Introduzione
Il diritto della Comunità internazionale
SOMMARIO: 1. Nozione di diritto internazionale. - 2. Diritto internazionale pubblico
e diritto internazionale privato. - 3. Le peculiarità dell’ordinamento internazionale.
1. Nozione di diritto internazionale
Il diritto internazionale pubblico, o semplicemente diritto internazionale, è quel complesso di norme, scritte e consuetudinarie, che disciplinano le relazioni tra i soggetti sovrani della Comunità internazionale.
Questa sintetica definizione merita alcune precisazioni:
— per «norme di diritto internazionale» devono intendersi tutte quelle
regole di condotta il cui rispetto è da considerarsi obbligatorio;
— l’espressione «soggetti della Comunità internazionale», invece, fa riferimento a tutti gli enti (prevalentemente Stati e organizzazioni internazionali) che possiedono l’astratta attitudine a divenire titolari dei diritti e degli obblighi previsti dalle norme di diritto internazionale, che essi
stessi hanno generato.
Convenzionalmente, la nascita del diritto internazionale viene fatta risalire alla pace di West­falia del 1648, al termine della sanguinosa Guerra dei
Trent’anni: da quella data, gli Stati affermarono la loro sovranità e indipendenza ponendo fine al dominio dell’Impero e del Papato. In quanto entità
politiche di pari grado superiorem non recognoscentes, avvertirono da subito la necessità di dare vita ad una serie di norme condivise, nel tentativo di
autolimitarsi e garantire la pace all’interno del sistema internazionale.
In passato, il diritto internazionale poteva essere definito come «diritto
degli Stati», poiché essi erano gli unici soggetti a costituire la Comunità
internazionale (che si caratterizzava, pertanto, come ordinamento giuridico
interstatuale). Nel tempo, altri soggetti hanno acquisito personalità internazionale, diventando titolari dei diritti e degli obblighi derivanti dalle norme
di diritto internazionale: tra essi, vanno citate in primis le organizzazioni
internazionali.
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Introduzione
In particolare, nell’antica Roma non si era potuto formare un diritto internazionale per il
monopolio del potere «mondiale» che l’Urbe, con la costituzione dell’Impero, aveva imposto
su tutte le entità territoriali allora conosciute da essa assoggettate (Egitto, Pergamo, Siria etc.).
Per tale ragione è più corretto parlare, nei rapporti tra l’Impero e le Province, di un diritto
costituzionale interno con vertice nella capitale (prima Roma e poi Bisanzio).
Diverso è, invece, il regime del diritto internazionale privato che, soprattutto in età repubblicana, era gestito dal cd. praetor peregrinus, cui erano affidate le controversie tra cittadini
romani e stranieri o quelle che presentavano elementi di estraneità.
2. Diritto internazionale pubblico e diritto internazionale privato
Il diritto internazionale privato (d.i.p.), contrariamente a quanto si
potrebbe pensare, è una disciplina completamente distinta dal diritto internazionale pubblico, in quanto costituisce un ramo del diritto interno.
Il termine, infatti, indica il complesso delle norme giuridiche che lo
Stato produce, in riferimento a quei rapporti privatistici collegati ad altri
ordinamenti, per stabilire i casi in cui vada applicato il diritto interno o
quello straniero.
Si tratta pertanto di norme interne che non riguardano affatto la Comunità internazionale, potendo essere applicate esclusivamente nello Stato in
cui vengono prodotte. La connotazione di «internazionalità» consiste nella
semplice circostanza che il d.i.p. regola rapporti e fattispecie caratterizzati
da punti di contatto (cittadinanza, luogo di svolgimento del rapporto etc.)
con ordinamenti giuridici stranieri.
Da quanto detto, sembrerebbe più corretta la definizione «diritto interno in materia internazionale».
3. Le peculiarità dell’ordinamento internazionale
L’ordinamento internazionale presenta alcune peculiarità che lo differenziano da quelli nazionali:
— mentre l’ordinamento statale è organizzato in modo gerarchico, poiché
esiste un ente sovraordinato (lo Stato-apparato) che stabilisce le regole
applicabili alla comunità sottostante, il sistema internazionale presenta
una struttura orizzontale in cui tutti i soggetti sono considerati «enti
sovrani» (qui superiorem non habent) e sono posti, almeno sotto il
profilo giuridico formale, su un piano paritario (benché i rapporti di
Il diritto della Comunità internazionale
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potere esistenti a livello internazionale compromettano di fatto tale
parità giuridica);
— l’assenza di un ente superiore, ovvero di una sorta di «governo mondiale», induce gli stessi soggetti dell’ordinamento a provvedere autonomamente alla produzione e all’esecuzione di norme di diritto internazionale. Manca, in altre parole, un «foro legislativo di natura rappresentativa che adotti regole obbligatorie per tutti i membri della società
internazionale» (TANZI);
— in caso di violazione di tali norme, non esistono organi giurisdizionali internazionali che accertino le infrazioni commesse, né organi di
polizia internazionale indipendenti dagli Stati e dotati di poteri coercitivi e sanzionatori. In diverse occasioni sono stati istituiti Tribunali e
Corti internazionali, talvolta a carattere permanente, ma l’accettazione
della loro giurisdizione è facoltativa, perché dipende da una preventiva
dichiarazione di volontà da parte degli Stati;
— nonostante l’esistenza di meccanismi di risoluzione pacifica delle controversie previsti in ambito ONU, il rispetto delle norme nell’ordinamento internazionale, ancora oggi, è affidato all’istituto dell’autotutela:
lo Stato, detentore del monopolio della forza legittima (WEBER), provvede da sé a tutelare e difendere i propri diritti all’interno della Comunità internazionale (self-defence).
Da quanto appena detto deriva il basso tasso di giuridicità strutturale
dell’ordinamento internazionale rispetto a quelli statali, in quanto «le funzioni di produzione, accertamento ed esecuzione forzata del diritto non
vengono di regola esercitate in termini istituzionalmente organizzati e sovraordinati rispetto ai soggetti dell’ordinamento» (TANZI).
Panorama storico
Si fa convenzionalmente risalire la nascita della moderna Comunità internazionale al
1648, anno in cui fu stipulata la pace di Westfalia.
La «comunità di Stati» precedentemente esistente (cd. Respublica Christiana) era nata
dalle ceneri dell’Impero romano, ovvero da un ordinamento di tipo universalistico che,
in quanto tale, abbracciava sotto l’autorità di Roma la quasi totalità dei territori e dei
popoli sino ad allora conosciuti. Essa non presentava i caratteri della Comunità internazionale moderna, poiché le entità di tipo statuale non costituivano figure autonome (superiorem non recognoscentes), ma erano sottoposte alla superiore autorità del «Papa»
e dell’«Imperatore» (i due «soli» menzionati nel De monarchia da Dante).
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Introduzione
Soltanto con il consolidamento del nuovo ordine europeo, successivo alla pace di Westfalia, gli Stati si emanciparono dal controllo dell’Impero e del Papato acquistando pienamente sovranità, indipendenza e, contestualmente, soggettività di diritto internazionale.
Tale assetto, che costituisce la risultante di una politica di equilibrio fra le potenze, ha subìto,
nel corso dei secoli, diversi tentativi di egemonizzazione (la Francia napoleonica, la Germania nazista etc.), ma ha conservato fino ad oggi quasi immutate le sue caratteristiche.
Una delle novità sostanziali è stata la progressiva affermazione delle organizzazioni
internazionali quali soggetti di diritto internazionale. Le principali, vale a dire la
Società delle Nazioni prima e l’Organizzazione delle Nazioni Unite poi, si sono costituite come organizzazioni di tipo universale e, sebbene abbiano formalmente promosso una
perfetta pariteticità tra gli Stati (ad esempio mediante la regola «one State one vote»), di
fatto hanno importato al loro interno i rapporti di forza esistenti nella Comunità internazionale (si pensi al Consiglio di Sicurezza, in cui le cinque potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale godono del diritto di veto).
Nei primi vent’anni del secondo dopoguerra, inoltre, «l’erosione dei grandi imperi coloniali ha portato all’affermazione, in regioni e su popoli già da essi dominati o controllati, di nuovi centri sovrani e indipendenti di potere politico» (GIULIANO); in tale periodo, grazie soprattutto all’opera esercitata al riguardo dalle Nazioni Unite, la decolonizzazione ebbe un ruolo dominante in quanto «venne ad assumere un ritmo travolgente,
trasformando profondamente la composizione della società internazionale» (GIULIANO),
consentendo ad un folto numero di Stati dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania di proclamare la propria indipendenza.
In realtà, l’assetto della Comunità internazionale del secondo dopoguerra, più che essere caratterizzato dall’esistenza di una molteplicità di Stati sovrani posti su un piano di
perfetta parità, si reggeva su un equilibrio tra blocchi contrapposti. Da un lato, infatti,
continuava ad operare il cd. blocco di Stati eurocentrici, ormai indiscutibilmente guidato dagli Stati Uniti, che aveva dominato la vita delle relazioni internazionali per tutto il
XIX e per la prima metà del XX secolo imponendo i suoi valori, le sue istituzioni ed un
sistema economico fondato sul capitalismo; dall’altro, accanto al blocco occidentale se
ne affiancarono altri portatori di ideologie e valori completamente diversi: intorno
all’Unione sovietica si costituì il cd. gruppo dei Paesi socialisti, che per tutto il periodo
della guerra fredda si contrappose, sia sul piano militare sia su quello ideologico ed
economico, agli Stati occidentali, mentre un terzo blocco autonomo di Stati (il Gruppo
dei 77) venne a formarsi con l’acquisto dell’indipendenza da parte di numerose ex colonie, che contrastavano e rifiutavano duramente molte regole del diritto internazionale
formatesi durante il periodo coloniale.
Questa contrapposizione tra blocchi ha, di fatto, influenzato tutto l’assetto delle relazioni internazionali almeno fino al crollo del sistema comunista tra il 1989 ed il 1991, anni
a partire dai quali è emersa una situazione estremamente fluida e difficilmente definibile:
alcuni politologi internazionalisti hanno sostenuto la tesi secondo cui gli Stati Uniti sarebbero rimasti l’unica potenza egemone, dando origine ad un sistema unipolare; per
altri commentatori, dalle ceneri del bipolarismo sarebbe, invece, emerso un sistema
multipolare, in cui le Nazioni Unite, ormai libere dai vincoli derivanti dalla contrapposizione fra blocchi, avrebbero assunto un ruolo guida.
Il diritto della Comunità internazionale
In realtà, gli eventi di questi ultimi anni hanno dimostrato che l’ONU non è in grado di
porsi come vero e proprio centro di «governo del mondo»; è stato, infatti, osservato
che il vero assetto della Comunità internazionale emerso con la dissoluzione del blocco
sovietico è quello che ha visto imporsi il sistema economico capitalistico come supremo
e unico regolatore dei rapporti (non solo economici) internazionali, poi degenerato nella
cd. «globalizzazione».
L’attuale ordine mondiale non è regolato dai singoli Stati, né tantomeno dalle Nazioni
Unite, ma da un nuovo ordine globale e una nuova struttura di potere, in parte simile a
quella dell’Impero romano, alla quale i singoli Stati-nazione hanno progressivamente
trasferito porzioni sempre più importanti di sovranità.
Secondo gli autori che si fanno portatori di questa tesi (HARDT-NEGRI), l’attuale ordine mondiale è caratterizzato dal superamento dell’ormai vecchio concetto di Stato-nazione e dall’affermarsi di un nuovo «potere sovrano che governa il mondo», l’Impero.
Si tratta di una «sintesi delle tre fondamentali forme di governo: la monarchia è impersonata dal monopolio della forza militare da parte degli Stati Uniti, dal potere politico
delle nazioni del G8, da agenzie militari come la NATO, nonché dagli organismi di
controllo dei flussi finanziari come la Banca mondiale o il Fondo monetario; l’aristocrazia è quella del denaro: le grandi multinazionali che organizzano la produzione e la
distribuzione dei beni e, in generale, i detentori del potere economico; la democrazia è
costituita dagli organismi che tutelano gli interessi popolari: le organizzazioni non governative, non-profit, per la difesa dei diritti umani».
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Parte prima
Le fonti del diritto internazionale
Capitolo Primo
Le norme della Comunità internazionale
SOMMARIO: 1. Un ordinamento giuridico atipico. - 2. La classificazione delle fonti
internazionali. - 3. Lo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia (art. 38).
1. Un ordinamento giuridico atipico
L’ordinamento giuridico internazionale può essere considerato un
sistema atipico, dal momento che non vi è alcuna autorità sovraordinata o
assemblea legislativa preposta alla produzione delle norme giuridiche, né
esiste un organo giudiziario a carattere obbligatorio (la funzione giurisdizionale internazionale, infatti, è essenzialmente di natura arbitrale).
La produzione delle norme giuridiche, dunque, è affidata agli stessi
soggetti che ne sono destinatari (ovvero, in primo luogo, agli Stati) e alla
loro libera volontà comune di porre in essere condizionamenti reciproci.
2. La classificazione delle fonti internazionali
Nonostante non esista una classificazione univoca in dottrina, è possibile distinguere le fonti del diritto internazionale in:
— consuetudini. Si tratta di norme non scritte che costituiscono il diritto
internazionale generale, nel senso che vincolano tutti i soggetti della
Comunità internazionale. Le prime consuetudini ad essersi formate sono
state consuetudo est servanda e pacta sunt servanda.
Una tipologia particolare è rappresentata dai princìpi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili, che per alcuni autori, invece, costituiscono una categoria autonoma di fonti a cui spetterebbe rango primario (QUADRI);
— trattati. Sono fonti del diritto internazionale particolare, in quanto
vincolano i soli soggetti che hanno concorso alla loro formazione (cd.
parti contraenti). Sono altresì atti di natura volontaria, che trovano il
fondamento della loro obbligatorietà nella consuetudine pacta sunt
servanda.
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Parte Prima: Le fonti del diritto internazionale
Nel linguaggio internazionalistico, i termini trattato, accordo, patto e
convenzione possono essere utilizzati indistintamente. I termini Carta o
Statuto, invece, si riferiscono ai soli trattati istitutivi di organizzazioni
internazionali;
— atti vincolanti delle organizzazioni internazionali. Si tratta di fonti
previste dall’accordo istitutivo di un’organizzazione internazionale, e
hanno efficacia per i soli Stati membri. Ne sono un esempio i regolamenti dell’Unione europea.
In relazione alla definizione di una gerarchia delle fonti, non sussistono dubbi circa il fatto che le consuetudini, a differenza dell’ordinamento
statale (in cui le fonti non scritte hanno un valore per lo più secondario e
integrativo) costituiscano fonti di primo grado.
Non vi è, invece, unanimità in dottrina circa il rapporto tra consuetudine e trattato: per alcuni, essi costituiscono entrambi fonti di primo
grado, con la conseguenza che le fonti previste da accordi si qualificherebbero come fonti secondarie; per altri, l’accordo è da considerarsi una
fonte secondaria poiché deriva la propria obbligatorietà dalla norma consuetudinaria pacta sunt servanda (in tale ottica, gli atti delle organizzazioni internazionali assumerebbero il rango di fonti di terzo grado).
Gli autori che sostengono la tesi secondo cui consuetudini e trattati hanno la medesima
forza giuridica (con l’unica precisazione che, in virtù del principio di specialità, una consuetudine non può derogare ad un trattato) concepiscono quello delle fonti internazionali come un
«sistema orizzontale», che tuttavia, dal secondo dopoguerra, sarebbe oggetto di una parziale
e tendenziale verticalizzazione (LEANZA-CARACCIOLO) per i seguenti motivi:
— da un lato, il consolidamento di alcune norme generali (i principi generali di diritto e le
norme di jus cogens - v. Cap. 2, par. 5 e Cap. 5, par. 2) che, costituendo regole fondamentali dell’ordinamento internazionale, sono dotate di una forza giuridica superiore;
— dall’altro, la costituzione di un numero sempre crescente di organizzazioni internazionali,
la cui produzione normativa, come già accennato, consiste nell’emanazione di atti che
rappresentano fonti di rango gerarchicamente inferiore rispetto alle consuetudini e ai
trattati.
3. Lo statuto della Corte Internazionale di Giustizia (art. 38)
L’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia (CIG)
è spesso considerato come la chiave di lettura, anche se non sistematica,
Capitolo Primo: Le norme della Comunità internazionale
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del sistema internazionale delle fonti. Esso dispone che la Corte, nella
soluzione delle controversie che le sono sottoposte, applicherà:
— le convenzioni internazionali, sia generali che particolari, che stabiliscono norme espressamente riconosciute fra gli Stati in controversia;
— la consuetudine internazionale, quale prova di una pratica generalmente accettata come diritto;
— i princìpi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili;
— subordinatamente a quanto previsto dall’art. 59, le decisioni giudiziarie
e la dottrina degli autori più altamente qualificati delle varie nazioni, in qualità di strumenti sussidiari.
Queste disposizioni non pregiudicano il potere della Corte di giudicare
un caso ex aequo et bono, se le parti sono d’accordo.
Tuttavia, il suddetto articolo opera una mera ricognizione delle fonti,
senza fornire alcuna gerarchia delle stesse. Bisogna dunque negare che
abbia un valore pseudo-costituzionale, sottolineando piuttosto che si tratta
di una norma operativa, indicante i criteri adoperati dalla CIG nel procedimento di risoluzione delle controversie.