IL TESTAMENTO BIOLOGICO, IL LIVING WILL, LE DIRETTIVE ANTICIPATE: L’AUTODETERMINAZIONE RECLAMA ATTENZIONE – Alberto MASCIA riflessioni al Convegno ‘Testamento biologico’ svoltosi in Roma, 1 marzo 2006 Introduzione ai temi del Convegno Il tema della vita, della dignità umana, della libertà di scelta, dell’autodeterminazione, della morte, del rispetto della persona e della naturale esigenza di protezione di tali delicati profili, si intrecciano e creano un dibattito che da anni anima la coscienza dei diversi operatori del diritto. Come ogni tema afferente alle vicende più intimamente connesse all’essere umano, anche quella del testamento biologico (così come è di solito chiamato dai giuristi), del living will, delle cd ‘direttive anticipate’ (espressione preferibile), delle ‘dichiarazioni anticipate di trattamento’ o ‘di fine vita’, trae spunto dalla forte esigenza di affrontare anche dal punto di vista giuridico le questioni relative alla stagione terminale dell’esistenza di un individuo. Non si tratta, a voler scendere nel concreto, di una tematica lineare e semplice, la quale abbraccia profili etici, giuridici, scientifici, biologici, nonché medici, in quanto da un lato si pone la soggettività di un individuo, la capacità e libertà di autodeterminarsi, di vivere con dignità anche i momenti ultimi della propria vita, dall’altro c’è la figura del medico e il suo rapporto con il paziente, le ragioni dei familiari e le logiche di preservazione della vita. La mancanza, allo stato attuale, di una regolamentazione da parte del legislatore nazionale, che appresti metodologie giuridiche ad hoc per disciplinare tali profili, viene accolta con diversi stati d’animo, ora con soddisfazione, approvazione o compiacimento, ora con scalpore, fastidio o malumore. La diversità degli approcci sul tema, apparentemente rispondente ad una inclinazione più o meno religiosa di chi li propone, ma sostanzialmente fondati su una diversità di considerazione della persona e della sua capacità autodeterminativa, nonché la crescita progressiva di attenzione su di esso, mostra come si sia in presenza di una stringente attualità e di un contesto che va analizzato e pubblicizzato, soprattutto per finalità conoscitive. In tale direzione si pone il presente Convegno che bissa il precedente incontro tenutosi in quel di Milano, attualizzando una riflessione di indubbio rilievo. Il condimento ideale è fornito dalla presenza di una serie di elementi, tra cui la Convenzione di Oviedo, i pareri del Comitato nazionale di bioetica, le riflessioni sui precedenti normativi offerti da Paesi europei e extraeuropei, la (giusta) differenziazione con la tematica dell’eutanasia, la portata formale e sostanziale dell’atto dichiarativo sulle vicende ultime della vita. Ma non è tutto. Si abbassano le luci, cala l’intensità dei mormorii e si avverte quella sensazione di attesa che, in occasione di ogni grande evento, lascia immediatamente la scena a coloro che sono chiamati a esporre e rendere credibile, agli occhi degli intervenuti, la bontà di questa affascinante tematica. Inizialmente (intervengono Francesca Merzagora e Maurizio De Tilla) si porta all’attenzione dei presenti, in modo sommario e ricognitivo, quali siano i concetti su cui occorra soffermarsi con scrupolo metodologico e operativo, e quale sia il quadro attuale di riferimento – non soltanto normativo – e i punti di riflessione, secondo una logica proiettata in fieri. Viene evidenziata la mancanza di una norma interna che predisponga una regolamentazione del testamento biologico, e viene richiamata – a far da contraltare a tale silenzio – la disciplina presente in ordinamenti giuridici stranieri (Belgio, Danimarca, Olanda, Germania, Stati Uniti). Viene fatto cenno alla Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, relativa alla protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina, ratificata in Italia con L. 28 marzo 2001, n. 145. Si fa riferimento, inoltre, a un recente parere adottato dal Comitato nazionale di bioetica il 18 dicembre 2003, concernente proprio le dichiarazioni anticipate di trattamento. Si ricorda la diversità di terminologie che si è utilizzata per tradurre l’anglosassone ‘living will’, individuato in quel “documento con il quale una persona, dotata di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato”. Tale parere, tra l’altro, richiama la Convenzione anzidetta e in primis il suo art. 9 (‘desideri precedentemente espressi’) che, ancor prima della ratifica nel nostro ordinamento con la citata L. n. 154, era stato trasposto nelle norme del Codice deontologico medico del 1998, e segnatamente nel suo art. 34. Il dato su cui va posta estrema attenzione è la rilevanza della volontà manifestata dal paziente in un momento precedente (‘ora per allora’) al verificarsi di situazioni in cui tale volontà non possa essere manifestata; in tali casi, il medico – così recita la norma - ‘non può non tener conto quanto precedentemente manifestato dallo stesso’. In tale affermazione si ripropongono gli elementi dell’autonomia decisionale del paziente, del contesto normativo di riferimento, del citato rapporto tra medico e paziente, del consenso informato, dei contenuti che le direttive devono avere, della loro vincolatività o meno. Interrogativi e dubbi su cui confrontarsi e da cui partire per una riflessione congiunta. A ciò si fa rilevare come il medico non possa disattendere senza motivi la volontà così come espressa dal paziente (il quale, capace di intendere e di volere, può rifiutare un trattamento sanitario che altrimenti sarebbe coercitivo); che non occorre cadere nell’equivoco di parificare la tematica del testamento biologico a quella dell’eutanasia; che potrebbero sorgere degli interrogativi ove dovesse verificarsi un progresso della scienza medica tale da poter incidere sulla scelta fatta da chi in precedenza era malato, redigendo un atto di siffatta portata, nel senso di metterla in discussione proprio per il mutamento dei presupposti sulla cui base era stata effettuata; che lo strumento del testamento biologico servirebbe anche ad evitare una pratica di accanimento terapeutico; che una legge sia indispensabile, purchè sia – lo si sottolinea – una buona legge, rispettosa della dignità dell’uomo. La posizione dei relatori e le formule utilizzate. I giuristi intervenuti (Patti, Rescigno, Balestra) si sono soffermati su aspetti di carattere generale, per poi scendere nelle problematiche di maggiore rilevanza. Con convinzione, viene fatto cenno (Patti) alla (non condivisa) frettolosità con cui il testo ‘Testamento biologico’ - che racchiude i contributi di tutti i personaggi del mondo scientifico (Fondazione Veronesi) e giuridico (Professori e giuristi stimati) – distribuito ai partecipanti, sia stato chiuso. Ci si vuol riferire, più in generale, alla cautela che si sarebbe dovuta utilizzare nel relazionarsi alla tematica in esame. Il tema della morte, poco presente nelle disposizioni codicistiche (si richiama l‘art. 4 c.c. in tema di commorienza, l’art. 456 sull’apertura della successione) – sembra più appropriato parlare di vicende relative alla ‘fine vita’ - viene descritto come un processo che è governato da incertezza. Il rapporto tra medico e paziente si inserisce in tale contesto come relazione disciplinata dalla normativa privatistica o pubblicistica. A supporto di ciò, si ricorda (Patti) un recente disegno di legge elaborato Germania in aderenza a una pronuncia della Suprema Corte tedesca (18 marzo 2003), che ha inserito le vicende di fine vita all’interno della disciplina codicistica tedesca (normativa di matrice privatistica); sul versante della normativa di derivazione pubblicistica, viene fatto cenno a una legge del 22 aprile 2005 n. 370 (intitolata ‘Loi relative aux droit des malades et à la fin de vie’), la quale ha modificato il Code de la santé publique. Sul versante terminologico si conviene (Patti), nei contenuti, su quanto disposto dal Comitato nazionale di bioetica (CNB), sulle sue raccomandazioni, pareri, e si ritiene preferibile parlare di ‘direttive anticipate’ piuttosto che di ‘testamento biologico’. Vengono, poi, evidenziati tutta una serie di punti da tenere in considerazione, quali l’autonomia decisionale del paziente, la capacità ‘attuale’ dello stesso di esprimere le proprie volontà anche in contrasto con quanto manifestato nelle direttive anticipate, il fatto che ci sono alcuni ordinamenti che hanno disciplinato tali direttive, mentre altri che non hanno previsto nulla al riguardo. Da parte dello stesso relatore si da peso, altresì, al profilo della ‘forma’ richiesta per poter disporre in tal senso, in relazione alle vicende ultime di vita, richiedendosi o la forma scritta (criticata da chi – Guido Alpa in primis – preferisce parlare di libertà di forme), come previsto dalla legge olandese, o anche la presenza di testimoni e sottoscrizione (legge belga). Si fa, inoltre, rilevare (Patti) come l’art. 408 c.c., prevedendo che l’amministratore di sostegno possa essere nominato dal soggetto interessato – in previsione della sua eventuale futura incapacità – mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, faccia riflettere sulla necessità di prevedere tali forme per un atto che riguarda aspetti tanto più delicati nell’esistenza di una persona, quanto quelli attinenti alle direttive sulle vicende ultime di vita. Viene, infine, sottolineato come occorra riflettere di più e essere meno frettolosi, al fine di garantire il rispetto del paziente fino al momento della sua morte, preservando la qualità della sua vita. Fa da intramezzo ad un approccio più propriamente giuridico l’osservazione di chi (Corbellini) evidenzia i seguenti punti: rilevanza dei profili scientifici, etici, giuridici, politici, tutti indistintamente utili nella tematica in esame; accortezza nella scelta di una legge che, seppur fondata su una valida esigenza, sia aderente alle problematiche trattate; valutazione di quali e quante persone possano optare per l’utilizzo dello strumento delle direttive anticipate; attenzione sui possibili casi di scelte clandestine, una sorta di eutanasia clandestina che, nel silenzio della legge, possa affermarsi con maggiore frequenza. Nel corso della discussione si parla espressamente (Rescigno) di ‘morire con dignità’ e di ‘testamento biologico’ come istituto giuridico già possibile oggigiorno, con riferimento alle disposizioni che l’individuo ha dettato relativamente alla morte intesa come processo, e alle modalità con cui intende essere trattato, affidando tale sua volontà a chi deve attuarla, affinché si vigili sul rispetto della stessa. Le direttive anticipate, terminologia che deve essere preferita (conviene Rescigno), sono pertanto già presenti a livello di utilizzabilità. Tale espressione indica, a differenza del testamento, profili e aspetti non già concernenti una fase successiva alla morte del soggetto disponente, ma all’ultimo ‘discorso’, periodo di vita della persona. Si sostiene che non si debba legiferare perché il legislatore è molto spesso tenuto a scendere a compromessi nella sua attività regolamentativa, e che invece le direttive anticipate siano già dei mezzi ammissibili, leciti e tutelati alla stregua dell’ordinamento positivo, in termini di autodeterminazione dell’individuo con lo strumento negoziale. Alla scarsa fiducia, quindi, che si nutre nei confronti del legislatore, si affianca una ‘giurisprudenza avveduta’ (fa rilevare Rescigno) che allo stesso si sostituisce. Al legislatore, tutt’al più, potrebbero essere lasciati quegli aspetti legati alla forma della documentazione (forma delle direttive de quibus), ma anche sotto tale profilo si ritiene che già esistano nel codice dei riferimenti esaurienti. Nel prosieguo dell’incontro, si ribadisce (Balestra) l’importanza e il valore dell’autodeterminazione, della relazione medico/paziente, in cui quest’ultimo non è più visto come mero destinatario di una certa attività sanitaria, ma come soggetto attivo, dinamicamente coinvolto nelle proprie vicende. Si mette in evidenzia, in correlazione a tale aspetto, il fatto che il contenuto del dovere del medico sia mutato, soprattutto per quanto concerne i profili informativi, i rischi specifici, l’efficienza delle strutture sanitarie. A tale ultimo proposito, però, occorre si sottolinei – secondo l’opinione di chi scrive - come la realtà di tutti i giorni mostri palesi situazioni di malasanità, di mancanza di informazioni, di accortezze e di un senso di una ‘giusta e buona sanità’, meglio definibile con l’espressione ‘malpractice’ medica, i cui casi crescono di intensità e pericolosità, anziché diminuire. Tanto ricordato, viene sottolineato (Balestra) come sussista un equivoco legato all’intervento del legislatore che dovrebbe svolgere una funzione di promotore di interessi meritevoli di protezione giuridica. In aggiunta a ciò, si vuol tenere (Balestra) debitamente distinta la problematica del testamento biologico da quella dell’eutanasia, che rimane ai margini del dibattito, ma si inserisce nei limiti cui la volontà di ‘testare’ deve soggiacere. Piuttosto attesi, oltre agli interventi degli autorevoli giuristi, sono le posizioni del cardinale Tonini e di Umberto Veronesi. Il primo ritiene non debba accettarsi un discorso fondato su una differenziazione tra ciò che pensa il cattolico e ciò che pensa il non cattolico, in quanto si dovrebbe parlare di discorsi comuni su cui potersi confrontare. Da parte del cardinale, in maniera piuttosto chiara, vengono richiamati alcuni concetti, quale quello della conoscenza che deve precedere ad una legge, dell’importanza e delicatezza della motivazione di una legge, della coscienza e dei valori che la coscienza deve accettare. Si entra nel dibattito, affermando che la ricerca e il dibattito conducono a dire che ognuno possa decidere di sé, in altri termini che, alla presenza di certe condizioni, nessuno possa opporre obiezioni su una decisione del genere da parte di un individuo. Il problema sorgerebbe (secondo Tonini) allorquando si ponesse l’interrogativo sulla possibilità o meno di una legge che consentisse al medico di uccidere un individuo, senza che lo Stato, non chiamando in ballo il discorso religioso, si opponesse o facesse alcunché. Alle domande rivolte dalla stampa, il cardinale sottolinea come si accetti una visione del testamento biologico che consista nel dire le cure che si accettano e quelle altre che non si accettano, ma ritiene non si debba sfociare negli eccessi e non si debba attribuire valore legale alle richieste del singolo di farsi morire rivolgendosi al medico o di essere ucciso. A tal riguardo, il cardinale rivolge una sorta di invito ai presenti, affinché non si consideri la sua posizione contraria al progresso, ma come una voce fuori dal coro che affermi con forza che la vita è sacra e che mai dovrà arrivarsi a dire che l’uomo in certe condizioni non è più un uomo degno. La chiusura del dibattito viene affidata a Umberto Veronesi, il quale riprende la prima affermazione del cardinale per sottolineare come occorra procedere comuni, cattolici e non cattolici. Ad una domanda della stampa presente, risponde ricordando cosa debba intendersi per ‘direttive anticipate’, ossia quelle dichiarazioni relative a cosa la persona vorrebbe avere o meno in termini di assistenza medica, nel momento in cui non fosse consapevole e capace di decidere (porta l’esempio di incidenti tali da ridurre un soggetto in certe condizioni). Parla di un ‘diritto etico’, che sia tutelato dalla legge, e di una società pluralistica, in cui è impossibile aspettarsi dei valori etici condivisi. Partendo da tale differenziazione, l’ex ministro chiama in gioco l’importanza che deve avere la riflessione dei giuristi, considerando il fatto che il testamento biologico sia stato accettato da tanti ordinamenti stranieri. Si sottolineano le difficoltà cui la legge potrebbe andare incontro, soprattutto perché sarebbe una legge ‘ora per allora’, e non sarebbe facile prevedere in modo dettagliato le circostanze in cui si potesse trovare un individuo che volesse disporre relativamente a particolari momenti della propria vita. Viene, però, affermato a chiare lettere come si sia in totale accordo allorquando si dice che l’autonomia decisionale faccia parte di un bagaglio cui non è possibile rinunciare. Occorre, prosegue Veronesi, togliere ai medici il diritto di stabilire quanto ‘altri’ hanno diritto di vivere, attribuendolo – invece – a questi, quali titolari legittimi di tali scelte. Per quanto concerne le richieste effettive relative all’utilizzabilità di tale strumento, si sottolinea come l’attribuzione all’individuo del potere di redigere le dichiarazioni relative ai momenti terminali della propria vita, rappresenti un passo in avanti della civiltà. Infine, si porta alla conoscenza di tutti la proposta del gruppo di giuristi che si sono occupati del tema e della fondazione Veronesi, di istituire un registro di testamenti biologici, che oggigiorno hanno semplice valore di ‘direttiva’ nei confronti del medico, senza rivestire valore vincolante da punto di vista giuridico. L’idea di registro viene anche appoggiata dal mondo notarile, da cui provengono offerte di strumenti per poter realizzare anche giuridicamente tali dichiarazioni di fine vita. Scenari di un futuro non tanto lontano Cosa ci si può attendere dal futuro prossimo è questione non semplice cui poter rispondere. La tematica è piuttosto delicata, ingloba aspetti di chiara matrice etica, religiosa, scientifica e giuridica. La diversità degli approcci merita approfondimento, alla luce non soltanto delle proposte avanzate in via legislativa e ancora in fase di stallo, ma agli stessi ‘precedenti’ normativi che in altri Paesi costituiscono regola operativa. Una riflessione che miri a un approccio specifico, accorto nei contenuti che tali dichiarazioni anticipate dovrebbero avere, fornendo il giusto peso alla capacità del paziente, al consenso e alla volontà dallo stesso manifestata, ai casi in cui tali direttive potrebbero essere manifestate, alla possibilità o meno di un fiduciario che dia esecuzione (una sorta di esecutore testamentario) o vigili sull’esecuzione di tali dichiarazioni, ad ogni altro aspetto che sia utile riportare. Questa non è certamente la sede per proporre delle soluzioni o evidenziare dei punti critici delle iniziative presentate in Parlamento, ma per prospettare una riflessione che, sia per l’esiguità del tempo concesso all’interno del Convegno, sia per l’estrema delicatezza del tema, deve essere approfondita, prima di addivenire a un intervento di tipo legislativo. Ciò per evitare che ci si trovi innanzi a una regolamentazione affrettata, disattenta e poco aderente alla tematica che va trattata anche, e non soltanto, con sensibilità giuridica.