Anelli - Università del Salento

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Dispensa n. 10 del corso di
PLANETOLOGIA
(Prof. V. Orofino)
GLI ANELLI DEL SISTEMA SOLARE
Università del Salento
Corso di Laurea Magistrale in Fisica
A.A. 2011-2012
Ultimo aggiornamento: Agosto 2011
1. Introduzione
L’affascinante storia degli anelli iniziò nel gennaio 1610 quando Galilei scoprì da
una parte e dall’altra del disco di Saturno due curiose protuberanze, identificate poco
dopo come un anello che circondava il pianeta. Allora tutti gli astronomi si trovarono
d’accordo nel considerare il sesto pianeta come una delle meraviglie del cielo. Una
meraviglia ed una eccezione, poiché questo anello non aveva eguali in tutto il Sistema
Solare.
Fu quindi grande la sorpresa allorché, nel marzo 1977, diversi gruppi di
osservatori, approfittando dell’occultazione di una stella da parte di Urano, misero in
evidenza l’esistenza di un sistema di anelli attorno a questo pianeta. Saturno cessò di
essere una eccezione, e gli astronomi cominciarono allora a domandarsi se anche altri
pianeti non fossero circondati da anelli. La risposta giunse con esattezza due anni più
tardi, allorché la sonda spaziale Voyager 1 ne fotografò uno attorno a Giove, scoperta
confermata successivamente da Voyager 2, che nel 1989 scoprì anche gli anelli di
Nettuno. Evidentemente tutti i pianeti giganti sembra siano circondati da queste
formazioni anulari che, da eccezione, sono diventati una regola.
Benché nessuno di questi quattro sistemi di anelli sia simile agli altri, il loro
studio viene attualmente inquadrato in una visione generale allo scopo di scoprire le
leggi che sono alla base della formazione e dell’evoluzione di strutture di questo tipo.
2. Gli anelli di Saturno
Qualunque astrofilo, che disponga di un cannocchiale astronomico, può
facilmente osservare gli anelli di Saturno. All’epoca della loro scoperta da parte di
Galileo essi costituirono cionondimeno un mistero. Infatti solo nel 1659, l’olandese
Christian Huygens comprese veramente di che cosa si trattasse e fu il primo a
suggerire l’idea che Saturno fosse circondato da un disco, un anello piatto e sottile,
non a contatto con il pianeta.
Ma nel 1675, Gian Domenico Cassini corresse quest’ultima teoria. Gli anelli
di Saturno infatti non possono essere «pieni»: la terza legge generalizzata di Keplero
dice infatti che ad ogni distanza di un corpo secondario da un oggetto centrale
(primario) corrisponde un ben preciso periodo di rivoluzione. Nel caso degli anelli di
Saturno, che si estendono su un’ampia superficie, il periodo di rivoluzione è dunque
2
più breve per il bordo interno che per il bordo esterno, il che provocherebbe il loro
smembramento. Come Cassini intuì nel 1710 e Maxwell provò nel 1859, gli anelli,
dunque, non possono essere formati che da una miriade di corpi indipendenti, che si
comportano come altrettanti piccoli satelliti rotanti in ranghi serrati attorno al pianeta;
osservati da grande distanza, danno perciò l’illusione di una superficie piena.
Cassini corresse quindi la teoria di Huygens considerando il disco non come
un corpo rigido, ma come un insieme di piccoli anelli concentrici con molte lacune tra
loro. La più larga delle lacune fu chiamata Divisione di Cassini; essa è ampia 4,800
km ed è situata tra i due anelli pricipali, l’anello A e l’anello B.
2.1 Caratteristiche generali
Gli anelli di Saturno costituiscono il più esteso sistema di anelli planetari del
Sistema Solare. Esso si estende da 67,000 km a oltre 213,000 km circa dal centro del
pianeta (Brainerd, 2004). Gli anelli principali sono formati da centinaia di altri piccoli
anelli e sono composti da innumerevoli particelle con dimensioni che variano dai
micrometri ai metri (Zebker et al., 1985). Alcuni aspetti della struttura degli anelli
cambiano su tempi scala dell’ordine dei giorni (Cuzzi et al., 2010)
Le parti più luminose del sistema di anelli saturniano sono gli anelli A e B,
separati dalla Divisione di Cassini. Questi anelli, insieme all’anello C, scoperto nel
1850 e simile nelle caratteristiche alla Divisione di Cassini, costituiscono gli anelli
principali. Essi sono più densi e contengono particelle più grandi rispetto ai tenui
anelli polverosi. Questi ultimi includono gli anelli D, G ed E ed altri al di là del
sistema principale. Sono definiti “polverosi” a causa delle piccole dimensioni delle
loro particelle, che spesso sono dell’ordine dei micrometri.
La Divisione di Cassini è una lacuna ampia 4,800 km tra l’anello A e l’anello
B (v. fig. 1), scoperta nel 1675 da Gian Domenico Cassini. Dalla Terra appare come
una scura e sottile lacuna. Tuttavia la sonda Voyager ha scoperto che in questa
divisione è comunque presente del materiale che tra l’altro costituisce un anello simile
all’anello C. L’anello B è il più largo, il più luminoso e massivo degli anelli di
Saturno. Le principali caratteristiche degli anelli di Saturno sono riportate in tab. 1.
3
Tab. 1 – Posizione dei bordi interni ed esterni dei principali anelli di Saturno e dei centri delle gap al loro interno (si noti che esistono alcune discrepanze tra i vari set di dati). Feature
Distance
Comments
Saturn equatorial
radius (RS)
60,330 km
(1 RS)
Near the 100-mbar level in Saturn’s
atmosphere
D ring inner edge
66,900
km[a]
(1.11 RS)
Onset of ringlet structure in images
D ring outer edge
C ring inner edge
74,660
km[a]
(1.24 RS)
Onset in radio data of signature of individual
ringlets; C ring features seen in images down
to  73.200 km
C ring outer edge
B ring inner edge
92,000
km[a]
(1.52 RS)
Sharp increase in optical depth (radio plus
ultraviolet)
B ring outer edge
117,580
km[a]
(1.95 RS)
Outer edge variable by at least 140 km:
spokes between 1.72 RS and outer edge of B
ring = inner edge of Cassini division
Cassini Division
Center
A ring inner edge
Encke Gap center
Keeler Gap center
A ring outer edge
F ring center
G ring center
E ring inner edge
E ring outer edge
119,990
km[a]
(1.99 RS)
122,170
km[a]
(2.03 RS)
133,590
km[a]
(2.21 RS)
136,530
km[a]
(2.26 RS)
136,780
km[a]
(2.27 RS)
140,180
km[b]
(2.32 RS)
170,000
km[a]
(2.82 RS)
180,000
km[a]
(2.98 RS)
480,000
km[a]
(7.96 RS)
Outer edge of Cassini division (4600 km
wide) ambiguous in imaging data
Sharp increase in optical depth (radio plus
ultraviolet)
325 km wide
35 km wide
Sharp decrease in optical depth (radio plus
ultraviolet)
Eccentric ring; multiple strands; edges not
well defined (radio plus ultraviolet)
Optical depth ~ 10-4 to 10-5
Not well defined (*); maximum brightness
near the orbit of Enceladus
Not well defined (*); maximum optical depth
~ 10-6 to 10-7
Nota:
(*) Le immagini Voyager non mostrano evidenza dell’anello E entro 211,000 km ed oltre i 302,000 km
dal centro del pianeta.
Riferimenti
[a]: http://www2.jpl.nasa.gov/saturn/back.html;
[b]: http://www.nasa.gov/worldbook/saturn_worldbook.html
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Fino al 1980 si spiegava la struttura degli anelli di Saturno ricorrendo alle sole
forze gravitazionali. Successivamente alcune immagini dalle sonde Voyager, come
quella riportata in fig. 1, mostrarono la presenza di caratteristiche radiali nell’anello
B, note come “spokes” (o cunei), strutture vagamente triangolari che non potrebbero
essere spiegate in questo modo. Essi appaiono scuri in luce diffusa all’indietro e
luminosi in luce diffusa in avanti (v. par. 2.2). La loro base è più vicina a Saturno
mentre la punta è rivolta verso l’esterno.
Fig. 1 L’immagine ripresa da Voyager 2 che mostra distintamente alcuni spokes nell’anello B di
Saturno. I cunei sono fatti principalmente di polveri. Sono visibili anche l’anello A e la Divisione di
Cassini. La griglia di puntini neri presente in ogni immagine proveniente dalla sonda, è usata per
correggere le distorsioni geometriche dovute alla telecamera.
Il meccanismo preciso di origine degli spokes è ancora sconosciuto. Tuttavia,
la presenza di un campo magnetico nell’anello suggerisce una possibile connessione
tra le forze elettromagnetiche e la dinamica dei cunei. Questi sono forse il risultato
della levitazione di piccole particelle sopra il piano dell’anello dovuta ad effetti
elettrostatici. Gli spokes sembrano essere un fenomeno stagionale scomparendo nei
periodi di estate e inverno saturniani e diventando visibili nei periodi prossimi agli
equinozi.
5
Una struttura particolarmente difficile da catalogare è l’anello F, perché
composto da tre sottili anelli che, nelle foto del Voyager 1 sembravano intrecciati in
una struttura complessa. È invece ora noto che i due anelli esterni consistono di
addensamenti di materia che danno l’illusione ottica di un intrecciamento (v. fig. 2).
Fig. 2 Immagine dell’anello F ripresa dal Voyager 1. E’ costituito da due anelli luminosi e da uno
più scuro: i primi due contengono addensamenti di materia che conferiscono alla struttura un aspetto
intrecciato); il terzo, più interno, è omogeneo.
Il 6 Ottobre 2009 fu annunciata la scoperta di un altro tenue disco molto
lontano da Saturno, in quanto poco più interno all’orbita di Febe. Anche se molto
largo, l’anello è praticamente invisibile ed è stato possibile scoprirlo solo grazie al
telescopio spaziale infrarosso Spitzer della NASA. Si è visto che l’anello si estende da
128 a 207 raggi di Saturno (Verbiscer et al., 2009).
Straordinari per la loro estensione, gli anelli di Saturno lo sono anche per il
loro spessore verticale (dove definiamo “verticale” la direzione normale al piano di
simmetria degli anelli, grosso modo coincidente con il piano equatoriale del pianeta),
il cui valore è estremamente difficile da misurare da Terra, dato che il modo migliore
per determinarlo consiste nell’approfittare del momento in cui, osservati dal nostro
6
pianeta, gli anelli si presentano di taglio. Questo fenomeno si riproduce circa ogni 14
anni. Gli astronomi avranno dunque ancora l’occasione di migliorare le misure di
spessore verticale di questi anelli che si sa già inferiore ai 3 km, con le migliori stime
che lo riducono a 10 m.
Secondo recenti valutazioni, non ancora accertate, la massa totale degli anelli
è circa 9  10 19 kg, che è una piccola frazione della massa totale di Saturno (circa
1.5  10-7  Stewart et al., 2007).
2.2 Caratteristiche fisico-chimiche
Utili informazioni sugli anelli provengono dall’analisi della radiazione da loro
diffusa nelle due geometrie osservative di luce diffusa in avanti e luce diffusa
all’indietro. Con luce diffusa in avanti ci riferiamo ad un esperimento in cui
l’osservatore è opposto al Sole rispetto all’anello, che così appare in controluce; con
diffusione all’indietro invece ci riferiamo all’esperimento in cui la posizione
dell’osservatore è tale da poter osservare la luce solare riflessa dagli anelli, e quindi
l’osservatore si trova tra il Sole e l’anello. Evidentemente da Terra si possono
compiere osservazioni solo in geometria di diffusione all’indietro, mentre è necessario
l’utilizzo di sonde per osservare gli anelli in luce diffusa in avanti.
Se indichiamo con Ib l’intensità della radiazione solare diffusa all’indietro alla
lunghezza d’onda ; con If quella della radiazione solare diffusa in avanti alla stessa
lunghezza d’onda e con a il raggio delle particelle dell’anello, allora la teoria di Mie
(v. par. 5 della Dispensa n. 12) prevede che:
1)
Ib  If
per a  100 ;
2)
I b  If
per a  10 ;
3)
Ib  If
per 0.1   a  ;
4)
I b  If
per a  0.1 .
Nel caso 4) la diffusione è del tutto trascurabile.
In genere la maggior parte degli anelli di Saturno (in particolare il grosso degli
anelli A e B), osservati nel visibile, è più luminosa in luce retrodiffusa che in luce
diffusa in avanti. Per quanto sopra discusso, ciò implica la presenza di una forte
componente di particelle macroscopiche (in particolare il loro raggio a è compreso tra
103 m e 10 m).
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D’altra parte se consideriamo gli anelli C e D, osservati nel visibile, essi
hanno luminosità confrontabili sia in luce diffusa in avanti che in luce diffusa
all’indietro, e quindi le dimensioni delle particelle devono essere dell’ordine delle
decine di micron.
Infine gli anelli F ed E, come pure le parti periferiche degli anelli A e B, sempre
osservati nel visibile, sono più luminosi in luce diffusa in avanti che in luce
retrodiffusa, per cui deve essere presente una forte componente di particelle
microniche e submicroniche (a  0.5 m).
Le piccole dimensioni medie delle particelle soprattutto dell’anello F sono
molto interessanti poiché, a causa delle collisioni con micrometeoroidi e dello
sputtering1 da parte di particelle delle fasce di radiazioni, la vita media di tali
particelle microniche e submicroniche risulta molto minore dell’età degli anelli. Il
materiale espulso dalla superficie di piccoli satelliti presenti negli anelli a causa del
bombardamento meteorico rappresenta una plausibile sorgente delle piccole particelle
presenti nell’anello F.
La composizione degli anelli può essere dedotta dall’analisi dei loro spettri di
riflessione. Questi ultimi si ricavano determinando, in funzione della lunghezza
d’onda, l’albedo geometrica A degli anelli.
Ciascuno degli anelli A, B e C è dominato dal ghiaccio d’acqua cristallino,
come indicato dalla presenza negli spettri di pronunciate bande di assorbimento a
1.55, 2.0 e 3.0 μm, come pure di una debole banda a 1.25 μm dovute appunto a questa
sostanza (v. fig.3). Non è stata rilevata alcuna evidenza di altri tipi di ghiacci oltre al
ghiaccio d’acqua.
Secondo Poulet e Cuzzi (2002), il 93% degli anelli è composto da ghiaccio
d’acqua con una bassa presenza di impurità di materiali organici refrattari (toline)2,
(1): Lo sputtering o polverizzazione catodica è un processo per il quale si ha emissione di
atomi, ioni o frammenti molecolari da un materiale solido detto bersaglio (target) bombardato
con un fascio di particelle energetiche (generalmente ioni).
(2): Si dà il generico nome di “materiale organico refrattario” ad un solido molecolare
(polimero) costituito da una miscela di molecole organiche complesse che si ottiene in
laboratorio a partire da una mistura di vari tipi di ghiacci per effetto dell’irraggiamento da parte
di radiazione ultravioletta (Greenberg, 1984). Viene detto refrattario in quanto è in grado di
sopravvivere a temperature più elevate di quella di sublimazione della sostanza di partenza.
In particolare le toline sono dei copolimeri che si formano per irraggiamento di ghiacci di
metano o etano, spesso combinati con sostanze inorganiche quali l'azoto molecolare (N2). Le
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che riproducono il colore rossastro nel range UV-visibile; il 7% è costituito invece da
carbone amorfo, una scura componente neutra. Secondo Nicholson et al. (2008), gli
spettri infrarossi di tutti i principali anelli sono dominati da particelle di ghiaccio
d’acqua di raggio compreso tra 5 e 20 μm, mentre la rapida decrescita nell’albedo al
di sotto di 0.6 μm è indicativa di un contaminante organico, tipo toline (Nicholson et
al., 2008). I silicati così abbondanti nel sistema solare non sembrano, invece, presenti
in quantità rilevabili negli anelli (Cuzzi e Estrada, 1998).
Fig. 3 Spettro in riflessione degli anelli di Saturno (in rosso), confrontato con lo spettro di laboratorio
di un campione di ghiaccio d’acqua cristallino (in verde). Lo spettro osservativo è stato normalizzato
all’unità per λ = 1.02 μm ( Clark e McCord, 1980).
In ogni caso la composizione degli anelli non dovrebbe essere omogenea
(Poulet e Cuzzi, 2002). La variazione della composizione chimica delle particelle è
evidenziata dalla variazione di colore nei diversi anelli ottenuta con una tecnica di
trattamento delle immagini al computer (v. fig. 4). Ad esempio, si osserva un colore
blu per l’anello C e per la Divisione di Cassini, inoltre si notano dei cambiamenti di
toline non si formano in natura sul nostro pianeta, ma sono state ritrovate in grandi quantità
sui corpi ghiacciati del Sistema Solare esterno.
9
colore tra il bordo interno ed esterno dell’anello B, e tra quest’ultimo e l’anello A. In
particolare alcune regioni degli anelli di Saturno hanno un debole color salmone, il
che indica la presenza di una bassa percentuale di molecole organiche complesse
insieme alla presenza del ghiaccio.
Fig. 4 Immagine a colori accentuati (enhanced color) degli anelli di Saturno ottenuta da Voyager 2
allo scopo di evidenziare la variazione della composizione chimica. Sono facilmente visibili, in blu,
l’anello C e la Divisione di Cassini. Sono evidenti le variazioni di colore tra la parte interna dell’anello
B e la regione esterna (dove ci sono gli spokes), e tra questa zona e l’anello A.
Gli anelli di Saturno presentano, come osservato dalle sonde Voyager,
un’intricata struttura nella quale si contano migliaia di lacune, dette “gap”, e sottili
anelli. Si pensa che questa struttura si sia creata in differenti modi. Alcune lacune
sembrano essersi create a causa del passaggio di minuscole lune interne, come Pan.
Altre gap derivano poi dall’azione di risonanze tra i periodi orbitali delle particelle in
essi contenute e il periodo orbitale di una luna massiva più lontana; un esempio è
Mimas che svuota la Divisione di Cassini proprio in questo modo. Questa risonanza
causa infatti un’intensificazione dell’attrazione sulle particelle dell’anello da parte del
satellite destabilizzando le loro orbite e portando ad un vuoto nell’anello. Si noti che
alcune risonanze possono essere stabilizzanti invece che disgreganti, come nel caso
dell’anello di Titano nella Colombo Gap, stabilizzato da una risonanza orbitale con
10
Titano. D’altra parte molti piccoli anelli sembra che siano mantenuti dall’effetto
gravitazionale di piccole lune dette “satelliti pastori” (v. par. 3.1.1), come Prometeo e
Pandora nel caso dell’anello F.
I dati della sonda Cassini hanno indicato che gli anelli sono immersi in
atmosfera gassosa indipendente da quella del pianeta. Essa è composta di molecole di
ossigeno (O2) prodotto quando la luce ultravioletta del Sole interagisce con il ghiaccio
degli anelli. Le reazioni chimiche che ne derivano (fotodissociazione) producono
infatti ossigeno gassoso. In questa atmosfera è presente anche H2 e OH (idrossido),
prodotti dalla disintegrazione delle molecole di acqua, dovuta a ioni energetici che
bombardano le molecole di acqua espulse dalla luna di Saturno Encelado e da altri
satelliti. Quest’atmosfera è comunque molto rada.
2.3 Formazione
Gran parte degli anelli di Saturno esiste probabilmente dai tempi della
formazione di Saturno stesso. Secondo una teoria, infatti, gli anelli sarebbero
composti da ciò che un tempo costituiva il materiale nebulare di Saturno quando il
pianeta si formò. Secondo un’altra teoria, gli anelli costituivano inizialmente una luna
di Saturno la cui orbita decadde per effetti mareali fino a quando il satellite non arrivò
troppo vicino al pianeta, superando il cosiddetto “limite di Roche”, tanto da essere
distrutto sempre a causa delle forze mareali. Una variante di questa teoria è che una
luna di 300 km di diametro (più grande di Mimas) si disintegrò in seguito ad un
impatto con una grande cometa o con un asteroide. Ciò non può essere avvenuto di
recente; l’ultima volta che ci furono collisioni abbastanza grandi da distruggere una
luna di tali dimensioni fu infatti durante il massiccio bombardamento che interessò
molti corpi del Sistema Solare dovuto a meteoriti e asteroidi avvenuto circa quattro
miliardi di anni fa (Kerr, 2008).
D’altra parte l’alta albedo e la purezza del ghiaccio negli anelli di Saturno
potrebbero essere indicativi del fatto che gli anelli siano molto più giovani di Saturno,
formatisi forse solo 100 milioni di anni fa. Tuttavia sappiamo anche che i materiali
degli anelli vengono continuamente distrutti dagli impatti e vengono continuamente
riforniti dalle collisioni di meteoroidi sulle superfici delle lune. Queste espellono le
particelle che poi si mettono in orbita formando un anello diffuso. Questo
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meccanismo di rifornimento potrebbe spiegare l’apparente giovane età di alcuni
materiali negli anelli.
Possiamo quindi concludere che parte degli anelli di Saturno (in particolare la
componente costituita da corpi macroscopici) ha avuto origine al tempo della
formazione del pianeta, parte si è formata per disgregazione mareale di oggetti
(satelliti naturali e/o corpi esterni catturati dal pianeta) penetrati entro il limite di
Roche, parte ancora (in particolare la componente microscopica) viene continuamente
rinnovata per effetto del bombardamento meteoritico dei satelliti.
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3. Gli anelli di Urano
Nel 1787, sei anni dopo aver scoperto Urano, William Herschel credette di
percepire un anello attorno a questo nuovo pianeta del Sistema Solare. Ma nessuno
confermò il fatto. Così questo ipotetico anello fu dimenticato fino al 10 marzo 1977.
Quella notte quattro gruppi di astronomi avevano deciso di approfittare
dell’occultazione di una stella della costellazione della Bilancia da parte di Urano per
misurare il diametro del pianeta.
Mentre tutti aspettavano la scomparsa della stella dietro il disco di Urano,
rimasero sorpresi nel notare sulle registrazioni una prima estinzione di questa stella,
della durata di 7 secondi, prima dell’istante previsto di occultazione. Questa
estinzione fu seguita, nel giro di nove minuti, da altre quattro, benché più brevi (1
secondo). Dopodiché la stella brillò, senza interruzione, fino alla sua scomparsa
normale. La stessa sequenza si riprodusse in modo quasi identico e simmetrico alla
fine dell’occultazione. Questa osservazione portò alla conclusione che esiste attorno
ad Urano una cintura di materiale finemente frammentato invisibile all’osservazione
diretta. L’analisi dei dati raccolti tramite l’occultazione permise ben presto di mettere
in evidenza un insieme di cinque anelli concentrici, che sono stati designati con lettere
dell’alfabeto greco; il quinto è il più esterno ed anche il più largo (circa 90 km),
mentre gli altri 4 sono più ridotti (circa 10 km).
Fortuna volle che Urano occultasse un’altra stella poco tempo dopo. Questa
osservazione permise di scoprire quattro anelli supplementari, ancor più vicini al
pianeta di quelli già noti. I nove anelli non sono che sottili fili di materiali
estremamente oscuri (in effetti sono tanto scuri quanto la lava nera o il carbone), in
contrasto con quelli di Saturno, che sono al contrario larghi e brillanti. Data la loro
scarsa larghezza, il debole potere riflettente e la grande distanza di Urano, non c’è da
meravigliarsi che siano risultati invisibili anche per i migliori telescopi; sembra
dunque poco probabile che William Herschel abbia potuto osservarli.
È stata avanzata l’ipotesi che questi anelli fossero semplicemente “veli” di gas
concentrici. L’ipotesi è del tutto plausibile, poiché conosciamo già due casi di satelliti
planetari (Io per Giove e Titano per Saturno) che generano scie di gas. Per analogia si
potrebbero considerare gli anelli di Urano come scie di gas disseminate, lungo una
decina di orbite distinte, da altrettanti minisatelliti invisibili (Kohler, 1980)
13
Secondo quest’ipotesi gli anelli di gas dar luogo a occultazioni come quelle
osservat semplicemente per effetto della diffusione: la stella non viene affatto
occultata, ma la sua radiazione luminosa viene diffusa, ossia deviata in direzioni
diverse da quelle d’incidenza. Notiamo del resto che le osservazioni fotometriche
indicano più un indebolimento della luminosità che un’estinzione.
3.1 Proprietà degli anelli
Oltre ai 9 anelli principali sono stati scoperti un gran numero di piccoli anelli
molto sottili (stretti fino a 50 m) e uno molto largo e diffuso (1986 U2R/). In totale
attualmente distinguiamo 13 anelli, chiamati in ordine di distanza dal pianeta:
1986U2R/, 6, 5, 4, α, β, η, γ, δ, λ, ε, ν e μ.
Gli anelli di Urano si possono dividere in tre gruppi: nove stretti anelli
principali (6, 5, 4, α, β, η, γ, δ, ε), due anelli polverosi più interni (1986U2R/, λ), e
due più anelli polverosi più esterni (ν, μ). Essi consistono principalmente di particelle
macroscopiche e basse quantità di polveri, anche se queste ultime sono presenti negli
anelli 1986U2R/, λ , ν e μ, ed in parte anche negli anelli η e δ. Tutti gli anelli di
Urano mostrano variazioni azimutali nella luminosità. Le principali caratteristiche
degli anelli di Urano sono riportate in tab. 2.
3.1.1 Anello ε
L’anello ε è il più luminoso e denso (v. fig. 5) ed è responsabile di circa i due terzi
della luce complessivamente riflessa dagli anelli.
Fig. 5  Anelli più interni di Urano: il più luminoso all’esterno è l’anello ε, in aggiunta al quale si
possono distinguere altri otto anelli.
14
[Spazio vuoto per la Tab. 2 (orizzontale)]
15
Anche se è il più eccentrico degli anelli uraniani (v. fig. 6), ha un’inclinazione
orbitale trascurabile. La sua luminosità varia lungo la sua orbita: è più elevata vicino
l’apocentro, più bassa vicino al pericentro. Il rapporto tra massimo e minimo di
luminosità è circa 2.5-3.0 (Ockert et al., 1987). Queste variazioni sono legate alla
variazione della larghezza radiale dell’anello, che è 19.7 km in corrispondenza del
pericentro, e 96.4 km in corrispondenza dell’apocentro (Karkoshka, 2001). Le
variazioni dell’ampiezza radiale furono misurate direttamente da Voyager 2.
Fig. 6  Morfologia schematica dell’anello ε
Lo spessore verticale dell’anello ε non è conosciuto con grande precisione, ma
è certamente molto piccolo. Secondo alcune stime esso sarebbe circa 150 m (Lane et
al., 1986). La dimensione tipica delle sue particelle è 0.2-20.0 m (Lane et al., 1986).
Come abbiamo già osservato per la maggior parte degli anelli di Urano, anche l’anello
ε è quasi privo di polvere a causa della resistenza aerodinamica dall’estesa esosfera di
Urano (v. par. 3.2).
La forma stretta ed eccentrica dell’anello , come pure di alcuni altri anelli di
Urano, è estremamente interessante dal momento che, senza un meccanismo di
confinamento, a causa delle collisioni tra le particelle, esso dovrebbe allargarsi in
senso radiale diventando circolare in un tempo non superiore ai 100 milioni di anni.
Se non si vuol pensare di aver avuto la fortuna di essere capitati proprio nel momento
“giusto”, appena successivo (su tempi-scala astronomici) alla formazione dell’anello,
allora si deve cercare un meccanismo che lo stabilizzi nella sua configurazione
attuale. Un modello alquanto plausibile attribuisce la stabilità degli anelli alla
presenza di piccoli satelliti, detti satelliti pastori, non sempre osservabili dalla Terra.
16
L’anello ε, ad esempio, ha due satelliti pastori, Cordelia ed Ofelia, rispettivamente
uno più interno ed uno più esterno (v. fig. 7).
Fig. 7  Immagine dei due satelliti pastori dell’anello ε di Urano. Le due lune, inizialmente designate
1986U7 e 1986U8 e poi chiamate ufficialmente Cordelia e Ofelia, sono osservabili da entrambi i lati
del luminoso anello ε. Procedendo verso l’interno, sono visibili anche l’anello ε, δ, γ ed η, gli anelli β
ed α, e appena visibili gli anelli 4, 5 e 6.
Come ricavato da Goldreich e Tremaine (1979) una coppia di satelliti pastori
vicini, uno interno ed uno esterno, interagendo gravitazionalmente con un anello è in
grado di esercitare un’azione stabilizzante.
Per
spiegare
qualitativamente
questo
meccanismo
di
confinamento
consideriamo un pianeta intorno cui sono presenti un anello circolare e due satelliti A
e B posti in prossimità di quest’ultimo; supponiamo inoltre che il satellite A si trovi
su un’orbita interna all’anello mentre B sia posto su un’orbita esterna.
Per la terza legge di Keplero generalizzata, le velocità VA del primo satellite,
Va,i della parte interna dell’anello, Va,e della parte esterna e VB del secondo satellite
sono tali che:
VA> Va,i >Va,e > VB .
17
A causa dell’interazione gravitazionale tra il satellite A e le particelle sul
bordo interno dell’anello, il primo (più veloce) tende a trasferire momento angolare
alle seconde, accelerandole. Il conseguente aumento dell’intensità della forza
centrifuga sposta tali particelle verso l’esterno e l’anello si allontana dall’orbita di A.
Analogamente, a causa dell’interazione gravitazionale tra il satellite B e le particelle
sul bordo esterno dell’anello, il primo (più lento) tende a sottrarre momento angolare
alle seconde, decelerandole. La conseguente diminuzione dell’intensità della forza
centrifuga sposta tali particelle verso l’interno e l’anello si allontana anche dall’orbita
di B. Pertanto a causa delle azioni gravitazionali combinate dei due satelliti,
l’estensione radiale dell’anello si riduce progressivamente fino a quando tali azioni
contrapposte non si bilanciano; a questo punto si stabilisce una configurazione di
equilibrio e l’anello si stabilizza. Affinché tale meccanismo sia efficace, le masse dei
satelliti pastori devono superare la massa dell’anello di almeno tre volte.
Si sospetta la presenza tra gli anelli di vari satelliti pastori, dei quali solo
alcuni (come nel caso di Cordelia e Ofelia, che confinano l’anello  di Urano), sono
sufficientemente grandi da poter essere rilevati (D  14 km). Come nel caso degli
anelli di Saturno, tale configurazione (piccoli satelliti ed anelli alternati) potrebbe
aver avuto origine dalla rottura, all’interno del limite di Roche, di un satellite
primigenio posto su un’orbita sincrona e “caduto” lentamente verso il pianeta per
attrito di marea.
3.1.2 Anello λ e gli altri anelli polverosi
L’anello λ fu uno dei due anelli scoperti dalla sonda Voyager 2 nel 1986. È un
anello debole e stretto vicino al confine interno dell’anello ε, tra questo e la luna
Cordelia. Alla lunghezza d’onda di 2.2 μm in luce diffusa all’indietro l’anello λ
appare estremamente stretto, circa 1-2 km (de Pater et al., 2006a). L’aspetto
dell’anello λ cambiò quando venne osservato in luce diffusa in avanti nel 1986. In
questa geometria l’anello diventa il più luminoso degli anelli uraniani, superando
anche l’anello ε (v. fig. 8). Questa osservazione, in aggiunta alla forte dipendenza
dello spessore ottico3 dalla lunghezza d’onda, indica che l’anello conta significative
quantità di polveri micrometriche.
(3): Lo spessore ottico dà la misura di quanto sia opaco un mezzo. Se I0 è l' intensità della
radiazione incidente ed I l'intensità osservata dopo un certo percorso nel mezzo, lo spessore
ottico τ è definito dall’equazione: I/I0 = e-τ. In particolare lo spessore ottico normale si ricava
considerando la radiazione incidente perpendicolarmente al piano dell’anello. Si può inoltre
18
Nel 1986 Voyager 2 rilevò un debole ed ampio strato di materiale all’interno
dell’anello 6. Quest’anello fu inizialmente chiamato 1986U2R; con uno spessore
ottico di 10 3 (de Pater et al., 2006a; de Pater et al., 2006b), esso era estremamente
debole. Non fu osservato di nuovo sino al 2003-2004, quando fu osservato dalla Terra
utilizzando il telescopio Keck. Allora l’anello fu ribattezzato ζ.
Fig. 8  Anelli di Urano visti in luce diffusa in avanti (a sinistra) e in luce retro diffusa (a destra). Si
noti il loro aspetto marcatamente diverso nelle due geometrie d’osservazione. La differente posizione
dell’anello ε è causata dalla sua eccentricità, perché le immagini sono state riprese una in prossimità
dell’ apocentro e l’altra vicino al pericentro.
Oltre agli anelli 1986U2R/ζ e λ ci sono altre bande di polvere estremamente
deboli nel sistema di anelli uraniano. Esse sono invisibili durante le occultazioni,
definire lo spessore ottico equivalente ED, che è l’intregrale dello spessore ottico normale
attraverso l’anello. In altre parole ED = ∫ τ dr, dove la variabile radiale r è compresa tra il
raggio interno e quello esterno dell’anello.
19
perché hanno uno spessore ottico trascurabile, anche se sono luminose in luce diffusa
in avanti. Le immagini prese da Voyager 2 in tale geometria di osservazione rivelano
l’esistenza di bande di polvere luminose fra gli anelli λ e δ, fra η e β, e fra α e l’anello
4.
3.2 Caratteristiche delle particelle degli anelli
Nonostante la presenza di questi anelli polverosi, complessivamente il sistema
contiene poca polvere, in quanto consiste soprattutto di corpi grandi 0.2-20.0 m (Lane
et al., 1986). In effetti particelle con dimensioni inferiori ai 10 cm sono molto rare
negli anelli: la frazione f della massa totale degli anelli dovuta a tali particelle è f 
103  104 (per gli anelli più brillanti di Saturno, invece, f  0.05). La relativa
mancanza di polvere nel sistema di anelli è dovuta alla resistenza aerodinamica
esercitata dall’estesa esosfera uraniana, cioè lo strato più esterno del pianeta, dove le
particelle superano la velocità di fuga e si disperdono nello spazio.
La presenza di particelle di dimensioni microniche è molto importante. In
effetti, a causa del già citato attrito con l’estesa atmosfera di idrogeno che circonda
pianeta, tali particelle vengono rimosse in tempi-scala molto minori dell’età degli
anelli. Visto che le vediamo ancora oggi, anche in questo caso (come per Saturno)
deve operare un meccanismo di rifornimento degli anelli. Un’ipotesi plausibile è che
gli anelli vengano continuamente riforniti a causa dell’espulsione di materiale (dovuta
al bombardamento meteorico) dalla superficie di piccoli satelliti presenti negli anelli,
ma non ancora scoperti.
Esperimenti radio condotti dalle sonde Voyager hanno mostrato la presenza
negli anelli di corpi di dimensioni dell’ordine del metro composti da ghiaccio sporco
con bassa albedo geometrica (circa 5-6 %), simile a quella dei satelliti Cordelia e
Ofelia. Tuttavia al contrario degli anelli di Saturno non presentano caratteristiche
spettrali (bande) identificabili. La composizione chimica delle particelle non è infatti
nota. Sicuramente non si può trattare di ghiaccio ad alto grado di purezza come per
Saturno, perché gli anelli in questo caso sono anche molto scuri. Quindi ciò indica che
gli anelli sono probabilmente costituiti da una miscela di ghiaccio e materiale più
scuro, la cui natura non è nota, ma potrebbe trattarsi di composti organici a bassa
albedo prodotti dall’irraggiamento di particelle cariche dalla magnetosfera uraniana.
20
3.3 Dinamica ed evoluzione
Si pensa che gli anelli di Urano siano relativamente giovani e risalgono a non
più di 600 milioni di anni fa. Il sistema di anelli si è probabilmente originato dalla
frammentazione di un certo numero di lune, un tempo in orbita attorno al pianeta, che
a causa di collisioni, si disgregarono in numerose particelle. Queste ultime andarono a
formare anelli densi e stretti in confinate zone di massima stabilità.
L’origine delle bande di polvere è meno incerta. La polvere negli anelli ha
tempo di vita molto breve, 100-1000 anni, e viene continuamente alimentata da
collisioni fra meteoroidi esterni al sistema uraniano e piccole lune interne (Esposito e
Colwell, 1989; Burns et al., 2001). Le piccole lune e le particelle macroscopiche
risultano invisibili a causa del loro basso spessore ottico, mentre le polveri sono
visibili in luce diffusa in avanti.
21
4. Gli anelli di Giove
Quando, il 5 marzo 1979, i tecnici del Jet Propulsion Laboratory trasmisero
alla sonda Voyager 1 l’ordine di puntare la macchina da ripresa ad alta risoluzione
(teleobiettivo) fra il bordo esterno di Giove e il primo satellite, Amaltea, non si
pensava affatto a cercare un anello attorno al pianeta gigante. Questa operazione
aveva in effetti lo scopo di trovare un eventuale quattordicesimo satellite. L’immagine
rivelò invece la presenza inattesa di un anello: si trattava del più luminoso (e che
pertanto è stato poi chiamato “anello principale”) di un sistema di anelli che circonda
il gigante del Sistema Solare. Come accennato al par. 1, il sistema di anelli di Giove
fu il terzo ad essere scoperto nel nostro Sistema Solare, dopo quello di Saturno e di
Urano.
4.1 Caratteristiche generali e struttura
L’anello principale è situato ad una distanza compresa tra 1.72 e 1.81 raggi
gioviani da centro del pianeta ed è largo 7000 km. Lo spessore verticale è ancora
indeterminato, ma non può superare i 30 km, tenuto conto della definizione delle
immagini fotografiche; il suo valore reale è certamente assai inferiore.
La concentrazione delle particelle in questa formazione è almeno 100 mila
volte inferiore a quella degli anelli di Saturno, il che spiega come esse non possano
essere osservate direttamente, proprio come gli anelli di Urano.
Dopo la scoperta, l’anello di Giove ha potuto essere osservato dalla Terra, con
il telescopio delle Hawaii. Questa impresa è stata realizzata utilizzando un filtro
nell’infrarosso centrato sulla lunghezza d’onda di 2.2 micron. In questo intervallo,
infatti, è situata la banda di assorbimento del metano, abbondante nell’atmosfera
gioviana; così il disco del pianeta si trova ad essere fortemente oscurato e
l’utilizzazione di uno schermo occultante permette di rimuovere il contributo
planetario e di rilevare l’anello, che mostra uno splendore inferiore di 10.4
magnitudini rispetto a quello di Giove, cioè una luminosità circa 15 mila volte più
bassa! Perciò l’osservazione telescopica dell’anello di Giove resterà un fatto
eccezionale.
Gli anelli gioviani sono molto tenui ed hanno una struttura più semplice di
quella degli anelli di Saturno e anche di Urano. Essi hanno infatti solo quattro
principali componenti (v. fig. 9 e tab. 3): un toro più interno detto “alone”, un anello
22
principale relativamente luminoso e sottile, e due deboli fasce, i cosiddetti “Gossamer
rings” verticalmente estesi e più esterni. Questi ultimi due prendono il nome dalle
lune del cui materiale sono composti: Amaltea e Tebe.
Fig. 9 Schema del sistema di anelli di Giove che mostra le sue quattro principali componenti, con le
loro diverse estensioni verticali.
Gli anelli sono costituiti principalmente da polvere espulsa quando meteoroidi
interplanetari collidono con le piccole lune più interne di Giove. Molte particelle
hanno dimensioni microscopiche e sono fatte di silicati (Throop et al., 2004).
Gli anelli di Giove esistono in una zona di intensa radiazione corpuscolare
costituita da elettroni e ioni intrappolati nel campo magnetico del pianeta.
Nel visibile e vicino infrarosso, tutti gli anelli hanno spettri arrossati, eccetto l’alone
che è neutro o addirittura blu.
La massa totale del sistema di anelli è attualmente sconosciuta, ma
probabilmente è compresa tra 10 11 e 10 16 kg (Burns et al., 2004).
23
[Spazio vuoto per la Tab. 3 (orizzontale)]
24
4.2 L’anello principale
L’anello principale è il più luminoso del sistema; esso è stretto radialmente e
relativamente sottile in estensione verticale (v. fig. 10).
Fig. 10
Immagine dell’anello principale di Giove, osservato in luce diffusa in avanti.
Il fatto che l’anello principale sia prevalentemente costituito da particelle di
polvere è provato da quanto segue. Come mostrato in fig. 11, l’aspetto di questo
anello dipende fortemente dalla geometria di osservazione. In effetti è possibile
studiare
la
luminosità
dell’anello
in
diverse
geometrie
di
osservazione
(principalmente in luce diffusa in avanti e all’indietro) che mostrano, in genere,
caratteristiche diverse. Nella fattispecie, in luce diffusa in avanti la luminosità
dell’anello principale decresce a partire dal centro dell’anello a circa 126,000 km
(Ockert-Bell et al., 1999), dove raggiunge il massimo, procedendo verso il confine
esterno a 129,300 km dove raggiunge il minimo, proprio al di là dell’orbita di
Adrastea. Il confine più interno invece non è distintamente definito confondendosi e
svanendo nell’alone ad una distanza dal centro del pianeta compresa tra i 124,000 e i
120,000 km.
In luce diffusa all’indietro la situazione è diversa, in quanto è visibile una
struttura caratterizzata da una sottile regione esterna tra i 128,000 e i 129,000 km, che
include tre piccoli anelli separati da lacune meno luminose, e da una parte più interna,
25
larga e tenue, che è priva di strutture visibili e che si estende dai 122,500 ai 128,000
km.
Fig. 11 Riquadro superiore: immagine dell’anello, visto dalla sonda New Horizons in luce diffusa
all’indietro, con una struttura fine ben visibile. Riquadro inferiore: immagine dell’anello in luce diffusa
in avanti, che evidenzia la mancanza di una qualsiasi struttura.
Anche per quanto riguarda l’estensione verticale si osservano variazioni a
seconda della geometria di osservazione. Osservato in luce diffusa all’indietro
l’anello principale appare come una lama sottile che si estende verticalmente per non
più di 30 km, molto più spesso se osservato in luce diffusa in avanti (Ockert-Bell et
al., 1999; Throop et al., 2004). La maggior parte della massa dell’anello rimane
comunque confinata in un sottile strato centrato intorno al piano di simmetria
dell’anello.
Come già accennato, queste proprietà dell’anello principale possono essere
spiegate se ipotizziamo che esso contenga corpi macroscopici ma soprattutto
significative quantità di particelle di polvere di dimensione tra 0.1 e 10 m.
4.3 Alone
L’alone è il più interno e il più verticalmente esteso degli anelli gioviani. Il
suo bordo esterno si trova a 122,500 km (1.72 RJ). La sua estensione verticale non è
nota con precisione, ma è stato rilevato materiale sino ad almeno 10,000 km dal piano
dell’anello (de Pater et al., 1999; Ockert-Bell et al., 1999). Il confine interno
dell’alone è localizzato a 100,000 km dal centro di Giove (1.4 RJ), ma del materiale è
stato rilevato anche nelle zone più interne sino a 92,000 km, per una larghezza radiale
26
totale dell’alone di circa 30,000 km. Esso appare come uno spesso toro e, a differenza
dell’anello principale, la sua forma dipende solo leggermente dalla geometria di
osservazione. In ogni caso l’alone risulta più luminoso in luce diffusa in avanti, come
si è visto dalle immagini riprese dalla sonda Galileo (v. fig. 12).
Fig. 12 Immagine in falsi colori dell’alone osservato dalla sonda Galileo in luce diffusa in avanti. Si
noti il notevole spessore verticale (quando confrontato con la dimensione del disco planetario mostrato
a destra).
Nonostante l’estensione verticale di almeno 10,000 km, la luminosità
dell’alone risulta concentrata solo lungo il piano dell’anello (v. fig. 12), ed è legata
all’altezza z sopra il piano dell’anello tramite la legge:

L z
con 0.6 ≤ α ≤ 1.5.
Sebbene sia molto esteso verticalmente, l’alone è diverse volte meno luminoso
dell’anello principale.
4.4 Anelli Gossamer
Così come l’anello principale e l’alone sono costituiti da polvere e detriti vari
espulsi da Metis, Adrastea ed altri satelliti sconosciuti in seguito ad alcuni impatti
meteoritici ad elevata velocità, la polvere espulsa da Amaltea è invece una delle due
componenti dell’anello Gossamer. L’orbita del satellite è inclinata rispetto al piano
equatoriale di Giove, e a causa della precessione del piano orbitale4 a tempi diversi la
posizione verticale del satellite può estendersi dovunque tra i due limiti estremi
mostrati in fig. 13. Pertanto la polvere espulsa da Amaltea produce di fatto una fascia
(4): La precessione del piano orbitale dei satelliti è analoga al moto di precessione degli
equinozi, che l’orbita terrestre subisce a causa del fatto che la Terra ha un rigonfiamento
equatoriale e che l’asse di rotazione diurna forma un angolo non nullo rispetto alla normale al
piano dell’orbita; il che implica che le forze di attrazione del Sole, della Luna e degli altri
pianeti danno luogo ad un momento risultante diverso da zero. Nel caso dalla precessione
orbitale dei satelliti il momento risultante è però dovuto allo schiacciamento ai poli
caratteristico del primario.
27
il cui spessore uguaglia la massima escursione verticale di Amaltea rispetto al piano
equatoriale di Giove.
Fig. 13 Precessione del piano orbitale di un satellite e formazione dell’anello di grande spessore
verticale.
La polvere espulsa da Tebe è la seconda componente dell’anello Gossamer.
Anche in questo caso lo spessore verticale dell’anello uguaglia la massima escursione
di Tebe dal piano equatoriale di Giove. Si noti che questa componente dell’anello
Gossamer è più estesa verticalmente di quella dovuta ad Amaltea perchè l’orbita di
Tebe è più inclinata rispetto a quella di Amaltea (v. fig. 14). Tuttavia, nonostante la
sua grande estensione verticale, l’anello Gossamer di Tebe risulta essere il più tenue e
meno luminoso dell’intero sistema gioviano.
4.5 Origine degli anelli
Come già osservato l’anello principale è formato dai detriti espulsi dalle lune
più interne, Metis e Adrastea, in seguito alle collisioni con dei meteoroidi. Poiché
entrambi i satelliti hanno un’orbita non inclinata rispetto al piano equatoriale di
Giove, l’anello principale ha un’estensione verticale trascurabile rispetto agli anelli
Gossamer (v. fig. 14).
Risulta invece praticamente impossibile che il grosso degli anelli di Giove sia
costituito da materiale di risulta risalente al processo di formazione di Giove. È anche
28
improbabile che essi siano frammenti di un antico satellite avvicinatosi troppo al
pianeta e disgregato dalle forze mareali. Sembra quindi altamente probabile che gli
anelli costituiscano una struttura in uno stato di sostanziale equilibrio tra processi di
distruzione e rifornimento.
Fig. 14  Confronto tra gli spessori verticali dell’anello principale (in viola) e degli anelli Gossamer di
Amaltea (in arancione) e di Tebe (in verde).
Le particelle vengono allontanate dagli anelli a causa dell’azione della
pressione di radiazione e del vento solare, dell’effetto Poynting-Robertson, delle
collisioni tra grani e, non ultime, dalle forze di Lorentz agenti su grani carichi. Tutti
questi meccanismi hanno tempi-scala molto minori dell’età del Sistema Solare
(Mukai, 1989; Burns et al., 2004). La vita media delle particelle di polvere è infatti
compresa tra i 100 e i 1000 anni (Mukai, 1989; Burns et al., 2004), così che la polvere
deve essere continuamente rifornita.
29
Tra i meccanismi di rifornimento degli anelli si possono annoverare: le
collisioni che avvengono tra corpi macroscopici (con dimensioni tra 1 cm e 0.5 km),
oppure tra questi e meteoroidi che giungono dal di fuori del sistema gioviano ad
elevata velocità (specialmente per gli anelli Gossamer), il rilascio di materiale
cometario, e le eruzioni vulcaniche su Io (che espellono particelle che vengono poi
allontanate dal satellite soprattutto a causa delle forze di Lorentz).
30
5. Gli anelli di Nettuno
Il primo rilevamento relativamente affidabile degli anelli intorno a Nettuno fu
fatto nel 1968 durante un’occultazione stellare, anche se i risultati passarono
inosservati sino al 1981.
Nella prima metà degli anni ’80 vennero effettuate alcune osservazioni da due
gruppi di ricercatori, uno dell’Università di Parigi ed uno dell’Arizona. Su una
sessantina di occultazioni osservate, tre o quattro indicavano che in certe limitate zone
del piano equatoriale di Nettuno (limitate, ma estese, ossia non individuabili con i
satelliti) c’era qualcosa che bloccava la luce della stella, e da una parte sola del
pianeta: non potevano essere anelli completi, perché l’avrebbero intercettata due
volte; si doveva trattare di qualcosa di discontinuo, in movimento attorno al pianeta.
Da qui l’ipotesi di archi di materia, cioè di anelli incompleti.
Nell’agosto del 1989, durante i giorni del massimo avvicinamento della sonda
Voyager 2 al pianeta, le nuove immagini, più dettagliate, mostrarono che in realtà gli
archi inizialmente scoperti facevano parte di due anelli piuttosto tenui, ma completi:
non di archi si trattava, ma di una disomogenea distribuzione del materiale dell’anello
che tendeva a concentrarsi particolarmente in alcune zone.
5.1 Struttura del sistema di anelli
La sonda Voyager 2 ha dunque scoperto che anche Nettuno, come tutti i
pianeti gioviani, ha un complicato sistema di anelli. Nettuno ha due anelli più
luminosi e più stretti in senso radiale e due altri anelli meno luminosi e più larghi. Gli
anelli di Nettuno (v. fig. 15) sono deboli, tenui e polverosi; essi ricordano quelli di
Giove, ma per alcune caratteristiche anche quelli di Saturno e di Urano.
Nettuno possiede cinque anelli conosciuti ed ognuno prende il nome da
astronomi che hanno compiuto importanti studi sul pianeta: Galle, Le Verrier, Lassel,
Arago e Adams. Nettuno possiede anche un debole anello senza nome che coincide
con l’orbita della luna nettuniana Galatea (v. tab. 4). Oltre a Galatea vi sono altre tre
lune che orbitano fra gli anelli: Naiade, Talassa e Despina (v. fig. 16).
In aggiunta ai cinque anelli (Galle, Le Verrier, Lassel, Arago e Adams),
Nettuno presenta deboli strati di materiale che si estendono dall’anello Le Verrier
all’anello Galle e forse più in là verso Nettuno.
31
Fig. 15  Anelli di Nettuno in due immagini riprese dalla sonda Voyager 2.
Fig. 16  Schema del sistema di anelli di Nettuno (linee continue); sono anche mostrate le orbite dei
satelliti (linee tratteggiate).
32
[Spazio vuoto per la Tab. 4 (orizzontale)]
33
È importante osservare che l’anello Adams mostra cinque archi discreti,
responsabili delle occultazioni osservate da Terra negli anni 80, chiamati Fratenité,
Egalite 1 e 2, Liberté e Courage. Gli archi sono molto stabili, poiché sono cambiati
solo leggermente dal loro aspetto e posizione iniziali osservati nel 1980. Come
facciano a mantenere la stabilità è ancora un argomento discusso, ma probabilmente
questa è dovuta ad interazioni fra l’anello Adams e Galatea, la sua luna nettuniana
immediatamente più interna.
5.2 Caratteristiche fisico-chimiche degli anelli
Tre degli anelli nettuniani (Le Verrier, Arago e Adams) sono stretti, con
un’ampiezza intorno ai 100 km o meno (Horn et al., 1990); al contrario gli anelli
Galle e Lassel sono ampi: le loro larghezze sono fra 2,000 e 5,000 km (Smith et al.,
1989). Come già osservato l’anello Adams consiste di cinque archi luminosi
all’interno di un più debole anello continuo. Procedendo in senso orario gli archi
sono: Fratenité, Egalité 1 e 2, Liberté e Courage. La terminologia fu suggerita dagli
scopritori francesi, che li hanno rilevati durante le occultazioni nel 1984 e nel 1985.
L’anello più interno di Nettuno è l’anello Galle, così chiamato in onore di
Johann Gottfried Galle, il primo che osservò Nettuno al telescopio. L’anello è ampio
circa 2,000 km. La frazione di polvere nell’anello è stimata essere del 40-70%
(Colwell e Esposito, 1990; Burns et al., 2001).
L’anello Lassel è il più ampio anello nel sistema di Nettuno. Fu chiamato così
in onore di William Lassel, l’astronomo inglese che scoprì la più grande luna di
Nettuno, Tritone. Quest’anello è un debole strato di materiale ed è situato fra l’anello
Le Verrier a circa 53,200 km e l’anello Arago a 57,200 km (Miner et al., 2007). La
frazione di polvere nell’anello è stimata essere del 20-40% (Colwell e Esposito,
1990).
L’anello Adams è il più esterno (Miner et al., 2007) ed è il più importante e
meglio studiato degli anelli di Nettuno. Prende il nome da John Couch Adams, che
predisse la posizione di Nettuno indipendentemente da Le Verrier. L’anello Adams è
stretto, un po’ eccentrico e inclinato, con un’ampiezza totale di 35 km (15-50 km)
(Horn et al., 1990). La frazione di polvere nell’anello è stimata essere del 20-40%
(Colwell e Esposito, 1990). La piccola luna di Nettuno, Galatea, che orbita appena
all’interno dell’anello Adams a 61,953 km dal centro di Nettuno, agisce come satellite
34
pastore, mantenendo le particelle confinate all’interno dell’anello attraverso la sua
azione gravitazionale (v. par. 3.1.1).
Le parti più luminose dell’anello Adams, gli archi (v. fig. 17), furono i primi
elementi del sistema ad essere scoperti, essendo i responsabili di tutte le occultazioni
stellari osservate da Terra, tranne una (dovuta al satellite Larissa). Gli archi sono
regioni poste all’interno dell’anello, limitate sia radialmente che longitudinalmente,
nelle quali le particelle sono raggruppate insieme da un meccanismo largamente
sconosciuto. L’arco più luminoso e lungo è Fraternité; il più debole è Courage. La
frazione di polvere nell’arco va dal 40 al 70% (Colwell e Esposito, 1990). Gli archi
sono in qualche modo simili all’arco presente nell’anello G di Saturno.
Fig. 17  Gli archi dell’anello Adams; sono visibili da sinistra a destra: Fraternité, Egalité, Liberté; è
anche visibile l’anello Le Verrier nella parte interna.
Gli archi sono strutture piuttosto stabili. Furono rilevati da terra durante delle
occultazioni stellari nel 1980, da Voyager 2 nel 1989 e dal telescopio Hubble Space e
da telescopi terrestri nel 1997-2005. I cambiamenti notati sono pochi, ma importanti.
La luminosità complessiva degli archi è diminuita dal 1986. L’anello Courage si è
spostato in avanti, mentre l’arco Liberté è quasi scomparso dal 2003.
5.3 Confinamento degli anelli
Si pensa che gli stretti anelli siano confinati dall’azione di satelliti
relativamente vicini. Galatea e Despina orbitano, per esempio, nella regione interna di
due stretti anelli, rispettivamente Adams e Le Verrier, ed evitano che il materiale
dell’anello cada a spirale verso Nettuno. Nessun satellite pastore è stato finora
35
osservato però nei bordi esterni dei due anelli, anche se satelliti con diametro di meno
di 12 km potrebbero facilmente passare inosservati. Quindi non si sa se esistono
satelliti pastori più piccoli in queste regioni o se sono in atto altri meccanismi di
confinamento.
Gli archi più luminosi entro Adams sono anche un enigma. In mancanza di un
meccanismo di confinamento tale materiale dovrebbe uniformemente espandersi
nell’anello in poco meno di un anno.
Essendo stabili, gli archi nell’anello devono ovviamente necessitare di un
meccanismo di confinamento longitudinale; o al contrario se sono instabili, gli archi
richiedono una creazione continua, un riempimento di concentrazioni locali di
materiale dell’anello.
Mentre si è visto chiaramente che gli archi Adams sono rimasti stabili
nell’intervallo degli ultimi cinque anni, nessuna delle ipotesi finora proposte è in
grado di spiegare la persistenza degli archi. Attualmente perciò non ci sono teorie in
grado di spiegare la presenza degli archi nell’anello, osservati nelle immagini della
sonda Voyager 2.
5.4 Proprietà delle particelle degli anelli
Gli anelli nettuniani contano una gran quantità di polveri dalle dimensioni
micrometriche con uno spessore ottico inferiore a 0.1 (Horn et al., 1990). Gli anelli di
Nettuno sono spettralmente rossi e sono costituiti da materiale estremamente scuro,
probabilmente composti organici processati dall’irraggiamento di particelle cariche
dalla magnetosfera nettuniana come nel caso di Urano.
Queste caratteristiche suggeriscono la presenza di particelle molto simili a
quelle delle lune interne di Nettuno e degli anelli di Urano. Rispetto a questi ultimi ci
sono però alcune importanti differenze. La principale è che la massa totale degli anelli
dei Nettuno è probabilmente 10 mila volte più piccola di quella degli anelli di Urano e
anche molti ordini di grandezza minore rispetto a quella del sistema di Saturno (Smith
et al., 1989). Inoltre, caratteristica non meno importante, l’abbondanza di polvere nel
sistema nettuniano è in assoluto la più elevata: circa due ordini di grandezza più
grande di quella della polvere presente nel sistema di Giove e di Saturno, mentre il
sistema di Urano è virtualmente privo di polvere.
36
La fonte di polvere negli anelli potrebbe essere il bombardamento da parte di
meteoroidi, come accadde anche per gli anelli di Giove. Tuttavia la quantità di
polvere all’interno degli anelli Adams e Le Verrier è di alcuni ordini di grandezza
maggiore di quella che potrebbe essere spiegata dal meccanismo di bombardamento
di meteoroidi. Perciò si sospetta che essa abbia origine da locali collisioni tra
particelle più grandi mai osservate presenti negli anelli. Questo meccanismo di
produzione attraverso collisioni interparticellari spiegherebbe la grande abbondanza
di polvere negli anelli di Nettuno.
37
6. Gli ipotetici anelli attorno a Marte ed alla Terra
Si ha ragione di credere che il fatto di possedere anelli circumplanetari non sia
una prerogativa dei pianeti giganti. Come abbiamo visto, questi anelli di polvere sono
sicuramente collegati a piccole lune la cui gravità superficiale, proprio a causa delle
minuscole dimensioni, è molto bassa. Per questo motivo le loro superfici, soggette al
continuo bombardamento da parte di meteoroidi e micrometeoroidi, perdono
materiale che può essere immesso su orbite quasi stabili intorno al pianeta per
l’azione combinata di diverse forze.
Così, dovunque sia presente un pianeta, come ad esempio Marte, attorno a cui
orbitano piccoli satelliti è alquanto probabile trovare anelli circumplanetari. D’altra
parte non si può escludere che in passato anche la Terra fosse stata temporaneamente
circondata da un anello originatosi da un catastrofico impatto sulla Luna. In questo
capitolo illustreremo brevemente le caratteristiche di questi due ipotetici anelli.
6.1 Anelli attorno a Marte
Attraversando l’orbita di Phobos, la stazione automatica sovietica Phobos 2 ha
registrato una forte diminuzione del campo magnetico interplanetario associata ad un
grande aumento della densità di plasma (Dubinin et al., 1990). D’altra parte la sonda
interplanetaria Pioneer 10 ha rilevato, in prossimità di Marte, un aumento della
frequenza di impatti dovuti a micrometeoroidi (Andreev e Belkovich, 1991).
Questi eventi potrebbero essere interpretati come un’evidenza indiretta del
fatto che Marte è probabilmente circondato da una o più regioni costituite da gas e
materiale solido che si origina dal degassamento interno e dal bombardamento
meteoritico dei suoi due satelliti (Soter, 1971).
Particelle di diverse dimensioni espulse verso lo spazio dalle superfici di
Phobos e Deimos, a causa degli impatti meteoritici, divengono soggette a varie forze
che causano il loro moto. Prima fra tutte l’attrazione gravitazionale di Marte,
perturbata da quella del Sole, degli altri pianeti e degli stessi Phobos e Deimos.
Esistono poi perturbazioni non gravitazionali dovute principalmente alla pressione di
radiazione solare, alle forze di Lorentz ed all’effetto Poynting-Robertson (Hamilton,
1996).
Integrando le equazioni del moto delle particelle di gas e polvere si trova che
queste potrebbero rimanere per qualche tempo in prossimità di Marte formando due
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fasce toroidali lungo le orbite di Phobos e di Deimos; in particolare la fascia di
Deimos dovrebbe essere geometricamente più spessa e più massiva di quella di
Phobos (Hamilton, 1996; Krivov e Hamilton, 1997).
La densità del gas e delle particelle presenti negli anelli dev’essere 106  107
volte più alta di quella del materiale interplanetario (in accordo con le osservazioni
del Pioneer 10).
A fronte di queste previsioni teoriche, le analisi delle immagini riprese dalla
camera dell’orbiter Viking 1 non hanno mostrato alcuna evidenza della presenza di
anelli circummarziani (Duxbury e Ocampo, 1988). Più precisamente queste analisi
hanno indicato che, se gli anelli esistono, allora il rapporto I/F tra l’intensità della luce
diffusa dalle particelle degli anelli e quella della luce solare incidente deve essere
minore di 3  105 (Duxbury e Ocampo, 1988), ossia gli anelli devono avere un potere
riflettente molto basso.
Nonostante questo risultato negativo, la ricerca di particelle in orbita
circummarziana è stata ritenuta sufficientemente interessante da aggiungere al
payload della missione spaziale sovietica Mars 96 un fotometro molto sensibile,
chiamato torometro, atto ad individuare i presunti anelli marziani misurando la
radiazione solare da loro diffusa nel range spettrale 350 – 1000 nm (Formisano et al.,
1996). A causa delle sue caratteristiche tecniche, il torometro era in grado di rilevare
l’anello, se questo avesse avuto un potere riflettente I/F  109 (Jurewicz et al., 1995).
Usando un modello di trasporto radiativo, Orofino et al. (1998) hanno
investigato la distribuzione angolare ed i valori assoluti dell’intensità diffusa dai grani
dei presunti anelli marziani, trovando, nelle ipotesi del modello, I/F  107. Ciò
innanzi tutto spiegava il motivo per cui gli anelli circummarziani non potevano essere
individuati dalle camere a bordo dell’orbiter Viking 1 (in quanto I/F  105); ed
inoltre indicava che gli anelli avrebbero potuto essere facilmente individuati dal
torometro.
Sfortunatamente la missione della Mars 96 è fallita subito dopo il lancio, ma i
risultati sopra riportati hanno comunque mostrato che le prospettive di future ricerche
fotometriche dei presunti anelli di Marte rimangono più che buone, anche se nessuna
indagine di questo tipo è stata effettuata dalle sonde che hanno raggiunto Marte dal
1996 ad oggi.
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6.2 Antico anello attorno alla Terra?
Un anello simile a quelli odierni di Saturno, può essere stato patrimonio della
Terra circa 34 milioni di anni fa.
L’evento che fa pensare all’esistenza di un possibile anello attorno alla Terra è
legato ad un disastro ecologico dovuto a cambiamenti climatici associati alla
diminuzione della temperatura invernale alla fine dell’Eocene (55-34 milioni d’anni
fa). Tali cambiamenti hanno portato alla scomparsa in quel periodo di diverse specie
di piante da foresta (Wolfe, 1978) e di alcune specie di protozoi, chiamati radiolaria
(Glass e Zwart, 1977) e, secondo O’Keefe (1980), sarebbero dovuti alla presenza di
un anello attorno alla Terra, con un raggio interno di circa 1.5 RT (raggi terrestri) ed
un raggio esterno di 2.5 RT (all’interno appunto del limite di Roche).
L’anello, composto di tectiti (meteoriti vitree), probabilmente scagliate via
dalla Luna a causa di un impatto asteroidale, sarebbe rimasto attorno al nostro pianeta
per un minimo di un milione di anni, con ogni probabilità per tre o quattro, e la sua
ombra sulla superficie terrestre avrebbe provocato drammatici sconvolgimenti sulle
zone temperate in quel periodo. Le tectiti lunari rinvenute sul nostro pianeta, hanno
lasciato un vero e proprio sentiero che circonda metà della Terra. O’Keefe (1980)
suggerisce l’ipotesi che le tectiti che non hanno colpito la Terra le si disposero attorno
formando un vero e proprio anello, bloccando i raggi del Sole sull’emisfero
settentrionale in inverno, e provocando un abbassamento della temperatura media di
venti gradi centigradi (v. fig. 18).
La variazione della temperatura interessò tuttavia solo la stagione invernale, e
non la stagione estiva in quanto durante questa stagione i raggi solari diventavano
perpendicolari all’equatore e paralleli al piano dell’anello (v. fig. 18). Si noti che
l’ipotesi dell’anello è l’unica che dà conto dell’abbassamento delle sole temperature
invernali come deducibile dall’analisi dei dati paleobotanici.
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Fig. 18  Orientamento dell’ipotetico anello circumterrestre rispetto ai raggi solari in diversi periodi
dell’anno: si noti la posizione dell’ombra dell’anello sull’emisfero settentrionale durante l’inverno
boreale.
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7. Conclusioni
Gli anelli dei diversi pianeti possono essere confrontati tra loro allo scopo di
individuare caratteristiche in comune che permetterebbero di ipotizzare che una simile
storia evolutiva.
Riassumendo quanto sopra discusso si può dire che, anche lasciando da parte
gli ipotetici anelli di Marte e l’ancor più ipotetico ed effimero anello della Terra, la
presenza sistematica di anelli attorno ai pianeti giganti non deve assolutamente far
credere che si tratti di un processo-tipo, unico per tutti i sistemi. Ciascun sistema
possiede, infatti, caratteristiche sue proprie ed essi sono ben lontani dall’essere
confrontabili per quanto riguarda la loro natura.
7.1 Analisi comparativa dei vari sistemi di anelli
Gli anelli di Saturno, costituiti da ghiaccio d’acqua, sono molto estesi e
complessi. Quelli di Urano sono sottili strutture di natura carbonacea, costituite da
corpi macroscopici. Gli anelli di Nettuno sono molto tenui e composti da particelle,
pure carbonacee, ma molto più piccole di quelle presenti vicino Urano. Gli anelli di
Giove sono strutture molto più semplici delle precedenti costituite prevalentemente da
piccoli grani silicatici che risentono del forte campo magnetico del pianeta.
Gli anelli di Saturno sono quelli che differiscono maggiormente da tutti gli
altri sistemi di anelli, come si vede in tab. 5. Essi costituiscono infatti il sistema più
massivo (3  1019 g), sono molto piatti (a parte l’anello E), e le particelle che lo
costituiscono sono composte principalmente di ghiaccio, molto diverse quindi, dalle
polveri che caratterizzano gli altri sistemi. Proprio a causa della presenza delle
particelle di ghiaccio relativamente puro (dotate di alta albedo), quello di Saturno è
anche il sistema di anelli più luminoso.
Il sistema di anelli di Urano è, invece, molto diverso sia dai deboli anelli
polverosi di Giove, sia dagli ampi, complessi e luminosi anelli di Saturno. Le
principali differenze sono costituite dalla bassa albedo e dalla virtuale mancanza di
polvere. Se consideriamo poi il sistema di anelli nettuniano, esso è molto più simile a
quello di Urano che agli altri sistemi di anelli, anche se, rispetto a quello di Urano,
risulta essere ancora più scuro e molto meno massivo ma, in compenso, molto più
ricco di polvere; come gli anelli di Urano poi, anche gli anelli di Nettuno sono
posizionati ad una distanza maggiore dal pianeta rispetto agli anelli degli altri pianeti.
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[Spazio vuoto per la Tab. 5 (orizzontale)]
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7.2 Origine e dinamica degli anelli
Vengono avanzate tre ipotesi per spiegare la presenza di anelli
circumplanetari. La prima ipotesi è che gli anelli siano prodotti dal bombardamento di
meteoroidi e micrometeoroidi sulla superficie di piccoli satelliti. In alternativa si
potrebbe trattare di uno o più oggetti (sia satelliti che corpi esterni) che hanno
commesso l’imprudenza di infrangere il limite di Roche e che pertanto sono stati
disgregati dalle forze mareali. Infine gli anelli potrebbero essere residui del processo
di formazione del sistema di satelliti che non hanno potuto dare luogo ad un corpo
unico, di nuovo a causa delle forze mareali. Quest’ultima possibilità è oggi
considerata una buona spiegazione della presenza di anelli intorno a Saturno, una
parte dei quali può anche essere dovuta alla seconda alternativa. La prima ipotesi è
quella più probabile per tutti gli anelli (se non altro per la loro componente micronica
e submicronica).
Relativamente alla struttura dinamica degli anelli circumplanetari, occorre
subito sottolineare che essa è essenzialmente condizionata dalla presenza di satelliti,
che da un lato possono produrre gli anelli a causa del bombardamento meteoritico cui
sono sottoposti (lasciando una scia di detriti lungo la loro orbita); dall’altro
contribuiscono al confinamento radiale della struttura (satelliti pastori). E’ anche
interessante osservare che alcune caratteristiche degli anelli, come ad esempio la
presenza dei cosiddetti archi intorno Nettuno, sembrano indicare che si tratta di
strutture la cui esistenza è forse solo temporanea (qualche milione di anni).
Bibliografia
Per la bibliografia di tutti gli altri articoli citati in questa dispensa si veda:
Leo, C.: 2009, Gli anelli del Sistema Solare, Tesi di Laurea Triennale, Università del
Salento.
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