La dissertazione di laurea di Erich Fromm del 1922 sulla

Publikation der Internationalen Erich-Fromm-Gesellschaft e.V.
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La dissertazione di laurea di Erich Fromm
del 1922 sulla legge ebraica. Esposizione del contenuto
Bernd Sahler
Paper presented at the International Symposium „Erich Fromm: Life and Work”, May 12-15, 1988 in
Locarno, Switzerland.
Copyright © 1988 und 2009 by Bernd Sahler, Adinda-Flemmich-Str. 23, D-79100 Freiburg im Breisgau. - Traduzione di cura Nadia Menni, Bologna
1. Introduzione
Prima di entrare nel tema vero e proprio,
l’esposizione della dissertazione di laurea di Erich Fromm, sino ad ora inedita [1988!], desidero porre in evidenza che la tesi di laurea frommiana, oltre ad esaminare la questione sociologica, costituisce anche un valido contributo alla
grandiosa cultura ebraica. Essa ci offre, in primo
luogo, una visione d’insieme sui centri della storia ebraica. Fromm concepì il suo lavoro „come
un primo tentativo di considerare il giudaismo
della diaspora oggetto di analisi di una sociologia culturale, e di analizzarlo dal punto di vista
sociologico”. Egli dovette pertanto riallacciarsi
alla storia ebraica, in particolare alla storia economica dell’ebraismo e trattarla a fondo. L’arco
storico si tende pertanto dal centro della Palestina (fino al 200 a.C.circa), attraverso la Babilonia (fino al 1000 d.C.), la Spagna (fino al
1500), la Russia e la Polonia (fino al 1800), sino
a giungere allo scioglimento e alla dispersione
della „popolazione ebraica in quanto unità psichica”, fenomeno verificatosi alla fine del XIX
sec.
Nella dissertazione abbiamo inoltre modo
di riscontrare, all’interno dei rispettivi contesti
storici, copiose citazioni ed enunciazioni tratte
dalla Thora, dal Talmud (come fonte della legge) e dai profeti (Isaia, Amos, Osea) che ci forniscono un quadro illustrativo dello spirito e
dell’atteggiamento dell’ebraismo „storico”.
Infine Fromm nella sua dissertazione sulla
legge ebraica cita numerose leggi, tradizioni e
precetti ebraici, quali la legge del sabato, la leg-
ge sull’alimentazione, la preghiera della comunità, il canto collettivo, tanto per richiamarne alcuni a mo’ di esempio, che ci lasciano intuire
come il sentimento e la pratica della vita del
giudaismo fossero allora completamente diversi.
2. I principi direttivi di Fromm
nella sua dissertazione.
Cos’è il mastice di una società? Cosa garantisce
la coesione di un gruppo?
Tale questione tipicamente frommiana determina già, nella sua dissertazione ebraica, il suo interesse epistimologico nell’ambito della sociologia e della psicologia sociale. Mentre la sociologia „accademica” risponde a tale quesito per lo
più rimandando a istituzioni esterne quali lo stato, l’economia, la chiesa ecc., Fromm presta
sempre attenzione alle strutture psichiche „interne” di una società.
Egli volle mostrare la necessità di esaminare
le forze agglutinanti „interne”, nel caso si affronti un fenomeno sociale dal punto di vista sociologico e in tal senso fece oggetto della sua disamina il giudaismo della diaspora, cioè quel
gruppo minoritario ebraico che si contraddistingueva proprio per non poggiare su alcuna istituzione (chiesa, stato, ecc.) e per non disporre
neppure di una propria lingua profana e di un
proprio territorio. Il giudaismo della diaspora si
contrassegnava inoltre per aver condotto, nel
corso di vari secoli, un’esistenza completamente
autonoma, con una pratica di vita specificamen-
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La ricerca dell’identità nella modalità dell’essere
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te circoscritta, che gli permise di „continuare a
vivere in mezzo agli altri popoli, stando
all’interno ma allo stesso tempo al di fuori di essi” (pag. 10).
„Il giudaismo della diaspora, nonostante sia
sempre stato inserito nel processo di civilizzazione dei popoli ospiti, ha sviluppato, nel suo
universo sociale e culturale, un proprio modo di
vita e un’ autonomia che hanno garantito la sua
sopravvivenza come corpo storico unitario.”
(pag. 11)
Se la coesione del giudaismo della diaspora
non è da ascrivere a fattori esterni, dobbiamo
imputare ad altri elementi la sua unità interna. A
questo punto Fromm, nell’affrontare la questione del mastice sociale del giudaismo della diaspora, s’imbatte nella legge ebraica. Fromm si
serve ancora del linguaggio metaforico di Alfred
Weber ed usa i suoi simboli: a suo avviso l’essere
imbevuto della legge ebraica,”dell’anima del
corpo storico”, costituisce il mastice interno del
corpo sociale giudaico. In tale stato Fromm scopre la chiave di risposta al quesito sopra accennato, ossia perché il giudaismo della diaspora ha
rinunciato a chiesa e stato, e come esso sia riuscito, nel corso delle varie epoche storiche, a conservare un’autonomia politica e giuridica ed a
respingere, grazie ad una „mimetizzazione culturale”, gli influssi delle culture estranee.
3. La tesi frommiana: la legge ebraica, il „mastice sociale” del giudaismo della diaspora.
Cosa intendeva Fromm con legge ebraica,
considerata come „anima” del corpo storico, che
è entrata nel „sangue” del corpo sociale?
Così come si può affermare che solo l’anima
riempie di forza vitale il corpo di un singolo individuo, è possibile sostenere, applicando tale
concetto alla legge ebraica, che soltanto
„l’anima” del corpo storico - la realtà metafisica
- ha rinforzato i corpi dei membri della società.
La legge era, per così dire, l’elisir emanante il
senso della vita, di cui il corpo sociale, fusosi in
una unità, era letteralmente imbevuto. Grazie a
tale proprietà la legge rappresentò per gli esseri
umani un preciso „orientamento del loro operato religioso” e li rinvigorì nel loro compito di
„attiva santificazione del mondo”. „L’anima” del
corpo storico ebraico ha avuto origine con i
profeti e la loro visione messianica, in un mondo pacifico e consacrato unicamente alla conoscenza divina; la legge simbolizza di conseguenza proprio quei contenuti primigeni profeticoreligiosi. Nel contesto già accennato la legge ebraica rappresenta perciò il giudaismo della diaspora radicato nelle proprie fonti religiose.
Finché venne salvaguardata l’unità e
l’autonomia del giudaismo della diaspora, mai si
attuò l’interpretazione contenutistica della legge
senza rievocazione cosciente di quella tradizione
religiosa seguita con rigore, sulla cui base vennero formulate le norme etiche aventi validità oggettiva e che trovarono la loro corrispondenza
nella forma della legge. La legge del sabato ad
esempio, con la proibizione del lavoro feriale,
rispecchiava il concetto di trovare la propria
tranquillità a favore dell’attività creativa e spirituale. L’idea corrispondeva alla forma e viceversa. Ma poiché la legge con constava solo di
un’insieme di norme scritte, bensì veniva osservata collettivamente e perciò vissuta dalla comunità religiosa, essa era sopratutto una legge di
vita, una forma di vita, che esprimeva
un’attitudine mentale ben precisa o, come diremmo oggi, una attitudine psichica ben precisa.
A questo punto risulta chiaro perché il titolo della dissertazione di Fromm è indicato al singolare
- la legge ebraica - e non al plurale, in quanto la
parola ebraica Halacha (da haloch = andare)
indica che si tratta di una via, la via per eccellenza (cfr. anche il giapponese Do = via).
Sebbene sia caratteristico della legge rappresentare „... un sistema di norme potenziali vincolanti per tutti i membri del popolo e allo stesso tempo essere in grado di tutelare
l’individualità religiosa...” (pag. 16), Fromm
non intende con „legge” delle norme di condotta in chiave conportamentistica o un codice di
modalità di comportamento, così come si è usati
definirla oggigiorno.
Concepire la legge come una „via collettiva
di norme etiche vissute” (Funk), significa che la
legge ebraica nell’opera di Fromm viene intesa
come una legge „interna”, ossia un insieme di
certe attitudini psichiche collettive di base. Tali
attitudini di base formarono il mastice psichico
del giudaismo della diaspora e determinarono lo
stesso modo di pensare, sentire, agire nei vari
membri della società.
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La ricerca dell’identità nella modalità dell’essere
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Se Fromm reputa la legge come la quintessenza dell’atteggiamento psichico di base, essa
può venire intesa anche nella sua funzione psicologico-sociale. Si potrebbe definire la legge come
il „precursore teorico” del carattere sociale, leggendo ciò che Fromm scrive sulla funzione (col)legante della legge ebraica: essa era „la mediatrice tra il pensiero religioso e la collettività” (pag.
28), oppure anche „l’anello di congiunzione della correlazione fra l’unità fisica e metafisica.”
(pag. 16).
Fromm associava dunque determinati atteggiamenti psichici alla legge ebraica e tali atteggiamenti erano garanti della „coesione della
collettività e della continuità della storia” (pag.
28). Si manifesta perciò - già nella sua dissertazione - un importante ulteriore elemento del
suo più tardo pensiero di psicologia sociale, vale
a dire il riconoscere che le attitudini interiori
comuni ad un gruppo possono risultare soltanto
dalla loro pratica di vita comune e che
l’attitudine interiore e la pratica di vita sono legati da un rapporto correlativo di influenza e
modifica. Tale rapporto fra struttura psichica e
struttura sociale permette a Fromm di riconoscere quale importanza la legge ebraica riveste per
la preservazione della cultura ebraica e della sua
pratica di vita circoscritta. La legge esterna, considerata come guida della pratica di vita, viene
ritenuta in grado di consolidare e promuovere le
leggi interne, vale a dire le forme etiche autonome, anche in caso di mutamento delle condizioni sociali. Pure la sopravvivenza del corpo
sociale giudaico indipendente viene così assicurata. Se, al contrario, le norme etiche autonome
non determinano l’interpretazione contenutistica della legge, ma quest’ultima viene interpretata in conformità alle esigenze economiche del
tempo, essa non potrà che trasformarsi in un „acido solubile” invece che in „malta” della compagine sociale e perdere così la sua forza agglutinante e la sua capacità di resistenza nei confronti delle culture estranee.
4. La dimostrazione della tesi applicata
al giudaismo della diaspora.
Nella sua dissertazione Fromm dimostra tale regola di psicologia sociale tramite l’analisi da lui
condotta delle conseguenze dei mutamenti subiti
dalla legge ebraica, a seguito della sua collisione
con tre fenomeni della storia ebraica. I caraiti,
un movimento settario sorto nel VIII sec. in Babilonia, il giudaismo riformato degli ebrei
dell’Europa occidentale nel XVIII e XIX sec. e i
chasidismo, si possono prendere ad esempio al
fine di dimostrare che „effettivamente il corpo
storico ebraico ha conservato a tal punto un
proprio modo di vita, da essere in grado di produrre nel XVIII sec., nel corpo storico in cui era
inserito e di cui aveva adottato solo gli elementi
di civilizzazione, un movimento sociale e culturale scaturente per intero dall’universo culturale
e sociale dell’ebraismo”
I Caraiti: Fromm descrive innanzi tutto la situazione economica degli ebrei in Babilonia. In
quei luoghi, che nel corso dell’opera di conquista islamica erano divenuti centri dell’espansione
di ampi traffici commerciali su lunghe distanze,
si era formata una vasta classe capitalistica.
Fromm concepisce la nascita della setta dei caraiti come „la conseguenza dell’impatto di nuove realtà economiche sul corpo storico ebraico...” (pag. 96) Da una cultura nazionale un
tempo chiusa e autonoma, dotata di una amministrazione indipendente e di una propria amministrazione della giustizia, si stacca la setta dei
caraiti, al fine di sottrarsi dai vincoli della legge
talmudica.
Come
manifestazione
dell’adattamento alle condizioni economiche egli addita anche i mutamenti verificatesi nella
struttura religiosa e sociale. Per questi ultimi è significativa „l’abrogazione della funzione determinante della legge, avente valore oggettivo e
carattere vincolante per la nazione, a favore
dell’individualizzazione della legge, ovverossia
della possibilità di interpretarla e praticarla secondo la propria opinione e le proprie esigenze.” (pag. 98)
L’individualizzazione della legge comporta
anche il venir meno dell’unità della nazione e la
dogmatizzazione della religione. Sebbbene nella
pratica ogni capo stabilisca la propria legge, la
legge biblica permane vincolante almento dal
punto di vista ideologico. I contrassegni visibili
dell’essere giudei vengono soppressi dai caraiti e
la preghiera della comunità perde d’importanza
ai loro occhi. La conseguenza è la dispersione di
questa setta ebraica.
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Nonostante lo spostamento di valore della
legge presso i caraiti, il corpo sociale ebraico rimane tuttavia intatto nella sua essenza.
Soltanto a seguito della collisione con il
corpo storico capitalistico-borghese nel XVIII e
XIX sec., il corpo storico ebraico andava ad affrontare una modificazione radicale e profonda
di struttura. Allora si fronteggiavano, senza alcuna possibilità di conciliazione, entrambe le „anime” dei corpi storici, vale a dire „`lo spirito’
del giudaismo, lo spirito di interpretazione religiosa contemplativa e di dominazione del mondo, e lo spirito del capitalismo, così per come è
stato rappresentato da Max Weber, cioè lo spirito della fretta, della inviolabilità del lavoro e
della professione, e del `disincanto’ scientificorazionale” (pag. 126)
Come nel caso dei caraiti, Fromm ritiene
che questo cambiamento di struttura nel giudaismo riformato sia causato dal bisogno di adattamento economico di una élite ebraica, in un
primo tempo ristretta. La legge contrastava tutte
le esigenze della nuova economia. Soprattutto la
legge ebraica del giorno festivo, il sabato „era
un grave impedimento per il finanziere ebreo,
costretto a trascurare affari urgenti che dovevano venire sbrigati il sabato” (pag. 126). Il giudaismo riformato, che si fa strada a fatica uscendo
dalla posizione dei paria (paria = proscritti, esiliati), accetta che le disposizioni del governo,
che condiziona l’emancipazione giuridica
all’abolizione della vita nazionale e sociale degli
ebrei, avente ancora come suo fondamento la
legge (cfr. pag. 127). La rinuncia del giudaismo
riformato al diritto di una propria amministrazione della giustizia, accordato agli ebrei e da
loro esercitato per tutto il corso del medioevo,
comporta anche il venir meno dell’influsso continuo sulla formazione di nuove pratiche di vita
(cfr. pag. 135).
La caratteristica prima del giudaismo, ossia
una condotta di vita ben determinata, viene rinnegata; la legge viene dichiarata dal giudaismo
riformato come non costitutiva. Al posto
dell’atteggiamento religioso collettivo di base
subentrano la comunità religiosa e svariati dogmi. Tutte queste tendenze „di dichiarare la legge
una componente di secondaria importanza del
giudaismo, di spogliarla del suo carattere nazionale, di privarla della sua forza legante, e la ten-
denza risultante da tutto questo di evitare un
principio autonomo della riforma” (pag. 182),
formano la caratteristica principale del giudaismo riformato, vale a dire „lo scioglimento del
sistema formale costitutivo per il giudaismo rabbinico” (pag. 183). Fromm giunge alla conclusione „che il legame della legge è essenzialmente
decaduto e che, dal punto di vista sociologico,
la coesione è in sostanza puramente nazionale”
(pag. 186). La collisione dei due corpi storici ha
termine con la vittoria della cultura capitalisticoborghese. E con la vittoria della cultura estranea
anche il corpo sociale subisce un profondo mutamento e trova la sua espressione nella riforma
della legge.
Il movimento del chassidismo si `rivela’ secondo Fromm come totalmente contrapposto al
giudaismo riformato e alla sua tendenza
all’adeguamento. Di nuovo egli pone in prima linea il quesito della situazione economica
ebraica in Polonia e Ucraina. Mentre durante il
feudalesimo del XVII sec. la situazione economica e politica degli ebrei in Polonia e Ucraina era
ancora proficua - essi esercitavano il commercio
delle granaglie ed avevano il monopolio della
produzione e dello spaccio di acquavite, diedero
vita sulla base del loro sinodo, che era una sorta
di Parlamento legislativo, ad uno stato nello stato - la loro situazione sociale generale si aggrava
all’inizio del XVIII sec. Alle devastanti campagne
militari cosacche del 1648-1658, che causarono
la morte di 1.400.000 ebrei, oltre che ad altri
fattori, si può imputare l’impoverimento economico degli ebrei, la distruzione di vaste comunità e l’annientamento della vita spirituale
(cfr. 201). Fu necessario chiamare a raccolta le
ultime forze „proprio in quei luoghi di oscurità
spirituale dove il chassidismo prese slancio e
conseguì i suoi primi successi (Schlechter, cit. da
Fromm, pag. 202). „Qui il chassidismo nasce,
dal profondo della vita nazionale, come movimento di autoliberazione religioso-sociale.”
(pag. 202) „Qui non si verificò alcun adattamento all’universo culturale e sociale del corpo
storico, nel cui processo di civilizzazione si era
profondamente inseriti, piuttosto si realizzò un
grandioso adempimento del corpo sociale già in
corso di disgregazione, un adempimento che
trae le sue forze dall’anima del corpo sociale”
(pag. 204)
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La questione del „nesso interno tra la natura
sociologica del chassidismo, in quanto fenomeno di autoemancipazione, e le sue concezioni religiose” (pag. 204) si risolve da sé, se prendiamo
in considerazione le caratteristiche del patrimonio spirituale del chassidismo. Il chassidismo
rappresentò dunque in radicale democratismo e
proclamò il principio dell’uguaglianza spirituale
ed economica; i rappresentanti eminenti del
chassidismo, gli Zaddiqim, si ritennero „i capi
autonomi
della
massa
che
realizza
l’autoliberazione” e offrirono „l’immagine di
grande amore al popolo e ai poveri” (pag. 206).
Il chassidismo pose l’accento sulla gioia e i suoi
tratti predominanti furono „la fratellanza e
l’amore reciproco”. „Infine, ma non ultimo in
ordine di importanza, un fenomeno connesso
alla struttura sociale del chassidismo opera una
sostanziale differenza fra quest’ultimo e la mistica occidentale: il chassidismo è una „mistica della comunità”: „Dio non viene contemplato in
solitudine ma viene compiuto nella comunità”
(pag.209). „Il nesso religioso interno, esistente
fra il concetto di comunità e la religiosità del
chassidismo da una parte, e la risposta fornita
dal chassidismo alla questione della possibilità di
conoscenza religiosa dall’altra, può essere così
espressa: conoscere Dio significa compiere Dio
nel mondo.” (pag. 209)
Il chassidismo, pervaso in tal misura delle
proprie concezioni religiose, rinuncia con deliberazione all’integrazione sociale. Ogni vantaggio
giuridico ed economico viene rifiutato con energia e decisione per amore della propria natura
nazionale.
Si
preferisce
così
rinunciare
all’indipendenza economica ed esercitare il mestiere di agricoltore ed operaio, si preferisce dimostrare la propria devozione allo Zar Alessandro, durante la guerra russo-francese, piuttosto
che adeguarsi allo spirito del tempo. „Nel caso
vinca Bonaparte, le ricchezze degli ebrei si moltiplicheranno e la condizione borghese migliorerà, ma tutto ciò allontanerà il cuore del nostro
padre celeste; ma se vincerà il nostro Zar Alessandro, i cuori degli ebrei si avvicineranno al
padre celeste, anche se la povertà di Israele si
accrescerà e la sua posizione verrà sminuita
(Schneur Salman, cit. a pag. 222).
„In tale atteggiamento dei Chassidim nei
confronti dell’emancipazione si palesa, con
maggior evidenza, il loro disaccordo con
l’ebraismo dell’Europa occidentale del tempo.
All’est lo scontro del corpo storico ebraico con
quello estraneo termina con la piena vittoria del
corpo giudaico, „la cui anima proruppe nuovamente con impeto e conformò a sé il corpo sociale” (pag. 222). Il giudaismo riformato e i Caraiti avevano violato il legame della legge avente valore oggettivo. Il chassidismo invece „approva e riconosce in pieno la legge” (pag. 224).
Il mantenimento della legge trae la sua origine
„dal fatto che i chassidismo si riallacciò alle fonti
religiose, spesso profonde e nascoste nel popolo, non si lasciò imporre alcuna legge esterna e
preservò il più profondo nesso con il giudaismo”
(pag. 231). Il chasidismo può resistere allo spirito
e alla cultura del capitalismo e rianimare il suo
modo di vivere, orientato a valori universali.
E per concludere: il vasto impiego di metafore tratte da Alfred Weber, lo stile in parte ermetico della dissertazione di Fromm, sicuramente non ci rammentano quel Fromm che conosciamo da „Avere o essere”. Tuttavia, chi cerchi
di cogliere, al di là della forma, le asserzioni di
base, chi cerchi di concentrarsi sulle idee dominanti di Fromm, constaterà che i tratti fondamentali del suo pensiero sono già avviati nella
dissertazione del 1922.
Ritengo che il concetto posto, a mio avviso,
alla base dell’intero suo pensiero, ovvero
l’essere umano in qualità di essere sociale, non si
trovi da nessuna parte nella sua opera così chiaramente illustrato come nel capitolo sul chassidismo. La dimostrazione fornita in modo esemplare e convincente dal movimento del chassidismo, ossia la possibilità di una liberazione collettiva conseguita basandosi sulle proprie forze, si è
mantenuta come un barlume di speranza nel
pensiero di Fromm, in quanto egli non ravvisò
mai alcuna contraddizione fra la liberazione individuale e la liberazione sociale. La dissertazione è la prima testimonianza di un modo di pensare in cui il nesso fra individuo e società viene
sempre considerato nel suo complesso.
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Traduzione di cura Nadia Menni, Bologna
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