27. rassegna di nuova musica Programma Stefano Scodanibbio Produzione Gianluca Gentili Consulenza artistica Tonino Tesei www.rassegnadinuovamusica.it Associazione Arena Sferisterio | Rai Radio3 Fondazione Orchestra Regionale delle Marche xenaki lunedì 18 maggio Rebonds (1989) Danilo Grassi percussioni La Légende d’Eer (1977) proiezione del film di Bruno Rastoin martedì 19 maggio Psappha (1975) Danilo Grassi percussioni Dikhthas (1979) Marco Rogliano violino Juan Carlos Garvayo pianoforte Evryali (1973) Juan Carlos Garvayo pianoforte Ittidra (1996) Marco Rogliano violino Henry Domenico Durante violino Ladislao Vieni viola Chie Yoshida viola Francesco Dillon violoncello Naomi Berrill violoncello Iannis Xenakis (Brăila, Romania, 29 maggio 1922) compositore, architetto e ingegnere greco naturalizzato francese. Ad Atene studiò musica con A. Kundurov e si laureò in architettura al Politecnico. Membro della resistenza greca, rimase gravemente ferito in uno scontro con gli inglesi, condannato a morte, si rifugiò in Francia, dove si stabilì (otterrà la cittadinanza nel 1965). Per dodici anni collaborò con Le Corbusier, partecipando al progetto del padiglione Philips all’Esposizione di Bruxelles del 1958; contemporaneamente studiò con O. Messiaen e fu in contatto con H. Scherchen. A questo periodo risalgono le prime composizioni Metastaseis (1953-54) Phitoprakta (1955-56) per orchestra. Nella successiva Achorripsis per 21 strumenti (1956-57) introdusse per la prima volta il calcolo probabilistico come metodo per comporre, prendendo le distanze sia dalle tecniche seriali, considerate un inutile retaggio rispetto a una complessità polifonica ormai ben superiore alle possibilità di discernimento percettivo, sia dai procedimenti aleatori di J. Cage, solo apparentemente assimilabili. Come egli stesso illustrerà negli scritti teorici raccolti nel volume Musiques Formelles (1963) il suo pensiero creativo assunse la forma del controllo astratto delle tensioni insite in un materiale musicale i cui elementi singoli sfuggono al calcolo, ma le cui proprietà e dinamiche complessive possono essere previste con gli strumenti della statistica e della logica formale. I passi successivi saranno l’estensione della tecnica compositiva ai meccanismi «stocastici» markoviani (in greco stochastikós «che mira bene, che tende bene al fine»), per esempio in Amorsima-Morsima per 10 strumenti (1956-62), Duel per 2 orchestre o Syrmos per 18 archi (1959), con sequenze di eventi complessi desunte l’una dall’altra per calcolo probabilistico; ai procedimenti trasformativi della teoria degli insiemi, come in Herma per pianoforte (1960-61), Stratégie per 2 orchestre (1962), Akrata per 16 fiati (1964-65) e Nomos Gamma per orchestra (196768) – lavori caratterizzati da densità magmatiche stratificate e irruenti – , Nuits per 12 voci soliste (1967), o nel celebre Nomos Alpha per violoncello solo (1966), dove emergono insospettate valenze teatrali del gesto esecutivo; infine, all’impiego del calcolatore nella progettazione del percorso musicale, come in Atrées per 11 strumenti (1956-62), Eonta per pianoforte e 5 ottoni (1963), Orient-Occident per nastro (1960) e nella serie di brani indicati con la sigla ST (dal 1962). Entrato ormai nel novero degli esponenti più significativi dell’avanguardia europea, nel 1966 il compositore fondò l’Équipe de Mathématique et d’Automatique Musicales (EMAMU), applicandosi allo sviluppo di procedure informatiche di composizione, in particolare di quelle basate sulla decodificazione di forme geometriche (1977). La trasposizione nella trama sonora di figurazioni naturalistiche, ramificazioni, simmetrie spontanee, proiezioni grafiche di processi di germinazione organica sarà infatti l’indirizzo più significativo dei lavori degli anni ’70 quali Aroura per archi (1971), Erikhthon per pianoforte e orchestra (1974), Empreintes per orchestra (1975), Achantos per soprano e strumenti (1977), dove il rigore formalistico sembra a tratti attenuarsi per lasciare spazio a un discorso più disteso e fluente. Le composizioni successive porteranno a far emergere con più evidenza la base umanistica del razionalismo di Xenakis che continuamente smentisce, nel segno dell’immaginazione e della ricerca, l’illusione del controllo sulla materia e rinvia a lontane radici nel pensiero antico di Pitagora, Parmenide ed Epicuro. Attimi di espressività quasi nostalgica, luminosità quasi improvvise, apparizioni di figure musicali riconoscibili emergono in molti dei lavori composti dagli anni ’80: Mists per pianoforte (1981), Thalleïn per orchestra da camera e percussioni (1984), Xas per 4 sassofoni (1987), Keren per trombone solo, Tetras (1983), Tetora (1990) per quartetto d’archi, Plekto per 5 strumenti e percussioni (1994). Nel 1997 scrisse l’ultima sua composizione, O-Mega, per percussionista solo e 13 strumenti. Dal 1975 al 1978 fu professore di composizione al Gresham College di Londra, dove tenne anche numerose conferenze pubbliche. Dal 1972 al 1989 fu professore all’Università di Parigi I-Sorbonne. Iannis Xenakis si è spento a Parigi il 4 febbraio 2001. Mi ricordo dei tristi anni passati in Boemia agli inizi dell’occupazione russa. Fu allora che mi innamorai di Varèse e di Xenakis: quelle immagini di mondi sonori oggettivi ma inesistenti mi parlavano dell’essere liberato dalla soggettività umana, aggressiva e ingombrante – mi parlavano della bellezza dolcemente disumana del mondo prima o dopo il passaggio degli uomini. Milan Kundera Non si può criticare un eroe! Olivier Messiaen (discutendo la tesi di dottorato di Iannis Xenakis avvenuta il 18 maggio del 1976 alla Sorbona) La musica non è un linguaggio e non è un messaggio… La forza di un’opera d’arte sta nella sua verità… Definizione di verità: ciò che si regge da sé, senza trucchi. Quei trucchi che spesso sono rappresentati dal sentimentalismo, dal “sudiciume affettivo”, come dice Kundera. I sentimenti, in tal senso, sono l’alibi della crudeltà, della barbarie, del ricatto…Tutte le persone realmente creative rifuggono quel lato stupido dell’arte che consiste nell’esaltazione dei sentimenti. Le opere d’arte più alte sono quelle che invocano il più alto livello di astrazione. Quelle che hanno il minor numero possibile di riferimenti di carattere rappresentativo. Iannis Xenakis Diagramma generale delle 8 tracce della musica per lo spettacolo Persepolis Note alle composizioni di Iannis Xenakis Rebonds Rebonds è stato scritto fra il 1987 e il 1989 ed è dedicato al grande percussionista Sylvio Gualda che l’ ha eseguito per la prima volta all’Accademia di Francia di Villa Medici in Roma. La composizione è divisa in due parti: A e B. L’ordine di esecuzione non è fisso: può essere AB o BA, senza interruzione. La parte A è per i seguenti strumenti a percussione con membrana (a suono indeterminato): 2 bongos, 3 tom-toms e 2 grancasse. La parte B è per: 2 bongos, 1 tumba, 1 tom-tom, 1 grancassa e un set di 5 wood blocks. Jacques Lonchampt a proposito di Rebonds scrive: «Un immenso rituale astratto, una suite di movimenti e di martellamenti senza alcuna “contaminazione” folkloristica, una musica pura piena di meravigliose efflorescenze ritmiche, al di là del dramma e della tempesta. Un nuovo capolavoro». Tonino Tesei La Légende d’Eer Un’opera fondamentale di Iannis Xenakis nel campo della musica elettronica è La Légende d’Eer (1977). È la musica per un progetto audiovisivo chiamato Diatope (1978), uno dei suoi spettacoli di suono, luce e architettura indicati come Polytopes (si tratta del quinto lavoro di questo genere, dopo il Polytope de Montréal 1967, il Polytope d’Osaka 1970, il Polytope de Persépolis 1971, il Polytope de Cluny 1972). Il progetto è stato completato da Xenakis con una struttura architettonica a tenda in tessuto plastico (modellata secondo paraboloidi iperbolici) ed un ambiente dotato di raggi laser e luci elettroniche. L’opera è stata messa a punto in occasione dell’inaugurazione del Centro Nazionale d’Arte e Cultura di Parigi intitolato a Georges Pompidou, nel 1978, e poi ripresa a Bonn nel 1979. Per facilitare la comprensione del contenuto del suo lavoro Xenakis ha pubblicato nel 1980 il saggio Problematiche tecnologiche della composizione dove scrive: «Ritengo che il raggio laser e il flash elettronico siano vere sorgenti luminose, cioè non riflessioni di qualcosa, come avviene nella pittura figurativa o nel cinema, ma proprio delle autonome sorgenti di luce, come potrebbero esserlo delle scintille elettriche o i fasci di neon, ma più interessanti di questi sotto il profilo plastico. Far brillare queste luci nello spazio equivale a creare una musica per l’occhio, una musica visiva, astratta, nella quale anche le forme delle galassie, degli ammassi stellari, con tutte le loro trasformazioni, diventano accessibili all’uomo – alla propria scala di osservazione terrestre, naturalmente. E ciò con l’ausilio di concetti e procedimenti che abbiamo messo a punto occupandoci di composizione musicale. Già partendo semplicemente da principi di geometria euclidea si potrebbero raffigurare innumerevoli oggetti, col solo uso di elementi primari come punti e rette. Ne deriva una nuova forma di arte visiva e uditiva che non è né Opera né balletto. Movimenti di galassie in accelerazione, tempeste, aurore boreali: ecco qualche esempio di ciò che questa nuova forma d’arte potrebbe non già riprodurre – sarebbe senza interesse – ma davvero produrre, con l’ausilio di alcuni mezzi della tecnologia moderna». Xenakis descrive ancora la polivalenza della sua opera, i criteri matematici della sua concezione e le raffinatezze tecnologiche della sua realizzazione: «Per quanto riguarda la luce, ho usato quattro raggi laser da 4 watt ciascuno, equipaggiati con sistemi ottici che producono vari effetti, e 400 specchi per riflettere i raggi laser e creare molteplici ragnatele luminose in movimento. Si creavano macchie di luce un movimento, frecce luminose che tracciavano traiettorie di stelle filanti sul telo nero interno della tenda, e mosaici di scintille, configurazioni a vortice che avvolgevano gli spettatori, seduti o sdraiati sul pavimento (il pavimento era in piastrelle di vetro, e ciò consentiva di vedere, sotto di sé, altri eventi luminosi). Vi erano poi 1.600 flash elettronici montati su filamenti metallici sospesi sotto il guscio plastico, che formavano come delle spirali, delle forme evanescenti che sfumavano nel gesto artistico complessivo. La musica, registrata su 7 tracce audio, veniva diffusa attraverso 11 altoparlanti di qualità. Il suono veniva distribuito ai vari altoparlanti con movimento continuo, interamente programmato tramite uno schema di partitura memorizzato su nastro numerico, che decodifica un “frame” di segnali di controllo simultanei (circa 2.000) a una velocità di 25 frames/sec. (dato che questa pare sia la “soglia di simultaneità” dell’orecchio). Lo spettacolo, nel suo insieme, aveva una durata di 46 minuti. In pratica, nel corso di quella durata occorreva effettuare qualcosa come 145.500.000 comandi binari. È ovvio che, per controllare e coordinare tutte quelle configurazioni, le loro trasformazioni, i loro movimenti, fu necessario utilizzare il computer, anche per memorizzare su nastro numerico le istruzioni che fungevano da schema o “partitura” per il dispositivo luminoso, in modo da controllare le migliaia di fonti luminose di questa musica da vedere ». La composizione degli elementi visivi e il nastro numerico per gli strumenti ottici furono realizzati al CEMAMu (Centro di Studi di Matematica ed Automatica Musicale situato a Parigi e fondato nel 1966 da un gruppo di scienziati ed artisti), mentre la composizione musicale è stata realizzata in parte al CEMAMu e in parte allo Studio di Musica Elettronica del Westdeutscher Rundfunk di Colonia. Il titolo di La Légende d’Eer è desunto dal passaggio della Repubblica di Platone in cui l’eroe risuscitato racconta ciò che ha visto nell’aldilà. Tonino Tesei Psappha Psappha (1975) commissione dell’English Bach Festival per Sylvio Gualda, può aspirare al titolo di pagina più forte e più originale che sia mai stata scritta per percussione solista. Il nome di Psappha, versione arcaica di Saffo, la geniale poetessa di Lesbo cui il compositore desidera qui rendere omaggio, indica che si tratta di un’opera di puro ritmo, poiché Saffo, secondo Xenakis «ha introdotto il principio astratto di variazione (metabolica) delle cellule ritmiche, dei piedi e dei metri detti “saffici”». E, con l’austerità e il rigore caratteristici di Xenakis, tutto è qui subordinato alla più chiara percezione possibile delle strutture ritmiche, che timbri ed intensità non fanno altro che “rivestire” […]. Se i ritmi (attacchi), le sfumature e le altezze sono notate in modo assolutamente preciso, non accade lo stesso relativamente ai timbri: Xenakis prevede sei grandi tessiture contrassegnate da A ad F, le prime tre riservate alle membrane e ai legni (A acuto, B medio, C grave), le altre ai metalli (D medio, E neutro – si tratta dei metalli risonanti, tam-tam e gong –, F molto acuto). Ogni tessitura è ancora graduata da uno a tre. Inoltre il compositore fornisce ancora una scelta di strumenti per ogni famiglia, ma spetta all’interprete utilizzarli in modo da rispettare gli altri parametri della notazione. Quest’ultima è una meraviglia di ingegnosità e di semplicità funzionale, pur conservando una grande bellezza grafica, con le sue migliaia di palline nere che rappresentano altrettanti attacchi, disposte su righi di una linea, undici nel momento della massima densità verticale. […] Ancora una volta Xenakis ha prodotto una pagina di sovrumano virtuosismo, con un’enorme dispersione di energia, velocità folgorante e soprattutto densità verticale (fino ad undici attacchi simultanei, e, anche munito di numerose bacchette, l’interprete non ha che due mani e dieci dita!). Così ogni esecuzione di Psappha costituisce un avvenimento indimenticabile. Harry Halbreich Dikhthas Dikhthas (1979) è un duo per violino e pianoforte, formazione divenuta rarissima nella musica contemporanea, scritto su commissione della città di Bonn per due grandi strumentisti italiani: Salvatore Accardo e Bruno Canino. Xenakis commenta: «Quest’opera è come un personaggio con due nature, è “duale” (Dikhthas), perché le nature si contraddicono, sebbene talvolta si fondano nel ritmo e nell’armonia. Questo confronto è realizzato in un flusso di dinamica variabile che impiega caratteri specifici dei due strumenti». Insomma dopo Bartók, dopo tanti altri, il nostro autore mette alla prova in modo totalmente dialettico l’innata incompatibilità che da sempre si è convenuto di riconoscere a questi due strumenti. Ne è uscita una bella e grande opera di musica da camera, espressiva e brillante al tempo stesso. pianistica: ad un inizio quasi melodico seguono punti sonori isolati. Si aggiungono poi altre figurazioni, ad esempio accordi le cui note sono ripetute e ornate più o meno irregolarmente. Se si presta attenzione ai diversi tipi fondamentali della concatenazione dei suoni, ci si può accorgere che alcuni di essi subiscono una mutazione intenzionale, per esempio che i vari piani sonori con note ripetute scivolano gradualmente in registri più gravi: dalla modifica dei modelli di tecnica esecutiva nascono processi di trasformazione, la prassi musicale si ripercuote dunque sul linguaggio. Rudolf Frisius Harry Halbreich Evryali Evryali, il secondo lavoro per pianoforte [di Xenakis], è stato scritto nel 1973 (dunque undici anni dopo il compimento di Herma). Questa seconda composizione pianistica rivela fin dalle prime battute iniziali un’impostazione fondamentalmente diversa da quella precedente. Evryali inizia con figure semplici, simili ad un ostinato, ampiamente diatoniche, come palese contrasto con la musica pienamente cromatica e capace di saturare lo spazio sonoro ascoltabile all’inizio di Herma. L’idea fondamentale di Evryali è quella di mettere a confronto ciò che è apparentemente noto con il nuovo, suscitando così tra i due termini relazioni senza precedenti. Lo si constata nella prosecuzione immediata delle battute iniziali, dove vengono presentate varie tecniche di esecuzione e figurazioni sonore. Il linguaggio musicale e il contesto si sviluppano dalle possibilità della prassi musicale, dalle diverse figurazioni pianistiche. La composizione presenta vari tipi fondamentali di scrittura Xenakis con Olivier Messiaen, 1977 Ittidra Il titolo del sestetto per archi Ittidra inverte il nome dell’instancabile Irvine Arditti, che lo commissionò e ne fece la prima esecuzione con gli egualmente instancabili membri del quartetto Arditti e la partecipazione di Thomas Kakuska (viola) e Valentin Erben (violoncello) a Francoforte sul Meno nell’ottobre 1996. In modo anche più consistente che in Voile, Xenakis scolpì Ittidra da larghi, lenti blocchi di suoni senza vibrato: il pezzo potrebbe essere descritto come una trenodia, se Xenakis non avesse rifiutato fin da principio tutte le definizioni programmatiche o sentimentali. Forse la migliore descrizione di questa “oggettività” liberata del suono nella musica di Xenakis fu data dallo scrittore ceco Milan Kundera, residente in Francia e scrittore in francese per oltre 30 anni: «Il suo punto di partenza è situato altrove: non in un suono artificiale che si è separato dalla natura per esprimere una soggettività, ma in un rumore “oggettivo” del mondo, in una “massa sonora” che non sgorga dal cuore ma viene verso di noi dall’esterno, come i passi della pioggia o il rumore del vento. Il mondo dei rumori nelle composizioni di Xenakis è divenuto per me bellezza; la bellezza ripulita dal sudiciume affettivo, liberata dalla barbarie sentimentale». Michael Struck-Schloen Xenakis con Le Corbusier, 1955 La musica di Xenakis è la più forte musica che io conosca attualmente, …nella direzione opposta alla mia. Giacinto Scelsi scels mercoledì 20 maggio giovedì 21 maggio Dalla Trilogia per Violoncello (1956-1965) Ygghur - I movimento Francesco Dillon violoncello Suite n. 10 “Ka” (1954) Fabrizio Ottaviucci pianoforte Natura renovatur (1967) per 11 archi Filarmonica Marchigiana Ensemble Marino Formenti direttore Et maintenant c’est à vous de jouer (1964) Francesco Dillon violoncello Stefano Scodanibbio contrabbasso Action music (1955) Marino Formenti pianoforte Rotativa (1930) Fabrizio Ottaviucci pianoforte I presagi (1958) per 10 strumenti Filarmonica Marchigiana Ensemble Marino Formenti direttore Dalla Trilogia per Violoncello (1956-1965) Ygghur - III movimento Francesco Dillon violoncello Le réveil profond (1972) Stefano Scodanibbio contrabbasso Anahit (1965) per violino e 18 strumenti Filarmonica Marchigiana Ensemble Marino Formenti direttore Marco Rogliano violino Quartetto n. 3 (1963) Marco Rogliano violino Henry Domenico Durante violino Chie Yoshida viola Francesco Dillon violoncello La linea e il cerchio, ‘firma’ di Giacinto Scelsi Fondazione Isabella Scelsi. Tutti i diritti riservati. Giacinto Scelsi: una biografia L’8 gennaio del 1905, esattamente alle ore 11, nasceva Giacinto Francesco Maria Scelsi, nel piccolo villaggio di Pitelli frazione del comune di Arcola. Attualmente questa località fa parte del comune di La Spezia. Il padre Guido, all’epoca Tenente di Vascello, proveniva da una famiglia di origine siciliana che aveva avuto un ruolo di spicco nelle vicende dell’unità d’Italia; la famiglia della madre, Donna Giovanna d’Ayala Valva, era originaria di Taranto ma risiedeva abitualmente nel castello di Valva nella valle del Sele. Anche il piccolo Giacinto, con la sorellina Isabella, trascorse gran parte dell’infanzia in questo vetusto castello, dove ricevette le prime basi di un’istruzione alquanto singolare: un precettore gli dava lezioni di latino, di scacchi e di scherma. Per quanto riguarda l’educazione musicale, anche in tarda età amava ricordare le molte ore passate a “improvvisare” su di un vecchio pianoforte. Non risulta abbia frequentato scuole superiori e studi musicali regolari di sorta. In seguito la famiglia si stabilì a Roma e le sue peculiarità musicali furono assecondate dalle lezioni impartite privatamente dal M° Giacinto Sallustio. Negli anni 1920, oltre all’aristocrazia e la mondanità, cominciò a frequentare anche gli ambienti artistici, musicali e letterari dell’epoca: Jean Cocteau, Norman Douglas, Mimì Franchetti, Virginia Woolf, lo iniziarono ai movimenti culturali internazionali. Nello stesso periodo compì numerosi soggiorni all’estero, specialmente in Francia ed in Svizzera; fondamentale un viaggio compiuto nel 1927 in Egitto, dove la sorella risiedeva con il marito; si può considerare questo il suo primo contatto con musiche extra-europee. Di quest’epoca sono rimasti alcuni scritti influenzati dal surrealismo. Nel 1929 vide la luce la sua prima composizione, Chemin du coeur e nel 1930 lavorò a Rotativa, l’opera che lo avrebbe rivelato al mondo musicale internazionale, eseguita in prima assoluta alla Salle Pleyel di Parigi, il 20 dicembre 1931, sotto la direzione di Pierre Monteux. Nonostante l’insoddisfazione del giovane compositore, molto rigoroso nei riguardi della sua opera, il lavoro attirò su di lui l’attenzione della critica e del mondo musicale. Negli anni 1930 si alternarono periodi di vita mondana, frequenti viaggi all’estero, problemi di salute ed una interessante attività creativa. Personalità di spicco del mondo musicale italiano interpretarono la sua musica: fra gli altri, Willy Ferrero, Nilde Pignatelli, Massimo Anfiteatroff, Alba Anzellotti, Pina Pozzi, Ornella P. Santoliquido, F. Molinari ecc. Nel 1937 organizzò a sue spese quattro concerti di musica contemporanea rappresentati alla Sala Capizucchi: fece eseguire opere di giovani compositori italiani e moltissimi stranieri, fra i quali Kodály, Meyerowitz, Hindemith, Schönberg, Stravinskij, Šostakovič, Prokof’ev, Nielsen, Janáček, Ibert ecc., allora quasi tutti totalmente sconosciuti in Italia. Nell’organizzazione di tali concerti si avvalse della collaborazione di Goffredo Petrassi, inizio di una lunga amicizia. Questa iniziativa ebbe breve durata per l’entrata in vigore delle leggi razziali, che impedivano in pratica l’esecuzione di composizioni di autori ebrei, cosa che allontanò ancor di più Scelsi dall’Italia. A questo periodo si possono far risalire i suoi interessi per altre forme di composizione, per esempio la dodecafonia della quale ebbe i primi rudimenti da un allievo di Schönberg, il viennese Walter Klein. Contemporaneamente si interessava delle teorie di Scrjabin grazie al dott. Egon Köler, che lo ebbe in cura per un certo periodo, probabilmente lo stesso medico che lo iniziò alla Cromoterapia. Non secondario deve essere stato il suo interesse per le teorie musicali steineriane e per il curioso mondo ruotante attorno a Monte Verità. All’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 si trovava in Svizzera, dove rimase per tutto il periodo del conflitto e dove si sposò con DorothyKate Ramsden, cittadina inglese. Nonostante gli anni difficili, continuò una intensa attività culturale, sia poetica che di compositore ed incominciò un lavoro di tipo teorico fondamentale per gli sviluppi futuri della sua musica. Non si negò, per quanto poteva, ad aiutare vari membri della comunità intellettuale internazionale a trovare rifugio in luoghi sicuri dalle persecuzioni nazi-fasciste. Durante questo forzato soggiorno svizzero ebbero luogo delle esecuzioni di sue composizioni, per esempio nel 1942 il Trio per archi, eseguito dal Trio di Losanna e diretto da Edmond Appia, e varie opere per piano eseguite da Nikita Magaloff. Alla fine del conflitto ritornò in Italia; si stabilì a Roma dove vivevano la madre adorata, il padre e la sorella Isabella. Tornava dalla Svizzera con una profonda crisi di tipo psichico che tuttavia non gli impedì di portare a compimento alcune opere già iniziate: il Quartetto per archi, eseguito dal Quatuor de Paris a Parigi nel 1949 e la Nascita del Verbo, eseguita per la prima volta a Parigi sempre nello stesso anno, sotto la direzione di Roger Désormières. Seguirono anni molto travagliati, coincidenti con una crisi irreversibile di tipo creativo-musicale, che lo portò a limiti molto pericolosi; trovò una via di scampo nella poesia, nelle arti visive e nei suoi interessi per il misticismo orientale e l’esoterismo. Presso lo straordinario editore Guy Levis Mano di Parigi uscirono i tre libretti Le poids net, L’archipel nocturne e La concience aïgue, che per tanti anni furono le sole opere edite. In una clinica svizzera per malattie nervose, dove si ricoverò per un breve periodo, diede una serie di conferenze sulla creatività, di una tale apertura e lungimiranza, da potersi considerare documenti premonitori dei suoi futuri sviluppi creativi. I suoi interessi per le arti visive, in particolar modo l’arte Informale, troveranno degna cornice in quella che sarà l’attività della Rome - New York Art Foundation, diretta dalla sua compagna di vita di quel momento, l’americana Frances McCann. La profonda amicizia che lo legò a Henri Michaux, ebbe probabilmente anche funzione di stimolo nella ricerca musicale. Questo coinciderà anche con l’approfondimento e la pratica delle filosofie orientali, delle dottrine Zen, dello Yoga e della problematica dell’Inconscio. Nella produzione musicale la strumentazione di figure determinate dal caso, l’improvvisazione su strumenti tradizionali usati in maniera non ortodossa, l’uso di nuovi strumenti come l’ondiola, capace di riprodurre i quarti e gli ottavi di tono, ma soprattutto la maniera di improvvisare “in lucida passività”, ci hanno rivelato le sue opere più possenti. La sua originalità nel comporre dette addito a feroci critiche ed ostracismi che non si acquietarono neanche dopo la sua scomparsa. Infatti, vista l’impossibilità psico-fisica di dedicarsi al lavoro minuzioso di trascrizione delle proprie improvvisazioni registrate su nastro magnetico, dovette avvalersi di copisti dall’orecchio assoluto che, naturalmente, operavano sotto la sua guida. Applicò lo stesso procedimento anche nella creazione poetica, così nacque il visionario poema “Il sogno 101, il ritorno”. Il lavoro non si esauriva con la traslazione delle musiche registrate, ma comprendeva minuziose istruzioni per l’esecuzione e lo studio di accorgimenti per donare al suono i valori corrispondenti alla sua volontà, sordine per gli archi fatte realizzare apposta su suo disegno, strumenti a corde trattati come percussioni, filtri sonori per deformare il suono negli strumenti a fiato, l’uso della voce quale rottura della struttura sonora, basi di registrazione preesistenti quale traccia all’esecuzione. Originalissimo peraltro era il suo metodo di orchestrazione che consisteva nell’accostare strumenti simili sfasati fra loro di un quarto di tono (il che dava all’esecuzione una vibrazione misteriosa ed imprevedibili effetti di battimenti). Non secondario fu il lavoro di finitura condotto in collaborazione con gli interpreti. Infatti le sue opere, date le difficoltà di esecuzione, trovarono il loro primo ostacolo nell’interpretazione. Solo rari esecutori di altissima qualità si accinsero a studiare la sua musica ed alcuni passarono dei lunghi periodi ospiti nella sua casa a tale scopo. Ecco solo alcuni nomi di interpreti che hanno avuto la possibilità di fare questa straordinaria esperienza: Devy Erlih, Michiko Hirajama, Frances-Marie Uitti, Fernando Grillo, Geneviève Renon, Alina Piechowska, Carlo Porta, Joëlle Léandre, Massimo Coen, Carol Robinson, Carine Levine, Marianne Schroeder, Stefano Scodanibbio ecc. Finalmente aveva trovato un mondo di suoni che gli corrispondeva. Ebbe quindi inizio un processo di occultamento della sua produzione anteriore, da lui considerata ormai di tipo accademico. La rivelazione di questa nuova fase fu l’esecuzione dei “Quattro pezzi su una nota”, eseguti al Theatre National Populaire di Parigi nel dicembre 1961, sotto la direzione di Maurice Le Roux. Certamente tutti questi elementi dovevano disturbare il mondo accademico ufficiale che si dimostrò sempre più ostile nei suoi confronti, esacerbato dal sempre maggior successo delle sue opere all’estero. Non mancarono però i suoi sostenitori anche in Italia, primo fra tutti il compositore Franco Evangelisti, a lui infatti si devono le rare esecuzioni di opere scelsiane, quasi esclusivamente realizzate nell’ambito dei festival di Nuova Consonanza. Scelsi trascorse gli ultimi anni in vita ritirata nella sua abitazione di Roma, in Via San Teodoro 8, divenuta ormai meta di amici e ammiratori. A questo periodo risalgono le pubblicazioni della sua opera di tipo teorico-letterario, affidate alla Casa Editrice “Le parole gelate” e la pubblicazione sistematica della sua imponente produzione musicale, ad opera delle “Éditions Salabert” di Parigi e sotto la cura di Sharon Kanach. Negli ultimi anni viaggiò solo in occasione dei concerti a lui dedicati, ebbe così l’opportunità di ascoltare almeno una volta nella realtà, quelle musiche che aveva portato per tanti anni dentro di sè. L’ultimo concerto di sue composizioni a cui presenziò fu a La Spezia, 11 aprile del 1988, nella sua città natale, dove non era mai ritornato dai primi anni della sua infanzia. Cessò ogni comunicazione con il mondo esterno il giorno 8.8.88 e si spense nella mattina del giorno dopo. Luciano Martinis Agli amici ed interpreti ed in primo luogo a Stefano Scodanibbio esprimo la mia costernazione per non potere assistere al concerto da lui organizzato per me. Sono certissimo che tutti gli esecutori faranno quanto è loro possibile in favore della mia musica anche in mia assenza e di tutto cuore li ringrazio. Spero che al suo ritorno Schiaffini possa farmi ascoltare il pezzo per Euphonium che ancora non conosco. Auguri a tutti ed abbracci. Giacinto S. Lettera autografa di Giacinto Scelsi scritta nel giugno 1985 e letta in pubblico il 2 luglio 1985 in occasione della III Rassegna di Nuova Musica che, tra i primi in Italia, dedicò un intero concerto alle sue musiche eseguite, in quella serata all’Abbazia di Fiastra, da Enzo Porta, Ciro Scarponi, Luigi Lanzillotta, Giancarlo Schiaffini e Stefano Scodanibbio. Il grande anonimo del ventesimo secolo * Dehors tombait la nuit séparée d’un merveilleux passé. SCELSI, L’Archipel Nocturne Era il 1980 ed ero appena tornato da un lungo soggiorno in California ed in Messico. Avevo appena iniziato la mia attività solistica e, grazie appunto alla fresca esperienza nel Nuovo Mondo, ebbi l’occasione di suonare all’Accademia Americana di Roma. Poche settimane dopo mi arrivò una telefonata che esordiva così: “sono Giacinto Scelsi, mi hanno parlato di lei ed ho dei pezzi per contrabbasso che mi piacerebbe mostrarle”. Pensai dapprima ad uno scherzo ma poi mi convinsi che la voce che ascoltavo poteva adattarsi all’idea di Scelsi che mi ero fatta in quegli anni. Mi invitò a casa sua e naturalmente accettai di buon grado, precipitandomi a Roma il più presto possibile. Da allora fino alla sua morte sono stato innumerevoli volte presso di lui, anche per soggiorni lunghi. Ogni concerto romano, ogni partenza da Fiumicino, ogni semplice desiderio di godere della sua compagnia erano dei buoni pretesti per passare delle bellissime giornate in Via San Teodoro 8. Giornate che si svolgevano tutte secondo un preciso rituale. Dal secondo piano degli ospiti si saliva, verso le 17, al quarto, dove lui abitava, per fare conversazione (prima di quell’ora lui non riceveva mai e alla domanda “ma cosa fa fino alle 5 di pomeriggio?” rispondeva “faccio la zucca, cerco di non pensare”). Già, la conversazione. Per lui era molto importante, tanto che la definiva l’arte della conversazione e, parlando del suo amico Michaux che detestava la bêtise, ricordava spesso come bisognava stare attenti con lui a non dire stupidaggini. L’ambiente era sempre cosmopolita e Giacinto Scelsi si esprimeva con naturale nonchalance in inglese e in francese ma ricordo il suo stupore, se non disappunto, quando una volta arrivai con una mia amica messicana che parlava solo spagnolo. Non poteva conversare! Poi, a volte, mi chiedeva di suonare, per lui e per gli altri ospiti se c’erano. Non solo pezzi suoi, anzi, ma anche di altri compositori (Xenakis, pur partendo da presupposti teorici diversissimi dai suoi, era il compositore che, per esiti sonori, sentiva più vicino tra i contemporanei). Mi chiedeva però spesso di suonare le mie composizioni. In particolare i Sei Studi e un brano che all’epoca si chiamava Strumentale e sarebbe diventato la prima parte di Voyage That Never Ends. La pulsazione ritmica ostinata su una corda vuota con le variazioni timbriche offerte dalle varie tecniche d’arco unitamente ai cambi tasto/ponte lo seducevano enormemente. Lo definiva un pezzo “tellurico”. La cena, rigorosamente vegetariana, veniva servita intorno alle 20. Alla fine lui si assentava sempre per qualche minuto e, al suo rientro, si continuava la conversazione ancora per un paio di ore. Al di là delle mitologie non posso dire di aver ricevuto un insegnamento musicale particolare da Scelsi. Lui era ben lontano dall’assumere posizioni ex cathedra e anche quando suonavo per lui e altri ospiti, in quella leggendaria casa di Via San Teodoro 8, i commenti si limitavano a considerazioni di carattere generale. Quello che invece ho goduto profondamente è stato “l’incontro con un uomo straordinario”, tanto per dirla con parole di Gurdjieff, un autore a lui caro. Un vero aristocratico (“non ero fascista quando tutti erano fascisti, non ero comunista quando tutti erano comunisti. Sono cresciuto in una famiglia aristocratica e non posso cambiarmi la pelle”), che parlava francese e inglese correntemente, sempre con una macchia nei pantaloni o nel gilet (il segno dell’uomo veramente elegante), generoso con gli amici, indifferente con i nemici, amico di grandi personalità letterarie e pittoriche del ‘900, estimatore della bellezza femminile, del cioccolato e dello champagne. Poi ho avuto la sorte di ascoltarlo due volte improvvisare al pianoforte e questo, per me, ha dissolto ogni eventuale dubbio sulle sue ventilate incapacità musicali. La seconda di queste volte lo fece con una flautista che si trovava in casa. Disse che, nel caso di improvvisazioni con più persone, la cosa importante era non ascoltarsi l’un altro. Non bisognava cercare di seguire l’altro per costruire un discorso comune influenzandosi a vicenda, no, bisognava invece far passare, scorrere il messaggio che arrivava, se arrivava, (dall’alto? da altrove, comunque. E’ nota la sua teoria del compositore come “postino”) e quando le due o più persone erano in sintonia questo si sarebbe manifestato concretizzandosi in una musica autosufficiente, senza il bisogno di ascoltarsi. Quello che mi colpiva più di tutto nel suo modo di suonare il pianoforte era il tocco. Le mani sembravano rimbalzare violentemente verso l’alto dopo aver percosso la tastiera. Il suono che ne veniva fuori, dovuto senz’altro anche all’antichità dello strumento, era un suono arcaico, di altri tempi. Mi piaceva ascoltarlo parlare della Parigi degli anni tra le due guerre con tutti quei personaggi che aveva conosciuto… Mi piaceva che parlasse dell’India (“mi piacerebbe andare a morire in India, ma non sopporto il verso dei milioni dei corvi che la infestano”) e di Rishikesh, dove sarei poi andato nel 1984 anche seguendo le sue suggestioni…. Mi piaceva anche sentire come aveva vissuto e affrontato le sue malattie, i suoi periodi in clinica, i suoi tentativi di guarigione… Mi piaceva il distacco quasi assoluto che mostrava per il mondo della “carriera”, fatto di successo esecuzioni festival commissioni scadenze affanni… Mi piaceva quando raccontava la storia del meraviglioso dittico di Dalí che sovrastava il divano dove lui sedeva. Il poeta Éluard (rappresentato con la testa piena di nuvole) era andato a trovare il pittore a Cadaqués facendogli conoscere Gala (dipinta da Dalí con la testa quasi vuota). Questa si sarebbe poi vendicata diventando in seguito la sua compagna e la sua Musa. Mi ipnotizzava ascoltare alcuni suoi brani che non conoscevo e che lui stesso metteva sul registratore. In particolare ricordo la versione di Ko-Tha suonata sulla chitarra da lui stesso e il primo ascolto di Konx-Om-Pax che mi fece sprofondare in quella poltrona consunta, antichissima, già provata da secolari sedute. Mi piaceva ascoltare la sua interpretazione della storia della musica occidentale - la ripeteva spesso - secondo la quale la musica era iniziata con gli unisoni e le ottave per poi passare, nel Medioevo e nel Rinascimento, alle quarte e le quinte. Quindi, con l’epoca barocca e poi romantica, l’avvento delle terze e della seste e, infine, le settime e le seconde del ‘900. Finalmente però, con lui, la musica era ritornata all’unisono delle origini. Davvero, nel caso di Scelsi, si può affermare con Egon Schiele che ”Kunst kann nicht modern sein; Kunst ist Urewig”. Due compositori, secondo lui, avevano avuto le capacità per allontanarsi dall’eurocentrismo musicale: Mozart, che però era stato per così dire castrato dal padre che gli aveva “insegnato la musica” ingabbiandolo nelle regole della forma sonata, e Wagner, il quale era stato sovrastato dal proprio ego debordante. E non potevo non riflettere sul suo modo di “comporre”. Registrare improvvisazioni e poi trascriverle, adattarle, svilupparle ha fatto parte del background di tutta una generazione tra gli anni ’60 e ’70 cresciuta con il Revox o apparati di registrazione simili. Lui l’aveva fatto un paio di decenni prima e oggi, anche grazie alle possibilità offerte dal computer, è una pratica comune nelle musiche non accademiche. Mi diede la partitura di Mantram, Canto anonimo per uno strumento, verso il 1987 o 1988 chiedendomi se potevo suonarlo con il contrabbasso. Anche in questo caso restò molto sul vago e, a parte un riferimento all’area geografica di un Medio Oriente molto esteso, mi diede ben poche indicazioni. Soprattutto il sottotitolo mi sembrava ben riflettere la sua personalità essendo lui, sicuramente, il grande anonimo del XX secolo. Lo eseguii in prima esecuzione a Colonia, nel dicembre 1990, in occasione del festival a lui dedicato dalla WDR e curato da Wolfgang Becker. Dopo otto anni di conoscenza, poco prima che lui morisse, mi chiese di dargli del tu. Non ci riuscii e forse è stato giusto così. Il caso Scelsi, per me, è anche la dimostrazione di un paio di teorie. La prima è che spesso la creazione artistica, quella più autenticamente originale, è legata a un conflitto, a un trauma (la psicanalisi e le biografie di molti artisti ce l’hanno insegnato) con i suoni, le immagini o le parole. L’altra, direttamente legata alla prima, è che l’innovazione radicale deve assumere come categoria fondamentale della creazione artistica il rischio di mettersi in gioco totalmente, a volte anche a scapito della salute e della stessa vita. Così André Breton in Prolegomeni a un Terzo Manifesto del Surrealismo o no: “Troppi quadri […] fanno sfoggio oggi nel mondo di qualcosa che non è costato niente agli innumerevoli epigoni di De Chirico, di Picasso, di Ernst, di Masson, di Miro, di Tanguy […] a coloro che ignorano che non c’è grande spedizione, in arte, che non venga intrapresa a rischio della vita, che la strada da seguire non è, con ogni evidenza, quella fiancheggiata da ringhiere e che ogni artista deve rimettersi da solo alla ricerca del Vello d’Oro”. Stefano Scodanibbio, Dicembre 2007 * Devo questa definizione a Mario Lavista che la utilizzò in una conversazione risalente agli anni ’80. Non conosco nessuno che abbia fatto ciò che ha fatto Scelsi […] è stato un lavoro importantissimo e totalmente compiuto. John Cage Note alle composizioni di Giacinto Scelsi Suite n. 10 “Ka” Il sottotitolo della decima suite del 1953 è “Ka”, una parola che «ha significati diversi, ma il cui significato principale è “Essenza”». Il lavoro, diviso in sette movimenti, contiene l’essenza della tecnica del suono di Scelsi. Scrive Michelle Biget: «Sebbene nelle sue opere pianistiche siano isolabili fenomeni di nature chiaramente diverse e talvolta opposte, la maggioranza di essi è riconducibile ad un trattamento in ostinato». Il concetto di ostinato scelsiano è applicato non solo ai suoni isolati ma anche alle componenti accordali. Scrive ancora Biget: «Esteso sulla totalità della tastiera o confinato in un ambito limitato, linea tenuta o moltiplicata in aggregati, posizionata in regioni timbriche diverse, in constante metamorfosi grazie ai numerosi modi di produzione del suono che la morbidezza della macchina pianistica permette, l’ostinato è mutevole e, in quanto tale può pretendere che qualcosa si produca, condizione senza la quale non sono possibili né avvenimenti sonori, né strutture, né opera». Il primo movimento della Suite “Ka” è caratterizzato da una lunga monodia dove, afferma Robin Freeman, «tutte le note tranne il Do centrale costituiscono una specie di efflorescenza ornamentale o, per servirsi di parole che avrebbe senza dubbio preferito Scelsi – creano un’aura o emanazione intorno ad esso». Nel secondo movimento della Suite l’autore forma degli aggregati cromatici intorno al Mi ripetuto nel registro centrale del pianoforte; nel finale del brano il Mi va disperdendosi per lasciare il posto al Do. Il terzo movimento è basato sulla ripetizione di una breve figura costituita da note staccate. Il quarto movimento, rivela Freeman, «reca un passaggio a campane modellato da irregolari pulsazioni ritmiche e da un vibrato di pedale che provoca fluttuazioni tonali e microtonali». Il breve quinto movimento è giocato nel registro acuto dello strumento ed è contrassegnato da motivi veloci e pungenti. Un rapidissimo e «squillante» Do ribattuto, contrappuntato da altre note pregnanti (Re bemolle, La), caratterizza il sesto movimento; il brano poggia su un pedale di Fa che rimbalza su diverse ottave. Il settimo e ultimo movimento della Suite si apre con reiterate settime maggiori ascendenti (Sol bemolle - Fa) da suonare, secondo l’indicazione di Scelsi, «fortissimo, come fendenti di sciabola»; successivamente l’autore cambia non solo la direzione e la qualità degli intervalli, ma anche il registro; segue una coda con la sua ostentata ripetizione dell’unico suono: il Fa diesis. Tonino Tesei Et maintenant c’est à vous de jouer Il pezzo è una grande meditazione per gli strumenti bassi. Scelsi diceva frequentemente che si considerava un canale, un filtro per trasmettere i più alti significati musicali alla gente. Egli riuscì nel suo intento attraverso la meditazione, che praticò per molti anni e, in questo stato di rivelazione suonò e scrisse la sua musica. Egli considerava la sua musica un dono. Frances-Marie Uitti Rotativa «L’acuta bellezza di una grande macchina» recita un verso tratto da Il Grande Amante, una poesia fortemente sensuale scritta da Rupert Brooke nel 1914. Brooke […] un poeta soldato che morì troppo presto all’inizio della Grande Guerra, divenne uno dei poeti preferiti dai giovani nel periodo fra le due guerre. Nel 1930 il venticinquenne Giacinto Scelsi era a tal punto ammaliato da Brooke da iscrivere il succitato verso sulla copertina interna di Rotativa (Movimento sinfonico), arrangiato per pianoforte dall’autore stesso e pubblicato a sue spese dall’editore Ricordi. Secondo un approfondito saggio della musicologa italiana Alessandra Carlotta Pellegrini, la prima esecuzione di Rotativa ebbe luogo a Parigi, nella Salle Pleyel, il 20 dicembre 1931, sotto la direzione di Pierre Monteux. In quella occasione, Monteux diresse una versione del brano (oggi persa) per tre pianoforti, ottoni e percussioni. Una seconda versione per due pianoforti è stata di recente riscoperta nell’Archivio della Fondazione Isabella Scelsi (Roma) e pubblicata da Salabert […]. Inoltre, una quarta versione per due pianoforti (ugualmente disponibile presso Salabert) fu preparata da Pietro Scarpini ed eseguita a Losanna (all’Istituto Italiano di Cultura) nel giugno del 1942 da Nikita Magaloff e Maurice Perrin. La terza I campanacci e Deva. Soggiorno della casa di Giacinto Scelsi, oggi Museo Casa Scelsi; la collezione di strumenti di varia provenienza (particolare) Foto Francesca D’Aloja / Fondazione Isabella Scelsi La musica non può esistere senza il suono ma il suono esiste benissimo senza la musica. Giacinto Scelsi versione di Rotativa per pianoforte solo […] ebbe la sua prima a Roma al Circolo delle Arti e delle Lettere il 17 marzo 1934 a opera di Ornella Puliti Santoliquido. Come dice il titolo, l’opera è un omaggio a una macchina […] o alla bellezza del mondo meccanico, in sintonia con composizioni simili del tempo. Vengono alla mente il Ballet Mécanique (1926) di George Antheil, Pacific 231 di Arthur Honegger e un opera del costruttivista russo Alexander Vasilievic Mosolov intitolata Fonderie d’acciaio, eseguita a Mosca nel 1927. Tuttavia, il pezzo di Scelsi non contiene la sgradevolezza sonora sfacciata, percussiva e chiassosamente futurista propria di così tanta «musica delle macchine» del periodo. Al contrario esso è permeato da un suono pianistico nostalgico, denso di accordi morbidi e carico di inquietudine, che riecheggia soprattutto la musica di Emanuel Chabrier o anche di Ravel. In effetti, le frasi corte continuamente accennate, gli spasmodici crescendo e i climax inadempienti sembrano seguire lo scorrere dei bei versi di Brooke i quali, senza con ciò volere implicare alcuna contestualità, potrebbero essere letti a fianco della musica come in un melologo. Franco Sciannameo Ygghur Il tripartito Ygghur (catarsi o purificazione in sanscrito) è la terza sezione, dopo Triphon e Dithome, della Trilogia di Scelsi I tre stadi dell’uomo (1956-65), una grande composizione per violoncello solo dedicata a Frances-Marie Uitti che l’ha eseguita per la prima volta a Como nel 1976. Le sezioni della Trilogia scelsiana recano i seguenti sottotitoli: I. Giovinezza – Energia – Dramma; II. Maturità – Energia – Pensiero; III. Vecchiaia – Ricordi – Catarsi/Liberazione. Questo lavoro è generalmente considerato come una sorta di autobiografia del compositore. «Ygghur» precisa Uitti «è scritto su quattro pentagrammi, uno per ciascuna corda (o voce). Lo strumento è accordato in modo da permettere alla mano sinistra di includere degli unisoni attraverso tutte le quattro corde. […] Le potenti oscillazioni che caratterizzavano Dithome sono ora trasformate in sublimi movenze che danno un senso di musica totalmente liberata. Gli armonici e i trilli elevano ancora la trascendenza sonora; le dinamiche in costante regressione, associate all’alta tessitura del terzo movimento, fanno aumentare il senso di dematerializzazione». Tonino Tesei Le Réveil profond Le Réveil profond è la seconda parte di un dittico intitolato Nuits, del 1972. […] Si tratta di due brani squisitamente autobiografici che si rifanno all’abitudine di Giacinto Scelsi di alzarsi solo a pomeriggio inoltrato, e vivere praticamente durante la notte. Nella prima parte (C’est bien la nuit), il compositore descrive con vivacità e ritmo la magia della notte, in pieno contrasto con il lento movimento del secondo brano Le Réveil profond. Il passaggio dal sonno alla veglia non è il violento richiamo alla realtà a cui purtroppo si è abituati, ma la lenta presa di coscienza del proprio ciclo vitale. Questo «ritorno» è suggerito musicalmente da un continuum di ottave arricchite dagli armonici, con lievi bagliori sonori, quasi a rappresentare lampi di luce filtranti dalle fessure in una stanza buia. Come non pensare all’analogo episodio del risveglio nell’opera per orchestra Aiôn? Qui il risveglio è il preludio a una giornata di Brahma, genesi di grandi imprese: caccia, guerra, amori; la giornata di una divinità naturalmente «dura secoli», come amava sottolineare lo stesso Scelsi. Quartetto n. 3 Scritto nel 1963, il Quartetto n. 3 è diviso in cinque movimenti, ciascuno dei quali reca un titolo: I. Avec une grande tendresse (dolcissimo); II. L’appel de l’esprit: dualisme, ambivalence, conflit (drammatico); III. L’âme se réveille (con trasparenza); IV. …et tombe de nouveau dans le pathos, mais maintenant avec un pressentiment de la libération (con tristezza); V. Libération, catharsis. Benché i cinque movimenti siano collocati in registri ed espressioni differenti, sono tutti saldamente legati tra loro. Ogni movimento, infatti, trova la sua unità in un’unica «nota polare», in un’unica «atmosfera», e soprattutto in un unico aspetto timbrico. La «nota polare», non assimilabile alla tonica tradizionale, è una sorta di asse centrale, attorno al quale Scelsi organizza il processo compositivo. Ecco le «note polari» dei cinque movimenti: La diesis – Mi – Sol – La diesis – Fa. Ogni movimento del Quartetto si concentra sulla rispettiva «nota polare» (in unisono e in ottava) e su piccoli spostamenti di altezza e di dinamica. Lievi glissandi, portamenti insensibili e microtoni infrangono il sistema temperato. Tre tipi di vibrato (lento, normale, ampio), tremoli (ritmati o non, su una o due corde) e trilli realizzano un continuum micromodulatorio. Numerose tecniche di produzione del suono (con sordina o senza, pizzicato o arco, sul ponticello o sulla tastiera, naturale o armonico) determinano un flusso ininterrotto di microvariazioni timbriche. Infine, il suono nasce «come dal nulla», indugia nel tempo per poi svanire di nuovo: il ritmo perde così la sua forza di impatto, ma l’obiettivo della ricerca musicale di Giacinto Scelsi è l’esplorazione delle qualità sostanziali del suono. Singolare è il quarto movimento: è il palindromo (retrogrado) quasi esatto del primo. Tonino Tesei Natura renovatur Natura renovatur del 1967 è una trascrizione per 11 archi solisti del Quarto Quartetto del 1964 dove l’autore rinuncia a dividere il pezzo in tempi e caratteri diversi. «La forma» scrive Martin Zenk «viene qui concepita da Scelsi non come un discorso che fissi aspetti tematici determinati, li discuta e li porti a risoluzione, ma come un movimento del suono dilatato nel tempo, spinto in modo espressivo verso l’alto. […] Su un molteplice reticolo di ottave, i suoni (Klänge) si spingono verso l’alto […]. La composizione è “terminata” con la misurazione di tutti gli spazi intermedi e dello spazio delimitato. […] La tensione della composizione risulta da questo sforzo a riempire lo spazio nella sua interezza e profondità, e dalla molteplice eterofonia». Precisa ancora Zenk: «Il suono non viene inteso come un materiale con delle sedimentazioni storiche e delle implicazioni compositive determinate […], ma piuttosto come materia, la cui dinamica propria deve essere messa in evidenza dal compositore. Egli non porta a compimento le tendenze storiche immanenti al materiale, ma lascia la materia libera in quanto “natura”». In questo brano Scelsi evita tutto ciò che è fissato e chiaramente delimitato come il passaggio netto tra suono e suono. Scrive Zenk, invero: «La distanza tra i suoni viene riassorbita. […] Ciò avviene da una parte sopprimendo la differenza, di principio per il suono, tra centro e involucro, tra parte interna ed esterna, in quanto involucro, cioè le oscillazioni e vibrazioni micro tonali, appartengono esse stesse direttamente al suono; dall’altra, includendo i quarti di tono, […] i glissandi tra i quarti di tono e i semitoni, mediante i quali si sovrappongono i confini tra i suoni, e la permeabilità che si crea tra di loro rende possibile un infinito fluire. Questa permeabilità viene accresciuta attraverso i passaggi graduali, nella dinamica, tra il quadruplice piano e il triplice forte, e attraverso la differenziazione dell’articolazione che è, conformemente alla microtonalità, una microarticolazione». Così il suono acquista profondità e ampiezza e diventa un’entità complessa. Tonino Tesei Action music Nella sua […] composizione per pianoforte, Action music del 1955, la seconda è il più piccolo elemento costruttivo per dei clusters più o meno estesi oppure per dei glissandi di clusters, dunque è l’elemento costruttivo di aggregati sonori che allora in Europa – nel 1955 – quando non ci si degnava di ricordare nemmeno l’opera per pianoforte di Ives, non erano ancora entrati nel campo visivo, o meglio di ascolto. Già all’inizio del pezzo, Scelsi oppone a quattro clusters da suonare con l’avambraccio cinque suoni singoli e i due intervalli di seconda maggiore e minore, che da quei clusters vengono subito inghiottiti. Componendo in tutti i nove pezzi degli aggregati sonori di diverse proporzioni, Scelsi prescrive in realtà una serie di azioni da eseguire in diversi modi, allarga il modo tradizionale di suonare il pianoforte e la tecnica delle dita, trasformandoli in azioni per il palmo della mano, il pugno e l’avambraccio, e il suono singolo, la cui strutturazione sempre più differenziata sembrava essere intenzionale in Scelsi, emerge ora come uno degli innumerevoli atomi dal movimento di massa in cui poi scompare, oppure si oppone con uno sforzo estremo alle schiere di suoni imperversanti. Come già dice il titolo, l’Action music è forse la prima composizione in cui sono prescritte delle azioni, e anticipa, sia nei confronti del pianista che della musica, la gestualità poi così caratteristica che tratta lo strumento in modo non convenzionale, e l’aggressione violenta contro il pianoforte quale odiato oggetto di culto, gestualità che doveva sia preservare dal soffocamento e sia avere una funzione liberatrice. Hans Rudolf Zeller I presagi La composizione in tre movimenti per ensemble I presagi (1958) riguarda la premonizione visionaria della caduta di una città Maya. Questo pezzo presenta una strumentazione insolita: due corni, due trombe, un sax, due tromboni, due tube, percussione e macchina del vento. Il primo movimento gira intorno alla nota Si bemolle come un centro energetico, mentre il secondo movimento orbita intorno alla nota Do. La carica di energia potenziale del primo movimento è risolta nel terzo quando le percussioni suonano per la prima volta producendo un finale furioso e apocalittico. Tonino Tesei Trovo Scelsi interessantissimo perché originale e caldo. Il calore è una qualità estremamente rara in musica. Iannis Xenakis Anahit Anahit del 1965, un «poema lirico sul nome di Venere» per violino e 18 strumenti, si distingue innanzitutto per una particolarità della disposizione dell’ensemble che dovrebbe esservi abbastanza familiare dalla musica tradizionale, e che qui però non è del tutto senza problemi: mi riferisco al cosiddetto rapporto concertante tra un solista e un collettivo, e al fatto che volere attribuire a quest’ultimo una funzione di «accompagnamento» significherebbe in realtà misconoscere completamente l’impianto dei significativi concerti strumentali di epoche passate. In Anahit di Scelsi, la parte del violino solista si distingue da quella dell’orchestra unicamente per la sua esorbitante difficoltà, e in questo almeno la disposizione sociale dell’opera è la stessa del celebre Concert for Piano and Orchestra di Cage del 1958-1959: il privilegio solistico viene dunque negato a favore dell’emancipazione di tutti gli esecutori […]. Persino la «cadenza» del violino, nella parte centrale dell’opera, quando l’orchestra tace, vi apparirà non come un eccesso di virtuosismo, cosa che effettivamente è dal punto di vista della tecnica strumentale, ma semplicemente come uno stadio del decorso formale dove l’ampiezza sonora, uno dei parametri variabili costitutivi della composizione, raggiunge il suo minimo o, detto diversamente, dove la rarefazione raggiunge il suo massimo. D’altronde il senso delle voci singole è, in modo palese, diametralmente opposto a quello che esse hanno nel concerto per pianoforte di Cage, dove è abolita ogni relazione tra di loro. In questa opera di Scelsi esse non solo si fondono virtualmente in uno strumento unico, per così dire ideale, ma questo risultato, proprio in conformità alla propria idea, precede obbligatoriamente del tutto la sua realizzazione tecnica, poiché esso concretizza quel suono ascoltato nell’interno, la cui scomposizione in aspetti empiricamente percettibili costituisce quel contrario […] della «composizione» intesa come una combinazione di elementi. Qui, però, la riflessione non è in grado di impadronirsi completamente dell’opera; di conseguenza deve restare un sovrappiù di complessità musicale, poiché la sonorità virtuale, di cui la musica sta ad ascoltare cangiante le sfaccettature spettrali, sonorità che anzi viene tradotta in percettibilità sempre soltanto in sue parti caratteristiche di volta in volta determinate, permane essa stessa in una sfera dell’ignoto che, dal punto di vista categoriale, sarebbe da definire al di là ancora di quell’Ignoto nell’arte che secondo Baumeister provoca l’insorgere dell’originalità. Heinz-Klaus Metzger Ribattendo a lungo una nota essa diventa grande, così grande che si sente sempre più armonia ed essa vi si ingrandisce all’interno, il suono vi avvolge. […] Il suono contiene un intero universo, con armonici che non si sentono mai. Il suono riempie il luogo in cui vi trovate, vi accerchia, potete nuotarci dentro. […] Quando si entra in un suono ne si è avvolti, si diventa parte del suono, poco a poco si è inghiottiti da esso e non si ha bisogno di un altro suono. […] Tutto è là dentro, l’intero universo riempie lo spazio, tutti i suoni possibili sono contenuti in esso. Giacinto Scelsi Interpreti Naomi Berrill e’ nata a Galway (Irlanda) nel 1981. I suoi genitori sono insegnanti di musica ed hanno avuto un ruolo fondamentale nel suo percorso formativo. Nel 1997 ha vinto una borsa di studio per studiare violoncello alla Royal Irish Academy of Music di Dublino. Nel 2000 si e’ trasferita a Glasgow dove, all’accademia RSAMD, ha conseguito il diploma di musica studiando con il Maestro Robert Irving. Durante il suo percordo di studi Naomi ha studiato musica elettroacustica, jazz e folk, affiancando lo studio del violoncello con quello del pianoforte, canto, chitarra, violino e trombone. A completamento dei suoi studi Naomi ha partecipato ad importanti corsi estivi e masterclass tra cui: Eton Cello Course con Louise Hopkins (London), Banff Chamber Music Course (Canada), Concorda European Chamber Music con Mstislav Rostropovich (Italia). Nel 2005 ha avuto il suo debutto come violoncellista con tre perfomance delle Variazioni su un tema rococò per violoncello op. 33 di Tchaikovsky con la Royal Scottish Academy Orchestra. Dopo il diploma Naomi si e’ trasferita in Italia dove ha iniziato gli studi con Enrico Bronzi (Trio di Parma) e Francesco Dillon (Quartetto Prometeo e Ensemble Alterego). Al momento vive a Firenze ed è violoncellista del Trio Alba ed insegnante alla Scuola di Musica di Fiesole. Le sue collaborazioni si estendono anche negli ambiti della musica tradizionale irlandese, nel jazz sperimentale e del pop con alcune collaborazioni con i La Crus. Naomi collabora stabilmente con gli ensemble Musicamorfosi (Monza), NEM (Firenze) , Fontana Mix (Bologna) e Wu Ming (Lodi). Francesco Dillon è nato a Torino nel 1973. Si è diplomato con il massimo dei voti al Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze sotto la guida di Andrea Nannoni . E’ stato per tre anni prima parte dell’Orchestra Giovanile Italiana, si è perfezionato in seguito con David Geringas, Mario Brunello e Amedeo Baldovino, ha frequentato masterclasses con M.Rostropovich e Anner Bylsma ed è stato allievo, per la composizione, di Salvatore Sciarrino. Accanto all’attività solistica (con l’Orchestra nazionale della RAI, l’Orchestra Sinfonica Siciliana, l’Orchestra Haydn di Bolzano, Accademia i Filarmonici di Verona fra le altre) svolge un’ intensa attività cameristica con il Quartetto Prometeo in Italia e all’ estero (tournées in Giappone, Polonia, Germania, Irlanda, Francia, Inghilterra, Belgio, Austria, Sudamerica, Albania) e nel campo della musica contemporanea con l’ ensemble Alter-Ego suonando moltissime opere in prima esecuzione nei più importanti festival d’Europa e del Mondo (Stockholm New Music, MaerzMusik, Festival Archipel, Ircam, Holland Festival, Romaeuropa Festival,Ultima Festival di Oslo, Wien Modern, Gaida Festival, Huddersfield Festival, Nous Sons a Barcellona, Taktlos a Berna, Biennale Musica a Venezia, Musica Electronica Nova a Wroclaw, Takefu, Ilkhoom a Tashkent, Teatro S.Martin a Buenos Aires…) e collaborando strettamente con compositori tra i quali Gavin Bryars, Luca Francesconi, Philip Glass, Vinko Globokar, Jonathan Harvey, Giya Kancheli, David Lang, Henri Pousseur, Steve Reich, Kaja Saariaho, Salvatore Sciarrino, John Zorn e con celebri musicisti elettronici come Matmos, Pansonic, Scanner,Alva Noto. Nel 1995 viene scelto da Giuseppe Sinopoli come violoncellista dei Solisti dell’ Accademia Filarmonica Romana. Collabora abitualmente in formazioni di musica da camera con musicisti come I. Arditti, M. Brunello, G. Carmignola, M. Campanella, P. Farulli, D. Geringas, V. Hagen, A. Lonquich, A. Lucchesini, E. Pace, R. Schmidt (quartetto Hagen), S. Scodanibbio, P. Vernikov. Ha vinto la Rassegna di violoncello di Vittorio Veneto (1994) e, col quartetto, premi alla “Primavera” di Praga, ARD Munich, Bordeaux. Ha inciso per Aulos, Dynamic, Kairos, Ricordi, Sonoris, Stradivarius e Touch. Tra gli ultimi impegni discografici le prime incisioni della Ballata di Giacinto Scelsi e delle Variazioni di Salvatore Sciarrino con l’Orchestra nazionale della Rai, registrazione premiata con il prestigioso “Diapason d’Or” e il debutto del progetto di improvvisazione BOWLINE in duo col musicista portoghese David Maranha. Insegna alla Scuola di musica di Fiesole. Henry Domenico Durante, nato nel 1983, si diploma con il massimo dei voti e la lode in violino e in Discipline Musicali sotto la guida di R. Donà e G. Arnaboldi perfezionandosi a sotto la prestigiosa guida di G. Mönch e presso l’Accademia dei “Solisti di Pavia” con M. Rogliano. Ha seguito master class di violino e musica da camera con N. Beilina e di pianoforte e musica da camera con E. Bagnoli, R. Galletto, l’Apple Hill Chamber Players ed in formazione di Trio con Pier Narciso Masi e Trio di Parma. Risulta vincitore in diversi concorsi nazionali ed internazionali fra i quali: Moncalieri, “Archi” di Milano, Pistoia, Arezzo e nel 1997, concorrendo a Roma con i migliori strumentisti dei Conservatori italiani, vince la borsa di studio SIAE in collaborazione con il Conservatorio S. Cecilia di Roma, riconfermata per merito ogni anno fino al conseguimento del Diploma. In recital per violino solo, con il Trio Dmitrij e in formazioni cameristiche diverse, suona in sedi prestigiose in Italia, Germania e America, invitato in qualità di Solista con varie orchestre fra le quali si distingue l’Orchestra Filarmonica di Vidin (Bulgaria), l’International Chamber Ensemble. Nel 2008 è stato invitato presso il teatro di Fermo ad eseguire l’Histoire du Soldat di Stravinskij e la Creation du Monde di Milhaud. Nel 2002 e nel 2004 ha inciso due CD con musiche di W.A. Mozart, Saint-Saëns e Ciaikovsky. Nel 2006 ha registrato un CD per Idyllium con musiche inedite di A. Longo. Henry suona un violino S. Klotz del 1747 e un De Francesco del 1998. Marino Formenti, pianista e direttore d’orchestra. Salutato dal Los Angeles Time come il “Glenn Gould del XXI secolo”, Marino Formenti viene considerato tra i più importanti interpreti nel mondo della musica contemporanea. Si è esibito in alcuni dei maggiori Festival e istituzioni concertistiche, tra cui il Lincoln Center for the Performing Arts, Festival di Salisburgo, Festival di Lucerna, Edinburgh International Festival, Festival di Bregenz, Festival Lockenhaus di Gidon Kremer, i Festival AGORA e IRCAM a Parigi, Festival Musica di Strasburgo, Berliner Festwochen, Philharmonie e Konzerthaus di Berlino, Musikverein e Konzerthaus di Vienna, le Philarmonie di Colonia e Budapest, Rachmaninov Hall di Mosca e Filarmonia di San Pietroburgo, Suntory Hall ,Casals e Oji Hall di Tokyo. Durante la stagione 2007/08 Marino Formenti ha eseguito al Festival di Lucerna con grande successo il suo programma Kurtág’s Ghosts, pubblicato di recente da Kairos; nel ciclo Prospettive di Maurizio Pollini ha diretto a Roma musiche di Luigi Nono (che tornerà a dirigere nel corso del 2009 a Parigi e al Teatro alla Scala di Milano); ha interpretato Irrene Stimme di Stefano Gervasoni con Lothar Zagroseck e i Berliner Symphoniker e il nuovo Concerto per pianoforte di Fabio Nieder con la WDR Sinfonieorchester di Colonia; è tornato nel Nord America ai Festival di Ravinia e Aspen con Vingt Regards sur l’Enfant Jesus di Messiaen, nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita del compositore; ha debuttato al Weimar Kunstfest di Nike Wagner con la prima mondiale di un’opera di Olga Neuwirth. Nella stagione precedente Marino Formenti ha presentato alla San Francisco Piano Trips una serie di tre concerti che esploravano il paesaggio della musica del XX secolo, completati da due programmi interattivi per famiglie, andati completamente esauriti; ha registrato Abschied di Michael Jarrell con l’Orchestre de la Suisse Romande e realizzato un ritratto della musica di J.M. Staud per KAIROS insieme ai Berliner Philharmoniker diretti da Sir Simon Rattle; ha partecipato al Festival “Dialogue” del Mozarteum di Salisburgo. Ha lavorato con alcuni dei più importanti compositori viventi, da Helmut Lachenmann a György Kurtág, Salvatore Sciarrino, Olga Neuwirth e Beat Furrer. Nel 2004 Marino Formenti ha debuttato come solista con la Cleveland Orchestra diretta da Franz Welsler-Möst e con l’opera di Olga Neuwirth locus…doublure…solus. Come direttore d’orchestra, è stato assistente di Kent Nagano e Sylvain Cambreling, alla Wiener Staatsoper, Opéra de Paris e alla Los Angeles Opera; ha diretto alla Wiener Konzerthaus, all’Accademia di S. Cecilia a Roma, per il Festival Wien Modern e con il Klangforum Wien, Ensemble Online e Webern Symphony Vienna; ha tenuto a battesino la prima austriaca della prima opera di Kurt Weill Der Protagonist. Nato a Milano, Marino Formenti ha studiato pianoforte, composizione e direzione d’orchestra a Milano, Stoccarda e Vienna, dove vive attualmente. Ha registrato per numerose case discografiche, tra cui KAIROS, col legno e BIS, riscuotendo entusiastiche critiche da parte della stampa europea e americana e aggiudicandosi numerosi riconoscimenti. Juan Carlos Garvayo è nato nel 1969 a Granada, Spagna. Ha iniziato i suoi studi al Conservatorio Victoria Eugenia della sua città. Nel 1988 ha ricevuto una borsa di studio dal governo spagnolo per continuare gli studi alla Rutgers University (U.S.A.) e presso la State University of New York a Binghamton dove ha studiato con Walter Ponce e Diane Richardson. Ha effettuato tournée negli Stati Uniti, Canada, Europa, Cina, Giappone, Sud America e nelle più importanti città spagnole. Ha suonato in importanti festival internazionali: Festival dei Due Mondi (Spoleto), Biennale di Venezia, Singapore Arts Festival, Teatro Central (Siviglia), Festival Internacional de Santander, Festival internacional de Granada, Strasbourg Festival, ecc. Come solista ha suonato con l’Orquesta Nacional de España, la Mozart Orchestra of Philadelphia, la New American Chamber Orchestra, l’Orquesta Sinfónica de Santa Fe (Argentina) e le Orchestre Sinfoniche di Castilla-León, Siviglia, Gran Canaria, Granada, Comunidad di Madrid, e l’Orchestra Nazionale Lituana. Oltre che con il Trio Arbós ha una intensa carriera come musicista da camera collaborando con numerosi solisti ed ensemble. Inoltre ha partecipato come pianista accompagnatore a numerose masterclass con importanti violinisti come I. Stern, Y. Menuhin, P. Zukerman, M. Fuks, M. Vengerov, Z. Bron, D. Zafer, O. Krysa, L. Kaplan, E. Friedman, H. Krebbers, ecc. Ha registrato per Sony Classical, Fundación Autor, Disques XXI Records e un doppio CD di musica per pianoforte di compositori spagnoli contemporanei. Come membro del Trio Arbós ha inciso musica di Luis de Pablo per l’etichetta col legno e l’integrale dei trii di Joaquín Turina per Naxos. Ha eseguito in prima esecuzione assoluta più di cento composizioni molte delle quali a lui dedicate. Come direttore d’orchestra ha presentato in prima assoluta l’opera La noche y la palabra del compositore José Manuel López a Madrid replicandola poi a Venezia. È stato professore alla State University di New York a Binghamton, alla Escuela Superior de Música Reina Sofía di Madrid, al Conservatorio Superior di Salamanca e tenuto diverse master class. Attualmente insegna al Real Conservatorio Superior de Música di Madrid. Danilo Grassi svolge un’intensa attività in Italia e all’estero, partecipando come solista alla preparazione e alla realizzazione di prime esecuzioni di Luciano Berio, Chick Corea, Adriano Guarnieri, Giacomo Manzoni, Steve Reich, Max Roach, Giacinto Scelsi, Iannis Xenakis, in sedi quali l’Opéra Bastille di Parigi, la Marking Concert Hall di New York, il Gulbenkian Centre di Lisbona, il Teatro alla Scala di Milano e l’Opera di Roma. Ha collaborato, inoltre, coi compositori Pierre Boulez, Franco Donatoni, Gérard Grisey. Le orchestre più importanti con le quali ha lavorato sono la Filarmonica della Scala, l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, l’Orchestra Sinfonica della RAI, l’Orchestra della Radio Televisione Svizzera, la Jerusalem Philarmonic Orchestra, Reale Orchestra Sinfonica di Siviglia; in ambito cameristico ha lavorato con Orchestra da Camera di Mantova, Accademia Bizantina di Ravenna, Arnold Schönberg Chor di Vienna, Neue Vocalsolisten di Stoccarda, Athestis Chorus, CARME, Novecento ed Eco Ensemble di Milano, Tempo Reale di Firenze, Nuova Consonanza di Roma, Musica Insieme di Cremona. Importanti anche le collaborazioni con Marta Argerich, Markus Stockhausen, Ensemble InterContemporain, Ensemble Edgar Varèse e Ensemble Labèque. E’ titolare della Cattedra di Strumenti a percussione presso il Conservatorio “A. Boito” di Parma e docente principale dei Corsi di alto perfezionamento per percussionisti, patrocinati dalla Comunità Europea. Fabrizio Ottaviucci si è brillantemente diplomato in pianoforte presso il Conservatorio di Pesaro sotto la guida di Paola Mariotti; ha inoltre studiato Composizione e Musica Elettronica. Ha tenuto concerti nelle più importanti città italiane e tedesche e tournèe negli USA, Canada, Messico, Inghilterra, Spagna, India. E’ stato più volte invitato a prestigiosi festival e rassegne come Festival Pontino, Rassegna di Nuova Musica Macerata, Milano Musica, “Traiettorie” Parma, Accademia S.Cecilia, Nuova Consonanza Roma, Aterforum Ferrara, Evento Suono Pesaro, Amici della Musica Palermo, Centro d’Arte Padova, S. Maternus Köln, Tonhalle Dusseldorf, Festival Internacional Cervantino Guanajuato, Jazz Festival di Bristol, Frankfurt, Berlin, Vigo, ecc. Di particolare importanza la sua attività nella musica contemporanea, nella quale ha collaborato con partner di grande prestigio quali Rohan de Saram, Stefano Scodanibbio, Mike Svoboda, Mario Caroli, Manuel Zurria, Francesco Dillon, Aldo Campagnari, Tara Bouman, Markus Stockhausen con il quale collabora intensamente dal 1986 anche nei repertori tradizionali. Ha eseguito prime assolute dei compositori Stefano Scodanibbio, Tonino Tesei, Fernando Mencherini, Ivan Vandor, Gilberto Cappelli, Albero Caprioli. Ha studiato l’opera pianistica con Giacinto Scelsi. Attivo anche sul piano della sperimentazione ha tenuto concerti con Gary Peacock, Robyn Schulkowsky, Paolo Giaro, Mark Naussef, Conny Bauer. Ha registrato per la ECM Monaco, CMP Köln, AMIATA Firenze, SPLASH R. Milano, WISTERIA Amsterdam, AKTIVRAUM Köln, STRADIVARIUS e WERGO. Diversi concerti sono stati registrati e trasmessi da Rai Radio 3. Vive ad Assisi dove dirige il progetto “laboratorio di musica intuitiva”. Marco Rogliano, avviato prestissimo allo studio della musica, si è diplomato al Conservatorio S.Cecilia di Roma sotto la guida di Antonio Salvatore. Perfezionatosi con Ruggiero Ricci, Riccardo Brengola e Salvatore Accardo, fa il suo debutto internazionale come solista nel 1989 eseguendo il Concerto di Sibelius con la Helsingborg Symphony Orchestra diretta da Ari Rasilainen. Premiato ai concorsi internazionali Bucchi di Roma, ARD di Monaco, East and West Artists di New York, ha tenuto concerti solistici e cameristici nelle più importanti istituzioni italiane e straniere collaborando con direttori come Lior Shambadal, Gunther Neuhold, Marco Angius, Fabio Maestri, Tito Ceccherini e strumentisti del calibro di Alexander Lonquich, Gianluca Luisi, Roberto Cominati, Andrea Lucchesini, Maurizio Baglini, Shuku Iwasaki, Salvatore Accardo, Enrico Dindo, Ingolf Turban, Reiko Watanabe, Danilo Rossi, Bruno Giuranna, Rocco Filippini, Franco Petracchi, Mario Caroli, Giampaolo Pretto, Alessandro Carbonare, Fabrizio Meloni, Alessio Allegrini, Jonathan Williams. Ha ottenuto il prestigioso premio “Diapason d’Or” con la sua incisione di Allegoria della Notte per Vl. e orch. di Salvatore Sciarrino per Kairos con l’Orch. Sinf. Naz. della RAI diretta da Tito Ceccherini ed i 24 Capricci di Paganini incisi per la Tactus (secondo italiano dopo Salvatore Accardo) gli hanno procurato un grande successo internazionale di critica su riviste come Fanfare, Gramophone, Diapason (5 stelle) e Le Monde de la Musique (4 stelle). Ha inoltre inciso in Prima Assoluta l’Humoreske e la Leggenda per violino e orchestra di Respighi per Inedita, l’integrale per violino e pianoforte di Respighi e le Quattro Stagioni di Vivaldi con “Stagioni” di Guarnieri per Tactus. Nel 1996, Salvatore Accardo lo ha invitato personalmente come Primo Violino Solista della sua Orchestra da Camera Italiana e dal 2001 ricopre lo stesso ruolo nell’Ensemble Cameristico “I Solisti di Pavia” fondato e diretto da Enrico Dindo. Tiene il Corso di Perfezionamento in Violino presso l’Accademia Musicale di Pavia. Ha recentemente debuttato come solista insieme al violinista Ingolf Turban nella Grosser Saal della Filarmonica di Berlino dietro invito di Lior Shambadal e dei Berliner Symphoniker. Nel luglio 2009 debutterà in Cina con il Quarto Concerto di Paganini assieme all’Orch.Sinf.di Macao. Marco Rogliano suona su un Nicola Bergonzi (Cremona,1790) affidatogli dalla Fondazione Maggini di Langenthal (Svizzera). Gli è stato conferito il Premio Scanno 2008 per la Musica. Stefano Scodanibbio, contrabbassista e compositore, è nato a Macerata il 18.6.1956. Ha studiato contrabbasso con Fernando Grillo, composizione con Fausto Razzi e Salvatore Sciarrino, musica elettronica con Walter Branchi, storia della musica con Michelangelo Zurletti. Il suo nome è legato alla rinascita del contrabbasso negli anni ‘80 e ‘90, ha infatti suonato nei maggiori festival di musica contemporanea numerosi pezzi scritti appositamente per lui da compositori quali Bussotti, Donatoni, Estrada, Ferneyhough, Frith, Globokar, Sciarrino, Xenakis. Nel 1987, a Roma, ha tenuto una maratona di 4 ore non-stop suonando 28 brani per contrabbasso solo di 25 autori. Ha collaborato a lungo con Luigi Nono (“arco mobile à la Stefano Scodanibbio” è scritto nella partitura del Prometeo) e Giacinto Scelsi. John Cage, in una delle sue ultime interviste, ha detto di lui : “Stefano Scodanibbio is amazing, I haven’t heard better double bass playing than Scodanibbio’s. I was just amazed. And I think everyone who heard him was amazed. He is really extraordinary. His performance was absolutely magic”. Suona regolarmente in duo con Rohan de Saram e Markus Stockhausen. Nel 1996 è stato insegnante di contrabbasso ai Darmstadt Ferienkurse, inoltre ha impartito Master Class e Seminari in diversi luoghi: Rice University di Houston, Berkeley University, Stanford University, Oberlin College, Musikhochschule Stuttgart, Conservatoire de Paris, Conservatorio di Milano, ecc. Ha composto più di 50 lavori principalmente per strumenti ad arco (Sei Studi per contrabbasso solo, Six Duos per tutte le combinazioni dei quattro archi, Concerto per contrabbasso, archi e percussioni, 4 Quartetti, ecc.) e per quattro volte le sue composizioni sono state selezionate dalla SIMC, Società Internazionale di Musica Contemporanea (Oslo 1990, Città del Messico 1993, Hong Kong 2002, Stoccarda 2006). Nel giugno 2004 ha eseguito la prima esecuzione della Sequenza XIVb di Luciano Berio, una propria versione per contrabbasso dall’originale Sequenza XIV per violoncello. Attivo nella Danza e nel Teatro ha lavorato con coreografi e danzatori come Virgilio Sieni, Hervé Diasnas e Patricia Kuypers e con il regista Rodrigo García, Il suo lavoro di Teatro Musicale Il cielo sulla terra, con le scene di Gianni Dessì e la drammaturgia di Giorgio Agamben, è stata eseguito a Stoccarda nel giugno 2006, replicato a Tolentino nel luglio dello stesso anno e ripreso a Città del Messico nell’agosto del 2008. Ha registrato per Montaigne Auvidis, col legno, Mode, New Albion, Dischi di Angelica, Ricordi, Stradivarius, Wergo. Di particolare rilievo le sue collaborazioni con Terry Riley e con Edoardo Sanguineti. Nel 1983 ha fondato e da allora dirige la Rassegna di Nuova Musica di Macerata. Ladislao Vieni comincia gli studi musicali nel Conservatorio della sua città, Bologna. Studia la viola con Angelo Bartoletti e Augusto Vismara. Segue corsi di perfezionamento con i violisti Dino Asciolla, Bruno Giuranna, Piero Farulli e Jurij Bashmet, frequentando istituti di musica quali la Fondazione “W. Stauffer” a Cremona, la Scuola di Musica di Fiesole e l’Accademia Musicale Chigiana a Siena. Nel 2006 consegue la Laurea in Musica da camera al Conservatorio G. B. Pergolesi di Fermo. Si dedica allo studio del repertorio cameristico sotto la guida di importanti musicisti, quali Enzo Porta, Pavel Vernikov, Kostantin Bogino, Maureen Jones, Alain Meunier, Berl Senovski e i membri del Quartetto Amadeus. Studia inoltre musica barocca con Giorgio Pacchioni e musica jazz con Franco D’Andrea. Svolge intensa attività cameristica nella più varie formazioni e come solista con orchestra.Ha collaborato con diverse orchestre tra cui l’Orchestra della RAI, l’Orchestra “Arturo Toscanini”, spesso come prima viola. Risultato vincitore (1° classificato) dei concorsi per orchestra presso l’E.A. Arena di Verona e l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, diventa componente di ruolo di quest’ultima, dove lavora fino al ‘94, anno in cui vince il concorso per titoli ed esami per la docenza di Musica da Camera presso i Conservatori. Nel ’95 entra a far parte dell’Ensemble Koinè, un gruppo con organico molto flessibile che pone particolare attenzione alla musica dal ‘900 in poi. Sempre dal 1995 per tre anni è stato prima viola dell’ Orchestra Internazionale d’Italia con la quale ha effettuato importanti tournées all’estero, suonando con importanti solisti come J. Bell, J. Carreras, B. Giuranna, I. Gruber, L. Kavakos, V. Mullova, I. Oistrakh, J. P. Rampal e M. Rostropovič, G. Kremer, N. Gutman. Dal 1998 collabora come prima viola con la FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana. Nel 2000 ha suonato per la rassegna “Verona Jazz” partecipando al progetto “Carla Bley Fancy Chamber Music” di Carla Bley e Steve Swallow. Insegna Musica da Camera presso il Conservatorio Gioachino Rossini di Pesaro. Chie Yoshida è nata in Giappone. A 4 anni inizia lo studio del violino. Consegue la laurea in violino a Tokyo presso l’Università di Musica Toho, dove ha studiato violino con Takeaki Sumi e musica da camera con Syuku Iwasaki. Nel 1998 si trasferisce in Italia per studiare con Domenico Nordio. Studia inoltre con Boris Belkin all’Accademia Musicale Chigiana di Siena e con Paul Cassidy del Brodsky Quartet. Nel 2001 si esibisce in duo con pianoforte in Spagna e suona come solista in Germania. Nel 2002 intraprende lo studio della viola sotto la guida di Antonello Farulli, conseguendo il diploma presso il Conservatorio di Livorno. Nel 2003 prende parte al quartetto di teatro comico musicale Euphoria, con il quale si esibisce in numerosi teatri italiani ed europei partecipando ad importanti festival ed eventi mediali fra i quali il Premio Tenco e le Olimpiadi Invernali di Torino. Nel 2006 è scelta dall’attore Marco Paolini per il ruolo di protagonista femminile e viola solista nello spettacolo teatrale “Sonata a Kreutzer”, scritto e interpretato dallo stesso Paolini, con la partecipazione del violoncellista Mario Brunello e dell’Orchestra da camera dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Dal 2006 fa parte dell’ensemble di musica contemporanea FontanaMIX di Bologna. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana, fondata nell’anno 1985 ed oggi gestita dalla Fondazione Orchestra Regionale delle Marche (FORM), è una delle tredici Istituzioni Concertistiche Orchestrali italiane (ICO) riconosciute dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Attualmente il M° Donato Renzetti ne è il Direttore Principale ed Artistico. Formata per la maggior parte da valenti musicisti marchigiani, fra cui molti giovani, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana affronta con notevole flessibilità il repertorio sia lirico, sia sinfonico, distinguendosi di conseguenza per una particolare duttilità sul piano artistico-interpretativo, come rilevato da tutti gli interpreti e i direttori d’orchestra che con essa hanno collaborato. Nel corso della sua attività, consistente principalmente nella realizzazione della Stagione Sinfonica in ambito regionale e nella partecipazione alle più importanti manifestazioni a carattere lirico delle Marche (Teatro Pergolesi di Jesi, Sferisterio Opera Festival di Macerata, Teatro dell’Aquila di Fermo, Teatro delle Muse di Ancona), si è esibita con grandi interpreti come Gidon Kremer, Natalia Gutman, Vladimir Ashkenazy, Andrea Bacchetti, Alessandro Carbonare, I solisti della Scala, avvalendosi della guida di direttori di prestigio internazionale, quali Gustav Kuhn (Direttore Principale dal 1997 al 2003), Woldemar Nelsson (Direttore Principale Ospite dal 2004 al 2006), Daniel Oren, Donato Renzetti, Bruno Campanella, Corrado Rovaris, Anton Nanut. Rivolge una particolare attenzione alla valorizzazione dei compositori marchigiani del passato, soprattutto Pergolesi, Rossini e Spontini, promuovendo nel contempo anche l’attività dei maggiori compositori marchigiani contemporanei. Collabora con gli Enti e le Associazioni concertistiche più prestigiose della regione Marche. Realizza inoltre circuiti di concerti destinati al pubblico scolastico. Dal 1998 al 2002 è stata orchestra principale del Festival Snow & Symphony di St. Moritz. Nel maggio del 2003 ha effettuato una tournèe di concerti in Austria con il sostegno del Consolato Italiano di Innsbruck e l’Istituto Italiano di Cultura. Nel 2005 è stata invitata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ad eseguire, in collaborazione con il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, il tradizionale Concerto di Fine Anno al Quirinale sotto la direzione del Maestro Donato Renzetti, riscuotendo apprezzamenti critici e un grande successo di pubblico. Nel 2006, in occasione dei 250 anni dalla nascita di Mozart, ha realizzato con il contributo dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Macerata il progetto “Sinfonie d’organo”, un concerto itinerante teso alla valorizzazione del patrimonio degli antichi organi delle Marche nello splendore artistico dei luoghi che li ospitano. Nel Natale del 2006, sotto la direzione di Corrado Rovaris, ha eseguito in tournée a Roma, Betlemme e Gerusalemme il Concerto per la Vita e per la Pace, con il soprano Cinzia Forte e il violoncellista Enrico Dindo. Il concerto è stato trasmesso in differita su RAI 1 e su RADIO 3. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana è presente sul mercato discografico con numerose incisioni, tra cui si segnalano: La Serva Padrona e Stabat Mater di G.B. Pergolesi, Guntram di R. Strauss, Rossini Ouvertures, Le nozze di Figaro di W.A. Mozart, Oberto Conte di San Bonifacio e Preludi e Ouverture di G. Verdi. Nel 2003 è uscito il DVD dell’opera L’elisir d’amore di Donizetti realizzato dalla Rai, mentre nel 2004 il CD Sinfonia n. 9 di G. Mahler e il DVD dell’opera I racconti di Hoffmann di Offenbach. Direttore di palcoscenico Paolo Appignanesi Registrazioni audio e sito web Andrea Lambertucci Foto Fabio Falcioni Amministrazione Maria Sara Rastelli, Roberta Spernanzoni, Cecilia Torresi Segreteria Paola Pierucci Collaborazione Enrico Crucianelli Si ringraziano: Luciano Messi direttore dell’organizzazione artistica e tecnica di Sferisterio Opera Festival Fabio Tiberi direttore generale della Fondazione Orchestra Regionale delle Marche gli uffici amminstrativi della Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Pippo Ciorra, Giulia Menzietti e Manuel Orazi In copertina: flag (particolare) di Fabio Falcioni