SIS Piemonte
“L’idealismo tedesco”
Specializzata: Elisa Molina
Supervisore: Prof. Marco Cuaz
Anno accademico: 2008/2009
LE TEORIE DI RIFERIMENTO
Insegnare la filosofia o insegnare a filosofare?
Quale funzione può rivestire oggi l’insegnamento filosofico? In che consiste il compito di un
insegnante di filosofia? C’è ancora per gli adolescenti “bisogno di filosofia”? Domanda
quest’ultima più che legittima, viste le numerose voci, soprattutto di studenti ed ex-studenti,
che diffusamente denunciano la difficoltà, l’inutilità e la vacuità della filosofia. Molti, anche a
distanza di anni, lamentano in realtà di non aver mai ben compreso lo statuto teorico e
soprattutto la funzione culturale della filosofia e altrettanti confessano apertamente di essere
“sopravvissuti” all’insegnamento liceale della filosofia limitandosi a studiare a memoria e a
ripetere meccanicamente quanto detto dall’insegnante, senza neppure capire bene quanto
studiato.
Questo genere di affermazioni, purtroppo molto diffuse, contribuiscono a diffondere l’idea
che la filosofia non sia altro che un susseguirsi di affermazioni poco comprensibili, per non
dire insensate o -per usare le parole di Hegel- «una filastrocca di opinioni diverse», che
rischia di diventare «curiosità oziosa o, se si vuole, interesse di semplice erudizione»
(1998:16): triste esito, a mio parere, di un modo di intendere la filosofia come una disciplina
puramente nozionistica.
In realtà, in passato alcuni importanti filosofi avevano puntualizzato come l’insegnamento
della filosofia dovesse consistere non in una pura trasmissione di contenuti, quanto piuttosto
in un avviamento alla capacità di “filosofare”. Emblematico il caso di Kant:
«il sistema di ogni conoscenza filosofica, orbene, si dice f i l o s o f i a. È necessario
considerarla oggettivamente, se per filosofia si vuole intendere quel modello per valutare tutti
i tentativi di filosofare, che debba servire per giudicare ogni filosofia soggettiva, la cui
costruzione è spesso così varia e mutevole. A questo modo, la filosofia è una semplice idea di
una scienza possibile, mai data in concreto, alla quale tuttavia cerchiamo di avvicinarci per
molte strade, sintanto che non venga scoperto l'unico sentiero, quasi cancellato dalla
sensibilità, e sintanto che non ci riesca, per quanto è concesso agli uomini, di rendere la copia
- sinora difettosa - uguale al modello. Sino a quel momento, non potremo imparare alcuna
filosofia: in effetti, dov’è essa, chi mai la possiede, e da che cosa si può riconoscere? Si può
soltanto imparare a filosofare, ossia si può soltanto esercitare il talento della ragione,
applicando i suoi principî universali a certi esperimenti dati, ma sempre con la riserva del
2
diritto della ragione di indagare quei principî seguendoli sino alle loro fonti, per confermali o
rifiutarli»(1976:810-1).
Alla luce di queste indicazioni kantiane, l’insegnamento della filosofia si dovrebbe
configurare come l’educazione costante all’uso critico della ragione. Per questo motivo non si
deve “insegnare la filosofia” -che, a ben vedere, non esiste neppure, se intendiamo la filosofia
come una disciplina dotata di un contenuto oggettivo, come un sapere dato e codificato una
volta per tutte-, ma si può e si deve invece “insegnare a filosofare”, abituare cioè il discente
a riflettere criticamente, liberamente ed autonomamente sui più diversi problemi.
Lo stesso Gentile, che molti vedono come uno dei primi responsabili della crisi
dell’insegnamento della filosofia in Italia, in realtà sottolineava come «studiare la filosofia
non significa studiare certe determinate materie, ma sollevarsi a considerare filosoficamente
certi problemi» (Firrao (a cura di) 2001:185).
Ma questo obiettivo è stato sistematicamente rimosso e mancato dall’insegnamento della
filosofia nelle scuole italiane, a favore di un insegnamento della filosofia basato sulla
trasmissione dei contenuti più che sull’esercizio del pensiero1: il modello che Cioffi definisce
«trasmissivo-enciclopedico» ( Firrao (a cura di) 2001:249 sgg).
Oggi, tuttavia, sembriamo assistere ad una sorta di “rivincita di Kant”: la nuova didattica della
filosofia ritorna a privilegiare il “fare filosofia” rispetto all’ “imparare la filosofia”. Almeno a
livello teorico, si parla sempre più spesso di filosofare, educare alla riflessione critica, fare
esperienze filosofiche in classe2.
Concezione della filosofia decisamente più accattivante e motivante, sia per i discenti che per
i docenti. In questa cornice, l’insegnamento della filosofia avrebbe l’indubbio vantaggio di
coinvolgere gli allievi e metterli in condizione di riflettere liberamente sulle questioni che li
appassionano e li interessano, di formare giovani “pensatori” e consapevoli, capaci di
riflettere criticamente su quanto riguarda la loro esistenza e di pensare con la loro testa, senza
appoggiarsi necessariamente al
senso comune e alle opinioni altrui, di valorizzare
maggiormente il contributo dei singoli; un tale approccio inoltre andrebbe nella direzione del
1
Lo stato di crisi della filosofia italiana è peraltro riconosciuta dagli stessi addetti ai lavori ed emerge a chiare
lettere da numerosi dibattiti, dando esito anche a qualche accesa polemica. A questo proposito cfr. Firrao (a cura
di) 2001 e, in particolare, la seconda parte (183-256), dedicata espressamente ai problemi legati all’insegnamento
della filosofia. Per una più ampia panoramica storica sulla discussione sviluppatasi in Italia dal Risorgimento ad
oggi intorno ai problemi della filosofia liceale, cfr. Telmon 1971). Cfr. inoltre Vigone-Lanzetti (a cura di) 1987,
che presenta un’indagine particolarmente curata (sebbene ormai un po’ datata) sullo stato dell’insegnamento
della filosofia e sugli insegnanti stessi.
2
Basti confrontarsi con molti dei più recenti contributi di didattica della filosofia, che fanno riferimento, fin dal
titolo alla dimensione del “fare” filosofia; De Pasquale (a cura di) 1996; De Pasquale 1994; Calandra 2001;
Ruffaldi- Trombino 2004; Trombino 2008.
3
superamento del divario scuola-società, denunciato come uno dei problemi più grandi della
scuola contemporanea.
Ma in che misura è realmente possibile applicare questa teoria dell’insegnamento filosofico
nella pratica educativa? Purtroppo, infatti, questo approccio non è privo di controindicazioni e
necessita di un lungo lavoro preliminare sulla classe finalizzato alla creazione di un idoneo
ambiente di apprendimento.
Impostare un intero programma di filosofia sull’apprendimento del filosofare sarebbe
realmente possibile solo con una classe dotata di un buon bagaglio a livello di lessico e
contenuti e molto motivata all’apprendimento.
Condizioni molto difficili da trovare e impossibili da creare nelle poche ore della mia
esperienza di tirocinio, dove è stato fondamentale, invece, la capacità di adattarsi al contesto e
di affrontare gli imprevisti di fronte ad una classe nuova, variando anche in itinere il progetto
che avevo inizialmente in mente.
Ad ogni modo, nonostante la ristrettezza del tempo e i vincoli di programmazione cui mi sono
dovuta attenere, ho cercato comunque, per quanto possibile, di finalizzare il mio
insegnamento non tanto alla trasmissione di contenuti, quanto piuttosto alla formazione di
abilità e all’apprendimento di un metodo per capire la realtà, servendomi dei contenuti stessi
come occasione di riflessione e problematizzazione.
Imparare ad imparare: la didattica metacognitiva
L’approccio didattico cui mi sono ispirata durante l’attività di tirocinio e che, in generale, sta
alla base del mio modo di intendere il processo di insegnamento-apprendimento, è la
didattica metacognitiva. Mi sono avvicinata ad un tale approccio alcuni anni fa, dopo aver
seguito alcuni corsi di approfondimento sulla psicologia dell’apprendimento e in particolare
sulla metacognizione tenuti dal prof. Cornoldi, uno dei massimi esperti italiani
dell’argomento. Il termine “Metacognizione”, coniato da Flavell (1976), significa
letteralmente “oltre la cognizione” e sta ad indicare la capacità di “pensare sul pensiero”. In
particolare, la definizione indica da un lato la consapevolezza che il soggetto ha dei propri
processi cognitivi, dall’altro il controllo che egli esercita nell’eseguire i compiti mentali
(Cornoldi 1995).
Il presupposto è che, se da una parte esistono dei processi cognitivi di base -quali la capacità
di leggere, di memorizzare, di prestare attenzione- fino a quelli più complessi -quali prendere
decisioni, risolvere problemi-, esiste dall’altra la possibilità di poter riflettere sul modo con
cui un individuo utilizza tali processi.
4
Questo andare oltre la cognizione significa, dunque, sviluppare nel soggetto la
consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è opportuno farlo ed in
quali condizioni.
La didattica metacognitiva è un approccio che utilizza deliberatamente e sistematicamente
concetti e metodologie mutuati dagli studi sulla metacognizione3. Esso rappresenta, senza
dubbio, lo sviluppo recente più interessante e utile tra quelli originati nell’ambito della
psicologia cognitiva e viene applicato attualmente con risultati positivi sia a livello della
metodologia didattica rivolta alla generalità degli alunni, sia negli interventi di recupero e
sostegno di quelli con difficoltà d’apprendimento4.
Peraltro, la didattica metacognitiva mi sembra l’approccio didattico maggiormente in linea
con quanto sostenuto precedentemente, ovvero che un buon insegnante di filosofia non
dovrebbe avere di mira tanto la pura trasmissione dei contenuti, quanto l’esercizio del
pensiero e delle capacità critiche.
Principio ispiratore e fulcro di tale didattica, infatti, è che imparare non vuol dire solo
acquisire conoscenze -dichiarative piuttosto che procedurali-, ma piuttosto esser consapevoli
del proprio funzionamento cognitivo, della propria situazione di apprendimento e delle
strategie da adottare in un particolare contesto, essere in grado di capire la difficoltà di un
compito, riconoscere i propri limiti e le proprie risorse: in poche parole, “imparare a
imparare”.
In altre parole, si tratta di una didattica attenta, ancor prima che al “prodotto”, al “processo” di
insegnamento-apprendimento, ovvero alle modalità di comprensione ed utilizzazione delle
conoscenze e delle abilità acquisite.
Dal punto di vista didattico ed educativo, questo approccio presenta molti e indiscutibili
vantaggi: innanzitutto, esso permette di rendere sempre più efficace l’intervento didattico,
puntando sulla possibilità di miglioramento della formazione degli allievi e sulla possibilità di
trasformarli in “gestori diretti” dei propri processi cognitivi, grazie allo sviluppo delle loro
capacità cognitive superiori.
3
Per un esempio di programma didattico metacognitivo, cfr. Cornoldi-De Beni 2001.
In ambito scolastico, dapprima la metacognizione venne utilizzata come strategia di intervento specifica nei
casi di difficoltà di apprendimento, ma ben presto ci si rese conto che esse poteva servire come potenziamento
cognitivo anche nei casi cosiddetti “normodotati” e si è cominciata a delineare una prospettiva di insegnamento
centrata sull’allievo, di matrice costruttivista. Negli ultimi anni, con le sollecitazione provenienti dall’ultima
riforma della scuola (L. 53/2003) la metacognizione e la didattica metacognitiva sono state riscoperte come
strategie specifiche di sviluppo delle competenze. Infatti, partendo dall’idea che la competenza sia la capacità di
utilizzare in modo intelligente e funzionale alla soluzione di problemi, ma soprattutto in modo consapevole,
abilità e conoscenze acquisite, la metacognizione può essere un punto di partenza fondamentale ed
imprescindibile nel favorire l’acquisizione delle competenze stesse.
4
5
Inoltre, esso ha il vantaggio della flessibilità, nel senso che mira all’insegnamento di
competenze che gli allievi potranno applicare autonomamente a situazioni sempre nuove e
riutilizzare al di fuori dell’ambito specifico in cui si sono formate.
E ciò diventa tanto più importante se pensiamo alla società attuale, sempre più complessa,
contraddittoria, in continua evoluzione, esposta a processi di cambiamento complessi, dove si
evolvono continuamente i modi di produrre e di lavorare, dove mutano i profili professionali e
gli stessi comportamenti umani. In un tale contesto sociale, sarebbe anacronistico pensare ad
una scuola deputata esclusivamente alla trasmissione della cultura. Diventa sempre più
pressante, invece, l’esigenza di una scuola intesa come sistema formativo che metta in grado i
suoi allievi di sapersi orientare in un panorama di vita in incessante e imprevedibile
cambiamento e di continuare ad apprendere anche al di fuori delle mura scolastiche in modo
autonomo e critico, nell’ottica di un’educazione permanente (lifelong learning)5.
Inoltre, ha il vantaggio di valorizzare e potenziare delle risorse degli allievi, nel rispetto della
loro diversità cognitiva: la didattica metacognitiva, infatti, prevede anche l’attenzione alle
caratteristiche individuali degli studenti (es. differenti stili cognitivi, differenti intelligenze,
differenti teorie dell’intelligenza e motivazioni)6.
Infine, esso favorisce il superamento di concezioni didattiche incentrata sull’insegnante o
sulle singole discipline, a favore di una modalità di intervento formativo incentrata sul
soggetto che apprende, che può partecipare attivamente e personalmente all’acquisizione delle
proprie conoscenze.
Partire dalle domande, non dalle risposte
La didattica metacognitiva può concretizzarsi in varie forme e utilizzare vari strumenti, ma al
fine di cogliere la complessità e la flessibilità del nostro pensare possono essere utili attività
didattiche che pongano al centro situazioni problematiche, che favoriscano la discussione e il
confronto dei punti di vista e delle possibili soluzioni, che stimolino la riflessione sulle
procedure che si possono adottare, che pongano in evidenza le modalità che ciascuno mette in
atto per affrontare un determinato compito.
5
Sull’argomento, cfr. anche i contributi della sociologia della scuola, che collega la terza rivoluzione industriale,
basata sull’informazione e la conoscenza, alla necessità di un nuovo tipo di formazione che deve essere svolto
dalla scuola; cfr. Fischer 2007.
6
Sull’argomento, è presente una vasta letteratura di riferimento. Tra i contributi più importanti la teoria delle
intelligenze multiple di Gardner (1987) e la teoria degli stili di pensiero di Stenberg (1987).
6
Questo tipo di attività, inoltre, ha il vantaggio di stimolare nei ragazzi la motivazione, che
rappresenta un elemento fondamentale, senza la quale è impossibile attivare il processo stesso
di apprendimento (De Beni-Moè 2000).
La motivazione è un concetto piuttosto ampio, che può essere visto da più punti di vista
diversi a seconda delle teorie di riferimento. La definizione classica, rifacendosi
all’etimologia del termine (dal latino motus), vede la motivazione essenzialmente come una
“spinta del soggetto verso un oggetto”; ma questa definizione -che può andar bene per alcuni
approcci come quello comportamentista, quello psicodinamico, quello della motivazione
intrinseca- appare, comunque, un po’ limitata, in quanto considera la motivazione solo in
relazione al singolo.
In realtà, le teorie più recenti sottolineano che bisogna considerare la motivazione anche in
relazione al materiale proposto e alla situazione. Diventa allora importante in questo senso il
ruolo dell’insegnante nel proporre attività motivanti, nel senso di essere significative e legate
all’esperienza quotidiana dei ragazzi (De Beni-Pazzaglia-Molin-Zamperlin 2001).
Ma quale può essere l’approccio, il metodo più adeguato per coinvolgere un adolescente nella
riflessione filosofica, che appare così lontana dalla propria realtà quotidiana e priva di
immediate ricadute pratiche?
Quando si parla di metodi per l’insegnamento della filosofia si pensa subito alla distinzione
tra metodo storico e metodo per problemi, come se essi fossero assolutamente opposti e
incompatibili. I sostenitori del metodo per problemi sottolineano che solo in questo modo si
può passare compiutamente dall’insegnare filosofia all’insegnare a filosofare, ma tale metodo,
quanto meno nella sua forma pura e analitica, ha a mio parere il limite di non fornire agli
studenti un adeguato quadro sulla pluralità dei modi possibili di filosofare -laddove, invece, è
utile abituare gli alunni alla pluralità di prospettive (Ruffaldi 1999:117-118) - e di presentare
problemi astratti, al di fuori della situazione storica concreta in cui sono emersi. Trovo che sia
più utile trovare una mediazione, innestando in parte il metodo per problemi all’interno di una
prospettiva storica: è quello che ha ispirato i programmi Brocca, che Domenico Massaro
(1994:120) definisce “storico-critico-problematico” e che ho utilizzato nella mia unità
didattica.
Da un lato, lo studio dei singoli filosofi, all’interno del loro contesto storico, può essere,
comunque, occasione per far emergere alcuni problemi di ordine generale e per acquisire
concetti e lessico specifico; dall’altro, la ricostruzione di questi problemi deve essere fatta
avendo il presente come contesto di riferimento, facendo emergere come certi problemi posti
dai filosofi nel passato siano ancora attuali.
7
In effetti, durante la mia esperienza di insegnamento, ho avuto modo di notare come
l’attenzione degli allievi aumenti non appena da una presentazione astratta di un problema si
passa alla sua presentazione dinamica e storica, ricostruendo il contesto nel quale quel
particolare problema si è definito e spiegando come si sono delineate nel tempo le differenti
soluzioni che sono state via via proposte.
Si tratta, però di dare alla storia un ruolo più di sfondo, di orizzonte che non di matrice del
discorso filosofico. La vera matrice della filosofia devono essere i problemi (Cambi in Firrao
(a cura di) 2001:206).
È importante però che i problemi vengano affrontati partendo dalle domande, non dalle
risposte date dai filosofi, cosa che purtroppo, invece, troppo spesso viene messa in atto nelle
scuole. Gli insegnanti dovrebbero invertire tale percorso didattico e partire da domande reali
per fare in modo che in qualche misura i ragazzi possano partecipare attivamente, con la guida
dell’insegnante, alla costruzione dei concetti, invece di doversi limitare a memorizzare
passivamente delle risposte già, per così dire, fatte e confezionate.
Tanto più che ci si rivolge a ragazzi che stanno vivendo un’età -l’adolescenza- di dubbi,
curiosità, ricerca di domande, e che almeno sulla carta potrebbero essere particolarmente
motivati a cercare soluzioni a problemi-stimolo7.
Una delle capacità che nella scuola si dichiara di voler promuovere è, infatti, proprio quella di
saper risolvere situazioni problematiche. Per far questo è bene che si sappia innanzitutto
individuare i problemi: che si sappia, cioè, coglierli e rappresentarli come tali, recuperandoli
dall’esperienza di vita e di studio. Quindi che ci si attrezzi a trovare e ad attuare le strategie
più opportune per risolverli, ricavando suggerimenti anche dai propri errori. La didattica
metacognitiva aiuta l’alunno a fare tutto questo, sia rendendo l’allievo, in generale, più
autonomo e consapevole nel suo impegno di apprendimento, sia abilitandolo a prendere in
considerazione diverse strategie di studio e di risoluzione e a scegliere quella, in quel
momento per lui, più soddisfacente.
Utilizzando un lessico kantiano (Kant 1984:144), l’insegnamento “acroamatico”, ovvero
basato solo sull’ascolto da parte degli studenti, deve progressivamente lasciare il posto e
integrarsi in modo sempre più sistematico e diffuso con un insegnamento “erotematico”,
ovvero basato anche sull’interrogazione, “l’unico in grado di suscitare un dialogo effettivo tra
docente e discente, prendendo le mosse dal problema in discussione”8.
In questa specifica chiave lo studio non appare più come l’approfondimento di un argomento
che non presenta più alcun riferimento fecondo al mondo del discente, ma costituisce,
7
8
Cfr. Cambi in Firrao (a cura di) 2001:207, che definisce l’adolescenza “l’età filosofica per eccellenza”.
Cfr. Minazzi, Insegnare a filosofare, reperibile all’indirizzo: http://archive.sfi.it/cf/cf14/articoli/minazzi.htm
8
all’opposto, una preziosa occasione per riflettere, con maggior serietà e approfondimento
sistematico, su un tema che coinvolge anche l’esistenza quotidiana dello studente.
Alcuni insegnanti potrebbero pensare che un simile approccio rischia di dimenticare un
momento fondamentale dell’insegnamento della filosofia: la concettualizzazione. In realtà, io
stessa sono profondamente convinta che i concetti siano i mattoni delle dottrine filosofiche,
ma essi non devono essere imparati come definizioni mediante la consultazione di un manuale
o, peggio, sotto dettatura un insegnante o copiando uno schema disegnato alla lavagna: i
concetti dovrebbero essere, in altre parole, il punto di arrivo, non il punto di partenza delle
lezioni.
Proprio a questo livello, non mi pare del tutto convincente la “didattica dei concetti”, uno dei
modelli didattici più appezzati dai colleghi insegnanti9: mi sembra, infatti, di intravvedere in
essa il rischio di un’eccessiva enfasi sui contenuti della disciplina, a scapito del lavoro attivo
dello studente. “Apprendere per concetti” è, infatti, essenzialmente acquisire conoscenze
piuttosto che abilità di apprendimento e di studio, laddove “apprendere metacognitivamente”
è, invece, acquisire, insieme e attraverso le conoscenze, le competenze del “saper fare”, del
“saper agire”.
È vero che tale metodo facilita l’organizzazione dei contenuti, facendo emergere i nodi
fondamentali delle dottrine studiate, ma rischia di mettere troppo da parte lo sforzo di
ragionamento autonomo da parte degli allievi, penalizzando il loro apprendimento10.
Il metodo per concetti viene spesso messo in atto anche perché ha l’indubbio vantaggio di
ridurre fortemente i tempi di presentazione delle lezioni. Un genere di didattica come quella
da me proposta implica, invece, il saper attendere, il saper differire 11 , riconoscendo e
rispettando il primato del tempo degli allievi rispetto al tempo dell’insegnante: cosa che, però,
rende necessario rinunciare a svolgere tutto il programma ed esser pronti a operare dei
“tagli”.
“Sciogliere nodi” mediante l’indagine condivisa
All’inizio del libro B della Metafisica, Aristotele paragona i problemi a nodi che devono
essere sciolti: per scioglierli è necessario innanzitutto che le difficoltà vengano adeguatamente
9
Per una presentazione generale di tale modello didattico, cfr. Damiano 1994. Per un’applicazione di tale
didattica al campo specifico dell’insegnamento della filosofia, cfr. Ruffaldi 1999:205-221.
10
Un discorso analogo potrebbe essere fatto a proposito dell’utilizzo delle mappe concettuali: ottimo strumento
di riflessione critica se fatte autonomamente o in gruppo dagli studenti stessi, ma che purtroppo troppo spesso
vengono costruite direttamente dagli insegnanti e trasmesse passivamente.
11
Già Rousseau nell’Emilio affermava che talvolta il “perdere tempo” poteva essere un guadagno dal punto di
vista pedagogico.
9
messe a punto e discussi; i dubbi e i problemi nascono dall’incontro-scontro di diverse
opinioni (Met. B, 1, 995a23-995b3).
Analogamente, l’apprendimento avviene nel contesto di una rete di scambi interattivi tra
individui che cooperano alla soluzione dei medesimi problemi. I processi di apprendimento
consistono soprattutto nella costruzione condivisa della conoscenza, che implica a sua volta la
coscienza di essere un soggetto insieme ad altri soggetti.
L’indagine condivisa permette di confrontare i rispettivi punti di vista, in modo tale che la
verità possa nascere dall’intersoggettività: a partire dall’eterogeneità degli alunni che
compongono una qualunque classe, ciascuno può contribuire con il suo apporto alla ricerca
della conoscenza.
Da questo punto di vista, il dibattito, in tutte le sue forme, si rivela uno dei metodi migliori,
proprio perché permette una costruzione condivisa della conoscenza: esso permette, infatti, di
mettere insieme le diversità e di arricchirsi attraverso il confronto tra i diversi punti di vista.
La libera dialettica che può eventualmente realizzarsi nella discussione non può che giovare
all’insieme dei partecipanti, facendo loro meglio intendere i diversi aspetti delle questioni
affrontate.
Nell’ambito della didattica della filosofia, il dibattito può essere definito come una
“discussione argomentata”. Esso, quindi, chiama in causa due aspetti particolarmente
significativi della disciplina: l’argomentazione -ovvero uno degli aspetti maggiormente
formativi della filosofia- e il dialogo -che, da Socrate in poi, rappresenta uno dei metodi
privilegiati della ricerca e della comunicazione filosofiche. Anche se, pur essendo un’attività
dialogica, il dibattito differisce dal semplice dialogo in quanto è più strutturato e verte su un
tema ben definito. Esso contribuisce a sviluppare importanti abilità, da quella di produrre
argomentazioni e controllare la consistenza di quelle altrui, alla disponibilità a prendere in
considerazione le opinioni degli altri, valutandole in base agli argomenti che esibiscono, alla
capacità di analizzare un problema da una pluralità di punti di vista, accettando eventualmente
di mettere in discussione il proprio. Il dibattito è, inoltre, un’attività che genera esperienza
metacognitiva, in quanto stimola la riflessione su se stessi e su quali sono le strategie migliori
da mettere in atto per la risoluzione del problema posto.
In particolare, le strategie specifiche di cui mi sono servita in questo contesto di indagine
condivisa sono state il dialogo insegnante-studenti e il gioco di ruolo12.
12
Cfr http://www.ilgiardinodeipensieri.eu/classificazioneft.htm dove si può trovare un’interessante e
approfondita tassonomia dei principali strumenti a disposizione degli insegnanti di filosofia. Da lì ho ricavato
informazioni su tali metodologie.
10
Pur essendo in linea di principio molto favorevole ad una didattica fondata
sull’apprendimento cooperativo, che mi piacerebbe utilizzare in futuro all’interno di una
programmazione a lungo periodo, ho preferito non inserire, durante il mio tirocinio, attività
ispirate al cooperative learning per un motivo pratico: in quanto la classe non aveva mai
svolto lavori di questo genere e il tempo a disposizione è stato troppo breve per pensare di
poter creare quelle condizioni (interdipendenza positiva, responsabilità individuale e di
gruppo, interazione costruttiva, competenze sociali, valutazione di gruppo), che permettono
che l’attività di gruppo non si riduca ad un collage di lavori individuali o, nella peggiore delle
ipotesi, a una scusa per non lavorare (Martinelli 2004).
Per quanto riguarda il dialogo insegnante-studenti, ho scelto - all’interno delle varie tipologie
didattiche in cui la discussione si può declinare - questo particolare tipo di dibattito, perché mi
sembra che, di fronte a problemi così complessi come quelli da me affrontati durante il
tirocinio, la presenza dell’insegnante potesse essere fondamentale per provare a colmare
quella che Vygotskij (1965) chiama “zona di sviluppo prossimale”, ovvero la distanza tra il
livello di sviluppo effettivo e quello potenziale, che si potrebbe raggiungere con la guida di un
adulto o con la collaborazione dei pari più capaci.
Si tratta di una metodologia in cui il professore dialoga con gli studenti su un determinato
tema filosofico, ponendo domande, sottolineando le contraddizioni che emergono dagli
interventi degli studenti, ponendo in luce i problemi, sollecitando l’uso degli strumenti a
disposizione degli studenti per tentare una soluzione, chiedendo esempi e metafore pertinenti.
Mi è sembrata un’attività utile soprattutto per dare agli studenti la dimensione concreta di un
problema filosofico, oltre che un esercizio di metodo.
Io ho preferito utilizzarne la variante storicizzata, ovvero quella in cui i temi del dibattito
emergono a partire dallo studio di un particolare autore (nel caso del mio intervento di
tirocinio, Hegel e Fichte): questo perché, come già affermato, ritengo che ogni teoria
filosofica sia legata al proprio tempo e vada compresa nel contesto che le è proprio, anche se i
concetti che propone possono fornire spunti anche per una riflessione personale sui problemi
legati all’esperienza degli studenti.
La seconda metodologia, ovvero il gioco di ruolo, è stata da me utilizzata solo per la
presentazione di un particolare argomento (la Fenomenologia dello spirito di Hegel) e
comunque in una forma riveduta e corretta: rispetto alla versione classica con studenti-attori,
ho cercato di ricreare una situazione in cui io ho svolto la parte di attore, affidando agli
studenti il ruolo di registi-sceneggiatori; questo per mettere gli studenti al centro della
11
costruzione della lezione, creando in loro la giusta motivazione e il giusto coinvolgimento,
grazie anche alla modalità drammaturgica di presentazione.
Dialogare con gli autori
La ricerca filosofica deve configurarsi anche e soprattutto come dialogo con i filosofi stessi
attraverso i testi: durante le mie lezioni, dunque, ho cercato, nonostante la difficoltà della
prosa, di mettere gli studenti il più possibile a contatto con i testi degli autori presi in
questione.
La centralità dei testi nella didattica della filosofia è peraltro uno degli aspetti maggiormente
sottolineati dai “programmi Brocca”, che indicano come uno dei principali obiettivi di
apprendimento della disciplina la capacità di «analizzare testi di autori filosoficamente
rilevanti» e raccomandano di affrontare tutti gli argomenti a partire dalla lettura dei testi (AA.
VV. 1992:214 sgg.). Secondo Domenico Massaro (1994:121-122), la centralità dei testi è la
chiave per evitare, da un lato, che la storia della filosofia si riduca ad una filastrocca di
opinioni e, dall’altro, che un approccio per problemi si riveli astratto.
Il paradigma generale a cui mi sono ispirata è il “confilosofare” di cui parla Mario De
Pasquale, che si rifà a sua volta ad una prospettiva di interpretazione dei testi storicoermeneutica: tale termine indica «un’esperienza di filosofia, di dialogo con i grandi autori
della tradizione, confilosofando con essi attraverso i testi» (De Pasquale-Gentile-MaurinoRuggiero 1996:19). Il “con” del con-filosofare sottolinea il fatto che l’esperienza del
filosofare gli studenti la fanno insieme con i filosofi attraverso i testi, oltre che con i
compagni di classe e con i docenti, all’interno di un processo dinamico di confronto, di
scambio, di dialogo, di costruzione negoziata di conoscenza che si realizza nella comunità di
ricerca della classe, in cui il pensiero degli autori e il pensiero vivo degli studenti circola e si
distribuisce tra gli interlocutori, in modo tale da creare un coinvolgimento affettivo ed
esperienziale degli alunni che apprendono filosofia. Solo da un dialogo con i testi, ovvero
ponendo al testo domande e non considerandoli come lunghi monologhi, possiamo
appropriarci dei testi e farli nostri.
Come afferma Fabio Minazzi13, «l’approfondimento del rapporto tra il problema affrontato e
le considerazioni dei classici finiscono per aprire una feconda spirale critica, un autentico
“circolo ermeneutico” tra il discente e il testo classico preso in diretta considerazione. Una
spirale critica che coinvolge non solo lo studente, ma anche lo stesso docente il quale, nel
13
Nella già citata pagina web; la citazione interna di Calvino è tratta da Perché leggere i classici, Milano,
Mondadori, 1991, p. 13.
12
momento stesso in cui guida il discente alla migliore comprensione critica del testo del
classico, non può tuttavia sottrarsi al problema indagato giacché amore, morte, libertà e
felicità costituiscono comunque dei temi ben presenti anche nell’esistenza e nella riflessione
quotidiana dello stesso docente, non solo del discente. Né basta: in questa spiralità critica
docente e discente sono ulteriormente coinvolti in un comune dialogo, mediante il quale il
classico non finisce mai di comunicare ai suoi interlocutori critici - siano essi docenti o
discenti - i suoi suggerimenti e le sue risposte, secondo la sua più autentica natura di
“classico” che è tale, secondo la felice definizione di Calvino, perché, appunto, “non ha mai
finito di dire quel che ha da dire”.».
Usare i testi nelle lezioni non significa soltanto leggerli, ma «assumerli come oggetto di una
serie di attività […]. Un testo non è mai esaurito in sé, ma rimanda ad altro, la cui conoscenza
è essenziale per una comprensione effettiva e, soprattutto, per un’interpretazione esauriente»
(Ruffaldi 1999:181-182); proprio per questo l’insegnante ha un ruolo fondamentale: il testo
va, da un lato, collocato sullo sfondo problematico della discussione filosofica e della cultura
dell’epoca e, dall’altro, studiato seguendone anche la sottostante struttura argomentativa14.
È innanzitutto importante, in ottica metacognitiva, chiarire agli studenti il tipo di operazioni
da compiere sul testo, in modo tale che ne abbiano consapevolezza e siano in grado in seguito
di compierle autonomamente (De Lucia 1996:33-42).
In realtà, sulle operazioni didattiche da compiere su un testo, non c’è tuttora accordo; diversi
sono i modelli proposti in didattica della filosofia per affrontare la lettura di un testo
filosofico15. In particolare vi sono due modalità di base, che comunque non sono in conflitto
l’una con l’altra: una modalità che pone il testo come momento iniziale e l’intervento
dell’insegnante in un secondo momento e una modalità che, al contrario, premette alla lettura
del testo la presentazione dell’insegnante. Durante il mio tirocinio ho preferito quest’ultima
modalità: la mia scelta è stata essenzialmente dettata dalla profonda difficoltà dei testi presi in
questione e dallo scarso livello di autonomia manifestato dalla classe, non assolutamente
abituata all’analisi dei testi filosofici.
In particolare, ho preso spunto ancora una volta da Mario De Pasquale (1994:136 sgg) e dal
suo particolare metodo di analisi testuale: precomprensione, lettura, analisi, sintesi,
valutazione. Si tratta di un metodo in cui l’insegnante ha un ruolo fondamentale nel dare le
linee preliminari di lettura sia a livello di contestualizzazione sia a livello di presentazione
delle operazioni da compiere durante la lettura e l’analisi (definire il tema trattato, riconoscere
le metodologie usate dall’autore, generalizzare i concetti, individuare i presupposti e le tesi
14
15
Cfr. la proposta di percorso testuale presentata da Massaro 1994:130 sgg.
Per una panoramica sui diversi modelli di analisi del testo, cfr. Ruffaldi 1999:191-202.
13
sostenute, individuare le relazioni tra concetti, distinguere le asserzioni fattuali da quelle
normative, ecc.): come già precedentemente detto, è importante che lo studente conosca il
metodo per l’interpretazione del testo e sia sempre consapevole delle operazioni compiute.
Il metodo prevede che, grazie a questa presa di coscienza metodologica, con il tempo la
lettura guidata dall’insegnante possa lasciare il posto ad una lettura autonoma, in cui gli
studenti stessi sappiano mettere in pratica le operazioni apprese. Chiaramente durante il mio
tirocinio non ho avuto il tempo di passare a questa fase e mi sono limitata a impostare un
lavoro da cui spero i ragazzi possano trarre in futuro spunti per una lettura autonoma
consapevole.
Dall’esempio al concetto
Come già detto, un momento fondamentale dell’insegnamento della filosofia è la
concettualizzazione, ma per arrivare ai concetti mi sono servita di un metodo “induttivo”: ho
cercato spesso di utilizzare degli esempi quali referenti analogici di concetti, per rendere più
comprensibili concetti complessi: strategia che Mario Trombino definisce “l’esempio come
referente d’esperienza del concetto filosofico” nella variante “descrizioni di situazioni
comparabili a quelle studiate per analogia”.16
Come dice Kant nella Critica della Ragion Pura, «l’unica e grande utilità degli esempi è che
essi affinano il giudizio». In effetti, l’uso di esempi può avere diverse ricadute positive
sull’apprendimento: può essere proposto agli studenti come strumento per migliorare la
capacità di esposizione (chiedendo di spiegare un elemento concettuale mediante il
riferimento all’esperienza o di illustrare l’esperienza mediante il richiamo al concetto), la
capacità di analisi concettuale (attraverso il passaggio dall’astratto al concreto e dal concreto
all’astratto), l’esercizio della creatività (attraverso l’abitudine al ricorso al pensiero
analogico).
Inoltre, l’uso di esempi pratici è uno modo per legare meglio i contenuti studiati alla realtà
vissuta dagli allievi e può, quindi, avere un effetto positivo sulla motivazione degli allievi allo
studio della filosofia, realizzando quel legame tra contenuti studiati ed esperienza secondo
l’indicazione didattica che per uno studente è utile “narrare la propria vita a scuola”17.
16
Cfr. la pagina http://www.ilgiardinodeipensieri.eu/7-1.html
Il tema appartiene alla tradizione didattica, già con Gentile, nel Sommario di pedagogia e altrove. E’
tematizzato ampiamente in De Pasquale 1994, nel contesto di una indagine che punta a studiare il legame tra la
sfera emotiva e la sfera cognitiva nei processi di apprendimento della filosofia.
17
14
Gli esempi da me utilizzati sono sempre stati, comunque, solo degli strumenti, finalizzati
all’introduzione, alla comprensione e alla riflessione su concetti, mediante una via non
direttamente concettuale e non astratta.
Un approccio “dialettico”
L’approccio da me utilizzato durante il tirocinio si potrebbe definire “dialettico”, servendosi
di un gioco di parole tra forma e contenuto dell’insegnamento: dialettico il metodo da me
seguito per introdurre una filosofia -l’idealismo tedesco- in cui la dialettica assume una
centrale funzione interpretativa.
In particolare, Fichte, nei Fondamenti dell’intera dottrina della scienza, vede nella dialettica
uno sviluppo triadico della realtà fondato sull’antitesi tra Io e Non-Io, unificati poi in una
sintesi data dall’opposizione delle loro reciproche determinazioni. Così come per Schelling vi
è progresso quando spirito e natura, contrapponendosi e conciliandosi nel loro sviluppo, si
sintetizzano nell’indifferenza dell’Assoluto. A sua volta, il giovane Hegel coglie le capacità
della dialettica di risolvergli suoi specifici problemi socio-culturali, attribuendole una matrice
marcatamente storica piuttosto che speculativa.
Per Hegel dialettica è la stessa realtà nel suo continuo divenire in quanto questa, identificata
col pensiero, si scandisce, appunto, in un ritmo dialettico triadico che è di tesi, antitesi e
sintesi, nel senso che il pensiero converte ogni affermazione nella sua negazione per giungere,
attraverso l’opposizione, ad una determinazione superiore nella quale i due opposti sono
unificati.
In realtà, è bene premettere che il termine “dialettica” è polisemico, perché ogni filosofia ne
ha data una sua interpretazione; in generale significa l’arte del discutere, dialogare, discorrere,
disputare, spiegare, ragionare e pensare (dialektikh; tevcnh, composto da diav-­‐
lekto"(dialogo) e tevcnh(arte, produzione, tecnica). A sua volta dialogo deriva da dia-­‐levgw,
che significa sia raccolgo ed unifico, sia distinguo e divido: nell’accezione di arte propria del
ragionare dividendo i concetti e fra di essi discorrendo, articolarli in un tutt’uno armonico, per
cui l’un concetto rimanda all’altro, il grado inferiore a quello superiore, il significato le è stato
attribuito da Platone. Essa è tecnica di ricerca della verità fondata sul confronto delle opinioni
ed anche sul loro confronto con la realtà.
Ed è proprio in questo senso che ho inteso definire il mio approccio didattico “dialettico”: in
quanto basato sul dibattito, sulla discussione e su una costruzione condivisa
dell’apprendimento, in cui ci si sviluppa e ci si arricchisce a partire dall’opposizione.
15
IL PROGETTO
Premessa
Il modulo in questione, dedicato all’idealismo tedesco da Fichte a Hegel, è uno degli snodi
centrali di tutta la programmazione di filosofia dell’ultimo anno. Nonostante la centralità e lo
spessore di tale argomento, nei tempi della programmazione dell’unità didattica ho dovuto
adeguarmi ai ritmi della classe e alla programmazione preventivamente consegnata dal tutor:
dedicando solo 2 ore settimanali alla filosofia (1 ora è dedicata ad un modulo di compresenza
con l’insegnante di religione e quindi ha una programmazione a parte) ed essendo la classe
piuttosto indietro con il programma, ho dovuto cercare di gestire il modulo nel numero
minore possibile di ore, selezionando gli argomenti che serviranno agli studenti per affrontare
al meglio la filosofia del secondo Ottocento e sacrificando, d’altra parte, alcuni argomenti (es.
Schelling, il pensiero politico di Fichte) o trattandone altri evitando eccessivi approfondimenti
(es. logica e filosofia della natura di Hegel).
Destinatari
V liceo linguistico, primo quadrimestre
Tempi
14 ore comprensive di verifica e restituzione
Fasi dell’Unità didattica
FASI DELL’UNITÀ DIDATTICA
Ore previste
LEZ. I
Dal kantismo all’idealismo
1
LEZ. II
Fichte e la dottrina della scienza
2
LEZ. III
Da Fichte a Hegel
1
LEZ IV
Introduzione alla Fenomenologia dello spirito
1
LEZ V
La fenomenologia dello spirito
2
LEZ VI
Hegel: il sistema e la logica
2
LEZ VII
Hegel: la filosofia dello spirito
2
LEZ VIII
Verifica
2
LEZ IX
Restituzione verifica
1
TOT: 14
16
Prerequisiti
Conoscenza dei contenuti fondamentali della Critica della Ragion Pura e della Critica della
Ragion Pratica, con particolare attenzione ai seguenti concetti: criticismo, distinzione
fenomeno/noumeno, rivoluzione copernicana, deduzione trascendentale, primato della ragion
pratica, postulati della ragion pratica, libertà come fatto di ragione. Conoscenza del lessico
kantiano (es: trascendentale, puro, a priori). Conoscenza, a grandi linee e nei suoi aspetti più
generali, del Romanticismo come movimento culturale, artistico e letterario.
Obiettivi formativi
•
Riflettere sui motivi per i quali i successori di Kant criticarono il concetto di ‘cosa in
sé’ e sul fatto che alla base della filosofia idealistica sta l’esigenza di un sapere
compiuto, in grado di fondare ogni attività umana, teoretica o pratica.
•
Evidenziare, a partire dalla riflessione di Fichte, la rilevanza che nel nostro contesto
culturale rivestono i concetti di identità, libertà, realizzazione di se stessi e capacità di
dar forma al mondo.
•
Comprendere il passaggio dall’idealismo di Fichte a quello di Hegel come tentativo di
superare la scissione io/non io lasciata aperta da Fichte.
•
Riflettere, a partire dalla riflessione hegeliana, sull’esigenza di temporalizzare
l’assoluto e di farlo entrare nei processi storici.
•
Cogliere il collegamento tra i vari sistemi filosofici inserendoli all’interno del loro
contesto culturale comprendere il legame tra filosofie e contesti storico-culturali
riflettendo sul legame idealismo-romanticismo (idealismo come massima espressione
filosofica dello spirito romantico, filosofia dell’assoluto e superamento della filosofia
kantiana del limite)
•
Riflettere, a partire in particolare dalla figura della “coscienza infelice”, sul problema
del rapporto finito/infinito, uomo/Dio.
•
Riflettere, a partire dalla filosofia della storia hegeliana, sulla questione del
“giustificazionismo”.
•
Riflettere, a partire da concetti come lo stato etico e l’astuzia della ragione, sulla
marginalità dell’individuo nel sistema hegeliano.
17
Obiettivi cognitivi
Conoscenze:
•
Ricostruire le linee fondamentali del dibattito sul concetto di cosa in sé portato avanti
dai seguaci immediati di Kant.
•
Conoscere, a grandi linee, il contesto storico in cui visse Fichte e gli elementi più
significativi della sua biografia (studi effettuati, rapporti con Kant, opere principali,
polemica sull’ateismo)
•
Saper definire il concetto di idealismo nelle varie accezioni filosofiche del termine (in
particolare la differenza tra idealismo platonico, idealismo gnoseologico e idealismo
assoluto)
•
Saper illustrare i caratteri generali dell’idealismo tedesco (abolizione della cosa in sé,
infinitizzazione dell’io, tutto è spirito).
•
Saper illustrare, argomentandone i passaggi interni, i tre momenti della dottrina della
scienza di Fichte e saper spiegare perché la sua dialettica ha un ritmo triadico.
•
Saper descrivere, nell’ambito della dottrina della scienza di Fichte, qual è la fonte
comune e qual è la differenza tra dottrina della conoscenza e dottrina morale.
•
Saper spiegare in che consiste la reinterpretazione fichtiana del concetto kantiano di
“primato della ragion pratica” e la scelta tra idealismo e dogmatismo.
•
Definire il concetto di Streben in Fichte, mettendolo in relazione con il suo idealismo
etico
•
Saper spiegare in che consiste la differenza tra l’idealismo soggettivo di Fichte e
quello assoluto di Hegel.
•
Conoscere gli elementi fondamentali della biografia di Hegel (rapporti con i romantici,
periodo di Berna, di Francoforte, di Jena, di Norimberga, di Heidelberg, di Berlino) e
le opere principali.
•
Saper delineare la critica di Hegel a Fichte riguardo il concetto di “cattivo infinito”,
ricostruendo le argomentazioni con le quali egli supporta tale critica.
•
Saper delineare la critica di Hegel alla concezione dell’assoluto di Schelling,
ricostruendo le argomentazioni con le quali egli supporta tale critica.
•
Saper spiegare che intende Hegel con l’affermazione che “bisogna cogliere l’Assoluto
non solo come sostanza, ma anche come soggetto”.
18
•
Saper delineare lo schema della Fenomenologia dello spirito di Hegel nella sua
articolazione generale (coscienza, autocoscienza, ragione, spirito, religione, sapere
assoluto).
•
Saper descrivere le principali figure della Fenomenologia, con particolare attenzione a
quelle dell’autocoscienza (appetito, riconoscimento, signoria/servitù, stoicismo,
scetticismo, coscienza infelice), argomentandone i passaggi interni.
•
Saper spiegare il significato dell’affermazione hegeliana dell’identità tra reale e
razionale e l’identità di logica e metafisica.
•
Saper esporre con proprietà di linguaggio i tre momenti della dialettica hegeliana (in
sé, per sé, in sé e per sé) e saperli mettere a confronto con i tre momenti della
dialettica di Fichte.
•
Individuare lo scopo e la peculiarità del sistema di Hegel in rapporto alla
Fenomenologia e saperne descrivere l’articolazione interna (logica, filosofia della
natura, filosofia dello spirito) in rapporto ai tre momenti della dialettica.
•
Saper individuare il ruolo specifico della filosofia della natura all’interno del sistema e
saper spiegare in che consiste la differenza tra l’idea hegeliana di natura e quella dei
romantici.
•
Saper descrivere l’articolazione interna della filosofia dello spirito, con particolare
attenzione ai momenti dello spirito oggettivo e assoluto.
•
Saper delineare l’idea hegeliana di “stato” e saper spiegare la differenza con la
concezione politica liberale.
•
Saper definire il concetto hegeliano di “astuzia della ragione” servendosi anche di
alcuni esempi.
•
Sapere in che consiste per Hegel il ruolo della filosofia nei confronti del mondo e
saper spiegare il paragone tra la filosofia e la “nottola di Minerva”.
Lessico
•
Saper definire, con riferimento alla filosofia fichtiana, i seguenti concetti: io
trascendentale, non-io, dottrina della scienza, idealismo etico, tathandlung, streben.
•
Saper definire, con riferimento alla filosofia hegeliana, i seguenti concetti:
panlogismo, eticità, moralità, fenomenologia, sistema, spirito, idea, Aufhebung,
alienazione, stato, coscienza infelice.
Capacità
19
•
Saper leggere e commentare brevi passi antologici tratti da opere di Fichte e Hegel,
analizzandone le argomentazioni e contestualizzandoli nell’ambito del pensiero degli
autori in questione.
Verifica
Sono previste brevi verifiche formative “in itinere” all’inizio di ogni lezione: i ragazzi
saranno invitati a ricostruire sinteticamente il percorso fatto nella lezione precedente: questo
servirà a monitorare il processo di apprendimento nel corso dello svolgimento dell’unità
didattica.
Al termine del percorso è prevista una verifica scritta sommativa, con una parte dedicata alla
verifica di conoscenze (definizioni, completamenti, domande strutturate e semi-strutturate) e
una alla capacità di analisi testuale (lettura di un brano e domande semi-strutturate relative al
brano).
Piano di lavoro
LEZIONE I: Dal kantismo all’idealismo
Tempi: 1 h
Metodologia didattica: Brainstorming, mappa concettuale, lezione dialogata
Strumenti: lavagna, manuale, appunti schematici forniti in fotocopia
CONTENUTI:
•
Romanticismo e idealismo
•
Kant e il dibattito sulla cosa in sé
•
Fichte e il superamento della nozione di noumeno.
LEZIONE II: Fichte e la dottrina della scienza
Tempi: 2 h
Metodologia didattica: brainstorming, lezione dialogata, lezione frontale, lettura guidata di
brani
Strumenti: lavagna, manuale, testi antologici e appunti schematici forniti in fotocopia
CONTENUTI:
•
Che cos’è la dottrina della scienza?
•
L’Io pone se stesso assolutamente
•
L’Io pone un non-io altrettanto assoluto
20
•
L’Io oppone nell’Io all’io divisibile un non-io divisibile
•
La dottrina della conoscenza
•
La dottrina morale
•
Dogmatici e idealisti
LEZIONE III: Da Fichte a Hegel
Tempi: 1 h
Metodologia didattica: brainstorming, lezione dialogata, lezione frontale, lettura guidata di
brani
Strumenti: lavagna, manuale, testi antologici
CONTENUTI:
•
Fichte e il problema del “cattivo infinito”
•
Hegel: vita e opere
•
Hegel: gli scritti giovanili
•
Le critiche di Hegel a Kant, Fichte e Schelling
LEZIONE IV: Introduzione alla Fenomenologia dello spirito
Tempi: 1 h
Metodologia didattica: lezione frontale, lettura guidata di brani
Strumenti: lavagna, manuale, testi antologici, schemi forniti in fotocopia
CONTENUTI:
•
Prefazione: l’assoluto come soggetto
•
La dialettica hegeliana: in sé, per sé, in sé e per sé
•
Schema generale dell’opera
LEZIONE V: La Fenomenologia dello spirito
Tempi: 2 h
Metodologia didattica: lezione frontale, lezione dialogata, lettura guidata di brani
Strumenti: lavagna, manuale, testi antologici
CONTENUTI:
•
La coscienza (certezza sensibile, percezione, intelletto)
•
L’autocoscienza (appetito, desiderio di riconoscimento, lotta per la vita e per la morte,
signoria e servitù, stoicismo, scetticismo, coscienza infelice)
•
La ragione (ragione osservativa, attiva, legislatrice)
21
•
Presentazione generale di spirito, religione, sapere assoluto
LEZIONE VI: Hegel: il sistema e la logica
Tempi: 2 h
Metodologia didattica: lezione frontale, lezione dialogata
Strumenti: lavagna, manuale, schemi forniti in fotocopia
CONTENUTI:
•
Dalla Fenomenologia al sistema
•
Logica/filosofia della natura/filosofia dello spirito
•
La logica: identità di razionale e reale
•
La dialettica
LEZIONE VII: La filosofia dello spirito
Tempi: 2 h
Metodologia didattica: lezione frontale, lettura guidata di brani
Strumenti: lavagna, manuale, testi antologici, schemi forniti in fotocopia
CONTENUTI:
•
La filosofia dello spirito: spirito soggettivo, oggettivo, assoluto
•
Spirito oggettivo: diritto, moralità, eticità
•
La concezione hegeliana della società civile e dello stato
•
La filosofia della storia
•
Lo spirito assoluto: arte, religione e filosofia
•
L’identità tra filosofia e storia della filosofia
LEZIONE V: Verifica scritta
LEZIONE VI: Restituzione della verifica
22
ANALISI INTERVENTO DIDATTICO
Premessa
L’argomento scelto per il mio secondo modulo di tirocinio attivo è l’idealismo tedesco, un
argomento considerato da molti studenti poco comprensibile, astratto, noioso, non
significativo e dalla maggior parte degli insegnanti ostico e molto difficile da far capire agli
allievi. I più si limitano a inserirlo nelle programmazioni perché “è nel programma
ministeriale e quindi lo chiedono alla maturità”.
Si tratta ad ogni modo di un nodo cruciale della storia della filosofia contemporanea e, a mio
modo di vedere, assolutamente imprescindibile per comprendere tutta la filosofia seguente
fino all’esistenzialismo.
Quando mi è stato proposto dal tutor lo svolgimento del modulo sull’idealismo tedesco,
dapprima sono stata piuttosto incerta, dopodiché ho deciso di “accettare la sfida”, sfruttando
anche alcune lezioni seguite durante i corsi disciplinari sis, sul tema “come spiegare Hegel ad
una classe di liceo”, che mi avevano fornito interessanti spunti didattici.
La sfida per me è stata rendere questo argomento il più possibile accessibile, interessante e
soprattutto significativo e attuale. L’idea è stata, quindi, quella di introdurre più argomenti
possibili del modulo non attraverso il tradizionale andamento storico e frontale, ma attraverso
problemi discussi direttamente con gli studenti, domande che anche gli studenti si possono
fare nella vita di tutti i giorni, per far emergere come di fatto gli interrogativi da cui scaturisce
la filosofia non siano poi del tutto estranei rispetto a quelle domande che può capitare di farsi
almeno una volta nella vita.
La classe in cui ho svolto il modulo, una V liceo linguistico, è una classe molto tranquilla e
assolutamente non problematica da un punto di vista disciplinare (15 allievi, di cui 12
ragazze), anche se -almeno stando a quanto detto dal mio tutor- non particolarmente
stimolante e partecipe, oltre che scarsamente preparata nella materia in questione, a causa
anche di una scarsa continuità didattica dovuta a molti cambi di insegnante negli anni
precedenti.
Il manuale in dotazione (Cioffi-Luppi-Vigorelli-Zanette-Bianchi-De Pasquale, I filosofi e le
idee. Esperienze filosofiche e storia del pensiero, Bruno Mondadori Editore, 2008.) è, a detta
degli studenti e del tutor stesso, piuttosto complesso, a livello di lessico e di organizzazione
dei paragrafi. Il tutor mi spiega che solitamente egli stesso è solito fornire agli studenti delle
dispense riassuntive degli argomenti spiegati a lezione.
23
Leggendo il manuale, in effetti noto che la parte dedicata all’idealismo, e in particolare il
capitolo su Hegel, è decisamente ostica: preparo, quindi, per gli studenti una serie di appunti
schematici e riassuntivi dei punti più importanti toccati a lezione; decido, però, di non
consegnarli immediatamente, ma solo terminato il modulo, in modo tale da evitare che i
ragazzi si appoggino troppo sui miei appunti e perdano l’attenzione durante le lezioni.
Invito, invece, i ragazzi a prendere personalmente appunti e al termine di ogni lezione do loro
i riferimenti alle pagine del manuale.
Lezione I (1 h)- Il Romanticismo e il dibattito sulla cosa in sé
La prima lezione prevede innanzitutto un recupero dei prerequisiti (tratti generali del
Romanticismo e del criticismo kantiano).
Riguardo i prerequisiti sul Romanticismo, chiedo preventivamente al mio tutor di accertarsi
con i colleghi se, quando e a che livello i ragazzi abbiano già affrontato il tema da un punto di
vista artistico e letterario; riesco a reperire, grazie alla sua mediazione, informazioni a
proposito dei programmi svolti e ottengo conferma che la classe ha effettivamente già
affrontato l’argomento in storia dell’arte e letteratura, essendo stata, peraltro, di recente
verificata su di esso in letteratura francese.
Dati questi presupposti, fidandomi del lavoro dei colleghi, non vado troppo a fondo nella
verifica e mi limito, attraverso un brainstorming, a chiedere agli studenti di mettere insieme le
idee pregresse sul concetto di “romanticismo” per costruire, attraverso i contributi di
ciascuno, una mappa mentale collettiva alla lavagna, che possa servire come spunto iniziale
per introdurre poi i concetti filosofici più rilevanti. Emergono in particolare i concetti di
“sentimento”, “nostalgia”, “passato”, “storia”, “tradizione”, “viaggio” (chiedo spiegazioni in
proposito: il senso
è quello dell’esotismo), “fede”, “critica ragione”. Mi soffermo su
quest’ultimo punto, facendo notare come in effetti tradizionalmente l’immagine del
Romanticismo che tende a passare anche sui manuali è quella di una totale rottura con il
razionalismo a favore di un generico richiamo a tutto ciò che non è ragione: sentimento,
intuito, istinto, passione, natura, sogno, follia.
Chiedo allora ironicamente ai ragazzi quale tipo di filosofia si aspettino di trovare, in una tale
temperie culturale: qualcuno ipotizza una sorta di irrazionalismo o sentimentalismo. Rispondo
che in realtà sarebbero rimasti stupiti scoprendo che la corrente filosofica che avremmo
affrontato, l’idealismo, si presenta, soprattutto nella versione di Hegel, con dei tratti ben
diversi da quelli ipotizzati.
Cerco allora di far ragionare i ragazzi su come sia possibile, dati i presupposti emersi dalla
discussione, arrivare ad affermare che una filosofia “razionalistica” è piena espressione del
24
periodo romantico e riparto dal nodo della mappa suggerito dalla classe: “critica ragione”.
Contro quale ragione reagisce il Romanticismo? Opportunamente, gli studenti arrivano ad
affermare correttamente che si tratta della ragione illuministica, incarnata dal criticismo
kantiano: una ragione finita e limitata.
Passo, quindi, a focalizzare l’attenzione sugli aspetti filosofici del Romanticismo -e in
particolare proprio sul superamento del razionalismo illuminista, a cui si contrappone la
tensione verso l’infinito- servendomi anche di alcuni quadri di Friedrich (Il viandante sul
mare di Nebbia, Il monaco sulla spiaggia), che esemplifica benissimo la tensione verso
l’infinito tipica dei romantici.
Riprendo, a questo punto, il concetto di Idealismo come massima espressione filosofica del
Romanticismo e cerco di schematizzare i diversi significati del termine. Parto chiedendo agli
studenti in quale senso essi usino abitualmente i termini “idealismo”, “idealista”: emerge dai
ragazzi l’idea di qualcuno che persegue ideali che, per quanto nobili, sono irrealizzabili (il
contrario di “realista”). Completo la presentazione facendo riferimento all’accezione
platonica, cristiana e alla differenza tra idealismo gnoseologico e romantico, seguendo il
glossario presente nel manuale di Abbagnano-Fornero, che distribuisco anche alla classe in
fotocopia.
La seconda parte della lezione viene dedicata ai problemi lasciati aperti dalla riflessione
kantiana e in particolare al concetto di “cosa in sé”, per far capire il passaggio dal kantismo
all’idealismo di Fichte. Anche in questo caso, il tutor mi conferma di aver appena terminato
un giro di interrogazioni su Kant, Critica della ragion pura e pratica: ritengo, quindi, già
verificati i prerequisiti riguardanti la filosofia di Kant e mi limito a riprendere attraverso
brainstorming i punti-chiave utili al proseguio della lezione.
Chiedo agli studenti se, a loro parere, la dottrina di Kant sia perfetta e completa oppure se ci
sia qualche “falla”. Chiedo, quindi: “Se voleste fare una critica alla filosofia di Kant riguardo
la coerenza interna della sua filosofia, su quali punti lo attacchereste?”. Dapprima la classe
sembra spiazzata, forse un po’ intimidita. “Quindi -dico- dal vostro silenzio desumo che la
filosofia di Kant sia perfettamente coerente e inattaccabile!”. Il tutor, allora, dà un’imbeccata
alla classe, chiedendo agli studenti di ricordare quanto già emerso durante la spiegazione della
Critica della ragion pura, a proposito di un certo “dualismo”. Immediatamente, alcuni
studenti richiamano come punto critico il permanere del dualismo fenomeno-noumeno.
Chiedo, dunque: “se foste seguaci di Kant e voleste rafforzare e rendere più coerente la
dottrina di Kant, che cosa fareste?”. I ragazzi capiscono che si tratta di eliminare uno dei due
termini in questione: i fenomeni o le cose in sé. Io spiego loro che nel primo caso
25
significherebbe ritornare a riconsiderare gli oggetti in sé, indipendentemente dal soggetto; nel
secondo caso, significherebbe eliminare le cose in sé e affermare che esistono solo fenomeni,
ovvero cose che appaiono in un certo modo al soggetto. A questo punto, uno studente non ha
dubbi e sceglie la seconda ipotesi, anche perché -dice- altrimenti si ritorna indietro e la
rivoluzione copernicana, che è ciò che meglio caratterizza il kantismo, non sarebbe servita a
nulla. Arrivata a questo punto, in effetti, faccio notare alla classe, senza soffermarmi sui
particolari, che è esattamente questa la linea scelta dai seguaci di Kant e che porterà
all’idealismo. Lo studente, peraltro, è particolarmente colpito da come l’idealismo sia un esito
quasi scontato del kantismo, ovvero l’esito di una radicalizzazione di ciò che è già presente in
nuce nel criticismo kantiano, e che in effetti gli idealisti in qualche modo pensassero di dare la
lettura più corretta del kantismo.
Essendo avanzata ancora una decina di minuti, e non essendoci richieste ulteriori di
chiarimento, ne approfitto per cominciare a introdurre la figura di Fichte, di cui racconto
brevemente la vita, soffermandomi su alcuni particolari curiosi, utili però a capire come la
vita di Fichte sia di per sé dimostrazione che non esistono limiti insuperabili alla libertà
umana e che con lo sforzo ciascuno può realizzare pienamente se stesso.
Al termine della lezione il tutor si complimenta con me, dicendo di aver visto la classe attenta
e stranamente partecipante, a differenza del solito. Mi spiega che gli studenti -in particolare la
classe in questione- vanno sempre e continuamente stimolati all’intervento, quindi ben
vengano le domande rivolte direttamente agli allievi, le problematizzazioni, le mappe
concettuali, gli esempi pratici. Mi spiega di aver apprezzato, in particolare, il mio tono di
voce, dinamico e sostenuto, e la mia gestualità “teatrale”. L’unico appunto mi viene fatto a
proposito del lessico utilizzato, a volte troppo specifico: “non aver paura -mi dice- di
utilizzare un linguaggio banale e quotidiano; la concettualizzazione può venire in un secondo
momento, ma prima bisogna scendere al loro livello per portarli dalla tua parte.”
Lezione II (2 h)-Fichte: la dottrina della scienza
Inizio la lezione con una breve verifica formativa per richiamare i punti principali a proposito
del passaggio dal criticismo all’idealismo: non conoscendo ancora i nomi della classe, mi
servo dell’elenco sul registro e cerco di coinvolgere più persone possibili con brevi domande
per ricostruire lo schema fondamentale della precedente lezione. Decido, seguendo peraltro un
metodo già utilizzato dal tutor e quindi conosciuto dalla classe, di dedicare il primo quarto
d’ora di ogni lezione a questa operazione.
Dopo la verifica, decido di introdurre alla dottrina della scienza di Fichte e ai principali
concetti del suo idealismo etico attraverso una discussione guidata sul problema: “è possibile
26
trovare il principio fondamentale, un fondamento assoluto della conoscenza?”, per far
emergere come anche quelli che sembrano principi logici primi e incondizionati, come il
principio di non-contraddizione e il principio di identità, presuppongano in realtà l’atto di un
io che li pone come tali.
Dapprima i ragazzi pensano a qualcosa di religioso, come l’esistenza di Dio; evidentemente
abituati ad associare l’idea di “fondamento” a qualcosa di divino. Faccio, però, notare, che
questo tipo di idea funziona solo per chi già crede nell’esistenza di un principio divino.
Suggerisco allora di pensare piuttosto a qualche principio logico, che tutti noi utilizziamo
anche se non ce ne rendiamo conto, nelle discussioni di tutti i giorni, anche quando parliamo
dei fatti nostri con gli amici. Ad una allieva viene in mente il principio di non-contraddizione.
Opportunamente instradata, la classe riesce autonomamente a ricostruire il ragionamento di
Fichte (dal principio di non contraddizione a quello di identità e da questo all’io).
A questo punto distribuisco ai ragazzi in fotocopia un breve brano in questione tratto dalla
Dottrina della scienza di Fichte sul primo principio. Noto una certa difficoltà da parte dei
ragazzi nel seguire la lettura dei brani, probabilmente per la difficoltà del lessico utilizzato.
Un’ora è passata e sono piuttosto indietro rispetto al progetto iniziale, che prevedeva in due
ore l’esposizione di tutta la dottrina della scienza di Fichte, per la quale non mi rimane invece
che un’ora. In realtà, nell’intervallo, il tutor manifesta la sua soddisfazione e la sua
approvazione nell’aver dedicato un’intera ora a far ragionare direttamente i ragazzi, che hanno
partecipato attivamente anche su un tema così complesso come quello proposto.
La seconda ora, dopo aver illustrato attraverso una lezione frontale con schema alla lavagna i
tre principi della dottrina della scienza, mi soffermo in particolare a far riflettere
sull’affermazione fichtiana esse sequitur operari (il fare precede l’essere) per farne capire le
implicazioni pratiche: siamo determinati dalla nostra natura o siamo liberi di diventare ciò che
vogliamo? [es: sei un pittore perché disegni o disegni perché sei pittore?] Per Fichte noi siamo
ciò che facciamo. Approfitto di tale affermazione per far notare che questa affermazione ci
toglie molte scusanti: se, ad esempio, andiamo male in filosofia è solo perché finora non ci
abbiamo messo abbastanza impegno, non perché non siamo nati per la filosofia!
Queste ultime riflessioni sembrano colpire la classe, tanto che anche la lezione successiva uno
studente dirà di essersi ricordato di quanto detto: un suo amico, dopo avergli fatto un torto, si
è giustificato dicendo “io non sono così, io non sono un bugiardo” e la sua risposta è stata, in
modo del tutto appropriato e fichtiano: “ognuno è quello che fa”. Ho fatto notare, con molto
piacere, alla classe che in quella frase stava il nocciolo della filosofia di Fichte!
Purtroppo non rimane molto tempo per la presentazione degli altri temi che avrei voluto
27
trattare da progetto iniziale (la differenza tra io teoretico e io pratico, il primato dell’attività
etica su quella conoscitiva, il fatto che l’io teoretico produce con un atto inconsapevole il
mondo esterno per poter realizzare, attraverso l’azione morale, la libertà che è costitutiva
dell’io, lo streben, la differenza tra idealismo e dogmatismo), che decido di accennare, ma di
riprendere e concettualizzare la lezione successiva.
Il tutor mi dice di non preoccuparmi e di limitarmi a riprendere nella lezione successiva i
punti fondamentali utili a fare poi un paragone con Hegel. Non è tanto importante -mi dicesvolgere tutto quello che è presente in un manuale: l’importante è fare una scelta degli
argomenti fondamentali che possano servire per la comprensione degli aspetti caratterizzanti
di una filosofia.
Lezione III (1 h)-la critica di Hegel a Fichte e Schelling
La prima parte della lezione viene dedicata, appunto, ad una ripresa dell’idealismo etico di
Fichte e in particolare allo streben, ovvero l’incessante e infinito sforzo di superamento da
parte dell’io di un non io che sempre gli si oppone (il negativo è necessario al positivo; se non
ci fosse niente da superare non si agirebbe nemmeno).
Imposto, quindi, la lezione e l’introduzione di Hegel proprio a partire da questa scissione lasciata aperta da Fichte- tra io e non-io, tra finito e infinito (quello che Hegel appunto
chiamerà il “cattivo infinito”), scissione che la filosofia di Hegel tenterà appunto di
superare18.
La domanda da cui parto è “come nasce il bisogno di filosofia?” e innanzitutto chiedo agli
studenti di mettersi nei panni di un idealista: qual era il motivo ispiratore di questa filosofia
rispetto al kantismo? I ragazzi arrivano a dire: il superamento dei dualismi, delle scissioni. Ma
allora -chiedo- secondo voi Fichte l’ha superata questa scissione? Una ragazza dice
correttamente che in realtà nonostante il proposito iniziale della “dottrina della scienza”, egli
non è riuscito in questo intento perché il non-io deve sempre, continuamente essere ricondotto
all’io e questo processo non ha mai fine.
A questo punto, attraverso una lezione frontale, introduco la figura di Hegel e offro una breve
panoramica sulla vita e sugli scritti giovanili, visti come un primo tentativo di superare le
scissioni dei precursori attraverso la religione.
Passo poi a mettere in evidenza il rapporto critico di Hegel nei confronti dei predecessori
(Kant e Fichte soprattutto, ma faccio anche un breve accenno a Schelling e alla sua
18
In particolare, per introdurre alla filosofia di Hegel mi sono servita, oltre che del manuale, della parte
introduttiva del volume a cura di Maurizio Pagano (1996:3-8).
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concezione dell’assoluto come unità indifferenziata), che culmina nel cosiddetto “venerdì
santo speculativo”: la morte di Dio che precede la resurrezione della totalità. In questo modo
Hegel dichiara la fine della “metafisica”, intesa come “cattivo infinito” che lascia il finito
fuori di sé e la necessità di passare ad un “buon finito”, che ricomprenda in sé il finito.
Per rendere accessibili questi concetti, che trovo particolarmente complessi per una classe di
liceo, mi servo di esempi quanto più possibile semplici, oltre a quelli famosi usati da Hegel
(linea retta per Fichte, notte in cui tutte le vacche sono nere per Schelling): tra quelli che mi
sono sembrati maggiormente compresi dagli studenti, il “tapis roulant” per l’infinito di
Fichte; il buco nero o un paesaggio notturno visto dall’alto per l’assoluto di Schelling; il colpo
di pistola per il modo in cui secondo Schelling questo assoluto va colto.
Mi rendo, comunque, conto che i ragazzi faticano a seguirmi; immagino sia per il fatto che
questo tipo di filosofia è molto lontana da loro perché, invece di partire dal singolo, parte dal
punto di vista dell’assoluto, prendendo l’esistenza di quest’ultimo come un presupposto, un
dato di fatto.
Decido, quindi, di soffermarmi ancora sul concetto di “assoluto”, concetto centrale di tutto
l’idealismo tedesco; partendo dal senso comune, chiedo ai ragazzi a quale proposito usino
solitamente questo termine: i ragazzi pensano a “potere assoluto”, le ragazze,
romanticamente, propendono per “amore assoluto” (una ragazza dice “zero assoluto”, ma
credo intendesse l’omonimo duo musicale!). In ogni caso, faccio notare che quando lo
usiamo, implichiamo in questo termine un’assenza totale di limiti e di vincoli. Assoluto vuol
dire “sconfinato”. Spiego che questa è la stessa concezione che si ha in Hegel: una totalità che
non lascia nulla fuori di sé perché, se non comprendesse tutto, ci sarebbe qualcosa al di fuori,
quindi sarebbe de-limitato da quello che rimane fuori. Ma allora se l’assoluto è la totalità, il
luogo in cui si concilia il tutto, tutti i “finiti” -e noi compresi- sono parte dell’assoluto.
Termino la lezione con una breve descrizione dell’assoluto hegeliano, per poi riprendere il
discorso la lezione successiva, visto che la classe mi sembra piuttosto provata e fatica a
concettualizzare.
Lezione IV (2 h)-la Fenomenologia dello spirito (parte I)
Il progetto iniziale prevedeva una lezione da 2 h incentrata sull’analisi dell’opera hegeliana
Fenomenologia dello spirito. In realtà, d’accordo con il tutor, decidiamo di dilatare
leggermente i tempi, dedicando la prima ora alla lettura e al commento del famoso paragrafo
17 della Prefazione della Fenomenologia19 -in cui l’autore afferma che bisogna considerare
19
Per il testo, cfr. Ivi, pp. 63-64.
29
l’Assoluto non come sostanza, ma come Soggetto- e la seconda ora ad una presentazione
generale dell’opera, rimandando l’approfondimento e il racconto delle singole figure alla
lezione successiva.
La lettura con cui inizio la mia lezione appare fin dall’inizio piuttosto ostica, quindi subito
decido di fornirne un commento analitico, riga per riga, anche se mi rendo conto che
l’operazione appare alla classe piuttosto pesante e noiosa. Una volta arrivati all’affermazione
che bisogna intendere l’Assoluto come soggetto e avendo spiegato il significato di tale
affermazione, decido di abbandonare il testo e, collegandomi al fatto che in questo modo
Hegel introduce nell’assoluto il movimento, do agli studenti un primo accenno alla dialettica
hegeliana (in sé, per sé, in sé e per sé; essendo una classe di liceo linguistico, mi servo anche
dei termini tedeschi).
Essendo il concetto di dialettica, a mio parere, piuttosto complesso, anche in questo caso mi
servo per introdurlo di una domanda-spunto (“come ci sviluppiamo?”) e di un esempio
piuttosto banale: il confronto con un’altra persona, la discussione con qualche amico; io dico
la mia, lui dice la sua, ma se ognuno rimane sulle sue posizioni si rimane sempre allo stesso
punto e non si cresce. Se invece ci confrontiamo e teniamo il buono che c’è in entrambe le
posizioni, la sintesi a cui si giunge arricchisce entrambi. O ancora, cosa avverrebbe se ognuno
rimanesse chiuso in sé stesso e non si manifestasse agli altri: come potrebbe imparare e
crescere? La stessa cosa vale anche per lo sviluppo dello spirito, che deve uscire da sé ed
esteriorizzarsi per poi ritornare in sé arricchito.
Al termine della prima ora, durante l’intervallo, il tutor mi dice di aver notato un calo
dell’attenzione da parte dei ragazzi rispetto alle lezioni precedenti: mi chiede, quindi, se
possibile, di utilizzare nell’ora successiva uno stile di gestione della lezione più semplice, di
abbassare il tono del discorso e di non mettere troppa carne al fuoco a livello di
concettualizzazione.
Abbandono, quindi, l’idea iniziale, ovvero quella di partire da una schema generale di tutta la
Fenomenologia dello spirito -che rimando alla lezione successiva- e sostituisco alla
concettualizzazione una narrazione partecipata, un po’ alternativa (ispirata al role playing),
per evitare di sovraccaricare i ragazzi di nozioni.
Per introdurre all’opera, al suo significato e alla sua finalità, innanzitutto, mi servo di una
metafora molto chiarificatrice studiata lo scorso anno: immaginiamo la scalata di una
montagna; protagonista dell’ascesa è la coscienza comune -cioè un uomo qualunque,
completamente ignorante di filosofia- accompagnata dal filosofo, che non guida la scalata,
bensì l’accompagna soltanto, descrivendo la logica (ovvero la necessità) del percorso
30
compiuto. All’inizio la coscienza avrà solo una visione parziale del paesaggio; solo quando
arriverà in cima potrà vederlo tutto: tradotto in termini filosofici, la coscienza cerca “tutto” e
trova sempre solo “qualcosa” (finché vede le cose dal suo punto di vista, l’angolatura sarà
sempre particolare), fino a quando non arriva al sapere assoluto, ovvero alla visione
dell’intero (punto di vista dell’assoluto).
Chiedo, dunque, ai ragazzi di provare ad immaginare le tappe di questa ascesa, come se si
trattasse di una specie di video-game, correndo il rischio consapevole di banalizzare, ma nel
tentativo di alleggerire la lezione, attirare preliminarmente l’attenzione degli allievi e
coinvolgere la classe, in modo da lasciare solo alla fine le riflessioni più propriamente
filosofiche.
Io mi offro come “avatar” protagonista dell’ascesa fenomenologica e chiedo agli studenti di
“guidarmi”. Accetto proposte su come agire, in modo tale da far ragionare personalmente i
ragazzi nei vari passaggi ed evitare di ridurre la fenomenologia ad un mero elenco di tappe da
imparare a memoria, facendo capire perché e come da una tappa discende l’altra. Il tutor si
offre per interpretare la parte del “filosofo”, che “spiega la logica dei vari passaggi” e li
schematizza alla lavagna man mano che vengono affrontati.
Come tutti i giochi, ci sono delle regole: i ragazzi si dovranno ricordare che la regola-base di
funzionamento qui è la dialettica, che abbiamo studiato nell’ora precedente: dovranno
ricordarsi che per andare avanti bisogna uscire da sé, manifestarsi, esteriorizzarsi, scontrarsi,
contrapporsi. Inoltre dovranno ricordarsi che il fine è lo sviluppo della propria consapevolezza
e dello spirito.
Iniziamo dal momento della coscienza, in cui protagonista della lezione diventa dapprima la
cattedra (esempio di oggetto da me scelto per iniziare il cammino), che da un “questo” diventa
progressivamente “fenomeno”.
Passiamo quindi alle figure dell’autocoscienza, quelle che hanno destato maggiormente
l’interesse degli studenti: dapprima l’appetito, in cui la coscienza consuma progressivamente i
suoi oggetti. A questo punto immaginiamo che le risorse si riproducano e io possa sempre
consumarne di nuove. Chiedo, quindi, agli studenti: la mia vita sarebbe soddifacente se avessi
sempre tutte le risorse a disposizione da consumare? Anche nel caso in cui avessi a
disposizione tutte le cose più belle e più buone del mondo, sarei veramente felice o mi
mancherebbe qualcosa? Una studentessa, centrando immediatamente la questione, chiede se è
possibile far entrare qualcun altro nel gioco, perché per quante cose io possa realizzare, se non
ho nessuno con cui condividerle non posso essere veramente appagata.
31
Arriviamo, quindi, ad un punto focale: il desiderio di riconoscimento. La coscienza vuole
essere riconosciuta da un’altra autocoscienza. Questo tema ha destato particolare interesse;
del resto, a differenza di molti altri presenti in Hegel, questo mi sembra un tema molto vicino
ai ragazzi: chi di noi non ha bisogno dell’altro, bisogno di ricevere approvazione, bisogno di
confronto? Tutti noi, quando creiamo qualcosa di nostro, abbiamo bisogno di qualcuno che lo
veda e riconosca il nostro valore. L’io non può vivere una vita appagante senza il tu. Il gioco
diventa, quindi, a due.
Ma a cosa porta questo desiderio di riconoscimento, che è di entrambe le coscienze? Uno
studente pensa subito ad una specie di “guerra” tra le autocoscienze: simuliamo, così, la figura
della lotta per la vita o per la morte, per esemplificare la quale il tutor cita anche il film
Braveheart!
Quali sono i possibili esiti di questa lotta? Alcuni studenti pensano che vince chi uccide il
proprio nemico, ma faccio notare che in quel caso, non avendo più nessuno che mi riconosce,
il gioco è finito. Allora, dopo alcuni attimi di silenzio, una studentessa nota che persino in
guerra non si arriva ad annientare tutti i nemici, ma si possono fare prigionieri di guerra, si
può rendere schiavi. Prendendo spunto da questa acuta osservazione, introduco la figura
signoria-servitù: chi ha saputo rischiare di più diventa il signore, chi ha avuto più paura di
morire diventa il servo. A questo punto invito gli studenti a ragionare su quello che avviene:
chi è schiavo di chi? Chi dipende da chi? Un’allieva, con incredibile tempismo, fa notare,
prima ancora che io termini la domanda, che se il servo non lavorasse per il padrone, il
padrone non avrebbe da vivere.
Soddisfatta dell’andamento della simulata e della partecipazione attiva della classe, concludo
in modo più rapido le figure di stoicismo e scetticismo, a mio parere meno immediate e quindi
meno intuitive per gli studenti, rimandando l’ultima figura dell’autocoscienza (la coscienza
infelice) ad un’apposita lezione.
Lezione V (1 h)-lezione in compresenza sulla coscienza infelice
La parte sulla coscienza infelice viene trattata in una lezione a parte, all’interno di un
percorso interdisciplinare in compresenza con religione, dedicato al rapporto uomo-Dio in
filosofia e teologia. Conduco, quindi, la mia lezione in compresenza con l’insegnante di
religione.
Sono molto contenta che il tutor mi abbia dato questa opportunità, al di fuori del mio
percorso, anche perché mi ha permesso di affrontare con la dovuta calma una figura
fondamentale per problematizzare uno dei temi centrali all’origine della riflessione hegeliana:
il rapporto finito/infinito. La coscienza infelice (ebraismo/primo cristianesimo/medioevo),
32
infatti, riconosce che c’è una verità, ma la pone fuori di sé e la riconosce come qualcosa di
diverso da sé; solo quando si arriva all’ascetismo, attraverso il quale la coscienza si annulla
nell’assoluto, si avrà il passaggio alla ragione.
Innanzitutto, dopo aver ricapitolato il percorso che ci ha condotti la lezione precedente fino a
questo punto, distribuisco agli allievi un testo, tratto dalla Fenomenologia, dedicato, appunto,
alla figura della coscienza infelice e ai suoi momenti interni, che leggo e commento frase per
frase, data l’estrema complessità della scrittura hegeliana.
La lezione è stata per me molto interessante, in quanto la professoressa di religione ha potuto
approfondire aspetti sull’ebraismo e sul cristianesimo da un punto di vista più specificamente
dottrinale, che hanno arricchito la lezione, anche se -a dire il vero- non mi è parso di notare il
medesimo interesse nella classe, che ancora una volta mi è sembrata spaventata dall’affrontare
la lettura di un testo filosofico.
Al termine dell’ora, la professoressa di religione si è complimentata per come ho saputo
gestire la lezione e per come ho saputo trasmettere la mia passione per la filosofia (chissà se
anche gli studenti sono dello stesso parere…).
Lezione VI (1 h)-La Fenomenologia dello spirito (parte II)
Rispetto al progetto iniziale, decido in accordo con il tutor di aggiungere un’altra ora al mio
modulo per completare l’esposizione della Fenomenologia, prima di iniziare la trattazione del
sistema.
Dopo aver ricapitolato, schematizzato alla lavagna e concettualizzato le tappe viste nelle
precedenti lezioni, continuo con una presentazione più sommaria di ragione, spirito, religione
e sapere assoluto, con maggiore attenzione alla bella eticità (Grecia classica/Antigone).
Concludo, quindi, la lezione con un prospetto riassuntivo finale dell’articolazione e del
significato complessivo della fenomenologia dello spirito20: coscienza (rivolta all’oggetto
esterno); autocoscienza (rivolta a se stessa); dall’unione di coscienza e autocoscienza deriva la
ragione (si rivolge all’oggetto partendo da se stessa), la quale poi diventerà spirito. Su un
piano parallelo a questo corre sempre la religione: l’unione finale di spirito e religione dà
origine al sapere assoluto, il quale coglie in modo concettuale che i due processi convergono.
Si arriva infatti al sapere assoluto quando si realizza che spirito e religione hanno un identico
contenuto.
Mi soffermo, inoltre, a spiegare il significato del titolo dell’opera: non solo un percorso
individuale, ma una progressiva manifestazione dello Spirito, dell’Assoluto.
20
Ho tratto spunto in particolare dalla già citata introduzione del volume a cura di Maurizio Pagano, Ivi, pp. 1129.
33
Lezione VII (1 h)-il sistema: la logica
La lezione è la prima dedicata all’esposizione del sistema di Hegel. Essendo tale argomento
lungo e complesso e avendo già dedicato diverse ore all’approfondimento della
Fenomenologia, decido di apportarvi diversi tagli e di non affrontare analiticamente, ma solo
per sommi capi, la logica e la filosofia della natura, concentrandomi, invece, sulla filosofia
dello spirito e, in particolare, su spirito oggettivo e assoluto.
Inizio con alcune domande poste direttamente agli studenti, per far emergere la continuità tra
quest’ultima e la costruzione del sistema hegeliano. La Fenomenologia, infatti, può essere
vista come un’introduzione a tutto il sistema: se la prima è paragonabile ad una scalata, il
sistema può essere paragonato all’intero panorama che l’uomo può vedere una volta raggiunta
la cima.
Per rendere maggiormente chiaro il passaggio dalla Fenomenologia al sistema, mi servo di
un’altra metafora, quella della “torta a strati”: la fenomenologia è fare la torta mettendo
progressivamente uno strato sopra l’altro; poi una volta finita la taglio a fette: ogni fetta è una
parte del sistema.
Presento, quindi, schematicamente alla lavagna le tre “fette” del sistema (logica, filosofia
della natura e filosofia dello spirito), che invito a leggere alla luce della dialettica, già
precedentemente affrontata.
Decido, a questo punto, invece che addentrarmi nelle singole parti del sistema, di dedicare la
restante parte della lezione ad una discussione su un tema cruciale per comprendere la
filosofia hegeliana: l’identità reale-razionale (utile per far comprendere anche l’identità
logica-metafisica); questo per evitare interpretazioni troppo semplicistiche, riduttive ed
eccessivamente giustificazioniste di tale frase.
Chiedo direttamente agli studenti di discutere problematicamente il significato e le
implicazioni dell’affermazione: “Tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è
razionale”. Immediatamente, gli studenti intendono la frase nel senso che tutto quello che
esiste è razionale; chiedo allora che cosa susciti in loro questa affermazione: i più la
contestano perché significherebbe accettare passivamente la realtà, male compreso, e si
rischierebbe di giustificare anche le più grandi atrocità che avvengono. A questo punto, cerco
di fare “l’avvocato di Hegel”, spiego che Hegel stesso aveva previsto questi fraintendimenti e
leggo loro un passo in proposito. La chiave di tutto sta nella risposta ad una domanda, che
pongo direttamente alla classe come problema: ma che cos’è la Realtà? Di che cosa si può
dire che sia veramente “reale”?
34
La risposta immediata è “qualcosa che esiste”. Faccio riflettere, allora, attraverso alcuni
esempi (es: è più reale questa biro o l’ombra di questa biro riflessa contro il muro? Ma
perché? Perché l’esistenza dell’una dipende dall’esistenza dell’altra), quale sia il vero
significato dell’attributo “reale” in filosofia (=necessario).
La discussione su questo problema prende tutta la parte restante dell’ora e ciò non mi
permette di affrontare alcuni temi che avrei voluto, invece, trattare secondo programmazione
(ripresa della dialettica, identità logica-metafisica, significato della filosofia della natura).
Il tutor, comunque, mi dice di essere molto soddisfatto: piuttosto che sovraccaricare gli
studenti di nozioni che dimenticheranno molto rapidamente, in alcuni casi è più utile fare in
modo che siano essi stessi a rielaborare autonomamente e a riflettere criticamente su una
determinata problematica: meglio la qualità della quantità di nozioni.
Lezione VIII (1 h)-il sistema: la filosofia della natura
Vista la neve e le numerose assenze (presenti solo 5 studenti), dedichiamo la lezione
successiva ad un riepilogo della struttura del sistema hegeliano e alla trattazione della filosofia
della natura, attraverso la lettura di un brano sul passaggio dalla filosofia della natura alla
filosofia dello spirito: il problema da cui partiamo e introduciamo la lezione è: “che cosa ci
distingue dagli animali e sta alla base della costruzione dello spirito?”. Attraverso la lettura
emerge l’importanza della memoria, la capacità di creare una storia dei prodotti dello spirito.
Lezione IX (2 h)-il sistema: la filosofia dello spirito
La lezione inizia con una rapida ripresa dei temi toccati durante la precedente lezione e una
schematizzazione alla lavagna della tripartizione interna della filosofia dello spirito. Dopo
aver accennato rapidamente allo spirito soggettivo, passo alla presentazione dello spirito
oggettivo, facendo comprendere agli studenti l’importanza di questo passaggio, visto che per
Hegel “l’essenza dello spirito è la sua manifestazione”. Cerco di coinvolgere direttamente la
classe nei passaggi da una tappa all’altra, trasformando la lezione da frontale in dialogata,
ricordando solo che lo schema seguito da Hegel nella ripartizione della parti interne del
sistema è sempre quello dialettico, in cui la sintesi “tiene insieme” ciò che c’è di buono nella
tesi e nell’antitesi. In questo modo, attraverso suggerimenti e domande alla classe, cerco di
fare in modo che siano gli studenti stessi a compilare l’articolazione interna allo spirito
oggettivo e a comprendere quali sono i limiti delle singole fasi che ne rendono necessario il
superamento.
[“qual è il modo più immediato di oggettivare la libertà?” per introdurre al diritto; “qual è il
limite del diritto” per il passaggio alla moralità; “come possiamo conciliare il buono del
35
diritto e della moralità?” per arrivare all’eticità; “qual è la prima forma di espressione
concreta di società organica” per introdurre la famiglia; “perché la famiglia non basta?” per
passare alla società civile; “come possiamo conciliare il buono della famiglia e della società
civile” per arrivare allo Stato.]
Ci soffermiamo in particolare sulla concezione hegeliana a partire dal problema “che cos’è lo
Stato?”. Emerge una discussione su quali dovrebbero essere i doveri dello Stato, da cui
emerge il carattere “anti-liberale” della proposta hegeliana, che sacrifica la libertà individuale
e i diritti dei singoli a favore dello Stato stesso, piena realizzazione dell’eticità.
Alcune interessanti discussioni con esempi pratici nascono sulla differenza famiglia/società
civile: per la famiglia si fa di tutto, mentre gli altri, che compongono la società civile, sono
estranei; in famiglia ci si aiuta, ci si dà una mano, mentre nella società civile ognuno pensa
per sé, vive nel suo microcosmo (es: neve che si butta vicino a casa di un altro; litigate per un
parcheggio).
Dedico, quindi, una parte della lezione all’approfondimento del tema della guerra in Hegel,
partendo dal problema: “la creazione di un’organizzazione mondiale può impedire la guerra?”
Il pensiero di alcuni va immediatamente alla Pace perpetua di Kant, affrontata da poco nel
modulo di educazione civica sull’Europa; per contrasto, a questo punto, leggo un brano di
Hegel, in cui, invece, la guerra viene definita “salute dei popoli”. Alcuni commentano che,
purtroppo, Hegel è molto più realista di Kant.
Collegandomi a quanto già emerso in precedenza a proposito dell’individuo come “cellula
dell’organismo-stato”, passo, quindi, ad introdurre la filosofia hegeliana della storia e il
concetto di astuzia della ragione (servendomi anche della metafora della “talpa” ripresa da
Bodei), di fronte al quale qualcuno nota come in Hegel il punto di vista del “singolo” esca
forse un po’ sacrificato.
Senza dilungarmi troppo, presento, attraverso una breve lezione frontale, le partizioni dello
“spirito assoluto” (arte, religione, filosofia), sottolineando che l’oggetto di tutte e tre le forme
di sapere è l’assoluto, ma che si tratta di forme più o meno adeguate ad esprimere tale oggetto.
La lezione è volutamente breve e schematica, in quanto preferisco lasciare l’ultima mezz’ora
della lezione ad un ultimo importante problema, inerente il ruolo della filosofia: “Qual è lo
scopo della filosofia? Con quale atteggiamento la filosofia deve interessarsi al mondo?”.
Dopo aver ascoltato alcuni contributi da parte degli studenti (pochi a dire il vero), chiedo loro
di anticipare quale potrebbe essere la risposta di Hegel, suggerendo di partire
dall’identificazione reale-razionale, essere-dover essere. Mi rendo conto che, però,
l’attenzione della classe è veramente al minimo, dopo quasi due ore di lezione molto intense;
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decido, allora, di dedicare gli ultimi minuti della lezione ad una breve lettura hegeliana sulla
famosa metafora della filosofia come nottola di Minerva (tratta da Lineamenti di filosofia del
diritto; una delle poche letture accessibili di Hegel!).
Lezione X (1 h)-ripasso
Su richiesta della classe, decidiamo di dedicare un’ora supplementare al ripasso di tutti gli
argomenti inerenti al modulo. Gli studenti chiedono di riprendere in particolare la filosofia di
Hegel, mentre l’idealismo e Fichte appaiono meglio recepiti.
In particolare, emergono come punti maggiormente problematici il ruolo dell’individuo
all’interno del sistema hegeliano, il passaggio dalla fenomenologia al sistema, i momenti della
dialettica, l’astuzia della ragione, l’identità reale-razionale.
37
LA VERIFICA
Costruzione della prova
Avendo dedicato alla spiegazione più ore (13) rispetto a quelle previste nel modulo (11), il
tutor decide di dedicare solo un’ora alla verifica, nonostante la lunghezza del modulo: diventa,
quindi, impossibile verificare tutti gli obiettivi programmati; decido allora, in accordo con il
tutor, di concentrarmi su Hegel e lasciare più sullo sfondo la parte introduttiva sull’idealismo
e Fichte.
Nel rispetto della tabella docimologica elaborata dal dipartimento di lettere del liceo, che
prevede quattro parametri di valutazione (conoscenze, lessico, comprensione, rielaborazione),
e in accordo con il mio tutor, strutturo una verifica che tenga conto di tali parametri:
Lessico:
A) Tre richieste di definizioni con vincolo di spazio: idealismo, stato, coscienza infelice.
OBIETTIVI CORRISPONDENTI:
•
Saper definire il concetto di idealismo nelle varie accezioni filosofiche del termine (in
particolare la differenza tra idealismo platonico, idealismo gnoseologico e idealismo
assoluto)
•
Saper illustrare i caratteri generali dell’idealismo tedesco (abolizione della cosa in sé,
infinitizzazione dell’io, tutto è spirito)
•
Saper definire, con riferimento alla filosofia hegeliana, i seguenti concetti:
panlogismo, eticità, moralità, fenomenologia, sistema, spirito, idea, Aufhebung,
alienazione, stato, coscienza infelice.
Conoscenze:
A) Due completamenti, uno sulla Fenomenologia, l’altro sul rapporto fenomenologia-sistema
e sull’articolazione del sistema.
OBIETTIVI CORRISPONDENTI:
•
Saper delineare lo schema della Fenomenologia dello spirito di Hegel nella sua
articolazione generale (coscienza, autocoscienza, ragione, spirito, religione, sapere
assoluto).
•
Saper descrivere le principali figure della Fenomenologia, con particolare attenzione a
quelle dell’autocoscienza (appetito, riconoscimento, signoria/servitù, stoicismo,
scetticismo, coscienza infelice), argomentandone i passaggi interni.
38
•
Individuare lo scopo e la peculiarità del sistema di Hegel in rapporto alla
Fenomenologia e saperne descrivere l’articolazione interna (logica, filosofia della
natura, filosofia dello spirito) in rapporto ai tre momenti della dialettica.
B) Due domande a risposta aperta con vincolo di spazio: astuzia della ragione, dottrina della
scienza di Fichte
OBIETTIVI CORRISPONDENTI:
•
Saper definire il concetto hegeliano di “astuzia della ragione” servendosi anche di
alcuni esempi.
•
Saper illustrare, argomentandone i passaggi interni, i tre momenti della dottrina della
scienza di Fichte e saper spiegare perché la sua dialettica ha un ritmo triadico
Comprensione-Rielaborazione:
A) Lettura di un brano di Hegel e domande semistrutturate sul brano.
[per rispondere correttamente alle domande non basta aver compreso il brano, bensì è
necessario riutilizzare le conoscenze acquisite attraverso lo studio, in particolare la dialettica]
OBIETTIVI CORRISPONDENTI:
•
Saper leggere e commentare brevi passi antologici tratti da opere di Fichte e Hegel,
analizzandone le argomentazioni e contestualizzandoli nell’ambito del pensiero degli
autori in questione.
•
Saper spiegare che intende Hegel con l’affermazione che “bisogna cogliere l’Assoluto
non solo come sostanza, ma anche come soggetto”.
•
Saper esporre con proprietà di linguaggio i tre momenti della dialettica hegeliana (in
sé, per sé, in sé e per sé) e saperli mettere a confronto con i tre momenti della
dialettica di Fichte.
B) Domande a risposta chiusa su alcune problematiche emergenti dalla dottrina hegeliana
(critica a Fichte e a Schelling; identità reale-razionale; ruolo dell’individualità)
OBIETTIVI CORRISPONDENTI:
•
Saper delineare la critica di Hegel a Fichte riguardo il concetto di “cattivo infinito”,
ricostruendo le argomentazioni con le quali egli supporta tale critica.
•
Saper delineare la critica di Hegel alla concezione dell’assoluto di Schelling,
ricostruendo le argomentazioni con le quali egli supporta tale critica.
39
•
Saper spiegare il significato dell’affermazione hegeliana dell’identità tra reale e
razionale e l’identità di logica e metafisica.
Criteri di valutazione
Ad ogni item è assegnato un punteggio numerico variabile sulla base della difficoltà e della
pregnanza dell’item stesso.
Sul totale massimo di 60 punti, alle conoscenze pure vengono assegnati fino a 25 punti; al
lessico fino a 5 punti: il che significa che agli obiettivi cognitivi di base (quelli più facilmente
verificabili e più legati all’impegno e allo studio) viene dato maggior peso (35/60) rispetto
agli obiettivi “di competenza”, ovvero comprensione e rielaborazione (25/60); questo per
valorizzare il più possibile lo studio e l’impegno a casa.
40
La prova
Verifica di Filosofia – L’idealismo: Fichte, Hegel
Casale, data _______
tempo disp: 50’
Nome e Cognome: _______________________
Classe V sez. _________
Lessico
A – Definisci i seguenti termini (30-40 parole)
1 - Idealismo
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
_________________ Punti ___/3
2 - Stato (in Hegel)
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
_________________ Punti ___/3
3 – Coscienza infelice
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
__________________ Punti ___/4
Conoscenza
A – Completa il seguente schema. Ogni inserimento corretto vale 0.5 punti
Punti___/10
La Fenomenologia dello Spirito comprende 6 tappe e numerose figure interne ad esse:
1. Coscienza
(1.1 Certezza sensibile, 1.2 ___________________ , 1.3 _________________ )
2. _________________
41
(2.1 Appetito, 2.2 __________________________, 2.3 Lotta per la vita e per la morte, 2.4
Dialettica ________________, 2.5 Stoicismo, 2.6 _______________ e 2.7 la
________________ , che culmina con ____________________)
3. __________________
4. __________________ (inizia ora il cammino a livello __________________ dello
Spirito)
5. Religione
6. __________________
Compiuto questo cammino, il _______________ può finalmente procedere dallo Spirito,
ritornato in sé e per sé, articolandosi in 3 momenti:
1. ________________________: è il momento del sapere speculativo astratto)
2. ________________________: è il momento della ______________ , cioè della Idea
fuori-di-sé)
3. Filosofia dello Spirito
: lo Spirito torna in sé e per sé; si compone di 3
momenti principali:
a. Spirito soggettivo
b. Spirito oggettivo
(con tre momenti: diritto astratto, ______________,
_____________)
c. __________________ (comprende tre momenti: arte, ______________,
filosofia)
B – Completa il seguente brano
Punti ___/5
Una volta che lo Spirito si sia conosciuto al termine del cammino fenomenologico, può
finalmente procedere il _________________ , cioè l’organizzazione _____________ e
razionale di tutto il sapere.
Il primo momento del sistema è la ____________, che corrisponde al momento dialettico
della _________. In questo ambito ritroviamo la famosa affermazione di Hegel sul rapporto
tra essere e pensiero: “Tutto ciò che è _____________________________________ e tutto
ciò che è ____________________________”.
La seconda sezione è la Filosofia __________________ , che risponde al momento dialettico
della __________________ . In essa si riconosce come vertice delle creature organiche
_____________ , il cui tratto distintivo è la coscienza :grazie ad essa avverte il proprio
limite, per sfuggire al quale deve fare ricorso alla facoltà della _____________________,
tramite la quale la cultura viene ricevuta, conservata e trasmessa e l’individuo si sente parte
dell’universale: si apre così il cammino dello spirito .
C – Rispondi alla seguente domanda in 40-50 parole
Punti ___/10
1 – Esponi il concetto hegeliano di “astuzia della ragione”
Punti ___/4
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
42
___________________________________________________________________________
___________________________________
2 – Indica i tre momenti della dottrina della scienza di Fichte e illustrane un momento a scelta
Punti
___/6
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
_____________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
______________
Comprensione
A – Leggi il seguente brano e rispondi alle domande, secondo lo spazio disponibile
Punti ___/17
La figura autentica in cui la verità può esistere è soltanto il sistema scientifico della verità
stessa. Ora, collaborare affinché la filosofia si avvicini alla forma della scienza, affinché
giunga alla meta in cui possa deporre il proprio nome di amore del sapere per essere sapere
reale è ciò che mi sono proposto.
(…) La vera figura della verità è dunque posta nella scientificità e ciò equivale a dire che la
verità trova l’elemento della propria esistenza solo nel concetto. Secondo il mio punto di
vista, che dovrà giustificarsi unicamente mediante l’esposizione del sistema stesso, tutto
dipende dall’esprimere e concepire il vero non tanto come sostanza bensì propriamente come
soggetto. (…) La sostanza vivente costituisce l’essere che è veramente soggetto, che è
veramente reale, solo nella misura in cui essa è il movimento del porre-se-stessa, solo in
quanto è la mediazione tra il divenire-altro-da-sé e se stessa. In quanto soggetto, la sostanza
è la negatività pura e semplice, e proprio per questo è lo sdoppiamento del semplice, è la
duplicazione opponente che a sua volta costituisce la negazione di questa diversità
indifferente e della sua opposizione: solo questa uguaglianza restaurantesi (…) è il vero. Il
vero è il divenire se stesso,è il circolo che presuppone e ha all’inizio la propria fine come
proprio fine, e che è reale mediante l’attuazione e la propria fine.
(…) Il vero è il Tutto. Il Tutto però è solo l’essenza che si compie mediante il proprio
sviluppo. Dell’Assoluto infatti bisogna dire che è essenzialmente un risultato, che solo alla
fine è ciò che è in verità. E appunto in ciò consiste la sua natura: nell’essere realtà, soggetto,
divenire se stesso.
1 – Chi è l’autore del brano proposto?
43
__________________________
___/1
Punti
2 – Che titolo si potrebbe dare al brano?
________________________________________________________________
Punti ___/2
3 – Può la filosofia in quanto “amore del sapere” essere autentico sapere? Perché?
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
____________
Punti ___/3
4 – L’autore intende “concepire il vero come soggetto, non più come sostanza”: che cosa
intende dire?
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
______________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
______________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
_______
Punti ___/4
5 – Quale termine viene utilizzato altrove dall’autore per indicare il Vero come “soggetto”?
__________________________
Punti
___/1
6 – Come si definisce nello specifico il “divenire altro da sé”, momento intermedio del
processo triadico hegeliano?
__________________________
Punti ___/1
7 – Come viene definito tale processo triadico?
__________________________
Punti ___/1
8 – Come vengono definiti nello specifico da Hegel i tre momenti di tale processo?
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
______________
Punti ___/3
9 – A quale di questi momenti si riferisce l’espressione “eguaglianza restaurantesi”?
__________________________
Punti
___/1
44
B – Scegli l’unica alternativa giusta tra le quattro proposte (1 punto per ogni scelta
corretta)
Punti ___/8
1. Per Hegel la conoscenza dell’assoluto
a. è un atto puramente intuitivo proprio dell’uomo stesso
b. è frutto di un percorso che si compie e si conclude all’interno della coscienza
individuale
c. è un atto puramente intuitivo proprio del filosofo cioè di Hegel stesso
d. è frutto di un percorso individuale e collettivo che si compie attraverso la storia delle
civiltà umane
2. Hegel critica Schelling perché
a. la conoscenza intuitiva dell’assoluto sostenuta da Schelling è come “una notte buia in
cui tutte la vacche sono nere”
b. la conoscenza speculativa dell’assoluto sostenuta da Schelling è come “una notte buia
in cui tutte la vacche sono nere”
c. la conoscenza intuitiva dell’assoluto sostenuta da Hegel è come “una notte buia in cui
tutte la vacche sono nere”
d. la conoscenza intuitiva dell’assoluto sostenuta da Schelling è come la nottola di
Minerva “che giunge sempre sul
far della sera”
3. Hegel critica Fichte perché
a. La concezione fichtiana dell’infinito permette il superamento della opposizione tra
finito e infinito
b. La concezione fichtiana dell’infinito non permette il superamento della opposizione tra
finito e infinito
c. La concezione hegeliana dell’infinito non permette il superamento della opposizione tra
finito e infinito
d. Hegel non provava particolare simpatia per Fichte
4. Per Hegel l’Assoluto è Spirito poiché:
a. solo il soggetto può conoscere l’Assoluto, in quanto soggetto conoscente
b. solo l’Assoluto non può conoscere pienamente se stesso, a meno di ridursi a oggetto
finito per un soggetto conoscente
c. solo l’Assoluto può conoscere pienamente se stesso, tramite il ridursi a oggetto finito
per un soggetto conoscente
d. solo l’Assoluto può conoscere pienamente se stesso, a meno di ridursi a oggetto finito
per un soggetto conoscente
5. Secondo Hegel, la fenomenologia dello spirito
45
a. è la compiuta esposizione del sapere assoluto
b. è il percorso che la coscienza individuale compie per conoscere la sua essenza assoluta
c. è lo studio delle tappe delle progressive manifestazioni dello spirito a livello individuale
e collettivo
d. è la fine della filosofia
6. Per Hegel “Tutto ciò che è reale è razionale” poiché
a. se la ragione si manifesta nella storia, allora essa è anche reale
b. se la realtà più vera è necessaria e il razionale è posto dal necessario, allora il reale è
razionale
c. se la realtà più vera è necessaria e il necessario è posto dal razionale, allora il reale è
razionale
d. se la realtà più vera è razionale e il razionale è posto dal necessario, allora il reale è
necessario
7. La storia secondo Hegel
a. è l’ambito privilegiato in cui l’uomo può conoscere se stesso e lo Spirito
b. è l’ambito concreto in cui lo Spirito può farsi conoscere dall’uomo
c. è l’ambito concreto in cui lo Spirito può progressivamente conoscersi attraverso l’uomo
d. è l’ambito concreto in cui l’uomo può progressivamente conoscersi attraverso lo Spirito
8. Nello spirito oggettivo occorre giungere al momento della eticità poiché
a. nel diritto astratto manca il rapporto col soggetto morale e nella morale manca un
contenuto concreto
b. nella morale manca il rapporto col soggetto morale e nel diritto astratto manca un
contenuto concreto
c. nel diritto astratto non manca il rapporto col soggetto morale ma nella morale manca
un contenuto concreto
d. nel diritto astratto manca il rapporto col soggetto morale benché nella morale non
manchi un contenuto concreto
PUNTEGGIO: Lessico (A)
punti _____/10
Conoscenza (A+B+C)
punti _____/25
Comprensione (A+B)
punti _____/25
TOTALE GREZZO: _____/60 (suff. 36/60 – 60%)
TOTALE in 50mi: ____/50
46
Svolgimento della verifica
Prima di distribuire la verifica, divido i banchi dei ragazzi, faccio togliere ogni cosa dai
banchi tranne una biro e faccio allontanare gli zaini; dopodiché distribuisco le verifiche,
riepilogo velocemente quali sono le domande, spiego rapidamente alcune modalità di
compilazione (es: i vincoli di spazio, le definizioni, le risposte chiuse), invito i ragazzi a non
lasciare le risposte in bianco, ma a provare comunque a rispondere (questo in vista anche della
terza prova, che penalizza molto di più una risposta in bianco che una errata) e calcolo
esattamente 50’ dal momento in cui i ragazzi cominciano effettivamente a lavorare (il tutor mi
consiglia di stare molto attenta a questi aspetti formali, onde evitare possibili lamentele da
parte di studenti e genitori).
Durante la verifica io e il tutor giriamo tra i banchi con funzione di controllo; alcuni studenti
mi chiedono spiegazioni su alcune domande, in particolare riguardo al testo da analizzare.
L’impressione è che ognuno lavori in autonomia e che nessuno cerchi di comunicare o di
copiare di nascosto.
Allo scadere del tempo, ritiro i compiti e noto un certo pessimismo riguardo i risultati della
prova; molti lamentano il fatto di non essere riusciti a completare tutte le domande, essendo la
verifica piuttosto lunga e complessa.
Restituzione della verifica
I risultati, nell’insieme, non sono stati del tutto positivi, anche se in qualche misura questo era
stato previsto dal tutor, che mi spiega che già nelle interrogazioni orali su Kant la classe non
si era dimostrata particolarmente brillante.
La media della classe è stata leggermente inferiore al 6, con 5 insufficienze, di cui tre gravi:
una media di poco al di sotto di quella della prima interrogazione, ottenuta però attraverso una
verifica decisamente meno vincolante (il tutor ammette in effetti di essere stato nelle
interrogazioni precedenti particolarmente “generoso”).
Alcuni studenti hanno chiamato in causa la “novità” della prova: la classe non era abituata a
verifiche scritte di filosofia così strutturate e con criteri di correzione così vincolanti: gli
studenti fino a quel momento erano abituati ad essere valutati solo attraverso interrogazioni
orali.
Altri hanno affermato di essersi trovati in difficoltà con la gestione del tempo (50’ effettivi
per una prova piuttosto ricca) e di aver dovuto lasciare molte domande in bianco per questo
motivo. Le insufficienze gravi sono dovute, infatti, essenzialmente a risposte completamente
mancanti.
47
Inoltre, molte sono state le assenze per neve e malattia, che non hanno permesso di aver
continuità nell’esposizione dell’argomento.
Il tutor, comunque, mi tranquillizza dicendomi di prevedere diverse modalità di recupero per
le insufficienze (interrogazioni, approfondimenti a casa) e di aver preventivato, come
prossima prova per il terzo voto, una simulazione di terza prova molto meno strutturata e con
meno obiettivi di apprendimento.
Nel restituire la verifica, prima di lasciarmi la parola, il tutor fa una premessa alla classe: dice
innanzitutto di aver condiviso pienamente con me sia la costruzione della verifica che la
correzione (in modo tale che la classe non scarichi tutte le responsabilità dell’insuccesso su di
me!), si dichiara insoddisfatto dello studio e dell’impegno dimostrato, ma alla fine
tranquillizza parzialmente la classe spiegando, appunto, che ci sarà la possibilità, per chi lo
vorrà, di “recuperare” riportando gli argomenti nell’interrogazione successiva e attraverso
approfondimenti personali.
Passo, quindi, alla restituzione della verifica alla classe: distribuisco ad ognuno la propria
verifica e inizio con una correzione collettiva, spiegando, soprattutto per le domande aperte, i
criteri di assegnazione del punteggio per ciascuna domanda. Negli ultimi 10’ rimango alla
cattedra per chiarimenti da parte dei singoli studenti. Ho notato che quasi tutti gli studenti
hanno capito immediatamente i loro errori già durante la correzione pubblica e solo cinque
hanno avuto bisogno di un chiarimento supplementare individuale. Nessuno ha contestato,
almeno apertamente, la propria valutazione.
48
QUESTIONARI DI VALUTAZIONE DEI RAGAZZI
Il questionario
Interesse degli argomenti presentati:
A. Niente
B. Poco
C. Abbastanza
D. Molto
Giudizio sul percorso didattico:
E. Molto interessante
F. Poco interessante
G. Utile e importante
H. Assolutamente inutile
Quale elemento vi ha colpito o interessato maggiormente e perché?
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
Quale elemento elimineresti e perché?
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
Cosa suggeriresti di fare per rendere più interessante l’argomento?
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
Cosa suggeriresti di non fare più?
49
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
Come valuti:
la capacità del docente di spiegare in modo chiaro e comprensibile
Ottima
Buona
Sufficient
Scarsa
e
La disponibilità del docente nelle richieste di chiarimenti e di approfondimenti
Ottima
Buona
Sufficient
Scarsa
e
La capacità del docente di stimolare l’interesse per la materia trattata
Ottima
Buona
Sufficient
Scarsa
e
La chiarezza del docente sulle modalità e le regole della valutazione
Ottima
Buona
Sufficient
Scarsa
e
La cura dell’insegnante nella preparazione della lezione
Ottima
Buona
Sufficient
Scarsa
e
Esprimi un giudizio complessivo sulla didattica del docente
Ottima
Buona
Sufficient
Scarsa
e
Vi sembra che la classe abbia percepito l’intervento del tirocinante come:
a. una piacevole rottura della routine scolastica che ha alimentato le motivazioni
b. uno intrusione che ha interrotto i processi di apprendimento degli studenti
50
c. un’occasione di arricchimento culturale
d. una semplice variante del metodo del proprio insegnante, che non ha evidenziato
discontinuità didattica
Eventuali osservazioni e suggerimenti
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
…………………………………………………………………………………………………...
Analisi dei risultati
Posso affermare di essere particolarmente soddisfatta della mia esperienza di tirocinio: grazie
anche all’aiuto del tutor, penso di essere riuscita a instaurare con la classe una relazione
costruttiva, stimolando interventi e partecipazione almeno da parte della maggioranza degli
studenti.
Questo, peraltro, mi è stato confermato dai risultati dei questionari anonimi compilati dai
ragazzi al termini del percorso, che, nonostante i risultati non eccessivamente positivi della
verifica e la difficoltà dell’argomento del modulo, sono stati inaspettatamente positivi.
Da tali questionari, infatti, è emerso un discreto interesse nei confronti degli argomenti
presentati, che la maggioranza ha giudicato “Abbastanza interessanti”, e del percorso
didattico, giudicato dai più “utile e importante”. La valutazione generale sul lavoro svolto dal
tirocinante è stata positiva, tra il buono e l’ottimo. Nello specifico, le parti che hanno
interessato maggiormente gli studenti sono state la filosofia di Fichte e la Fenomenologia
dello spirito.
Un paio di studenti sottolineano di aver trovato nella filosofia di Hegel molti spunti
“moderni” e vicini alla vita quotidiana: la cosa mi ha colpito piacevolmente, in quanto ciò
dimostra che i miei sforzi di rendere il più possibile significativa la filosofia hegeliana sono
stati carpiti da qualcuno!
Alcuni, invece, hanno trovato Hegel troppo complesso (in particolare la logica), la verifica
troppo lunga e complessa e le mie spiegazioni a tratti troppo precise e puntigliose; altri
suggeriscono di utilizzare di più il manuale, di presentare l’argomento in modo meno
schematico e più discorsivo o di far partecipare ancora di più gli studenti. Ambivalente
l’atteggiamento verso le letture dei testi: qualcuno consiglia di leggerne di più, altri di meno.
51
La collaborazione con il tutor è stata molto proficua: egli è sempre stato nei miei confronti
molto presente e disponibile, dal momento della programmazione fino alla costruzione e alla
correzione della verifica. Mi ha sempre fornito, sin dalle prime lezioni, indicazioni utili,
riguardanti soprattutto l’approccio con la classe e le modalità di spiegazione. Ho trovato poi
particolarmente utile la collaborazione fornitami durante la fase di preparazione e correzione
della verifica, non avendo esperienze in merito a verifiche scritte strutturate e griglie di
valutazione.
52
RIFLESSIONI CONCLUSIVE SULL’ESPERIENZA SIS
Giunta al termine della mio percorso sis, posso ritenermi piuttosto soddisfatta di quanto
appreso e posso affermare, nonostante le fatiche e le difficoltà incontrate, di aver guadagnato
diversi spunti di riflessione per quella che sarà, spero, la mia futura professione.
La sis, innanzitutto, mi ha permesso di riflettere e di acquisire consapevolezza, soprattutto
attraverso lo scambio e il confronto costruttivo con i colleghi, del ruolo e della funzione
docente.
In particolare, poi, l’esperienza di tirocinio mi ha dato l’opportunità di provare a tradurre in
pratica didattica quelle indicazioni teoriche disciplinari che durante i corsi a volte mi erano
sembrate piuttosto astratte (anche se, a dire il vero, dovendo tirare le somme, non sempre ci è
stata offerta una valida sintesi tra teoria acquisita e prassi educativa).
Svolgo attività inerenti all’insegnamento e alla formazione da diversi anni, ma non avevo mai
avuto la possibilità di osservare da vicino e vivere direttamente l’esperienza didattica in una
classe di liceo: l’attività di tirocinio ha rappresentato per me, da questo punto di vista,
un’ottima opportunità per mettermi alla prova “sul campo”.
Essa, inoltre, mi ha fatto capire quante siano le variabili implicate nella gestione di un
intervento didattico e soprattutto la grande importanza dei fattori relazionali nel processo di
insegnamento-apprendimento.
Inoltre, tale esperienza ha rinforzato in me una serie di convinzioni che già avevo
precedentemente: in particolare, che tra le competenze che un buon insegnante dovrebbe
avere (oltre a quella disciplinare) vi sono anche la capacità comunicativa, la capacità
gestionale, che prevede, a sua volta, la capacità di osservare criticamente le dinamiche del
gruppo-classe e di declinare le attività anche sulla base del feedback ricevuto, e la capacità di
coinvolgere e rendere gli studenti i veri protagonisti del proprio apprendimento, in
quanto -per citare Carl Rogers-“the only person who is educated is the one who has learned
how to learn”.
53