1 Introduzione L`autore La lettera agli Ebrei fu scritta probabilmente

Introduzione
L’autore
La lettera agli Ebrei fu scritta probabilmente, dopo
l’anno 70, da un cristiano che si colloca sotto l’influsso
della scuola paolina. Conosceva il modo di leggere la
Scrittura in uso nella diaspora giudaica ed era in contatto
con un ambiente italiano.
L’attuale orientamento esegetico non colloca la
“Lettera agli Ebrei” nel genere letterario epistolare, ma la
considera piuttosto una predica, che ha come tema
centrale la figura di Gesù, riletta sullo sfondo dell’Antico
Testamento, in un confronto con le istituzioni giudaiche.
In un tempo successivo a quello della sua redazione,
l’omelia sarebbe stata inviata con un biglietto di
presentazione ad altri cristiani che si trovavano in una
situazione di crisi o di difficoltà analoga a quella dei suoi
destinatari originari.
I destinatari
sono dunque cristiani in crisi, che vivono una
particolare situazione di difficoltà; sono bisognosi
dunque di sostegno e di incoraggiamento a perseverare
nella fede. Da qui il rilievo di alcune esortazioni che la
lettera contiene sullo sfondo della riflessione dottrinale,
che ne costituisce la trama fondamentale.
Come leggiamo nella stessa lettera agli Ebrei, il testo
è innanzi tutto un discorso esortativo-pratico, che ha lo
scopo di sostenere la fede matura, la carità attiva e la
speranza perseverante di cristiani in crisi, che hanno
difficoltà a continuare a credere e che si trovano in una
situazione conflittuale con l’ambiente circostante.
Il linguaggio utilizzato, con molti riferimenti a riti e
immagini dell’Antico Testamento e alle istituzioni
giudaiche, va contestualizzato per poter cogliere la
peculiarità del messaggio che veicola. Così per esempio,
1
l’affermazione che Gesù è “sommo sacerdote” va
compresa precisamente nel contesto della situazione
vitale che i destinatari della lettera vivevano, altrimenti il
lettore contemporaneo non capirà se il “sacerdozio” di
Cristo era uguale, simile o diverso da quello giudaico o
da quello pagano.
I continui richiami alle tradizioni giudaiche e il fatto
che fin dal II secolo quella omelia fu conosciuta come
“Lettera agli Ebrei” fa pensare che i destinatari originari
fossero ebrei convertiti. Si sarebbe trattato dunque di una
comunità di giudeo-cristiani, al cui interno però si
dovevano trovare anche pagani convertiti. Anche costoro
conoscevano le tradizioni giudaiche, tanto che nella
lettera ai Romani Paolo può fare un lungo excursus sulla
storia di Israele.
Le difficoltà che questi “cristiani” incontravano non
erano dovute solo all’ambiente circostante ostile, ma
erano originate anche dall’interno della comunità. Alcuni
vedendo che in essa non succede nulla di nuovo e stanchi
di una vita comunitaria che scorre senza grandi
avvenimenti sono tentati di abbandonarla. Vi è il pericolo
concreto che la comunità non perseveri nella fede a cada
nell’apostasia.
Riguardo le difficoltà esterne l’autore fa riferimento
all’ostilità sperimentata dalla comunità cristiana come
minoranza. Non è, però, un fatto isolato, ma piuttosto
un’esperienza comune a molti cristiani, se non alla gran
parte. Erano considerati, infatti, “diversi” sia dal
giudaismo, sia dal mondo ellenistico. Erano guardati con
grande sospetto perché non praticavano il culto ufficiale
come tutti gli altri. Si legge nel testo: “Richiamate alla
memoria quei primi giorni nei quali, dopo essere stati
illuminati, avete dovuto sopportare una grande e penosa
lotta, ora esposti pubblicamente a insulti e tribolazioni,
ora facendovi solidali con coloro che venivano trattati in
questo modo. Infatti avete preso parte alle sofferenze dei
carcerati e avete accettato con gioia di esser spogliati delle
vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e più
2
duraturi. Non abbandonate dunque la vostra franchezza,
alla quale è riservata una grande ricompensa” (10, 32-35).
In 12, 4 i cristiani sono invitati ad affrontare la
situazione con coraggio guardando alla figura di Gesù. In
ogni caso l’autore nota che non si tratta di una
persecuzione cruenta, “fino al sangue”, ma della
discriminazione da parte di un ambiente ostile,
accompagnata da episodi di boicottaggio e di repressione
poliziesca.
È in questo contesto che viene presentato il nucleo
della fede: Gesù di Nazareth, crocifisso e risuscitato, è il
Cristo, il Figlio di Dio. Caratteristico di questa rilettura è
l’uso di un linguaggio e di un vocabolario rituale o
liturgico.
3
Capitolo 1
1
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva
parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, 2 in questi
giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito
erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il
mondo. 3 Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della
sua sostanza e tutto sostiene con la sua parola potente, dopo
aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra
della maestà nell'alto dei cieli, 4 divenuto tanto superiore agli
angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
5
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio
figlio; oggi ti ho generato? E ancora: Io sarò per lui padre ed
egli sarà per me figlio? 6 Quando invece introduce il
primogenito nel mondo, dice: Lo adorino tutti gli angeli di
Dio.7 Mentre degli angeli dice: Egli fa i suoi angeli simili al
vento,e i suoi ministri come fiamma di fuoco, 8 al Figlio invece
dice: Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli; e: lo Scettro del
tuo regno è scettro di equità; 9 hai amato la giustizia e odiato
l'iniquità, perciò Dio, il tuo Dio ti ha consacrato, con olio di
esultanza a preferenza dei tuoi compagni. 10 E ancora: in
principio Tu, Signore, hai fondato la terra e i cieli sono opera
delle tue mani. 11 Essi periranno, ma tu rimani; tutti si
logoreranno come un vestito. 12 Come un mantello li
avvolgerai, come un vestito anch’essi, saranno cambiati; ma tu
rimani lo stesso, e i tuoi anni non avranno fine. 13 E a quale
degli angeli poi ha mai detto: Siedi alla mia destra, finché io
non abbia messo i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi? 14
Non sono forse tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati a
servire coloro che erediteranno la salvezza?
Prologo (1, 1-4)
I vv. 1-4 costituiscono l’esordio del testo e annunciano il
contenuto della lettera. L’autore vuole presentare la figura e il
ruolo di Gesù, che introduce gli uomini alla gioia dell’incontro
salvifico con Dio. Si tratta dunque del problema della mediazione
e della salvezza.
vv. 2-3: le prime parole della lettera collocano la figura di Gesù
sullo sfondo della storia di Israele, che giunge a compimento
proprio con Gesù, “erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha
fatto anche il mondo”. È facile notare una somiglianza con il
Prologo del IV Vangelo e con la prima lettera di Giovanni. Per
mezzo del Figlio, Dio parla: vi è qui la concezione di un Dio
dialogante e di una rivelazione come colloquio tra Dio e gli
uomini. Nel Figlio troviamo tutto ciò che bisogna conoscere per
vivere un’esperienza salvifica; non vi sono altri luoghi per
incontrare Dio. Il cristianesimo non è esoterico, non vi sono
4
rivelazioni nascoste, ma in Gesù tutto viene alla luce e tutti vi
possono attingere. In lui abbiamo l’alfa e l’omega, l’inizio (“... ha
fatto tutte le cose”) e la fine (“erede di tutte le cose”).
In questo primi vv. appare evidente la polemica contro i tentativi
di sostituire il fondamento della fede, Gesù, con altre realtà
marginali. D’altra parte è comprensibile la difficoltà a formulare la
novità cristiana di un Dio che si rivela nella storia, nel volto, nella
passione e morte di un uomo. Gesù Cristo è presentato come
“questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della
sua sostanza”. Con l’immagine della luce che viene dal sole si dice
che Cristo ci dà qualcosa di Dio; da Lui diverso, tuttavia
riproduce la sua realtà e, perciò, attraverso Gesù sappiamo chi è
Dio e che cosa vuole da noi.
I vv. 3-4 presentano tutta l’esistenza di Gesù, anzi si potrebbe dire
la pro-esistenza, dato che Gesù dà la sua vita per i nostri peccati.
La lettera introduce il linguaggio rituale, liturgico e sacrificale
riferito a Gesù, per dire che gli uomini non si liberano dai loro
peccati mediante gli antichi riti e pratiche, ma possono farlo grazie
alla morte salvifica di Gesù. Detto questo però si indica la meta
finale della parabola discendente di colui che si è immerso nella
storia degli uomini per eliminare il peccato: “Si è assiso alla destra
della maestà di Dio nei cieli”.
v. 4 annuncia il tema che verrà sviluppato nel primo capitolo e in
parte nel secondo: il confronto tra Gesù Cristo e le altre potenze
mediatrici. Il Cristo è diventato tanto superiore quanto più
eccellente è il nome, cioè il ruolo, che ha ereditato come diritto
originario di Figlio: il ruolo di messia glorioso, intronizzato alla
destra di Dio, dopo essere passato per l’umiliazione della croce,
attraverso cui ha eliminato il peccato.
v. 5-14: comincia una sezione con sette citazioni bibliche,
secondo un metodo tipico della lettera: attraverso immagini e testi
dell’A.T. ridice il kerygma cristiano, vale a dire l’annuncio della
fede in Gesù, il Figlio di Dio, il crocifisso redentore, il messia
glorioso intronizzato nei cieli. Da qui il confronto iniziale con gli
angeli, secondo le concezioni presenti nel giudaismo ellenistico.
Gesù non era visto da alcuni come un uomo di Dio o un profeta,
ma come un essere del mondo intermedio degli angeli. Per questo
il testo chiarisce che a nessun angelo può essere attribuito lo
statuto che Gesù possiede di Figlio unico alla pari con Dio:
“Infatti a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio;
oggi ti ho generato?”. L’intero brano va riferito al Gesù storico,
morto nella croce in modo ignominioso. Questa è la difficoltà dei
cristiani: incontrare Dio attraverso una figura così diversa da
quella degli esseri celesti, che non si erano mai contaminati con la
storia degli uomini, segnata da contraddizioni e da violenze.
Questo, però, è il punto di partenza della fede: l’uomo Gesù è il
Figlio di Dio, senza perdere nulla della sua umanità. Non ha nulla
5
a che fare, quindi, con altri mediatori spirituali.
6
Capitolo 2
1Per
questo bisogna che ci dedichiamo con maggiore impegno
alle cose che abbiamo ascoltato, per non andare fuori rotta.
2Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è
dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha
ricevuto giusta punizione, 3come potremo noi scampare se
avremo trascurato una salvezza così grande? Essa cominciò a
essere annunciata dal Signore, e fu confermata a noi da coloro
che l’avevano ascoltata, 4mentre Dio ne dava testimonianza
con segni e prodigi e miracoli d’ogni genere e doni dello
Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà. 5Non certo a
degli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale
parliamo. 6Anzi, in un passo della Scrittura qualcuno ha
dichiarato: Che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi o il figlio
dell’uomo perché tu te ne curi? 7Di poco l’hai fatto inferiore
agli angeli, di gloria e di onore l’hai coronato 8e hai messo
ogni cosa sotto i suoi piedi. Avendo sottomesso a lui tutte le
cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al
momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia
a lui sottomessa. 9Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco
inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore
a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio
egli provasse la morte a vantaggio di tutti. 10Conveniva infatti
che Dio, per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose,
Lui che conduce molti figli alla gloria, rendesse perfetto per
mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza.
11Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati
provengono tutti da una stessa origine; per questo non si
vergogna di chiamarli fratelli, 12dicendo: Annunzierò il tuo
nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue
lodi; 13e ancora: Io metterò la mia fiducia in lui; e inoltre:
Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato. 14Poiché dunque i
figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo
stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza
mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il
diavolo, 15e liberare così quelli che per timore della morte
erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. 16Egli infatti non si
prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende
cura. 17Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per
diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede
nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati
del popolo. 18Infatti proprio per essere stato messo alla prova
ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto
a quelli che subiscono la prova.
7
vv. 5-18: La redenzione è realizzata dal Cristo. La “figliolanza”
caratterizza la relazione di Gesù con Dio; la lettera mostra pure la
relazione di fraternità con gli uomini.
vv. 5-8: si cita il Sal 8 applicandolo a Gesù. Egli sembra inferiore
agli angeli: il falegname, maestro e profeta, soffre e muore in
croce, non è paragonabile alle impassibili creature angeliche.
Proprio in questo coinvolgimento radicale nella vicenda umana,
però il destino di Gesù si rende manifesto: portare tutta l’umanità
al nuovo rapporto con Dio, mediante la sua signoria sull’universo
e sul mondo futuro, scoprendo chi è Gesù si scopre chi è l’uomo.
v. 8: si spiega il Sal 8. Anche se sussistono ancora contraddizioni,
violenze, peccati, ingiustizie, tutto è sottoposto alla signoria di
Gesù, che getta luce sul rapporto dell’uomo col mondo, con la
morte, col peccato: nella vittoria di Gesù l’uomo acquista un
nuovo rapporto con Dio. Questo significa che la «figura di Gesù
rappresenta […] la chiave per capire non solo lo statuto dei
cristiani, ma anche il senso del mondo e della storia» [R. Fabris].
vv. 9-10: Ancora una volta si usa un’immagine, per dire che Gesù
sta alla testa di un cammino storico. È il primo tra i fratelli, il
salvatore e perfezionatore della comunità umana. Poiché ha
percorso la via dell’umiliazione fino alla morte, egli può indicare a
tutti la meta finale: la gloria. “Rendere perfetto mediante la
sofferenza”: “consacrato”, “costituito sacerdote”, «realizzato nel
giusto rapporto con Dio e con gli altri uomini per mezzo della
sofferenza» [R. Fabris]. Con queste espressioni si può esplicitare il
senso del sacerdozio di Cristo.
Si badi però al fatto che non vi è un automatismo tra morte e
perfezione. Non è la morte in se stessa che genera una nuova
relazione tra Dio e la realtà. Determinante è la fedeltà che si
esprime nella morte di Gesù e che la trasforma da mezzo di
tortura a mezzo di salvezza, facendone lo spazio dove l’uomo può
incontrare Dio.
vv. 14-15: è la conclusione che prepara il tema del sacerdozio.
8
Capitolo 3
1Perciò,
fratelli santi, voi che siete partecipi di una vocazione
celeste, prestate attenzione a Gesù, l’apostolo e sommo
sacerdote della fede che noi professiamo, 2il quale è degno di
fede per colui che l’ha costituito tale, come lo fu anche Mosè
in tutta la sua casa. 3Ma in confronto a Mosè, egli è stato
giudicato degno di una gloria tanta maggiore, quanto l’onore
del costruttore della casa supera quello della casa stessa.
4Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che
ha costruito tutto è Dio. 5In verità Mosè fu degno di fede in
tutta la sua casa come servitore, per dare testimonianza di ciò
che doveva essere annunciato più tardi; 6Cristo, invece, lo fu
come figlio posto sopra la sua propria casa. E la sua casa
siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci
vantiamo.
7Per
questo, come dice lo Spirito Santo:
Oggi, se udite la sua voce,
8 non indurite i vostri cuori
come nel giorno della ribellione,
il giorno della tentazione nel deserto,
9 dove mi tentarono i vostri padri mettendomi alla
prova,
pur avendo visto per quarant’anni le mie opere.
Perciò mi disgustai di quella generazione
e dissi: hanno sempre il cuore sviato.
Non hanno conosciuto le mie vie.
11 Così ho giurato nella mia ira:
Non entreranno nel mio riposo.
10
12
Badate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore
perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente.
13Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura
quest’ oggi, perché nessuno di voi si ostini sedotto dal
peccato. 14Siamo infatti diventati partecipi di Cristo, a
condizione di mantenere salda fino alla fine la fiducia che
abbiamo avuta fin dall’inizio. 15Quando si dice:
Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori come nel giorno della
ribellione,
16chi furono quelli che, dopo aver udita la sua voce, si
ribellarono? Non furono tutti quelli che erano usciti
dall’Egitto sotto la guida di Mosè? 17E chi furono coloro di
cui si è disgustato per quarant’anni? Non furono quelli che
avevano peccato e poi caddero cadaveri nel deserto ? 18E a
9
chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo, se non a
quelli che non avevano creduto? 19E noi vediamo che non
poterono entrarvi a causa della loro mancanza di fede.
I cc. 3-4 sviluppano il tema della perseveranza nella fede nei
momenti di crisi. Con 3,1 si stabilisce un confronto con Mosè,
altro grande mediatore della storia ebraica.
vv. 3-4: Gesù è chiamato “sommo sacerdote” e “apostolo”,
l’inviato di Dio che ci riporta a Lui. Mosè è chiamato da Filone di
Alessandria sommo sacerdote, profeta, legislatore: egli ha un alto
grado di credibilità perché è un servitore nella casa di Dio. Gesù
però gli è superiore come l’architetto che ha costruito la casa è
superiore alla casa stessa; Gesù è come l’architetto di Dio che ha
costruito il mondo e lo sostiene per mezzo della sua parola.
vv. 5-6: Mosè fu un servitore fedele, Gesù è il “Figlio costituito
sopra la sua casa”; non la casa di un estraneo, la casa di Gesù è il
popolo di Dio, da dove la sua presenza e la sua missione si
allargano al mondo intero. Noi siamo la casa di Gesù, nella misura
in cui perseveriamo nella fede.
vv. 7-11: al paragone tra Gesù e Mosè segue quello tra Israele e la
Chiesa, mediante la citazione del Sal 95. Il salmo richiama
l’esperienza di liberazione e di salvezza dell’esodo (azione gratuita e
libera di Dio); l’esperienza di formazione e di tentazione del
cammino nel deserto (periodo della crisi che segna il lungo
pellegrinaggio dalla schiavitù alla libertà); la terra promessa, che è
terra di libertà e di “riposo” (cioè di salvezza, di realizzazione
piena, senza più le tensioni del cammino). Per l’autore della lettera
agli Ebrei, anche i cristiani fanno un’esperienza di esodo (il
battesimo). Si esce da una situazione di schiavitù e si comincia un
cammino nel deserto. Qui “deserto” è il tempo della crisi, in cui si
corre il rischio di perdersi di coraggio e di fermarsi senza superare
i confini della terra promessa. Così facendo, però, si rende stabile
la condizione di “deserto”, andando incontro alla morte, cioè al
fallimento e alla non realizzazione della libertà. «La “tentazione” è
la verifica che Dio ha imposto al suo popolo, ma è anche la
provocazione che il popolo ha fatto a Dio, non fidandosi di colui
che l’aveva fatto uscire dall’Egitto. Il “riposo” è la meta ultima. Il
tempo del deserto è il tempo della crisi tra la libertà iniziata e la
libertà finale, che è la risurrezione. Qui cominciano le difficoltà.
Dopo il battesimo e l’accettazione della fede, il problema è di
essere cristiani dal “lunedì in poi”: al di là dell’emergenza o della
vigilia della festa, bisogna saper vivere un cristianesimo feriale, un
cristianesimo del deserto» [R. Fabris].
vv. 12-13: presentano una applicazione del Sal 95. L’ “oggi” è il
tempo della salvezza inaugurato dal battesimo, il nuovo esodo che
conduce alla terra di libertà, la risurrezione. Il “peccato” non è
10
inteso qui solo in senso morale, ma è fondamentalmente la
mancanza di fiducia, la rottura della relazione vivente con Gesù, il
rinnegamento della fede in Lui, con il conseguente abbandono
della comunità.
vv. 14-19: Spiegando il salmo, l’autore della “lettera” dice che la
situazione degli ebrei usciti dall’Egitto è per molti aspetti parallela
a quella dei cristiani. Il battesimo, i sacramenti, le esperienze
carismatiche non valgono molto se i credenti non mantengono un
legame vitale con Gesù.
11
Capitolo 4
1
Dovremmo dunque avere il timore che, mentre rimane ancora
in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi
ne sia giudicato escluso. 2 Poiché anche a noi, come quelli,
abbiamo ricevuto il vangelo: ma a loro la parola udita non
giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli che
avevano ascoltato con fede. 3 Infatti noi che abbiamo creduto,
entriamo in quel riposo, come egli ha detto: così ho giurato
nella mia ira:
Non entreranno nel mio riposo!
Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla
fondazione del mondo. 4 Si dice infatti in un passo della
Scrittura a proposito del settimo giorno: E nel settimo giorno
Dio si riposò da tutte le opere sue. 5 E ancora in questo passo:
Non entreranno nel mio riposo! 6 Poiché dunque risulta che
alcuni entrano in quel riposo e quelli che per primi ricevettero il
vangelo non vi entrarono a causa della loro disobbedienza, 7
Dio fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo mediante Davide,
dopo tanto tempo: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i
vostri cuori!
8
Se Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo, Dio non
avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno.9 Dunque per il
popolo di Dio è riservato un riposo sabbatico. 10 Chi infatti è
entrato nel riposo di Lui, riposa anch’egli dalle sue opere, come
Dio dalle proprie. 11 Affrettiamoci dunque ad entrare in quel
riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.
12
Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni
spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione
dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e
discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.13 Non vi è creatura
che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto
agli occhi di Colui al quale noi dobbiamo rendere conto. 14
Dunque poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è
passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo
ferma la professione della fede. 15 Infatti non abbiamo un
sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre
debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa,
come noi, escluso il peccato. 16 Accostiamoci dunque con piena
fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare
12
grazia così da essere aiutati al momento opportuno.
Col v. 14 comincia la sezione dove si affronta uno dei temi
fondamentali della lettera agli Ebrei: il senso del sacerdozio di
Gesù. In 7, 14 la lettera nota che Gesù non appartiene ad una
famiglia sacerdotale, non pone nessun atto ufficiale di culto, al di
fuori della lettura sinagogale, aperta a tutti gli adulti, o della
presidenza della cena pasquale che poteva essere assunta dal capo
famiglia o dal capo di un gruppo di amici. Altri elementi – come
per esempio la morte in croce, morte infamante non degna del
sacerdozio - mettono in questione la legittimità del “sacerdozio”
di Gesù. Si tratta perciò di vedere perché si possa parlare di Gesù
“sommo sacerdote”.
vv. 14-16: l’espressione “sommo sacerdote” riferita a Gesù, non
indica la sua posizione rispetto agli altri sacerdoti di Israele,
significa invece che egli realizza pienamente il ruolo sacerdotale.
In lui i cristiani sono invitati a ravvivare la propria fede. Il termine
“debolezze” sta ad indicare tutta l’esperienza umana, che si
riassume nella situazione tragica della morte. Questo significa che
Gesù “sommo sacerdote” condivide tuta la condizione umana,
anche nella su tragicità, escluso il peccato. Vediamo come dopo
aver ricordato il “movimento ascendente” del sacerdozio di
Cristo, si indica qui la dimensione “discendente”. La piena
condivisione della condizione umana significa che Gesù non
peccò per la sua piena fedeltà al Padre e ai fratelli, non quindi per
una impossibilità ontologica.
Per questo, afferma la lettera, possiamo accostarci a Dio
(“il trono della grazia”) con piena fiducia, potendo contare sulla
perfetta mediazione di Cristo, il crocifisso, che è stato risuscitato e
rimane per sempre con noi.
13
Capitolo 5
1Ogni
sommo sacerdote infatti, scelto fra gli uomini, e per
degli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano
Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. 2 Egli è in
grado di sentire giusta compassione per quelli che sono
nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche Lui rivestito di
debolezza. 3A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i
peccati, anche per se stesso come fa per il popolo.
4Nessuno
attribuiscee a se stesso questo onore, se non chi è
chiamato da Dio, come Aronne. 5Nello stesso modo Cristo
non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma
colui che gli disse:
Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, gliela conferì
è detto in un altro passo:
6come
Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di
Melchìsedek.
7 Nei
giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e
suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva
salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a Lui, venne
esaudito. 8 Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle
cose che patì 9 e, reso perfetto, divenne causa di salvezza
eterna per tutti coloro che gli obbediscono, 10 essendo stato
proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di
Mechisedek.
11
Su questo argomento abbiamo molte cose da dire,
difficili da spiegare perché siete diventati lenti a capire.
12
Infatti voi, che a motivo del tempo trascorso dovreste
essere maestri, avete ancora bisogno che qualcuno v’insegni
i primi elementi delle parole di Dio e siete diventati
bisognosi di latte e non di cibo solido. 13 Ora, chi si nutre
ancora di latte non ha l’esperienza della dottrina della
giustizia, perché è ancora un bambino. 14 Il nutrimento
solido è invece per gli adulti, per quelli che, mediante
l’esperienza, hanno le facoltà esercitate a distinguere il bene
dal male.
vv. 1-4: Per meglio comprendere il sacerdozio di Gesù, i primi
versi del cap. 5 presentano il sacerdozio ebraico, così come
originariamente voluto da Dio, prescindendo dunque dalle
manovre umane per strumentalizzarlo usandolo per i propri
interessi. I vv. 1-4 sottolineano le due condizioni caratterizzanti il
14
sacerdozio: la solidarietà con gli uomini e l’investitura di Dio.
Queste due caratteristiche si ritrovano in Gesù, che però le attua
in modo profondamente diverso degli altri uomini. Egli è
innocente e non ha conosciuto il limite dell’infermità umana.
Inoltre è stato costituito Figlio mediante la risurrezione.
vv. 5-6: La lettera agli Ebrei usando queste categorie sacerdotali
ridice la fede cristiana in Gesù Figlio di Dio. Mediante la citazione
del salmo 110 si sottolinea la realtà della figliolanza di Gesù (“è
intronizzato alla destra di Dio”). Mediante il riferimento alla
figura anticotestamentaria di Melchisedek si definisce il ruolo di
Gesù, che è sacerdote in quanto messia glorioso, costituito
Signore attraverso la risurrezione.
vv. 7-10: questi versi suppongono l’idea di sacerdozio come
mediazione. Ora tutta la vicenda umana di Gesù è stata una
realizzazione del suo ruolo di mediatore. La croce ha
rappresentato il vertice di questa mediazione. L’offerta della
propria vita sostituisce i riti e i sacrifici. Tutta la mediazione di
Gesù, il culto che egli offre a Dio, consiste in questo rapporto di
amore e di fedeltà totale che si esprime proprio nel dono di sé.
L’offerta di sé per Gesù significa l’attuazione del suo essere
“figlio” nella condizione più tragica che un uomo possa
affrontare: l’esperienza della morte vissuta come rischio di
separazione da Dio. Il termine eusébeia, tradotto a volte con pietà,
indica il legame vitale con Dio. La religione è vista qui come
legame vitale con Dio, “il pieno abbandono a lui” (come traduce
la nuova versione Cei, cambiando la precedente che traduceva
eusébeia con “pietà”). Gesù fu esaudito, dunque, perché imparò
mediante l’obbedienza ad essere figlio, non perciò per un
particolare privilegio dell’essere figlio. La duplice caratteristica del
sacerdozio fu vissuta da Gesù, in definitiva, con il suo supremo
atto di amore e di fedeltà a Dio e contemporaneamente con la
piena partecipazione alla condizione umana. «Questo è il
sacerdozio di Gesù, il suo atto di culto, che verrà coronato dalla
risurrezione, conseguenza e non causa della sua fedeltà» [R.
Fabris]. L’espressione “reso perfetto”, cioè “consacrato” dice
quale sia il risultato del modo come Gesù visse la morte in piena
fedeltà al Padre. La consacrazione di Gesù è però diversa da
quella dei sacerdoti ebrei o pagani. Non consiste in un rito che lo
separa dagli uomini, ma nella risurrezione, che porta a
compimento la fedeltà vissuta nella morte. Il termine ebraico che
noi rendiamo con “rendere perfetto”, e usato per indicare la
consacrazione sacerdotale, significava letteralmente “riempire le
mani”, forse in riferimento alle offerte. L’autore riprende questa
espressione per sottolineare che Gesù non è stato consacrato
mediante unzioni delle mani o altri riti di imposizione, ma
mediante la risurrezione che l’ha costituito in quel pieno statuto di
Figlio che aveva vissuto nella morte. È questo un capitolo di
estrema importanza perché «l’autore non si è limitato a una
15
speculazione astratta su Gesù sacerdote, ma ha voluto anche
indicare ai cristiani qual è il giusto rapporto con Dio e in che cosa
consiste il senso profondo della religione» [R. Fabris].
L’importanza del richiamo alla figura di Melchisedek
emerge nel cap. 7 che in qualche modo è una ripresa ed un
approfondimento del cap. 5. Come a suo tempo si vedrà.
vv. 11-14: alla fine del cap. 5, l’autore richiama l’attenzione dei
suoi uditori. La vita di fede prevede delle tappe progressive: anche
nella fede vi è una infanzia e una età adulta. Ogni cristiano è
chiamato a diventare adulto nella fede. L’infanzia della fede, la sua
prima tappa, consiste nel nutrirsi delle “parole di Dio”, della
Bibbia. Potremmo dire che si tratta dell’apprendere gli strumenti
per poter leggere la Bibbia. Si deve passare poi a saper distinguere
il bene dal male (“il cibo solido”), in altri termini a saper riflettere
in maniera adulta sulla propria fede. Questa riflessione
sull’esperienza è la teologia. Ogni battezzato, perciò, deve diventare
teologo, non nel senso della teologia professionale, ma in quanto
chiamati a interpretare la propria fede nelle diverse circostanze
della vita (famiglia, lavoro, impegno civico, … ). Il passaggio da
una fede bambina ad una fede adulta è necessario perché la fede si
conservi, perché si possa perseverare in essa. Nel capitolo
successivo l’autore indica i capisaldi di un itinerario verso una
fede adulta (potremmo dire le tappe di un catecumenato per la
vita cristiana)
16
Capitolo 6
1
Perciò, lasciando da parte il discorso iniziale su
Cristo, passiamo a ciò che è completo, senza gettare di
nuovo le fondamenta: la rinunzia alle opere morte e la fede
in Dio, 2 la dottrina dei battesimi, l’imposizione delle mani,
la risurrezione dei morti e il giudizio eterno. 3 Questo noi lo
faremo, se Dio lo permette.
4
Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, e
hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello
Spirito Santo 5 e hanno gustato la buona parola di Dio e i
prodigi del mondo futuro. 6 Tuttavia, se sono caduti, è
impossibile rinnovarli un’altra volta portandoli alla
conversione, dal momento che, per quanto sta in loro, essi
crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono
all’infamia. 7 Infatti, una terra imbevuta della pioggia che
spesso cade su di essa, se produce erbe utili a quanti la
coltivano, riceve benedizione da Dio; 8 ma se produce spine
e rovi, non vale nulla ed è vicina alla maledizione: finirà
bruciata!
9
Anche se a vostro riguardo, carissimi, parliamo così,
abbiamo fiducia che vi siano in voi cose migliori, che
portano alla salvezza. 10 Dio infatti non è ingiusto tanto da
dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato
verso il suo nome, con i servizi che avete reso e che tuttora
rendete ai santi. 11 Desideriamo soltanto che ciascuno di voi
dimostri il medesimo zelo perché la sua speranza abbia
compimento sino alla fine, 12 perché non diventiate pigri, ma
piuttosto imitatori di coloro che, con la fede e la costanza,
divengono eredi delle promesse.
13
Quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo,
non potendo giurare per uno superiore a sé, giurò per se
stesso, 14 dicendo: Ti benedirò con ogni benedizione e
renderò molto numerosa la tua discendenza. 15 Così
Abramo, con la sua costanza, ottenne ciò che gli era stato
promesso. 16 Gli uomini infatti giurano per qualcuno
maggiore di loro e per loro il giuramento è una garanzia che
pone fine ad ogni controversia. 17 Perciò Dio, volendo
mostrare più chiaramente agli eredi della promessa
l’irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un
giuramento, 18 affinché, grazie a due atti irrevocabili, nei
quali è impossibile che Dio mentisca, noi, che abbiamo
cercato rifugio in lui, abbiamo un forte incoraggiamento ad
17
afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. 19 In
essa infatti abbiamo come un’ancora sicura e salda per la
nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, 20
dove Gesù è entrato come precursore per noi, divenuto
sommo sacerdote
per sempre secondo l’ordine di
Melchìsedek.
vv. 1-3: si inizia con un invito perentorio a portare fino in fondo il
cammino di fede, pena una forma di regressione che potrebbe
giungere fino all’apostasia. Le questioni che l’autore, con l’aiuto di
Dio, si propone di trattare sono dunque cinque (vv. 1c-2).
vv. 4-6: i destinatari del discorso di Ebrei sono cristiani che hanno
già ricevuto il battesimo (“sono stati una volta già illuminati”),
hanno ricevuto il dono dello Spirito (“il dono celeste”), hanno
fatto quindi esperienza dello Spirito: un’esperienza irripetibile,
come un segno indelebile di appartenenza totale a Dio. La serietà
dell’amore di Dio, manifestatosi sulla croce, rende irripetibile il
battesimo. Pensare di ripetere l’esperienza battesimale significa
pensare di poter crocifiggere di nuovo Gesù a proprio vantaggio.
Il concetto di “irripetibilità” sarà ripreso e sottolineato a partire
dal cap. 7, con l’affermazione che Gesù ci ha redenti “una volta
per tutte”. Si evidenzia così il carattere peculiare e unico del
sacerdozio di Gesù (nel senso detto di rapporto di amore col
Padre e i fratelli). Il battesimo dei cristiani non è perciò
paragonabile ai riti di abluzione ebraici che dovevano essere
ripetuti. Esso infatti si fonda su un evento salvifico definitivo: la
croce di Gesù, manifestazione dell’amore del Padre. La “caduta” a
cui l’autore si riferisce è l’apostasia. Non si presenta perciò una
esortazione morale, la maturità di fede di cui si parla non è un atto
volontaristico, ma l’adesione matura e cosciente a Cristo. Questa
idea sarà ripresa in modo esplicito in 10, 26-27.
vv. 7-8: mediante una parabola agricola, l’autore conclude questa
argomentazione con un invito alla perseveranza della fede,
traducendo attivamente l’impegno battesimale, evitando così di
esporsi al rischio della condanna. Questa però non né l’ultima
parola, perché in realtà subito dopo segue una esortazione alla
fiducia.
vv. 9-12: l’invito alla fiducia contiene il suo motivo: la fede vissuta
nella carità attiva, con le sue espressioni concrete (per esempio
l’accoglienza, l’ospitalità, l’aiuto al povero). La fede adulta che
attua gli impegni battesimali, in definitiva, si manifesta nella carità,
che assieme alla capacità di interpretare la storia alla luce della
fede, costituisce il cardine della vita cristiana.
vv. 13-18: dinanzi alle difficoltà della vita che mettono alla prova
la nostra fede, la lettera presenta la figura di Abramo. Su due atti
18
di Dio, una promessa confermata e un giuramento, Abramo ha
fondato la propria perseveranza. (La promessa è quella del dono
della terra e della benedizione da condividere con tutti i popoli).
Anche questo episodio dell’Antico Testamento si applica a Gesù,
che è il vero erede, costituito sacerdote attraverso la promessa e il
giuramento di Dio. Per questo i cristiani si trovano in un
condizione migliore di quella di Abramo, perché possono fondare
la loro speranza non solo su una promessa e un giuramento, ma
sulla realizzazione della salvezza che si è realizzata in Gesù. La
speranza cristiana non consiste in un futuro vago ma è la persona
stessa di Gesù risorto.
vv. 19-20: Gesù è l’ancora sicura a cui aggrapparsi nell’oggi della
nostra vita. Il futuro del cristiano non si fonda su una dottrina
filosofica (l’immortalità dell’anima), o su un desiderio dell’uomo
(quella felicità che mai sulla terra si raggiunge), ma sul Risorto,
che garantisce questo futuro. L stessa idea è espressa da Paolo
nella lettera ai Tessalonicesi (1Tess 4, 13-14). Nel Tempio di
Gerusalemme un velo separava l’aula esterna dal santo dei santi, il
luogo dell’arca dell’alleanza e della presenza divina. Era una figura
del vero santuario, quello di Dio, dove Gesù è entrato “come
precursore”, aprendo la strada agli uomini e diventando così la
loro speranza.
19
Capitolo 7
1
Questo Melchìsedek infatti, re di Salem, sacerdote
del Dio Altissimo, andò incontro ad Abramo mentre
ritornava dalla sconfitta dei re e lo benedisse; 2 a lui Abramo
diede la decima di ogni cosa; anzitutto il suo nome significa
“re di giustizia”; poi è anche re di Salem, cioè re di pace. 3
Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza
principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di
Dio rimane sacerdote in eterno.
4
Considerate dunque quanto sia grande costui, al
quale Abramo, il patriarca, diede la decima del suo bottino. 5
In verità anche quelli tra i figli di Levi, che assumono il
sacerdozio, hanno il mandato di riscuotere, secondo la legge,
la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, essi pure
discendenti da Abramo. 6 Egli invece, che non era della loro
stirpe, prese la decima da Abramo e benedisse colui che era
depositario della promessa. 7 Ora, senza alcun dubbio, è
l’inferiore che è benedetto dal superiore. 8 Inoltre, qui
riscuotono le decime uomini mortali; là invece uno di cui si
attesta che vive. 9 Anzi si può dire che lo stesso Levi, il
quale riceve le decime, in Abramo abbia versato la sua
decima: 10 egli infatti quando
gli venne incontro
Melchìsedek. si trovava ancora nei lombi del suo antenato.
11
Ora se si fosse realizzata la perfezione per mezzo
del sacerdozio levitico - sotto di esso il popolo ha ricevuto la
legge - che bisogno c’era che sorgesse un altro sacerdote
secondo l’ordine di Melchìsedek, e non invece secondo
l’ordine di Aronne? 12 Infatti, mutato il sacerdozio, avviene
necessariamente anche un mutamento della legge. 13 Colui
del quale si dice questo appartiene a un’altra tribù, della
quale nessuno mai fu addetto all’altare. 14 È noto infatti che
il Signore nostro è germogliato dalla tribù di Giuda, e di essa
Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio.
15
Ciò risulta ancor più evidente dal momento che
sorge, a somiglianza di Melchìsedek, un sacerdote
differente, 16 il quale non è diventato tale secondo una legge
prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita
indistruttibile. 17 Gli è resa infatti questa testimonianza:
Tu sei sacerdote per sempre secondo l’ordine di
Melchìsedek.
20
Si ha così l’abrogazione di un ordinamento
precedente a causa della sua debolezza e inutilità – 19 la
legge infatti non ha portato nulla alla perfezione - e si ha
invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla
quale noi ci avviciniamo a Dio.
18
20
Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli
infatti diventavano sacerdoti senza giuramento; 21 costui al
contrario con un giuramento di colui che gli dice:
Il Signore ha giurato e non si pentirà:
tu sei sacerdote per sempre.
Per questo, Gesù è diventato garante di un’alleanza
migliore.
22
23
Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran
numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo;
24 egli invece, poiché resta per sempre, possiede un
sacerdozio che non tramonta. 25 Perciò può salvare
perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a
Dio, egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.
26
Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva:
santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed
elevato sopra i cieli; 27 egli non ha bisogno come i sommi
sacerdoti di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri
peccati e poi per quelli del popolo, lo ha fatto una volta per
tutte, offrendo se stesso. 28 La legge infatti costituisce
sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza, ma la parola
del giuramento, posteriore alla legge, costituisce sacerdote il
Figlio reso perfetto per sempre.
vv. 1-19 : Questo capitolo si collega al quinto e i versi 1-19 sono
come un commento a Genesi 14 dove si parla di un misterioso re
e sacerdote che va incontro ad Abramo, dopo la vittoria di questi
sui re orientali. Poiché Abramo gli paga la decima ne riconosce la
superiorità. Abramo però è padre dei leviti ( i sacerdoti),perciò
l’autore di Ebrei ne deduce una superiorità del sacerdozio di
Melchisedek, sebbene questi non appartenga a stirpe sacerdotale.
Secondo il modo di pensare che soggiace alla lettera agli Ebrei
questo è importante per comprendere l’intuizione della fede
cristiana: il rapporto con Dio prefigurato o anticipato nelle
istituzioni liturgiche e sacerdotali dell’Antico Testamento si
compiono in Gesù. Questo è il dato reale espresso ora con gli
schemi cultuali del tempo.
vv. 20-22 : Si dice come Gesù è diventato sacerdote: Egli è
21
costituito sacerdote con la Resurrezione, per la quale è
riconosciuto come il Messia glorioso, di cui Melchisedek era
figura. A questo punto è introdotto un altro confronto,
precisamente con il salmo 110. Si tratta di un testo messianico che
l’autore applica a Gesù. Il sacerdozio di Melchisedek è l’immagine
del sacerdozio di colui che siede alla destra di Dio, il messia
glorioso che i cristiani riconoscono in Gesù, risuscitato da Dio dai
morti.
vv. 23-25 : I sacerdoti della stirpe levitica di Israele, come tutti gli
altri uomini morivano e dunque c’era bisogno di sostituirli. Gesù,
invece, risorgendo è il Vivente, è entrato nel mondo di Dio e non
muore più. Il suo sacerdozio, dunque, è unico e irripetibile; non
ha bisogno di continuare.
vv. 26-28: Il capitolo si chiude con un inno, ripreso secondo
alcuni esegeti dalla liturgia. L’autore afferma che Gesù non solo
può essere chiamato sacerdote a pieno titolo, ma la sua venuta
pone fine a tutte le anticipazioni realizzando la mediazione
definitiva per tutti gli uomini. Egli, senza peccato, è accreditato
presso Dio in quanto Figlio che ha vissuto l’obbedienza e la
fedeltà al Padre fino alla donazione di sé sulla croce. Questo è il
sacerdote di cui avevamo bisogno, perché può presentarsi a Dio
senza dover ricorrere a riti e senza doversi separare dal mondo
contaminato. Non ha offerto cose o preghiere, ma se stesso.
Questo sacerdozio, definitivo e irrevocabile, garantisce la
mediazione efficace per tutti i credenti.
22
Capitolo 8
1
Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è
questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che
si è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli, 2
ministro del santuario e della vera tenda che il Signore, e
non un uomo, ha costruito.
3
Ogni sommo sacerdote infatti viene costituito per
offrire doni e sacrifici: di qui la necessità che anche Gesù
abbia qualcosa da offrire. 4 Se egli fosse sulla terra, non
sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che
offrono i doni secondo la legge. 5Questi offrono un culto
che è immagine e ombra delle realtà celesti, secondo
quanto fu dichiarato da Dio a Mosè, quando stava per
costruire la Tenda: Guarda, disse, di fare ogni cosa
secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte.
6
Ora invece egli ha avuto un ministero tanto più
eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore,
perché è fondata su migliori promesse. 7 Se la prima
alleanza infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il
caso di stabilirne un’altra. 8 Dio infatti, biasimando il suo
popolo, dice:
Ecco vengono giorni, dice il Signore,
quando io concluderò un’alleanza nuova con la casa
d’Israele
e con la casa di Giuda.
9
Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri,
nel giorno in cui li presi per mano
per farli uscire dalla terra d’Egitto;
poiché essi non son rimasero fedeli alla mia
alleanza,
anch’io non ebbi più cura di loro, dice il Signore.
10
E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa
d’Israele
dopo quei giorni, dice il Signore:
23
porrò le mie leggi nella loro mente
e le imprimerò nei loro cuori;
sarò il loro Dio
ed essi saranno il mio popolo.
11
Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino,
né alcuno il proprio fratello, dicendo:
“Conosci il Signore!”
Tutti infatti mi conosceranno,
dal più piccolo al più grande di loro.
12
Perché io perdonerò le loro iniquità
e non mi ricorderò più dei loro peccati.
13
Dicendo però alleanza nuova, Dio ha dichiarato
antiquata la prima: ma ciò che diventa antico e invecchia, è
prossimo a sparire.
Con il capitolo 8 incomincia la parte centrale della lettera
agli Ebrei. Troviamo infatti il tema fondamentale: la perfezione
del sacerdozio di Cristo. L’autore stesso con i primi due
versetti richiama l’attenzione dell’ascoltatore perché il discorso
che si è svolto nella lettera è il punto centrale.
vv.1-2: Cristo è il sommo sacerdote che con il suo unico e
definitivo sacrificio ha donato all’umanità la Salvezza. Ora sta
alla destra di Dio, dove intercede come Signore per tutta
l’umanità. Cristo è la “vera tenda” è il luogo dell’incontro con
Dio. Nell’esperienza del popolo di Israele la tenda era il
santuario mobile che seguiva il popolo in cammino.
vv. 3-13: L’autore rileva la differenza fra il sacerdozio, il
sacrificio di Gesù e il rituale biblico. Gesù offrendo se stesso
con il sacrificio della croce, con la sua morte e Risurrezione ha
portato a compimento l’antica Alleanza. Il rituale giudaico è
stato superato dal sacrificio di Cristo. Infatti, mentre i sacrifici
di espiazione facevano riferimento ai peccati già commessi, il
sacrificio di alleanza compiuto da Gesù sacerdote inaugura un
accordo permanente valido per sempre.
24
Capitolo 9
1
Certo, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e
un santuario terreno. 2 Fu costruita infatti una Tenda: la
prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani
dell’offerta: essa veniva chiamata il Santo. 3 Dietro il
secondo velo poi c’era la Tenda, chiamata Santo dei Santi,
con 4 l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta
ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro
contenente la manna, la verga di Aronne, che era fiorita, e le
tavole dell’alleanza. 5 E sopra l’arca stavano i cherubini
della gloria, che stendevano la loro ombra sul propiziatorio.
Di queste cose non è necessario ora parlare nei particolari.
6
Disposte in tal modo le cose, nella prima Tenda entrano i
sacerdoti per celebrare il culto; 7 nella seconda invece entra
solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno, e non
senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per
quanto commesso dal popolo per ignoranza. 8 Lo Spirito
Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora
manifestata la via del santuario, finché restava la prima
Tenda. 9 Essa infatti è figura del tempo presente, e secondo
essa vengono offerti i doni e sacrifici che non possono
rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre; 10 si
tratta soltanto di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte
prescrizioni carnali, valide fino al tempo in cui sarebbero
state riformate.
11
Cristo invece è venuto come sommo sacerdote dei beni
futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non
costruita da mano di uomo, cioè non appartenente a questa
creazione. 12 Egli entrò una volta per sempre nel santuario,
non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del
proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. 13
Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una
giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, li
santificano, purificandoli nella carne, 14 quanto più il sangue
di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se
stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza
dalla opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?
15
Per questo egli è mediatore di una alleanza nuova, perché,
essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle
trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che
sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che è era stata
promessa. 16 Ora dove c’è un testamento, è necessario che la
morte del testatore sia dichiarata, 17 perché un testamento ha
valore solo dopo la morte e rimane senza effetto finché il
25
testatore vive. 18 Per questo neanche la prima alleanza fu
inaugurata senza sangue. 19 Infatti dopo che tutti i
comandamenti furono promulgati a tutto il popolo da Mosè,
secondo la legge, questi, preso il sangue dei vitelli e dei
capri con acqua, lana scarlatta e issòpo, asperse il libro
stesso e tutto il popolo, 20 dicendo: Questo è il sangue
dell’alleanza che Dio ha stabilito per voi. 21 Alla stessa
maniera con il sangue asperse anche la Tenda e tutti gli
arredi del culto. 22 Secondo la legge, infatti, quasi tutte le
cose vengono purificate con il sangue e senza spargimento
di sangue non esiste perdono.
23
Era dunque necessario che le cose raffiguranti le realtà
celesti fossero purificati con tali mezzi; ma le stesse realtà
celesti, poi, dovevano esserlo con sacrifici superiori a questi.
24 Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani
d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per
comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore, 25 e non
deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote
che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui. 26 In
questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe
dovuto soffrire più volte. Invece ora, una volta sola, nella
pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato
mediante il sacrificio di se stesso. 27 E come per gli uomini è
stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il
giudizio, 28 così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta
per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta,
senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che
l’aspettano per la loro salvezza.
Nel capitolo 9 l’autore descrive il tema della Nuova
Alleanza a partire dal confronto con L’Antica Alleanza. Questa
prevedeva un rituale, ormai superato, dall’offerta di se stesso fatta
da Gesù Cristo con cui Dio ha stabilito una Nuova Alleanza.
vv. 1-3: con questi versetti viene descritto il santuario giudaico
suddiviso in due parti. Una definita il “Santo ” in cui entravano i
sacerdoti, e l’altra il “Santo dei Santi” il cui acceso era permesso
solo al sommo sacerdote una volta l’anno nel giorno
dell’Espiazione.
vv. 6-7: Nel giorno dell’Espiazione il Sommo Sacerdote entrava
nel “Santo dei Santi” e versava il sangue di animali offerti in
sacrificio per ottenere il perdono dei peccati e rinnovare così
l’Alleanza stabilita con Mosé.
vv. 8-10: L’antico culto era esteriore, materiale, transitorio, Dio in
Gesù propone una legge eterna posta nel cuore dell’uomo.
26
vv. 11-12: Il sacerdozio di Cristo non si è concretizzato in offerte
simboliche ma nell’offerta di se stesso fino alla morte in croce
accettata per amore. Il sangue di Gesù è espressione di un amore
capace di purificare l’uomo e di ricongiungerlo con Dio.
vv. 13-14: Il sacrificio di se stesso di Gesù Cristo non si limita ad
ottenere una purificazione esteriore,perché, libera la coscienza
dell’uomo dal peccato e lo rende capace di un incontro nuovo con
Dio e con gli altri.
vv. 15-17: Cristo ha realizzato la promessa della Salvezza di Dio.
La sua morte è il testamento a favore degli uomini che non può
più essere modificato.
vv. 26-28: Mentre il sacrificio ebraico doveva essere ripetuto ogni
anno, il sacrificio di cristo offerto una sola volta, elimina
definitivamente il peccato. Come la morte è un evento irripetibile,
così il sacrificio di Cristo non ha bisogno di essere ripetuto,
essendo efficace per sempre.
27
Capitolo 10
legge infatti poiché possiede soltanto un’ombra dei beni
futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha mai il potere
di condurre alla perfezione, per mezzo di sacrifici – sempre
uguali, che si continuano ad offrire di anno in anno – coloro
che si accostano a Dio. 2 Altrimenti, non si sarebbe forse
cessato di offrirli, dal momento che gli offerenti, purificati
una volta per tutte, non avrebbero più alcuna coscienza dei
peccati? 3 Invece in quei sacrifici si rinnova di anno in anno
il ricordo dei peccati. 4 È impossibile infatti che il sangue di
tori e di capri elimini i peccati. 5 Per questo, entrando nel
mondo, Cristo dice:
1 La
Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
6 Non
hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
7 Allora ho
detto: “Ecco, io vengo
- poiché di me sta scritto nel rotolo del libro per fare, o Dio, la tua volontà”.
8
Dopo aver detto: tu non hai voluto e non hai gradito né
sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato,
cose che vengono offerte secondo la legge, 9 soggiunge:
Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Così egli abolisce il
primo sacrificio per costituire quello nuovo. 10 Mediante
quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta
del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.
11 Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il
culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non
possono mai eliminare i peccati. 12 Cristo, invece, avendo
offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre
alla destra di Dio, 13 aspettando ormai che i suoi nemici
vengano posti a sgabello dei suoi piedi. 14 Infatti, con
un’unica offerta, egli ha reso perfetti per sempre quelli che
vengono santificati. 15 A noi lo testimonia anche lo Spirito
Santo. Infatti, dopo aver detto:
16
Questa è l’alleanza che io stipulerò con loro
dopo quei giorni, dice il Signore:
28
io porrò le mie leggi nei loro cuori
e le imprimerò nella loro mente,
17
dice:
E non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro
iniquità.
Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più
offerta per il peccato.
18
19
Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel
santuario per mezzo del sangue di Gesù, 20 via nuova e
vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè
la sua carne. 21 e poiché abbiamo un sacerdote grande nella
casa di Dio, 22 accostiamoci con cuore sincero, nella
pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva
coscienza e il corpo lavato con acqua pura. 23 Manteniamo
senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è
degno di fede colui che ha promesso.
24
Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a
vicenda nella carità e nelle opere buone. 25 Non disertiamo
le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma
esortiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il
giorno del Signore.
26
Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto
la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio
per i peccati, 27 ma soltanto una terribile attesa del giudizio
e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli. 28
Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a
morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. 29 Di
quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato
meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto
profano quel sangue dell’alleanza, dal quale è stato
santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? 30
Conosciamo infatti colui che ha detto: A me la vendetta! Io
darò la retribuzione! E ancora: Il Signore giudicherà il suo
popolo. 31 È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!
32
Richiamate alla memoria quei primi giorni nei quali, dopo
aver ricevuto la luce di Cristo, avete dovuto sopportare una
lotta grande e penosa, 33 ora esposti pubblicamente a insulti
e persecuzioni, ora facendovi solidali con coloro che
venivano trattati in questo modo. 34 Infatti avete preso parte
alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di
essere derubati delle vostre sostanze, sapendo di possedere
29
beni migliori e duraturi. 35 Non abbandonate dunque la
vostra franchezza, alla quale è riservata una grande
ricompensa. 36 Avete solo bisogno di perseveranza, perché,
fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso.
37
Ancora un poco, infatti, un poco appena,
e colui che deve venire, verrà e non tarderà.
38
Il mio giusto per fede vivrà;
ma se cede, non porrà in lui il mio amore.
39
Noi però non siamo di quelli che cedono, per la propria
rovina, ma uomini di fede per la salvezza della nostra anima.
Il sacrificio di Cristo è più importante dei sacrifici offerti
nell’Antica Alleanza, ha un efficacia salvifica universale e
definitiva. I sacrifici prescritti dalla legge, infatti, non purificavano
la coscienza, e non permettevano l’accesso a Dio. A questi, Cristo
accogliendo la volontà del Padre e obbedendo ad essa, ha
sostituito l’unico sacrificio che santifica tutti.
vv. 1-4: La legge mosaica prefigurava soltanto la realtà inaugurata
dal Cristo glorificato. Cristo permette all’uomo di incontrare Dio,
infatti con il dono di se stesso, ha dato una nuova legge che
consiste solo nell’amare.
vv. 5-7: Tutta l’esistenza storica di Gesù viene riletta alla luce della
sua obbedienza umile alla volontà del Padre.
vv. 8-10: Viene applicato a Gesù il Salmo 40, invece, di sacrifici e
offerte materiali, Gesù offre se stesso, permettendo la
santificazione dell’uomo.
vv. 19-25: Gesù con il suo sacrificio ha aperto agli uomini la via al
santuario celeste, nella sua stessa persona ogni uomo può
accedere a Dio. Così come il Sommo Sacerdote per entrare nel
“santo dei Santi” doveva passare attraverso un velo, ora Cristo
Risorto è il nuovo “velo” , la via per entrare nel mondo di Dio. Su
questa nuova realtà si fonda l’esortazione dell’autore a mantenere
una fede piena, a purificare il cuore, a una speranza inconcussa,
all’imitazione nella carità. In Gesù si può incontrare veramente
Dio se viviamo nella fede in lui, percorrendo la strada che lui ha
percorso. In Gesù si fonda la speranza della Salvezza che deve
essere proclamata pubblicamente, infatti, Gesù si è impegnato per
l’uomo in maniera definitiva. Sull’esempio di Gesù il cristiano
deve vivere la carità.
vv. 26-39: Il cristiano che si impegna nell’adesione a Cristo, sa
30
che non può vivere in maniera superficiale la fede. Non si deve
disperare del perdono di Cristo, ma neanche, prendere alla leggera
la fede, su cui si fonda la salvezza o la morte di ogni uomo.
vv. 32-36: La fede può essere esposta a diversi momenti di
infedeltà, di titubanza e di dubbio. Di fronte a queste prove
bisogna coltivare la perseveranza perché, con Gesù Risorto i
cristiani sono giunti alle soglie della Salvezza.
vv. 38-39: La fede viene intesa come perseveranza nella fedeltà a
Cristo.
31
Capitolo 11
1
La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che
non si vede. 2 Per questa fede i nostri antenati sono stati
approvati da Dio.
3
Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla
parola di Dio, sì che dall’invisibile ha preso origine il mondo
visibile.
4
Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello
di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, avendo Dio
atetstato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla
ancora.
5
Per fede Enoch fu portato via, in modo da non vedere la
morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato
via. Infatti prima di essere portato altrove, egli fu dichiarato
persona gradita a Dio. 6Senza la fede però è impossibile
essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve credere
che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano.
7
Per fede, Noè, avvertito di cose che ancora non si
vedevano, preso da sacro timore, costruì un’arca per la
salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il
mondo e ricevette in eredità la giustizia secondo la fede.
8
Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un
luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere
dove andava.
9
Per fede egli soggiornò nella terra promessa come in una
regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco
e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. 10 Egli
aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui
architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la
possibilità di diventare madre perché ritenne degno di fede
colui che glielo aveva promesso. 12 Per questo da un uomo
solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una
discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la
sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può
contare.
11
13
Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i
beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano,
32
dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. 14
Chi parla così mostra di essere alla ricerca di una patria. 15
Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero
avuto la possibilità di ritornarvi; 16 ora invece essi aspirano
a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio
non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato
infatti per loro una città.
17
Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio
lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito
figlio, 18 del quale era stato detto: mediante Isacco avrai una
tua discendenza. 19 Egli pensava infatti che Dio è capace di
far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche
come un simbolo.
20Per
fede Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche in vista
di beni futuri.
21
Per fede Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli
di Giuseppe e si prostrò, appoggiandosi sull’estremità del
bastone.
22
Per fede Giuseppe, alla fine della vita, si ricordò
dell’esodo dei figli d’Israele e diede disposizioni circa le
proprie ossa.
23
Per fede Mosè, appena nato, fu tenuto nascosto tre mesi
dai suoi genitori, perché videro che il bambino era bello; e
non ebbero paura dell’editto del re.
24
Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di esser chiamato
figlio della figlia del faraone, 25 preferendo essere
maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere
momentaneamente del peccato. 26 Egli stimava ricchezza
maggiore dei tesori d’Egitto l’essere disprezzato per Cristo;
aveva infatti lo sguardo fisso sulla ricompensa.
Per fede lasciò l’Egitto, senza temere l’ira del re; rimase
infatti saldo, come se vedesse l’invisibile.
27
fede egli celebrò la pasqua e fece l’aspersione del
sangue, perché colui che sterminava i primogeniti non
toccasse quelli degli Israeliti.
28Per
29
Per fede essi passarono il Mare Rosso come fosse terra
asciutta; quando gli Egiziani tentarono di farlo vi furono
inghiottiti.
30
Per fede caddero le mura di Gerico, dopo che ne avevano
fatto il giro per sette giorni.
33
Per fede Raab, la prostituta, non perì con gl’increduli,
perché aveva accolto con benevolenza gli esploratori.
31
32
E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi
narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di
Davide, di Samuele e dei profeti, 33 per fede essi
conquistarono regni, esercitarono la giustizia, ottennero ciò
che era stato promesso, chiusero le fauci dei leoni, 34
spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della
spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti
in guerra, respinsero invasioni di stranieri. 35 Alcune donne
riebbero, i loro morti. Altri poi furono torturati, non
accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una
migliore risurrezione. 36 Altri, infine, subirono insulti e
flagelli, catene e prigionia. 37 Furono lapidati, torturati,
tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in giro
coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati,
maltrattati – 38 di loro il mondo non era degno! -, vaganti per
i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra.
39
Tutti costoro, pur essendo stati approvati a causa della
loro fede, non ottennero ciò che era stato loro promesso. 40
Dio infatti per noi aveva predisposto qualcosa di meglio,
perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.
La vita cristiana si fonda sulla fede, la speranza e la carità.
La fede che significa , per l’autore della Lettera agli Ebrei, vivere
secondo l’esempio di Cristo è oggetto di trattazione del cap. 11 e
in parte, del cap. 12. Presentando la fede “perseverante” dei Padri,
dei Profeti, l’autore mostra che essa consiste nel vivere una
relazione vitale con Dio, nella concretezza della vita quotidiana.
vv. 1: La fede in Gesù Cristo che insatura una relazione con il
Figlio di Dio permette al cristiano di sperare anche oltre i limiti e i
fatti che spesso possono smentire la speranza definitiva della
Salvezza operata da Cristo.
vv. 3-7: La fede dei Padri ci è di esempio, questi infatti hanno
vissuto una relazione autentica e concreta, con Dio nonostante le
prove a cui è stata spesso sottoposta la loro fede.
vv. 8-19: La storia di Abramo è messa in primo piano come
simbolo del cammino di fede di ogni cristiano. Abramo partì
verso la “terra promessa” con la fiducia di incamminarsi verso la
città celeste il cui architetto è Dio.
Nel sacrificio di Isacco, l’autore vede prefigurato il sacrificio di
Cristo.
vv. 23-29: La vicenda di Mosè è considerata in una prospettiva
34
cristologica, la croce, “l’obbrobrio” di Cristo ne diviene quindi, la
chiave di lettura.
vv. 31-38: La vita di fede non è riservata solo ad alcuni iniziati, ma
può essere vissuta da tutti, nonostante le prove che la vita
quotidiana può presentare.
vv. 39-40: La fede degli uomini di cui l’autore ha parlato mostra
che “tutti costoro” non hanno ricevuto la Salvezza in cambio di
molte tribolazioni, ma , solo la promessa della Salvezza che si
sarebbe realizzata nella Risurrezione di Cristo.
35
Capitolo 12
1
Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di
testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato
che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci
sta davanti, 2 tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà
origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla
gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce,
disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di
Dio. 3 Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro
di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi
stanchiate perdendovi d’animo. 4 Non avete ancora resistito
fino al sangue nella lotta contro il peccato 5 e avete già
dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
6
perché il Signore corregge colui che egli ama
e perquote chiunque riconosce come figlio.
7
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi
tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal
padre? 8 Se invece non subite correzione, mentre tutti ne
hanno avuto la loro parte, siete illegittimi, non figli! 9 Del
resto, noi abbiamo avuto come educatori i nostri padri
tererni e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo perciò
molto di più al Padre celeste, per avere la vita? 10 Costoro
infatti ci correggevano per pochi giorni, come sembrava
loro; Dio invece lo fa per il nostro bene, allo scopo di
renderci partecipi della sua santità. 11 Certo sul momento,
ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza;
dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che
per suo mezzo sono stati addestrati.
12
Perciò rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche 13
e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che
zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire. 14
Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale
nessuno vedrà mai il Signore, 15 vigilate perché nessuno si
privi della grazia di Dio. Non spunti né cresca in mezzo a
voi alcuna radice velenosa, che provochi danni e molti ne
siano contagiati. 16 Non vi sia nessun fornicatore o
profanatore, come Esaù, che in cambio di una sola pietanza
36
vendette la sua primogenitura. 17 E voi ben sapete che in
seguito, quando volle ereditare la benedizione, fu respinto,
non trovò infatti spazio per un cambiamento sebbene glielo
richiedesse con lacrime.
18
Voi infatti non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile
né a un fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta, 19
né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che
lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la
parola; 20 non potevano infatti sopportare questo ordine: Se
anche una bestia toccherà il monte sia lapidata. 21 Lo
spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho
paura e tremo. 22 Voi invece vi siete accostati al monte Sion,
alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a
migliaia di angeli, all’adunanza festosa 23 e all’assemblea
dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio
giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, 24 a Gesù
Mediatore della Alleanza Nuova e al sangue purificatore che
è più eloquente di quello di Abele.
25
Perciò guardatevi bene dal rifiutare Colui che parla,
perché, se quelli non trovarono scampo per aver rifiutato
colui che proferiva oracoli sulla terra, a maggior ragione non
troveremo scampo noi, se volteremo le spalle a Colui che
parla dai cieli. 26 La sua voce un giorno scosse la terra;
adesso invece ha fatto questa promessa: Ancora una volta io
scuoterò non solo la terra, ma anche il cielo. 27 Quando dice
ancora una volta vuole indicare che le cose scosse, in quanto
create sono destinate a passare, mentre rimarranno intatte
quelle che non subiscono scosse.
28
Perciò noi, che possediamo un regno incrollabile,
conserviamo questa grazia mediante la quale rendiamo culto
in maniera gradita a Dio, con riverenza e timore; 29 perché il
nostro Dio è un fuoco divoratore.
L’autore ha dimostrato che la vita di fede si colloca
all’interno di una storia, in cui Dio ha portato a compimento la
promessa di un futuro di salvezza e risurrezione.
vv. 1-3: Il cristiano avendo come capo e guida Gesù Cristo, che
ha affrontato l’ignominia della croce, non deve scoraggiarsi di
fronte alle prove a cui la vita sottopone la fede.
vv. 4-13: l’autore rivolgendosi direttamente agli ascoltatori, li
vuole aiutare a capire che le prove e le sofferenze possono avere
una funzione “ pedagogica”. Infatti ogni padre che ama i propri
figli cerca di correggere in ogni modo la loro condotta.
37
Nella pedagogia ebraica le pene fisiche erano utilizzate
nell’educazione familiare. Per questo l’autore interpreta le prove e
le sofferenze della vita come segno che Dio sta educando il suo
popolo.
vv. 14-16: La scelta di fede, implica una prassi di vita improntata
all’amore, all’impegno nella giustizia nel rapporto con gli altri e
nella fedeltà nella relazione con Dio.
vv. 17: Esaù è l’esempio di tutti gli apostati dell’Antico
testamento, l’autore quindi, esorta a non comportarsi come lui. Il
rifiuto della grazia di Dio può compromettere il proprio destino
di Salvezza.
vv. 18-24: I cristiani costituiscono la nuova “assemblea” il nuovo
popolo di Dio. Si pone a confronto la convocazione santa
dell’Esodo e la nuova realtà della chiesa costituita dal Cristo
Risorto.
L’esperienza cristiana è vissuta all’insegna della fiducia e non della
paura, conduce all’incontro diretto con Dio, in Gesù Cristo, in un
clima di gioia e di comunione festosa.
vv. 25-27: Al dono della Salvezza deve corrispondere un impegno
di coerenza e perseveranza nella fede.
vv. 28-29: In Gesù si è avuta la manifestazione piena e definitiva
di Dio, del suo amore per ogni uomo. I cristiani sanno che non
devono aspettare più nulla. Convocati nella Chiesa devono restare
fedeli al programma cristiano.
38
Capitolo 13
L’amore fraterno resti saldo. 2Non dimenticate l’ospitalità;
alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli
angeli. 3 Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro
compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, perché
anche voi avete un corpo. 4 Il matrimonio sia rispettato da
tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornicatori e gli
adulteri saranno giudicati da Dio.
1
5
La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi
di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: Non ti
lascerò e non ti abbandonerò. 6 Così possiamo dire con
fiducia:
Il Signore è il mio aiuto, non avrà paura.
Che cosa può farmi l’uomo?
7
Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la
parola di Dio; considerando attentamente l’esito finale della
loro vita, imitatene la fede. 8 Gesù Cristo è lo stesso ieri,
oggi e per sempre! 9 Non lasciatevi sviare da dottrine varie
ed estranee, perché è bene che il cuore venga sostenuto dalla
grazia e non da cibi che non hanno mai recato giovamento a
coloro che ne fanno uso. 10 Noi abbiamo un altare le cui
offerte non possono essere mangiare da quelli che prestano
servizio nel Tempio. 11 Infatti i corpi degli animali, il cui
sangue vien portato nel santuario dal sommo sacerdote per
l’espiazione, vengono bruciati fuori dell’accampamento. 12
Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio
sangue, subì la passione fuori della porta della città. 13
Usciamo dunque verso di lui fuori dell’accampamento,
portando il suo disonore: non abbiamo quaggiù una città
stabile, ma andiamo in cerca di quella futura. 15 Per mezzo
di lui dunque offriamo a Dio continuamente un sacrificio di
lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome.
16
Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione
dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace.
17 Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi
vegliano su di voi e devono renderne conto; affinché lo
facciano con gioia e non lamentandosi. Ciò non di vantaggio
per voi.
18
Pregate per noi; crediamo infatti di avere una buona
39
coscienza, desiderando di comportarci bene in tutto. 19 Con
maggiore insistenza poi vi esorto a farlo, perché io vi sia
restituito al più presto.
20
Il Dio della pace che ha ricondotto dai morti il Pastore
grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza
eterna, il Signore nostro Gesù, 21 vi renda perfetti in ogni
bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in
voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale
sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
22
Vi esorto fratelli, accogliete questa parola di
esortazione; proprio per questo vi ho scritto brevemente. 23
Sappiate che il nostro fratello Timòteo è stato rilasciato; se
arriva abbastanza presto, vi vedrò insieme a lui. 24 Salutate
tutti i vostri capi e tutti i santi. Vi salutano quelli dell’Italia.
La grazia sia con tutti voi.
Il capitolo 13 si può considerare come una specie di piccolo
catechismo dei doveri. L’autore sottolinea che il culto cristiano si
attua nella duplice forma dell’amore a Dio e al prossimo.
vv. 1-3: l’amore cristiano si distingue dall’amore filantropico, o da
una solidarietà dettata da interessi di parte. Il termine che viene
usato, filadelfia (amore per i fratelli) corrisponde al significato
dell’amore agapico, l’amore oblativo.
vv. 4-6: nella relazione matrimoniale, l’autore invita gli ascoltatori
alla fedeltà perché i convocati nella chiesa vivono la fedeltà a Dio
e non possono contraddirsi con la condotta di vita. In relazione
dell’uso dei beni si devono evitare l’ avarizia e la cupidigia che
spingono all’accumulo. Fondarsi su ”mammona”, significa
rinnegare il proprio rapporto di fiducia con Dio e affidarsi
all’idolo della ricchezza.
v. 7: la vita comunitaria è affidata alla guida di “capi”, responsabili
della comunità che hanno il compito di annunziare la Parola di
Dio e di testimoniarla con la vita.
v. 9: la fede è relazione con Dio non è basta su pratiche materiali
come la ritualità ebraica. L’autore ricorda che la fede va vissuta
nella vita, e può dare un significato nuovo a tutte le situazioni,
come la malattia, la sofferenza, i conflitti.
vv. 10-12: al posto del sangue delle vittime sacrificate, Gesù ha
sacrificato se stesso, realizzando ciò di cui i riti ebraici erano una
prefigurazione. Gesù è stato messo a morte e crocifisso fuori delle
porte di Gerusalemme, portando a compimento e nello stesso
tempo rendendo superati per sempre gli antichi riti.
40
vv. 13-17: il culto cristiano non consiste nell’offerta di cose o
sacrifici, ma nel proclamare che Dio è l’unico Signore, che si è
manifestato in Gesù e nel vivere nell’amore reciproco con i
fratelli. Le guide della comunità non devono agire da padroni o
secondo il proprio arbitrio, perché devono rendere conto a Dio
del loro operato.
41