CHE COS’E’ IL PROGETTO PEDAGOGICO DEL NIDO La qualità di un nido d’infanzia è strettamente legata alla capacità delle educatrici di predisporre un progetto pedagogico e di individuare delle strategie educative di intervento capaci di dare senso a tutte le occasioni di gioco e ai vari momenti della giornata che il bambino vive al nido. La progettazione pedagogica rappresenta un metodo di lavoro che rende intenzionale e quindi consapevole l’attività educativa; per questo motivo è necessario che venga esplicitato il quadro dei riferimenti teorici, le linee operative delle educatrici, le “ buone pratiche” da cui derivano il benessere e la crescita psicofisica dei bambini che frequentano il nido. La meta intenzionale, l’obiettivo principale del progetto pedagogico è : la costruzione dell’identità del bambino( in stretto rapporto e condivisione con le famiglie), al cui interno coesistono la costruzione della emotività e la costruzione della cognitività. Tutto ciò significa che il presupposto da cui si parte è quello che all’immagine di un bambino bisognoso di cure ed attenzione, si è sostituito un bambino attivo, interattivo e competente , naturalmente predisposto al rapporto con gli altri e che, attraverso questo rapporto( coetanei, adulti, ambiente) sviluppa le sue competenze e attraverso lo scambio/confronto continuo con se stesso e fra se stesso e gli altri, costruisce la sua identità. Da ciò deriva che, in maniera competente, attraverso il progetto pedagogico, che individua obiettivi, organizza tempi e spazi del nido, sceglie giochi e materiali didattici, mette in atto routine per rendere sempre più significativo il lavoro di cura(accoglienza, igiene, pasto, sonno ecc..), al nido si fa educazione. “Fare educazione per i bambini significa anche creare un ambiente che parli del valore dell’infanzia, del posto e dei diritti di cui tutti i bambini dovrebbero godere: un ambiente sicuro, accogliente, curato, bello, colto. Un ambiente per il benessere, l’autonomia, la socialità, l’apprendimento”.*(S.Mantovani:Fare educazione da zero a tre anni, in AA.VV.,L’essere e il fare dei bambin) LA CORNICE TEORICA La progettualità pedagogica si inserisce in un contesto teorico di riferimento che è costituito da: Il bambino competente: in un contesto di “interazioni sociali”, quindi, il bambino elabora il suo processo di crescita non come progetto” soggettivo” ma “intersoggettivo”, cioè un “progetto in relazione”su cui influiscono moltissimi fattori che interagiscono fra di loro( approccio interattivo-cotruttivista) Approccio sistemico: l’intervento educativo deve tenere conto e rivolgersi ai diversi contesti di appartenenza e di esperienza dei bambini e quindi alle loro relazioni, rilevandone gli elementi di reciproca influenza e interdipendenza relativamente agli stili educativi che vengono agiti nei diversi contesti. Teoria dell’attaccamento: “il legame di attaccamento alle figure famigliari costituisce il sistema motivazionale centrale nei primi anni di vita, che spinge il bambino a mantenere la vicinanza fisica a queste figure per ottenere la protezione, tuttavia, l’interiorizzazione di questi legami di attaccamento consente al bambino di sentirsi sicuro anche quando queste figure familiari non sono presenti, perché si verifica una fiduciosa attesa del loro ritorno. Nel corso del ciclo vitale il bisogno di sicurezza, pur rimanendo centrale nell’esperienza personale, si declina in un modo più articolato, per cui se nei primi anni è necessaria un presenza fisica delle figure genitoriali, successivamente le fonti di sicurezza si ampliano ai legami sentimentali con un partner, ai rapporti di amicizia e alle stesse affermazioni e acquisizioni personali. (M.Ammaniti, a cura di, Attaccamento e rapporto di coppia,Raffaello Cortina ed.,1995) I PROTAGONISTI PRINCIPALI DEL PROGETTO PEDAGOGICO I protagonisti principali del progetto pedagogico sono i bambini, le educatrici, i genitori e le relazioni che si stabiliscono tra di loro. I BAMBINI Tutti gli interventi educativi, che sono rivolti ai bambini, sia che riguardino il lavoro di cura, che di più diretta promozione di esperienze cognitivo-relazionali, aperte al confronto ed allo scambio, fanno riferimento principalmente a tre tipi di intenzionalità progettuale: Identità Autonomia Competenze IDENTITA’ La strutturazione dell’identità, che si costruisce tra un flusso continuo di esperienze(elaborate tra il nido e la casa, tra la relazione fondamentale con i genitori e la relazione con tutte le altre significative figure parentali e le figure familiari delle educatrici)è soprattutto un’identità corporea, cioè il bambino vive e costruisce in termini cognitivi ed emozionali/affettivi il proprio SE’ attraverso gli atteggiamenti di coloro che fanno parte del suo universo di comunicazione e, quindi, attraverso le sue aspettative soddisfatte o insoddisfatte, da risposte o non risposte, strutturerà una o un ‘altra immagine di sè. Il corpo del bambino è importante sia perché veicola emozioni e percezioni della sua efficacia personale(al fine dell’elaborazione dell’identità), in quanto riceve attenzione dall’altro, sia perché è il centro del lavoro di cura nelle routine, da parte delle educatrici. Il lavoro di cura o routine, (cambio, pasto, sonno ecc..) per la sua ripetitività, durante la giornata, rappresenta un evento costante per il bambino perché è stabile e si ripete più volte al giorno. La ripetitività consente al bambino non solo di avere diversi momenti di rapporto affettivo individuale con una educatrice, ma di memorizzare le azioni che si compiono e addirittura di prevederle ed anticiparle. Tutto ciò costituisce,per il bambino, un percorso di tipo cognitivo e quindi impara e nello stesso tempo conosce, organizza la realtà e le relazioni con gli altri. AUTONOMIA Fra i tanti obiettivi di una corretta programmazione pedagogica, come ad esempio la sperimentazione della socialità, un altro tema è determinante e arricchente: il concetto di autonomia e cioè la capacità di imparare a governarsi da sè che viene interpretata come la sollecitazione, nel bambino, di un processo di complementarietà dialettica fra il saper fare a meno dell’adulto e il dipendere da lui. I bambini arrivano molto piccoli al nido in una “naturale” posizione di debolezza/dipendenza nei confronti dell’ adulto.”Questa debolezza tuttavia si è dimostrata il punto di forza dell’infanzia, proprio per proteggere, e così a lungo, i nostri piccoli e per trasformarli in attivi e produttivi membri del gruppo siamo stati costretti- e sin dalla notte dei tempi- a intrecciare rapporti di coppia e di gruppi…autonomia e autosufficienza sono, dunque, conquiste lunghe, contratte con gli altri membri del gruppo, dipendenti da regole e norme che esistono prima dell’individuo, e indipendentemente da lui(L.Restuccia Saitta Programmazione educativa e lavoro di gruppo in E.Catarsi, a cura di, La programmazione nell’asilo nido, Juvenilia 1998). Ma dobbiamo, attraverso il nostro intervento educativo aiutare il bambino ad emanciparsi da questa dipendenza; infatti se essa testimonia da una parte l’attaccamento all’adulto, l’autonomia rappresenta una elaborazione della capacità di separazione e, in sostanza, l’equilibrio tra due tendenze-di attaccamento e di separazione- e, in definitiva, la capacità di sopportare il “rischio” di fare a meno del rapporto con l’altro. Vogliamo spingere il bambino verso la conquista dell’autonomia, sostenendolo nel difficile percorso in cui il processo di autonomizzazione deve individuarsi non solo nella elaborazione della capacità di fare a meno dell’adulto, ma anche come futura conquista di interiorità e quindi come consapevolezza e coscienza della propria dimensione autonoma,anche dal punto di vista intellettuale. COMPETENZE Alla base del progetto pedagogico del nido esiste la consapevolezza che il bambino di cui ci si occupa è un bambino competente e cioè organizzato e predisposto, sin dalla nascita, al rapporto sociale, quindi il suo apparato sensoriale è strutturato per essere attratto verso l’oggetto sociale( gli altri) che inizialmente è costituito dalla famiglia, ma che presto include altre figure di riferimento come le educatrici e i coetanei. Lo sviluppo del bambino, quindi, non è un’ impresa che compie da solo,dal di dentro, ma è consentita dal passaggio, dal processo individuale in interazione con un contesto sociale , strutturato dagli adulti, quindi un processo di costruzione sociale. Le principali competenze che vengono sollecitate nei bambini riguardano soprattutto questi ambiti: - Competenze dell’ego - Competenze sociali - Competenze cognitive - Competenze relative al metodo di apprendimento LE EDUCATRICI E IL GRUPPO DI LAVORO Il gruppo educativo rappresenta la comunità educante del nido formata dall’insieme delle educatrici e costituisce una scelta metodologica per elaborare assieme il progetto pedagogico. E’ un insieme di persone in relazione che avrà successo o raggiungerà i suoi obiettivi educativi solo se i vari membri manterranno tale relazione e cercheranno di definirne la natura per dare maggiore chiarezza agli scopi: la progettualità pedagogica, l’operatività conseguente, il benessere del bambino, il rapporto con le famiglie ecc.. Le educatrici progettano e lavorano in gruppo e il progetto pedagogico è il risultato di un confronto, di un lavoro collegiale e di una significativa collaborazione,nella quale si acquisisce la capacità di entrare in relazione con l’altro di elaborare una disponibilità a modificare i propri modelli di riferimento non irrigidendosi all’interno dei propri schemi culturali. Il lavoro del gruppo educativo comporta sempre una responsabilità individuale e collettiva sulla quale bisogna porre con forza l’accento,affinchè la dimensione collegiale non rischi di diventare o essere vissuta come deresponsabilizzante; è nel gruppo che si elabora tutta l’esperienza del nido; il gruppo rappresenta, quindi, una comunità educante che, attraverso l’analisi della quotidianità, ridefinisce il modello pedagogico inteso come“ provvisorio”,perché dinamico, modificabile, storicizzabile, come dinamici sono i cambiamenti dei bambini, delle famiglie e della società. Il gruppo ha metodi e strategie di intervento per leggere la realtà e cogliere cambiamenti e nuovi significati:l’osservazione del bambino, l’ascolto, la valutazione e la documentazione. L’OSSERVAZIONE L’osservazione rappresenta lo strumento privilegiato per eccellenza nella pratica educativa che consente di conoscere, accogliere e “avere nella mente” ciascun bambino, permettendo all’educatrice di cogliere la sua specificità, i bisogni, i tempi,i cambiamenti e i suoi ritmi personali. Quali la fragilità, quali le risorse, quali i modi del comunicare dei bambini? Attraverso l’osservazione si possono infatti leggere i comportamenti dei bambini sia tra di loro che con gli adulti, attribuendo loro un significato, per fondare su questo la progettazione pedagogica e le relative strategie, in un’ottica di promozione delle risorse. In particolare l’osservazione del bambino consente, dopo aver impostato il progetto pedagogico complessivo del nido, di ritradurlo, scandendolo e traducendolo sul piano operativo, secondo le varie età dei bambini e di conseguenza diventa il “piano di lavoro” della sezione di appartenenza del bambino. E’ proprio all’interno della sezione, dove i bambini vengono suddivisi in piccolo gruppo, che è possibile osservarli, conoscere meglio i loro comportamenti, le loro reazioni ed il loro modo di relazionarsi. Su questi ed modi di essere si inserisce l’osservazione, il dialogo e l’ascolto dell’adulto, per elaborare il progetto educativo, la valutazione l’ autovalutazione. In campo educativo il significato e gli obiettivi della valutazione hanno assunto sempre più un contenuto complesso: partendo dalla definizione di questo termine come “procedimento sistemico che mira a determinare in quale misura gli obiettivi sono stati raggiunti dagli allievi”(D.Giovannini: Valutazione sotto esame, 1994.Vertecchi: Le parole della nuova scuola, 1998),si è passati ad un nuovo significato da attribuire al suo significato rispetto al contesto della progettualità pedagogica, ai suoi elementi fondamentali e ai suoi punti di forza ( spazi, materiali di gioco e didattici ecc..) all’intervento educativo delle educatrici, alle strategie comunicative con le famiglie ecc.. Ancora adesso si fa confusione fra i due termini verifica e valutazione, usandoli come sinonimi, mentre la verifica da un punto di vista concettuale precede la valutazione poiché” la priorità della verifica consiste nel fatto che essa ha il compito di rilevare elementi obiettivi, mentre la valutazione si esprime attribuendo a tali elementi un valore…”(Giovannini “Valutazione sotto esame” ,1994) IL RUOLO DELLA COORDINATRICE PEDAGOGICA La coordinatrice pedagogica, che lavora a stretto contatto con la dirigenza tecnica dei servizi per l’infanzia , è un forte punto di riferimento culturale ed educativo per il personale dei nidi e per le famiglie. E’ garante del buon funzionamento del Servizio e favorisce l’integrazione tra le componenti educative, organizzative e amministrative. E’ fortemente competente sul piano pedagogico e relazionale in quanto il suo impegno fondamentale è relativo alla salvaguardia della qualità educativa del servizio attraverso: - la conduzione del lavoro di gruppo - il sostegno delle educatrici nell’elaborazione del progetto pedagogico - l’elaborazione, assieme alla direzione tecnico/scientifica del servizio, dei progetti e delle iniziative pedagogica culturali - la proposizione, assieme alla direzione tecnico/scientifica del servizio, del progetto di formazione permanente delle educatrici - la valutazione e la verifica sia degli standard qualitativi del servizio che della progettualità pedagogica. I GENITORI L’altra componente significativa del “sistema nido” è rappresentata dalle famiglie che interagiscono sia fra di loro e con i loro bambini, sia con le insegnanti, attraverso la partecipazione. Nel tempo, il concetto di partecipazione e gestione sociale si è molto modificato, le strategie organizzative, per creare momenti diversi di rapporto con i genitori, hanno perso un certo contenuto formale e rituale per diventare vere occasioni di relazione e confronto con le famiglie. Immutato è rimasto invece il concetto della partecipazione dei genitori come parte integrante della progettualità pedagogica. L’intervento educativo ,pensato per il bambino, ha più rilevanza pedagogica se condiviso con i genitori. Il modo nuovo con cui viene intesa la partecipazione è un modo più personalizzato che tiene conto di bisogni differenziati. L’intervento sul bambino deve comprendere l’intervento ed il confronto con il genitore, un confronto meno rituale, dove è importante che si parli di tutti i bambini, ma è altrettanto significativo che vengano riservati momenti di incontro individuale o di piccolo gruppo dove sia possibile parlare di problemi educativi specifici per specifici bambini. Il significato della partecipazione assume altri obiettivi, da un lato la permanenza della necessità del confronto:il genitore deve avere l’opportunità di essere sostenuto anche nella sua difficoltà del lavoro di cura e di educazione, nella quotidianità del rapporto con il figlio. La partecipazione e l’incontro con le famiglie non rappresentano più una trasmissione di competenze da chi si occupa quotidianamente dei bambini e ha elaborato molte esperienze a chi ha meno spazi di confronto e opportunità di riflessione allargata e condivisa(le famiglie). Si è così delineato un modo diverso di stare con i genitori, passando dall’assemblearismo al “piccolo gruppo”, al rapporto più individuale, articolato in un maggior numero di colloqui. Nel piccolo gruppo i genitori denunciano la loro difficoltà a dare delle regole ai bambini, a sostenere i loro “no” e la loro capricciosità : le insegnanti li sollecitano a riflettere sulle loro incertezze ansie ed atteggiamenti intrusivi. Nasce un confronto libero, meno formalizzato, dove non si danno risposte ma si aiutano i genitori a trovare da se stessi delle risposte. I genitori debbono rappresentare una risorsa per le educatrici e il nido. Tutte le strategie d’incontro con le famiglie, da quelle formali a quelle informali della quotidianità, hanno un loro valore, perché significano autenticità di scambio, relazione praticata, dialogo favorito, ma fra le tante, due modalità sembrano avere una importanza particolare: l’incontro di sezione e il colloquio individuale con le famiglie. In tal senso, sono fondamentali le competenze comunicative e relazionali delle educatrici e la loro capacità di ascolto autentico. Il rapporto tra educatrice e genitori può rappresentare una delle esperienze più significative di confronto sui bambini per capirne la specificità di esperienza di vita , le loro esigenze, i loro particolari diritti che appartengono ad una”sfera di diversità”rispetto al mondo degli adulti, che ha qualità emozionali, percezioni spaziali e temporali diversamente percepite. I CONTESTI, I TEMPI, GLI SPAZI LE RELAZIONI La specificità dei SERVIZI educativi della prima infanzia è quella di rappresentare contesti e, quindi, sistemi relazionali complessi basati appunto su esperienze relazionali quali strumenti di crescita. Come già detto, la teoria a cui facciamo riferimento è quella costruttivista relazionale, dove si realizza il passaggio dal concetto di” socializzazione” al concetto di “sviluppo sociale”: in che cosa consiste il cambiamento? Lo sviluppo sociale non dipende unicamente dal bambino o dall’ambiente in cui è inserito, ma dall’interazione tra i due, cioè dalla relazione che coinvolge il bambino con tutto ciò che costituisce l’ambiente, persone, oggetti e situazioni. Da qui nasce la nostra attenzione non solo alla qualità della relazione ma alla organizzazione di un ambiente, nel suo complesso, che solleciti, coinvolga, stimoli alla relazione e alla comunicazione sempre più consapevoli. Per questo motivo la promozione della qualità relazionale è affidata ad alcuni elelmenti che nel loro complesso definiscono la qualità del nido: - Educatrice di riferimento, che rappresenta la possibilità di un rapporto personalizzato, privilegiato ed indispensabile soprattutto nei primi mesi di ambientamento del bambino al nido. In questo caso l’educatrice rappresenta colei a cui ci si può rivolgere in maniera prevalente ed assume un ruolo privilegiato nei confronti del bambino. Il suo ruolo è intrapreso con una relazione individualizzata, che passa attraverso il sostegno con lo sguardo,il contatto corporeo i gesti della cura nelle routine, la percezione del bambino che esiste nella mente di qualcun altro. La figura di riferimento ha un ruolo “momentaneo” di mediazione tra il bambino ed il contesto del nido ed i contenuti di questa mediazione vengono concordati con il gruppo educativo. - E’ compito dell’educatrice l’estensione progressiva della relazione, con il bambino e la madre, alle altre educatrici, attraverso una restituzione e un allargamento del rapporto in cui si inseriranno altre educatrici del gruppo, rendendo la figura di riferimento sempre disponibile, ma sempre meno indispensabile. SPAZIO/AMBIENTE di riferimento: tutto il nido potenzialmente è conosciuto ed è a disposizione del bambino(tranne, naturalmente, il divieto di accesso ad ambienti previsti per funzioni “altre” e quindi non adatte ai bambini e riservati agli adulti), ma come la stabilità di rapporto con la figura di riferimento, inizialmente rappresentata da una educatrice, lo spazio sezione all’inizio va privilegiato come spazio di riferimento “riconoscibile”, arredato con mobili, attrezzature e materiali ludici altrettanto“riconoscibili", da fare ”propri” per conquistare quella sicurezza (nello spazio) che è la condizione per il processo di apprendimento, per l’esplorazione e la scoperta. Questo spazio deve diventare, per il bambino, uno “spazio di identità” per elaborare poi la capacità di avventurarsi “oltre”, negli spazi comuni, nei corridoi, in quelli che vengono chiamati spazi di intersezione. GRUPPO DI APPARTENENZA: Perché il bambino elabori sicurezza, benessere e autonomia è necessario una certa stabilità all’interno di un gruppo di coetanei che impara a conoscere attraverso una frequenza continuativa. I legami di familiarizzazione, con gli altri bambini, nascono proprio dall’essere assieme, in uno stesso spazio , a fare giochi comuni. Per questo motivo, anche all’interno delle sezioni, la qualità progettuale è testimoniata dalla metodologia di intervento delle educatrici che dividono il gruppo dei bambini in piccoli sottogruppi, affinché le relazioni, che favoriscono l’imitazione del gioco e quindi l’apprendimento, si strutturi con più facilità perché meno interrotta da un eccesso di variabili proprie dei grandi gruppi. Nel piccolo gruppo, inoltre, è più facile stabilire legami fra bambini che maggiormente stimolano la loro capacità di relazione; nel grande gruppo ci si può sentire meno riconoscibili, meno differenziati ed è più facile, come per noi adulti, stabilire contatti quando interagiamo con poche persone. EDUCARE AL TEMPO Sul piano relazionale, un’altra importante strategia è quella di dare ampio spazio ai tempi della cura del bambino; tale lavoro, al contrario di ciò che comunemente si crede, è complesso e richiede capacità di tipo psicologico, organizzativo e strategico. Richiede capacità di accoglienza e di ascolto dell’altro, condivisione delicata di intimità con il bambino, saper stare e sapere comunicare con i più piccoli, abituandoli man mano all’autonomia. Comprendere che nel lavoro di cura prende inizio un percorso di relazione, ma anche di routine quotidiano, perché il bambino, attraverso la ripetitività di questi momenti ( accoglienza, pranzo, cambio, sonno, uscita ecc..) e dei gesti dagli adulti ne apprende talmente bene la sequenza che diventa subito in grado di anticiparla. Così accede ad un ambito, quello simbolico, che rappresenta uno dei percorsi di conoscenza per eccellenza. La ripetitività dei gesti quotidiani permette ai bambini di prevederli ed anticiparli. Ad esempio andare in gruppo a lavarsi le mani per sedersi a tavola può essere compreso dal bambino anche piccolissimo come l’annuncio del pranzo, anche se ancora i carrelli portavivande non sono arrivati. Ciò significa che i bambini hanno intuito qualcosa che non hanno visto ancora e ciò rappresenta un importante processo di interiorizzazione/simbolizzazione e quindi di conoscenza. ALCUNI STRUMENTI DELL’AZIONE EDUCATIVA, SPAZI, TEMPI , ROUTINE, SCELTE DI MATERIALI LUDICI E DIDATTICI. Molti sono gli “strumenti” dell’azione educativa, all’interno di un progetto pedagogico e nella quotidianità del nido; ne abbiamo selezionato alcuni perché rappresentano sicuramente indicatori di qualità fra i più importanti. Il progetto pedagogico non deve mai restare astratto, ma si deve tradurre in proposte di routine, adeguate ai bambini, in spazi significativi dal punto di vista educativo ed in una buona qualità del materiale ludico e didattico. Abbiamo precedentemente parlato delle routine come attività quotidiane, abitualizzate, che rappresentano sequenze fisse di natura diversa. Nella pratica della quotidianità del nido si sono individuati alcuni momenti organizzativi, fra i quali i più rilevanti possono essere rappresentati dall’entrata, l’uscita, il saluto; momenti biologici di cura personale come il cambio, il pasto, il sonno ed infine momenti funzionali come l’organizzazione degli spazi o alcuni tipi di gioco ai quali più frequentemente si ricorre. ( di P.Berrtolini,M.Callari Galli, A. Palmonari,L.Restuccia Saitta: “Le ragioni del nido”,Firenze, La Nuova Italia) Noi riteniamo che le routine rappresentino momenti centrali nella progettualità pedagogica, perché, se ben organizzate, costituiscono la qualità della vita quotidiana al nido e la fonte principale delle esperienze dei bambini piccoli. Inoltre, l’entrata e l’uscita, il pasto, il cambio e il sonno rappresentano sicuramente i momenti in cui più personalizzato e significato si fa il rapporto fra adulto e bambino. La relazione, al nido, va infatti giocata, da parte degli educatori, fra occasioni di uno stare assieme collettivo e occasioni di rapporto individualizzato. Attraverso le cure del corpo, il bambino comincia a comprendere che il corpo è il mezzo del suo comunicare. Associando le risposte dell’educatrice alle sue esigenze e richieste, egli impara a percepire la cessazione di sensazioni sgradevoli (fame, sete, bagnato ecc…) e le mette in correlazione (attraverso la ripetitività della situazione e della congruente risposta) con l’intervento dell’educatrice. Riceve da ciò un senso di sicurezza affettiva ed emotiva. Le routine, quindi, rappresentano modi di conoscenza, di strutturazione e di consolidamento della realtà. La ripetizione di gesti abitualizzati e la regolarità delle azioni dell’educatrice significano dare al bambino la percezione della costanza del mondo. Altro aspetto importante di intervento qualitativo è legato alla strutturazione degli spazi interni ed esterni del nido. Anche se partiamo dal presupposto che lo spazio del nido deve essere inteso come sistema aperto e modificabile, la nostra organizzazione degli spazi è legata al concetto, come già detto, di suddivisione degli ambienti in sezioni che accolgono bambini di età diverse, ma omogenee all’interno della stessa sezione. Naturalmente, nel grande salone, organizzato con spazi per la narrazione, la drammatizzazione, la biblioteca e la costruzione dei burattini e dei libri (oltre ad un percorso laterale di tipo senso-motorio) sono previsti momenti di intersezione che riuniscono gruppi di bambini misti per età per offrire loro occasioni di incontro nei quali è possibile sperimentare relazioni sociali anche con i più piccoli, rivolgendosi a loro in modo empatico ed accogliente o con atteggiamenti tutori o consolatori. Il rapporto tra educatrice e spazio/nido deve essere dinamico, cioè l’educatrice deve concepirlo come possibilità di previsione di ciò che dentro di esso può essere agito, vissuto da se stessa e dai bambini, per organizzare assieme un ambiente di vita “giocando” con lo spazio, non lasciandosi condizionare dalle tirannie degli ambienti preorganizzati, ma costruendo, sfruttando percorsi “divergenti” per insegnare ai bambini a dominare lo spazio e a non subire costrizioni ed impedimenti da esso. L’importanza dell’organizzazione spaziale nasce dal fatto che il nido rappresenta per i bambini una alternativa molto rilevante all’immagine del mondo esterno che essi hanno rispetto all’ambiente: essi non possono non essere influenzati sia dal punto di vista cognitivo che affettivo nella loro visione del mondo. Come abbiamo già detto, nella progettazione e nella organizzazione e uso degli spazi interni del nido, abbiamo fatto riferimento a due categorie mentali fra di loro complementari e cioè rassicurazione/riconoscimento, esplorazione/scoperta. Ciò significa garantire ai bambini un insieme di situazioni, piccoli spazi, arredi e oggetti creati o scelti per evitare il senso di inadeguatezza ed estraneazione che è proprio di chi si inserisce e affronta un ambiente in cui non sono collocati riferimenti di conoscenza che gli danno il senso della propria permanenza anche in un ambiente sconosciuto. E’ indispensabile, allora, la possibilità di circoscrivere lo spazio, di creare luoghi/tana in cui si possa rinchiudere per sentirsi protetti, di organizzare angoli “morbidi” con tappeti e cuscini, pupazzi e bambole, oggetti affettivamente rassicuranti. Bisogna, insomma, creare anche opportunità, per il bambino, di passare dalla sfera sociale, collettiva, dimensione propria del nido per la presenza di molti adulti e bambini insieme, a quella individuale-privata, nella quale è possibile scegliere di restare soli con se stessi a pensare, considerare, rielaborare, fantasticare di noi, degli altri e delle cose. Le esigenze di esplorazione e di scoperta riguardano, invece, gli aspetti che nella strutturazione degli spazi e soprattutto nel loro uso, favoriscono la curiosità del bambino, l’interesse, la conoscenza del mondo esterno, lo sviluppo percettivo motorio. Gli spazi esterni dovrebbero costituire molteplici esperienze,alcune legate alle loro peculiarità, altre di mantenimento delle occasioni pedagogiche che i bambini sperimentano all’interno. Gli esterni debbono offrire angoli per la lettura, la pittura, i giochi a tavolino, ma anche giochi con l’acqua, la terra, la semina, il movimento e l’avventura. DOCUMENTAZIONE Documentare all’interno dei servizi socio-educativi è uno strumento fondamentale per consentire di lasciare traccia e quindi memoria di ciò che accade, costruendo la “Storia Pedagogica” del nido e una memoria della crescita e della esperienza del bambino. La documentazione a cui noi lavoriamo ha tre obiettivi: uno istituzionale (progetti, filmati, fotografie, manifatti dei bambini) che riguarda tutto il materiale che rimane al nido come sua storia e percorso pedagogico che permette di ricostruire la sua identità educativa ed il suo evolvere nel tempo. L’altro obiettivo è rivolto alla famiglia e riguarda sia la trasmissione di informazioni documentate della esperienze fatte dal bambino al nido (es;il diario del bambino) sia gli aspetti affettivi/emozionali perché riguardano una fase dell’età del bambino che sarà supportata, nel ricordo, da tutte queste testimonianze. L’ultimo obiettivo è il bambino:lo aiuteremo a costruire memoria di sé, ad avere un passato da ricordare perchè il materiale di documentazione gli restituisce gesti, sentimenti,emozioni,volti e vissuti che hanno costituito la sua quotidianità al nido. VALUTAZIONE E AUTOVALUTAZIONE In campo educativo, il significato e gli obiettivi delle valutazioni hanno sempre più assunto un contenuto complesso: partendo dalla definizione di questo termine come “procedimento sistemico che mira a determinare in quale misura gli obiettivi sono stati raggiunti dagli allievi” (*Giovannini:Valutazione sotto esame ,1994), si è passati ad un significato di valutazione del sistema e cioè del contesto, della progettualità pedagogica, degli elementi fondamentali nei suoi punti di forza ( spazi , materiali di gioco e didattici ecc..) , dell’intervento educativo degli operatori, delle strategie comunicative con la famiglia ecc.. Lo stesso Vertecchi, nel “La parola della nuova scuola”del 1988, ricordava che si tendeva a fare una certa confusione tra i termini “Verifica” e “Valutazione” usandoli come sinonimi, mentre, secondo lo studioso, la verifica da un punto di vista concettuale, precede la valutazione poiché”la priorità della verifica consiste nel fatto che essa ha il compito di rilevare elementi obiettivi , mentre la valutazione si esprime attribuendo a tali elementi un valore....” Bisogna interpretare il termine “Valutare” in senso educativo facendo riferimento, nel caso del nido, non ad una pratica di misurazione e tantomeno delle condotte individuali o degli apprendimenti dei bambini, ma piuttosto ad un processo di attribuzione di senso su tutti quegli elementi che costituiscono la progettualità pedagogica del Servizio. Ciò significa darsi degli strumenti per mantenere la qualità che un nido deve avere per consentire il benessere dei bambini, attraverso le sinergie messe in atto dagli attori del processo gestito dagli operatori, dei coordinatori pedagogici, dai dirigenti gestionali, dai genitori sia attraverso la valutazione delle strategie e degli spazi di relazione elaborati. Mettere in atto un processo di valutazione significa, non solo rispondere, ovviamente in termini quantitativi alla accoglienza dei bambini, ma costruire occasioni formative di qualità che diano strumenti principalmente alle stesse educatrici, per essere in grado di verificare se stesse “ in situazione” e, di conseguenza, essere capaci sia di rimodellare la propria qualità relazionale e di significato nel rapporto con i bambini, i genitori, le colleghe, sia di predisporre, con maggiore capacità critica, contesti educativi capaci di rispondere in modo sempre più coerente, ai diritti ed ai bisogni dei bambini relativamente alla loro crescita e formazione. Il percorso del progetto di valutazione/autovalutazione ha inizio da un processo nel passato, legato allo schema “ programmazione ,sperimentazione,verifica” dove l’obiettivo era verificare gli obiettivi di didattici, i metodi didattici i materiali di gioco, gli ambienti e dove viene introdotto il dubbio che nell’ intervento educativo delle operatrici del nido spesso la verifica riguarda il comportamento del bambino, a prescindere dalla relazione dell’adulto educatore. La verifica, deve essere fatta sui propri comportamenti e non solo su quelli dei bambini. Ciò non significa scegliere tra un comportamento autoritario o permissivo, ma riuscire ad entrare nel merito di ciò che è pedagogicamente corretto, congruente tra l’obiettivo pedagogico e le strategie educativo/relazionali, cioè saper scegliere trai diversi modi dell’educare a seconda delle situazioni e degli obiettivi. Significa avere un ruolo di “regista” delle varie attività e lasciare ai bambini l’inventiva , la scelta dei tempi e della durata degli interessi personali. Oggi significa, come già detto, sostenere il ruolo tutoriale o di modeling dell’educatrici a cui va intrecciato il lavoro di cura, che va sempre ridefinito, sia per i percorsi relazionali sia per i percorsi cognitivi che attiva nei bambini. Il contenuto del concetto di professionalità delle educatrici è diventato, quindi , estremamente complesso perche richiede anche capacità di ascolto del bambino che non consiste in una pratica passiva ma si traduce, invece , in una attiva disponibilità ad incontrare l’altro in un rapporto comunicativo ”Deve essere attiva ricerca dell’interlocutore deve essere sforzo attivo di comprensione . la reciprocità del rapporto non è data dalla disuguaglianza tra chi parla e chi ascolta, dalla parità dell’impegno comunicativo, nessuno può solo parlare, come nessuno è solo ascoltatore”. (S.Cicatelli:”Per una n.46,Torino,SEI,1999) pedagogia dell’ascolto”in Orientamenti pedagogici D’altra parte, se non c’e nessuno capace di ascoltare, anche le nostre parole risultano inutili, non producono effetto e ci restituiscono l’immagine di una drammatica solitudine comunicativa. I modi dell’intervento dell’educatrici per essere valutati devono essere progettati (intenzionati) e debbono avere una specificità educativa che va elaborata a due livelli: - Presa in carico individuale del progetto pedagogico - Presa in carico collettiva del progetto pedagogico Ciò significa, in termini di responsabilità, la consapevolezza, la concretezza di un proprio soggettivo intervento che , nell’interpretazione di un mandato pedagogico elaborato dal gruppo educativo, viene gestito, tradotto operativamente con il proprio stile comunicativo, con la propria capacità di sapere scegliere, fra le varie opzioni educative, quella più consona alla situazione che si è presentata in una data occasione educativa. Quindi nessuna delega, nessuna deresponsabilizzazione. La presa in carico collettiva significa elaborare, rispetto alla progettualità pedagogica,il passaggio dall’essere un gruppo di relazione all’essere un gruppo di integrazione e ciò si realizza, attraverso il confronto delle idee (sul bambino, sull’educazione, sul ruolo professionale sul tipo d’intervento, sull’organizzazione degli spazi etc..), la negoziazione delle diverse “visioni del mondo”, l’abbassamento della “soglia dei propri convincimenti personali” per ascoltare l’altro, con la mediazione del coordinamento pedagogico. Lavorare in gruppo per progettare, significa, infine, “l’orchestrazione delle differenze”. Da qui il percorso che un gruppo educativo deve fare si può articolare attraverso queste fasi: - L’osservazione e l’analisi della situazione; - L’identificazione e l’elaborazione del progetto d’intervento; - La presa in carico di gruppo e individuale di tale progetto; - La valutazione dei risultati e l’auto valutazione ; - La documentazione relativa al progetto realizzato e agli strumenti di valutazione In questo senso è importante che al gruppo educativo sia rivolto un percorso di formazione che consente di elaborare modelli di autovalutazione e di valutazione. Nel primo caso, si mettere in atto alcune strategie di gruppo come strumenti di crescita comune e di autovalutazione riguardanti : - Il lavoro di valutazione svolto - Messa in comune del significato della valutazione - Discussione relativa al ruolo professionale degli operatori, analizzando schede di osservazione approntate in tal senso (ad esempio nei percorsi formativi) - Analisi e autoanalisi critica di materiale video registrato in vari momenti e contesti d’intervento educativo - Ridefinizione delle progettualità pedagogica, delle strategie educative e del loro ruolo nel rapporto con i bambini come conseguenza della decodifica del materiale elaborato (scheda e videoregistrazione). Parlare sia di valutazione che di autovalutazione, come si è appena detto (uso di schede analisi di videoregistrazioni), significa fare, ancora una volta riferimento al metodo osservativo, fondamentale per conoscere, sostenere, “stare accanto”, educare un bambino. La progettualità pedagogica del nido rappresenta , in definitiva, l’identità stessa del nostro Servizio. La direzione pedagogica