Introduzione L’autore La lettera agli Ebrei fu scritta probabilmente, dopo l’anno 70, da un cristiano che si colloca sotto l’influsso della scuola paolina. Conosceva il modo di leggere la Scrittura in uso nella diaspora giudaica ed era in contatto con un ambiente italiano. L’attuale orientamento esegetico non colloca la “Lettera agli Ebrei” nel genere letterario epistolare, ma la considera piuttosto una predica, che ha come tema centrale la figura di Gesù, riletta sullo sfondo dell’Antico Testamento, in un confronto con le istituzioni giudaiche. In un tempo successivo a quello della sua redazione, l’omelia sarebbe stata inviata con un biglietto di presentazione ad altri cristiani che si trovavano in una situazione di crisi o di difficoltà analoga a quella dei suoi destinatari originari. I destinatari sono dunque cristiani in crisi, che vivono una particolare situazione di difficoltà; sono bisognosi dunque di sostegno e di incoraggiamento a perseverare nella fede. Da qui il rilievo di alcune esortazioni che la lettera contiene sullo sfondo della riflessione dottrinale, che ne costituisce la trama fondamentale. Come leggiamo nella stessa lettera agli Ebrei, il testo è innanzi tutto un discorso esortativo-pratico, che ha lo scopo di sostenere la fede matura, la carità attiva e la speranza perseverante di cristiani in crisi, che hanno difficoltà a continuare a credere e che si trovano in una situazione conflittuale con l’ambiente circostante. Il linguaggio utilizzato, con molti riferimenti a riti e immagini dell’Antico Testamento e alle istituzioni giudaiche, va contestualizzato per poter cogliere la peculiarità del messaggio che veicola. Così per esempio, 1 l’affermazione che Gesù è “sommo sacerdote” va compresa precisamente nel contesto della situazione vitale che i destinatari della lettera vivevano, altrimenti il lettore contemporaneo non capirà se il “sacerdozio” di Cristo era uguale, simile o diverso da quello giudaico o da quello pagano. I continui richiami alle tradizioni giudaiche e il fatto che fin dal II secolo quella omelia fu conosciuta come “Lettera agli Ebrei” fa pensare che i destinatari originari fossero ebrei convertiti. Si sarebbe trattato dunque di una comunità di giudeo-cristiani, al cui interno però si dovevano trovare anche pagani convertiti. Anche costoro conoscevano le tradizioni giudaiche, tanto che nella lettera ai Romani Paolo può fare un lungo excursus sulla storia di Israele. Le difficoltà che questi “cristiani” incontravano non erano dovute solo all’ambiente circostante ostile, ma erano originate anche dall’interno della comunità. Alcuni vedendo che in essa non succede nulla di nuovo e stanchi di una vita comunitaria che scorre senza grandi avvenimenti sono tentati di abbandonarla. Vi è il pericolo concreto che la comunità non perseveri nella fede a cada nell’apostasia. Riguardo le difficoltà esterne l’autore fa riferimento all’ostilità sperimentata dalla comunità cristiana come minoranza. Non è, però, un fatto isolato, ma piuttosto un’esperienza comune a molti cristiani, se non alla gran parte. Erano considerati, infatti, “diversi” sia dal giudaismo, sia dal mondo ellenistico. Erano guardati con grande sospetto perché non praticavano il culto ufficiale come tutti gli altri. Si legge nel testo: “Richiamate alla memoria quei primi giorni nei quali, dopo essere stati illuminati, avete dovuto sopportare una grande e penosa lotta, ora esposti pubblicamente a insulti e tribolazioni, ora facendovi solidali con coloro che venivano trattati in questo modo. Infatti avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di esser spogliati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e più 2 duraturi. Non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa” (10, 32-35). In 12, 4 i cristiani sono invitati ad affrontare la situazione con coraggio guardando alla figura di Gesù. In ogni caso l’autore nota che non si tratta di una persecuzione cruenta, “fino al sangue”, ma della discriminazione da parte di un ambiente ostile, accompagnata da episodi di boicottaggio e di repressione poliziesca. È in questo contesto che viene presentato il nucleo della fede: Gesù di Nazareth, crocifisso e risuscitato, è il Cristo, il Figlio di Dio. Caratteristico di questa rilettura è l’uso di un linguaggio e di un vocabolario rituale o liturgico. 3 Capitolo 1 1 Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, 2 in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. 3 Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e tutto sostiene con la sua parola potente, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell'alto dei cieli, 4 divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. 5 Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio; oggi ti ho generato? E ancora: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio? 6 Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: Lo adorino tutti gli angeli di Dio.7 Mentre degli angeli dice: Egli fa i suoi angeli simili al vento,e i suoi ministri come fiamma di fuoco, 8 al Figlio invece dice: Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli; e: lo Scettro del tuo regno è scettro di equità; 9 hai amato la giustizia e odiato l'iniquità, perciò Dio, il tuo Dio ti ha consacrato, con olio di esultanza a preferenza dei tuoi compagni. 10 E ancora: in principio Tu, Signore, hai fondato la terra e i cieli sono opera delle tue mani. 11 Essi periranno, ma tu rimani; tutti si logoreranno come un vestito. 12 Come un mantello li avvolgerai, come un vestito anch’essi, saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso, e i tuoi anni non avranno fine. 13 E a quale degli angeli poi ha mai detto: Siedi alla mia destra, finché io non abbia messo i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi? 14 Non sono forse tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati a servire coloro che erediteranno la salvezza? Prologo (1, 1-4) I vv. 1-4 costituiscono l’esordio del testo e annunciano il contenuto della lettera. L’autore vuole presentare la figura e il ruolo di Gesù, che introduce gli uomini alla gioia dell’incontro salvifico con Dio. Si tratta dunque del problema della mediazione e della salvezza. vv. 2-3: le prime parole della lettera collocano la figura di Gesù sullo sfondo della storia di Israele, che giunge a compimento proprio con Gesù, “erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo”. È facile notare una somiglianza con il Prologo del IV Vangelo e con la prima lettera di Giovanni. Per mezzo del Figlio, Dio parla: vi è qui la concezione di un Dio dialogante e di una rivelazione come colloquio tra Dio e gli uomini. Nel Figlio troviamo tutto ciò che bisogna conoscere per vivere un’esperienza salvifica; non vi sono altri luoghi per incontrare Dio. Il cristianesimo non è esoterico, non vi sono 4 rivelazioni nascoste, ma in Gesù tutto viene alla luce e tutti vi possono attingere. In lui abbiamo l’alfa e l’omega, l’inizio (“... ha fatto tutte le cose”) e la fine (“erede di tutte le cose”). In questo primi vv. appare evidente la polemica contro i tentativi di sostituire il fondamento della fede, Gesù, con altre realtà marginali. D’altra parte è comprensibile la difficoltà a formulare la novità cristiana di un Dio che si rivela nella storia, nel volto, nella passione e morte di un uomo. Gesù Cristo è presentato come “questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza”. Con l’immagine della luce che viene dal sole si dice che Cristo ci dà qualcosa di Dio; da Lui diverso, tuttavia riproduce la sua realtà e, perciò, attraverso Gesù sappiamo chi è Dio e che cosa vuole da noi. I vv. 3-4 presentano tutta l’esistenza di Gesù, anzi si potrebbe dire la pro-esistenza, dato che Gesù dà la sua vita per i nostri peccati. La lettera introduce il linguaggio rituale, liturgico e sacrificale riferito a Gesù, per dire che gli uomini non si liberano dai loro peccati mediante gli antichi riti e pratiche, ma possono farlo grazie alla morte salvifica di Gesù. Detto questo però si indica la meta finale della parabola discendente di colui che si è immerso nella storia degli uomini per eliminare il peccato: “Si è assiso alla destra della maestà di Dio nei cieli”. v. 4 annuncia il tema che verrà sviluppato nel primo capitolo e in parte nel secondo: il confronto tra Gesù Cristo e le altre potenze mediatrici. Il Cristo è diventato tanto superiore quanto più eccellente è il nome, cioè il ruolo, che ha ereditato come diritto originario di Figlio: il ruolo di messia glorioso, intronizzato alla destra di Dio, dopo essere passato per l’umiliazione della croce, attraverso cui ha eliminato il peccato. v. 5-14: comincia una sezione con sette citazioni bibliche, secondo un metodo tipico della lettera: attraverso immagini e testi dell’A.T. ridice il kerygma cristiano, vale a dire l’annuncio della fede in Gesù, il Figlio di Dio, il crocifisso redentore, il messia glorioso intronizzato nei cieli. Da qui il confronto iniziale con gli angeli, secondo le concezioni presenti nel giudaismo ellenistico. Gesù non era visto da alcuni come un uomo di Dio o un profeta, ma come un essere del mondo intermedio degli angeli. Per questo il testo chiarisce che a nessun angelo può essere attribuito lo statuto che Gesù possiede di Figlio unico alla pari con Dio: “Infatti a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio; oggi ti ho generato?”. L’intero brano va riferito al Gesù storico, morto nella croce in modo ignominioso. Questa è la difficoltà dei cristiani: incontrare Dio attraverso una figura così diversa da quella degli esseri celesti, che non si erano mai contaminati con la storia degli uomini, segnata da contraddizioni e da violenze. Questo, però, è il punto di partenza della fede: l’uomo Gesù è il Figlio di Dio, senza perdere nulla della sua umanità. Non ha nulla 5 a che fare, quindi, con altri mediatori spirituali. 6 Capitolo 2 1Per questo bisogna che ci dedichiamo con maggiore impegno alle cose che abbiamo ascoltato, per non andare fuori rotta. 2Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione, 3come potremo noi scampare se avremo trascurato una salvezza così grande? Essa cominciò a essere annunciata dal Signore, e fu confermata a noi da coloro che l’avevano ascoltata, 4mentre Dio ne dava testimonianza con segni e prodigi e miracoli d’ogni genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà. 5Non certo a degli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale parliamo. 6Anzi, in un passo della Scrittura qualcuno ha dichiarato: Che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi o il figlio dell’uomo perché tu te ne curi? 7Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli, di gloria e di onore l’hai coronato 8e hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi. Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. 9Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. 10Conveniva infatti che Dio, per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, Lui che conduce molti figli alla gloria, rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. 11Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, 12dicendo: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi; 13e ancora: Io metterò la mia fiducia in lui; e inoltre: Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato. 14Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, 15e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. 16Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. 17Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. 18Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova. 7 vv. 5-18: La redenzione è realizzata dal Cristo. La “figliolanza” caratterizza la relazione di Gesù con Dio; la lettera mostra pure la relazione di fraternità con gli uomini. vv. 5-8: si cita il Sal 8 applicandolo a Gesù. Egli sembra inferiore agli angeli: il falegname, maestro e profeta, soffre e muore in croce, non è paragonabile alle impassibili creature angeliche. Proprio in questo coinvolgimento radicale nella vicenda umana, però il destino di Gesù si rende manifesto: portare tutta l’umanità al nuovo rapporto con Dio, mediante la sua signoria sull’universo e sul mondo futuro, scoprendo chi è Gesù si scopre chi è l’uomo. v. 8: si spiega il Sal 8. Anche se sussistono ancora contraddizioni, violenze, peccati, ingiustizie, tutto è sottoposto alla signoria di Gesù, che getta luce sul rapporto dell’uomo col mondo, con la morte, col peccato: nella vittoria di Gesù l’uomo acquista un nuovo rapporto con Dio. Questo significa che la «figura di Gesù rappresenta […] la chiave per capire non solo lo statuto dei cristiani, ma anche il senso del mondo e della storia» [R. Fabris]. vv. 9-10: Ancora una volta si usa un’immagine, per dire che Gesù sta alla testa di un cammino storico. È il primo tra i fratelli, il salvatore e perfezionatore della comunità umana. Poiché ha percorso la via dell’umiliazione fino alla morte, egli può indicare a tutti la meta finale: la gloria. “Rendere perfetto mediante la sofferenza”: “consacrato”, “costituito sacerdote”, «realizzato nel giusto rapporto con Dio e con gli altri uomini per mezzo della sofferenza» [R. Fabris]. Con queste espressioni si può esplicitare il senso del sacerdozio di Cristo. Si badi però al fatto che non vi è un automatismo tra morte e perfezione. Non è la morte in se stessa che genera una nuova relazione tra Dio e la realtà. Determinante è la fedeltà che si esprime nella morte di Gesù e che la trasforma da mezzo di tortura a mezzo di salvezza, facendone lo spazio dove l’uomo può incontrare Dio. vv. 14-15: è la conclusione che prepara il tema del sacerdozio. 8 Capitolo 3 1Perciò, fratelli santi, voi che siete partecipi di una vocazione celeste, prestate attenzione a Gesù, l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo, 2il quale è degno di fede per colui che l’ha costituito tale, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa. 3Ma in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di una gloria tanta maggiore, quanto l’onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa. 4Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio. 5In verità Mosè fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore, per dare testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi; 6Cristo, invece, lo fu come figlio posto sopra la sua propria casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo. 7Per questo, come dice lo Spirito Santo: Oggi, se udite la sua voce, 8 non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione, il giorno della tentazione nel deserto, 9 dove mi tentarono i vostri padri mettendomi alla prova, pur avendo visto per quarant’anni le mie opere. Perciò mi disgustai di quella generazione e dissi: hanno sempre il cuore sviato. Non hanno conosciuto le mie vie. 11 Così ho giurato nella mia ira: Non entreranno nel mio riposo. 10 12 Badate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente. 13Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura quest’ oggi, perché nessuno di voi si ostini sedotto dal peccato. 14Siamo infatti diventati partecipi di Cristo, a condizione di mantenere salda fino alla fine la fiducia che abbiamo avuta fin dall’inizio. 15Quando si dice: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione, 16chi furono quelli che, dopo aver udita la sua voce, si ribellarono? Non furono tutti quelli che erano usciti dall’Egitto sotto la guida di Mosè? 17E chi furono coloro di cui si è disgustato per quarant’anni? Non furono quelli che avevano peccato e poi caddero cadaveri nel deserto ? 18E a 9 chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo, se non a quelli che non avevano creduto? 19E noi vediamo che non poterono entrarvi a causa della loro mancanza di fede. I cc. 3-4 sviluppano il tema della perseveranza nella fede nei momenti di crisi. Con 3,1 si stabilisce un confronto con Mosè, altro grande mediatore della storia ebraica. vv. 3-4: Gesù è chiamato “sommo sacerdote” e “apostolo”, l’inviato di Dio che ci riporta a Lui. Mosè è chiamato da Filone di Alessandria sommo sacerdote, profeta, legislatore: egli ha un alto grado di credibilità perché è un servitore nella casa di Dio. Gesù però gli è superiore come l’architetto che ha costruito la casa è superiore alla casa stessa; Gesù è come l’architetto di Dio che ha costruito il mondo e lo sostiene per mezzo della sua parola. vv. 5-6: Mosè fu un servitore fedele, Gesù è il “Figlio costituito sopra la sua casa”; non la casa di un estraneo, la casa di Gesù è il popolo di Dio, da dove la sua presenza e la sua missione si allargano al mondo intero. Noi siamo la casa di Gesù, nella misura in cui perseveriamo nella fede. vv. 7-11: al paragone tra Gesù e Mosè segue quello tra Israele e la Chiesa, mediante la citazione del Sal 95. Il salmo richiama l’esperienza di liberazione e di salvezza dell’esodo (azione gratuita e libera di Dio); l’esperienza di formazione e di tentazione del cammino nel deserto (periodo della crisi che segna il lungo pellegrinaggio dalla schiavitù alla libertà); la terra promessa, che è terra di libertà e di “riposo” (cioè di salvezza, di realizzazione piena, senza più le tensioni del cammino). Per l’autore della lettera agli Ebrei, anche i cristiani fanno un’esperienza di esodo (il battesimo). Si esce da una situazione di schiavitù e si comincia un cammino nel deserto. Qui “deserto” è il tempo della crisi, in cui si corre il rischio di perdersi di coraggio e di fermarsi senza superare i confini della terra promessa. Così facendo, però, si rende stabile la condizione di “deserto”, andando incontro alla morte, cioè al fallimento e alla non realizzazione della libertà. «La “tentazione” è la verifica che Dio ha imposto al suo popolo, ma è anche la provocazione che il popolo ha fatto a Dio, non fidandosi di colui che l’aveva fatto uscire dall’Egitto. Il “riposo” è la meta ultima. Il tempo del deserto è il tempo della crisi tra la libertà iniziata e la libertà finale, che è la risurrezione. Qui cominciano le difficoltà. Dopo il battesimo e l’accettazione della fede, il problema è di essere cristiani dal “lunedì in poi”: al di là dell’emergenza o della vigilia della festa, bisogna saper vivere un cristianesimo feriale, un cristianesimo del deserto» [R. Fabris]. vv. 12-13: presentano una applicazione del Sal 95. L’ “oggi” è il tempo della salvezza inaugurato dal battesimo, il nuovo esodo che conduce alla terra di libertà, la risurrezione. Il “peccato” non è 10 inteso qui solo in senso morale, ma è fondamentalmente la mancanza di fiducia, la rottura della relazione vivente con Gesù, il rinnegamento della fede in Lui, con il conseguente abbandono della comunità. vv. 14-19: Spiegando il salmo, l’autore della “lettera” dice che la situazione degli ebrei usciti dall’Egitto è per molti aspetti parallela a quella dei cristiani. Il battesimo, i sacramenti, le esperienze carismatiche non valgono molto se i credenti non mantengono un legame vitale con Gesù. 11 Capitolo 4 1 Dovremmo dunque avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso. 2 Poiché anche a noi, come quelli, abbiamo ricevuto il vangelo: ma a loro la parola udita non giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli che avevano ascoltato con fede. 3 Infatti noi che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo, come egli ha detto: così ho giurato nella mia ira: Non entreranno nel mio riposo! Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo. 4 Si dice infatti in un passo della Scrittura a proposito del settimo giorno: E nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le opere sue. 5 E ancora in questo passo: Non entreranno nel mio riposo! 6 Poiché dunque risulta che alcuni entrano in quel riposo e quelli che per primi ricevettero il vangelo non vi entrarono a causa della loro disobbedienza, 7 Dio fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo mediante Davide, dopo tanto tempo: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori! 8 Se Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno.9 Dunque per il popolo di Dio è riservato un riposo sabbatico. 10 Chi infatti è entrato nel riposo di Lui, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie. 11 Affrettiamoci dunque ad entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza. 12 Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.13 Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di Colui al quale noi dobbiamo rendere conto. 14 Dunque poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. 15 Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa, come noi, escluso il peccato. 16 Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare 12 grazia così da essere aiutati al momento opportuno. Col v. 14 comincia la sezione dove si affronta uno dei temi fondamentali della lettera agli Ebrei: il senso del sacerdozio di Gesù. In 7, 14 la lettera nota che Gesù non appartiene ad una famiglia sacerdotale, non pone nessun atto ufficiale di culto, al di fuori della lettura sinagogale, aperta a tutti gli adulti, o della presidenza della cena pasquale che poteva essere assunta dal capo famiglia o dal capo di un gruppo di amici. Altri elementi – come per esempio la morte in croce, morte infamante non degna del sacerdozio - mettono in questione la legittimità del “sacerdozio” di Gesù. Si tratta perciò di vedere perché si possa parlare di Gesù “sommo sacerdote”. vv. 14-16: l’espressione “sommo sacerdote” riferita a Gesù, non indica la sua posizione rispetto agli altri sacerdoti di Israele, significa invece che egli realizza pienamente il ruolo sacerdotale. In lui i cristiani sono invitati a ravvivare la propria fede. Il termine “debolezze” sta ad indicare tutta l’esperienza umana, che si riassume nella situazione tragica della morte. Questo significa che Gesù “sommo sacerdote” condivide tuta la condizione umana, anche nella su tragicità, escluso il peccato. Vediamo come dopo aver ricordato il “movimento ascendente” del sacerdozio di Cristo, si indica qui la dimensione “discendente”. La piena condivisione della condizione umana significa che Gesù non peccò per la sua piena fedeltà al Padre e ai fratelli, non quindi per una impossibilità ontologica. Per questo, afferma la lettera, possiamo accostarci a Dio (“il trono della grazia”) con piena fiducia, potendo contare sulla perfetta mediazione di Cristo, il crocifisso, che è stato risuscitato e rimane per sempre con noi. 13 Capitolo 5 1Ogni sommo sacerdote infatti, scelto fra gli uomini, e per degli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. 2 Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche Lui rivestito di debolezza. 3A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati, anche per se stesso come fa per il popolo. 4Nessuno attribuiscee a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. 5Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, gliela conferì è detto in un altro passo: 6come Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek. 7 Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a Lui, venne esaudito. 8 Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì 9 e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, 10 essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Mechisedek. 11 Su questo argomento abbiamo molte cose da dire, difficili da spiegare perché siete diventati lenti a capire. 12 Infatti voi, che a motivo del tempo trascorso dovreste essere maestri, avete ancora bisogno che qualcuno v’insegni i primi elementi delle parole di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido. 13 Ora, chi si nutre ancora di latte non ha l’esperienza della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino. 14 Il nutrimento solido è invece per gli adulti, per quelli che, mediante l’esperienza, hanno le facoltà esercitate a distinguere il bene dal male. vv. 1-4: Per meglio comprendere il sacerdozio di Gesù, i primi versi del cap. 5 presentano il sacerdozio ebraico, così come originariamente voluto da Dio, prescindendo dunque dalle manovre umane per strumentalizzarlo usandolo per i propri interessi. I vv. 1-4 sottolineano le due condizioni caratterizzanti il 14 sacerdozio: la solidarietà con gli uomini e l’investitura di Dio. Queste due caratteristiche si ritrovano in Gesù, che però le attua in modo profondamente diverso degli altri uomini. Egli è innocente e non ha conosciuto il limite dell’infermità umana. Inoltre è stato costituito Figlio mediante la risurrezione. vv. 5-6: La lettera agli Ebrei usando queste categorie sacerdotali ridice la fede cristiana in Gesù Figlio di Dio. Mediante la citazione del salmo 110 si sottolinea la realtà della figliolanza di Gesù (“è intronizzato alla destra di Dio”). Mediante il riferimento alla figura anticotestamentaria di Melchisedek si definisce il ruolo di Gesù, che è sacerdote in quanto messia glorioso, costituito Signore attraverso la risurrezione. vv. 7-10: questi versi suppongono l’idea di sacerdozio come mediazione. Ora tutta la vicenda umana di Gesù è stata una realizzazione del suo ruolo di mediatore. La croce ha rappresentato il vertice di questa mediazione. L’offerta della propria vita sostituisce i riti e i sacrifici. Tutta la mediazione di Gesù, il culto che egli offre a Dio, consiste in questo rapporto di amore e di fedeltà totale che si esprime proprio nel dono di sé. L’offerta di sé per Gesù significa l’attuazione del suo essere “figlio” nella condizione più tragica che un uomo possa affrontare: l’esperienza della morte vissuta come rischio di separazione da Dio. Il termine eusébeia, tradotto a volte con pietà, indica il legame vitale con Dio. La religione è vista qui come legame vitale con Dio, “il pieno abbandono a lui” (come traduce la nuova versione Cei, cambiando la precedente che traduceva eusébeia con “pietà”). Gesù fu esaudito, dunque, perché imparò mediante l’obbedienza ad essere figlio, non perciò per un particolare privilegio dell’essere figlio. La duplice caratteristica del sacerdozio fu vissuta da Gesù, in definitiva, con il suo supremo atto di amore e di fedeltà a Dio e contemporaneamente con la piena partecipazione alla condizione umana. «Questo è il sacerdozio di Gesù, il suo atto di culto, che verrà coronato dalla risurrezione, conseguenza e non causa della sua fedeltà» [R. Fabris]. L’espressione “reso perfetto”, cioè “consacrato” dice quale sia il risultato del modo come Gesù visse la morte in piena fedeltà al Padre. La consacrazione di Gesù è però diversa da quella dei sacerdoti ebrei o pagani. Non consiste in un rito che lo separa dagli uomini, ma nella risurrezione, che porta a compimento la fedeltà vissuta nella morte. Il termine ebraico che noi rendiamo con “rendere perfetto”, e usato per indicare la consacrazione sacerdotale, significava letteralmente “riempire le mani”, forse in riferimento alle offerte. L’autore riprende questa espressione per sottolineare che Gesù non è stato consacrato mediante unzioni delle mani o altri riti di imposizione, ma mediante la risurrezione che l’ha costituito in quel pieno statuto di Figlio che aveva vissuto nella morte. È questo un capitolo di estrema importanza perché «l’autore non si è limitato a una 15 speculazione astratta su Gesù sacerdote, ma ha voluto anche indicare ai cristiani qual è il giusto rapporto con Dio e in che cosa consiste il senso profondo della religione» [R. Fabris]. L’importanza del richiamo alla figura di Melchisedek emerge nel cap. 7 che in qualche modo è una ripresa ed un approfondimento del cap. 5. Come a suo tempo si vedrà. vv. 11-14: alla fine del cap. 5, l’autore richiama l’attenzione dei suoi uditori. La vita di fede prevede delle tappe progressive: anche nella fede vi è una infanzia e una età adulta. Ogni cristiano è chiamato a diventare adulto nella fede. L’infanzia della fede, la sua prima tappa, consiste nel nutrirsi delle “parole di Dio”, della Bibbia. Potremmo dire che si tratta dell’apprendere gli strumenti per poter leggere la Bibbia. Si deve passare poi a saper distinguere il bene dal male (“il cibo solido”), in altri termini a saper riflettere in maniera adulta sulla propria fede. Questa riflessione sull’esperienza è la teologia. Ogni battezzato, perciò, deve diventare teologo, non nel senso della teologia professionale, ma in quanto chiamati a interpretare la propria fede nelle diverse circostanze della vita (famiglia, lavoro, impegno civico, … ). Il passaggio da una fede bambina ad una fede adulta è necessario perché la fede si conservi, perché si possa perseverare in essa. Nel capitolo successivo l’autore indica i capisaldi di un itinerario verso una fede adulta (potremmo dire le tappe di un catecumenato per la vita cristiana) 16 Capitolo 6 1 Perciò, lasciando da parte il discorso iniziale su Cristo, passiamo a ciò che è completo, senza gettare di nuovo le fondamenta: la rinunzia alle opere morte e la fede in Dio, 2 la dottrina dei battesimi, l’imposizione delle mani, la risurrezione dei morti e il giudizio eterno. 3 Questo noi lo faremo, se Dio lo permette. 4 Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, e hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo 5 e hanno gustato la buona parola di Dio e i prodigi del mondo futuro. 6 Tuttavia, se sono caduti, è impossibile rinnovarli un’altra volta portandoli alla conversione, dal momento che, per quanto sta in loro, essi crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia. 7 Infatti, una terra imbevuta della pioggia che spesso cade su di essa, se produce erbe utili a quanti la coltivano, riceve benedizione da Dio; 8 ma se produce spine e rovi, non vale nulla ed è vicina alla maledizione: finirà bruciata! 9 Anche se a vostro riguardo, carissimi, parliamo così, abbiamo fiducia che vi siano in voi cose migliori, che portano alla salvezza. 10 Dio infatti non è ingiusto tanto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e che tuttora rendete ai santi. 11 Desideriamo soltanto che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo perché la sua speranza abbia compimento sino alla fine, 12 perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che, con la fede e la costanza, divengono eredi delle promesse. 13 Quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a sé, giurò per se stesso, 14 dicendo: Ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza. 15 Così Abramo, con la sua costanza, ottenne ciò che gli era stato promesso. 16 Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro e per loro il giuramento è una garanzia che pone fine ad ogni controversia. 17 Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l’irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento, 18 affinché, grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi, che abbiamo cercato rifugio in lui, abbiamo un forte incoraggiamento ad 17 afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. 19 In essa infatti abbiamo come un’ancora sicura e salda per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, 20 dove Gesù è entrato come precursore per noi, divenuto sommo sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchìsedek. vv. 1-3: si inizia con un invito perentorio a portare fino in fondo il cammino di fede, pena una forma di regressione che potrebbe giungere fino all’apostasia. Le questioni che l’autore, con l’aiuto di Dio, si propone di trattare sono dunque cinque (vv. 1c-2). vv. 4-6: i destinatari del discorso di Ebrei sono cristiani che hanno già ricevuto il battesimo (“sono stati una volta già illuminati”), hanno ricevuto il dono dello Spirito (“il dono celeste”), hanno fatto quindi esperienza dello Spirito: un’esperienza irripetibile, come un segno indelebile di appartenenza totale a Dio. La serietà dell’amore di Dio, manifestatosi sulla croce, rende irripetibile il battesimo. Pensare di ripetere l’esperienza battesimale significa pensare di poter crocifiggere di nuovo Gesù a proprio vantaggio. Il concetto di “irripetibilità” sarà ripreso e sottolineato a partire dal cap. 7, con l’affermazione che Gesù ci ha redenti “una volta per tutte”. Si evidenzia così il carattere peculiare e unico del sacerdozio di Gesù (nel senso detto di rapporto di amore col Padre e i fratelli). Il battesimo dei cristiani non è perciò paragonabile ai riti di abluzione ebraici che dovevano essere ripetuti. Esso infatti si fonda su un evento salvifico definitivo: la croce di Gesù, manifestazione dell’amore del Padre. La “caduta” a cui l’autore si riferisce è l’apostasia. Non si presenta perciò una esortazione morale, la maturità di fede di cui si parla non è un atto volontaristico, ma l’adesione matura e cosciente a Cristo. Questa idea sarà ripresa in modo esplicito in 10, 26-27. vv. 7-8: mediante una parabola agricola, l’autore conclude questa argomentazione con un invito alla perseveranza della fede, traducendo attivamente l’impegno battesimale, evitando così di esporsi al rischio della condanna. Questa però non né l’ultima parola, perché in realtà subito dopo segue una esortazione alla fiducia. vv. 9-12: l’invito alla fiducia contiene il suo motivo: la fede vissuta nella carità attiva, con le sue espressioni concrete (per esempio l’accoglienza, l’ospitalità, l’aiuto al povero). La fede adulta che attua gli impegni battesimali, in definitiva, si manifesta nella carità, che assieme alla capacità di interpretare la storia alla luce della fede, costituisce il cardine della vita cristiana. vv. 13-18: dinanzi alle difficoltà della vita che mettono alla prova la nostra fede, la lettera presenta la figura di Abramo. Su due atti 18 di Dio, una promessa confermata e un giuramento, Abramo ha fondato la propria perseveranza. (La promessa è quella del dono della terra e della benedizione da condividere con tutti i popoli). Anche questo episodio dell’Antico Testamento si applica a Gesù, che è il vero erede, costituito sacerdote attraverso la promessa e il giuramento di Dio. Per questo i cristiani si trovano in un condizione migliore di quella di Abramo, perché possono fondare la loro speranza non solo su una promessa e un giuramento, ma sulla realizzazione della salvezza che si è realizzata in Gesù. La speranza cristiana non consiste in un futuro vago ma è la persona stessa di Gesù risorto. vv. 19-20: Gesù è l’ancora sicura a cui aggrapparsi nell’oggi della nostra vita. Il futuro del cristiano non si fonda su una dottrina filosofica (l’immortalità dell’anima), o su un desiderio dell’uomo (quella felicità che mai sulla terra si raggiunge), ma sul Risorto, che garantisce questo futuro. L stessa idea è espressa da Paolo nella lettera ai Tessalonicesi (1Tess 4, 13-14). Nel Tempio di Gerusalemme un velo separava l’aula esterna dal santo dei santi, il luogo dell’arca dell’alleanza e della presenza divina. Era una figura del vero santuario, quello di Dio, dove Gesù è entrato “come precursore”, aprendo la strada agli uomini e diventando così la loro speranza. 19 Capitolo 7 1 Questo Melchìsedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio Altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re e lo benedisse; 2 a lui Abramo diede la decima di ogni cosa; anzitutto il suo nome significa “re di giustizia”; poi è anche re di Salem, cioè re di pace. 3 Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio rimane sacerdote in eterno. 4 Considerate dunque quanto sia grande costui, al quale Abramo, il patriarca, diede la decima del suo bottino. 5 In verità anche quelli tra i figli di Levi, che assumono il sacerdozio, hanno il mandato di riscuotere, secondo la legge, la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, essi pure discendenti da Abramo. 6 Egli invece, che non era della loro stirpe, prese la decima da Abramo e benedisse colui che era depositario della promessa. 7 Ora, senza alcun dubbio, è l’inferiore che è benedetto dal superiore. 8 Inoltre, qui riscuotono le decime uomini mortali; là invece uno di cui si attesta che vive. 9 Anzi si può dire che lo stesso Levi, il quale riceve le decime, in Abramo abbia versato la sua decima: 10 egli infatti quando gli venne incontro Melchìsedek. si trovava ancora nei lombi del suo antenato. 11 Ora se si fosse realizzata la perfezione per mezzo del sacerdozio levitico - sotto di esso il popolo ha ricevuto la legge - che bisogno c’era che sorgesse un altro sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek, e non invece secondo l’ordine di Aronne? 12 Infatti, mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della legge. 13 Colui del quale si dice questo appartiene a un’altra tribù, della quale nessuno mai fu addetto all’altare. 14 È noto infatti che il Signore nostro è germogliato dalla tribù di Giuda, e di essa Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio. 15 Ciò risulta ancor più evidente dal momento che sorge, a somiglianza di Melchìsedek, un sacerdote differente, 16 il quale non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile. 17 Gli è resa infatti questa testimonianza: Tu sei sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchìsedek. 20 Si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità – 19 la legge infatti non ha portato nulla alla perfezione - e si ha invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale noi ci avviciniamo a Dio. 18 20 Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti senza giuramento; 21 costui al contrario con un giuramento di colui che gli dice: Il Signore ha giurato e non si pentirà: tu sei sacerdote per sempre. Per questo, Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore. 22 23 Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo; 24 egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. 25 Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore. 26 Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli; 27 egli non ha bisogno come i sommi sacerdoti di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso. 28 La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza, ma la parola del giuramento, posteriore alla legge, costituisce sacerdote il Figlio reso perfetto per sempre. vv. 1-19 : Questo capitolo si collega al quinto e i versi 1-19 sono come un commento a Genesi 14 dove si parla di un misterioso re e sacerdote che va incontro ad Abramo, dopo la vittoria di questi sui re orientali. Poiché Abramo gli paga la decima ne riconosce la superiorità. Abramo però è padre dei leviti ( i sacerdoti),perciò l’autore di Ebrei ne deduce una superiorità del sacerdozio di Melchisedek, sebbene questi non appartenga a stirpe sacerdotale. Secondo il modo di pensare che soggiace alla lettera agli Ebrei questo è importante per comprendere l’intuizione della fede cristiana: il rapporto con Dio prefigurato o anticipato nelle istituzioni liturgiche e sacerdotali dell’Antico Testamento si compiono in Gesù. Questo è il dato reale espresso ora con gli schemi cultuali del tempo. vv. 20-22 : Si dice come Gesù è diventato sacerdote: Egli è 21 costituito sacerdote con la Resurrezione, per la quale è riconosciuto come il Messia glorioso, di cui Melchisedek era figura. A questo punto è introdotto un altro confronto, precisamente con il salmo 110. Si tratta di un testo messianico che l’autore applica a Gesù. Il sacerdozio di Melchisedek è l’immagine del sacerdozio di colui che siede alla destra di Dio, il messia glorioso che i cristiani riconoscono in Gesù, risuscitato da Dio dai morti. vv. 23-25 : I sacerdoti della stirpe levitica di Israele, come tutti gli altri uomini morivano e dunque c’era bisogno di sostituirli. Gesù, invece, risorgendo è il Vivente, è entrato nel mondo di Dio e non muore più. Il suo sacerdozio, dunque, è unico e irripetibile; non ha bisogno di continuare. vv. 26-28: Il capitolo si chiude con un inno, ripreso secondo alcuni esegeti dalla liturgia. L’autore afferma che Gesù non solo può essere chiamato sacerdote a pieno titolo, ma la sua venuta pone fine a tutte le anticipazioni realizzando la mediazione definitiva per tutti gli uomini. Egli, senza peccato, è accreditato presso Dio in quanto Figlio che ha vissuto l’obbedienza e la fedeltà al Padre fino alla donazione di sé sulla croce. Questo è il sacerdote di cui avevamo bisogno, perché può presentarsi a Dio senza dover ricorrere a riti e senza doversi separare dal mondo contaminato. Non ha offerto cose o preghiere, ma se stesso. Questo sacerdozio, definitivo e irrevocabile, garantisce la mediazione efficace per tutti i credenti. 22 Capitolo 8 1 Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli, 2 ministro del santuario e della vera tenda che il Signore, e non un uomo, ha costruito. 3 Ogni sommo sacerdote infatti viene costituito per offrire doni e sacrifici: di qui la necessità che anche Gesù abbia qualcosa da offrire. 4 Se egli fosse sulla terra, non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la legge. 5Questi offrono un culto che è immagine e ombra delle realtà celesti, secondo quanto fu dichiarato da Dio a Mosè, quando stava per costruire la Tenda: Guarda, disse, di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte. 6 Ora invece egli ha avuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore, perché è fondata su migliori promesse. 7 Se la prima alleanza infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di stabilirne un’altra. 8 Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice: Ecco vengono giorni, dice il Signore, quando io concluderò un’alleanza nuova con la casa d’Israele e con la casa di Giuda. 9 Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri, nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto; poiché essi non son rimasero fedeli alla mia alleanza, anch’io non ebbi più cura di loro, dice il Signore. 10 E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: 23 porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. 11 Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino, né alcuno il proprio fratello, dicendo: “Conosci il Signore!” Tutti infatti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande di loro. 12 Perché io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati. 13 Dicendo però alleanza nuova, Dio ha dichiarato antiquata la prima: ma ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire. Con il capitolo 8 incomincia la parte centrale della lettera agli Ebrei. Troviamo infatti il tema fondamentale: la perfezione del sacerdozio di Cristo. L’autore stesso con i primi due versetti richiama l’attenzione dell’ascoltatore perché il discorso che si è svolto nella lettera è il punto centrale. vv.1-2: Cristo è il sommo sacerdote che con il suo unico e definitivo sacrificio ha donato all’umanità la Salvezza. Ora sta alla destra di Dio, dove intercede come Signore per tutta l’umanità. Cristo è la “vera tenda” è il luogo dell’incontro con Dio. Nell’esperienza del popolo di Israele la tenda era il santuario mobile che seguiva il popolo in cammino. vv. 3-13: L’autore rileva la differenza fra il sacerdozio, il sacrificio di Gesù e il rituale biblico. Gesù offrendo se stesso con il sacrificio della croce, con la sua morte e Risurrezione ha portato a compimento l’antica Alleanza. Il rituale giudaico è stato superato dal sacrificio di Cristo. Infatti, mentre i sacrifici di espiazione facevano riferimento ai peccati già commessi, il sacrificio di alleanza compiuto da Gesù sacerdote inaugura un accordo permanente valido per sempre. 24 Capitolo 9 1 Certo, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno. 2 Fu costruita infatti una Tenda: la prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani dell’offerta: essa veniva chiamata il Santo. 3 Dietro il secondo velo poi c’era la Tenda, chiamata Santo dei Santi, con 4 l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro contenente la manna, la verga di Aronne, che era fiorita, e le tavole dell’alleanza. 5 E sopra l’arca stavano i cherubini della gloria, che stendevano la loro ombra sul propiziatorio. Di queste cose non è necessario ora parlare nei particolari. 6 Disposte in tal modo le cose, nella prima Tenda entrano i sacerdoti per celebrare il culto; 7 nella seconda invece entra solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per quanto commesso dal popolo per ignoranza. 8 Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora manifestata la via del santuario, finché restava la prima Tenda. 9 Essa infatti è figura del tempo presente, e secondo essa vengono offerti i doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre; 10 si tratta soltanto di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte prescrizioni carnali, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate. 11 Cristo invece è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione. 12 Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. 13 Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, 14 quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalla opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? 15 Per questo egli è mediatore di una alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che è era stata promessa. 16 Ora dove c’è un testamento, è necessario che la morte del testatore sia dichiarata, 17 perché un testamento ha valore solo dopo la morte e rimane senza effetto finché il 25 testatore vive. 18 Per questo neanche la prima alleanza fu inaugurata senza sangue. 19 Infatti dopo che tutti i comandamenti furono promulgati a tutto il popolo da Mosè, secondo la legge, questi, preso il sangue dei vitelli e dei capri con acqua, lana scarlatta e issòpo, asperse il libro stesso e tutto il popolo, 20 dicendo: Questo è il sangue dell’alleanza che Dio ha stabilito per voi. 21 Alla stessa maniera con il sangue asperse anche la Tenda e tutti gli arredi del culto. 22 Secondo la legge, infatti, quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono. 23 Era dunque necessario che le cose raffiguranti le realtà celesti fossero purificati con tali mezzi; ma le stesse realtà celesti, poi, dovevano esserlo con sacrifici superiori a questi. 24 Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore, 25 e non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui. 26 In questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire più volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. 27 E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, 28 così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza. Nel capitolo 9 l’autore descrive il tema della Nuova Alleanza a partire dal confronto con L’Antica Alleanza. Questa prevedeva un rituale, ormai superato, dall’offerta di se stesso fatta da Gesù Cristo con cui Dio ha stabilito una Nuova Alleanza. vv. 1-3: con questi versetti viene descritto il santuario giudaico suddiviso in due parti. Una definita il “Santo ” in cui entravano i sacerdoti, e l’altra il “Santo dei Santi” il cui acceso era permesso solo al sommo sacerdote una volta l’anno nel giorno dell’Espiazione. vv. 6-7: Nel giorno dell’Espiazione il Sommo Sacerdote entrava nel “Santo dei Santi” e versava il sangue di animali offerti in sacrificio per ottenere il perdono dei peccati e rinnovare così l’Alleanza stabilita con Mosé. vv. 8-10: L’antico culto era esteriore, materiale, transitorio, Dio in Gesù propone una legge eterna posta nel cuore dell’uomo. 26 vv. 11-12: Il sacerdozio di Cristo non si è concretizzato in offerte simboliche ma nell’offerta di se stesso fino alla morte in croce accettata per amore. Il sangue di Gesù è espressione di un amore capace di purificare l’uomo e di ricongiungerlo con Dio. vv. 13-14: Il sacrificio di se stesso di Gesù Cristo non si limita ad ottenere una purificazione esteriore,perché, libera la coscienza dell’uomo dal peccato e lo rende capace di un incontro nuovo con Dio e con gli altri. vv. 15-17: Cristo ha realizzato la promessa della Salvezza di Dio. La sua morte è il testamento a favore degli uomini che non può più essere modificato. vv. 26-28: Mentre il sacrificio ebraico doveva essere ripetuto ogni anno, il sacrificio di cristo offerto una sola volta, elimina definitivamente il peccato. Come la morte è un evento irripetibile, così il sacrificio di Cristo non ha bisogno di essere ripetuto, essendo efficace per sempre. 27 Capitolo 10 legge infatti poiché possiede soltanto un’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha mai il potere di condurre alla perfezione, per mezzo di sacrifici – sempre uguali, che si continuano ad offrire di anno in anno – coloro che si accostano a Dio. 2 Altrimenti, non si sarebbe forse cessato di offrirli, dal momento che gli offerenti, purificati una volta per tutte, non avrebbero più alcuna coscienza dei peccati? 3 Invece in quei sacrifici si rinnova di anno in anno il ricordo dei peccati. 4 È impossibile infatti che il sangue di tori e di capri elimini i peccati. 5 Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: 1 La Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. 6 Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. 7 Allora ho detto: “Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro per fare, o Dio, la tua volontà”. 8 Dopo aver detto: tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose che vengono offerte secondo la legge, 9 soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. 10 Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre. 11 Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati. 12 Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, 13 aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. 14 Infatti, con un’unica offerta, egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. 15 A noi lo testimonia anche lo Spirito Santo. Infatti, dopo aver detto: 16 Questa è l’alleanza che io stipulerò con loro dopo quei giorni, dice il Signore: 28 io porrò le mie leggi nei loro cuori e le imprimerò nella loro mente, 17 dice: E non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità. Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato. 18 19 Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, 20 via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne. 21 e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, 22 accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. 23 Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso. 24 Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone. 25 Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma esortiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il giorno del Signore. 26 Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, 27 ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli. 28 Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. 29 Di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza, dal quale è stato santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? 30 Conosciamo infatti colui che ha detto: A me la vendetta! Io darò la retribuzione! E ancora: Il Signore giudicherà il suo popolo. 31 È terribile cadere nelle mani del Dio vivente! 32 Richiamate alla memoria quei primi giorni nei quali, dopo aver ricevuto la luce di Cristo, avete dovuto sopportare una lotta grande e penosa, 33 ora esposti pubblicamente a insulti e persecuzioni, ora facendovi solidali con coloro che venivano trattati in questo modo. 34 Infatti avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di essere derubati delle vostre sostanze, sapendo di possedere 29 beni migliori e duraturi. 35 Non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa. 36 Avete solo bisogno di perseveranza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso. 37 Ancora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve venire, verrà e non tarderà. 38 Il mio giusto per fede vivrà; ma se cede, non porrà in lui il mio amore. 39 Noi però non siamo di quelli che cedono, per la propria rovina, ma uomini di fede per la salvezza della nostra anima. Il sacrificio di Cristo è più importante dei sacrifici offerti nell’Antica Alleanza, ha un efficacia salvifica universale e definitiva. I sacrifici prescritti dalla legge, infatti, non purificavano la coscienza, e non permettevano l’accesso a Dio. A questi, Cristo accogliendo la volontà del Padre e obbedendo ad essa, ha sostituito l’unico sacrificio che santifica tutti. vv. 1-4: La legge mosaica prefigurava soltanto la realtà inaugurata dal Cristo glorificato. Cristo permette all’uomo di incontrare Dio, infatti con il dono di se stesso, ha dato una nuova legge che consiste solo nell’amare. vv. 5-7: Tutta l’esistenza storica di Gesù viene riletta alla luce della sua obbedienza umile alla volontà del Padre. vv. 8-10: Viene applicato a Gesù il Salmo 40, invece, di sacrifici e offerte materiali, Gesù offre se stesso, permettendo la santificazione dell’uomo. vv. 19-25: Gesù con il suo sacrificio ha aperto agli uomini la via al santuario celeste, nella sua stessa persona ogni uomo può accedere a Dio. Così come il Sommo Sacerdote per entrare nel “santo dei Santi” doveva passare attraverso un velo, ora Cristo Risorto è il nuovo “velo” , la via per entrare nel mondo di Dio. Su questa nuova realtà si fonda l’esortazione dell’autore a mantenere una fede piena, a purificare il cuore, a una speranza inconcussa, all’imitazione nella carità. In Gesù si può incontrare veramente Dio se viviamo nella fede in lui, percorrendo la strada che lui ha percorso. In Gesù si fonda la speranza della Salvezza che deve essere proclamata pubblicamente, infatti, Gesù si è impegnato per l’uomo in maniera definitiva. Sull’esempio di Gesù il cristiano deve vivere la carità. vv. 26-39: Il cristiano che si impegna nell’adesione a Cristo, sa 30 che non può vivere in maniera superficiale la fede. Non si deve disperare del perdono di Cristo, ma neanche, prendere alla leggera la fede, su cui si fonda la salvezza o la morte di ogni uomo. vv. 32-36: La fede può essere esposta a diversi momenti di infedeltà, di titubanza e di dubbio. Di fronte a queste prove bisogna coltivare la perseveranza perché, con Gesù Risorto i cristiani sono giunti alle soglie della Salvezza. vv. 38-39: La fede viene intesa come perseveranza nella fedeltà a Cristo. 31 Capitolo 11 1 La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. 2 Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. 3 Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile. 4 Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, avendo Dio atetstato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora. 5 Per fede Enoch fu portato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Infatti prima di essere portato altrove, egli fu dichiarato persona gradita a Dio. 6Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano. 7 Per fede, Noè, avvertito di cose che ancora non si vedevano, preso da sacro timore, costruì un’arca per la salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e ricevette in eredità la giustizia secondo la fede. 8 Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. 9 Per fede egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. 10 Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. 12 Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. 11 13 Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, 32 dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. 14 Chi parla così mostra di essere alla ricerca di una patria. 15 Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; 16 ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città. 17 Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, 18 del quale era stato detto: mediante Isacco avrai una tua discendenza. 19 Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come un simbolo. 20Per fede Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche in vista di beni futuri. 21 Per fede Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e si prostrò, appoggiandosi sull’estremità del bastone. 22 Per fede Giuseppe, alla fine della vita, si ricordò dell’esodo dei figli d’Israele e diede disposizioni circa le proprie ossa. 23 Per fede Mosè, appena nato, fu tenuto nascosto tre mesi dai suoi genitori, perché videro che il bambino era bello; e non ebbero paura dell’editto del re. 24 Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di esser chiamato figlio della figlia del faraone, 25 preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere momentaneamente del peccato. 26 Egli stimava ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto l’essere disprezzato per Cristo; aveva infatti lo sguardo fisso sulla ricompensa. Per fede lasciò l’Egitto, senza temere l’ira del re; rimase infatti saldo, come se vedesse l’invisibile. 27 fede egli celebrò la pasqua e fece l’aspersione del sangue, perché colui che sterminava i primogeniti non toccasse quelli degli Israeliti. 28Per 29 Per fede essi passarono il Mare Rosso come fosse terra asciutta; quando gli Egiziani tentarono di farlo vi furono inghiottiti. 30 Per fede caddero le mura di Gerico, dopo che ne avevano fatto il giro per sette giorni. 33 Per fede Raab, la prostituta, non perì con gl’increduli, perché aveva accolto con benevolenza gli esploratori. 31 32 E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti, 33 per fede essi conquistarono regni, esercitarono la giustizia, ottennero ciò che era stato promesso, chiusero le fauci dei leoni, 34 spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. 35 Alcune donne riebbero, i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. 36 Altri, infine, subirono insulti e flagelli, catene e prigionia. 37 Furono lapidati, torturati, tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati – 38 di loro il mondo non era degno! -, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra. 39 Tutti costoro, pur essendo stati approvati a causa della loro fede, non ottennero ciò che era stato loro promesso. 40 Dio infatti per noi aveva predisposto qualcosa di meglio, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi. La vita cristiana si fonda sulla fede, la speranza e la carità. La fede che significa , per l’autore della Lettera agli Ebrei, vivere secondo l’esempio di Cristo è oggetto di trattazione del cap. 11 e in parte, del cap. 12. Presentando la fede “perseverante” dei Padri, dei Profeti, l’autore mostra che essa consiste nel vivere una relazione vitale con Dio, nella concretezza della vita quotidiana. vv. 1: La fede in Gesù Cristo che insatura una relazione con il Figlio di Dio permette al cristiano di sperare anche oltre i limiti e i fatti che spesso possono smentire la speranza definitiva della Salvezza operata da Cristo. vv. 3-7: La fede dei Padri ci è di esempio, questi infatti hanno vissuto una relazione autentica e concreta, con Dio nonostante le prove a cui è stata spesso sottoposta la loro fede. vv. 8-19: La storia di Abramo è messa in primo piano come simbolo del cammino di fede di ogni cristiano. Abramo partì verso la “terra promessa” con la fiducia di incamminarsi verso la città celeste il cui architetto è Dio. Nel sacrificio di Isacco, l’autore vede prefigurato il sacrificio di Cristo. vv. 23-29: La vicenda di Mosè è considerata in una prospettiva 34 cristologica, la croce, “l’obbrobrio” di Cristo ne diviene quindi, la chiave di lettura. vv. 31-38: La vita di fede non è riservata solo ad alcuni iniziati, ma può essere vissuta da tutti, nonostante le prove che la vita quotidiana può presentare. vv. 39-40: La fede degli uomini di cui l’autore ha parlato mostra che “tutti costoro” non hanno ricevuto la Salvezza in cambio di molte tribolazioni, ma , solo la promessa della Salvezza che si sarebbe realizzata nella Risurrezione di Cristo. 35 Capitolo 12 1 Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, 2 tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. 3 Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. 4 Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato 5 e avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; 6 perché il Signore corregge colui che egli ama e perquote chiunque riconosce come figlio. 7 È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? 8 Se invece non subite correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete illegittimi, non figli! 9 Del resto, noi abbiamo avuto come educatori i nostri padri tererni e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo perciò molto di più al Padre celeste, per avere la vita? 10 Costoro infatti ci correggevano per pochi giorni, come sembrava loro; Dio invece lo fa per il nostro bene, allo scopo di renderci partecipi della sua santità. 11 Certo sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. 12 Perciò rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche 13 e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire. 14 Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore, 15 vigilate perché nessuno si privi della grazia di Dio. Non spunti né cresca in mezzo a voi alcuna radice velenosa, che provochi danni e molti ne siano contagiati. 16 Non vi sia nessun fornicatore o profanatore, come Esaù, che in cambio di una sola pietanza 36 vendette la sua primogenitura. 17 E voi ben sapete che in seguito, quando volle ereditare la benedizione, fu respinto, non trovò infatti spazio per un cambiamento sebbene glielo richiedesse con lacrime. 18 Voi infatti non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta, 19 né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola; 20 non potevano infatti sopportare questo ordine: Se anche una bestia toccherà il monte sia lapidata. 21 Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho paura e tremo. 22 Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa 23 e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, 24 a Gesù Mediatore della Alleanza Nuova e al sangue purificatore che è più eloquente di quello di Abele. 25 Perciò guardatevi bene dal rifiutare Colui che parla, perché, se quelli non trovarono scampo per aver rifiutato colui che proferiva oracoli sulla terra, a maggior ragione non troveremo scampo noi, se volteremo le spalle a Colui che parla dai cieli. 26 La sua voce un giorno scosse la terra; adesso invece ha fatto questa promessa: Ancora una volta io scuoterò non solo la terra, ma anche il cielo. 27 Quando dice ancora una volta vuole indicare che le cose scosse, in quanto create sono destinate a passare, mentre rimarranno intatte quelle che non subiscono scosse. 28 Perciò noi, che possediamo un regno incrollabile, conserviamo questa grazia mediante la quale rendiamo culto in maniera gradita a Dio, con riverenza e timore; 29 perché il nostro Dio è un fuoco divoratore. L’autore ha dimostrato che la vita di fede si colloca all’interno di una storia, in cui Dio ha portato a compimento la promessa di un futuro di salvezza e risurrezione. vv. 1-3: Il cristiano avendo come capo e guida Gesù Cristo, che ha affrontato l’ignominia della croce, non deve scoraggiarsi di fronte alle prove a cui la vita sottopone la fede. vv. 4-13: l’autore rivolgendosi direttamente agli ascoltatori, li vuole aiutare a capire che le prove e le sofferenze possono avere una funzione “ pedagogica”. Infatti ogni padre che ama i propri figli cerca di correggere in ogni modo la loro condotta. 37 Nella pedagogia ebraica le pene fisiche erano utilizzate nell’educazione familiare. Per questo l’autore interpreta le prove e le sofferenze della vita come segno che Dio sta educando il suo popolo. vv. 14-16: La scelta di fede, implica una prassi di vita improntata all’amore, all’impegno nella giustizia nel rapporto con gli altri e nella fedeltà nella relazione con Dio. vv. 17: Esaù è l’esempio di tutti gli apostati dell’Antico testamento, l’autore quindi, esorta a non comportarsi come lui. Il rifiuto della grazia di Dio può compromettere il proprio destino di Salvezza. vv. 18-24: I cristiani costituiscono la nuova “assemblea” il nuovo popolo di Dio. Si pone a confronto la convocazione santa dell’Esodo e la nuova realtà della chiesa costituita dal Cristo Risorto. L’esperienza cristiana è vissuta all’insegna della fiducia e non della paura, conduce all’incontro diretto con Dio, in Gesù Cristo, in un clima di gioia e di comunione festosa. vv. 25-27: Al dono della Salvezza deve corrispondere un impegno di coerenza e perseveranza nella fede. vv. 28-29: In Gesù si è avuta la manifestazione piena e definitiva di Dio, del suo amore per ogni uomo. I cristiani sanno che non devono aspettare più nulla. Convocati nella Chiesa devono restare fedeli al programma cristiano. 38 Capitolo 13 L’amore fraterno resti saldo. 2Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. 3 Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo. 4 Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornicatori e gli adulteri saranno giudicati da Dio. 1 5 La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò. 6 Così possiamo dire con fiducia: Il Signore è il mio aiuto, non avrà paura. Che cosa può farmi l’uomo? 7 Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede. 8 Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e per sempre! 9 Non lasciatevi sviare da dottrine varie ed estranee, perché è bene che il cuore venga sostenuto dalla grazia e non da cibi che non hanno mai recato giovamento a coloro che ne fanno uso. 10 Noi abbiamo un altare le cui offerte non possono essere mangiare da quelli che prestano servizio nel Tempio. 11 Infatti i corpi degli animali, il cui sangue vien portato nel santuario dal sommo sacerdote per l’espiazione, vengono bruciati fuori dell’accampamento. 12 Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, subì la passione fuori della porta della città. 13 Usciamo dunque verso di lui fuori dell’accampamento, portando il suo disonore: non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura. 15 Per mezzo di lui dunque offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome. 16 Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace. 17 Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto; affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi. Ciò non di vantaggio per voi. 18 Pregate per noi; crediamo infatti di avere una buona 39 coscienza, desiderando di comportarci bene in tutto. 19 Con maggiore insistenza poi vi esorto a farlo, perché io vi sia restituito al più presto. 20 Il Dio della pace che ha ricondotto dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, 21 vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen. 22 Vi esorto fratelli, accogliete questa parola di esortazione; proprio per questo vi ho scritto brevemente. 23 Sappiate che il nostro fratello Timòteo è stato rilasciato; se arriva abbastanza presto, vi vedrò insieme a lui. 24 Salutate tutti i vostri capi e tutti i santi. Vi salutano quelli dell’Italia. La grazia sia con tutti voi. Il capitolo 13 si può considerare come una specie di piccolo catechismo dei doveri. L’autore sottolinea che il culto cristiano si attua nella duplice forma dell’amore a Dio e al prossimo. vv. 1-3: l’amore cristiano si distingue dall’amore filantropico, o da una solidarietà dettata da interessi di parte. Il termine che viene usato, filadelfia (amore per i fratelli) corrisponde al significato dell’amore agapico, l’amore oblativo. vv. 4-6: nella relazione matrimoniale, l’autore invita gli ascoltatori alla fedeltà perché i convocati nella chiesa vivono la fedeltà a Dio e non possono contraddirsi con la condotta di vita. In relazione dell’uso dei beni si devono evitare l’ avarizia e la cupidigia che spingono all’accumulo. Fondarsi su ”mammona”, significa rinnegare il proprio rapporto di fiducia con Dio e affidarsi all’idolo della ricchezza. v. 7: la vita comunitaria è affidata alla guida di “capi”, responsabili della comunità che hanno il compito di annunziare la Parola di Dio e di testimoniarla con la vita. v. 9: la fede è relazione con Dio non è basta su pratiche materiali come la ritualità ebraica. L’autore ricorda che la fede va vissuta nella vita, e può dare un significato nuovo a tutte le situazioni, come la malattia, la sofferenza, i conflitti. vv. 10-12: al posto del sangue delle vittime sacrificate, Gesù ha sacrificato se stesso, realizzando ciò di cui i riti ebraici erano una prefigurazione. Gesù è stato messo a morte e crocifisso fuori delle porte di Gerusalemme, portando a compimento e nello stesso tempo rendendo superati per sempre gli antichi riti. 40 vv. 13-17: il culto cristiano non consiste nell’offerta di cose o sacrifici, ma nel proclamare che Dio è l’unico Signore, che si è manifestato in Gesù e nel vivere nell’amore reciproco con i fratelli. Le guide della comunità non devono agire da padroni o secondo il proprio arbitrio, perché devono rendere conto a Dio del loro operato. 41