Firenze - 2 aprile 2004 Polo Scientifico Sesto Fiorentino Seminari Fisica-Filosofia Correlazioni quantistiche: dal “paradosso” EPR alle disuguaglianze di Bell Giulio Peruzzi Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali Università di Padova 1. A NTEFATTO. DALLA VECCHIA TEORIA DEI QUANTI ALLA MECCANICA QUANTISTICA . I L DIBATTITO E INSTEIN -B OHR . 2. L’ ARTICOLO DI E INSTEIN , P ODOLSKY E R OSEN , LA SUA RICEZIONE E LE SUCCESSIVE RIFORMULAZIONI . 3. S ONO POSSIBILI TEORIE A VARIABILI NASCOSTE ? DAL TEOREMA DI IMPOSSIBILITÀ DI VON N EUMANN AL CONTROESEMPIO DI B OHM . 4. L E DISUGUAGLIANZE DI B ELL 5. V ERIFICHE SPERIMENTALI 6. C ONCLUSIONI ? 1 A NTEFATTO. DALLA VECCHIA TEORIA DEI QUANTI ALLA MECCANICA QUAN TISTICA . I L DIBATTITO E INSTEIN -B OHR . 2 Dall’introduzione dell’ipotesi di quantizzazione dell’energia da parte di Planck (1900) alla proposta della meccanica quantistica (Heisenberg, 1925 e Schrödinger, 1926) passano circa venticinque anni. La teoria quantistica che si sviluppa in quel periodo viene solitamente chiamata “vecchia teoria dei quanti”. Nonostante le basi teoriche fossero ancora incerte, utilizzando la vecchia teoria dei quanti gli scienziati ottennero notevoli risultati: la soluzione del problema della radiazione nera o del corpo nero (Planck); la spiegazione dell’effetto fotoelettrico (Einstein, nel 1905); le prime teorie quantistiche dei calori specifici [Einstein, nel 1907, Peter Debye , nel 1912, Max Born e Theodor von Kárman, nel 1912]; l’atomo di Niels Bohr (1913) con i suoi successivi affinamenti introdotti, tra il 1915 e il 1916, da Bohr e da Arnold Sommerfeld, e la spiegazione della tavola periodica degli elementi (Bohr, 1922); introduzione della statistica di Bose-Einstein (1924) e principio di esclusione di Pauli (gennaio 1925). 3 Parallelamente agli sviluppi teorici si evidenziano i primi problemi interpretativi della nuova teoria, primo fra tutti quella della causalità (determinismo): Rutherford (lettera a Bohr del 1913): “Colgo all’apparenza una grave difficoltà nella tua ipotesi che non dubito tu abbia ben presente, e cioè come fa un elettrone a decidere con quale frequenza sta vibrando e quando passa da uno stato all’altro? Mi sembra che avresti dovuto assumere che l’elettrone conosca prima dove sta andando a fermarsi.” [La questione è connessa con la nozione di vita media introdotta da Rutherford nel 1900, ma da lui mai menzionata in questo contesto.] Una volta introdotto il momento del fotone (quindi anche la sua direzionalità) Einstein si domanda “come fa il fotone a sapere in quale direzione muoversi?”. “Il fatto di affidare al caso l’istante e la direzione dei processi elementari” è “un punto debole della teoria”, “Che cosa determina l’istante in cui il fotone viene emesso spontaneamente? Che cosa decide in quale direzione andrà?”. Ancora Einstein in una lettera a Besso del 1917 “Sento che finora il vero indovinello di cui l’eterno inventore di enigmi ci ha fatto dono non è stato affatto compreso”. E a Born nel 1920 “La faccenda della causalità tormenta molto anche me. L’assorbimento e l’emissione di quanti di luce possono essere intesi nel senso richiesto da una causalità assoluta, o esiste uno scarto statistico? Devo confessare che mi manca il coraggio di una convinzione; tuttavia mi dispiacerebbe moltissimo dover rinunciare alla causalità assoluta”. 4 L’avvento della meccanica quantistica è segnato da un acceso di battito sulla sua interpretazione. Negli articoli che delineano la nuova teoria sono contenuti punti di vista interpretativi fortemente contrastanti. [Heisenberg] È ben noto che le regole formali che sono usate nella teoria quantistica per calcolare quantità osservabili come l’energia dell’atomo di idrogeno possono essere severamente criticate in base al fatto che contengono, come elementi fondamentali, relazioni tra quantità che sono apparentemente inosservabili in linea di principio, come per esempio la posizione o il periodo di rivoluzione di un elettrone. [...] Sembra più ragionevole tentare di stabilire una meccanica quantistica teorica, analoga alla meccanica classica, ma nella quale si trovino solo relazioni tra quantità osservabili. Si possono considerare la condizione sulle frequenze e la teoria della diffusione di Kramers, unitamente alle sue estensioni in articoli recenti, come i più importanti primi passi verso una tale meccanica quantistica teorica”. (Heisenberg, 1925) Il genere di “positivismo” che emerge dal ’manifesto’ di Heisenberg riemergerà a più riprese nella storia della teoria dei campi quantistici (matrice S e ripresa delle relazioni di dispersione negli anni ’50) e contraddistinguerà la posizione di Heisenberg. 5 Subito prima della serie di articoli su Quantizzazione come problema degli autovalori, Schrödinger manda (dicembre 1925) al Physikalische Zeitschrift l’articolo Sulla teoria del gas di Einstein di grande rilevanza per comprendere la genesi della teoria. In esso si legge: Ci si può aspettare di ottenere una più profonda comprensione dell’essenza della nuova teoria [la statitistica di Bose-Einstein] se si tiene ferma la validità dei vecchi metodi statistici [...] e si operano cambiamenti nei fondamenti nel punto dove possono essere fatti senza ‘sacrificium intellectus’.” La teoria di Einstein del gas si ottiene applicando alle molecole del gas la statistica che porta alla legge di Planck se applicata agli atomi di luce. Si può però ottenere la legge di Planck applicando la statistica usuale agli ‘oscillatori eterei’, cioè ai gradi di libertà della radiazione. I fotoni appaiono allora come livelli energetici degli oscillatori eterei. Si può ottenere la statistica di Bose scambiando il ruolo dei concetti: ‘la varietà (manifold) degli stati di energia’ e ‘la varietà dei portatori di questi stati’. Basta quindi raffigurarsi il gas come una radiazione in una cavità che non corrisponde all’estrema rappresentazione tramite quanti di luce; la statistica naturale condurrà alla teoria del gas di Einstein. “Questo non significa altro che prendere seriamente la teoria ondulatoria di particelle in moto di de Broglie-Einstein, secondo la quale le particelle non sono nulla di più che un tipo di ‘cresta d’onda’ su uno sfondo di onde. E non è un caso che Schrödinger in un primo tempo proponga una interpretazione realistica della : le onde sono l’unica realtà mentre le particelle sono entità derivate. 6 Stesso dicasi per il lavoro di Born (25 giugno 1926), On the quantum mechanics of collision processes (l’interpretazione statistica della ). £ d misura la probabilità della particella di trovarsi nell’elemento spaziale In generale d . Quindi la meccanica ondulatoria non dà una risposta alla domanda: Qual è precisamente lo stato dopo la collisione?; essa può rispondere solo alla domanda: Qual è la probabilità di uno stato definito dopo la collisione?. “Il moto delle particelle - afferma Born in questo primo lavoro - si conforma alle leggi della probabilità, ma la probabilità stessa si propaga secondo le leggi della causalità”. Il risultato di Born, come lui stesso dirà in seguito, è influenzato da idee di Einstein. In alcune riflessioni generali nei primi anni Venti [non pubblicate], Einstein aveva delineato una sua concezione delle relazioni tra onde del campo elettromagnetico e quanti di luce. Esso considera il campo ondulatorio come una sorta di “campo fantasma” (ghost o phantom field, Gespensterfeld), le cui onde guidano le particelle fotoniche sui loro cammini, nel senso che il quadrato dell’ampiezza dell’onda determina la probabilità di presenza dei fotoni (o della loro densità). 7 Ma la questione interpretativa riceverà un particolare impulso dopo il marzo 1927 qundo Heisenberg pubblica l’articolo con le relazioni di indeterminazione. (1) Sono le relazioni di indeterminazione che costituiscono la base del noto il principio di complementarietà enunciato da Bohr, e il cosiddetto dibattito tra Einstein e Bohr verterà proprio nei tentativi di Einstein di trovare un controesempio alle relazioni di indeterminazione (dimostrando così l’inconsistenza della teoria) e nelle successive risposte di Bohr che dimostrano che la teoria è consistente. 8 [Congresso di Como, settembre 1927] “La nostra interpretazione dei dati sperimentali si basa essenzialmente sui concetti classici: per questo ci poniamo il problema se un elettrone sia un’onda o un corpuscolo. Nel caso classico, la relazione tra oggetto osservato e strumento di misura può, in linea di principio essere controllata perfettamente, e quindi se l’elettrone è un corpuscolo non è un’onda, e viceversa: in altre parole il fisico classico può dedurre dal risultato della misura che una delle due descrizioni è errata. Nel caso quantistico, dato che una realtà indipendente nel senso fisico usuale [classico] del termine non può essere attribuita né al fenomeno né agli strumenti di misura, si deduce che l’elettrone è un’onda o un corpuscolo a seconda dello strumento di misura usato. Quindi, per evitare i presunti paradossi legati al dualismo onda-corpuscolo, bisogna considerare il nuovo nesso che la teoria quantistica introduce tra oggetto e strumento.” Questa situazione è chiamata da Bohr complementarità: “La natura stessa della teoria dei quanti ci obbliga a considerare il coordinamento spaziotemporale [proprio dei corpuscoli] e l’enunciato di causalità [delle onde], l’unione dei quali caratterizza le teorie classiche, come aspetti complementari, ma mutuamente esclusivi della descrizione, rappresentazioni complementari dei fenomeni che solo considerati insieme offrono una generalizzazione naturale del modo classico di descrivere le cose”. 9 I momenti salienti del dibattito: 1 il V Congresso Solvay (24-29 ottobre 1927, su “elettroni e fotoni”, presenti tra gli altri Planck, Einstein, Bohr, Heisenberg, Schrödinger, Dirac, de Broglie, Kramers, Pauli, Eherenfest); 2 il VI Congresso Solvay (20-25 ottobre 1930, sul magnetismo); 3 pubblicazione dell’articolo di Einstein, Podolsky e Rosen, Can QuantumMechanical Description of Physical Reality Be Considered Complete, Phys. Rev. 47 (1935), pp. 777-780, la risposta di Bohr in un articolo con lo stesso titolo che compare sul Phys. Rev. 48 (1935), pp. 696-702. [cf. P. Schilpp, Albert Einstein: philosopher scientist, 1949, tr. it. Boringhieri 1958 e ancora nel 1979 con il titolo “Autobiografia Scientifica”] 10 L’ ARTICOLO DI E INSTEIN , P ODOLSKY E R OSEN , LA SUA RICEZIONE E LE SUCCESSIVE RIFORMULAZIONI . 11 Ammettiamo che la teoria sia consistente, ma è anche completa? Quali sono le condizioni che definiscono la completezza di una teoria? Perché una teoria sia completa ogni elemento di realtà fisica deve avere una controparte nella teoria. Quali sono gli elementi di realtà fisica? Se, senza disturbare in alcun modo un sistema, è possibile predire con certezza (cioè con probabilità uguale a 1) il valore di una quantità fisica, allora esiste un elemento di realtà fisica corrispondente a questa quantità fisica [il sistema possiede oggettivamente la relativa proprietà]. 12 EPR – Consideriamo il seguente esempio. Due particelle, le cui variabili coniugate di moto e di posizione sono rispettivamente ½ ½ e ¾ ¾, si trovano in uno stato iniziale di quantità di moto totale definita ½ ¾ e di distanza relativa definita ½ ¾ ( , quindi è possibile misurarli simultaneamente). Dopo l’interazione iniziale si lasci andare le particelle ognuna per suo conto e dopo un sufficiente lasso di tempo si compiano osservazioni sulla particella : misurando ½ si conoscerà ¾ senza intervenire sulla particella e, successivamente, misurando ½ si conoscerà ¾ senza intervenire sulla particella . Quindi ¾ e ¾ sono entrambi, simultaneamente, elementi di realtà della particella , per i quali la meccanica quantistica non ha strumenti di descrizione e quindi la meccanica quantistica è incompleta. La località è un punto cruciale – “Se all’istante della misurazione i due sistemi non interagiscono più, nessun cambiamento reale può aver luogo nel secondo sistema come conseguenza di un qualunque intervento sul primo”. Gli elementi di realtà di un sistema fisico non possono essere influenzati istantaneamente a distanza. La particella 2 possiede quindi una proprietà che non trova espressione nell’apparato formale della teoria (la del sistema). 13 Abbiamo dimostrato in precedenza che o (A) la descrizione quantistica della realtà data dalla funzione d’onda è incompleta o (B) quando gli operatori corrispondenti a due quantità fisiche non commutano le due quantità non possono avere realtà simultanea. Abbiamo assunto che la descrizione della realtà fornita dalla funzione d’onda fosse completa e siamo arrivati alla conclusione che due quantità fisiche associate a operatori non commutanti possono avere realtà simultanea. Quindi la negazione di (A) conduce alla negazione dell’unica altra alternativa (B). Siamo quindi forzati a concludere che la descrizione quantistica della realtà fisica data dalle funzioni d’onda è incompleta. Si potrebbe criticare la conclusione sulla base del fatto che il nostro criterio di realtà non è sufficientemente restrittivo. Infatti, si potrebbe non arrivare alla nostra conclusione se si sostenesse che due o più quantità fisiche possono essere considerate come elementi simultanei di realtà solo quando possono essere simultaneamente misurati o predetti. Da questo puntodi vista siccome ¾ e ¾ non commutano non possono essere simultaneamente reali. Questo però rende la realtà di ¾ e ¾ dipendente dal processo di misura condotto sul primo sistema, che non disturba in alcun modo il secondo. Nessuna ragionevole definizione di realtà potrebbe permettere questo fatto. 14 [Bohr] Illustra un apparato sperimentale che realizza l’esperienza di EPR. Esso è costituito da un diaframma rigido con due fenditure molto sottili rispetto alla loro distanza relativa. Assume che le due particelle, con momento inziale e , passino ognuna in una fenditura diversa independentemente l’una dall’altra. Se il momento del diaframma viene misurato accuratamente prima e dopo il passaggio delle particelle possiamo risalire alla somma delle componenti perpendicolari alle due fenditure dei momenti delle particelle, come pure possiamo conoscere l’iniziale distanza relativa delle due particelle (data dalla distanza delle due sottili fenditure). Ovviamente qualunque misura successiva o della posizione o del momento di una delle due particelle ci permette di predire la posizione o il momento dell’altra. 15 Possiamo - prosegue Bohr - scegliere di misurare o (e predire il valore risp. di o ), ma questo implica scegliere tra due apparati di misura mutuamente esclusivi. Se misuriamo è necessario stabilire una correlazione tra il comportamento della particella 1 e uno strumento rigidamente connesso col supporto che definisce il sistema di riferimento spaziale. La misura di quindi fornisce anche la posizione del diaframma quando le particelle passano attraverso le fenditure e permette in tal modo di stabilire . Permettendo tuttavia il passaggio di una quantità di moto essenzialmente incontrollabile dalla prima particella al supporto menzionato, non ci sarà più possibile in seguito applicare la conservazione della quantità di moto al sistema costituito dal diaframma e dalle due particelle. E quindi si è perduta ogni possibilià di predizione non ambigua della quantità di moto della seconda particella. Viceversa la misura di coinvolge inevitabilmente uno spostamento incontrollabile che preclude ogni possibilità di dedurre dal comportamento della particella 1 la posizione del diaframma relativamente al resto dell’apparato e quindi impedisce di predire la posizione . 16 Anche Schrödinger , nello stesso anno, affronta EPR nel suo articolo (“Die gegenwärtige Situation in der Quantenmechanik”[L’attuale situazione nella M.Q.], Die Naturwissenschaften 23 (1935), 823-828, 844-849) [ristampato in Wheeler e Zurek (eds.), Quantum Theory of Measurement, Princeton 1983], nel quale compare il famoso gatto di Schrödinger. Schrödinger sottolinea che sistemi ‘entangled’ implicano un substrato di ‘non-separabilità’ nella descrizione quantistica (visione olistica). Se si sostiene la completezza contro EPR non si può fare a meno, in linea di principio di ammettere la non-separabilità: sistemi che hanno interagito risultano entangled e il recupero dell’individualità richiede il ricorso al collasso della funzione d’onda. 17 [Bohm, 1951] Consideriamo un sistema composto da due particelle di spin in uno stato di singoletto (spin totale 0), e supponiamo che il sistema venga scisso nelle due particelle (da un processo che non influenzi il loro momento angolare totale) che iniziano a muoversi liberamente in direzione opposta. Lo stato del sistema sarà descritto dalla seguente funzione d’onda: · · un’espressione che vale qualunque sia la direzione in cui misuriamo lo spin. Ogni misura dello spin sulla particella (1) in una certa direzione fornisce una misura indiretta della stessa componente dello spin della particella (2). Possiamo sempre fare misure successive dello spin della particella (1) lungo le direzioni , riorientando liberamente l’apparato di misura lungo la traiettoria di volo della particella ottenendo valori (impredicibili) definiti del suo spin in diverse direzioni (incompatibili). Ma questo avviene senza in alcun modo disturbare la particella (2) quindi devono esistere elementi di realtà definiti in (2) corrispondenti alla simultanea definizione di tutte e tre le componenti del suo spin. Siccome la funzione d’onda specifica al più una di queste componenti in un certo istante di tempo, essa non fornisce una descrizione completa. 18 S ONO POSSIBILI TEORIE A VARIABILI NASCOSTE ? DAL TEOREMA DI IM POSSIBILITÀ DI VON N EUMANN AL CONTROESEMPIO DI B OHM . 19 La reazione all’egemonia copenhageniana si nutre di diversi fattori: scientifici, filosofici, politici, sociali... La meccanica quantistica, con le sue anomalie e paradossi, sembra spingere a una rinuncia delle usuali (forse ingenue ma radicate) aspirazioni all’esistenza di una realtà oggettiva regolata da leggi deterministiche. E se la meccanica quantistica fosse invece una sorta di termodinamica? Essa produrrebbe solo valori medi di quantità misurate, mentre a livello più profondo (quello che per la termodinamica classica è la meccanica statistica), non necessariamente empiricamente accessibile, ogni sistema individuale seguirebbe il suo moto secondo leggi deterministiche. In questo contesto potremmo forse eliminare i paradossi e ricostruire una visione unitaria del mondo (Bell) spostando il dualismo delle situazioni (apparati e sistemi) alla descrizione degli stati . 20 L’interpretazione probabilistica della (Born, 1926) non vieta necessariamente le variabili nascoste. von Neumann scrive (1932): “Il fatto che ensemble descritti dalla stessa funzione di stato mostrino dispersione suggerisce due interpretazioni concepibili: (1) i sistemi individuali sebbene descritti dalla stessa differiscono in parametri addizionali nascosti il cui valore determina il preciso risultato della misura; (2) tutti i sistemi individuali dell’ensemble sono nello stesso stato, ma le leggi della natura non sono causali. Precedenti in contesto classico – Boltzmann e la sua aspirazione a dare una interpretazione (fondazione) statistica della termodinamica, che non a caso si scontra con l’opposizione da parte di scienziati (Loschmidt, Zermelo) [che tentano di refutare la possibilità di interpretare le leggi termodinamiche ricorrendo ai moti invisibili di molecole] e filosofi-scienziati [Mach, il cui positivismo influenza le posizioni degli esponenti della scuola di Copenhagen]. 21 Nel suo fondamentale lavoro sui fondamenti matematici della MQ, von Neumann dimostra un teorema che per quasi venti anni viene accettato come una dimostrazione dell’impossibilità di teorie a variabili nascoste consistenti con la meccanica quantistica e deterministiche (causali). La sola teoria formale esistente oggi - scrive von Neumann - che ordini e riassuma le nostre esperienze in questo dominio in modo parzialmente soddisfacente, la MQ, è in evidente contraddizione logica con la causalità. Naturalmente sarebbe esagerato affermare che la causalità per questo debba essere abbandonata: la meccanica quantistica ha, nella sua forma attuale, molte serie lacune, e potrebbe anche rivelarsi falsa, anche se quest’ultima possibilità è altamente improbabile [...] A dispetto del fatto che la MQ ben si accorda con l’esperimento e che ci ha aperto la strada ad un nuovo lato del mondo, non si può mai dire di una teoria che è stata provata dall’esperienza, ma solo che essa è la migliore rappresentazione conosciuta dell’esperienza. Tuttavia, tenendo a mente queste precauzioni,... possiamo ancora dire che ... non c’è spazio per la causalià in natura. In altre parole, abbiamo a che fare con un modo vecchio di pensare dell’umanità, ma non con una necessità logica (si pensava così perché era sempre stato possibile costruire una teoria statistica), e chiunque voglia entrare nell’argomento senza nozioni preconcette non ha ragione di aderire ad esso. 22 A partire dal contro esempio fornito dalla teoria di Bohm del 1952, una progressiva chiarificazione della questione si avrà nei successivi contributi di Gleason (1957), Jauch e Piron (1963), Bell (1964), Kochen e Specker (1967). In particolare Bell evidenzia che von Neumann ha utilizzato, nella dimostrazione del suo teorema, alcune ipotesi mutuate dalla MQ ma non giustificate nelle ipotetiche teorie a variabili nascoste. Le teorie a variabili nascoste sono dunque possibili, ma va abbandonata l’idea di poter evitare le anomalie quantistiche nella teoria più fondamentale: sono possibili teorie a variabili nascoste, ma esse devono essere non locali (come la MQ) e contestuali (come richiesto da Bohr per la MQ). 23 David Bohm (1917-1992) approfondisce questioni legate ai fondamenti della MQ già durante i suoi studi a Berkeley come allievo di Oppenheimer (PhD a Berkeley nel 1943). Dal 1946 è assistent professor a Princeton. Nel 1951 pubblica il libro Quantum Theory (apprezzato da Einstein e Pauli, mentre Bohr, di cui pure l’autore dichiara il debito per alcune parti del volume, non esprime alcun giudizio). Nel 1951 viene sospeso dalla posizione in conseguenza della ‘crociata’ del senatore Mc Carthy, presidente della Commissione sulle attività anti americane del Congresso. Nel 1952, trasferitosi a San Paolo in Brasile, elabora in due articoli (Phys. Rev. 85 (1952), pp. 166 e 180) la sua teoria. 24 L’interpretazione usuale ci impedisce - scrive Bohm nel suo primo articolo - anche solo di concepire precisamente cosa potrebbe determinare il comportamento di un sistema individuale a livello quantistico senza fornire una dimostrazione adeguata che una tale rinuncia sia necessaria ... le due assunzioni mutuamente consistenti su cui si basa l’interpretazione usuale: (1) con la sua interpretazione probabilistica determina la specificazione più completa possibile dello stato del sistema; (2) il processo di trasferimento di un singolo quanto dal sistema osservato all’apparato di misura è impredicibile, incontrollabile, inanalizzabile. ... possiamo concludere che la scelta dell’attuale interpretazione della MQ conduce ad una limitazione del tipo di teoria da prendere in considerazione. Ma, a nostro avviso, ci sembra di poter concludere che non ci sono sicure basi sperimentali e teoriche sulle quali fondare una tale scelta, poiché questa scelta segue da ipotesi che non possono concepibilmente essere soggette a verifiche sperimentali e poiché disponiamo ora di una interpretazione alternativa. 25 Per eliminare le ambiguità e la vaghezza di cui il formalismo quantistico risente nello stabilire i suoi caratteri operativi, Bohm propone una teoria che, pur con aspetti radicalmente non-newtoniani, ha un’‘ontologia’ simile a quella della meccanica classica: ci sono particelle materiali che hanno posizioni e traiettorie ben definite, i cui moti sono completamente deterministici. Possiamo fare predizione sull’evoluzione dei sistemi solo in termini probabilistici a causa della nostra ignoranza delle posizioni reali delle particelle. La funzione d’onda è un oggetto fisico reale, distinto dalle particelle, analogo a un campo (ma da questo diverso in quanto ‘vive’ nello spazio delle configurazioni), che ha la funzione di ‘guidare’ le particelle lungo le loro traiettorie. La descrizione completa dello stato è data dalla coppia , , con dove posizioni reali delle particele, e è la funzione d’onda del sistema per una generica configurazione spaziale . 26 Evoluzione temporale - La specificazione dello stato del sistema a un qualche istante (iniziale), ¼ ¼, determina lo stato ad istanti successivi. La funzione d’onda evolve (senza mai collassare) in accordo alla equazione di Schrödinger: (2) e la configurazione (reale) secondo l’equazione: (3) è un vettore nello spazio delle configurazioni ¿ . Quindi la dove Ú½ Ú ha il ruolo (dinamico) di generare il moto delle particelle attraverso il campo vettoriale delle velocità , ad essa associato. La forma di può essere derivata sulla base di alcuni principi di invarianza (per rotazione, inversione temporale, galileiana). La più semplice espressione è: Ú Im (4) per un sistema di particelle di massa ( ). 27 Si dimostra che la meccanica di Bohm ha lo stesso contenuto empirico della MQ (non relativistica). Questo fatto è legato allo speciale ruolo assunto nella teoria dalla distribuzione : essa è la misura d’equilibrio del sistema (se vale a un istante generico vale in qualunque altro istante successivo). Quando un sistema ha funzione d’onda la sua configurazione ha una distribuzione casuale (in analogia con quanto sancito dal postulato di Gibbs nella meccanica statistica). Tra i precursori dell’approccio di Bohm: Erwin Madelung (più noto per i suoi lavori con Born sui cristalli ionici, si pensi alla costante di Madelung) che nel 1926 scrive un’articolo sull’interpretazione idrodinamica dell’equazione di Schrödinger; de Broglie che nel 1926 aveva già scritto un lavoro simile a quello di Bohm sull’onda pilota che a seguito di critiche da parte di Pauli (che Bohm refuta definitivamente nel suo secondo articolo del 1952) aveva abbandonato, salvo poi ritornarvi dopo il lavoro di Bohm; Rosen (1945) argomenta anche lui nella direzione di de Broglie 28 Nell’articolo originale Bohm partiva scrivendo la sotto forma di , che sostituita nella equazione di Schrödinger e scindendo la parte reale da quella immaginaria permetteva di ricavare: (Im) (Re) (5) (6) Nella (6) il primo addendo in parentesi quadre è l’equazione classica di Hamilton-Jacobi mentre il secondo addendo viene interpretato come un termine additivo quantistico al potenziale (classico o newtoniano). 29 Un semplice modello [J. Bell, “On the impossible pilot wave”, Foundations of Physics, 12 (1982), 989-999.] Consideriamo un sistema la cui funzione d’onda dipende da una variabile discreta ( ), una continua ( ), e la variabile temporale . Potrebbe essere una particella con spin che si muove su una retta. Sia un osservabile relativo allo spin che può quindi essere rappresentato da matrici finite: Per misurare supponiamo di disporre di una interazione rappresentata da un termine addizionale nell’operatore Hamiltoniano del tipo con costante di accoppiamento (se la particella fosse di massa infinita il termine di interazione sarebbe l’hamiltoniano). 30 Si può quindi risolvere l’equazione di Schrödinger. È opportuno introdurre gli autovettori di con i rispettivi autovalori definiti da . Allora lo stato iniziale può essere scritto nella forma: e la soluzione dell’equazione di Schrödinger è espressa da: Questo vuol dire che i vari pacchetti d’onda si allontano gli uni dagli altri e, dopo un tempo sufficientemente lungo, qualunque fosse lo stato iniziale, si sovrapporranno poco. A questo punto il risultato di una misura di posizione sulla particella corrisponderà a un particolare autovalore , e la probabilità di ottenere un particolare sarà data dal modulo quadro di . Questo modello è qualcosa di simile all’esperimento di Stern-Gerlach. 31 Se vogliamo completare la descrizione secondo la teoria di Bohm aggiungiamo alla funzione d’onda la posizione della particella . Se si esegue una misura della posizione al tempo si ottiene , ma anche se la misura non viene eseguita esiste. L’evoluzione temporale della posizione della particella è data: dove e Notando che l’equazione di Schrödinger implica l’equazione di continuità: si dimostra che se all’istante ha distribuzione di probabilità , allora al tempo ha distribuzione di probabilità , che non è altro che l’usuale distribuzione quantistica delle posizioni e quindi porta alla usuale predizione per l’esperimento di Stern-Gerlach. In questo caso le probabilità entrano solo in relazione alle condizioni iniziali, come nella meccanica statistica classica. 32 [Bell] ha qui il ruolo di un campo fisico reale (come quello di Maxwell). E come nel caso del campo ellettromagnetico la distinzione tra e è la distinzione tra variabili dei campi che si estendono nello spazio e le posizioni particolari delle particelle. Ovviamente i valori dei campi nei punti dello spazio dove sono collocate le particelle sono quelli più immediatamente rilevanti per il moto di queste. Sebbene sia un campo reale esso non si manifesta come risultato di una singola misura ma nella statistica di molte misure. Solo nella teoria di Bohm si mostra immediatamente ogni volta. Il fatto che e non sia storicamente chiamata variabile nascosta è un frammento della stupidità storica. Si noti che in questo punto di vista avere considerato come esempio la misura dello spin non è felice, perché le nostre particelle non hanno gradi di libertà interni. Esse però sono guidate da campi a molte componenti e, quando questi sono soggetti all’analogo delle rifrazioni ottiche multiple, la particella è guidata su un percorso o su un altro a seconda della sua posizione iniziale. Un esempio esplicito, questo, della lezione di Bohr: gli esperimenti sono il prodotto dell’insieme apparato + strumento e non ‘misure’ di proprietà preesistenti del sistema isolato 33 Perché Von Neumann riesce a dimostrare il suo teorema? Quali sono “the holes in the nets”? Denotiamo con il risultato della misura di per dati valori iniziali di e . Questa funzione può essere calcolata in linea di principio risolvendo l’equazione di Schrödinger per e poi risolvendo l’equazione di guida per . Si noti che i valori di sono gli autovalori di . L’assunzione cruciale nel teorema di Von Neumann è che per operatori legati da una relazione lineare i risultati devono essere anch’essi legati da una relazione lineare 34 Questo è certamente vero quando si media sulle per ottenere i valori di aspettazione quantistici, ma può non essere vero prima di fare la media, perché i risultati individuali sono autovalori, e gli autovalori di operatori legati da relazioni lineari non sono legati da relazioni lineari. Basta, per es., pensare a e come le componenti ortogonali e dell’operatore di spin, e a come componente dello spin in una direzione intermedia . Nel caso semplice di spin- , gli autovalori di , e hanno tutti valore e la richiesta di Von Neumann implicherebbe il risultato assurdo Siccome la teoria di Bohm è in accordo con la meccanica quantistica nell’avere autovalori come risultati di misure individuali, viene esclusa da Von Neumann (pensando che i valori di aspettazione di stati senza dispersione - con variabili nascoste - avessero lo stesso comportamento dei valori di aspettazione degli stati quantistici). 35 [Jauch-Gleason (1957)] Jauch si accorse che il teorema di Gleason implicava un risultato come quello di Von Neumann ma con una assunzione di additività più debole. Se e commutano ( ) i loro autovalori sono additivi e l’additività dei risultati di misure non è manifestamente assurda come nel caso precdente. Inoltre sembra plausibile perché operatori commutanti possono essere misurati simultaneamente. Consideriamo allora il caso di un insieme completo di operatori di proiezione relativi allo spin in direzioni ortogonali: Æ e . Gli autovalori sono tutti o e, siccome la loro somma è , l’ipotesi di additività dei risultati di misure significa semplicemente che in una misura solo uno degli operatori darà il valore e tutti gli altri .Riprendendo il modello precedente, l’hamiltoniano di interazione sarà ora dato da . Come sopra si potrà esprimere la soluzione dell’equazione di Schrödinger nei termini di autovettori simultanei di tutti i proiettori . I vari pacchetti d’onda finali si sposteranno a distanze e la particella alla fine si troverà in uno di questi pacchetti: se i sono tutti diversi questo selezionerà l’unico per il quale il risultato della misura vale . 36 Tuttavia l’argomento di Jauch-Gleason dipende anche da un’altra assunzione. Quando la dimensione dello spazio degli spin è maggiore di , per un dato ½ è possibile trovare più di un insieme di altri operatori di proiezione ortogonali per ottenere l’insieme completo, cioè: ½ ¾ ¿ ½ ¾¼ ¿¼ dove ¾¼ commuta con ½ e ogni altro operatore ma non con ¾ . L’ulteriore assunzione è quindi che il risultato della misura di ½ è indipendente da quale insieme complementare ¾ o ¾¼ venga misurato simultaneamente. Questa assunzione non vale nella descrizione di Bohm: anche se i due insiemi di operatori hanno ½ in comune, gli autovettori sono diversi, e sono diverse le orbite delle particelle come pure le , dati e . Ma questo non dovrebbe sorprendere: l’hamiltoniano è diverso nei due casi, stiamo facendo un esperimento diverso quando misuriamo ¾ piuttosto che ¾¼ mentre misuriamo ½ . L’apparente libertà che l’argomento di Jauch e Gleason sembra offrire (‘da assunzioni implausibili sulle osservabili incompatibili’) è illusoria. Ancora una volta la teoria di Bohm sottolinea l’importanza dell’idea di Bohr di considerare apparato + sistema come un tutto. 37 L E DISUGUAGLIANZE DI B ELL 38 [J. Bell, “On the Einstein-Podolsky-Rosen paradox”, Physics 1 (1964), 195200.] Bell dimostra quello che oggi è noto come teorema di Bell: nessuna teoria a variabili nascoste locali può riprodurre tutte le previsioni statistiche della meccanica quantistica. La strada percorsa è quella di partire da esperimenti del tipo EPR, ricavare disuguaglianze sufficientemente generali che valgono per le correlazioni di risultati di misura sui due sistemi nel caso di variabili nascoste locali e verificare che queste differiscono da quanto previsto dalla meccanica quantistica: in altre parole la meccanica quantistica viola le disuguaglianze di Bell. 39 [J. Bell, “Bertlmann’s socks and the nature of reality”, Journal de Physics, Colloque C2, suppl. au numero 3, Tome 42 (1981) C2, 41-61] Consideriamo lo schema generale di esperimento EPR di figura. L’uscita centrale segna il tempo di partenza corretta (‘yes’) dell’esperimento. Al tempo gli altri segnali in uscita indicheranno ‘yes’ o ‘no’ (per esempio in relazione al fatto che sia stato misurato uno spin + o - lungo una certa direzione). I segnali e vengono inviati nel dispositivo al tempo Æ e possiamo fare in modo che Æ ( velocità della luce e lunghezza del dispositivo). Questo implica che il segnale a un’estremità non possa influenzare il segnale in uscita all’altra estremità. Ripetendo molte volte l’esperimento è possibile verificare le ipotesi fatte sulla distribuzione di probabilità condizionale congiunta (dove e sono i risultati ottenuti alle estremità con segnali e ). 40 Il fatto che i risultati e possano essere correlati, cioè che ½ ¾ non è in generale strano. Quello che invece è strano è che certe correlazioni che si producono in ambito quantistico non sono spiegabili localmente, senza cioè ricorrere a una qualche ‘azione a distanza’. Se supponiamo che le correlazioni dei risultati e in esperimenti EPR siano localmente spiegabili, possiamo supporre che ci siano variabili aggiuntive (o complementari o nascoste) conoscendo le quali si possono spiegare le correlazioni localmente: ½ ¾ Data allora una qualche distribuzione di probabilità di queste variabili aggiuntive, otteniamo le predizioni della meccanicanica quantistica con la media sulle : d 41 Le espressione appena scritte hanno implicita l’assunzione della località: abbiamo infatti supposto che non dipenda da e non dipenda da . Inoltre e non dipendono da e . ottenibili in MQ possono essere rappresenMa non tutte le tate nella forma ora scritta. Introduciamo la combinazione (Clauser-Holt-Horne-Shimony, 1969): !" !" #$ #$ !" #$ #$ !" si può allora dimostrare (indipendentemente dal numero di variabili e dalla forma di ) la seguente disuguaglianza: 42 Ma secondo la meccanica quantistica tuttavia, nel caso per es. di esperimenti del tipo EPRB, troviamo (approssimativamente): che per , %, %, % fornisce il seguente risultato: Per evitare la violazione della disuguaglianza bisognerebbe eliminare l’ipotesi di località, ma visto il tipo di dispositivo descritto sarebbe ancora più strano che ammettere la ‘misteriosa’ influenza di lungo raggio (bisognerebbe infatti ammettere l’esistenza di azioni che si propagano più velocemente della luce). 43 V ERIFICHE SPERIMENTALI 44 Dal 1969 (cioè dopo l’articolo di Clauser-Holt-Horne-Shimony) si capisce che è possibile realizzare esperimenti veri (e non gedanken) utilizzando fotoni correlati prodotti in certe transizioni atomiche. Due gruppi, uno a Berkeley (Clauser e Freedman, 1972) e l’altro a Harvard (Holt e Pipkin, 1978), iniziano a lavorare nel settore. Dopo aver ottenuto risultati non in accordo tra loro, un terzo gruppo a Houston nel Texas (Fry e Thomson, 1976) inizia un terzo esperimento. In seguito (1980-82) a Orsay (Aspect, Grangier, Roger, Dalibard 198182) vengono condotti gli esperimenti che segnano una svolta nella verifica sperimentale della violazione delle disuguaglianze di Bell. Da allora lavoro sperimentale e applicazioni si sono notevolmente sviluppate. 45 C ONCLUSIONI ? 46 Sebbene si possano ancora raffinare gli esperimenti sembra ormai chiaro che la MQ (la verifica delle predizioni di violazione delle disuguaglianze di Bell si risolve tra l’altro in una ulteriore verifica della correttezza della teoria) contiene qualche cosa di non locale. Questa non località ha però una ‘natura molto sottile’, non può per esempio essere usata per inviare segnali più veloci della luce. Si può facilmente dimostrare che ogni volta che si vuole mandare un messaggio usando correlazioni EPR è necessario mandare informazione complementare (sull’orientazione di un polarizzatore) attraverso un canale normale che ovviamente non viola la causalità (è quello che avviene per es. nella ‘teleportazione’). Ricerca fondamentale e ricerca applicata. 47 N OTE BIBLIOGRAFICHE AGGIUNTIVE A. Aspect, “Bell’s Theorem: The Naive View of an experimentalist”, quant-ph/0402001 F.J. Belinfante, A survey of hidden-variable theories, Pergamon Press, London 1973. J. Bell, Speakable and unspeakable in quantum mechanics, Cambridge University Press, Cambridge 1987. M. Jammer, The philosophy of quantum mechanics, John Wiley & Sons, New York 1974. G. Peruzzi, Niels Bohr. Dall’alba della fisica atomica alla “big science”, in “i grandi della scienza”, Le Scienze, anno IV, n. 23, novembre 2001. P.A. Shilpp, Albert Einstein: Philosopher Scientist, “’Library of Living Philosophers”, Tudor Evanston (III.), 1949 [tr. it. Albert Einstein scienziato e filosofo, Borighieri, Torino 1958]. 48