragionevolezza non significa una deduzione scientifica – nel qual caso verrebbe sottaciuto l’aspetto storicogenetico della proposizione – Rosmini si preserva da qualsiasi forma di razionalismo. Al contempo, egli anticipa, attraverso questo ragionamento, un principio scientifico attuale nell’epistemologica novecentesca99: filosoficamente, il sistema non può essere “chiuso”. Proprio perciò, Rosmini può condurre una “prova” della Trinità delle persone divine solo in modo negativo: “qualora si negasse quella trinità ne verrebbero da tutte le parti conseguenze assurde apertamente, e la dottrina dell’essere portata a’ suoi ultimi risultati diverrebbe un caos di contraddizioni manifestissime”100: in tal caso il punto speculativamente più alto che po97 T 191. Cfr. T 193. 99 Si tratta della differenza tra “contesto di scoperta” (Entdeckungszusammenhang) e “contesto di giustificazione” (Begründungszusammenhang): “Se un’affermazione deriva dall’esperienza personale, da una rivelazione divina nella storia o dalla pratica di una comunità, è irrilevante per i giudizi sul suo valore epistemico” (P. Clayton, Rationalität und Religion. Erklärung in Naturwissenschaft und Theologie, Paderborn et al. 1992, 176). 100 T 194. 98 22 trebbe essere raggiunto sarebbe il “sistema chiuso” di Hegel. Rosmini chiama questa prova ex negativo o “indiretta” anche “dimostrazione deontologica”101 – essa sta alla base della sua “ontologia trinitaria” cioè del suo modello ontologico non condotto secondo la logica bivalente della “classica” ontologia. La “chiave” per questa ontologia non può essere una deduzione logica102; quindi non è a partire dalla logica che egli arriva alla conclusione deontologica di passare ad una logica trivalente. Questa soluzione gli deriva unicamente dalla rivelazione divina che, però, per quanto gratuita, può fornire quell’elemento mancante all’ontologia per sfuggire all’intrinseca possibilità di contraddittorietà a cui è costitutivamente esposta: il sistema non è “chiuso” a livello razionale, ma il discorso ontologico-fondativo è “completo”: in questo senso, il progetto rosminiano della “filosofia cristiana” ossia dell’ “ontologia trinitaria” si rivela come discorso fondativo concludendo “che alla divina rivelazione la stessa Filosofia dovrà la sua perfezione, l’inconcussa sua base, e il suo inarrivabile fastigio”103. 4. Il progetto si avvia Rosmini, verso la fine della sua riflessione fondazionistico-epistemologica, cerca una spiegazione del perché un sistema scientificamente perfetto, com’è quello hegeliano, alla fin dei conti non riesca ad appagare la “disposizione naturale” della mente umana. La risposta è, coerentemente con l’epistemologia della Teosofia, non dialettica bensì sintesistico-integrale: “ciò che soddisfa il soggetto deve esser cosa del soggetto, perciò conviene che la notizia il soggetto la faccia sua propria, acciocché lo soddisfi. Ma il soggetto non può aver fatta propria di se stesso la notizia se non conosce se stesso e a se stesso non la riporta poiché appropriarsela è quanto unirla a sé, a sé riferirla, altro non essendo la proprietà che l’unione d’una cosa esterna al soggetto per via di sentimento razionale. Ora non può far questo fino a tanto che null’altro conosce se non il solo essere ideale. Egli vede l’idea, non la possiede ancora, non se l’è appropriata”104. Hegel non si sarebbe quindi, così conclude Rosmini, appropriato veramente l’essere ideale proprio nel suo aspetto “virtuale”, in quel elemento del pensare dialettico quindi che rimanda al sintesismo del pensare assoluto fondandosi in esso. Al contrario, egli ha rinchiuso questo elemento in una dialettica della razionalità immanente creando un sistema “chiuso” – in ultima analisi integrazione ed assolutizzazione del metodo elenctico nell’autoapplicazione propria del principio. In questo senso, egli è riuscito ad elevare la casua101 T 194; cfr. a tal proposito K.-H. Menke, Deontologische Glaubensbegründung. Antonio Rosmini (1797-1855) und Maurice Blondel (1861-1949), in: Zeitschrift für katholische Theologie 109 (1987) 153-172. 102 Questa strada kantiana, sviluppata già da Fichte, viene perfezionata da Hegel in quanto trasformata in un processo oggettivo (“Il contenuto della scienza pura è appunto questo pensare oggettivo”; Scienza della logica, 31). 103 T 196. 104 T 2023. 23 lità dell’ “unità immediata” della realtà alla “necessità formale”, l’assolutamente necessario “è soltanto perché è; non ha nessun’altra condizione né ragion d’essere”; qua tale questa necessità è “cieca”, pur salvando il mondo nella sua contingenza (“accidentalità”) dalla “casualità”105. In quest’ultimo punto sta l’indiscusso merito del pensiero hegeliano. Ma appunto per l’identificazione del fondamento epistemologico con la logica dialettica, proprio per salvare la necessità dalla casualità Hegel finisce con la sua identificazione con la “libertà”, facendola diventare, in questo modo, sostanza assoluta106. In questo senso è legittimo chiamare il pensiero hegeliano “sistema chiuso” – chiuso nella sua “soggettività” così come un sistema “dogmatico” è “chiuso” nell’oggettività. Significativamente, è proprio nel terzo momento, quello identitario, che in Hegel si chiude la sistematicità logica nell’identificazione di “libertà” e “necessità”. Rosmini al contrario concepisce una necessità che risolve il suo conflitto con la “libertà” non in maniera razionalistica bensì morale, sempre nel rispetto della “differenza ontologica”: mentre per gli enti contingenti “la necessità morale non sempre induce l’effetto che ella prescrive; […] lo induce solo nell’Essere perfettissimo”107. Rosmini contrappone, al sistema hegeliano, una filosofia di non minore sistematicità ma che proprio nel suo momento fondativo rivela una variazione epistemologica. Questa variazione la lascia apparire, in senso “razionalistico” come “aperta”. Siccome, dal punto di vista razionalistico, una tale “apertura” è per definitionem apertura verso un “apeiron” irrazionale, deve finire per far cadere l’intero sistema “chiuso”. Rosmini propone, però, anche in questo senso, un’alternativa non “contraria” ma “contraddittoria” all’alternativa ‘razionalismo o irrazionalismo’108: e cioè attraverso lo slancio metafisico-fondativo del pensiero verso la fondazione epistemologica della domanda di legittimità sulle conoscenze, fondamento che egli trova, grazie alla dinamica “trascendente” e non “trascendentale” del suo pensiero, in un’ontologia triadica (accezione ontologico-negativa) che si giustifica, a sua volta, attraverso la rivelazione positivo-reale dell’Urgrund stesso, del Dio trinitario – e non solo nella “coscienza religio- 105 Cfr. Scienza della logica, 609-625, sfociando nella conclusione: “Questa identità dell’essere nella sua negazione con se stesso è ora sostanza. Essa è questa unità in quanto nella sua negazione, ossia in quanto nell’accidentalità; essa è così la sostanza come rapporto a se stessa. Il cieco passare della necessità è anzi la propria esposizione dell’assoluto, il movimento in sé di quello che nella sua estrinsecazione mostra anzi se stesso” (ibid. 624s.). 106 “La sostanza assoluta […], distinguendosi da sé, non si respinge quindi più da sé come necessità, né si rompe più quale accidentalità in sostanze indifferenti, a sé estrinseche, ma si distingue da un lato nella totalità […], l’universale; – dall’altro lato poi si distingue nella totalità […] il singolo. […] quella determinata semplicità o […] quella semplice determinatezza, che è la loro unica e medesima identità. – Questo è il concetto, il regno della soggettività o della libertà” (Scienza della logica, 645s.); cfr. anche ibid. 948. 107 T 51. 108 Per la sistematica rosminiana tra “contrario” e “contraddittorio” cfr. di nuovo le considerazioni in nota 45. 24 sa”109 –, base assoluto-reale dell’ontologia trinitaria nel vero senso della parola. Se “[l]a metafisica, come disposizione naturale della ragione, è reale”110, per Rosmini questo non significa che la “logica” è la “peculiare natura” né il suo “soprannaturale”111, ma invece “scienza” dell’ “arte di ragionare” o “del pensare”112, rimanendo sempre mezzo per la questione fondativa che egli colloca nell’ontologia. Rosmini ha il merito di aver formulato, forse per la prima volta in assoluto, una tale “ontologia trinitaria” nella sua piena validità e legittimità epistemologica. Le condizioni di possibilità speculativa di una tale concezione, egli le trova solo nel pensiero moderno, nella domanda giustificativo-legittimativa, per cui si confronta seriamente con i pensatori tedeschi e soprattutto con Kant ed Hegel. Contrappone alla Wissenschaft der Logik non una Teosofia antirazionale che rispetto alla modernità risultasse “contromoderna”113, ma che fa sue le acquisizioni fondamentali del pensiero moderno come il tentativo di una giusta determinazione delle possibilità e dei limiti della ragione umana. Così Rosmini ha offerto al discorso epistemologico un contributo valido. È la riflessione teosofica sul “primo cominciamento della filosofia” che vince il “dubbio” e in questa riflessività è autentico discorso spät-moderno114. Intenzione del saggio era di delineare alcune linee centrali del nuovo paradigma interpretativo della “quarta fase” dimostrando le potenzialità di questo paradigma che si rivela non solo in grado di superare i vecchi limiti dell’interpretazione rosminiana riscoprendo una nuova autenticità del pensiero rosminiano, ma presentando anche un Rosmini acquisibile per il pensiero spät-moderno. Anche la questione dell’ “attualità” – “inattualità” di Rosmini viene trasfigurata nella quarta fase assumendo un nuovo senso in modo da presentare un Rosmini che parla di nuovo a noi ed ai problemi fondamentali del nostro tempo. È questa una vera “altra metafisica”, “altra” rispetto a quella “pre-moderna” che nella tarda e neo-scolastica ha evidenziato la sua “pre-modernità”, ma anche “altra” rispetto alla metafisica razionalistica dell’idealismo 109 “[I] principi della ragione della realtà hanno la loro ultima e somma garanzia nella coscienza religiosa, nella sussunzione sotto la coscienza della verità assoluta” (Hegel, Enciclopedia, 531 [§ 552]). Per Rosmini, questo livello di pensare caratterizza il secondo livello, il “pensare dialettico”, e non è ancora vero “pensare assoluto”. 110 I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza, a c. di P. Carabellese, RomaBari 1988, qui 135 (§60); cfr. anche KrV B 21s.; cfr. T 15. 111 “Tanto è naturale all’uomo la logica, o, meglio, tanto è vero che questa è la sua stessa peculiare natura. Che se la natura in generale viene contrapposta, come il fisico, allo spirituale, si dovrebbe dire che il logico è anzi il soprannaturale che penetra ogni rapporto o attività naturale dell’uomo” (Scienza della logica, 10). 112 L 6s.; 63s. 113 Per Beck, “contramoderno” si differenzia precisamente da “premoderno”; per la sua analisi di questo termine che, in chiave sociologica, verte sulle sostantivizzazioni “contromodernità” e “contromodernizzazione” cfr. U. Beck, L’epoca delle conseguenze secondarie e la politicizzazione della modernità, in: Beck/Giddens/Lash, Modernizzazione riflessiva, 29-99, qui 58-64). 114 Cfr. L 1093. Qui Rosmini afferma nuovamente la somiglianza del suo metodo riflessivo con Hegel e quindi anche la nostra interpretazione spät-moderna: “E quello che è singolare e degno d’osservazione si è che questa maniera di conoscere, e anche di dimostrare riflessamente la verità della prima nozione che è l’idea dell’essere indeterminato, è similissima nella sostanza alla dimostrazione hegeliana” (ibid.). 25 moderno: “altra metafisica” quindi come il concetto identificativo per la questione epistemologico-fondativa nella Spätmoderne. “Apertura” quindi, non “chiusura”, del tema, sta alla fine di questo saggio che perciò intende essere un contributo alla collocazione di Rosmini nel discorso della Spätmoderne. 26