la storiografia e la revisione di un giudizio prof . marcello pacifico

“LA STORIOGRAFIA E LA REVISIONE DI
UN GIUDIZIO”
PROF. MARCELLO PACIFICO
Università Telematica Pegaso
La storiografia e la revisione di un giudizio
Indice
1 IL CARATTERE ANTIECCLESIASTICO, IMPERIALE E DIPLOMATICO DELLA CROCIATA DI
FEDERICO II-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 IL PROGETTO POLITICO DI FEDERICO II E L’INEDITA ALLEANZA TRA MONDO CRISTIANO E
MUSULMANO ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 7
3 FEDERICO II NEI RAPPORTI CON LA NOBILTÀ E IL PAPATO: UNA NUOVA IDEA DI CROCIATA
11
BIBLIOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Il carattere antiecclesiastico, imperiale e
diplomatico della crociata di Federico II
Se la Sicilia e il Mediterraneo offrono lo sfondo alla storia delle relazioni tra cristianità e
islam durante le crociate partite nella prima metà del XIII secolo, il viaggio orientale di Federico II
rimane al centro di un dibattito storiografico che oppone storici delle crociate, dello Svevo e del
Mezzogiorno nel giudizio sul suo carattere antiecclesiale, imperiale o diplomatico.
J. Zeller e S. Sibilia criticano il carattere antiecclesiale della spedizione federiciana che,
insieme all’ostinata lotta contro i baroni d’Oltremare, per D. Abulafia, denota il carattere
paradossale dell’anticrociata intrapresa nell’Oriente latino dallo scomunicato Federico II, sempre
pronto ad anteporre il voto reso dinanzi all’Onnipotente all’autorità di san Pietro di vincolare e di
sciogliere. Il giudizio riprende il pensiero di R. Grousset che accusa l’imperatore di bandire come
dominus mundi la crociata senza l’intervento della chiesa con il conseguente anatema papale, e
ritiene che la sua stessa crociata possa appena meritare questo nome. Il carattere anticlericale non è
attenuato dalla cultura cosmopolita dello Svevo, poiché l’islamophilie rasenta una forma
d’antipapismo che dissimula male l’anticlericalismo, rasentando l’anticristianesimo. L’imperatore si
mostra ostile verso tutti i campioni della chiesa, in Occidente e in Oriente. Il successo politico della
spedizione che ottiene la restituzione di Gerusalemme ai Cristiani, non assolve l’imperatore.
C. Cahen nota un carattere antiromano nel viaggio dell’imperatore. La volontà del sovrano di
imporsi sul papato e sui baroni d’Oltremare deriva da una visione imperiale che è denunciata da S.
Runciman, perché nel riprendere la politica familiare degli Svevi destabilizza la sopravvivenza del
regno latino di Gerusalemme, e scatena lotte di privilegi e di potere. F. Cognasso accusa la crociata
politica del sovrano, perché, come in tutte le spedizioni condotte dai sovrani europei nel XIII secolo,
antepone l’interesse degli Stati a quello delle comunità, e a causa dell’alleanza con il sultano priva
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la spedizione del carattere di guerra santa, di sterminio dell’infedele. Ancor’oggi, gli storici
denunciano il carattere antiromano e imperiale della spedizione, che la distingue dalle altre crociate,
improntate alla collaborazione tra potere politico e ecclesiastico, e alla sanguinosa lotta agli infedeli.
Per H. Houben, l’accordo politico sulla consegna di Gerusalemme avrebbe potuto rivalutare il
personaggio storico, se non fosse stato inficiato dall’operazione ideologica sottesa, l’esaltazione di
Federico II come nuovo Davide pronto a salvare il suo popolo. Per M. Balard è deleterio il processo
di sacralizzazione dell’impero e della sua persona, perseguito da Federico II che ritiene d’avere il
compito di guidare «una crociata che gli permetta d’annettere la Terra Santa all’impero», e di
realizzare il programma orientale del padre.
La pace di Giaffa, denunciata come un compromesso raggiunto tra due sovrani, nemici della
loro religione, rappresenta allo stesso tempo il momento più alto d’incontro tra la civiltà cristiana e
musulmana, grazie proprio a quella modernità di pensiero che trasforma la crociata in un
avvenimento politico, una questione di Realpolitik. La crociata imperiale e diplomatica può così
anche essere valutata positivamente: se G. Paolucci rileva che il papa «aveva dovuto implicitamente
riconoscere buono quello che aveva dichiarato pessimo e abominevole, specialmente la condotta di
Federico nella crociata e lo stesso trattato col sultano». J. Richard e A. S. Atiya devono ammettere
che Federico II tenta di garantire la sopravvivenza dell’Oriente latino nel liberare la crociata dal suo
aspetto religioso, in un periodo in cui anche il papato non desidera conquistare Gerusalemme con il
sangue dell’infedele, e E. Horst sottolinea l’importanza di un’impresa totalmente estranea alla
mentalità aggressiva dei primi crociati. La fine della lotta contro i Musulmani è strettamente legata
da F. Gabrieli alla politica orientale del sovrano che s’inserisce tra le rivalità interne alla dinastia
ayyûbita: «se né sincero zelo religioso, né amore di terra lontana lo spinsero laggiù, egli seppe
mirabilmente utilizzare l’iniziazione all’Oriente, già avuta in giovinezza, nel gran gioco
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diplomatico»1 in cui risolve la crociata. Per H. Bresc, la naturalezza di queste relazioni coi principi
musulmani deriva dal sincero atteggiamento d’amicizia mostrato da Federico II per la cultura araba,
per la religione musulmana e per i sovrani saraceni, e dall’abbandono del progetto dell’impero
talassocratico mediterraneo degli Altavilla. Il successo della spedizione è eclatante e, per T. C. Van
Cleve, riflette bene lo spirito del tempo e il carattere cosmopolita dello Svevo, dipinto ancora una
volta nei mai spenti ritratti mitici: Federico II si oppone agli interessi particolari della Chiesa,
raggiungendo senza spargimento di sangue quanto desiderato dalla Cristianità, e si sottopone alle
accuse di sacrilegio, eresia e blasfemia, pur di pagare il prezzo politico di un accordo diplomatico
che gli avrebbe consentito il dominio incontrastato sull’Europa. L’imperatore, influenzato dalla
cultura orientale incontrata fin dalla giovinezza, caldeggia la restituzione della Terra santa alla fede
cristiana senza dimenticare la sacralità di alcuni luoghi per i Musulmani e paradossalmente,
accusato d’anticlericalismo, consegue con la tolleranza e la pace ciò che i capi della chiesa credono
possibile soltanto con il sangue.
Nel corso degli ultimi due secoli, il dibattito storiografico sulla spedizione federiciana a
Gerusalemme si è soffermato sul suo carattere antiecclesiale, imperiale e diplomatico, ricadendo nel
signum contradictionis che distingue la figura di Federico II. Gli spunti anche polemici, però, hanno
offuscato la visione generale dell’azione politica del sovrano durante le crociate, senza analizzarne
debitamente il contesto della realtà euro-mediterranea. Lo studio della crociata di Federico II è
servito di volta in volta per giustificare, per esaltare o per condannare l’espansionismo tedesco o la
colonizzazione europea, il laicismo o il modernismo del sovrano, la religiosità o l’oscurantismo
della società medievale in una perenne contrapposizione che ha impedito un giudizio sereno e
coerente. Mentre l’idea di crociata, intesa come guerra santa di conquista o di religione, ha spinto
gli storici a individuarne nell’azione del sovrano scomunicato i caratteri innovativi o tradizionali, e
1
F.
Gabrieli, Federico II e la cultura musulmana, in
«Rivista storica italiana», 54/1952, 9.
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a trascurare quegli aspetti che pure, giustamente, sono stati ricordati: la missione salvifica del potere
temporale e spirituale, l’attesa messianica, la politica dei sovrani mediterranei nelle società miste
della Penisola iberica, della Sicilia, della Palestina, le relazioni culturali tra Occidente e Oriente.
Soltanto se si allontana la crociata dall’idea di un conflitto etnico-religioso permanente e la si
riconduce all’idea di un strumento, in mano del papa e dell’imperatore, per realizzare la
provvidenziale missione salvifica delle Scritture e per aprire la stagione di pace all’umanità intera
nell’attesa del giudizio finale, si supera la controversa visione della storiografia sul carattere
imperiale o antiecclesiale della crociata federiciana, e si creano le condizioni per comprendere le
relazioni politiche attive tra Cristiani e Musulmani nel Mediterraneo medievale, al tempo delle
crociate svolte sotto l’egida di Federico II, dal 1215 al 1250.
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2 Il progetto politico di Federico II e l’inedita
alleanza tra mondo cristiano e musulmano
Da quando Federico II assume la corona imperiale e la croce ad Aquisgrana, nel 1215, la sua
storia si lega a quella del regno di Gerusalemme e dei rapporti tra cristianità e islam nel
Mediterraneo medievale, superando la classica divisione storiografica dei campi di studio relativi
alle crociate e all’imperatore. La spedizione condotta in Oriente nel 1228 testimonia il momento
centrale delle relazioni avute dal sovrano normanno-svevo con la Terra santa, ma non esaurisce
un’azione politica che è costante durante le crociate. Gerusalemme apre la vita di Federico II a una
realtà euro-mediterranea, ne condiziona la visione del potere e della regalità, il progetto politico di
riforma di un regno di pace e di giustizia, le relazioni con i sudditi, con i principi occidentali e
orientali, cristiani e musulmani, con i papi e la chiesa. Il pellegrinaggio in armi condotto dallo
scomunicato Federico II in Palestina deve essere considerato una crociata perché ottiene quella
restituzione pacifica della città santa alla cristianità, che era stata ricercata da tutte le spedizioni
proclamate dal papato dopo la riforma gregoriana.
Dopo l’istituzione del regno latino di Gerusalemme, nella Terra santa, le spedizioni
proclamate dalla chiesa, piuttosto che prolungare un mitico scontro tra civiltà o affermare una
società coloniale o ancora promuovere una guerra santa contro i nemici della fede, rinnovano le
pacifiche relazioni esistenti tra Franchi e Saraceni. E Federico II s’inserisce in questa tradizionale
politica, instaurando un rapporto con i principi musulmani del Mediterraneo che può essere studiato
all’insegna della dimensione personale dell’amicizia, del progetto politico di un regno di pace e di
giustizia. Le relazioni amichevoli del sovrano normanno-svevo con i principi musulmani nascono
da un interesse per la cultura araba e da un rispetto per il mondo musulmano che dimostra il livello
di conoscenza dell’islam raggiunto dalla cristianità, lo stato di relazioni pacifiche attive tra Cristiani
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e Musulmani. La consegna pacifica di Gerusalemme, disposta dalla pace di Giaffa siglata nel
febbraio del 1229 da Federico II e dal sultano al-Kâmil realizza, pertanto, un accordo politico
ricercato da anni, che conferma la coesistenza dei culti cristiano e musulmano in Palestina secondo
prospettive profetiche e giuridiche: Gerusalemme può essere aperta a tutti i fedeli dell’Antico
Testamento perché la corona tutela i membri della comunità cristiana e musulmana in quanto
appartenenti al popolo del libro, catecumeni, in una Terra santa dove il pluralismo religioso si
pratica nell’attesa del Messia. Non esiste una società di apartheid, di esclusione, di persecuzione nel
regno di Gerusalemme, ma una coesistenza e una commistione di lingue, di etnie, di religioni e di
culture, favorite dalla circolazione dei saperi da Toledo a Palermo, da Antiochia al Cairo, da
Damasco a Marrakech. Nel Mediterraneo della prima metà del XIII secolo, al di là della propaganda
della guerra santa dei predicatori della crociata o della jihâd degli ambienti pietisti, Cristiani e
Musulmani alternano pace e guerra, alleanze e battaglie in nome della protezione o
dell’ampliamento dei loro regni e non della religione professata, specialmente in Palestina dove è
rispettato il carattere sacro dei Luoghi santi, segnati dalla stessa matrice vetero-testamentaria.
Principi cristiani e musulmani si alternano al governo delle rispettive comunità in nome del Dio di
Israele, proteggono i sudditi senza guerreggiare in nome della croce o della mezza luna, e
dissentono da quelle operazioni ideologiche tese a definire le crociate come conflitti confessionali e
l’islam come nemico metafisico, già intuite da C. Tyerman e da F. Cardini.
Nello stesso secolo in cui l’Europa cristiana apprezza il valore positivo del lavoro, scopre la
dimensione dell’individuo e l’anelito all’infinito regno dei cieli, conosce la nascita delle università e
la ricerca della povertà evangelica, la riscoperta del diritto, della vita monastica, dei testi aristotelici
e di quelli mistici, l’Oriente musulmano procede nella proliferazione delle scuole religiose
(madrasas), nello sviluppo del misticismo e del pauperismo dei conventi sufi, nello sforzo di
normazione dei precetti del sovrano, nella ricerca della pace, nella diffusione del ribat.
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Tra il 1225 e il 1250, il sovrano normanno-svevo rimane sempre fedele alla dinastia al
potere in Egitto con i cui rappresentanti scambia continue ambascerie, e garantisce una pace più che
decennale nel Vicino Oriente. L’azione dell’imperatore pacifico e riformatore è immortalata nella
facciata esterna, perduta, della cattedrale di Cefalù, in un programma iconografico che retrodata la
politica orientale del sovrano agli anni del primo governo siciliano, in continuità con il programma
musivo della cupola interna dove un altro sovrano giudice e legislatore, Ruggero II, al pari degli
imperatori romani, prende le sembianze del Cristo benedicente e giustiziere, assiso in trono, con in
mano la tavola della legge. La morte del sultano al-Kâmil non compromette l’amicizia di Federico
II con i suoi figli, tanto che Tibaldo di Champagne recupera la città santa occupata brevemente dal
cugino ribelle del sultano con la scusa della violazione della tregua di Giaffa, e Riccardo di
Cornovaglia incrementa ad Ascalona i confini del regno di Gerusalemme. Anche la crociata dei
baroni, svolta nel 1239 in Palestina, può essere annoverata una crociata imperiale perché il re di
Navarra e il principe di Inghilterra agiscono in qualità di fidelis et procurator di Federico II, dal
quale ricevono il sostegno logistico per il passaggio, per l’equipaggiamento e per
l’approviggionamento dei pellegrini, e precise istruzioni circa la strategia da adottare in Oriente per
ottenere il rinnovo della pace di Giaffa con gli eredi del sultano. Come è una crociata imperiale la
prima spedizione di Damietta del 1218-1221, quando re Giovanni di Brienne e il legato apostolico
Pelagio conducono i crociati in attesa e per conto dello Svevo, atteso dai pellegrini come imperatore
degli ultimi tempi. L’allenza tra il Cairo e Palermo, siglata a Giaffa nel 1229, non salta nemmeno
dopo la cacciata dei Musulmani dal Tempio di Gerusalemme e il tradimento di Gaza del 1243,
quando la spregiudicatezza dei Templari, spronata dal papato, stuzzica l’ambizione dei nobili
d’Oltremare e convince i frati-cavalieri ad allearsi con i musulmani di Damasco e di Homs per
sconfiggere il sovrano del Cairo, il fedele alleato musulmano dell’imperatore scomunicato. Non vi è
alcuno scandalo se dall’una e dall’altra parte croci e mezze lune si alternano tra gli stendardi dei
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cavalieri che si apprestano ad affrontarsi nella terra siriana, palestinese o egiziana; ancora una volta
nel 1244, dopo le lotte di successione al principato di Antiochia e alla corona armena (1211-1221),
Cristiani e Musulmani combattono fianco a fianco al di là della propaganda religiosa di frati e di
imâms.
La vittoria degli ayyûbiti d’Egitto consegna Gerusalemme nuovamente a un erede del
Saladino, ma il rispetto per l’imperatore Federico II ne impedisce la sua appropriazione: il sultano
al-Sâlih caccia i Carismiani dalla città santa e ne prende la custodia per conto del sovrano
normanno-svevo tanto da rifiutare le proposte di pace avanzate dal papa; attacca i baroni regnicoli
ribelli all’autorità federiciana a Tiberiade e a Ascalona tanto da convincerli a ritornare
all’obbedienza imperiale, e ottiene la gratitudine dell’imperatore, quando è informato della crociata
del re francese nel 1248, e si dichiara disponibile a restituire Gerusalemme.
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3 Federico II nei rapporti con la nobiltà e il papato:
una nuova idea di crociata
Federico II riceve l’omaggio feudale dei baroni a Nicosia, ad Acri, ad Antiochia senza
procedere ad alcuna germanizzazione dell’Oriente latino e non altera la carta feudale dei regni
d’Oltremare, che insieme a quelli di Sicilia, Italia e Germania devono rimanere in pace per
consentire la realizzazione della missione salvifica dell’impero, per avverare la salvezza del popolo
d’Israele. Al di là del breve periodo caratterizzato dall’acuta lotta tra l’imperatore e il papato, negli
anni 1243-1247, i nobili d’Oltremare si mostrano rispettosi della politica diplomatica e dell’autorità
del sovrano normanno-svevo durante la pace di Giaffa. E Federico II riconosce le prerogative della
nobiltà e della corona del regno di Gerusalemme senza segni di debolezza o di dispotismo. Se la
pace di Giaffa realizza un condominio religioso a Gerusalemme, il rapporto tra l’imperatore e la
chiesa influenza decisamente le relazioni attivate tra cristianità e islam in Oriente e in Occidente.
Mentre negli anni dell’armonia tra papato e impero, Gregorio IX segue da vicino le relazioni
diplomatiche di Federico II, negli anni della discordia, invece, si scaglia contro i partigiani
dell’imperatore, tanto da ricercare un’alleanza con il principe musulmano di Kerak in funzione antiegiziana, e quindi, anti-federiciana. Il successore Innocenzo IV riprende la stessa politica mirando a
far saltare tutte le relazioni diplomatiche attivate dallo Svevo per minarne il potere per cancellarne il
nome dalla storia, a costo anche di sconvolgere la pace in Palestina. Alla morte della regina di
Cipro, il papa affida la Palestina al figlio, ribelle con gli Ibelin all’imperatore negli anni della
giovinezza, ma il nuovo tradimento della pace federiciana provoca la perdita di Gerusalemme e
l’invasione egiziana del regno crociato.
Come la concordia tra papato e impero realizza la stagione delle crociate, così la loro lotta
destabilizza il regno di Gerusalemme, avvia al tramonto il progetto di riforma della pace, e travolge
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i rapporti attivati da Federico II con i principi musulmani e cristiani, con gli ordini secolari e
religiosi, con i sudditi dei regni orientali e occidentali. Le scomuniche impartite al sovrano
normanno-svevo dividono la cristianità in partigiani e accusatori di un uomo che si trasforma nella
propaganda della curia papale nell’anticristo, così ben descritto dal cronista Salimbene de Adam.
La seconda scomunica esclude per tutta la vita Federico II dalla comunità dei fedeli, turba
l’equilibrio ritrovato e mette gli Ordini gli uni contro gli altri, provocando profonde lacerazioni
all’interno delle loro strutture. Anche i precari rapporti tra chiesa apostolica e orientale degenerano,
per la fama goduta dall’imperatore Federico e per la sua amicizia con i sovrani greci di Nicea e di
Epiro. Se durante le buone relazioni tra papato e impero, diversi frati partono per l’Oriente in
missione da Roma per risolvere le questioni dogmatiche e politiche poste all’indomani dello scisma
e aggravate dalla crociata di Costantinopoli, dopo la rinnovata scomunica di Federico II, invece,
papa Innocenzo IV proclama una nuova crociata per piegare gli scismatici greci. I nemici della
chiesa di Roma devono bruciare all’inferno, così come le loro terre corrotte e appestate, dalla
Germania all’Italia, dalla Provenza alla Palestina.
A distanza di trent’anni dalla deposizione di Ottone di Brunswich, l’Impero è in fiamme,
mentre Federico II si trasforma da puer in persecutor ecclesie: la frattura tra papato e impero
diventa inconciliabile.
Sono passati pochi decenni dalla battaglia di Bouvines, e nell’estate del 1244, un re di
Francia si ritrova ancora una volta stretto tra il vicino e ambizioso sovrano inglese e un imperatore
del sacro romano impero deposto in conflitto con la chiesa. Dopo aver preso la croce, Luigi IX
cerca in tutti i modi una mediazione tra Innocenzo IV e Federico II, ma fallisce anche se impedisce
un concilio imperiale che avrebbe dovuto dichiarare eretico il papa, sull’esempio di quanto aveva
fatto Enrico IV a Bressanone.
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L’imperatore, riconosciuto da papa Gregorio IX negli anni della concordia come nuovo re
Salomone, così come si descrive nel manifesto di Gerusalemme durante l’incoronazione nel
Sepolcro di Cristo ispirato dalle pagine delle Sacre scritture, non può rinunciare alla missione
divina, pena la sconfessione della stessa regalità, cosicché la cristianità rimane confusa, acceccata
dal seme della ribellione nelle terre della chiesa e dell’impero, in Sicilia e in Siria, in Provenza, in
Francia e in Inghilterra, vittima del turbamento delle relazioni pacifiche esistenti in Terra santa con i
Musulmani. Il papa tenta di seguire la politica dell’imperatore nella ricerca di relazioni politiche
con i principi ayyûbiti, selgiuchidi, almohadi, afsidi: promuove negoziazioni, ordina la traduzione di
testi arabi per contribuire alla conoscenza dell’islam in Europa, organizza missioni con l’obiettivo
di convertire i fedeli catecumeni senza più perseguire necessariamente l’occupazione armata dei
Luoghi santi. D’altronde, non vi è più motivo di recarsi in armi a Gerusalemme se ci si può recare
in pellegrinaggio, e se la stagione delle crociate si è conclusa con il segno tangibile della
preparazione dell’umanità all’avvento di un regno di pace e di giustizia.
La pace di Giaffa realizza l’idea di crociata nello spiegare il senso stesso della missione del
papato e dell’impero, apre Gerusalemme ai fedeli del libro in un condominio religioso dei Luoghi
santi, contribuisce all’elaborazione di pratiche del sapere e di esercizi del potere nelle corti dei
sovrani musulmani e cristiani, orienta la concezione della regalità di Federico II verso una liturgia
del potere che legittima la potestas regale nella realizzazione della pax, della iustitia, della lex
secondo la tradizione salomonica e sapienziale, biblica e romana. La croce presa dal sovrano ad
Aquisgrana al momento dell’incoronazione imperiale, dunque, prefigura un preciso impegno che si
traduce nell’attività politica di una vita tesa a riformare la pace nei regni in Germania, in Sicilia, in
Palestina, in Lombàrdia, e a ripristinare l’ordine voluto da Dio senza alcun riguardo a chi, colpevole
di eresia, impedisce tale progetto, siano essi i Lombardi, i Musulmani di Sicilia o i papi del
Duecento. Il rapporto di Federico II con il regno di Gerusalemme spiega la politica del sovrano e
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orienta tutte le crociate bandite nei trent’anni che intercorrono dal IV Concilio Laterano al Concilio
di Lione. Lo Svevo si interessa alle crociate e conduce personalmente una spedizione in Terra santa
per realizzare la stagione delle crociate e non per annullarle, con il consenso della chiesa e non
contro di essa. La guerra mossa contro i ribelli Lombardi, che innesca il conflitto con il papato, e la
guerra contro gli Ibelin, che indebolisce il regno di Gerusalemme, sono frutto dello stesso progetto
politico di riforma della pace in Occidente e in Oriente, che porta alla consegna pacifica di
Gerusalemme e al libero culto dei fedeli dell’Antico Testamento. I musulmani sono protetti nella
Palestina cristiana come in Sicilia in quanto catecumeni e non nemici della fede, fideles e non victi
di un re giusto e saggio, il nuovo Salomone della Bibbia che sublima i caratteri peculiari della
monarchia normanna, gerosolimitana, imperiale; il loro status spiega la produzione e la circolazione
di saperi, il dialogo tra papi, imperatori, sovrani e sultani, il movimento di missionari e di ulâma, di
mercanti e maestri nella società multiculturale e plurireligiosa dell’area euro-mediterranea della
prima metà del XIII secolo, la cui identità è segnata dalle relazioni di Federico II con la Terra santa.
Le crociate dirette a Gerusalemme perdono il carattere confessionale, guerresco o coloniale perchè
non espandono la civiltà cristiana, francese o tedesca, e non hanno l’obiettivo di annientare gli
infedeli, anche se spesso sono mistificate dalla retorica della propaganda che inventa un nemico
inesistente, dai perfidi Greci agli spergiuri Saraceni, all’anticristo. Non per questo, le crociate
perdono il loro carattere sacro visto che hanno il compito di proteggere i Luoghi santi, avverare la
Gerusalemme terrestre, e realizzare un messianesimo sempre più sentito, che Federico II interpreta
pienamente, da quando prende la croce fino alla morte, da profondo attore delle relazioni esistenti
tra Oriente e Occidente nel Mediterraneo medievale. Il 13 dicembre 1250, Federico II muore e
lascia al giovane figlio Corrado il fardello del governo di un impero euro-mediterraneo inserito
all’interno di intrecciate relazioni politiche, economiche, sociali che scolpiscono il volto della
cristianità e dell’islam grazie a un continuo confronto culturale. Da questo momento tramonta l’idea
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di una Gerusalemme aperta ai fedeli del Libro, patria di Ebrei, Cristiani e Musulmani, opus pacis,
fino a perdersi nel sangue dei nostri giorni, anche se la Gerusalemme celeste continua a vivere nei
cuori dei pellegrini, come i ricordi delle gesta del primo imperatore del sacro romano impero che è
stato re di Gerusalemme e di Sicilia al tempo delle crociate. A questo regno di pace e giustizia, oggi
come allora, aspira l’uomo nella speranza di ritornare a Gerusalemme, a partire dalla riscoperta di
uno spazio euro-mediterraneo, dove si sono forgiate, confuse e separate durante le crociate le idee
di Oriente e di Occidente, nel tempo della ragione e della fede, di un sapere, di un ordine, di una
missione magistralmente ricercati, interpretati e vissuti dallo Stupor Mundi.
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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Università Telematica Pegaso
La storiografia e la revisione di un giudizio
Bibliografia
 Hiestand R., Friedrich II. und der Kreuzzug, in Friedrich II. Tagung des Deutschen
Historischen Instituts in Rom im Gedenkjahr 1994
 Cognasso F., Storia delle crociate, Milano 1967
 Balard M., Croisades et Orient latin 11e -14e siècle, Paris 2003
 Cardini F., L’invenzione del nemico, Palermo 2006
 Tyerman C., The Invention of the Crusade, London 1998; trad. it.,Torino 2000
 Le Goff J., Il cielo sceso in terra. Le radici cristiane dell’Europa, trad. it. di F. Maiello,
Roma-Bari 2004
 De Robertis F. M., Federico II di Svevia nel mito e nella realtà. Notazioni critiche e
ricostruttive sulla figura e l’opera – spesso tutt’altro che esaltanti – del maggior dinasta
dell’Occidente, Bari 1998
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