27.
rassegna di nuova musica
Programma
Stefano Scodanibbio
Produzione
Gianluca Gentili
Consulenza artistica
Tonino Tesei
www.rassegnadinuovamusica.it
Associazione Arena Sferisterio | Rai Radio3
Fondazione Orchestra Regionale delle Marche
xenaki
lunedì 18 maggio
Rebonds (1989)
Danilo Grassi percussioni
La Légende d’Eer (1977)
proiezione del film di Bruno Rastoin
martedì 19 maggio
Psappha (1975)
Danilo Grassi percussioni
Dikhthas (1979)
Marco Rogliano violino
Juan Carlos Garvayo pianoforte
Evryali (1973)
Juan Carlos Garvayo pianoforte
Ittidra (1996)
Marco Rogliano violino
Henry Domenico Durante violino
Ladislao Vieni viola
Chie Yoshida viola
Francesco Dillon violoncello
Naomi Berrill violoncello
Iannis Xenakis (Brăila, Romania, 29 maggio 1922) compositore, architetto e ingegnere
greco naturalizzato francese. Ad Atene studiò musica con A. Kundurov e si laureò in
architettura al Politecnico. Membro della resistenza greca, rimase gravemente ferito in
uno scontro con gli inglesi, condannato a morte, si rifugiò in Francia, dove si stabilì (otterrà
la cittadinanza nel 1965). Per dodici anni collaborò con Le Corbusier, partecipando al
progetto del padiglione Philips all’Esposizione di Bruxelles del 1958; contemporaneamente
studiò con O. Messiaen e fu in contatto con H. Scherchen. A questo periodo risalgono
le prime composizioni Metastaseis (1953-54) Phitoprakta (1955-56) per orchestra. Nella
successiva Achorripsis per 21 strumenti (1956-57) introdusse per la prima volta il calcolo
probabilistico come metodo per comporre, prendendo le distanze sia dalle tecniche seriali,
considerate un inutile retaggio rispetto a una complessità polifonica ormai ben superiore
alle possibilità di discernimento percettivo, sia dai procedimenti aleatori di J. Cage, solo
apparentemente assimilabili. Come egli stesso illustrerà negli scritti teorici raccolti nel
volume Musiques Formelles (1963) il suo pensiero creativo assunse la forma del controllo
astratto delle tensioni insite in un materiale musicale i cui elementi singoli sfuggono al
calcolo, ma le cui proprietà e dinamiche complessive possono essere previste con gli
strumenti della statistica e della logica formale. I passi successivi saranno l’estensione
della tecnica compositiva ai meccanismi «stocastici» markoviani (in greco stochastikós
«che mira bene, che tende bene al fine»), per esempio in Amorsima-Morsima per 10
strumenti (1956-62), Duel per 2 orchestre o Syrmos per 18 archi (1959), con sequenze
di eventi complessi desunte l’una dall’altra per calcolo probabilistico; ai procedimenti
trasformativi della teoria degli insiemi, come in Herma per pianoforte (1960-61), Stratégie
per 2 orchestre (1962), Akrata per 16 fiati (1964-65) e Nomos Gamma per orchestra (196768) – lavori caratterizzati da densità magmatiche stratificate e irruenti – , Nuits per 12 voci
soliste (1967), o nel celebre Nomos Alpha per violoncello solo (1966), dove emergono
insospettate valenze teatrali del gesto esecutivo; infine, all’impiego del calcolatore nella
progettazione del percorso musicale, come in Atrées per 11 strumenti (1956-62), Eonta
per pianoforte e 5 ottoni (1963), Orient-Occident per nastro (1960) e nella serie di brani
indicati con la sigla ST (dal 1962). Entrato ormai nel novero degli esponenti più significativi
dell’avanguardia europea, nel 1966 il compositore fondò l’Équipe de Mathématique et
d’Automatique Musicales (EMAMU), applicandosi allo sviluppo di procedure informatiche
di composizione, in particolare di quelle basate sulla decodificazione di forme geometriche
(1977). La trasposizione nella trama sonora di figurazioni naturalistiche, ramificazioni,
simmetrie spontanee, proiezioni grafiche di processi di germinazione organica sarà infatti l’indirizzo più significativo dei lavori degli anni
’70 quali Aroura per archi (1971), Erikhthon per pianoforte e orchestra (1974), Empreintes per orchestra (1975), Achantos per soprano
e strumenti (1977), dove il rigore formalistico sembra a tratti attenuarsi per lasciare spazio a un discorso più disteso e fluente. Le
composizioni successive porteranno a far emergere con più evidenza la base umanistica del razionalismo di Xenakis che continuamente
smentisce, nel segno dell’immaginazione e della ricerca, l’illusione del controllo sulla materia e rinvia a lontane radici nel pensiero antico
di Pitagora, Parmenide ed Epicuro. Attimi di espressività quasi nostalgica, luminosità quasi improvvise, apparizioni di figure musicali
riconoscibili emergono in molti dei lavori composti dagli anni ’80: Mists per pianoforte (1981), Thalleïn per orchestra da camera e
percussioni (1984), Xas per 4 sassofoni (1987), Keren per trombone solo, Tetras (1983), Tetora (1990) per quartetto d’archi, Plekto per 5
strumenti e percussioni (1994). Nel 1997 scrisse l’ultima sua composizione, O-Mega, per percussionista solo e 13 strumenti.
Dal 1975 al 1978 fu professore di composizione al Gresham College di Londra, dove tenne anche numerose conferenze pubbliche. Dal
1972 al 1989 fu professore all’Università di Parigi I-Sorbonne.
Iannis Xenakis si è spento a Parigi il 4 febbraio 2001.
Mi ricordo dei tristi anni passati in Boemia agli inizi dell’occupazione russa. Fu allora che mi innamorai di Varèse e di Xenakis:
quelle immagini di mondi sonori oggettivi ma inesistenti mi parlavano dell’essere liberato dalla soggettività umana, aggressiva e
ingombrante – mi parlavano della bellezza dolcemente disumana del mondo prima o dopo il passaggio degli uomini.
Milan Kundera
Non si può criticare un eroe!
Olivier Messiaen (discutendo la tesi di dottorato di Iannis Xenakis avvenuta il 18 maggio del 1976 alla Sorbona)
La musica non è un linguaggio e non è un messaggio… La forza di un’opera d’arte sta nella sua verità… Definizione di verità: ciò
che si regge da sé, senza trucchi. Quei trucchi che spesso sono rappresentati dal sentimentalismo, dal “sudiciume affettivo”, come
dice Kundera. I sentimenti, in tal senso, sono l’alibi della crudeltà, della barbarie, del ricatto…Tutte le persone realmente creative
rifuggono quel lato stupido dell’arte che consiste nell’esaltazione dei sentimenti.
Le opere d’arte più alte sono quelle che invocano il più alto livello di astrazione. Quelle che hanno il minor numero possibile di
riferimenti di carattere rappresentativo.
Iannis Xenakis
Diagramma generale delle 8 tracce della musica per lo spettacolo Persepolis
Note alle composizioni di Iannis Xenakis
Rebonds
Rebonds è stato scritto fra il 1987 e il 1989 ed è dedicato al
grande percussionista Sylvio Gualda che l’ ha eseguito per la
prima volta all’Accademia di Francia di Villa Medici in Roma.
La composizione è divisa in due parti: A e B. L’ordine di
esecuzione non è fisso: può essere AB o BA, senza interruzione.
La parte A è per i seguenti strumenti a percussione con
membrana (a suono indeterminato): 2 bongos, 3 tom-toms e 2
grancasse.
La parte B è per: 2 bongos, 1 tumba, 1 tom-tom, 1 grancassa e
un set di 5 wood blocks.
Jacques Lonchampt a proposito di Rebonds scrive: «Un
immenso rituale astratto, una suite di movimenti e di
martellamenti senza alcuna “contaminazione” folkloristica, una
musica pura piena di meravigliose efflorescenze ritmiche, al di là
del dramma e della tempesta. Un nuovo capolavoro».
Tonino Tesei
La Légende d’Eer
Un’opera fondamentale di Iannis Xenakis nel campo della
musica elettronica è La Légende d’Eer (1977). È la musica per
un progetto audiovisivo chiamato Diatope (1978), uno dei suoi
spettacoli di suono, luce e architettura indicati come Polytopes
(si tratta del quinto lavoro di questo genere, dopo il Polytope
de Montréal 1967, il Polytope d’Osaka 1970, il Polytope de
Persépolis 1971, il Polytope de Cluny 1972). Il progetto è stato
completato da Xenakis con una struttura architettonica a tenda
in tessuto plastico (modellata secondo paraboloidi iperbolici)
ed un ambiente dotato di raggi laser e luci elettroniche. L’opera
è stata messa a punto in occasione dell’inaugurazione del
Centro Nazionale d’Arte e Cultura di Parigi intitolato a Georges
Pompidou, nel 1978, e poi ripresa a Bonn nel 1979.
Per facilitare la comprensione del contenuto del suo lavoro
Xenakis ha pubblicato nel 1980 il saggio Problematiche
tecnologiche della composizione dove scrive: «Ritengo che il
raggio laser e il flash elettronico siano vere sorgenti luminose,
cioè non riflessioni di qualcosa, come avviene nella pittura
figurativa o nel cinema, ma proprio delle autonome sorgenti di
luce, come potrebbero esserlo delle scintille elettriche o i fasci
di neon, ma più interessanti di questi sotto il profilo plastico.
Far brillare queste luci nello spazio equivale a creare una
musica per l’occhio, una musica visiva, astratta, nella quale
anche le forme delle galassie, degli ammassi stellari, con tutte
le loro trasformazioni, diventano accessibili all’uomo – alla
propria scala di osservazione terrestre, naturalmente. E ciò
con l’ausilio di concetti e procedimenti che abbiamo messo a
punto occupandoci di composizione musicale. Già partendo
semplicemente da principi di geometria euclidea si potrebbero
raffigurare innumerevoli oggetti, col solo uso di elementi primari
come punti e rette. Ne deriva una nuova forma di arte visiva e
uditiva che non è né Opera né balletto. Movimenti di galassie in
accelerazione, tempeste, aurore boreali: ecco qualche esempio
di ciò che questa nuova forma d’arte potrebbe non già riprodurre
– sarebbe senza interesse – ma davvero produrre, con l’ausilio
di alcuni mezzi della tecnologia moderna».
Xenakis descrive ancora la polivalenza della sua opera, i criteri
matematici della sua concezione e le raffinatezze tecnologiche
della sua realizzazione: «Per quanto riguarda la luce, ho usato
quattro raggi laser da 4 watt ciascuno, equipaggiati con sistemi
ottici che producono vari effetti, e 400 specchi per riflettere i
raggi laser e creare molteplici ragnatele luminose in movimento.
Si creavano macchie di luce un movimento, frecce luminose
che tracciavano traiettorie di stelle filanti sul telo nero interno
della tenda, e mosaici di scintille, configurazioni a vortice che
avvolgevano gli spettatori, seduti o sdraiati sul pavimento
(il pavimento era in piastrelle di vetro, e ciò consentiva di
vedere, sotto di sé, altri eventi luminosi). Vi erano poi 1.600
flash elettronici montati su filamenti metallici sospesi sotto il guscio plastico, che formavano come delle spirali, delle forme
evanescenti che sfumavano nel gesto artistico complessivo. La musica, registrata su 7 tracce audio, veniva diffusa attraverso
11 altoparlanti di qualità. Il suono veniva distribuito ai vari altoparlanti con movimento continuo, interamente programmato
tramite uno schema di partitura memorizzato su nastro numerico, che decodifica un “frame” di segnali di controllo simultanei
(circa 2.000) a una velocità di 25 frames/sec. (dato che questa pare sia la “soglia di simultaneità” dell’orecchio).
Lo spettacolo, nel suo insieme, aveva una durata di 46 minuti. In pratica, nel corso di quella durata occorreva effettuare
qualcosa come 145.500.000 comandi binari. È ovvio che, per controllare e coordinare tutte quelle configurazioni, le loro
trasformazioni, i loro movimenti, fu necessario utilizzare il computer, anche per memorizzare su nastro numerico le istruzioni
che fungevano da schema o “partitura” per il dispositivo luminoso, in modo da controllare le migliaia di fonti luminose di
questa musica da vedere ».
La composizione degli elementi visivi e il nastro numerico per gli strumenti ottici furono realizzati al CEMAMu (Centro di Studi
di Matematica ed Automatica Musicale situato a Parigi e fondato nel 1966 da un gruppo di scienziati ed artisti), mentre la
composizione musicale è stata realizzata in parte al CEMAMu e in parte allo Studio di Musica Elettronica del Westdeutscher
Rundfunk di Colonia.
Il titolo di La Légende d’Eer è desunto dal passaggio della Repubblica di Platone in cui l’eroe risuscitato racconta ciò che ha
visto nell’aldilà.
Tonino Tesei
Psappha
Psappha (1975) commissione dell’English Bach Festival per Sylvio Gualda, può aspirare al titolo di pagina più forte e più
originale che sia mai stata scritta per percussione solista. Il nome di Psappha, versione arcaica di Saffo, la geniale poetessa
di Lesbo cui il compositore desidera qui rendere omaggio, indica che si tratta di un’opera di puro ritmo, poiché Saffo, secondo
Xenakis «ha introdotto il principio astratto di variazione (metabolica) delle cellule ritmiche, dei piedi e dei metri detti “saffici”».
E, con l’austerità e il rigore caratteristici di Xenakis, tutto è qui subordinato alla più chiara percezione possibile delle strutture
ritmiche, che timbri ed intensità non fanno altro che “rivestire” […]. Se i ritmi (attacchi), le sfumature e le altezze sono
notate in modo assolutamente preciso, non accade lo stesso relativamente ai timbri: Xenakis prevede sei grandi tessiture
contrassegnate da A ad F, le prime tre riservate alle membrane e ai legni (A acuto, B medio, C grave), le altre ai metalli (D
medio, E neutro – si tratta dei metalli risonanti, tam-tam e gong –, F molto acuto). Ogni tessitura è ancora graduata da uno a
tre. Inoltre il compositore fornisce ancora una scelta di strumenti per ogni famiglia, ma spetta all’interprete utilizzarli in modo
da rispettare gli altri parametri della notazione. Quest’ultima è una meraviglia di ingegnosità e di semplicità funzionale, pur
conservando una grande bellezza grafica, con le sue migliaia di palline nere che rappresentano altrettanti attacchi, disposte
su righi di una linea, undici nel momento della massima densità verticale. […] Ancora una volta Xenakis ha prodotto una
pagina di sovrumano virtuosismo, con un’enorme dispersione di energia, velocità folgorante e soprattutto densità verticale
(fino ad undici attacchi simultanei, e, anche munito di numerose bacchette, l’interprete non ha che due mani e dieci dita!).
Così ogni esecuzione di Psappha costituisce un avvenimento indimenticabile.
Harry Halbreich
Dikhthas
Dikhthas (1979) è un duo per violino e pianoforte, formazione
divenuta rarissima nella musica contemporanea, scritto su
commissione della città di Bonn per due grandi strumentisti
italiani: Salvatore Accardo e Bruno Canino. Xenakis commenta:
«Quest’opera è come un personaggio con due nature, è
“duale” (Dikhthas), perché le nature si contraddicono, sebbene
talvolta si fondano nel ritmo e nell’armonia. Questo confronto è
realizzato in un flusso di dinamica variabile che impiega caratteri
specifici dei due strumenti».
Insomma dopo Bartók, dopo tanti altri, il nostro autore mette alla
prova in modo totalmente dialettico l’innata incompatibilità che
da sempre si è convenuto di riconoscere a questi due strumenti.
Ne è uscita una bella e grande opera di musica da camera,
espressiva e brillante al tempo stesso.
pianistica: ad un inizio quasi melodico seguono punti sonori
isolati. Si aggiungono poi altre figurazioni, ad esempio accordi le
cui note sono ripetute e ornate più o meno irregolarmente.
Se si presta attenzione ai diversi tipi fondamentali della
concatenazione dei suoni, ci si può accorgere che alcuni di essi
subiscono una mutazione intenzionale, per esempio che i vari
piani sonori con note ripetute scivolano gradualmente in registri
più gravi: dalla modifica dei modelli di tecnica esecutiva nascono
processi di trasformazione, la prassi musicale si ripercuote
dunque sul linguaggio.
Rudolf Frisius
Harry Halbreich
Evryali
Evryali, il secondo lavoro per pianoforte [di Xenakis], è stato
scritto nel 1973 (dunque undici anni dopo il compimento di
Herma). Questa seconda composizione pianistica rivela fin dalle
prime battute iniziali un’impostazione fondamentalmente diversa
da quella precedente.
Evryali inizia con figure semplici, simili ad un ostinato,
ampiamente diatoniche, come palese contrasto con la musica
pienamente cromatica e capace di saturare lo spazio sonoro
ascoltabile all’inizio di Herma. L’idea fondamentale di Evryali
è quella di mettere a confronto ciò che è apparentemente
noto con il nuovo, suscitando così tra i due termini relazioni
senza precedenti. Lo si constata nella prosecuzione immediata
delle battute iniziali, dove vengono presentate varie tecniche
di esecuzione e figurazioni sonore. Il linguaggio musicale e il
contesto si sviluppano dalle possibilità della prassi musicale,
dalle diverse figurazioni pianistiche.
La composizione presenta vari tipi fondamentali di scrittura
Xenakis con Olivier Messiaen, 1977
Ittidra
Il titolo del sestetto per archi Ittidra
inverte il nome dell’instancabile Irvine
Arditti, che lo commissionò e ne fece la
prima esecuzione con gli egualmente
instancabili membri del quartetto Arditti
e la partecipazione di Thomas Kakuska
(viola) e Valentin Erben (violoncello) a
Francoforte sul Meno nell’ottobre 1996.
In modo anche più consistente che in
Voile, Xenakis scolpì Ittidra da larghi,
lenti blocchi di suoni senza vibrato: il
pezzo potrebbe essere descritto come
una trenodia, se Xenakis non avesse
rifiutato fin da principio tutte le definizioni
programmatiche o sentimentali. Forse la
migliore descrizione di questa “oggettività”
liberata del suono nella musica di Xenakis
fu data dallo scrittore ceco Milan Kundera,
residente in Francia e scrittore in francese
per oltre 30 anni: «Il suo punto di partenza
è situato altrove: non in un suono
artificiale che si è separato dalla natura
per esprimere una soggettività, ma in
un rumore “oggettivo” del mondo, in una
“massa sonora” che non sgorga dal cuore
ma viene verso di noi dall’esterno, come i
passi della pioggia o il rumore del vento.
Il mondo dei rumori nelle composizioni di
Xenakis è divenuto per me bellezza; la
bellezza ripulita dal sudiciume affettivo,
liberata dalla barbarie sentimentale».
Michael Struck-Schloen
Xenakis con Le Corbusier, 1955
La musica di Xenakis è la più forte musica che io conosca attualmente, …nella direzione
opposta alla mia.
Giacinto Scelsi
scels
mercoledì 20 maggio
giovedì 21 maggio
Dalla Trilogia per Violoncello (1956-1965)
Ygghur - I movimento
Francesco Dillon violoncello
Suite n. 10 “Ka” (1954)
Fabrizio Ottaviucci pianoforte
Natura renovatur (1967)
per 11 archi
Filarmonica Marchigiana Ensemble
Marino Formenti direttore
Et maintenant c’est à vous de jouer (1964)
Francesco Dillon violoncello
Stefano Scodanibbio contrabbasso
Action music (1955)
Marino Formenti pianoforte
Rotativa (1930)
Fabrizio Ottaviucci pianoforte
I presagi (1958)
per 10 strumenti
Filarmonica Marchigiana Ensemble
Marino Formenti direttore
Dalla Trilogia per Violoncello (1956-1965)
Ygghur - III movimento
Francesco Dillon violoncello
Le réveil profond (1972)
Stefano Scodanibbio contrabbasso
Anahit (1965)
per violino e 18 strumenti
Filarmonica Marchigiana Ensemble
Marino Formenti direttore
Marco Rogliano violino
Quartetto n. 3 (1963)
Marco Rogliano violino
Henry Domenico Durante violino
Chie Yoshida viola
Francesco Dillon violoncello
La linea e il cerchio, ‘firma’ di Giacinto Scelsi
Fondazione Isabella Scelsi. Tutti i diritti riservati.
Giacinto Scelsi: una biografia
L’8 gennaio del 1905, esattamente alle ore 11, nasceva Giacinto Francesco Maria Scelsi,
nel piccolo villaggio di Pitelli frazione del comune di Arcola. Attualmente questa località fa
parte del comune di La Spezia. Il padre Guido, all’epoca Tenente di Vascello, proveniva da
una famiglia di origine siciliana che aveva avuto un ruolo di spicco nelle vicende dell’unità
d’Italia; la famiglia della madre, Donna Giovanna d’Ayala Valva, era originaria di Taranto ma
risiedeva abitualmente nel castello di Valva nella valle del Sele. Anche il piccolo Giacinto,
con la sorellina Isabella, trascorse gran parte dell’infanzia in questo vetusto castello, dove
ricevette le prime basi di un’istruzione alquanto singolare: un precettore gli dava lezioni di
latino, di scacchi e di scherma.
Per quanto riguarda l’educazione musicale, anche in tarda età amava ricordare le molte
ore passate a “improvvisare” su di un vecchio pianoforte. Non risulta abbia frequentato
scuole superiori e studi musicali regolari di sorta. In seguito la famiglia si stabilì a Roma e le
sue peculiarità musicali furono assecondate dalle lezioni impartite privatamente dal
M° Giacinto Sallustio.
Negli anni 1920, oltre all’aristocrazia e la mondanità, cominciò a frequentare anche gli
ambienti artistici, musicali e letterari dell’epoca: Jean Cocteau, Norman Douglas, Mimì
Franchetti, Virginia Woolf, lo iniziarono ai movimenti culturali internazionali.
Nello stesso periodo compì numerosi soggiorni all’estero, specialmente in Francia ed in
Svizzera; fondamentale un viaggio compiuto nel 1927 in Egitto, dove la sorella risiedeva
con il marito; si può considerare questo il suo primo contatto con musiche extra-europee.
Di quest’epoca sono rimasti alcuni scritti influenzati dal surrealismo.
Nel 1929 vide la luce la sua prima composizione, Chemin du coeur e nel 1930 lavorò a
Rotativa, l’opera che lo avrebbe rivelato al mondo musicale internazionale, eseguita in
prima assoluta alla Salle Pleyel di Parigi, il 20 dicembre 1931, sotto la direzione di Pierre
Monteux. Nonostante l’insoddisfazione del giovane compositore, molto rigoroso nei riguardi
della sua opera, il lavoro attirò su di lui l’attenzione della critica e del mondo musicale.
Negli anni 1930 si alternarono periodi di vita mondana, frequenti viaggi all’estero, problemi
di salute ed una interessante attività creativa.
Personalità di spicco del mondo musicale italiano interpretarono la sua musica: fra gli altri,
Willy Ferrero, Nilde Pignatelli, Massimo Anfiteatroff, Alba Anzellotti, Pina Pozzi, Ornella P.
Santoliquido, F. Molinari ecc.
Nel 1937 organizzò a sue spese quattro concerti di musica contemporanea rappresentati
alla Sala Capizucchi: fece eseguire opere di giovani compositori italiani e moltissimi stranieri, fra i quali Kodály, Meyerowitz,
Hindemith, Schönberg, Stravinskij, Šostakovič, Prokof’ev, Nielsen, Janáček, Ibert ecc., allora quasi tutti totalmente sconosciuti in Italia.
Nell’organizzazione di tali concerti si avvalse della collaborazione di Goffredo Petrassi, inizio di una lunga amicizia. Questa iniziativa ebbe
breve durata per l’entrata in vigore delle leggi razziali, che impedivano in pratica l’esecuzione di composizioni di autori ebrei, cosa che
allontanò ancor di più Scelsi dall’Italia.
A questo periodo si possono far risalire i suoi interessi per altre forme di composizione, per esempio la dodecafonia della quale ebbe i
primi rudimenti da un allievo di Schönberg, il viennese Walter Klein. Contemporaneamente si interessava delle teorie di Scrjabin grazie al
dott. Egon Köler, che lo ebbe in cura per un certo periodo, probabilmente lo stesso medico che lo iniziò alla Cromoterapia.
Non secondario deve essere stato il suo interesse per le teorie musicali steineriane e per il curioso mondo ruotante attorno a Monte Verità.
All’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 si trovava in Svizzera, dove rimase per tutto il periodo del conflitto e dove si sposò con DorothyKate Ramsden, cittadina inglese. Nonostante gli anni difficili, continuò una intensa attività culturale, sia poetica che di compositore ed
incominciò un lavoro di tipo teorico fondamentale per gli sviluppi futuri della sua musica. Non si negò, per quanto poteva, ad aiutare vari
membri della comunità intellettuale internazionale a trovare rifugio in luoghi sicuri dalle persecuzioni nazi-fasciste. Durante questo forzato
soggiorno svizzero ebbero luogo delle esecuzioni di sue composizioni, per esempio nel 1942 il Trio per archi, eseguito dal Trio di Losanna
e diretto da Edmond Appia, e varie opere per piano eseguite da Nikita Magaloff.
Alla fine del conflitto ritornò in Italia; si stabilì a Roma dove vivevano la madre adorata, il padre e la sorella Isabella.
Tornava dalla Svizzera con una profonda crisi di tipo psichico che tuttavia non gli impedì di portare a compimento alcune opere già iniziate:
il Quartetto per archi, eseguito dal Quatuor de Paris a Parigi nel 1949 e la Nascita del Verbo, eseguita per la prima volta a Parigi sempre
nello stesso anno, sotto la direzione di Roger Désormières.
Seguirono anni molto travagliati, coincidenti con una crisi irreversibile di tipo creativo-musicale, che lo portò a limiti molto pericolosi;
trovò una via di scampo nella poesia, nelle arti visive e nei suoi interessi per il misticismo orientale e l’esoterismo. Presso lo straordinario
editore Guy Levis Mano di Parigi uscirono i tre libretti Le poids net, L’archipel nocturne e La concience aïgue, che per tanti anni furono le
sole opere edite. In una clinica svizzera per malattie nervose, dove si ricoverò per un breve periodo, diede una serie di conferenze sulla
creatività, di una tale apertura e lungimiranza, da potersi considerare documenti premonitori dei suoi futuri sviluppi creativi. I suoi interessi
per le arti visive, in particolar modo l’arte Informale, troveranno degna cornice in quella che sarà l’attività della Rome - New York Art
Foundation, diretta dalla sua compagna di vita di quel momento, l’americana Frances McCann.
La profonda amicizia che lo legò a Henri Michaux, ebbe probabilmente anche funzione di stimolo nella ricerca musicale.
Questo coinciderà anche con l’approfondimento e la pratica delle filosofie orientali, delle dottrine Zen, dello Yoga e della problematica
dell’Inconscio.
Nella produzione musicale la strumentazione di figure determinate dal caso, l’improvvisazione su strumenti tradizionali usati in maniera
non ortodossa, l’uso di nuovi strumenti come l’ondiola, capace di riprodurre i quarti e gli ottavi di tono, ma soprattutto la maniera di
improvvisare “in lucida passività”, ci hanno rivelato le sue opere più possenti.
La sua originalità nel comporre dette addito a feroci critiche ed ostracismi che non si acquietarono neanche dopo la sua scomparsa.
Infatti, vista l’impossibilità psico-fisica di dedicarsi al lavoro minuzioso di trascrizione delle proprie improvvisazioni registrate su nastro
magnetico, dovette avvalersi di copisti dall’orecchio assoluto che, naturalmente, operavano sotto la sua guida. Applicò lo stesso
procedimento anche nella creazione poetica, così nacque il visionario poema “Il sogno 101, il ritorno”. Il lavoro non si esauriva con la
traslazione delle musiche registrate, ma comprendeva minuziose istruzioni per l’esecuzione e lo studio di accorgimenti per donare al
suono i valori corrispondenti alla sua volontà, sordine per gli archi fatte realizzare apposta su suo disegno, strumenti a corde trattati
come percussioni, filtri sonori per deformare il suono negli strumenti a fiato, l’uso della voce quale rottura della struttura sonora, basi
di registrazione preesistenti quale traccia all’esecuzione. Originalissimo peraltro era il suo metodo di orchestrazione che consisteva
nell’accostare strumenti simili sfasati fra loro di un quarto di tono (il che dava all’esecuzione una vibrazione misteriosa ed imprevedibili
effetti di battimenti).
Non secondario fu il lavoro di finitura condotto in collaborazione con gli interpreti. Infatti le sue opere, date le difficoltà di esecuzione,
trovarono il loro primo ostacolo nell’interpretazione.
Solo rari esecutori di altissima qualità si accinsero a studiare la sua musica ed alcuni passarono dei lunghi periodi ospiti nella sua casa a
tale scopo. Ecco solo alcuni nomi di interpreti che hanno avuto la possibilità di fare questa straordinaria esperienza: Devy Erlih, Michiko
Hirajama, Frances-Marie Uitti, Fernando Grillo, Geneviève Renon, Alina Piechowska, Carlo Porta, Joëlle Léandre, Massimo Coen, Carol
Robinson, Carine Levine, Marianne Schroeder, Stefano Scodanibbio ecc.
Finalmente aveva trovato un mondo di suoni che gli corrispondeva. Ebbe quindi inizio un processo di occultamento della sua produzione
anteriore, da lui considerata ormai di tipo accademico. La rivelazione di questa nuova fase fu l’esecuzione dei “Quattro pezzi su una nota”,
eseguti al Theatre National Populaire di Parigi nel dicembre 1961, sotto la direzione di Maurice Le Roux.
Certamente tutti questi elementi dovevano disturbare il mondo accademico ufficiale che si dimostrò sempre più ostile nei suoi confronti,
esacerbato dal sempre maggior successo delle sue opere all’estero.
Non mancarono però i suoi sostenitori anche in Italia, primo fra tutti il compositore Franco Evangelisti, a lui infatti si devono le rare
esecuzioni di opere scelsiane, quasi esclusivamente realizzate nell’ambito dei festival di Nuova Consonanza.
Scelsi trascorse gli ultimi anni in vita ritirata nella sua abitazione di Roma, in Via San Teodoro 8, divenuta ormai meta di amici e ammiratori.
A questo periodo risalgono le pubblicazioni della sua opera di tipo teorico-letterario, affidate alla Casa Editrice “Le parole gelate” e la
pubblicazione sistematica della sua imponente produzione musicale, ad opera delle “Éditions Salabert” di Parigi e sotto la cura di Sharon
Kanach.
Negli ultimi anni viaggiò solo in occasione dei concerti a lui dedicati, ebbe così l’opportunità di ascoltare almeno una volta nella realtà,
quelle musiche che aveva portato per tanti anni dentro di sè.
L’ultimo concerto di sue composizioni a cui presenziò fu a La Spezia, 11 aprile del 1988, nella sua città natale, dove non era mai ritornato
dai primi anni della sua infanzia.
Cessò ogni comunicazione con il mondo esterno il giorno 8.8.88 e si spense nella mattina del giorno dopo.
Luciano Martinis
Agli amici ed interpreti ed in primo luogo a Stefano Scodanibbio esprimo la mia costernazione per non potere assistere al concerto
da lui organizzato per me. Sono certissimo che tutti gli esecutori faranno quanto è loro possibile in favore della mia musica anche in
mia assenza e di tutto cuore li ringrazio. Spero che al suo ritorno Schiaffini possa farmi ascoltare il pezzo per Euphonium che ancora
non conosco. Auguri a tutti ed abbracci.
Giacinto S.
Lettera autografa di Giacinto Scelsi scritta nel giugno 1985 e letta in pubblico il 2 luglio 1985 in occasione della III Rassegna di Nuova Musica che,
tra i primi in Italia, dedicò un intero concerto alle sue musiche eseguite, in quella serata all’Abbazia di Fiastra, da Enzo Porta, Ciro Scarponi, Luigi
Lanzillotta, Giancarlo Schiaffini e Stefano Scodanibbio.
Il grande anonimo del ventesimo secolo *
Dehors tombait la nuit
séparée d’un merveilleux passé.
SCELSI, L’Archipel Nocturne
Era il 1980 ed ero appena tornato da un lungo soggiorno in California ed in Messico. Avevo appena iniziato la mia attività solistica
e, grazie appunto alla fresca esperienza nel Nuovo Mondo, ebbi l’occasione di suonare all’Accademia Americana di Roma. Poche
settimane dopo mi arrivò una telefonata che esordiva così: “sono Giacinto Scelsi, mi hanno parlato di lei ed ho dei pezzi per
contrabbasso che mi piacerebbe mostrarle”. Pensai dapprima ad uno scherzo ma poi mi convinsi che la voce che ascoltavo poteva
adattarsi all’idea di Scelsi che mi ero fatta in quegli anni. Mi invitò a casa sua e naturalmente accettai di buon grado, precipitandomi
a Roma il più presto possibile. Da allora fino alla sua morte sono stato innumerevoli volte presso di lui, anche per soggiorni lunghi.
Ogni concerto romano, ogni partenza da Fiumicino, ogni semplice desiderio di godere della sua compagnia erano dei buoni
pretesti per passare delle bellissime giornate in Via San Teodoro 8. Giornate che si svolgevano tutte secondo un preciso rituale.
Dal secondo piano degli ospiti si saliva, verso le 17, al quarto, dove lui abitava, per fare conversazione (prima di quell’ora lui non
riceveva mai e alla domanda “ma cosa fa fino alle 5 di pomeriggio?” rispondeva “faccio la zucca, cerco di non pensare”). Già, la
conversazione. Per lui era molto importante, tanto che la definiva l’arte della conversazione e, parlando del suo amico Michaux
che detestava la bêtise, ricordava spesso come bisognava stare attenti con lui a non dire stupidaggini. L’ambiente era sempre
cosmopolita e Giacinto Scelsi si esprimeva con naturale nonchalance in inglese e in francese ma ricordo il suo stupore, se non
disappunto, quando una volta arrivai con una mia amica messicana che parlava solo spagnolo. Non poteva conversare! Poi, a volte,
mi chiedeva di suonare, per lui e per gli altri ospiti se c’erano. Non solo pezzi suoi, anzi, ma anche di altri compositori (Xenakis, pur
partendo da presupposti teorici diversissimi dai suoi, era il compositore che, per esiti sonori, sentiva più vicino tra i contemporanei).
Mi chiedeva però spesso di suonare le mie composizioni. In particolare i Sei Studi e un brano che all’epoca si chiamava Strumentale
e sarebbe diventato la prima parte di Voyage That Never Ends. La pulsazione ritmica ostinata su una corda vuota con le variazioni
timbriche offerte dalle varie tecniche d’arco unitamente ai cambi tasto/ponte lo seducevano enormemente. Lo definiva un pezzo
“tellurico”.
La cena, rigorosamente vegetariana, veniva servita intorno alle 20. Alla fine lui si assentava sempre per qualche minuto e, al suo
rientro, si continuava la conversazione ancora per un paio di ore.
Al di là delle mitologie non posso dire di aver ricevuto un insegnamento musicale particolare da Scelsi. Lui era ben lontano
dall’assumere posizioni ex cathedra e anche quando suonavo per lui e altri ospiti, in quella leggendaria casa di Via San Teodoro 8,
i commenti si limitavano a considerazioni di carattere generale.
Quello che invece ho goduto profondamente è stato “l’incontro con un uomo straordinario”, tanto per dirla con parole di Gurdjieff, un
autore a lui caro. Un vero aristocratico (“non ero fascista quando tutti erano fascisti, non ero comunista quando tutti erano comunisti.
Sono cresciuto in una famiglia aristocratica e non posso cambiarmi la pelle”), che parlava francese e inglese correntemente, sempre
con una macchia nei pantaloni o nel gilet (il segno dell’uomo veramente elegante), generoso con gli amici, indifferente con i nemici,
amico di grandi personalità letterarie e pittoriche del ‘900, estimatore della bellezza femminile, del cioccolato e dello champagne.
Poi ho avuto la sorte di ascoltarlo due volte improvvisare al pianoforte e questo, per me, ha dissolto ogni eventuale dubbio sulle sue
ventilate incapacità musicali.
La seconda di queste volte lo fece con una flautista che si trovava in casa. Disse che, nel caso di improvvisazioni con più persone,
la cosa importante era non ascoltarsi l’un altro. Non bisognava cercare di seguire l’altro per costruire un discorso comune
influenzandosi a vicenda, no, bisognava invece far passare, scorrere il messaggio che arrivava, se arrivava, (dall’alto? da altrove,
comunque. E’ nota la sua teoria del compositore come “postino”) e quando le due o più persone erano in sintonia questo si sarebbe
manifestato concretizzandosi in una musica autosufficiente, senza il bisogno di ascoltarsi.
Quello che mi colpiva più di tutto nel suo modo di suonare il pianoforte era il tocco. Le mani sembravano rimbalzare violentemente
verso l’alto dopo aver percosso la tastiera. Il suono che ne veniva fuori, dovuto senz’altro anche all’antichità dello strumento, era un
suono arcaico, di altri tempi.
Mi piaceva ascoltarlo parlare della Parigi degli anni tra le due guerre con tutti quei personaggi che aveva conosciuto…
Mi piaceva che parlasse dell’India (“mi piacerebbe andare a morire in India, ma non sopporto il verso dei milioni dei corvi che la
infestano”) e di Rishikesh, dove sarei poi andato nel 1984 anche seguendo le sue suggestioni….
Mi piaceva anche sentire come aveva vissuto e affrontato le sue malattie, i suoi periodi in clinica, i suoi tentativi di guarigione…
Mi piaceva il distacco quasi assoluto che mostrava per il mondo della “carriera”, fatto di successo esecuzioni festival commissioni
scadenze affanni…
Mi piaceva quando raccontava la storia del meraviglioso dittico di Dalí che sovrastava il divano dove lui sedeva. Il poeta Éluard
(rappresentato con la testa piena di nuvole) era andato a trovare il pittore a Cadaqués facendogli conoscere Gala (dipinta da Dalí
con la testa quasi vuota). Questa si sarebbe poi vendicata diventando in seguito la sua compagna e la sua Musa.
Mi ipnotizzava ascoltare alcuni suoi brani che non conoscevo e che lui stesso metteva sul registratore. In particolare ricordo la
versione di Ko-Tha suonata sulla chitarra da lui stesso e il primo ascolto di Konx-Om-Pax che mi fece sprofondare in quella poltrona
consunta, antichissima, già provata da secolari sedute.
Mi piaceva ascoltare la sua interpretazione della storia della musica occidentale - la ripeteva spesso - secondo la quale la musica
era iniziata con gli unisoni e le ottave per poi passare, nel Medioevo e nel Rinascimento, alle quarte e le quinte. Quindi, con l’epoca
barocca e poi romantica, l’avvento delle terze e della seste e, infine, le settime e le seconde del ‘900. Finalmente però, con lui, la
musica era ritornata all’unisono delle origini. Davvero, nel caso di Scelsi, si può affermare con Egon Schiele che ”Kunst kann nicht
modern sein; Kunst ist Urewig”.
Due compositori, secondo lui, avevano avuto le capacità per allontanarsi dall’eurocentrismo musicale: Mozart, che però era stato
per così dire castrato dal padre che gli aveva “insegnato la musica” ingabbiandolo nelle regole della forma sonata, e Wagner, il
quale era stato sovrastato dal proprio ego debordante.
E non potevo non riflettere sul suo modo di “comporre”. Registrare improvvisazioni e poi trascriverle, adattarle, svilupparle ha fatto
parte del background di tutta una generazione tra gli anni ’60 e ’70 cresciuta con il Revox o apparati di registrazione simili. Lui
l’aveva fatto un paio di decenni prima e oggi, anche grazie alle possibilità offerte dal computer, è una pratica comune nelle musiche
non accademiche.
Mi diede la partitura di Mantram, Canto anonimo per uno strumento, verso il 1987 o 1988 chiedendomi se potevo suonarlo con
il contrabbasso. Anche in questo caso restò molto sul vago e, a parte un riferimento all’area geografica di un Medio Oriente
molto esteso, mi diede ben poche indicazioni. Soprattutto il sottotitolo mi sembrava ben riflettere la sua personalità essendo lui,
sicuramente, il grande anonimo del XX secolo. Lo eseguii in prima esecuzione a Colonia, nel dicembre 1990, in occasione del
festival a lui dedicato dalla WDR e curato da Wolfgang Becker.
Dopo otto anni di conoscenza, poco prima che lui morisse, mi chiese di dargli del tu. Non ci riuscii e forse è stato giusto così.
Il caso Scelsi, per me, è anche la dimostrazione di un paio di teorie. La prima è che spesso la creazione artistica, quella più
autenticamente originale, è legata a un conflitto, a un trauma (la psicanalisi e le biografie di molti artisti ce l’hanno insegnato) con i
suoni, le immagini o le parole. L’altra, direttamente legata alla prima, è che l’innovazione radicale deve assumere come categoria
fondamentale della creazione artistica il rischio di mettersi in gioco totalmente, a volte anche a scapito della salute e della stessa
vita.
Così André Breton in Prolegomeni a un Terzo Manifesto del Surrealismo o no:
“Troppi quadri […] fanno sfoggio oggi nel mondo di qualcosa che non è costato niente agli innumerevoli epigoni di De Chirico, di
Picasso, di Ernst, di Masson, di Miro, di Tanguy […] a coloro che ignorano che non c’è grande spedizione, in arte, che non venga
intrapresa a rischio della vita, che la strada da seguire non è, con ogni evidenza, quella fiancheggiata da ringhiere e che ogni artista
deve rimettersi da solo alla ricerca del Vello d’Oro”.
Stefano Scodanibbio, Dicembre 2007
* Devo questa definizione a Mario Lavista che la utilizzò in una conversazione risalente agli anni ’80.
Non conosco nessuno che abbia fatto ciò che ha fatto Scelsi […] è stato un lavoro importantissimo e totalmente compiuto.
John Cage
Note alle composizioni di Giacinto Scelsi
Suite n. 10 “Ka”
Il sottotitolo della decima suite del 1953 è “Ka”, una parola che «ha significati diversi, ma il cui significato principale è “Essenza”».
Il lavoro, diviso in sette movimenti, contiene l’essenza della tecnica del suono di Scelsi. Scrive Michelle Biget: «Sebbene nelle sue
opere pianistiche siano isolabili fenomeni di nature chiaramente diverse e talvolta opposte, la maggioranza di essi è riconducibile ad
un trattamento in ostinato». Il concetto di ostinato scelsiano è applicato non solo ai suoni isolati ma anche alle componenti accordali.
Scrive ancora Biget: «Esteso sulla totalità della tastiera o confinato in un ambito limitato, linea tenuta o moltiplicata in aggregati,
posizionata in regioni timbriche diverse, in constante metamorfosi grazie ai numerosi modi di produzione del suono che la morbidezza
della macchina pianistica permette, l’ostinato è mutevole e, in quanto tale può pretendere che qualcosa si produca, condizione senza la
quale non sono possibili né avvenimenti sonori, né strutture, né opera».
Il primo movimento della Suite “Ka” è caratterizzato da una lunga monodia dove, afferma Robin Freeman, «tutte le note tranne il Do
centrale costituiscono una specie di efflorescenza ornamentale o, per servirsi di parole che avrebbe senza dubbio preferito Scelsi –
creano un’aura o emanazione intorno ad esso».
Nel secondo movimento della Suite l’autore forma degli aggregati cromatici intorno al Mi ripetuto nel registro centrale del pianoforte; nel
finale del brano il Mi va disperdendosi per lasciare il posto al Do.
Il terzo movimento è basato sulla ripetizione di una breve figura costituita da note staccate.
Il quarto movimento, rivela Freeman, «reca un passaggio a campane modellato da irregolari pulsazioni ritmiche e da un vibrato di
pedale che provoca fluttuazioni tonali e microtonali».
Il breve quinto movimento è giocato nel registro acuto dello strumento ed è contrassegnato da motivi veloci e pungenti.
Un rapidissimo e «squillante» Do ribattuto, contrappuntato da altre note pregnanti (Re bemolle, La), caratterizza il sesto movimento; il
brano poggia su un pedale di Fa che rimbalza su diverse ottave.
Il settimo e ultimo movimento della Suite si apre con reiterate settime maggiori ascendenti (Sol bemolle - Fa) da suonare, secondo
l’indicazione di Scelsi, «fortissimo, come fendenti di sciabola»; successivamente l’autore cambia non solo la direzione e la qualità degli
intervalli, ma anche il registro; segue una coda con la sua ostentata ripetizione dell’unico suono: il Fa diesis.
Tonino Tesei
Et maintenant c’est à vous de jouer
Il pezzo è una grande meditazione per gli strumenti bassi. Scelsi diceva frequentemente che si considerava un canale, un filtro per
trasmettere i più alti significati musicali alla gente. Egli riuscì nel suo intento attraverso la meditazione, che praticò per molti anni e, in
questo stato di rivelazione suonò e scrisse la sua musica. Egli considerava la sua musica un dono.
Frances-Marie Uitti
Rotativa
«L’acuta bellezza di una grande
macchina» recita un verso tratto da Il
Grande Amante, una poesia fortemente
sensuale scritta da Rupert Brooke nel
1914. Brooke […] un poeta soldato che
morì troppo presto all’inizio della Grande
Guerra, divenne uno dei poeti preferiti dai
giovani nel periodo fra le due guerre. Nel
1930 il venticinquenne Giacinto Scelsi
era a tal punto ammaliato da Brooke da
iscrivere il succitato verso sulla copertina
interna di Rotativa (Movimento sinfonico),
arrangiato per pianoforte dall’autore stesso
e pubblicato a sue spese dall’editore
Ricordi. Secondo un approfondito saggio
della musicologa italiana Alessandra
Carlotta Pellegrini, la prima esecuzione
di Rotativa ebbe luogo a Parigi, nella
Salle Pleyel, il 20 dicembre 1931, sotto
la direzione di Pierre Monteux. In quella
occasione, Monteux diresse una versione
del brano (oggi persa) per tre pianoforti,
ottoni e percussioni. Una seconda versione
per due pianoforti è stata di recente
riscoperta nell’Archivio della Fondazione
Isabella Scelsi (Roma) e pubblicata da
Salabert […]. Inoltre, una quarta versione
per due pianoforti (ugualmente disponibile
presso Salabert) fu preparata da Pietro
Scarpini ed eseguita a Losanna (all’Istituto
Italiano di Cultura) nel giugno del 1942 da
Nikita Magaloff e Maurice Perrin. La terza
I campanacci e Deva. Soggiorno della casa di Giacinto Scelsi, oggi Museo Casa Scelsi;
la collezione di strumenti di varia provenienza (particolare)
Foto Francesca D’Aloja / Fondazione Isabella Scelsi
La musica non può esistere senza il suono ma il suono esiste benissimo senza la
musica.
Giacinto Scelsi
versione di Rotativa per pianoforte solo
[…] ebbe la sua prima a Roma al Circolo
delle Arti e delle Lettere il 17 marzo 1934 a
opera di Ornella Puliti Santoliquido.
Come dice il titolo, l’opera è un omaggio
a una macchina […] o alla bellezza
del mondo meccanico, in sintonia con
composizioni simili del tempo. Vengono
alla mente il Ballet Mécanique (1926)
di George Antheil, Pacific 231 di Arthur
Honegger e un opera del costruttivista
russo Alexander Vasilievic Mosolov
intitolata Fonderie d’acciaio, eseguita a
Mosca nel 1927. Tuttavia, il pezzo di Scelsi
non contiene la sgradevolezza sonora
sfacciata, percussiva e chiassosamente
futurista propria di così tanta «musica
delle macchine» del periodo. Al contrario
esso è permeato da un suono pianistico
nostalgico, denso di accordi morbidi e
carico di inquietudine, che riecheggia
soprattutto la musica di Emanuel Chabrier
o anche di Ravel. In effetti, le frasi corte
continuamente accennate, gli spasmodici
crescendo e i climax inadempienti
sembrano seguire lo scorrere dei bei versi
di Brooke i quali, senza con ciò volere
implicare alcuna contestualità, potrebbero
essere letti a fianco della musica come in
un melologo.
Franco Sciannameo
Ygghur
Il tripartito Ygghur (catarsi o purificazione in sanscrito) è la terza sezione, dopo Triphon e
Dithome, della Trilogia di Scelsi I tre stadi dell’uomo (1956-65), una grande composizione
per violoncello solo dedicata a Frances-Marie Uitti che l’ha eseguita per la prima volta a
Como nel 1976.
Le sezioni della Trilogia scelsiana recano i seguenti sottotitoli: I. Giovinezza – Energia –
Dramma; II. Maturità – Energia – Pensiero; III. Vecchiaia – Ricordi – Catarsi/Liberazione.
Questo lavoro è generalmente considerato come una sorta di autobiografia del
compositore.
«Ygghur» precisa Uitti «è scritto su quattro pentagrammi, uno per ciascuna corda
(o voce). Lo strumento è accordato in modo da permettere alla mano sinistra di
includere degli unisoni attraverso tutte le quattro corde. […] Le potenti oscillazioni che
caratterizzavano Dithome sono ora trasformate in sublimi movenze che danno un senso
di musica totalmente liberata. Gli armonici e i trilli elevano ancora la trascendenza
sonora; le dinamiche in costante regressione, associate all’alta tessitura del terzo
movimento, fanno aumentare il senso di dematerializzazione».
Tonino Tesei
Le Réveil profond
Le Réveil profond è la seconda parte di un dittico intitolato Nuits, del 1972. […] Si tratta
di due brani squisitamente autobiografici che si rifanno all’abitudine di Giacinto Scelsi di
alzarsi solo a pomeriggio inoltrato, e vivere praticamente durante la notte. Nella prima
parte (C’est bien la nuit), il compositore descrive con vivacità e ritmo la magia della notte,
in pieno contrasto con il lento movimento del secondo brano Le Réveil profond.
Il passaggio dal sonno alla veglia non è il violento richiamo alla realtà a cui purtroppo
si è abituati, ma la lenta presa di coscienza del proprio ciclo vitale. Questo «ritorno» è
suggerito musicalmente da un continuum di ottave arricchite dagli armonici, con lievi
bagliori sonori, quasi a rappresentare lampi di luce filtranti dalle fessure in una stanza
buia.
Come non pensare all’analogo episodio del risveglio nell’opera per orchestra Aiôn? Qui il
risveglio è il preludio a una giornata di Brahma, genesi di grandi imprese: caccia, guerra,
amori; la giornata di una divinità naturalmente «dura secoli», come amava sottolineare lo
stesso Scelsi.
Quartetto n. 3
Scritto nel 1963, il Quartetto n. 3 è diviso in cinque movimenti, ciascuno dei quali reca un titolo: I. Avec une grande tendresse
(dolcissimo); II. L’appel de l’esprit: dualisme, ambivalence, conflit (drammatico); III. L’âme se réveille (con trasparenza); IV. …et tombe
de nouveau dans le pathos, mais maintenant avec un pressentiment de la libération (con tristezza); V. Libération, catharsis.
Benché i cinque movimenti siano collocati in registri ed espressioni differenti, sono tutti saldamente legati tra loro. Ogni movimento,
infatti, trova la sua unità in un’unica «nota polare», in un’unica «atmosfera», e soprattutto in un unico aspetto timbrico.
La «nota polare», non assimilabile alla tonica tradizionale, è una sorta di asse centrale, attorno al quale Scelsi organizza il processo
compositivo.
Ecco le «note polari» dei cinque movimenti: La diesis – Mi – Sol – La diesis – Fa.
Ogni movimento del Quartetto si concentra sulla rispettiva «nota polare» (in unisono e in ottava) e su piccoli spostamenti di altezza e di
dinamica. Lievi glissandi, portamenti insensibili e microtoni infrangono il sistema temperato. Tre tipi di vibrato (lento, normale, ampio),
tremoli (ritmati o non, su una o due corde) e trilli realizzano un continuum micromodulatorio. Numerose tecniche di produzione del
suono (con sordina o senza, pizzicato o arco, sul ponticello o sulla tastiera, naturale o armonico) determinano un flusso ininterrotto di
microvariazioni timbriche. Infine, il suono nasce «come dal nulla», indugia nel tempo per poi svanire di nuovo: il ritmo perde così la sua
forza di impatto, ma l’obiettivo della ricerca musicale di Giacinto Scelsi è l’esplorazione delle qualità sostanziali del suono.
Singolare è il quarto movimento: è il palindromo (retrogrado) quasi esatto del primo.
Tonino Tesei
Natura renovatur
Natura renovatur del 1967 è una trascrizione per 11 archi solisti del Quarto Quartetto del 1964 dove l’autore rinuncia a dividere il
pezzo in tempi e caratteri diversi. «La forma» scrive Martin Zenk «viene qui concepita da Scelsi non come un discorso che fissi aspetti
tematici determinati, li discuta e li porti a risoluzione, ma come un movimento del suono dilatato nel tempo, spinto in modo espressivo
verso l’alto. […] Su un molteplice reticolo di ottave, i suoni (Klänge) si spingono verso l’alto […]. La composizione è “terminata” con
la misurazione di tutti gli spazi intermedi e dello spazio delimitato. […] La tensione della composizione risulta da questo sforzo a
riempire lo spazio nella sua interezza e profondità, e dalla molteplice eterofonia». Precisa ancora Zenk: «Il suono non viene inteso
come un materiale con delle sedimentazioni storiche e delle implicazioni compositive determinate […], ma piuttosto come materia, la
cui dinamica propria deve essere messa in evidenza dal compositore. Egli non porta a compimento le tendenze storiche immanenti al
materiale, ma lascia la materia libera in quanto “natura”». In questo brano Scelsi evita tutto ciò che è fissato e chiaramente delimitato
come il passaggio netto tra suono e suono. Scrive Zenk, invero: «La distanza tra i suoni viene riassorbita. […] Ciò avviene da una
parte sopprimendo la differenza, di principio per il suono, tra centro e involucro, tra parte interna ed esterna, in quanto involucro,
cioè le oscillazioni e vibrazioni micro tonali, appartengono esse stesse direttamente al suono; dall’altra, includendo i quarti di tono,
[…] i glissandi tra i quarti di tono e i semitoni, mediante i quali si sovrappongono i confini tra i suoni, e la permeabilità che si crea tra
di loro rende possibile un infinito fluire. Questa permeabilità viene accresciuta attraverso i passaggi graduali, nella dinamica, tra il
quadruplice piano e il triplice forte, e attraverso la differenziazione dell’articolazione che è, conformemente alla microtonalità, una
microarticolazione».
Così il suono acquista profondità e ampiezza e diventa un’entità complessa.
Tonino Tesei
Action music
Nella sua […] composizione per pianoforte, Action music del 1955, la seconda è il più piccolo elemento costruttivo per dei clusters più
o meno estesi oppure per dei glissandi di clusters, dunque è l’elemento costruttivo di aggregati sonori che allora in Europa – nel 1955
– quando non ci si degnava di ricordare nemmeno l’opera per pianoforte di Ives, non erano ancora entrati nel campo visivo, o meglio
di ascolto. Già all’inizio del pezzo, Scelsi oppone a quattro clusters da suonare con l’avambraccio cinque suoni singoli e i due intervalli
di seconda maggiore e minore, che da quei clusters vengono subito inghiottiti. Componendo in tutti i nove pezzi degli aggregati sonori
di diverse proporzioni, Scelsi prescrive in realtà una serie di azioni da eseguire in diversi modi, allarga il modo tradizionale di suonare
il pianoforte e la tecnica delle dita, trasformandoli in azioni per il palmo della mano, il pugno e l’avambraccio, e il suono singolo, la cui
strutturazione sempre più differenziata sembrava essere intenzionale in Scelsi, emerge ora come uno degli innumerevoli atomi dal
movimento di massa in cui poi scompare, oppure si oppone con uno sforzo estremo alle schiere di suoni imperversanti. Come già dice
il titolo, l’Action music è forse la prima composizione in cui sono prescritte delle azioni, e anticipa, sia nei confronti del pianista che
della musica, la gestualità poi così caratteristica che tratta lo strumento in modo non convenzionale, e l’aggressione violenta contro il
pianoforte quale odiato oggetto di culto, gestualità che doveva sia preservare dal soffocamento e sia avere una funzione liberatrice.
Hans Rudolf Zeller
I presagi
La composizione in tre movimenti per ensemble I presagi (1958) riguarda la premonizione visionaria della caduta di una città Maya.
Questo pezzo presenta una strumentazione insolita: due corni, due trombe, un sax, due tromboni, due tube, percussione e macchina
del vento. Il primo movimento gira intorno alla nota Si bemolle come un centro energetico, mentre il secondo movimento orbita intorno
alla nota Do. La carica di energia potenziale del primo movimento è risolta nel terzo quando le percussioni suonano per la prima volta
producendo un finale furioso e apocalittico.
Tonino Tesei
Trovo Scelsi interessantissimo perché originale e caldo. Il calore è una qualità estremamente rara in musica.
Iannis Xenakis
Anahit
Anahit del 1965, un «poema lirico sul nome di Venere» per violino e 18 strumenti, si distingue innanzitutto per una particolarità della
disposizione dell’ensemble che dovrebbe esservi abbastanza familiare dalla musica tradizionale, e che qui però non è del tutto senza
problemi: mi riferisco al cosiddetto rapporto concertante tra un solista e un collettivo, e al fatto che volere attribuire a quest’ultimo
una funzione di «accompagnamento» significherebbe in realtà misconoscere completamente l’impianto dei significativi concerti
strumentali di epoche passate. In Anahit di Scelsi, la parte del violino solista si distingue da quella dell’orchestra unicamente per la sua
esorbitante difficoltà, e in questo almeno la disposizione sociale dell’opera è la stessa del celebre Concert for Piano and Orchestra
di Cage del 1958-1959: il privilegio solistico viene dunque negato a favore dell’emancipazione di tutti gli esecutori […]. Persino la
«cadenza» del violino, nella parte centrale dell’opera, quando l’orchestra tace, vi apparirà non come un eccesso di virtuosismo, cosa
che effettivamente è dal punto di vista della tecnica strumentale, ma semplicemente come uno stadio del decorso formale dove
l’ampiezza sonora, uno dei parametri variabili costitutivi della composizione, raggiunge il suo minimo o, detto diversamente, dove la
rarefazione raggiunge il suo massimo. D’altronde il senso delle voci singole è, in modo palese, diametralmente opposto a quello che
esse hanno nel concerto per pianoforte di Cage, dove è abolita ogni relazione tra di loro. In questa opera di Scelsi esse non solo si
fondono virtualmente in uno strumento unico, per così dire ideale, ma questo risultato, proprio in conformità alla propria idea, precede
obbligatoriamente del tutto la sua realizzazione tecnica, poiché esso concretizza quel suono ascoltato nell’interno, la cui scomposizione
in aspetti empiricamente percettibili costituisce quel contrario […] della «composizione» intesa come una combinazione di elementi.
Qui, però, la riflessione non è in grado di impadronirsi completamente dell’opera; di conseguenza deve restare un sovrappiù di
complessità musicale, poiché la sonorità virtuale, di cui la musica sta ad ascoltare cangiante le sfaccettature spettrali, sonorità che
anzi viene tradotta in percettibilità sempre soltanto in sue parti caratteristiche di volta in volta determinate, permane essa stessa in una
sfera dell’ignoto che, dal punto di vista categoriale, sarebbe da definire al di là ancora di quell’Ignoto nell’arte che secondo Baumeister
provoca l’insorgere dell’originalità.
Heinz-Klaus Metzger
Ribattendo a lungo una nota essa diventa grande, così grande che si sente sempre più armonia ed essa vi si ingrandisce all’interno,
il suono vi avvolge. […] Il suono contiene un intero universo, con armonici che non si sentono mai. Il suono riempie il luogo in cui vi
trovate, vi accerchia, potete nuotarci dentro. […] Quando si entra in un suono ne si è avvolti, si diventa parte del suono, poco a poco
si è inghiottiti da esso e non si ha bisogno di un altro suono. […] Tutto è là dentro, l’intero universo riempie lo spazio, tutti i suoni
possibili sono contenuti in esso.
Giacinto Scelsi
Interpreti
Naomi Berrill e’ nata a Galway (Irlanda) nel 1981. I suoi
genitori sono insegnanti di musica ed hanno avuto un ruolo
fondamentale nel suo percorso formativo.
Nel 1997 ha vinto una borsa di studio per studiare violoncello
alla Royal Irish Academy of Music di Dublino.
Nel 2000 si e’ trasferita a Glasgow dove, all’accademia
RSAMD, ha conseguito il diploma di musica studiando con il
Maestro Robert Irving.
Durante il suo percordo di studi Naomi ha studiato musica
elettroacustica, jazz e folk, affiancando lo studio del violoncello
con quello del pianoforte, canto, chitarra, violino e trombone.
A completamento dei suoi studi Naomi ha partecipato ad
importanti corsi estivi e masterclass tra cui: Eton Cello Course
con Louise Hopkins (London), Banff Chamber Music Course
(Canada), Concorda European Chamber Music con Mstislav
Rostropovich (Italia).
Nel 2005 ha avuto il suo debutto come violoncellista con tre
perfomance delle Variazioni su un tema rococò per violoncello
op. 33 di Tchaikovsky con la Royal Scottish Academy
Orchestra.
Dopo il diploma Naomi si e’ trasferita in Italia dove ha iniziato
gli studi con Enrico Bronzi (Trio di Parma) e Francesco Dillon
(Quartetto Prometeo e Ensemble Alterego).
Al momento vive a Firenze ed è violoncellista del Trio Alba
ed insegnante alla Scuola di Musica di Fiesole. Le sue
collaborazioni si estendono anche negli ambiti della musica
tradizionale irlandese, nel jazz sperimentale e del pop con
alcune collaborazioni con i La Crus.
Naomi collabora stabilmente con gli ensemble Musicamorfosi
(Monza), NEM (Firenze) , Fontana Mix (Bologna) e Wu Ming
(Lodi).
Francesco Dillon è nato a Torino nel 1973. Si è diplomato
con il massimo dei voti al Conservatorio “L. Cherubini” di
Firenze sotto la guida di Andrea Nannoni . E’ stato per tre anni
prima parte dell’Orchestra Giovanile Italiana, si è perfezionato
in seguito con David Geringas, Mario Brunello e Amedeo
Baldovino, ha frequentato masterclasses con M.Rostropovich
e Anner Bylsma ed è stato allievo, per la composizione,
di Salvatore Sciarrino. Accanto all’attività solistica (con
l’Orchestra nazionale della RAI, l’Orchestra Sinfonica Siciliana,
l’Orchestra Haydn di Bolzano, Accademia i Filarmonici di
Verona fra le altre) svolge un’ intensa attività cameristica
con il Quartetto Prometeo in Italia e all’ estero (tournées in
Giappone, Polonia, Germania, Irlanda, Francia, Inghilterra,
Belgio, Austria, Sudamerica, Albania) e nel campo della
musica contemporanea con l’ ensemble Alter-Ego suonando
moltissime opere in prima esecuzione nei più importanti festival
d’Europa e del Mondo (Stockholm New Music, MaerzMusik,
Festival Archipel, Ircam, Holland Festival, Romaeuropa
Festival,Ultima Festival di Oslo, Wien Modern, Gaida Festival,
Huddersfield Festival, Nous Sons a Barcellona, Taktlos a
Berna, Biennale Musica a Venezia, Musica Electronica Nova
a Wroclaw, Takefu, Ilkhoom a Tashkent, Teatro S.Martin a
Buenos Aires…) e collaborando strettamente con compositori
tra i quali Gavin Bryars, Luca Francesconi, Philip Glass,
Vinko Globokar, Jonathan Harvey, Giya Kancheli, David
Lang, Henri Pousseur, Steve Reich, Kaja Saariaho, Salvatore
Sciarrino, John Zorn e con celebri musicisti elettronici come
Matmos, Pansonic, Scanner,Alva Noto. Nel 1995 viene scelto
da Giuseppe Sinopoli come violoncellista dei Solisti dell’
Accademia Filarmonica Romana. Collabora abitualmente in
formazioni di musica da camera con musicisti come I. Arditti,
M. Brunello, G. Carmignola, M. Campanella, P. Farulli, D.
Geringas, V. Hagen, A. Lonquich, A. Lucchesini, E. Pace, R. Schmidt (quartetto Hagen), S. Scodanibbio, P. Vernikov.
Ha vinto la Rassegna di violoncello di Vittorio Veneto (1994)
e, col quartetto, premi alla “Primavera” di Praga, ARD Munich,
Bordeaux. Ha inciso per Aulos, Dynamic, Kairos, Ricordi,
Sonoris, Stradivarius e Touch. Tra gli ultimi impegni discografici
le prime incisioni della Ballata di Giacinto Scelsi e delle
Variazioni di Salvatore Sciarrino con l’Orchestra nazionale della
Rai, registrazione premiata con il prestigioso “Diapason d’Or” e
il debutto del progetto di improvvisazione BOWLINE in duo col
musicista portoghese David Maranha. Insegna alla Scuola di
musica di Fiesole.
Henry Domenico Durante, nato nel 1983, si diploma con il
massimo dei voti e la lode in violino e in Discipline Musicali sotto
la guida di R. Donà e G. Arnaboldi perfezionandosi a sotto la
prestigiosa guida di G. Mönch e presso l’Accademia dei “Solisti
di Pavia” con M. Rogliano. Ha seguito master class di violino e
musica da camera con N. Beilina e di pianoforte e musica da
camera con E. Bagnoli, R. Galletto, l’Apple Hill Chamber Players
ed in formazione di Trio con Pier Narciso Masi e Trio di Parma.
Risulta vincitore in diversi concorsi nazionali ed internazionali
fra i quali: Moncalieri, “Archi” di Milano, Pistoia, Arezzo e
nel 1997, concorrendo a Roma con i migliori strumentisti
dei Conservatori italiani, vince la borsa di studio SIAE in
collaborazione con il Conservatorio S. Cecilia di Roma,
riconfermata per merito ogni anno fino al conseguimento del
Diploma.
In recital per violino solo, con il Trio Dmitrij e in formazioni
cameristiche diverse, suona in sedi prestigiose in Italia,
Germania e America, invitato in qualità di Solista con varie
orchestre fra le quali si distingue l’Orchestra Filarmonica di
Vidin (Bulgaria), l’International Chamber Ensemble.
Nel 2008 è stato invitato presso il teatro di Fermo ad eseguire
l’Histoire du Soldat di Stravinskij e la Creation du Monde di
Milhaud.
Nel 2002 e nel 2004 ha inciso due CD con musiche di W.A.
Mozart, Saint-Saëns e Ciaikovsky. Nel 2006 ha registrato un
CD per Idyllium con musiche inedite di A. Longo.
Henry suona un violino S. Klotz del 1747 e un De Francesco
del 1998.
Marino Formenti, pianista e direttore d’orchestra.
Salutato dal Los Angeles Time come il “Glenn Gould del XXI
secolo”, Marino Formenti viene considerato tra i più importanti
interpreti nel mondo della musica contemporanea. Si è esibito
in alcuni dei maggiori Festival e istituzioni concertistiche, tra cui
il Lincoln Center for the Performing Arts, Festival di Salisburgo,
Festival di Lucerna, Edinburgh International Festival, Festival
di Bregenz, Festival Lockenhaus di Gidon Kremer, i Festival
AGORA e IRCAM a Parigi, Festival Musica di Strasburgo,
Berliner Festwochen, Philharmonie e Konzerthaus di Berlino,
Musikverein e Konzerthaus di Vienna, le Philarmonie di
Colonia e Budapest, Rachmaninov Hall di Mosca e Filarmonia
di San Pietroburgo, Suntory Hall ,Casals e Oji Hall di Tokyo.
Durante la stagione 2007/08 Marino Formenti ha eseguito al
Festival di Lucerna con grande successo il suo programma
Kurtág’s Ghosts, pubblicato di recente da Kairos; nel ciclo
Prospettive di Maurizio Pollini ha diretto a Roma musiche di
Luigi Nono (che tornerà a dirigere nel corso del 2009 a Parigi
e al Teatro alla Scala di Milano); ha interpretato Irrene Stimme
di Stefano Gervasoni con Lothar Zagroseck e i Berliner
Symphoniker e il nuovo Concerto per pianoforte di Fabio
Nieder con la WDR Sinfonieorchester di Colonia; è tornato nel
Nord America ai Festival di Ravinia e Aspen con Vingt Regards
sur l’Enfant Jesus di Messiaen, nell’ambito delle celebrazioni
per il centenario della nascita del compositore; ha debuttato
al Weimar Kunstfest di Nike Wagner con la prima mondiale di
un’opera di Olga Neuwirth.
Nella stagione precedente Marino Formenti ha presentato
alla San Francisco Piano Trips una serie di tre concerti
che esploravano il paesaggio della musica del XX secolo,
completati da due programmi interattivi per famiglie, andati
completamente esauriti; ha registrato Abschied di Michael
Jarrell con l’Orchestre de la Suisse Romande e realizzato
un ritratto della musica di J.M. Staud per KAIROS insieme
ai Berliner Philharmoniker diretti da Sir Simon Rattle; ha
partecipato al Festival “Dialogue” del Mozarteum di Salisburgo.
Ha lavorato con alcuni dei più importanti compositori viventi,
da Helmut Lachenmann a György Kurtág, Salvatore Sciarrino,
Olga Neuwirth e Beat Furrer.
Nel 2004 Marino Formenti ha debuttato come solista con la
Cleveland Orchestra diretta da Franz Welsler-Möst e con
l’opera di Olga Neuwirth locus…doublure…solus.
Come direttore d’orchestra, è stato assistente di Kent Nagano
e Sylvain Cambreling, alla Wiener Staatsoper, Opéra de Paris
e alla Los Angeles Opera; ha diretto alla Wiener Konzerthaus,
all’Accademia di S. Cecilia a Roma, per il Festival Wien
Modern e con il Klangforum Wien, Ensemble Online e Webern
Symphony Vienna; ha tenuto a battesino la prima austriaca
della prima opera di Kurt Weill Der Protagonist.
Nato a Milano, Marino Formenti ha studiato pianoforte,
composizione e direzione d’orchestra a Milano, Stoccarda
e Vienna, dove vive attualmente. Ha registrato per
numerose case discografiche, tra cui KAIROS, col legno
e BIS, riscuotendo entusiastiche critiche da parte della
stampa europea e americana e aggiudicandosi numerosi
riconoscimenti.
Juan Carlos Garvayo è nato nel 1969 a Granada, Spagna.
Ha iniziato i suoi studi al Conservatorio Victoria Eugenia della
sua città. Nel 1988 ha ricevuto una borsa di studio dal governo
spagnolo per continuare gli studi alla Rutgers University
(U.S.A.) e presso la State University of New York a Binghamton
dove ha studiato con Walter Ponce e Diane Richardson.
Ha effettuato tournée negli Stati Uniti, Canada, Europa, Cina,
Giappone, Sud America e nelle più importanti città spagnole.
Ha suonato in importanti festival internazionali: Festival dei
Due Mondi (Spoleto), Biennale di Venezia, Singapore Arts
Festival, Teatro Central (Siviglia), Festival Internacional de
Santander, Festival internacional de Granada, Strasbourg
Festival, ecc.
Come solista ha suonato con l’Orquesta Nacional de España,
la Mozart Orchestra of Philadelphia, la New American Chamber
Orchestra, l’Orquesta Sinfónica de Santa Fe (Argentina) e le
Orchestre Sinfoniche di Castilla-León, Siviglia, Gran Canaria,
Granada, Comunidad di Madrid, e l’Orchestra Nazionale
Lituana.
Oltre che con il Trio Arbós ha una intensa carriera come
musicista da camera collaborando con numerosi solisti
ed ensemble. Inoltre ha partecipato come pianista
accompagnatore a numerose masterclass con importanti
violinisti come I. Stern, Y. Menuhin, P. Zukerman, M. Fuks, M.
Vengerov, Z. Bron, D. Zafer, O. Krysa, L. Kaplan, E. Friedman,
H. Krebbers, ecc.
Ha registrato per Sony Classical, Fundación Autor, Disques
XXI Records e un doppio CD di musica per pianoforte di
compositori spagnoli contemporanei. Come membro del Trio
Arbós ha inciso musica di Luis de Pablo per l’etichetta col
legno e l’integrale dei trii di Joaquín Turina per Naxos.
Ha eseguito in prima esecuzione assoluta più di cento
composizioni molte delle quali a lui dedicate.
Come direttore d’orchestra ha presentato in prima assoluta
l’opera La noche y la palabra del compositore José Manuel
López a Madrid replicandola poi a Venezia.
È stato professore alla State University di New York a
Binghamton, alla Escuela Superior de Música Reina Sofía
di Madrid, al Conservatorio Superior di Salamanca e tenuto
diverse master class.
Attualmente insegna al Real Conservatorio Superior de Música
di Madrid.
Danilo Grassi svolge un’intensa attività in Italia e all’estero,
partecipando come solista alla preparazione e alla realizzazione
di prime esecuzioni di Luciano Berio, Chick Corea, Adriano
Guarnieri, Giacomo Manzoni, Steve Reich, Max Roach, Giacinto
Scelsi, Iannis Xenakis, in sedi quali l’Opéra Bastille di Parigi,
la Marking Concert Hall di New York, il Gulbenkian Centre di
Lisbona, il Teatro alla Scala di Milano e l’Opera di Roma. Ha
collaborato, inoltre, coi compositori Pierre Boulez, Franco
Donatoni, Gérard Grisey.
Le orchestre più importanti con le quali ha lavorato sono la
Filarmonica della Scala, l’Orchestra del Maggio Musicale
Fiorentino, l’Orchestra Sinfonica della RAI, l’Orchestra
della Radio Televisione Svizzera, la Jerusalem Philarmonic
Orchestra, Reale Orchestra Sinfonica di Siviglia; in ambito
cameristico ha lavorato con Orchestra da Camera di Mantova,
Accademia Bizantina di Ravenna, Arnold Schönberg Chor di
Vienna, Neue Vocalsolisten di Stoccarda, Athestis Chorus,
CARME, Novecento ed Eco Ensemble di Milano, Tempo Reale
di Firenze, Nuova Consonanza di Roma, Musica Insieme
di Cremona. Importanti anche le collaborazioni con Marta
Argerich, Markus Stockhausen, Ensemble InterContemporain,
Ensemble Edgar Varèse e Ensemble Labèque.
E’ titolare della Cattedra di Strumenti a percussione presso
il Conservatorio “A. Boito” di Parma e docente principale dei
Corsi di alto perfezionamento per percussionisti, patrocinati
dalla Comunità Europea.
Fabrizio Ottaviucci si è brillantemente diplomato in pianoforte
presso il Conservatorio di Pesaro sotto la guida di Paola
Mariotti; ha inoltre studiato Composizione e Musica Elettronica.
Ha tenuto concerti nelle più importanti città italiane e tedesche
e tournèe negli USA, Canada, Messico, Inghilterra, Spagna,
India. E’ stato più volte invitato a prestigiosi festival e rassegne
come Festival Pontino, Rassegna di Nuova Musica Macerata,
Milano Musica, “Traiettorie” Parma, Accademia S.Cecilia,
Nuova Consonanza Roma, Aterforum Ferrara, Evento Suono
Pesaro, Amici della Musica Palermo, Centro d’Arte Padova,
S. Maternus Köln, Tonhalle Dusseldorf, Festival Internacional
Cervantino Guanajuato, Jazz Festival di Bristol, Frankfurt, Berlin,
Vigo, ecc. Di particolare importanza la sua attività nella musica
contemporanea, nella quale ha collaborato con partner di grande
prestigio quali Rohan de Saram, Stefano Scodanibbio, Mike
Svoboda, Mario Caroli, Manuel Zurria, Francesco Dillon, Aldo
Campagnari, Tara Bouman, Markus Stockhausen con il quale
collabora intensamente dal 1986 anche nei repertori tradizionali.
Ha eseguito prime assolute dei compositori Stefano Scodanibbio,
Tonino Tesei, Fernando Mencherini, Ivan Vandor, Gilberto
Cappelli, Albero Caprioli. Ha studiato l’opera pianistica con
Giacinto Scelsi.
Attivo anche sul piano della sperimentazione ha tenuto concerti
con Gary Peacock, Robyn Schulkowsky, Paolo Giaro, Mark
Naussef, Conny Bauer.
Ha registrato per la ECM Monaco, CMP Köln, AMIATA Firenze,
SPLASH R. Milano, WISTERIA Amsterdam, AKTIVRAUM Köln,
STRADIVARIUS e WERGO.
Diversi concerti sono stati registrati e trasmessi da Rai Radio 3.
Vive ad Assisi dove dirige il progetto “laboratorio di musica
intuitiva”.
Marco Rogliano, avviato prestissimo allo studio della musica,
si è diplomato al Conservatorio S.Cecilia di Roma sotto la guida
di Antonio Salvatore.
Perfezionatosi con Ruggiero Ricci, Riccardo Brengola e
Salvatore Accardo, fa il suo debutto internazionale come solista
nel 1989 eseguendo il Concerto di Sibelius con la Helsingborg
Symphony Orchestra diretta da Ari Rasilainen.
Premiato ai concorsi internazionali Bucchi di Roma, ARD di
Monaco, East and West Artists di New York, ha tenuto concerti
solistici e cameristici nelle più importanti istituzioni italiane e
straniere collaborando con direttori come Lior Shambadal,
Gunther Neuhold, Marco Angius, Fabio Maestri, Tito Ceccherini
e strumentisti del calibro di Alexander Lonquich, Gianluca Luisi,
Roberto Cominati, Andrea Lucchesini, Maurizio Baglini, Shuku
Iwasaki, Salvatore Accardo, Enrico Dindo, Ingolf Turban, Reiko
Watanabe, Danilo Rossi, Bruno Giuranna, Rocco Filippini,
Franco Petracchi, Mario Caroli, Giampaolo Pretto, Alessandro
Carbonare, Fabrizio Meloni, Alessio Allegrini, Jonathan
Williams.
Ha ottenuto il prestigioso premio “Diapason d’Or” con la sua
incisione di Allegoria della Notte per Vl. e orch. di Salvatore
Sciarrino per Kairos con l’Orch. Sinf. Naz. della RAI diretta da
Tito Ceccherini ed i 24 Capricci di Paganini incisi per la Tactus
(secondo italiano dopo Salvatore Accardo) gli hanno procurato
un grande successo internazionale di critica su riviste come
Fanfare, Gramophone, Diapason (5 stelle) e Le Monde de la
Musique (4 stelle).
Ha inoltre inciso in Prima Assoluta l’Humoreske e la Leggenda
per violino e orchestra di Respighi per Inedita, l’integrale per
violino e pianoforte di Respighi e le Quattro Stagioni di Vivaldi
con “Stagioni” di Guarnieri per Tactus.
Nel 1996, Salvatore Accardo lo ha invitato personalmente
come Primo Violino Solista della sua Orchestra da Camera
Italiana e dal 2001 ricopre lo stesso ruolo nell’Ensemble
Cameristico “I Solisti di Pavia” fondato e diretto da Enrico
Dindo.
Tiene il Corso di Perfezionamento in Violino presso
l’Accademia Musicale di Pavia. Ha recentemente debuttato
come solista insieme al violinista Ingolf Turban nella Grosser
Saal della Filarmonica di Berlino dietro invito di Lior Shambadal
e dei Berliner Symphoniker. Nel luglio 2009 debutterà in Cina
con il Quarto Concerto di Paganini assieme all’Orch.Sinf.di
Macao.
Marco Rogliano suona su un Nicola Bergonzi (Cremona,1790)
affidatogli dalla Fondazione Maggini di Langenthal (Svizzera).
Gli è stato conferito il Premio Scanno 2008 per la Musica.
Stefano Scodanibbio, contrabbassista e compositore, è nato
a Macerata il 18.6.1956.
Ha studiato contrabbasso con Fernando Grillo, composizione
con Fausto Razzi e Salvatore Sciarrino, musica elettronica con
Walter Branchi, storia della musica con Michelangelo Zurletti.
Il suo nome è legato alla rinascita del contrabbasso negli anni
‘80 e ‘90, ha infatti suonato nei maggiori festival di musica
contemporanea numerosi pezzi scritti appositamente per lui da
compositori quali Bussotti, Donatoni, Estrada, Ferneyhough,
Frith, Globokar, Sciarrino, Xenakis.
Nel 1987, a Roma, ha tenuto una maratona di 4 ore non-stop
suonando 28 brani per contrabbasso solo di 25 autori.
Ha collaborato a lungo con Luigi Nono (“arco mobile à la
Stefano Scodanibbio” è scritto nella partitura del Prometeo) e
Giacinto Scelsi.
John Cage, in una delle sue ultime interviste, ha detto di lui :
“Stefano Scodanibbio is amazing, I haven’t heard better
double bass playing than Scodanibbio’s. I was just amazed.
And I think everyone who heard him was amazed. He is really
extraordinary. His performance was absolutely magic”.
Suona regolarmente in duo con Rohan de Saram e Markus
Stockhausen.
Nel 1996 è stato insegnante di contrabbasso ai Darmstadt
Ferienkurse, inoltre ha impartito Master Class e Seminari in
diversi luoghi: Rice University di Houston, Berkeley University,
Stanford University, Oberlin College, Musikhochschule
Stuttgart, Conservatoire de Paris, Conservatorio di Milano, ecc.
Ha composto più di 50 lavori principalmente per strumenti ad
arco (Sei Studi per contrabbasso solo, Six Duos per tutte le
combinazioni dei quattro archi, Concerto per contrabbasso,
archi e percussioni, 4 Quartetti, ecc.) e per quattro volte le
sue composizioni sono state selezionate dalla SIMC, Società
Internazionale di Musica Contemporanea (Oslo 1990, Città del
Messico 1993, Hong Kong 2002, Stoccarda 2006).
Nel giugno 2004 ha eseguito la prima esecuzione della
Sequenza XIVb di Luciano Berio, una propria versione per
contrabbasso dall’originale Sequenza XIV per violoncello.
Attivo nella Danza e nel Teatro ha lavorato con coreografi
e danzatori come Virgilio Sieni, Hervé Diasnas e Patricia
Kuypers e con il regista Rodrigo García,
Il suo lavoro di Teatro Musicale Il cielo sulla terra, con le scene
di Gianni Dessì e la drammaturgia di Giorgio Agamben, è stata
eseguito a Stoccarda nel giugno 2006, replicato a Tolentino
nel luglio dello stesso anno e ripreso a Città del Messico
nell’agosto del 2008.
Ha registrato per Montaigne Auvidis, col legno, Mode, New
Albion, Dischi di Angelica, Ricordi, Stradivarius, Wergo.
Di particolare rilievo le sue collaborazioni con Terry Riley e con
Edoardo Sanguineti.
Nel 1983 ha fondato e da allora dirige la Rassegna di Nuova
Musica di Macerata.
Ladislao Vieni comincia gli studi musicali nel Conservatorio
della sua città, Bologna. Studia la viola con Angelo Bartoletti e
Augusto Vismara. Segue corsi di perfezionamento con i violisti
Dino Asciolla, Bruno Giuranna, Piero Farulli e Jurij Bashmet,
frequentando istituti di musica quali la Fondazione “W. Stauffer”
a Cremona, la Scuola di Musica di Fiesole e l’Accademia
Musicale Chigiana a Siena. Nel 2006 consegue la Laurea in
Musica da camera al Conservatorio G. B. Pergolesi di Fermo.
Si dedica allo studio del repertorio cameristico sotto la guida di
importanti musicisti, quali Enzo Porta, Pavel Vernikov, Kostantin
Bogino, Maureen Jones, Alain Meunier, Berl Senovski e i
membri del Quartetto Amadeus.
Studia inoltre musica barocca con Giorgio Pacchioni e musica
jazz con Franco D’Andrea.
Svolge intensa attività cameristica nella più varie formazioni e
come solista con orchestra.Ha collaborato con diverse orchestre
tra cui l’Orchestra della RAI, l’Orchestra “Arturo Toscanini”,
spesso come prima viola. Risultato vincitore (1° classificato)
dei concorsi per orchestra presso l’E.A. Arena di Verona e
l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, diventa componente
di ruolo di quest’ultima, dove lavora fino al ‘94, anno in cui
vince il concorso per titoli ed esami per la docenza di Musica
da Camera presso i Conservatori. Nel ’95 entra a far parte
dell’Ensemble Koinè, un gruppo con organico molto flessibile
che pone particolare attenzione alla musica dal ‘900 in poi.
Sempre dal 1995 per tre anni è stato prima viola dell’ Orchestra
Internazionale d’Italia con la quale ha effettuato importanti
tournées all’estero, suonando con importanti solisti come J.
Bell, J. Carreras, B. Giuranna, I. Gruber, L. Kavakos,
V. Mullova, I. Oistrakh, J. P. Rampal e M. Rostropovič,
G. Kremer, N. Gutman. Dal 1998 collabora come prima viola
con la FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana. Nel 2000 ha
suonato per la rassegna “Verona Jazz” partecipando al progetto
“Carla Bley Fancy Chamber Music” di Carla Bley e Steve
Swallow. Insegna Musica da Camera presso il Conservatorio
Gioachino Rossini di Pesaro.
Chie Yoshida è nata in Giappone. A 4 anni inizia lo studio
del violino. Consegue la laurea in violino a Tokyo presso
l’Università di Musica Toho, dove ha studiato violino con
Takeaki Sumi e musica da camera con Syuku Iwasaki. Nel
1998 si trasferisce in Italia per studiare con Domenico Nordio.
Studia inoltre con Boris Belkin all’Accademia Musicale
Chigiana di Siena e con Paul Cassidy del Brodsky Quartet. Nel 2001 si esibisce in duo con pianoforte in Spagna e suona
come solista in Germania. Nel 2002 intraprende lo studio della
viola sotto la guida di Antonello Farulli, conseguendo il diploma
presso il Conservatorio di Livorno.
Nel 2003 prende parte al
quartetto di teatro comico musicale Euphoria, con il quale si
esibisce in numerosi teatri italiani ed europei partecipando ad
importanti festival ed eventi mediali fra i quali il Premio Tenco e
le Olimpiadi Invernali di Torino.
Nel 2006 è scelta dall’attore Marco Paolini per il ruolo di
protagonista femminile e viola solista nello spettacolo teatrale
“Sonata a Kreutzer”, scritto e interpretato dallo stesso Paolini,
con la partecipazione del violoncellista Mario Brunello e
dell’Orchestra da camera dell’Accademia Nazionale di
Santa Cecilia.
Dal 2006 fa parte dell’ensemble di musica
contemporanea FontanaMIX di Bologna.
L’Orchestra Filarmonica Marchigiana, fondata nell’anno
1985 ed oggi gestita dalla Fondazione Orchestra Regionale
delle Marche (FORM), è una delle tredici Istituzioni
Concertistiche Orchestrali italiane (ICO) riconosciute dal
Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Attualmente il M° Donato Renzetti ne è il Direttore Principale
ed Artistico.
Formata per la maggior parte da valenti musicisti marchigiani,
fra cui molti giovani, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana
affronta con notevole flessibilità il repertorio sia lirico, sia
sinfonico, distinguendosi di conseguenza per una particolare
duttilità sul piano artistico-interpretativo, come rilevato da
tutti gli interpreti e i direttori d’orchestra che con essa hanno
collaborato.
Nel corso della sua attività, consistente principalmente nella
realizzazione della Stagione Sinfonica in ambito regionale
e nella partecipazione alle più importanti manifestazioni
a carattere lirico delle Marche (Teatro Pergolesi di Jesi,
Sferisterio Opera Festival di Macerata, Teatro dell’Aquila di
Fermo, Teatro delle Muse di Ancona), si è esibita con grandi
interpreti come Gidon Kremer, Natalia Gutman, Vladimir
Ashkenazy, Andrea Bacchetti, Alessandro Carbonare, I solisti
della Scala, avvalendosi della guida di direttori di prestigio
internazionale, quali Gustav Kuhn (Direttore Principale dal
1997 al 2003), Woldemar Nelsson (Direttore Principale Ospite
dal 2004 al 2006), Daniel Oren, Donato Renzetti, Bruno
Campanella, Corrado Rovaris, Anton Nanut.
Rivolge una particolare attenzione alla valorizzazione dei
compositori marchigiani del passato, soprattutto Pergolesi,
Rossini e Spontini, promuovendo nel contempo anche l’attività
dei maggiori compositori marchigiani contemporanei. Collabora
con gli Enti e le Associazioni concertistiche più prestigiose
della regione Marche. Realizza inoltre circuiti di concerti
destinati al pubblico scolastico.
Dal 1998 al 2002 è stata orchestra principale del Festival
Snow & Symphony di St. Moritz. Nel maggio del 2003 ha
effettuato una tournèe di concerti in Austria con il sostegno del
Consolato Italiano di Innsbruck e l’Istituto Italiano di Cultura.
Nel 2005 è stata invitata dal Presidente della Repubblica Carlo
Azeglio Ciampi ad eseguire, in collaborazione con il Coro Lirico
Marchigiano “V. Bellini”, il tradizionale Concerto di Fine Anno
al Quirinale sotto la direzione del Maestro Donato Renzetti,
riscuotendo apprezzamenti critici e un grande successo di
pubblico.
Nel 2006, in occasione dei 250 anni dalla nascita di Mozart,
ha realizzato con il contributo dell’Assessorato alla Cultura
della Provincia di Macerata il progetto “Sinfonie d’organo”, un
concerto itinerante teso alla valorizzazione del patrimonio degli
antichi organi delle Marche nello splendore artistico dei luoghi
che li ospitano.
Nel Natale del 2006, sotto la direzione di Corrado Rovaris,
ha eseguito in tournée a Roma, Betlemme e Gerusalemme il
Concerto per la Vita e per la Pace, con il soprano Cinzia Forte
e il violoncellista Enrico Dindo. Il concerto è stato trasmesso in
differita su RAI 1 e su RADIO 3.
L’Orchestra Filarmonica Marchigiana è presente sul mercato
discografico con numerose incisioni, tra cui si segnalano: La
Serva Padrona e Stabat Mater di G.B. Pergolesi, Guntram di
R. Strauss, Rossini Ouvertures, Le nozze di Figaro di W.A.
Mozart, Oberto Conte di San Bonifacio e Preludi e Ouverture
di G. Verdi. Nel 2003 è uscito il DVD dell’opera L’elisir d’amore
di Donizetti realizzato dalla Rai, mentre nel 2004 il CD Sinfonia
n. 9 di G. Mahler e il DVD dell’opera I racconti di Hoffmann di
Offenbach.
Direttore di palcoscenico Paolo Appignanesi
Registrazioni audio e sito web Andrea Lambertucci
Foto Fabio Falcioni
Amministrazione Maria Sara Rastelli, Roberta Spernanzoni, Cecilia Torresi
Segreteria Paola Pierucci
Collaborazione Enrico Crucianelli
Si ringraziano:
Luciano Messi direttore dell’organizzazione artistica e tecnica di Sferisterio Opera Festival
Fabio Tiberi direttore generale della Fondazione Orchestra Regionale delle Marche
gli uffici amminstrativi della Fondazione Orchestra Regionale delle Marche
Pippo Ciorra, Giulia Menzietti e Manuel Orazi
In copertina: flag (particolare) di Fabio Falcioni