Dispensa n. 10 del corso di PLANETOLOGIA (Prof. V. Orofino) GLI ANELLI DEL SISTEMA SOLARE Università del Salento Corso di Laurea Magistrale in Fisica A.A. 2011-2012 Ultimo aggiornamento: Agosto 2011 1. Introduzione L’affascinante storia degli anelli iniziò nel gennaio 1610 quando Galilei scoprì da una parte e dall’altra del disco di Saturno due curiose protuberanze, identificate poco dopo come un anello che circondava il pianeta. Allora tutti gli astronomi si trovarono d’accordo nel considerare il sesto pianeta come una delle meraviglie del cielo. Una meraviglia ed una eccezione, poiché questo anello non aveva eguali in tutto il Sistema Solare. Fu quindi grande la sorpresa allorché, nel marzo 1977, diversi gruppi di osservatori, approfittando dell’occultazione di una stella da parte di Urano, misero in evidenza l’esistenza di un sistema di anelli attorno a questo pianeta. Saturno cessò di essere una eccezione, e gli astronomi cominciarono allora a domandarsi se anche altri pianeti non fossero circondati da anelli. La risposta giunse con esattezza due anni più tardi, allorché la sonda spaziale Voyager 1 ne fotografò uno attorno a Giove, scoperta confermata successivamente da Voyager 2, che nel 1989 scoprì anche gli anelli di Nettuno. Evidentemente tutti i pianeti giganti sembra siano circondati da queste formazioni anulari che, da eccezione, sono diventati una regola. Benché nessuno di questi quattro sistemi di anelli sia simile agli altri, il loro studio viene attualmente inquadrato in una visione generale allo scopo di scoprire le leggi che sono alla base della formazione e dell’evoluzione di strutture di questo tipo. 2. Gli anelli di Saturno Qualunque astrofilo, che disponga di un cannocchiale astronomico, può facilmente osservare gli anelli di Saturno. All’epoca della loro scoperta da parte di Galileo essi costituirono cionondimeno un mistero. Infatti solo nel 1659, l’olandese Christian Huygens comprese veramente di che cosa si trattasse e fu il primo a suggerire l’idea che Saturno fosse circondato da un disco, un anello piatto e sottile, non a contatto con il pianeta. Ma nel 1675, Gian Domenico Cassini corresse quest’ultima teoria. Gli anelli di Saturno infatti non possono essere «pieni»: la terza legge generalizzata di Keplero dice infatti che ad ogni distanza di un corpo secondario da un oggetto centrale (primario) corrisponde un ben preciso periodo di rivoluzione. Nel caso degli anelli di Saturno, che si estendono su un’ampia superficie, il periodo di rivoluzione è dunque 2 più breve per il bordo interno che per il bordo esterno, il che provocherebbe il loro smembramento. Come Cassini intuì nel 1710 e Maxwell provò nel 1859, gli anelli, dunque, non possono essere formati che da una miriade di corpi indipendenti, che si comportano come altrettanti piccoli satelliti rotanti in ranghi serrati attorno al pianeta; osservati da grande distanza, danno perciò l’illusione di una superficie piena. Cassini corresse quindi la teoria di Huygens considerando il disco non come un corpo rigido, ma come un insieme di piccoli anelli concentrici con molte lacune tra loro. La più larga delle lacune fu chiamata Divisione di Cassini; essa è ampia 4,800 km ed è situata tra i due anelli pricipali, l’anello A e l’anello B. 2.1 Caratteristiche generali Gli anelli di Saturno costituiscono il più esteso sistema di anelli planetari del Sistema Solare. Esso si estende da 67,000 km a oltre 213,000 km circa dal centro del pianeta (Brainerd, 2004). Gli anelli principali sono formati da centinaia di altri piccoli anelli e sono composti da innumerevoli particelle con dimensioni che variano dai micrometri ai metri (Zebker et al., 1985). Alcuni aspetti della struttura degli anelli cambiano su tempi scala dell’ordine dei giorni (Cuzzi et al., 2010) Le parti più luminose del sistema di anelli saturniano sono gli anelli A e B, separati dalla Divisione di Cassini. Questi anelli, insieme all’anello C, scoperto nel 1850 e simile nelle caratteristiche alla Divisione di Cassini, costituiscono gli anelli principali. Essi sono più densi e contengono particelle più grandi rispetto ai tenui anelli polverosi. Questi ultimi includono gli anelli D, G ed E ed altri al di là del sistema principale. Sono definiti “polverosi” a causa delle piccole dimensioni delle loro particelle, che spesso sono dell’ordine dei micrometri. La Divisione di Cassini è una lacuna ampia 4,800 km tra l’anello A e l’anello B (v. fig. 1), scoperta nel 1675 da Gian Domenico Cassini. Dalla Terra appare come una scura e sottile lacuna. Tuttavia la sonda Voyager ha scoperto che in questa divisione è comunque presente del materiale che tra l’altro costituisce un anello simile all’anello C. L’anello B è il più largo, il più luminoso e massivo degli anelli di Saturno. Le principali caratteristiche degli anelli di Saturno sono riportate in tab. 1. 3 Tab. 1 – Posizione dei bordi interni ed esterni dei principali anelli di Saturno e dei centri delle gap al loro interno (si noti che esistono alcune discrepanze tra i vari set di dati). Feature Distance Comments Saturn equatorial radius (RS) 60,330 km (1 RS) Near the 100-mbar level in Saturn’s atmosphere D ring inner edge 66,900 km[a] (1.11 RS) Onset of ringlet structure in images D ring outer edge C ring inner edge 74,660 km[a] (1.24 RS) Onset in radio data of signature of individual ringlets; C ring features seen in images down to 73.200 km C ring outer edge B ring inner edge 92,000 km[a] (1.52 RS) Sharp increase in optical depth (radio plus ultraviolet) B ring outer edge 117,580 km[a] (1.95 RS) Outer edge variable by at least 140 km: spokes between 1.72 RS and outer edge of B ring = inner edge of Cassini division Cassini Division Center A ring inner edge Encke Gap center Keeler Gap center A ring outer edge F ring center G ring center E ring inner edge E ring outer edge 119,990 km[a] (1.99 RS) 122,170 km[a] (2.03 RS) 133,590 km[a] (2.21 RS) 136,530 km[a] (2.26 RS) 136,780 km[a] (2.27 RS) 140,180 km[b] (2.32 RS) 170,000 km[a] (2.82 RS) 180,000 km[a] (2.98 RS) 480,000 km[a] (7.96 RS) Outer edge of Cassini division (4600 km wide) ambiguous in imaging data Sharp increase in optical depth (radio plus ultraviolet) 325 km wide 35 km wide Sharp decrease in optical depth (radio plus ultraviolet) Eccentric ring; multiple strands; edges not well defined (radio plus ultraviolet) Optical depth ~ 10-4 to 10-5 Not well defined (*); maximum brightness near the orbit of Enceladus Not well defined (*); maximum optical depth ~ 10-6 to 10-7 Nota: (*) Le immagini Voyager non mostrano evidenza dell’anello E entro 211,000 km ed oltre i 302,000 km dal centro del pianeta. Riferimenti [a]: http://www2.jpl.nasa.gov/saturn/back.html; [b]: http://www.nasa.gov/worldbook/saturn_worldbook.html 4 Fino al 1980 si spiegava la struttura degli anelli di Saturno ricorrendo alle sole forze gravitazionali. Successivamente alcune immagini dalle sonde Voyager, come quella riportata in fig. 1, mostrarono la presenza di caratteristiche radiali nell’anello B, note come “spokes” (o cunei), strutture vagamente triangolari che non potrebbero essere spiegate in questo modo. Essi appaiono scuri in luce diffusa all’indietro e luminosi in luce diffusa in avanti (v. par. 2.2). La loro base è più vicina a Saturno mentre la punta è rivolta verso l’esterno. Fig. 1 L’immagine ripresa da Voyager 2 che mostra distintamente alcuni spokes nell’anello B di Saturno. I cunei sono fatti principalmente di polveri. Sono visibili anche l’anello A e la Divisione di Cassini. La griglia di puntini neri presente in ogni immagine proveniente dalla sonda, è usata per correggere le distorsioni geometriche dovute alla telecamera. Il meccanismo preciso di origine degli spokes è ancora sconosciuto. Tuttavia, la presenza di un campo magnetico nell’anello suggerisce una possibile connessione tra le forze elettromagnetiche e la dinamica dei cunei. Questi sono forse il risultato della levitazione di piccole particelle sopra il piano dell’anello dovuta ad effetti elettrostatici. Gli spokes sembrano essere un fenomeno stagionale scomparendo nei periodi di estate e inverno saturniani e diventando visibili nei periodi prossimi agli equinozi. 5 Una struttura particolarmente difficile da catalogare è l’anello F, perché composto da tre sottili anelli che, nelle foto del Voyager 1 sembravano intrecciati in una struttura complessa. È invece ora noto che i due anelli esterni consistono di addensamenti di materia che danno l’illusione ottica di un intrecciamento (v. fig. 2). Fig. 2 Immagine dell’anello F ripresa dal Voyager 1. E’ costituito da due anelli luminosi e da uno più scuro: i primi due contengono addensamenti di materia che conferiscono alla struttura un aspetto intrecciato); il terzo, più interno, è omogeneo. Il 6 Ottobre 2009 fu annunciata la scoperta di un altro tenue disco molto lontano da Saturno, in quanto poco più interno all’orbita di Febe. Anche se molto largo, l’anello è praticamente invisibile ed è stato possibile scoprirlo solo grazie al telescopio spaziale infrarosso Spitzer della NASA. Si è visto che l’anello si estende da 128 a 207 raggi di Saturno (Verbiscer et al., 2009). Straordinari per la loro estensione, gli anelli di Saturno lo sono anche per il loro spessore verticale (dove definiamo “verticale” la direzione normale al piano di simmetria degli anelli, grosso modo coincidente con il piano equatoriale del pianeta), il cui valore è estremamente difficile da misurare da Terra, dato che il modo migliore per determinarlo consiste nell’approfittare del momento in cui, osservati dal nostro 6 pianeta, gli anelli si presentano di taglio. Questo fenomeno si riproduce circa ogni 14 anni. Gli astronomi avranno dunque ancora l’occasione di migliorare le misure di spessore verticale di questi anelli che si sa già inferiore ai 3 km, con le migliori stime che lo riducono a 10 m. Secondo recenti valutazioni, non ancora accertate, la massa totale degli anelli è circa 9 10 19 kg, che è una piccola frazione della massa totale di Saturno (circa 1.5 10-7 Stewart et al., 2007). 2.2 Caratteristiche fisico-chimiche Utili informazioni sugli anelli provengono dall’analisi della radiazione da loro diffusa nelle due geometrie osservative di luce diffusa in avanti e luce diffusa all’indietro. Con luce diffusa in avanti ci riferiamo ad un esperimento in cui l’osservatore è opposto al Sole rispetto all’anello, che così appare in controluce; con diffusione all’indietro invece ci riferiamo all’esperimento in cui la posizione dell’osservatore è tale da poter osservare la luce solare riflessa dagli anelli, e quindi l’osservatore si trova tra il Sole e l’anello. Evidentemente da Terra si possono compiere osservazioni solo in geometria di diffusione all’indietro, mentre è necessario l’utilizzo di sonde per osservare gli anelli in luce diffusa in avanti. Se indichiamo con Ib l’intensità della radiazione solare diffusa all’indietro alla lunghezza d’onda ; con If quella della radiazione solare diffusa in avanti alla stessa lunghezza d’onda e con a il raggio delle particelle dell’anello, allora la teoria di Mie (v. par. 5 della Dispensa n. 12) prevede che: 1) Ib If per a 100 ; 2) I b If per a 10 ; 3) Ib If per 0.1 a ; 4) I b If per a 0.1 . Nel caso 4) la diffusione è del tutto trascurabile. In genere la maggior parte degli anelli di Saturno (in particolare il grosso degli anelli A e B), osservati nel visibile, è più luminosa in luce retrodiffusa che in luce diffusa in avanti. Per quanto sopra discusso, ciò implica la presenza di una forte componente di particelle macroscopiche (in particolare il loro raggio a è compreso tra 103 m e 10 m). 7 D’altra parte se consideriamo gli anelli C e D, osservati nel visibile, essi hanno luminosità confrontabili sia in luce diffusa in avanti che in luce diffusa all’indietro, e quindi le dimensioni delle particelle devono essere dell’ordine delle decine di micron. Infine gli anelli F ed E, come pure le parti periferiche degli anelli A e B, sempre osservati nel visibile, sono più luminosi in luce diffusa in avanti che in luce retrodiffusa, per cui deve essere presente una forte componente di particelle microniche e submicroniche (a 0.5 m). Le piccole dimensioni medie delle particelle soprattutto dell’anello F sono molto interessanti poiché, a causa delle collisioni con micrometeoroidi e dello sputtering1 da parte di particelle delle fasce di radiazioni, la vita media di tali particelle microniche e submicroniche risulta molto minore dell’età degli anelli. Il materiale espulso dalla superficie di piccoli satelliti presenti negli anelli a causa del bombardamento meteorico rappresenta una plausibile sorgente delle piccole particelle presenti nell’anello F. La composizione degli anelli può essere dedotta dall’analisi dei loro spettri di riflessione. Questi ultimi si ricavano determinando, in funzione della lunghezza d’onda, l’albedo geometrica A degli anelli. Ciascuno degli anelli A, B e C è dominato dal ghiaccio d’acqua cristallino, come indicato dalla presenza negli spettri di pronunciate bande di assorbimento a 1.55, 2.0 e 3.0 μm, come pure di una debole banda a 1.25 μm dovute appunto a questa sostanza (v. fig.3). Non è stata rilevata alcuna evidenza di altri tipi di ghiacci oltre al ghiaccio d’acqua. Secondo Poulet e Cuzzi (2002), il 93% degli anelli è composto da ghiaccio d’acqua con una bassa presenza di impurità di materiali organici refrattari (toline)2, (1): Lo sputtering o polverizzazione catodica è un processo per il quale si ha emissione di atomi, ioni o frammenti molecolari da un materiale solido detto bersaglio (target) bombardato con un fascio di particelle energetiche (generalmente ioni). (2): Si dà il generico nome di “materiale organico refrattario” ad un solido molecolare (polimero) costituito da una miscela di molecole organiche complesse che si ottiene in laboratorio a partire da una mistura di vari tipi di ghiacci per effetto dell’irraggiamento da parte di radiazione ultravioletta (Greenberg, 1984). Viene detto refrattario in quanto è in grado di sopravvivere a temperature più elevate di quella di sublimazione della sostanza di partenza. In particolare le toline sono dei copolimeri che si formano per irraggiamento di ghiacci di metano o etano, spesso combinati con sostanze inorganiche quali l'azoto molecolare (N2). Le 8 che riproducono il colore rossastro nel range UV-visibile; il 7% è costituito invece da carbone amorfo, una scura componente neutra. Secondo Nicholson et al. (2008), gli spettri infrarossi di tutti i principali anelli sono dominati da particelle di ghiaccio d’acqua di raggio compreso tra 5 e 20 μm, mentre la rapida decrescita nell’albedo al di sotto di 0.6 μm è indicativa di un contaminante organico, tipo toline (Nicholson et al., 2008). I silicati così abbondanti nel sistema solare non sembrano, invece, presenti in quantità rilevabili negli anelli (Cuzzi e Estrada, 1998). Fig. 3 Spettro in riflessione degli anelli di Saturno (in rosso), confrontato con lo spettro di laboratorio di un campione di ghiaccio d’acqua cristallino (in verde). Lo spettro osservativo è stato normalizzato all’unità per λ = 1.02 μm ( Clark e McCord, 1980). In ogni caso la composizione degli anelli non dovrebbe essere omogenea (Poulet e Cuzzi, 2002). La variazione della composizione chimica delle particelle è evidenziata dalla variazione di colore nei diversi anelli ottenuta con una tecnica di trattamento delle immagini al computer (v. fig. 4). Ad esempio, si osserva un colore blu per l’anello C e per la Divisione di Cassini, inoltre si notano dei cambiamenti di toline non si formano in natura sul nostro pianeta, ma sono state ritrovate in grandi quantità sui corpi ghiacciati del Sistema Solare esterno. 9 colore tra il bordo interno ed esterno dell’anello B, e tra quest’ultimo e l’anello A. In particolare alcune regioni degli anelli di Saturno hanno un debole color salmone, il che indica la presenza di una bassa percentuale di molecole organiche complesse insieme alla presenza del ghiaccio. Fig. 4 Immagine a colori accentuati (enhanced color) degli anelli di Saturno ottenuta da Voyager 2 allo scopo di evidenziare la variazione della composizione chimica. Sono facilmente visibili, in blu, l’anello C e la Divisione di Cassini. Sono evidenti le variazioni di colore tra la parte interna dell’anello B e la regione esterna (dove ci sono gli spokes), e tra questa zona e l’anello A. Gli anelli di Saturno presentano, come osservato dalle sonde Voyager, un’intricata struttura nella quale si contano migliaia di lacune, dette “gap”, e sottili anelli. Si pensa che questa struttura si sia creata in differenti modi. Alcune lacune sembrano essersi create a causa del passaggio di minuscole lune interne, come Pan. Altre gap derivano poi dall’azione di risonanze tra i periodi orbitali delle particelle in essi contenute e il periodo orbitale di una luna massiva più lontana; un esempio è Mimas che svuota la Divisione di Cassini proprio in questo modo. Questa risonanza causa infatti un’intensificazione dell’attrazione sulle particelle dell’anello da parte del satellite destabilizzando le loro orbite e portando ad un vuoto nell’anello. Si noti che alcune risonanze possono essere stabilizzanti invece che disgreganti, come nel caso dell’anello di Titano nella Colombo Gap, stabilizzato da una risonanza orbitale con 10 Titano. D’altra parte molti piccoli anelli sembra che siano mantenuti dall’effetto gravitazionale di piccole lune dette “satelliti pastori” (v. par. 3.1.1), come Prometeo e Pandora nel caso dell’anello F. I dati della sonda Cassini hanno indicato che gli anelli sono immersi in atmosfera gassosa indipendente da quella del pianeta. Essa è composta di molecole di ossigeno (O2) prodotto quando la luce ultravioletta del Sole interagisce con il ghiaccio degli anelli. Le reazioni chimiche che ne derivano (fotodissociazione) producono infatti ossigeno gassoso. In questa atmosfera è presente anche H2 e OH (idrossido), prodotti dalla disintegrazione delle molecole di acqua, dovuta a ioni energetici che bombardano le molecole di acqua espulse dalla luna di Saturno Encelado e da altri satelliti. Quest’atmosfera è comunque molto rada. 2.3 Formazione Gran parte degli anelli di Saturno esiste probabilmente dai tempi della formazione di Saturno stesso. Secondo una teoria, infatti, gli anelli sarebbero composti da ciò che un tempo costituiva il materiale nebulare di Saturno quando il pianeta si formò. Secondo un’altra teoria, gli anelli costituivano inizialmente una luna di Saturno la cui orbita decadde per effetti mareali fino a quando il satellite non arrivò troppo vicino al pianeta, superando il cosiddetto “limite di Roche”, tanto da essere distrutto sempre a causa delle forze mareali. Una variante di questa teoria è che una luna di 300 km di diametro (più grande di Mimas) si disintegrò in seguito ad un impatto con una grande cometa o con un asteroide. Ciò non può essere avvenuto di recente; l’ultima volta che ci furono collisioni abbastanza grandi da distruggere una luna di tali dimensioni fu infatti durante il massiccio bombardamento che interessò molti corpi del Sistema Solare dovuto a meteoriti e asteroidi avvenuto circa quattro miliardi di anni fa (Kerr, 2008). D’altra parte l’alta albedo e la purezza del ghiaccio negli anelli di Saturno potrebbero essere indicativi del fatto che gli anelli siano molto più giovani di Saturno, formatisi forse solo 100 milioni di anni fa. Tuttavia sappiamo anche che i materiali degli anelli vengono continuamente distrutti dagli impatti e vengono continuamente riforniti dalle collisioni di meteoroidi sulle superfici delle lune. Queste espellono le particelle che poi si mettono in orbita formando un anello diffuso. Questo 11 meccanismo di rifornimento potrebbe spiegare l’apparente giovane età di alcuni materiali negli anelli. Possiamo quindi concludere che parte degli anelli di Saturno (in particolare la componente costituita da corpi macroscopici) ha avuto origine al tempo della formazione del pianeta, parte si è formata per disgregazione mareale di oggetti (satelliti naturali e/o corpi esterni catturati dal pianeta) penetrati entro il limite di Roche, parte ancora (in particolare la componente microscopica) viene continuamente rinnovata per effetto del bombardamento meteoritico dei satelliti. 12 3. Gli anelli di Urano Nel 1787, sei anni dopo aver scoperto Urano, William Herschel credette di percepire un anello attorno a questo nuovo pianeta del Sistema Solare. Ma nessuno confermò il fatto. Così questo ipotetico anello fu dimenticato fino al 10 marzo 1977. Quella notte quattro gruppi di astronomi avevano deciso di approfittare dell’occultazione di una stella della costellazione della Bilancia da parte di Urano per misurare il diametro del pianeta. Mentre tutti aspettavano la scomparsa della stella dietro il disco di Urano, rimasero sorpresi nel notare sulle registrazioni una prima estinzione di questa stella, della durata di 7 secondi, prima dell’istante previsto di occultazione. Questa estinzione fu seguita, nel giro di nove minuti, da altre quattro, benché più brevi (1 secondo). Dopodiché la stella brillò, senza interruzione, fino alla sua scomparsa normale. La stessa sequenza si riprodusse in modo quasi identico e simmetrico alla fine dell’occultazione. Questa osservazione portò alla conclusione che esiste attorno ad Urano una cintura di materiale finemente frammentato invisibile all’osservazione diretta. L’analisi dei dati raccolti tramite l’occultazione permise ben presto di mettere in evidenza un insieme di cinque anelli concentrici, che sono stati designati con lettere dell’alfabeto greco; il quinto è il più esterno ed anche il più largo (circa 90 km), mentre gli altri 4 sono più ridotti (circa 10 km). Fortuna volle che Urano occultasse un’altra stella poco tempo dopo. Questa osservazione permise di scoprire quattro anelli supplementari, ancor più vicini al pianeta di quelli già noti. I nove anelli non sono che sottili fili di materiali estremamente oscuri (in effetti sono tanto scuri quanto la lava nera o il carbone), in contrasto con quelli di Saturno, che sono al contrario larghi e brillanti. Data la loro scarsa larghezza, il debole potere riflettente e la grande distanza di Urano, non c’è da meravigliarsi che siano risultati invisibili anche per i migliori telescopi; sembra dunque poco probabile che William Herschel abbia potuto osservarli. È stata avanzata l’ipotesi che questi anelli fossero semplicemente “veli” di gas concentrici. L’ipotesi è del tutto plausibile, poiché conosciamo già due casi di satelliti planetari (Io per Giove e Titano per Saturno) che generano scie di gas. Per analogia si potrebbero considerare gli anelli di Urano come scie di gas disseminate, lungo una decina di orbite distinte, da altrettanti minisatelliti invisibili (Kohler, 1980) 13 Secondo quest’ipotesi gli anelli di gas dar luogo a occultazioni come quelle osservat semplicemente per effetto della diffusione: la stella non viene affatto occultata, ma la sua radiazione luminosa viene diffusa, ossia deviata in direzioni diverse da quelle d’incidenza. Notiamo del resto che le osservazioni fotometriche indicano più un indebolimento della luminosità che un’estinzione. 3.1 Proprietà degli anelli Oltre ai 9 anelli principali sono stati scoperti un gran numero di piccoli anelli molto sottili (stretti fino a 50 m) e uno molto largo e diffuso (1986 U2R/). In totale attualmente distinguiamo 13 anelli, chiamati in ordine di distanza dal pianeta: 1986U2R/, 6, 5, 4, α, β, η, γ, δ, λ, ε, ν e μ. Gli anelli di Urano si possono dividere in tre gruppi: nove stretti anelli principali (6, 5, 4, α, β, η, γ, δ, ε), due anelli polverosi più interni (1986U2R/, λ), e due più anelli polverosi più esterni (ν, μ). Essi consistono principalmente di particelle macroscopiche e basse quantità di polveri, anche se queste ultime sono presenti negli anelli 1986U2R/, λ , ν e μ, ed in parte anche negli anelli η e δ. Tutti gli anelli di Urano mostrano variazioni azimutali nella luminosità. Le principali caratteristiche degli anelli di Urano sono riportate in tab. 2. 3.1.1 Anello ε L’anello ε è il più luminoso e denso (v. fig. 5) ed è responsabile di circa i due terzi della luce complessivamente riflessa dagli anelli. Fig. 5 Anelli più interni di Urano: il più luminoso all’esterno è l’anello ε, in aggiunta al quale si possono distinguere altri otto anelli. 14 [Spazio vuoto per la Tab. 2 (orizzontale)] 15 Anche se è il più eccentrico degli anelli uraniani (v. fig. 6), ha un’inclinazione orbitale trascurabile. La sua luminosità varia lungo la sua orbita: è più elevata vicino l’apocentro, più bassa vicino al pericentro. Il rapporto tra massimo e minimo di luminosità è circa 2.5-3.0 (Ockert et al., 1987). Queste variazioni sono legate alla variazione della larghezza radiale dell’anello, che è 19.7 km in corrispondenza del pericentro, e 96.4 km in corrispondenza dell’apocentro (Karkoshka, 2001). Le variazioni dell’ampiezza radiale furono misurate direttamente da Voyager 2. Fig. 6 Morfologia schematica dell’anello ε Lo spessore verticale dell’anello ε non è conosciuto con grande precisione, ma è certamente molto piccolo. Secondo alcune stime esso sarebbe circa 150 m (Lane et al., 1986). La dimensione tipica delle sue particelle è 0.2-20.0 m (Lane et al., 1986). Come abbiamo già osservato per la maggior parte degli anelli di Urano, anche l’anello ε è quasi privo di polvere a causa della resistenza aerodinamica dall’estesa esosfera di Urano (v. par. 3.2). La forma stretta ed eccentrica dell’anello , come pure di alcuni altri anelli di Urano, è estremamente interessante dal momento che, senza un meccanismo di confinamento, a causa delle collisioni tra le particelle, esso dovrebbe allargarsi in senso radiale diventando circolare in un tempo non superiore ai 100 milioni di anni. Se non si vuol pensare di aver avuto la fortuna di essere capitati proprio nel momento “giusto”, appena successivo (su tempi-scala astronomici) alla formazione dell’anello, allora si deve cercare un meccanismo che lo stabilizzi nella sua configurazione attuale. Un modello alquanto plausibile attribuisce la stabilità degli anelli alla presenza di piccoli satelliti, detti satelliti pastori, non sempre osservabili dalla Terra. 16 L’anello ε, ad esempio, ha due satelliti pastori, Cordelia ed Ofelia, rispettivamente uno più interno ed uno più esterno (v. fig. 7). Fig. 7 Immagine dei due satelliti pastori dell’anello ε di Urano. Le due lune, inizialmente designate 1986U7 e 1986U8 e poi chiamate ufficialmente Cordelia e Ofelia, sono osservabili da entrambi i lati del luminoso anello ε. Procedendo verso l’interno, sono visibili anche l’anello ε, δ, γ ed η, gli anelli β ed α, e appena visibili gli anelli 4, 5 e 6. Come ricavato da Goldreich e Tremaine (1979) una coppia di satelliti pastori vicini, uno interno ed uno esterno, interagendo gravitazionalmente con un anello è in grado di esercitare un’azione stabilizzante. Per spiegare qualitativamente questo meccanismo di confinamento consideriamo un pianeta intorno cui sono presenti un anello circolare e due satelliti A e B posti in prossimità di quest’ultimo; supponiamo inoltre che il satellite A si trovi su un’orbita interna all’anello mentre B sia posto su un’orbita esterna. Per la terza legge di Keplero generalizzata, le velocità VA del primo satellite, Va,i della parte interna dell’anello, Va,e della parte esterna e VB del secondo satellite sono tali che: VA> Va,i >Va,e > VB . 17 A causa dell’interazione gravitazionale tra il satellite A e le particelle sul bordo interno dell’anello, il primo (più veloce) tende a trasferire momento angolare alle seconde, accelerandole. Il conseguente aumento dell’intensità della forza centrifuga sposta tali particelle verso l’esterno e l’anello si allontana dall’orbita di A. Analogamente, a causa dell’interazione gravitazionale tra il satellite B e le particelle sul bordo esterno dell’anello, il primo (più lento) tende a sottrarre momento angolare alle seconde, decelerandole. La conseguente diminuzione dell’intensità della forza centrifuga sposta tali particelle verso l’interno e l’anello si allontana anche dall’orbita di B. Pertanto a causa delle azioni gravitazionali combinate dei due satelliti, l’estensione radiale dell’anello si riduce progressivamente fino a quando tali azioni contrapposte non si bilanciano; a questo punto si stabilisce una configurazione di equilibrio e l’anello si stabilizza. Affinché tale meccanismo sia efficace, le masse dei satelliti pastori devono superare la massa dell’anello di almeno tre volte. Si sospetta la presenza tra gli anelli di vari satelliti pastori, dei quali solo alcuni (come nel caso di Cordelia e Ofelia, che confinano l’anello di Urano), sono sufficientemente grandi da poter essere rilevati (D 14 km). Come nel caso degli anelli di Saturno, tale configurazione (piccoli satelliti ed anelli alternati) potrebbe aver avuto origine dalla rottura, all’interno del limite di Roche, di un satellite primigenio posto su un’orbita sincrona e “caduto” lentamente verso il pianeta per attrito di marea. 3.1.2 Anello λ e gli altri anelli polverosi L’anello λ fu uno dei due anelli scoperti dalla sonda Voyager 2 nel 1986. È un anello debole e stretto vicino al confine interno dell’anello ε, tra questo e la luna Cordelia. Alla lunghezza d’onda di 2.2 μm in luce diffusa all’indietro l’anello λ appare estremamente stretto, circa 1-2 km (de Pater et al., 2006a). L’aspetto dell’anello λ cambiò quando venne osservato in luce diffusa in avanti nel 1986. In questa geometria l’anello diventa il più luminoso degli anelli uraniani, superando anche l’anello ε (v. fig. 8). Questa osservazione, in aggiunta alla forte dipendenza dello spessore ottico3 dalla lunghezza d’onda, indica che l’anello conta significative quantità di polveri micrometriche. (3): Lo spessore ottico dà la misura di quanto sia opaco un mezzo. Se I0 è l' intensità della radiazione incidente ed I l'intensità osservata dopo un certo percorso nel mezzo, lo spessore ottico τ è definito dall’equazione: I/I0 = e-τ. In particolare lo spessore ottico normale si ricava considerando la radiazione incidente perpendicolarmente al piano dell’anello. Si può inoltre 18 Nel 1986 Voyager 2 rilevò un debole ed ampio strato di materiale all’interno dell’anello 6. Quest’anello fu inizialmente chiamato 1986U2R; con uno spessore ottico di 10 3 (de Pater et al., 2006a; de Pater et al., 2006b), esso era estremamente debole. Non fu osservato di nuovo sino al 2003-2004, quando fu osservato dalla Terra utilizzando il telescopio Keck. Allora l’anello fu ribattezzato ζ. Fig. 8 Anelli di Urano visti in luce diffusa in avanti (a sinistra) e in luce retro diffusa (a destra). Si noti il loro aspetto marcatamente diverso nelle due geometrie d’osservazione. La differente posizione dell’anello ε è causata dalla sua eccentricità, perché le immagini sono state riprese una in prossimità dell’ apocentro e l’altra vicino al pericentro. Oltre agli anelli 1986U2R/ζ e λ ci sono altre bande di polvere estremamente deboli nel sistema di anelli uraniano. Esse sono invisibili durante le occultazioni, definire lo spessore ottico equivalente ED, che è l’intregrale dello spessore ottico normale attraverso l’anello. In altre parole ED = ∫ τ dr, dove la variabile radiale r è compresa tra il raggio interno e quello esterno dell’anello. 19 perché hanno uno spessore ottico trascurabile, anche se sono luminose in luce diffusa in avanti. Le immagini prese da Voyager 2 in tale geometria di osservazione rivelano l’esistenza di bande di polvere luminose fra gli anelli λ e δ, fra η e β, e fra α e l’anello 4. 3.2 Caratteristiche delle particelle degli anelli Nonostante la presenza di questi anelli polverosi, complessivamente il sistema contiene poca polvere, in quanto consiste soprattutto di corpi grandi 0.2-20.0 m (Lane et al., 1986). In effetti particelle con dimensioni inferiori ai 10 cm sono molto rare negli anelli: la frazione f della massa totale degli anelli dovuta a tali particelle è f 103 104 (per gli anelli più brillanti di Saturno, invece, f 0.05). La relativa mancanza di polvere nel sistema di anelli è dovuta alla resistenza aerodinamica esercitata dall’estesa esosfera uraniana, cioè lo strato più esterno del pianeta, dove le particelle superano la velocità di fuga e si disperdono nello spazio. La presenza di particelle di dimensioni microniche è molto importante. In effetti, a causa del già citato attrito con l’estesa atmosfera di idrogeno che circonda pianeta, tali particelle vengono rimosse in tempi-scala molto minori dell’età degli anelli. Visto che le vediamo ancora oggi, anche in questo caso (come per Saturno) deve operare un meccanismo di rifornimento degli anelli. Un’ipotesi plausibile è che gli anelli vengano continuamente riforniti a causa dell’espulsione di materiale (dovuta al bombardamento meteorico) dalla superficie di piccoli satelliti presenti negli anelli, ma non ancora scoperti. Esperimenti radio condotti dalle sonde Voyager hanno mostrato la presenza negli anelli di corpi di dimensioni dell’ordine del metro composti da ghiaccio sporco con bassa albedo geometrica (circa 5-6 %), simile a quella dei satelliti Cordelia e Ofelia. Tuttavia al contrario degli anelli di Saturno non presentano caratteristiche spettrali (bande) identificabili. La composizione chimica delle particelle non è infatti nota. Sicuramente non si può trattare di ghiaccio ad alto grado di purezza come per Saturno, perché gli anelli in questo caso sono anche molto scuri. Quindi ciò indica che gli anelli sono probabilmente costituiti da una miscela di ghiaccio e materiale più scuro, la cui natura non è nota, ma potrebbe trattarsi di composti organici a bassa albedo prodotti dall’irraggiamento di particelle cariche dalla magnetosfera uraniana. 20 3.3 Dinamica ed evoluzione Si pensa che gli anelli di Urano siano relativamente giovani e risalgono a non più di 600 milioni di anni fa. Il sistema di anelli si è probabilmente originato dalla frammentazione di un certo numero di lune, un tempo in orbita attorno al pianeta, che a causa di collisioni, si disgregarono in numerose particelle. Queste ultime andarono a formare anelli densi e stretti in confinate zone di massima stabilità. L’origine delle bande di polvere è meno incerta. La polvere negli anelli ha tempo di vita molto breve, 100-1000 anni, e viene continuamente alimentata da collisioni fra meteoroidi esterni al sistema uraniano e piccole lune interne (Esposito e Colwell, 1989; Burns et al., 2001). Le piccole lune e le particelle macroscopiche risultano invisibili a causa del loro basso spessore ottico, mentre le polveri sono visibili in luce diffusa in avanti. 21 4. Gli anelli di Giove Quando, il 5 marzo 1979, i tecnici del Jet Propulsion Laboratory trasmisero alla sonda Voyager 1 l’ordine di puntare la macchina da ripresa ad alta risoluzione (teleobiettivo) fra il bordo esterno di Giove e il primo satellite, Amaltea, non si pensava affatto a cercare un anello attorno al pianeta gigante. Questa operazione aveva in effetti lo scopo di trovare un eventuale quattordicesimo satellite. L’immagine rivelò invece la presenza inattesa di un anello: si trattava del più luminoso (e che pertanto è stato poi chiamato “anello principale”) di un sistema di anelli che circonda il gigante del Sistema Solare. Come accennato al par. 1, il sistema di anelli di Giove fu il terzo ad essere scoperto nel nostro Sistema Solare, dopo quello di Saturno e di Urano. 4.1 Caratteristiche generali e struttura L’anello principale è situato ad una distanza compresa tra 1.72 e 1.81 raggi gioviani da centro del pianeta ed è largo 7000 km. Lo spessore verticale è ancora indeterminato, ma non può superare i 30 km, tenuto conto della definizione delle immagini fotografiche; il suo valore reale è certamente assai inferiore. La concentrazione delle particelle in questa formazione è almeno 100 mila volte inferiore a quella degli anelli di Saturno, il che spiega come esse non possano essere osservate direttamente, proprio come gli anelli di Urano. Dopo la scoperta, l’anello di Giove ha potuto essere osservato dalla Terra, con il telescopio delle Hawaii. Questa impresa è stata realizzata utilizzando un filtro nell’infrarosso centrato sulla lunghezza d’onda di 2.2 micron. In questo intervallo, infatti, è situata la banda di assorbimento del metano, abbondante nell’atmosfera gioviana; così il disco del pianeta si trova ad essere fortemente oscurato e l’utilizzazione di uno schermo occultante permette di rimuovere il contributo planetario e di rilevare l’anello, che mostra uno splendore inferiore di 10.4 magnitudini rispetto a quello di Giove, cioè una luminosità circa 15 mila volte più bassa! Perciò l’osservazione telescopica dell’anello di Giove resterà un fatto eccezionale. Gli anelli gioviani sono molto tenui ed hanno una struttura più semplice di quella degli anelli di Saturno e anche di Urano. Essi hanno infatti solo quattro principali componenti (v. fig. 9 e tab. 3): un toro più interno detto “alone”, un anello 22 principale relativamente luminoso e sottile, e due deboli fasce, i cosiddetti “Gossamer rings” verticalmente estesi e più esterni. Questi ultimi due prendono il nome dalle lune del cui materiale sono composti: Amaltea e Tebe. Fig. 9 Schema del sistema di anelli di Giove che mostra le sue quattro principali componenti, con le loro diverse estensioni verticali. Gli anelli sono costituiti principalmente da polvere espulsa quando meteoroidi interplanetari collidono con le piccole lune più interne di Giove. Molte particelle hanno dimensioni microscopiche e sono fatte di silicati (Throop et al., 2004). Gli anelli di Giove esistono in una zona di intensa radiazione corpuscolare costituita da elettroni e ioni intrappolati nel campo magnetico del pianeta. Nel visibile e vicino infrarosso, tutti gli anelli hanno spettri arrossati, eccetto l’alone che è neutro o addirittura blu. La massa totale del sistema di anelli è attualmente sconosciuta, ma probabilmente è compresa tra 10 11 e 10 16 kg (Burns et al., 2004). 23 [Spazio vuoto per la Tab. 3 (orizzontale)] 24 4.2 L’anello principale L’anello principale è il più luminoso del sistema; esso è stretto radialmente e relativamente sottile in estensione verticale (v. fig. 10). Fig. 10 Immagine dell’anello principale di Giove, osservato in luce diffusa in avanti. Il fatto che l’anello principale sia prevalentemente costituito da particelle di polvere è provato da quanto segue. Come mostrato in fig. 11, l’aspetto di questo anello dipende fortemente dalla geometria di osservazione. In effetti è possibile studiare la luminosità dell’anello in diverse geometrie di osservazione (principalmente in luce diffusa in avanti e all’indietro) che mostrano, in genere, caratteristiche diverse. Nella fattispecie, in luce diffusa in avanti la luminosità dell’anello principale decresce a partire dal centro dell’anello a circa 126,000 km (Ockert-Bell et al., 1999), dove raggiunge il massimo, procedendo verso il confine esterno a 129,300 km dove raggiunge il minimo, proprio al di là dell’orbita di Adrastea. Il confine più interno invece non è distintamente definito confondendosi e svanendo nell’alone ad una distanza dal centro del pianeta compresa tra i 124,000 e i 120,000 km. In luce diffusa all’indietro la situazione è diversa, in quanto è visibile una struttura caratterizzata da una sottile regione esterna tra i 128,000 e i 129,000 km, che include tre piccoli anelli separati da lacune meno luminose, e da una parte più interna, 25 larga e tenue, che è priva di strutture visibili e che si estende dai 122,500 ai 128,000 km. Fig. 11 Riquadro superiore: immagine dell’anello, visto dalla sonda New Horizons in luce diffusa all’indietro, con una struttura fine ben visibile. Riquadro inferiore: immagine dell’anello in luce diffusa in avanti, che evidenzia la mancanza di una qualsiasi struttura. Anche per quanto riguarda l’estensione verticale si osservano variazioni a seconda della geometria di osservazione. Osservato in luce diffusa all’indietro l’anello principale appare come una lama sottile che si estende verticalmente per non più di 30 km, molto più spesso se osservato in luce diffusa in avanti (Ockert-Bell et al., 1999; Throop et al., 2004). La maggior parte della massa dell’anello rimane comunque confinata in un sottile strato centrato intorno al piano di simmetria dell’anello. Come già accennato, queste proprietà dell’anello principale possono essere spiegate se ipotizziamo che esso contenga corpi macroscopici ma soprattutto significative quantità di particelle di polvere di dimensione tra 0.1 e 10 m. 4.3 Alone L’alone è il più interno e il più verticalmente esteso degli anelli gioviani. Il suo bordo esterno si trova a 122,500 km (1.72 RJ). La sua estensione verticale non è nota con precisione, ma è stato rilevato materiale sino ad almeno 10,000 km dal piano dell’anello (de Pater et al., 1999; Ockert-Bell et al., 1999). Il confine interno dell’alone è localizzato a 100,000 km dal centro di Giove (1.4 RJ), ma del materiale è stato rilevato anche nelle zone più interne sino a 92,000 km, per una larghezza radiale 26 totale dell’alone di circa 30,000 km. Esso appare come uno spesso toro e, a differenza dell’anello principale, la sua forma dipende solo leggermente dalla geometria di osservazione. In ogni caso l’alone risulta più luminoso in luce diffusa in avanti, come si è visto dalle immagini riprese dalla sonda Galileo (v. fig. 12). Fig. 12 Immagine in falsi colori dell’alone osservato dalla sonda Galileo in luce diffusa in avanti. Si noti il notevole spessore verticale (quando confrontato con la dimensione del disco planetario mostrato a destra). Nonostante l’estensione verticale di almeno 10,000 km, la luminosità dell’alone risulta concentrata solo lungo il piano dell’anello (v. fig. 12), ed è legata all’altezza z sopra il piano dell’anello tramite la legge: L z con 0.6 ≤ α ≤ 1.5. Sebbene sia molto esteso verticalmente, l’alone è diverse volte meno luminoso dell’anello principale. 4.4 Anelli Gossamer Così come l’anello principale e l’alone sono costituiti da polvere e detriti vari espulsi da Metis, Adrastea ed altri satelliti sconosciuti in seguito ad alcuni impatti meteoritici ad elevata velocità, la polvere espulsa da Amaltea è invece una delle due componenti dell’anello Gossamer. L’orbita del satellite è inclinata rispetto al piano equatoriale di Giove, e a causa della precessione del piano orbitale4 a tempi diversi la posizione verticale del satellite può estendersi dovunque tra i due limiti estremi mostrati in fig. 13. Pertanto la polvere espulsa da Amaltea produce di fatto una fascia (4): La precessione del piano orbitale dei satelliti è analoga al moto di precessione degli equinozi, che l’orbita terrestre subisce a causa del fatto che la Terra ha un rigonfiamento equatoriale e che l’asse di rotazione diurna forma un angolo non nullo rispetto alla normale al piano dell’orbita; il che implica che le forze di attrazione del Sole, della Luna e degli altri pianeti danno luogo ad un momento risultante diverso da zero. Nel caso dalla precessione orbitale dei satelliti il momento risultante è però dovuto allo schiacciamento ai poli caratteristico del primario. 27 il cui spessore uguaglia la massima escursione verticale di Amaltea rispetto al piano equatoriale di Giove. Fig. 13 Precessione del piano orbitale di un satellite e formazione dell’anello di grande spessore verticale. La polvere espulsa da Tebe è la seconda componente dell’anello Gossamer. Anche in questo caso lo spessore verticale dell’anello uguaglia la massima escursione di Tebe dal piano equatoriale di Giove. Si noti che questa componente dell’anello Gossamer è più estesa verticalmente di quella dovuta ad Amaltea perchè l’orbita di Tebe è più inclinata rispetto a quella di Amaltea (v. fig. 14). Tuttavia, nonostante la sua grande estensione verticale, l’anello Gossamer di Tebe risulta essere il più tenue e meno luminoso dell’intero sistema gioviano. 4.5 Origine degli anelli Come già osservato l’anello principale è formato dai detriti espulsi dalle lune più interne, Metis e Adrastea, in seguito alle collisioni con dei meteoroidi. Poiché entrambi i satelliti hanno un’orbita non inclinata rispetto al piano equatoriale di Giove, l’anello principale ha un’estensione verticale trascurabile rispetto agli anelli Gossamer (v. fig. 14). Risulta invece praticamente impossibile che il grosso degli anelli di Giove sia costituito da materiale di risulta risalente al processo di formazione di Giove. È anche 28 improbabile che essi siano frammenti di un antico satellite avvicinatosi troppo al pianeta e disgregato dalle forze mareali. Sembra quindi altamente probabile che gli anelli costituiscano una struttura in uno stato di sostanziale equilibrio tra processi di distruzione e rifornimento. Fig. 14 Confronto tra gli spessori verticali dell’anello principale (in viola) e degli anelli Gossamer di Amaltea (in arancione) e di Tebe (in verde). Le particelle vengono allontanate dagli anelli a causa dell’azione della pressione di radiazione e del vento solare, dell’effetto Poynting-Robertson, delle collisioni tra grani e, non ultime, dalle forze di Lorentz agenti su grani carichi. Tutti questi meccanismi hanno tempi-scala molto minori dell’età del Sistema Solare (Mukai, 1989; Burns et al., 2004). La vita media delle particelle di polvere è infatti compresa tra i 100 e i 1000 anni (Mukai, 1989; Burns et al., 2004), così che la polvere deve essere continuamente rifornita. 29 Tra i meccanismi di rifornimento degli anelli si possono annoverare: le collisioni che avvengono tra corpi macroscopici (con dimensioni tra 1 cm e 0.5 km), oppure tra questi e meteoroidi che giungono dal di fuori del sistema gioviano ad elevata velocità (specialmente per gli anelli Gossamer), il rilascio di materiale cometario, e le eruzioni vulcaniche su Io (che espellono particelle che vengono poi allontanate dal satellite soprattutto a causa delle forze di Lorentz). 30 5. Gli anelli di Nettuno Il primo rilevamento relativamente affidabile degli anelli intorno a Nettuno fu fatto nel 1968 durante un’occultazione stellare, anche se i risultati passarono inosservati sino al 1981. Nella prima metà degli anni ’80 vennero effettuate alcune osservazioni da due gruppi di ricercatori, uno dell’Università di Parigi ed uno dell’Arizona. Su una sessantina di occultazioni osservate, tre o quattro indicavano che in certe limitate zone del piano equatoriale di Nettuno (limitate, ma estese, ossia non individuabili con i satelliti) c’era qualcosa che bloccava la luce della stella, e da una parte sola del pianeta: non potevano essere anelli completi, perché l’avrebbero intercettata due volte; si doveva trattare di qualcosa di discontinuo, in movimento attorno al pianeta. Da qui l’ipotesi di archi di materia, cioè di anelli incompleti. Nell’agosto del 1989, durante i giorni del massimo avvicinamento della sonda Voyager 2 al pianeta, le nuove immagini, più dettagliate, mostrarono che in realtà gli archi inizialmente scoperti facevano parte di due anelli piuttosto tenui, ma completi: non di archi si trattava, ma di una disomogenea distribuzione del materiale dell’anello che tendeva a concentrarsi particolarmente in alcune zone. 5.1 Struttura del sistema di anelli La sonda Voyager 2 ha dunque scoperto che anche Nettuno, come tutti i pianeti gioviani, ha un complicato sistema di anelli. Nettuno ha due anelli più luminosi e più stretti in senso radiale e due altri anelli meno luminosi e più larghi. Gli anelli di Nettuno (v. fig. 15) sono deboli, tenui e polverosi; essi ricordano quelli di Giove, ma per alcune caratteristiche anche quelli di Saturno e di Urano. Nettuno possiede cinque anelli conosciuti ed ognuno prende il nome da astronomi che hanno compiuto importanti studi sul pianeta: Galle, Le Verrier, Lassel, Arago e Adams. Nettuno possiede anche un debole anello senza nome che coincide con l’orbita della luna nettuniana Galatea (v. tab. 4). Oltre a Galatea vi sono altre tre lune che orbitano fra gli anelli: Naiade, Talassa e Despina (v. fig. 16). In aggiunta ai cinque anelli (Galle, Le Verrier, Lassel, Arago e Adams), Nettuno presenta deboli strati di materiale che si estendono dall’anello Le Verrier all’anello Galle e forse più in là verso Nettuno. 31 Fig. 15 Anelli di Nettuno in due immagini riprese dalla sonda Voyager 2. Fig. 16 Schema del sistema di anelli di Nettuno (linee continue); sono anche mostrate le orbite dei satelliti (linee tratteggiate). 32 [Spazio vuoto per la Tab. 4 (orizzontale)] 33 È importante osservare che l’anello Adams mostra cinque archi discreti, responsabili delle occultazioni osservate da Terra negli anni 80, chiamati Fratenité, Egalite 1 e 2, Liberté e Courage. Gli archi sono molto stabili, poiché sono cambiati solo leggermente dal loro aspetto e posizione iniziali osservati nel 1980. Come facciano a mantenere la stabilità è ancora un argomento discusso, ma probabilmente questa è dovuta ad interazioni fra l’anello Adams e Galatea, la sua luna nettuniana immediatamente più interna. 5.2 Caratteristiche fisico-chimiche degli anelli Tre degli anelli nettuniani (Le Verrier, Arago e Adams) sono stretti, con un’ampiezza intorno ai 100 km o meno (Horn et al., 1990); al contrario gli anelli Galle e Lassel sono ampi: le loro larghezze sono fra 2,000 e 5,000 km (Smith et al., 1989). Come già osservato l’anello Adams consiste di cinque archi luminosi all’interno di un più debole anello continuo. Procedendo in senso orario gli archi sono: Fratenité, Egalité 1 e 2, Liberté e Courage. La terminologia fu suggerita dagli scopritori francesi, che li hanno rilevati durante le occultazioni nel 1984 e nel 1985. L’anello più interno di Nettuno è l’anello Galle, così chiamato in onore di Johann Gottfried Galle, il primo che osservò Nettuno al telescopio. L’anello è ampio circa 2,000 km. La frazione di polvere nell’anello è stimata essere del 40-70% (Colwell e Esposito, 1990; Burns et al., 2001). L’anello Lassel è il più ampio anello nel sistema di Nettuno. Fu chiamato così in onore di William Lassel, l’astronomo inglese che scoprì la più grande luna di Nettuno, Tritone. Quest’anello è un debole strato di materiale ed è situato fra l’anello Le Verrier a circa 53,200 km e l’anello Arago a 57,200 km (Miner et al., 2007). La frazione di polvere nell’anello è stimata essere del 20-40% (Colwell e Esposito, 1990). L’anello Adams è il più esterno (Miner et al., 2007) ed è il più importante e meglio studiato degli anelli di Nettuno. Prende il nome da John Couch Adams, che predisse la posizione di Nettuno indipendentemente da Le Verrier. L’anello Adams è stretto, un po’ eccentrico e inclinato, con un’ampiezza totale di 35 km (15-50 km) (Horn et al., 1990). La frazione di polvere nell’anello è stimata essere del 20-40% (Colwell e Esposito, 1990). La piccola luna di Nettuno, Galatea, che orbita appena all’interno dell’anello Adams a 61,953 km dal centro di Nettuno, agisce come satellite 34 pastore, mantenendo le particelle confinate all’interno dell’anello attraverso la sua azione gravitazionale (v. par. 3.1.1). Le parti più luminose dell’anello Adams, gli archi (v. fig. 17), furono i primi elementi del sistema ad essere scoperti, essendo i responsabili di tutte le occultazioni stellari osservate da Terra, tranne una (dovuta al satellite Larissa). Gli archi sono regioni poste all’interno dell’anello, limitate sia radialmente che longitudinalmente, nelle quali le particelle sono raggruppate insieme da un meccanismo largamente sconosciuto. L’arco più luminoso e lungo è Fraternité; il più debole è Courage. La frazione di polvere nell’arco va dal 40 al 70% (Colwell e Esposito, 1990). Gli archi sono in qualche modo simili all’arco presente nell’anello G di Saturno. Fig. 17 Gli archi dell’anello Adams; sono visibili da sinistra a destra: Fraternité, Egalité, Liberté; è anche visibile l’anello Le Verrier nella parte interna. Gli archi sono strutture piuttosto stabili. Furono rilevati da terra durante delle occultazioni stellari nel 1980, da Voyager 2 nel 1989 e dal telescopio Hubble Space e da telescopi terrestri nel 1997-2005. I cambiamenti notati sono pochi, ma importanti. La luminosità complessiva degli archi è diminuita dal 1986. L’anello Courage si è spostato in avanti, mentre l’arco Liberté è quasi scomparso dal 2003. 5.3 Confinamento degli anelli Si pensa che gli stretti anelli siano confinati dall’azione di satelliti relativamente vicini. Galatea e Despina orbitano, per esempio, nella regione interna di due stretti anelli, rispettivamente Adams e Le Verrier, ed evitano che il materiale dell’anello cada a spirale verso Nettuno. Nessun satellite pastore è stato finora 35 osservato però nei bordi esterni dei due anelli, anche se satelliti con diametro di meno di 12 km potrebbero facilmente passare inosservati. Quindi non si sa se esistono satelliti pastori più piccoli in queste regioni o se sono in atto altri meccanismi di confinamento. Gli archi più luminosi entro Adams sono anche un enigma. In mancanza di un meccanismo di confinamento tale materiale dovrebbe uniformemente espandersi nell’anello in poco meno di un anno. Essendo stabili, gli archi nell’anello devono ovviamente necessitare di un meccanismo di confinamento longitudinale; o al contrario se sono instabili, gli archi richiedono una creazione continua, un riempimento di concentrazioni locali di materiale dell’anello. Mentre si è visto chiaramente che gli archi Adams sono rimasti stabili nell’intervallo degli ultimi cinque anni, nessuna delle ipotesi finora proposte è in grado di spiegare la persistenza degli archi. Attualmente perciò non ci sono teorie in grado di spiegare la presenza degli archi nell’anello, osservati nelle immagini della sonda Voyager 2. 5.4 Proprietà delle particelle degli anelli Gli anelli nettuniani contano una gran quantità di polveri dalle dimensioni micrometriche con uno spessore ottico inferiore a 0.1 (Horn et al., 1990). Gli anelli di Nettuno sono spettralmente rossi e sono costituiti da materiale estremamente scuro, probabilmente composti organici processati dall’irraggiamento di particelle cariche dalla magnetosfera nettuniana come nel caso di Urano. Queste caratteristiche suggeriscono la presenza di particelle molto simili a quelle delle lune interne di Nettuno e degli anelli di Urano. Rispetto a questi ultimi ci sono però alcune importanti differenze. La principale è che la massa totale degli anelli dei Nettuno è probabilmente 10 mila volte più piccola di quella degli anelli di Urano e anche molti ordini di grandezza minore rispetto a quella del sistema di Saturno (Smith et al., 1989). Inoltre, caratteristica non meno importante, l’abbondanza di polvere nel sistema nettuniano è in assoluto la più elevata: circa due ordini di grandezza più grande di quella della polvere presente nel sistema di Giove e di Saturno, mentre il sistema di Urano è virtualmente privo di polvere. 36 La fonte di polvere negli anelli potrebbe essere il bombardamento da parte di meteoroidi, come accadde anche per gli anelli di Giove. Tuttavia la quantità di polvere all’interno degli anelli Adams e Le Verrier è di alcuni ordini di grandezza maggiore di quella che potrebbe essere spiegata dal meccanismo di bombardamento di meteoroidi. Perciò si sospetta che essa abbia origine da locali collisioni tra particelle più grandi mai osservate presenti negli anelli. Questo meccanismo di produzione attraverso collisioni interparticellari spiegherebbe la grande abbondanza di polvere negli anelli di Nettuno. 37 6. Gli ipotetici anelli attorno a Marte ed alla Terra Si ha ragione di credere che il fatto di possedere anelli circumplanetari non sia una prerogativa dei pianeti giganti. Come abbiamo visto, questi anelli di polvere sono sicuramente collegati a piccole lune la cui gravità superficiale, proprio a causa delle minuscole dimensioni, è molto bassa. Per questo motivo le loro superfici, soggette al continuo bombardamento da parte di meteoroidi e micrometeoroidi, perdono materiale che può essere immesso su orbite quasi stabili intorno al pianeta per l’azione combinata di diverse forze. Così, dovunque sia presente un pianeta, come ad esempio Marte, attorno a cui orbitano piccoli satelliti è alquanto probabile trovare anelli circumplanetari. D’altra parte non si può escludere che in passato anche la Terra fosse stata temporaneamente circondata da un anello originatosi da un catastrofico impatto sulla Luna. In questo capitolo illustreremo brevemente le caratteristiche di questi due ipotetici anelli. 6.1 Anelli attorno a Marte Attraversando l’orbita di Phobos, la stazione automatica sovietica Phobos 2 ha registrato una forte diminuzione del campo magnetico interplanetario associata ad un grande aumento della densità di plasma (Dubinin et al., 1990). D’altra parte la sonda interplanetaria Pioneer 10 ha rilevato, in prossimità di Marte, un aumento della frequenza di impatti dovuti a micrometeoroidi (Andreev e Belkovich, 1991). Questi eventi potrebbero essere interpretati come un’evidenza indiretta del fatto che Marte è probabilmente circondato da una o più regioni costituite da gas e materiale solido che si origina dal degassamento interno e dal bombardamento meteoritico dei suoi due satelliti (Soter, 1971). Particelle di diverse dimensioni espulse verso lo spazio dalle superfici di Phobos e Deimos, a causa degli impatti meteoritici, divengono soggette a varie forze che causano il loro moto. Prima fra tutte l’attrazione gravitazionale di Marte, perturbata da quella del Sole, degli altri pianeti e degli stessi Phobos e Deimos. Esistono poi perturbazioni non gravitazionali dovute principalmente alla pressione di radiazione solare, alle forze di Lorentz ed all’effetto Poynting-Robertson (Hamilton, 1996). Integrando le equazioni del moto delle particelle di gas e polvere si trova che queste potrebbero rimanere per qualche tempo in prossimità di Marte formando due 38 fasce toroidali lungo le orbite di Phobos e di Deimos; in particolare la fascia di Deimos dovrebbe essere geometricamente più spessa e più massiva di quella di Phobos (Hamilton, 1996; Krivov e Hamilton, 1997). La densità del gas e delle particelle presenti negli anelli dev’essere 106 107 volte più alta di quella del materiale interplanetario (in accordo con le osservazioni del Pioneer 10). A fronte di queste previsioni teoriche, le analisi delle immagini riprese dalla camera dell’orbiter Viking 1 non hanno mostrato alcuna evidenza della presenza di anelli circummarziani (Duxbury e Ocampo, 1988). Più precisamente queste analisi hanno indicato che, se gli anelli esistono, allora il rapporto I/F tra l’intensità della luce diffusa dalle particelle degli anelli e quella della luce solare incidente deve essere minore di 3 105 (Duxbury e Ocampo, 1988), ossia gli anelli devono avere un potere riflettente molto basso. Nonostante questo risultato negativo, la ricerca di particelle in orbita circummarziana è stata ritenuta sufficientemente interessante da aggiungere al payload della missione spaziale sovietica Mars 96 un fotometro molto sensibile, chiamato torometro, atto ad individuare i presunti anelli marziani misurando la radiazione solare da loro diffusa nel range spettrale 350 – 1000 nm (Formisano et al., 1996). A causa delle sue caratteristiche tecniche, il torometro era in grado di rilevare l’anello, se questo avesse avuto un potere riflettente I/F 109 (Jurewicz et al., 1995). Usando un modello di trasporto radiativo, Orofino et al. (1998) hanno investigato la distribuzione angolare ed i valori assoluti dell’intensità diffusa dai grani dei presunti anelli marziani, trovando, nelle ipotesi del modello, I/F 107. Ciò innanzi tutto spiegava il motivo per cui gli anelli circummarziani non potevano essere individuati dalle camere a bordo dell’orbiter Viking 1 (in quanto I/F 105); ed inoltre indicava che gli anelli avrebbero potuto essere facilmente individuati dal torometro. Sfortunatamente la missione della Mars 96 è fallita subito dopo il lancio, ma i risultati sopra riportati hanno comunque mostrato che le prospettive di future ricerche fotometriche dei presunti anelli di Marte rimangono più che buone, anche se nessuna indagine di questo tipo è stata effettuata dalle sonde che hanno raggiunto Marte dal 1996 ad oggi. 39 6.2 Antico anello attorno alla Terra? Un anello simile a quelli odierni di Saturno, può essere stato patrimonio della Terra circa 34 milioni di anni fa. L’evento che fa pensare all’esistenza di un possibile anello attorno alla Terra è legato ad un disastro ecologico dovuto a cambiamenti climatici associati alla diminuzione della temperatura invernale alla fine dell’Eocene (55-34 milioni d’anni fa). Tali cambiamenti hanno portato alla scomparsa in quel periodo di diverse specie di piante da foresta (Wolfe, 1978) e di alcune specie di protozoi, chiamati radiolaria (Glass e Zwart, 1977) e, secondo O’Keefe (1980), sarebbero dovuti alla presenza di un anello attorno alla Terra, con un raggio interno di circa 1.5 RT (raggi terrestri) ed un raggio esterno di 2.5 RT (all’interno appunto del limite di Roche). L’anello, composto di tectiti (meteoriti vitree), probabilmente scagliate via dalla Luna a causa di un impatto asteroidale, sarebbe rimasto attorno al nostro pianeta per un minimo di un milione di anni, con ogni probabilità per tre o quattro, e la sua ombra sulla superficie terrestre avrebbe provocato drammatici sconvolgimenti sulle zone temperate in quel periodo. Le tectiti lunari rinvenute sul nostro pianeta, hanno lasciato un vero e proprio sentiero che circonda metà della Terra. O’Keefe (1980) suggerisce l’ipotesi che le tectiti che non hanno colpito la Terra le si disposero attorno formando un vero e proprio anello, bloccando i raggi del Sole sull’emisfero settentrionale in inverno, e provocando un abbassamento della temperatura media di venti gradi centigradi (v. fig. 18). La variazione della temperatura interessò tuttavia solo la stagione invernale, e non la stagione estiva in quanto durante questa stagione i raggi solari diventavano perpendicolari all’equatore e paralleli al piano dell’anello (v. fig. 18). Si noti che l’ipotesi dell’anello è l’unica che dà conto dell’abbassamento delle sole temperature invernali come deducibile dall’analisi dei dati paleobotanici. 40 Fig. 18 Orientamento dell’ipotetico anello circumterrestre rispetto ai raggi solari in diversi periodi dell’anno: si noti la posizione dell’ombra dell’anello sull’emisfero settentrionale durante l’inverno boreale. 41 7. Conclusioni Gli anelli dei diversi pianeti possono essere confrontati tra loro allo scopo di individuare caratteristiche in comune che permetterebbero di ipotizzare che una simile storia evolutiva. Riassumendo quanto sopra discusso si può dire che, anche lasciando da parte gli ipotetici anelli di Marte e l’ancor più ipotetico ed effimero anello della Terra, la presenza sistematica di anelli attorno ai pianeti giganti non deve assolutamente far credere che si tratti di un processo-tipo, unico per tutti i sistemi. Ciascun sistema possiede, infatti, caratteristiche sue proprie ed essi sono ben lontani dall’essere confrontabili per quanto riguarda la loro natura. 7.1 Analisi comparativa dei vari sistemi di anelli Gli anelli di Saturno, costituiti da ghiaccio d’acqua, sono molto estesi e complessi. Quelli di Urano sono sottili strutture di natura carbonacea, costituite da corpi macroscopici. Gli anelli di Nettuno sono molto tenui e composti da particelle, pure carbonacee, ma molto più piccole di quelle presenti vicino Urano. Gli anelli di Giove sono strutture molto più semplici delle precedenti costituite prevalentemente da piccoli grani silicatici che risentono del forte campo magnetico del pianeta. Gli anelli di Saturno sono quelli che differiscono maggiormente da tutti gli altri sistemi di anelli, come si vede in tab. 5. Essi costituiscono infatti il sistema più massivo (3 1019 g), sono molto piatti (a parte l’anello E), e le particelle che lo costituiscono sono composte principalmente di ghiaccio, molto diverse quindi, dalle polveri che caratterizzano gli altri sistemi. Proprio a causa della presenza delle particelle di ghiaccio relativamente puro (dotate di alta albedo), quello di Saturno è anche il sistema di anelli più luminoso. Il sistema di anelli di Urano è, invece, molto diverso sia dai deboli anelli polverosi di Giove, sia dagli ampi, complessi e luminosi anelli di Saturno. Le principali differenze sono costituite dalla bassa albedo e dalla virtuale mancanza di polvere. Se consideriamo poi il sistema di anelli nettuniano, esso è molto più simile a quello di Urano che agli altri sistemi di anelli, anche se, rispetto a quello di Urano, risulta essere ancora più scuro e molto meno massivo ma, in compenso, molto più ricco di polvere; come gli anelli di Urano poi, anche gli anelli di Nettuno sono posizionati ad una distanza maggiore dal pianeta rispetto agli anelli degli altri pianeti. 42 [Spazio vuoto per la Tab. 5 (orizzontale)] 43 7.2 Origine e dinamica degli anelli Vengono avanzate tre ipotesi per spiegare la presenza di anelli circumplanetari. La prima ipotesi è che gli anelli siano prodotti dal bombardamento di meteoroidi e micrometeoroidi sulla superficie di piccoli satelliti. In alternativa si potrebbe trattare di uno o più oggetti (sia satelliti che corpi esterni) che hanno commesso l’imprudenza di infrangere il limite di Roche e che pertanto sono stati disgregati dalle forze mareali. Infine gli anelli potrebbero essere residui del processo di formazione del sistema di satelliti che non hanno potuto dare luogo ad un corpo unico, di nuovo a causa delle forze mareali. Quest’ultima possibilità è oggi considerata una buona spiegazione della presenza di anelli intorno a Saturno, una parte dei quali può anche essere dovuta alla seconda alternativa. La prima ipotesi è quella più probabile per tutti gli anelli (se non altro per la loro componente micronica e submicronica). Relativamente alla struttura dinamica degli anelli circumplanetari, occorre subito sottolineare che essa è essenzialmente condizionata dalla presenza di satelliti, che da un lato possono produrre gli anelli a causa del bombardamento meteoritico cui sono sottoposti (lasciando una scia di detriti lungo la loro orbita); dall’altro contribuiscono al confinamento radiale della struttura (satelliti pastori). E’ anche interessante osservare che alcune caratteristiche degli anelli, come ad esempio la presenza dei cosiddetti archi intorno Nettuno, sembrano indicare che si tratta di strutture la cui esistenza è forse solo temporanea (qualche milione di anni). Bibliografia Per la bibliografia di tutti gli altri articoli citati in questa dispensa si veda: Leo, C.: 2009, Gli anelli del Sistema Solare, Tesi di Laurea Triennale, Università del Salento. 44