Nati dalla guerra e macchine da guerra?

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Sonderdrucke aus der Albert-Ludwigs-Universität Freiburg
JÖRN LEONHARD
Nati dalla guerra e macchine da guerra?
Nazione e stato nazionale nell’età del bellicismo fino al 1871
Originalbeitrag erschienen in:
Ricerche di storia politica : N.S. 9 (2006), S. 31-52
ilo
ANNO IX, NUOVA SERIE
Saggi
Jiirn Leonhard
Nati dalla guerra e macchine da guerra?
Nazione e stato nazionale nell'età del
bellicismo fino al 1871
War Babes and War Machines? Nations and Nation States in the Era
of Bellicism up to 1871
The work analyses the specific characteristics of the different interpretations of war
and their relevance in determining the respective national models of reference in
France, Germany, Great Britain and United States, in the years between 1854 and
1871, taking account of the factors, in the various contexts, which superposed the
experience of war with conceptions of the nation. Briefly reviewing the main conflicts
of the period in question (Crimean war, Indian Mutiny, conflicts arising from the processes of Italian and German unification, and the American Civil War), a comparison
among the different interpretations brings the author to conclude, in primis, that in
alt societies there was a strong dynamic nexus linking war experiences and national
conceptions. It is further noted, from the structural viewpoint, how war promoted the
intensification of contacts, the spreading of ideas and of means of communication.
The wars from 1914 to 1945 were the first to implicate in their ideologica' projections
the maximum affirmation of the idea of national integration, as well as the end of
the nation states. It was only with there conflicts that Europe finally underwent the
delegitimation of the classic model of interpretation of the nation and of the bellicose
outlook inherent within it.
Introduzione. Bellicismo e nazione
1.
«La specifica distinzione politica» — scrive Carl Schmitt nel. 1927 — «[...] è la
distinzione di amico (Freund) e nemico (Feind)». Essa conferisce alle «azioni e motivazioni degli
uomini il. loro senso politico»; rende anche possibile quella determinazione concettuale senza la
quale non potrebbero esserci criteri nelle forme, nei processi e nei contenuti della politica. Tutti
i concetti e le rappresentazioni politiche, continua Schmitt, ricorrono a questa contrapposizione,
la cui «conseguenza ultima» si manifesta «nella guerra o nella rivoluzione». Un mondo in cui si
riuscisse ad accantonare definitivamente la «possibilità di una guerra [...] sarebbe un mondo
senza più la distinzione fra amico e nemico e di conseguenza un mondo senza politica» 1. La
i C. Schmitt, Il concetto di «politico» (1927 e 1932), in Id., Le categorie del «politico»,
Bologna, 1972, pp. 108 e 118. Si vedano sul tema P. Pasquino, Bemerkungen zum «!Criterium des Politischen»
bei Cari Schmitt, in «Der Staat», 25 (1986), pp. 385-398; Ch. Meier, Zu Carl Schmitts Begriffsbildung - Das Politische und der Nomos, in H. Quaritsch (ed.), Complexio Oppositorum. Uber Cari Schmitt, Berlin, 1998, pp. 537556; E.W. Bóckenfórde, Der Begriff des Politischen als Schliissel zum staatsrechtlichen Werk Cari Schmitts, ivi,
pp. 283-299; E. Vollrath, Wie ist Cari Schmitt an seinen Begnff des Politischen gekommen?, in «Zeitschrift fiir
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I Ricerche di Storia Politica 1/2006
tellurica polemica del «politico» elaborata da Schmitt, ovvero il. carattere fondamentale dell'antagonismo tra La rappresentazione di sé e L'immagine del. nemico e La sua manifestazione nella
anche fatto da sfondo a un lungo processo durante il. quale sono
e nella
ri,
guerra
ha voluzione
andati
formandosi le nazioni, gli Stati e le ideologie nazionali. Non è un caso che, nel punto più
a
alto diquesto sviluppo, tra gli anni Cinquanta e Settanta dell'Ottocento, gli osservatori contemoranei più accorti abbiano tentato di comprendere questo nesso. Nelle sue Meditazioni sulla
p
Storia universale, per esempio, lo storico svizzero Jacob Burckhardt parla della guerra come «crisi
di popoli» e come «momento necessario di una più alta evoluzione». Egli si riferiva soprattutto
al fatto che, nel rapporto tra i popoli, la guerra costituiva il terreno di prova della forza appartenente a ciascuna nazione: un popolo «impara a conoscere la sua piena energia nazionale solo in
guerra, nel combattimento contro altri popoli, poiché solo allora essa è realmente presente. Le
guerre», pertanto, purificano «l'atmosfera al pari delle bufere temporalesche»; esse sono «toniche
per i nervi, scuotitrici di animi, produttrici di quelle virtù eroiche su cui originariamente furono
fondati gli Stati»2.
Ma che cosa ha autorizzato lo Stato nazionale a mandare in guerra milioni di
cittadini in suo nome e sotto il costante richiamo al criterio di legittimazione della nazione, a
spingerli a uccidere milioni di persone e a diventare a loro volta milioni di vittime? Questa esperienza fondamentale del breve XX secolo, dal 1914 al 1989, solleva la questione dell'origine e della
trasformazione dei criteri di Legittimazione nati dalla costellazione di guerra e nazione. Non vi è
alcun dubbio circa il nesso decisivo di guerra, evoluzione dello Stato e formazione della nazione:
il. moderno concetto di nazione è stato anche un parto della guerra. Come la guerra ha notevolmente determinato il processo di formazione dello Stato nella prima età moderna, così essa è
stata altrettanto essenziale per i moderni processi di formazione delle nazioni e per l'affermarsi
dei nuovi Stati nazionali. In tutto questo, un ruolo fondamentale è svolto dal bellicismo, inteso
come dottrina coeva di legittimazione della guerra, come tentativo d'interpretare le esperienze
collettive di guerra riconducendole a una connessione di senso. Nel bellicismo confluiscono concezioni detto Stato, della società e delta formazione della comunità che si riferiscono alla guerra
come terreno comune d'esperienza. Come processo di lunga durata, il bellicismo comprende l'elaborazione delle cesure dell'esperienza segnate dalla guerra, che vanno dal XVII al XX secolo 3 . Esso
Politik», XXXVI (1989), pp. 151-168; H. Meier, Cari Schmitt, Leo Strauss und der «Begnff des Politischen», erweiterte Ausgabe, Stuttgart, 1998, e soprattutto W. Nippet, «Krieg ais Erscheinungsform der Feindschaft», in C.
Schmitt, Der Begnff des Politischen. Ein kooperativer,
Kommentar, a cura di R:Mehring, Berlin, 2003, pp. 61-70.
2 J. Burckhardt, Sullo studio della storia. Lezioni e conferenze (1868-1873), a cura di M.
Ghelardi, Torino, 1998, pp. 165 ss.
3 Cfr. J. Kunisch e H. Miinkler (a cura di), Die Wiedergeburt des Krieges aus dem Geist der
Revolution. Studien zum bellizistischen Diskurs des ausgehenden 18. und beginnenden 19. Jahrhunderts, Berlin, 1999 e da ultimo H. Miinkler, Ober den Krieg. Stationen der Kriegsgeschichte im Spiegel ihrer theoretischen
Reflexion, Weilerswist, 2003 2, pp. 53 ss. e 75 ss.; sul punto di vista tedesco si veda J. Echternkamp e S.O.
Millter (a cura di), Die Politik der Nation. Deutscher Nationalismus in Krieg und Krisen, Mùnchen, 2002; sullo
stato complessivo della ricerca su questi temi si veda E. Wolfrum, Krieg und Frieden in der Neuzeit. Vom Westfdlischen Frieden bis zum Zweiten Weltkrieg, Darmstadt, 2003, pp. 49 ss., 66 ss. e 95 ss; sulla Germania fino
al 1815 cfr. soprattutto K. Hagemann, «Miinnlicher Muth und Teutsche Ehre». Nation, Mia& und Geschichte
zur Zeit der Antinapoleonischen Kriege Preussens, Paderborn, 2002.
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Jiirn Leonhard
è stato causato dalle guerre civili di religione, originatesi per motivi politici, sociali e non da
ultimo confessionali successive alla Riforma e alla rottura dell'unità religiosa ed ecclesiastica, e
dalla correlata interpretazione ideologica delle ragioni della guerra, che mirava a un'identificazione emotiva con la causa giudicata «giusta», «vera» o «migliore dal punto di vista morale» e che,
quindi, legittimava un rafforzamento dei mezzi bellici di potere.
Da questa esperienza di guerra civile, con il. dispiegamento di una violenza
inaudita, è nato il moderno diritto di guerra e internazionale, che dopo i grandi trattati di pace
di innster, Osnabffick e Utrecht tra il 1648 e il 1713 ha tentato di ricondurre il paradigma della
guerra civile all'interno delle coordinate ordinative di una guerra limitata e riservata all'iniziativa
degli Stati, sottraendo così la guerra all'ideologia e distinguendo la figura del nemico da quella
del criminale attraverso la formula dello iustus hostis 4 . Da questo punto di vista, il superamento
della guerra civile nel diritto di guerra e nel diritto internazionale, una nuova concezione della
sovranità statale, la separazione tra politica interna e politica estera e il precetto di un equilibrio
tra le potenze continentali europee formavano un'unità complessa, che fu messa per la prima
volta in discussione dalla rinascita del paradigma della guerra civile nel tardo Settecento e dal
nuovo binomio di guerra e nazione. Fu questo l'inizio di una prima fase di sollevazione bellicista,
che propriamente va dall'inizio delle guerre rivoluzionarie francesi nel 1792 alla fine delle guerre
napoleoniche nel 1815. Durante questa fase, si realizza, per la prima volta apartire dalla Francia,
la compenetrazione del concetto di nazione sovrana con le nuove esperienze belliche. Queste
tendenze generali di sviluppo non ci dicono però nulla riguardo alla specificità, alle conseguenze
profonde e alle ricadute che la percezione della guerra ebbe nelle singole società, sulla base degli
spazi d'esperienza caratteristici di ciascuna di esse e in relazione alla proiezione delle rispettive
aspettative. Solo la comparazione storica può chiarire queste differenze'. A partire da tali presupposti, il presente lavoro affronta il tema della specificità delle diverse interpretazioni della guerra
e della loro rilevanza nel determinare i rispettivi modelli nazionali di riferimento in Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti, tenendo conto dei fattori in cui, in questi differenti contesti,
si sovrappongono esperienze di guerra e concezioni della nazione'.
4 Cfr. C. Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello «jus publicum europaeum» (1950), Milano, 1991, pp. 167 ss; sull'interpretazione schmittiana della guerra si veda anche Id.,
Die Wendung zum diskriminierenden Kriegsbegriff (1938), Berlin, 1988.
5 Cfr. D. Langewiesche (a cura di), Revolution und Krieg. Zur Dynamik historischen Wandels
seit dem 18. Jahrhundert, Paderborn, 1989; i contributi di U. Frevert, R. Jaun, H. Strachan, S. Rirster e D.
Beyrau nella prima sezione intitolata Milittir und Nationsbildung, in U. Frevert (a cura di), Milittir und Gesellschaft im 19. und 20. Jahrhundert, Stuttgart, 1997, pp. 17-142 e, per la Germania, i contributi di G. Schmidt,
H. Cari. e N. Buschmann in D. Langewiesche e G. Schmidt (a cura di), F5derative Nation. Deutschlandkonzepte
von der Reformation bis zum Ersten Weltkrieg, Miinchen, 2000, pp. 33-111; si veda anche, in prospettiva comparata, D. Beyrau (a cura di), Der Krieg in religkisen und nationalen Deutungen der Neuzeit, Eibingen, 2001;
D. Moran e A. Waldron (a cura di), The People in Arms: Militaty Myth and National Mobilization since the French
Revolution, Cambridge, 2003; N. Buschmann e D. Langewiesche (a cura di), Der Krieg in den Griindungsmythen
europtiischer Nationen und der Usa, Frankfurt a.M., 2004 e H. Cari, H.-H. Kortlim, D. Langewiesche e F. Lenger
(a cura di), Kriegsniederlagen. Effahrung — Erinnerung, Berlin, 2004.
6 Cfr. i lavori precedenti dell'autore su questo argomento: J. Leonhard, Vom Nationalkrieg zum Kriegsnationatismus — Projektion und Grenze nationaler Integrationsvorstellungen in Deutschland,
Grossbritannien und den Vereinigten Staaten im Ersten Weltkrieg, in U. v. Hirschhausen e J. Leonhard (a
cura di), Nationalismen in Europa. West- und Osteuropa im Vergleich, Góttingen, 2001, pp. 204-240; Id.,
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Nati dalla guerra e macchine da guerra?
La fase di rivoluzione bellicista tra il 1854 e il 1871:
Linee di sviluppo e determinanti storiche a confronto
2.
I conflitti bellici tra il. 1854 e il 1871 — la guerra di Crimea nel 1854 e la
sollevazione indiana contro la Gran Bretagna nel. 1857, le guerre per la formazione degli Stati
nazionali in Italia e in Germania tra il 1859 e il 1871, la guerra civile americana del 1861-1865
— si distinguono da quelli del passato non solo per le Loro motivazioni, interpretazioni e forme
di stampo nazionale, ma anche essenzialmente per Le modalità nuove con cui è avvenuta la Loro
comunicazione. Le trasformazioni degli spazi di comunicazione e delle strategie comunicative
hanno infatti avuto conseguenze di ampia portata sul rapporto tra guerra e nazione — si pensi alL'impiego di corrispondenti, di guerra da parte dei grandi giornali, allo sviluppo della fotografia di
guerra e alla non meno rilevante diffusione e fruizione di massa delle versioni della guerra fornite
dai giornali'. Diffusione ed espansione dei media, in connessione con le accelerate trasformazioni
dell'industria, fecero delle guerre di questi decenni degli eventi pubblici in misura molto maggiore
di quanto si fosse verificato in passato, rendendole per molti aspetti eventi di cui si poteva per
la prima volta fare esperienza a livello nazionale'.
3.
Il caso delta Francia: la retorica bellicista e La storia
francese tra Secondo impero e Terza repubblica
In Francia, il bonapartismo del nipote di Napoleone I — Napoleone III, giunto
al potere nel 1851 con un colpo di Stato contro la repubblica — elaborò una caratteristica miscela
di retoriche Legittimanti, tra le quali, oltre alla professione di fede nei valori borghese-moderati
della rivoluzione, quale dimostrazione della missione storica di progresso della Francia, anche
una marcata disposizione bellicista. Il che condusse a un alternarsi estremamente contraddittorio di autointerpretazioni: per un verso, Napoleone III continuava a rassicurare i francesi circa
la politica di pace del proprio regime, simboleggiata dalla formula L'Empire, c'est la paix, al
fine di persuadere la borghesia possidente dei vantaggi dell'impero e della garanzia per l'ordine
Nationalisierung des Krieges und Bellizierung der Nation: Die Diskussion um Volks-und Nationalkrieg in
Deutschland, Grossbritannien und den Vereinigten Staaten seit den 1860er Jahren, in Ch. Jansen (a cura
di), Der Biirger als Soldat. Die Militarisierung europdischer Gesellschaften im langen 19. Jahrhundert: ein
internationaler Vergleich, Essen, 2004, pp. 83-105; J. Leonhard, Zivilittit und Gewalt. Zivilgesellschaft,
Kriegserfahrungen und Nation, in D. Gosewinkel e 5. Reichardt (a cura di), Ambivalenzen der Zivilgesellschaft. Gegenbegriffe, Gewalt und Macht. Verdffentlichung der Arbeitsgruppe Zivilgesellscahft: historischsozialwissenschaftliche Perspektiven des Forschungsschwerpunkts Zivilgesellschaft, Konflikte und Demokratie
des Wissenschaftszentrums Berlin fOr Sozialforschung (Discussion Paper Nr. SP IV 2004-501), Berlin, 2004,
pp. 26-41.
7 Cfr. U. Kelier, Authentiziteit und Schaustellung. Die Krimkrieg als erster Medienkrieg, in A.
Holzer (a cura di), Mit dem Kamera bewaffnet. Krieg und Fotografie, Marburg, 2003.
8 Cfr. per la Germania i fondamentali lavori di N. Buschmann, Einkreisung und Waffenbruderschaft. Die òffentliche Deutung von Krieg und Nation in Deutschland 1850-1871, Góttingen, 2003 e
di E Bécker, Bilder von Krieg und Nation. Die Einigungskriege in der biirgerlichen Offentlichkeit Deutschlands
1864-1913, Miinchen, 2001.
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Tòrn Leonhard
I
politico e sociale da esso rappresentata, di fronte al. rischio di una ripresa della guerra civile'.
Per un altro verso, gli anni Cinquanta e Sessanta manifestano anche una spiccata propensione
all'uso della forza verso l'esterno, con cui l'imperatore intendeva ancora una volta sottolineare
la missione storica della Francia quale avanguardia del progresso politico e sociale dell'umanità
— elaborazione dell'eredità della rivoluzione del. 1789. A ciò serviva, soprattutto, il richiamo
programmatico all'eredità del bonapartismo, ossia alla tradizione della grandeur della nazione
francese, manifestatasi in primo luogo nelle guerre del. Primo impero. La continua reminiscenza
di queste guerre serviva, sul terreno di un'oculata politica della storia, a inserire L'impero all'interno di una tradizione nazionale di grandezza imperiale e di idee guida di progresso. Nessun
autore contemporaneo ha sottoposto con così grande acutezza analitica la politica della storia
di Napoleone III alla propria critica dell'ideologia quanto Karl Marx. Per quest'ultimo, le guerre
di Napoleone III operavano come prosecuzione del colpo di Stato del dicembre 1851 sul terreno della politica internazionale: «Deve, per così dire, tornare sempre a recitare le giornate di
dicembre, solo che la scena di distruzione si sposta dai Boulevards parigini alle pianure della
Lombardia o al Chersoneo in Crimea; e i nani che discendono dalla grande rivoluzione, invece di
uccidere i compatrioti, sono usati per uccidere gente di favella straniera» 1 °. In forme di volta in
volta specifiche, la strumentalizzazione dell'esperienza bellica si mostrava nella guerra di Crimea
e ancor più chiaramente, nella guerra italiana del 1859. Già nei. 1854-55, però, si evidenziarono
anche le linee di conflitto interne alla società, i concorrenti progetti nazionali di cattolici e
repubblicani, che interpretavano in modo affatto differente la guerra contro la Russia. Se per
i cattolici si trattava della rottura storica con i principi dell'ateismo rivoluzionario, i repubblicani consideravano, invece, la guerra come strumento della lotta di liberazione politica, di
cui la nazione francese si poneva all'avanguardia a vantaggio di altre nazioni oppresse 11 . Con
la partecipazione della Francia al conflitto italiano contro l'Austria del 1859, la funzione di ricompattamento svolta all'interno dalla guerra si articolò in modo ancor più evidente di quanto
era accaduto nel 1854-55. L'autointerpretazione della Francia come centro culturale del mondo
romanico e la sua missione d'intervento a fianco delle nazionalità oppresse, nella loro lotta per
l'autodeterminazione nazionale, divennero qui decisive, occultando, almeno per un certo tempo,
le tensioni ideologiche latenti all'interno della società francese.".
9 Citazione tratta da Tavernier, Deuxième mémoire adressé au gouvernement de S.M. l'Empereur Napoléon III sur l'expédition de Crimée et la conduite de la guerre de l'Orient, par un officier général,
Genève, 1855, p. 66.
10 K. Marx, Il disarmo francese (1859), in K. Marx e F. Engels, Opere, vol. XIII, Roma,
1983, pp. 449-452, p. 452.
11 Cfr. Louis Veuillot, La guerre et l'homme de guerre, Paris, 1855, pp. 63 s.; Joseph-Marie
Comte Portalis, De la Guerre considérée dans ses rapports avec les destinées du genre humain, les droits des
nations et la nature humaine, Paris, 1856, pp. 45 s.; Eugène Jouve, Guerre d'Orient. Voyage à la suite des
armées alliées en Turquie, en Valachie et en Crimée, 2 voli., Paris, 1855, qui vol. I, premessa, p. VII; Eugène
Woestyn, Guerre d'Orient. Les victoires et conquétes des armées alliées, 2 voli., Paris, 1856-57.
12 Cfr. La Guéronnière, L'Empereur Napoléon III et l'Italie, Paris, 1859; Victor Auguste
Comte du Hamel, L'Italie, l'Austriche et la guerre, Paris, 1859; Etienne Vacherot, Démocratie, Paris, 1860, in
particolare pp. 311-321; cfr. Georges Goyau, L'Idée de patrie et l'humanitarisme. Essai d'histoire frangiise
1866-1901, Paris, 1902, p. 22.
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Nati dalla guerra e macchine da guerra?
La guerra contro la Prussia nel 1870 agì, da questo punto di vista, come un
rinnovato test di legittimazione, che lo stesso regime bonapartista aveva promosso a partire dagli
anni Cinquanta. Proprio dal riferimento alla tradizione rivoluzionario-bonapartista delle stilizzate guerre di liberazione della nazione francese, l'impero aveva attinto un'essenziale riserva di
legittimazione. Nel momento della sconfitta militare questa forma di bellicismo si ritorse contro
lo stesso impero, conducendo in brevissimo tempo alla sua radicale delegittimazione. A questo
capovolgimento rivoluzionario, proseguito e intensificatosi con L'insurrezione della Comune di
Parigi, contribuì in misura determinante il fatto che nella guerra contro il. nemico esterno si era
radicalizzato un criterio politico di efficienza. Il modello bonapartista di legittimazione, quella
caratteristica miscela di fattori autoritari e pseudo-democratici, di adesione alla tradizione rivoluzionaria e a quella bellicista, si fondava sulla capacità di alimentare continuamente uno scenario
nazionale di crisi e di salvezza. Il_ richiamo al. paradigma politico affermatosi il. 2 dicembre consentì a Napoleone III di dar prova di sé quale guida carismatica nel_ momento della crisi nazionale.
Poiché, però, egli si presentava anche come simbolo vivente di una politica controrivoluzionaria
dell'ordine, il. ruolo di guida nazionale poté essere attualizzato solo sul. terreno della politica estera, come stilizzazione della missione storico-universale della nazione. Questo fece delle guerre
francesi, sia di quella in Crimea del 1854 sia di quelle del. 1859 in Italia e del. 1861 in Messico,
dei punti di riferimento di straordinaria importanza per la legittimazione del. Secondo impero. Se
le conseguenze delle guerre del 1854-55 e del 1859 avevano ancora operato in dirèzione della
stabilizzazione del. sistema, attribuendo al. regime un accresciuto prestigio in termini nazionali, la
sconfitta dell'esercito imperiale a Sedan condusse, invece, al collasso del regime. Anche in questo
caso, per parafrasare Marx, non era da sottovalutare l'elemento di tragica imitazione nel rapporto
tra Napoleone III e Napoleone I. Con la sconfitta di Sedan, così com'era accaduto con quella di
Waterloo, si erano esaurite tutte le residue riserve di legittimazione. A differenza di quanto era
accaduto a suo zio, però, già la prima sconfitta condusse Napoleone III al crollo. Nel. momento
della catastrofe militare, la legittimità bellicista si era rivolta contro l'imperatore stesso13.
La catastrofe militare della Francia fu anche l'occasione per il sorgere di contrastanti progetti nazionali; la guerra portò alla luce le stratificazioni storico-temporali delle
concezioni della nazione ideologicamente polarizzate dal 1789. Questo aspetto è di particolare
importanza, perché soprattutto l'interpretazione repubblicana della guerra ha permesso, su questo terreno, l'appropriazione della sconfitta. Nella misura in cui la catastrofe non era interpretata
come sconfitta della nazione, ma solo come necessaria disfatta dell'aborrito dispotismo napoleonico, si poteva riempire il vuoto di senso sorto con la rovina di Sedan mediante il progetto di una
guerra di popolo repubblicana che avrebbe preso il posto della guerra monarchica di Napoleone
III. In questo senso, nell'agosto del 1870, Victor Hugo poteva distinguere tra la nazione francese
e l'odiato impero: «Je vois en méme temps le meilleur et le pire; / Noir tableau! / Car la France
13 Cfr. A. Plessis, The Rise and Fall of the Second Empire 1852-1871 (ed. franc. 1979),
Cambridge, 1987, pp. 168 ss.; S. Audoin-Rouzeau, 1870. La France dans la guerre, Paris, 1989; F. Roth, La
Guerre de 1870, Paris, 1990 e M. Steinbach, Abgrund Metz. Kriegserfahrung, Belagerungsalltag und nazionale
Erziehung im Schatten einer Festung 1870/71, Miinchen, 2002.
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I
Jiirn Leonhard
mérite Austerlitz, et L'Empire / Waterloo» 14 . La distinzione tra empire e nation faceva della guerre
républicaine contro gli invasori tedeschi un dovere patriottico e, nello stesso tempo, permetteva
di riferirsi, nel momento della crisi esistenziale, al. modello del 1792, ossia all'inizio della prima
guerra rivoluzionaria della sovrana nazione francese. La nazione veniva, così, sacralizzata all'insegna della défense repubblicana, ma in nessun modo secondo un canone interpretativo di matrice
cristiana. L'adozione di un codice religioso corrispondeva, piuttosto, a una fondazione intramondana del senso tramite la nazione in guerra, che poteva esigere il più alto sacrificio e promettere
la vera redenzione. Tutto ciò conferiva alla sovrapposizione di minaccia esterna e guerra civile
il suo carattere assolutamente peculiare. Mentre, però, l'ideale di una generale guerra di popolo
contro le truppe tedesche, rappresentato dal gouvernement de la défense sotto Léon Gambetta,
rimase pura teoria, la prospettiva della guerra civile divenne realtà sanguinosissima. Guerra, nazione e scenario di guerra civile si sovrapposero ancora una volta, come già era accaduto negli
anni Novanta del Settecento15.
Con l'insurrezione della Comune parigina il paradigma repubblicano della guerre
civile di tutti gli oppressi contro gli oppressori, modellato sull'esperienza del giugno 1848, assurse
a guerra di classe. Guerra rivoluzionaria di popolo e bellicismo repubblicano procedettero di pari
passo indirizzandosi subito contro i nemici interni ed esterni della società francese. Nell'autorappresentazione degli insorti parigini, era decisivo il collegamento tra disponibilità all'uso della
violenza e al sacrificio, da un lato, e definizione della nazione sovrana secondo il modello del
radicalismo repubblicano, dall'altro. Il risultato fu una miscela di fattori interpretativi bellicisti
e partecipativi che contribuivano a determinare la nazione in senso democratico: solo la morte
per la patria era la prova della sua sovranità. Nel proclama del 28 marzo 1871, con cui il Comité
centra( de la féderation de la garde nationale trasferiva il suo potere alla Comune appena eletta,
ci si riferiva con pathos, di fronte al governo di Versailles, alla disponibilità del popolo sovrano
a sacrificarsi. Si trattava di uno «spectacle grandiose d'un peuple reprenant sa souveraineté et,
sublime ambitieux, le faisant en criant ces mots: Mourir pour la patrie!»". L'autointerpretazione
della Comune di Parigi, nello spirito di un bellicismo rivoluzionario, rappresentò l'ultimo, serio
tentativo di riferirsi al paradigma della guerra civile rivoluzionaria e internazionalizzabile, affermatosi originariamente negli anni Novanta del Settecento. La sua diffusione nel 1871 si spiega
con la situazione di crisi esistenziale in cui la Francia era precipitata in seguito alla sconfitta
subita dalla Prussia. La sanguinosa repressione dell'insurrezione da parte del governo provvisorio
di Versailles mostrava, d'altro canto, quanto grande fosse l'esigenza d'impedire che la guerra
civile si radicalizzasse tanto da produrre una destabilizzazione complessiva del quadro politico,
sia all'interno sia all'esterno dei confini della Francia. Contro il paradigma dell'universalizzazione
della guerra civile, ci si appellò così all'ideale della guerra limitata, secondo il quale era possibile
14 v. Hugo, Les Chatiments, édition complète illustrée, Paris [s.d.], p. VII; cfr. già lo scritto
di Hugo rivolto ai messicani che combattevano contro le truppe francesi in Id., Actes et paroles: Pendant
l'exil, Paris, 1862-70, vol. II, pp. 47 s.
15 Cfr. J. Favre, Gouvernement de la défense nationale du 30 juin au 31 ottobre 1870,
Paris, 1871, p. 384; si veda Goyau, L'Idée, cit., pp. 128, 133, 139 e 206 s.
16 Ré-impression du Journal officiel de la Commune de Paris, 30 marzo 1871, p. 101.
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Nati dalla guerra e macchine da guerra?
evitare la guerre civile e la sua generalizzazione ponendo un confine tra l'interno e l'esterno di
uno Stato.
In nessun'altra società si manifestò così aggressivamente il. nesso tra nazione,
guerra e rivoluzione come in quella francese. Da questo punto di vista, le situazioni storiche del.
1870-71 e del. 1848-51 si riconnettono a quella del. 1789-92, e ciò spiega l'eccesso di violenza da
ogni parte. La profonda polarizzazione ideologica dei progetti nazionali dei repubblicani radicali
e del. campo borghese-conservatore, durata ben oltre il 1871, diventa anch'essa comprensibile a
partire da questa costellazione. Se prerogativa dei repubblicani rimaneva la positiva appropriazione della sconfitta come liberazione dal. giogo del bonapartismo autoritario, la guerra del 1870-71
si presentava agli occhi dell'élite intellettuale aristocratico-legittimista e borghese-conservatrice
come prosecuzione di una linea evidente di sconfitte e fallimenti della storia francese, cominciata
con la rivoluzione del 1789 e proseguita con i rivolgimenti del 1814-15, del 1830, del 1848, del
1851 fino a quelli del 1870-71. Qui, il nesso di guerra e rivoluzione definiva l'incapacità di realizzare l'ordine politico e la stabilizzazione sociale, ponendosi così in continuità con il complessivo
tramonto della nazione francese cominciato nel 178917.
4.
La Germania tra calcolata guerra diplomatica e guerra nazionale borghese
Se le esperienze della guerra, della sconfitta, della rivoluzione e della guerra ci-
vile hanno costretto la Francia a fare i conti in modo peculiare con le interpretazioni della propria
storia in chiave bellicista, in Germania, invece, le guerre tra il 1854 e il 1871 sembrano realizzare
aspettative politico-nazionali a lungo ostacolate e spesso deluse. Un'analisi più approfondita
mostra, però, quanto questa interpretazione sia debitrice alla storiografia prussiana e piccolotedesca, che ha cercato di ricondurre gli eventi del 1864, del 1866 e del 1870-71 alla teleologia
senza alternative dello Stato nazionale piccolo-tedesco. Ma proprio le diverse modalità con cui
in Germania è stata elaborata la guerra, tra la metà degli anni Cinquanta e il 1870-71, segnalano
invece la complessità e l'ambivalenza della costruzione della nazione in chiave bellicista. Ogni
guerra, infatti, produceva vincitori e vinti, presentandosi così, nello stesso tempo, come esperienza storica di successo e di sconfitta18.
Già dopo la cesura segnata dalla rivoluzione del 1848-49, la guerra fungeva da
mezzo necessario, se non addirittura desiderato, dei processi di sviluppo della storia universale,
soprattutto nella prospettiva del movimento nazionale borghese. Il che è in evidente contraddi-
17 Cfr. per esempio A. de Gobineau, Ce qui est arrivé à la France en 1870, a cura di A.B.
Duff, introduzione di 3. Gaulmier, Paris, 1970; La France victorieuse ou la loi & la logique du charbonnier. Par
un Auvergnat, Clemont-Ferrand, 1870; cfr. anche E. Renan, La Réforme intellectuelle et morale de la France
(1871), in Id., La réforme intellectuelle et morale (1871), IV. ed., Paris, 1875, pp. 1-121 e inoltre D. Langewiesche, Was heisst «Erfindung der Nation»? Nationalgeschichte als Artefakt – oder Geschichtsdeutung als
Machtkampf, in «Historische Zeitschrift», 277 (2003), pp. 593-617.
18 Cfr. Buschmann, Einkreisung, cit., passim e D. Langewiesche, War da was vor 1871, in
«Frankfurter Allgemeine Zeitung», 12 dicembre 2000, p. 54.
38 I
Jórn Leonhard
zione con la realtà, nella quale gli eserciti si erano, invece, rivelati strumenti indispensabili nelle
mani di governi e di principi per porre termine alla rivoluzione". A cominciare dalla percezione
della guerra di Crimea, si manifestarono in ampi settori della borghesia tedesca speranze compensatrici di una liberazione proveniente dall'esterno, che ricordavano analoghe interpretazioni degli
anni Quaranta. Nel suo System der Staatslehre del 1857, Constantin Riissler ricorre, ancora, all'idea
della guerra come controversia giudiziaria, ma la sua interpretazione va ben oltre questa cornice
giuridica e sottolinea il punto di vista di un potere che si manifesta in termini bellicisti: «C'è solo
un titolo per il potere, la forza, e per questo titolo solo una prova, là guerra. I destini della guerra
sono le sentenze che decidono i processi dei popoli, e queste sentenze, quando attraversano tutte
le istanze, sono sempre giuste»20.
Simili riflessioni trovarono più concreta articolazione con l'inizio della guerra
in Italia nel 1859. Contrariamente alla guerra di Crimea, il conflitto tra il Regno di Sardegna,
sostenuto dalla Francia, e l'Austria appariva come un'autentica guerra nazionale per la creazione
di uno Stato nazionale italiano. In Germania, toccata indirettamente dal conflitto a causa della
partecipazione dell'Austria alla Confederazione tedesca, il conflitto favorì e alimentò in brevissimo
tempo la retorica nazionalistica. Ma, in quel tempo, le diverse posizioni non erano riducibili al.
solo orientamento piccolo-tedesco; al contrario: il pluralismo delle interpretazioni della guerra
stava a dimostrare l'evidente apertura del dibattito dell'epoca sui progetti nazionali.
Come già negli anni Quaranta, la disponibilità borghese all'uso della forza verso
l'esterno si accompagnava, soprattutto dopo le esperienze del 1848-49, all'esigenza di coesione
interna dinanzi ai rischi di una guerra civile. Mentre la guerra di Cavour, limitata e sostenuta dalla
diplomazia, mirava essenzialmente ad ampliare i margini di manovra per una rivoluzione altrettanto ordinata dello Stato, la guerra di popolo impersonata da Garibaldi rimaneva agli occhi della
grande maggioranza della borghesia del tempo una prospettiva terrorizzante, per la minaccia di
rivoluzione dal basso dell'ordine politico e sociale che recava con sé. Se però si volevano la guerra nazionale e l'immunizzazione dalla guerra civile nello stesso tempo, l'alleanza con uno Stato
forte diventava fondamentale. Nel maggio 1859, Hermann Baumgarten invocava in questo senso
«una personalità grande e risoluta» in grado di «cavourizzare» la Germania 21 . Anche dopo il 1859
questo atteggiamento non pregiudicò l'alleanza borghese con Bismarck, tanto meno alla luce
del conflitto costituzionale che sarebbe di lì a poco esploso intorno alle riforme dell'esercito in
Prussia; questo orientamento rientrava piuttosto nella lezione che si poteva trarre dall'esperienza
di quell'anno epocale. Esso non risolveva, però, la questione del rapporto tra politica interna e
politica estera né quella del futuro dello Stato nazionale tedesco. Bismarck procedette dalla realtà
dei singoli Stati sovrani tedeschi e accentuò la separazione della politica interna da quella estera,
ponendosi così al servizio dell'obiettivo, assolutamente anti-rivoluzionario, di impedire non solo
19 Cfr. U. Frevert, Nation und militiirische Gewalt, in Ch. Dipper e U. Speck (a cura di),
1848. Revolution in Deutschland, Frankfurt a.M., 1998, pp. 338-354.
2° C. Rbssler, System der Staatslehre, Leipzig, 1857, p. 547.
21 Lettera di H. Baumgarten del 22 maggio 1859, in P. Wentzcke e J. Heyderhoff (a cura
di), Deutscher Liberalismus im Zeitalter Bismarcks, vol. 1, Bonn, 1925, p. 39; cfr. D. Langewiesche, Liberalismus in Deutschland, Frankfurt a.M., 1988, p. 91.
39
Nati dalla guerra e macchine da guerra?
la guerra civile, ma anche la sua generalizzazione, e di preservare quindi l'ordinamento internazionale degli Stati quale autonomo domaine reservée di governi e monarchi. Ma Bismarck non si
fermò a questa premessa, che corrispondeva sì alle sue convinzioni ideologiche e ai suoi obiettivi
politici ma non alla sua strategia e alla sua percezione della realtà. All'inizio degli anni Sessanta,
sotto l'impressione in lui suscitata dalla guerra in Italia, egli avvertì con chiarezza il mutamento
delle condizioni, che ora stabilivano una relazione tra la guerra esterna e i fattori interni, sociali
e, nel caso della Germania, soprattutto politico-nazionali. Bismarck si fece quindi trovare «pronto» non solo alla guerra statale, ma anche «alla guerra associata alla rivoluzione»". La rivoluzione
bismarckiana avvenne nel 1866. Ancora una volta emerse la peculiare differenza tra le forme del
conflitto, da un lato, e la loro elaborazione dall'altro, nella quale facevano ora capolino soprattutto le aspettative del movimento nazionale borghese. Nonostante l'enorme potenziamento della
tecnica e gli eserciti di massa coinvolti, i conflitti dal 1864 al 1866 erano pur sempre state delle
brevi guerre diplomatiche, in antitesi radicale alla guerra civile americana, nelle quali il primato
della politica e della diplomazia non era mai stato messo in discussione e che, soprattutto, nell'immaginario si trasformarono in guerre nazionali tramite il richiamo alle tradizioni medievali.
Nel luglio del. 1866 Heinrich von Treitschke auspicava che l'imminente soluzione dell'antagonismo
austro-prussiano si trasformasse in una guerra nazionale di questo tipo: «Addirittura negli Stati
Uniti, dove la libertà del singolo sembra essere tutto e il potere dello Stato nulla, la ricostruzione
dell'Unione è stata prodotta da una guerra regolata, dalla forza di un potere statale che si desta
energicamente. Anche la rivoluzione tedesca, nel mezzo della quale noi oggi ci troviamo con animo fiducioso, ha ricevuto impulso dall'alto, dalla corona prussiana»23.
Dinanzi ai conflitti militari dell'estate 1866, Arnold Ruge invitava a rinunciare
a ogni illusione politica circa la praticabilità di una rivoluzione sociale, com'era stata quella del
1848, perché adesso «è troppo tardi per fare una rivoluzione allo scopo di sventare la guerra. La
guerra adesso è la rivoluzione» 24 . Questa rivoluzione produsse un peculiare bellicismo statuale
che dimostrava la consapevolezza che lo Stato prussiano aveva della propria forza nel costruire
lo Stato nazionale tedesco; un'interpretazione che sarebbe diventata decisiva per settori sempre
più ampi della borghesia liberale. Da questo punto di vista, la vittoria del. 1866 occultò vieppiù
anche il conflitto costituzionale prussiano, non da ultimo perché nella percezione di molti contemporanei proprio l'esercito prussiano, nato dalle riforme militari, era diventato lo strumento
del progresso politico-nazionale. A tale sviluppo, questa l'argomentazione, non ci si poteva più
opporre, a meno di non voler replicare le amare esperienze cui aveva condotto l'impotenza di fatto
del 1848-49. Questo ragionamento giunse fino all'idealizzazione dello Stato prussiano che aveva
reso possibile la guerra, come nucleo del futuro Stato nazionale tedesco; questo tipo di lettura è
22 von Bismarck, Erinnerung und Gedanke. Kritische Neuausgabe auf Grund des gesamten
schriftlichen Nachlasses, a cura di G. Ritter e R. Stadelmann, in Id., Die gesammelten Werke, 15 voll., Berlin,
1924-35, vol. XV, 1932, p. 252.
23 H. von Treitschke, Die Zukunft der deutschen Mitteistaaten (30 luglio 1866), in Id.,
Aufsatze, Reden und Briefe, a cura di K.M. Schiller, vol. III, Merseburg, 1929, p. 289.
24 Lettera di Arnold Ruge a Richard Ruge, 7 giugno 1866, in A. Ruge, Briefwechsel und
Tagebuchbldtter aus den Jahren 1825-1880, a cura di P. Nerrtich, vol. 2, Berlin, 1866, p. 271.
40
Jórn Leonhard
stato esposto in modo paradigmatico da Adolf Lasson nel. suo Das Kulturideal und der Krieg, uno
scritto molto influente del 1868: «Quando ciò che è in sé razionale deve essere realizzato di fronte
allo Stato, l'unica forma razionale è la guerra. Lo Stato nazionale in formazione può quindi razionalmente appoggiarsi solo a uno Stato già esistente che, seguendo il suo sano egoismo, realizza
nello stesso tempo e proprio per questo la sua vocazione per tutto il resto»".
Ma quanto più suggestivamente la storiografia piccolo-tedesca si preoccupava
di collocare gli eventi bellici in prospettiva teleologica, tanto più il 1866 appariva anche un'esperienza storica di perdita. Accanto alla soluzione positiva, dal punto di vista piccolo-tedesco,
del dualismo tedesco e al superamento dell'ostacolo rappresentato dalla Confederazione tedesca
stava, infatti, l'esperienza dolorosa della guerra tra fratelli. Poiché la formazione dello Stato
nazionale dipendeva dai conflitti militari, essa generava vincitori e vinti: cattolici, tedeschi meridionali, al. pari di convinti democratici dell'epoca vissero la vittoria prussiana come storia della
perdita dell'unità tedesca, della statualità e della libertà politica. Solo se si tengono presenti
questi due aspetti, i nuovi margini d'azione per la politica nazionale, da un lato, e le esperienze
di perdita, dall'altro, si ricava la vera natura dell'anno 1866". Se la guerra del 1870-71 appariva
agli occhi delle Mite intellettuali filo-prussiane come coerente prosecuzione del 1864 e del 1866
- in continuità quindi, nella lotta contro la Francia e il. bonapartismo, con la situazione storica del
1813 - sotto la superficie dell'euforia nazionale dettata dal momento, però, si annunciavano già
le ipoteche della via piccolo-tedesca e bellicista allo Stato nazionale. Nella storiografia prussiana,
accanto alla suggestiva immagine dell'unità della nazione, simboleggiata da una monarchia militare prussiana protesa a sventare la minaccia proveniente dal. nemico esterno, stava l'aggressiva
lettura degli eventi. Sotto il segno della guerra, con la sua peculiare radicalizzazione dei principi
di lealtà nazionale, cattolicesimo, democrazia e socialismo apparivano già come potenziali minacce interne di ciò che con la guerra era stato conseguito. Se nel 1870 Bismarck ricorreva ancora
all'ideale di una guerra diplomatica con chiaro primato della politica - che, contrariamente al.
1864 e al. 1866, veniva ora messo in discussione dall'élite militare consapevole della propria forza
raccolta intorno a Moltke -, nelle interpretazioni ufficiali della guerra del monarca prussiano risuonavano ancora una volta i fattori dinastici. Mentre la libertà, in questo contesto, si connotava
prioritariamente, con sorprendente analogia rispetto all'interpretazione della guerra nel 1813,
come liberazione dalla minaccia esterna rappresentata dalla Francia, Droysen nel novembre del
1870 sottolineava i fondamenti del nuovo Stato nazionale determinati dalla guerra. L'impero e la
sua guida non sarebbero più derivati, questa la speranza di Droysen, «da putridi intrighi elettorali
e sordidi maneggi». Piuttosto, e in ciò si rispecchiava tutta l'ambivalenza delle aspettative borghesi e la consapevolezza dominante circa l'origine bellicista dello Stato nazionale, esso si sarebbe «costruito sulla leva obbligatoria per tutti, su vittorie inaudite, su un parlamento nazionale»27.
25
Lasson, Dal Kulturideal und der Krieg (1868), II. ed., Berlin [1906], pp. 66 s.
" Cfr. D. Langewiesche, Staatsbildung und Nationsbildung in Deutschland - ein Sonderweg?, in U. von Hirschhausen e J. Leonhard (a cura di), Nationalismen in Europa. West-und Osteuropa im
Vergleich, Góttingen, 2001, pp. 49-67.
27 Lettera di Droysen al figlio Gustav, 7 dicembre 1870, in J.G. Droysen, Briefwechsel, a
cura di R. Haner, vol. 2: 1851-1884, Stuttgart, 1929, ristampa 1967, p. 896.
41
Nati dalla guerra e macchine da guerra?
Con ciò non si acquietavano Ce speranze di molti rappresentanti della borghesia
liberale. Per essi, la guerra denotava un necessario progresso storico, che dopo la vittoria sarebbe però dovuto proseguire all'interno. La disponibilità all'uso della .forza verso L'esterno, per
superare la storica minaccia rappresentata dalla Francia, andava di pari passo con la convinzione
che spettasse ora alla Germania, quale terzo stato della storia del mondo, giocare il ruolo che la
Francia aveva svolto dopo la rivoluzione del 1789 come esempio di progresso politico e sociale.
Per Ludwig Bamberg, la Germania vittoriosa si trasformava in emblema caratteristico di progresso
rivelato dalla guerra. Riprendendo la famosa formula di Sieyès sul tiers état, secondo la quale la
rivoluzione del 1789 aveva segnato l'affermazione della borghesia, la Germania gli appariva una
forza rivoluzionaria gravida di futuro, storicamente legittimata dalla forza degli eventi a contestare alla nazione francese la tradizionale pretesa ideologica alla supremazia: «La Germania è il
terzo stato, per l'affermazione dei cui diritti abbiamo ora combattuto contro la Francia. A Parigi
ha sede il romanticismo di matrice cattolica, a Versailles, ossia nel quartier generale tedesco,
il. radicalismo di un nuovo soggetto emergente. Parigi è la Bastiglia, che viene assalita, Favre e
Gambetta rappresentano la legittimità, Wilhetm e Bismarck la rivoluzione. Ciò suona paradossale,
ma è così»28.
La Gran Bretagna e l'autocoscienza dell'imperonazione cristiano
5.
Se per le società dell'Europa continentale la fase dal 1854 al 1871 si trovava
sotto il segno delle guerre nazionali e, quindi, di un'epoca complessiva di crisi e rivolgimenti,
in Gran Bretagna a prima vista non sembravano esservi cesure altrettanto profonde. Eppure quest'impressione è ingannevole, come mostrano la trattazione sui giornali della guerra di Crimea
del 1854/55 e l'Indian Mutiny, la ribellione contro il dominio coloniale britannico in India 29 . Già
la partecipazione britannica alla lotta contro la Russia apparve all'opinione pubblica come una
guerra «moderna», con l'impiego di numerosi corrispondenti di guerra e con il nuovo mezzo della
fotografia, che sembrava ridurre la distanza tra il pubblico e gli eventi. La differenza tra guerra
di Crimea e Indian Mutiny risiedeva nello spazio e nella prospettiva d'esperienza: se la guerra di
Crimea aveva portato in primo piano la responsabilità europea della Gran Bretagna come baluardo
di civiltà e progresso, l'Indian Mutiny simboleggiava la ribellione di una popolazione indigena
contro la potenza coloniale britannica. Se nella guerra di Crimea si poteva guardare all'esercito
britannico come a un liberatore, il suo ruolo nell'Indian Mutiny era invece quello della vittima
sacrificale in nome della missione e della civiltà cristiane. Il motivo sacrificale si ricollegava
all'immagine già consolidata del Christian soldier, portandola però a un livello qualitativamente
28 L. Bamberger, Zur Naturgeschichte des franzàsischen Krieges, Leipzig, 1871, p. 94.
29 Cfr. Ch.E. Kennaway, The War and the Newspapers: A Lecture, Ottery St. Mary, 1856 e
[W.H. Russel], William Russell. Special Correspondent of The Times, a cura di R. Hudson, London, 1996; edizione tedesca: Meine sieben Kriege. Die ersten Reportagen von den Schlachtfeldern des 19. Jahrhunderts. Mit
einer Einfiihrung von Matthias Fienbork, Frankfurt a.M., 2000.
42
Jórn Leonhard
superiore nella misura in cui la violenza veniva ora giustificata con grande convinzione in nome
dell'impero-nazione cristiano. Particolarmente aggressivo si rivelò il nazionalismo cristiano degli
evangelici, il cui portavoce, il. «Baptist Magazine», giudicò nel 1858 la sanguinosa repressione
dell'Indian Mutiny come espressione della volontà divina e della predestinazione dell'impero-nazione: «The tide of rebellion [has been] turned back by the wisdom and prowess of Christian men
[...] God, as it were, especially selecting them for this purpose»".
La guerra di Crimea e la ribellione indiana si inscrivono all'interno del consolidato paradigma dei conflitti geograficamente lontani – una differenza non irrilevante rispetto
alle coeve esperienze belliche sul continente europeo, perché questo elemento consentiva alla
Gran Bretagna di autocomprendersi in modo specifico come impero-nazione cristiano e di rendere
popolare l'esercito come strumento al servizio di quest'idea fondamentale, mentre mancava l'esperienza diretta di una guerra nel proprio paese". Lo spazio d'esperienza per l'elaborazione dell'esperienza della guerra è, quindi, rappresentato in Gran Bretagna dall'impero e dalle numerose
small wars, e non primariamente dall'Europa continentale". Se la prospettiva imperiale rafforzava
l'autorappresentazione, già sviluppata negli anni Trenta e Quaranta, di una missione civilizzatrice
condotta in nome dei valori cristiani, che faceva apparire la guerra contro i barbari savages delle
colonie come un dovere in nome di fini superiori, la ricezione delle guerre condotte sul continente europeo tra il 1859-61 e il 1870-71 metteva l'opinione pubblica britannica a confronto con
l'immagine di una guerra moderna tra nazioni in armi. In considerazione delle esperienze belliche
completamente diverse e anche delle tradizioni militari affatto differenti rispetto alla Francia e
alla Prussia, i nuovi conflitti furono osservati con grande attenzione. L'autopercezione nazionale
come warlike nation, che non è però una military nation, rifletteva la questione di come la Gran
Bretagna dovesse comportarsi di fronte alle trasformazioni della guerra e delle sue motivazioni
nazionali in Europa. Si trattava già dell'anticipazione di un motivo fondamentale del decennio
precedente il 191433.
«Baptist Magazine», 50 (1858), p. 323; cfr. anche The Indian Rebellion in its moral
and psychological Aspects, in «The Journal of Psychological Medicine and Mental Pathology», 11 (1858), pp.
30
40-59.
31 Cfr. in generale G. Harries-Jenkins, The Army in Victorian Society, London, 1977; A.
Ramsay Skettey, The Victorian Army at Home, London, 1977 e H.J. Hanham, Religion and Nationality in the
Mid-Victorian Army, in M.R.D. Foot (a cura di), War and Society, London, 1973, pp. 159-181.
32 Cfr. per il concetto stesso C.E. Cattwelt, Small Wars. A Tactical Textbook for Imperial
Soldiers, London, 1899 2; cfr. anche C. Marsh, MemoriaLs of Captain Hedley Vicars, Ninety-Seventh Regiment,
London, 1856, p. XI; cfr. M. Paris, Warrior Nation. Images of War in British popular Culture, 1850-2000,
London, 2000, p. 34 e W.J. Baker, Charles Kingsley in the Crimean War: A Study in Chauvinism, in «Southern
Humanities Review», 4 (1970), pp. 247-256.
33 Cfr. per esempio T.C. Horsfall, National Service and the Welfare of the Community, London, 1906; W.Chr. Underwood, A Plea for National Military Training in Britain, II. ed., London [1907]; H.O.
Arnold-Foster, Military Needs and Military Policy. With an Introduction by Field-Marshall Earl Roberts, London,
1909; W. James, The moral Equivatent of War, in «McClure's Magazine» 35 (1910), pp. 463-468; cfr. anche C.
E. Callwell, Introduction, in Baron von Freytag-Loringhoven, A National Trained in Arms Or a Militia? Lessons
in War from the Past and the Present, New York and London, 1918, pp. V-XXII.
43
Nati dalla guerra e macchine da guerra?
Gli Stati Uniti: la Guerra civile del 1861 come crisi e
fattore di accelerazione nella formazione della nazione americana
6.
Rispetto all'intensificarsi delle esperienze di guerra nell'Europa della metà degli
anni Cinquanta dell'Ottocento, la distanza americana da questi conflitti appare inizialmente molto
evidente. L'ambito della guerra e del fattore militare rimase una potenziale riserva interpretativa per la percezione che la nazione aveva di sé, ma nonostante la presenza di pubblicazioni di
tono chiaramente bellicista, non fu mai incontrastata, come dimostravano le posizioni pacifiste
radicali di numerosi giornalisti che, proprio nella storia dell'origine degli Stati Uniti, vedevano
una deviazione da quella storia di guerre che caratterizzava l'ancien régime europeo 34 . Il carattere
peculiare della storia americana si manifestò all'inizio degli anni Sessanta, quando si fece sentire
la minaccia non di un conflitto esterno, ma di tensioni interne alla società americana. Dietro la
questione dell'emancipazione degli schiavi si celavano profondi contrasti politici e tensioni economiche tra gli Stati del Nord e quelli del Sud, che nel contesto di crescente propensione all'uso
alla violenza ridussero sempre più i margini dell'azione politica, trasformando nel 1861 la crisi
latente in aperta guerra civile.
La guerra civile si manifestò come trauma profondo della società americana
e nello stesso tempo come crisi e catalizzatore del processo di formazione della nazione americana. In nessun'altra guerra combattuta tra il 1854 e il 1871 si rivelarono così intensamente
le trasformazioni delta guerra — eserciti di massa, innovazioni tecniche, novità tattiche e strategiche — e soprattutto l'inasprirsi delta violenza impiegata, con il contemporaneo, tendenziale
superamento del confine tra combattenti e civili. Rispetto alla brevità degli scontri militari
delle guerre europee, la durata e l'intensità della guerra civile americana radicalizzarono anche
le strategie di legittimazione e i modelli nazionali di autointerpretazione. Questa fondamentale esperienza bellicista fu di particolare importanza per gli Stati Uniti perché i precedenti
conflitti — la guerra d'indipendenza del 1776, la seconda guerra contro la Gran Bretagna
del 1812 e la guerra contro il Messico del 1846 — erano rimasti conflitti limitati, che solo
nell'idealizzazione repubblicana erano assurti a people's wars, ma che nelle loro modalità si
erano invece mantenuti molto più vicini alla tradizione vetero-europea delle guerre tra Stati.
La guerra civile si rivelò come people's war nel senso che condusse a una totalizzazione della
violenza e della sua legittimazione come non si era mai data in precedenza. Oltre ai più di
600.000 morti, stava l'esperienza di un sistematico coinvolgimento della popolazione civile,
come dimostrano la campagna di annientamento condotta dal generale Sherman nel Sud e la
nuova formula dell'inconditional surrender, della capitolazione incondizionata del nemico sconfitto. Per questi motivi la guerra civile è stata una guerra con cui all'interno è stata costruita
la nazione americana, e questo non solo nell'immaginario, ma anche nella realtà traumatica di
34 R.C. Stuart, War and American Thought. From the Revolution to the Monroe Doctrine,
Kent/Ohio, 1982.
44
Jiirn Leonhard
I
una guerra di popolo totalizzante, che almeno tendenzialmente ha anticipato il modello della
guerra totale del. Novecento".
Nelle interpretazioni nordiste della nazione non si giunse tanto a delle novità,
quanto, piuttosto, a una radicalizzazione e a una connotazione aggressiva di modelli interpretativi, di natura religiosa e repubblicana, già in circolazione. In Abramo Lincoln, l'originaria lettura
in chiave di diritto costituzionale, l'insistenza sulla perpetuity dell'Unione fondata tra il_ 1776 e il_
1787, trapassò, con il. perdurare e l'intensificarsi del conflitto, nell'idea di una missione religiosa
che vedeva nella guerra contro la rebellion l'espressione della volontà divina e nel. presidente il
suo strumento. Con L'assassinio di Lincoln si affermò la simbologia, destinata a durare a lungo,
del presidente come martire cristiano dei valori repubblicani". In quest'ottica, la secessione degli
Stati dei. Sud appariva non solo come un'uscita dall'Unione, interpretabile con le categorie del
diritto pubblico, ma anche come comportamento peccaminoso contro la nazione predestinata
da Dio e contro il modello in essa incarnato dell'autodeterminazione democratica e della libertà
repubblicana. Nello stesso tempo, Lincoln elaborava un progetto di nazione che non era semplicemente riconducibile al principio volontaristico e all'elaborazione costituzionale della nazione
tra il 1776 e il 1787, ma che delineava la nazione come comunità storica d'esperienza, di destino
e di sacrificio, facendo riferimento al ruolo peculiare svolto dall'esperienza comune della guerra.
Questa appropriazione del senso profondo della guerra civile appare in modo eminente nel discorso che Lincoln pronunciò in occasione della consacrazione del cimitero militare di Gettysburg
nel novembre del 1863. Il momento particolare, in cui la consacrazione del campo di battaglia si
compiva, aveva il significato d'indicare il compito futuro della nazione, che consisteva appunto
nella prosecuzione della comunità d'esperienza giunta con la guerra a un livello più alto. La sua
rinascita doveva avvenire in continuità con i valori per cui erano state combattute tutte le precedenti guerre degli Stati Uniti e che nella guerra civile si erano affermati. Lincoln rovesciava anche
la prospettiva della consacrazione solenne: essa non è destinata ai morti, perché sono i soldati
caduti e sepolti a Gettysburg che investono i vivi di un compito solenne per il futuro della nazio-
35 Cfr. M.E. Neely, Was the Civil War a Total War?, in «Civil War History» 37 (1991), pp.
Vom
Volkskrieg zum totalen Krieg? Der Amerikanische Biirgerkrieg 1861-1865, der Deutsch5-28; S. Rirster,
Franzdsische Krieg 1870-71 und die Anftinge moderner Kriegsfiihrung, in W.L. Bernecker e V. Dotterweich (a
cura di), Deutschland in den internationalen Beziehungen des 19. und 20. Jahrhunderts. Festschnft fiir Josef
Becker zum 65. Geburtstag, Miinchen, 1996, pp. 71-92; S. Fiirster e J. Nagler (a cura di), On the Road to Total
War: The American Civil War and the German Wars of Unification, 1861-1871, Cambridge, 1997; M.F. Boemeke,
R. Chickering e S. Fórster (a cura di), Anticipating Total War. The German and American Experiences, 18711914, Cambridge, 1999.
36 Cfr. E. Angermann, Abraham Lincoln und die Erneuerung der nationalen Identitdt der
Vereinigten Staaten von Amerika, Miinchen, 1984. G. Boritt (a cura di), The Lincoln Enigma: The changing
Faces of an American Icon, Oxford, 2001; si vedano come fonti coeve per esempio E.A. Bulkley, The Uncrowned Nation. A Discourse commemorative of the Death of Abraham Lincoln, sixteenth President of the United
States, preached in the First Presbyterian Church of Plattsburgh, New York (19 aprile 1865), Plattsburgh, 1865,
p. 15; J.P. Thompson, Abraham Lincoln; His Life ant Its Lessons. A Sermon, Preached on Sabbath (30 aprile
1865), Loyal Publication Society Nr. 85, New York, 1865, in F. Freidel (a cura di), Union Pamphlets of the
Civil War 1861-1865, 2 voli., Cambridge/Ma, 1967, vol. 2, pp. 1149-1180 e The Martyr's Monument. Being
the Patriotism and Political Wisdom of Abraham Lincoln, as exhibited in his Speeches, Messages, Orders, and
Proctamations, New York, 1865.
45
Nati dalla guerra e macchine da guerra?
ne, che li obbligano ai valori per cui essi hanno sacrificato la propria vita, stabilendo così quel
vincolo immaginario tra l'evento della guerra e la sua potenziale attualizzazione in ogni momento
tramite l'elaborazione e la memoria. Tutto ciò esprimeva compiutamente il nucleo autentico della
nazione bellicista come comunità di destino che vive nel ricordo senza esaurirsi in una concezione
volontaristica. La cornice religiosa di questo tipo d'interpretazioni faceva del comune sacrificio
della nazione in guerra la base per il futuro della nazione quale modello repubblicano per il mondo
intero: «Tocca piuttosto a noi che ancora viviamo, consacrarci qui all'opera incompiuta che coloro
che qui combatterono hanno così nobilmente portato avanti. Tocca piuttosto a noi dedicarci qui
al grande compito che rimane, sì che da questi morti gloriosi, noi attingiamo una maggiore devozione a quella causa per cui essi diedero la più assoluta misura della loro devozione; sì che nel
nome di questi morti noi qui solennemente stabiliamo che il loro olocausto non è stato invano; e
che questa nazione, sotto la guida di Dio, rinascerà alla libertà, e che il governo del popolo, col
popolo, per il popolo, non scomparirà mai dalla terra»".
Nel dibattito pubblico degli Stati del Nord dominava all'inizio della guerra l'interpretazione religiosa del conflitto. L'evento di una guerra civile particolarmente dolorosa veniva inserito nello schema di colpa, espiazione e redenzione nazionali. Materialismo, corruzione
e timore puramente esteriore di Dio sembravano aver allontanato l'America dalla via indicata
da Dio. Questo motivo poteva suggestivamente essere compendiato nel peccato originale della
schiavitù e la guerra civile corrispondere alla punizione divina con tanto di sacrificio e speranza
di redenzione". La catarsi della nazione era qui evidentemente meno determinata da proiezioni
riguardanti la civiltà in generale o da valutazioni di psicologia sociale di quanto accadesse nelle
interpretazioni europee, e si manteneva all'interno della cornice definita dall'autocoscienza della
repubblica predestinata da Dio a una missione universale. Con l'universalizzazione della guerra
civile come guerra per affermare il principio della libertà dell'umanità intera, il paradigma della
missione americana, che aveva già svolto un ruolo molto importante in tutte le precedenti guerre
degli Stati Uniti a partire dal 1776, poteva essere proseguito nella guerra civile". In quest'ottica
la rebellion appariva un atteggiamento contro la missione divina degli Stati Uniti e come test per
vagliare la capacità di una repubblica democratica di far fronte anche alla sfida più difficile senza
ricadere nello schema europeo del dispotismo militare o dell'anarchia sociale.
Più radicalmente di qualsiasi guerra precedente, la guerra civile metteva alla
prova la lealtà nazionale, acuiva i criteri della sua determinazione e suscitava corrispondenti
dichiarazioni di lealtà da parte dei gruppi più diversi. Se i modelli religiosi d'interpretazione, la
coscienza della predestinazione divina, del compito divino della colonizzazione continentale e
37 A. Lincoln, Discorso di Gettysburg, 19 novembre 1863, in P pensiero politico nell'età di
Lincoln, a cura di C. Gorlier, Bologna, 1962, p. 147.
38 Cfr. per esempio la lettera di Emory Upton alla sorella, del 20 gennaio 1860, in P.S.
Michie, Life and Letters of Emory Upton, New York, 1885, pp. 18 s.; si veda, con Interiori esempi di questo
motivo, anche G. Frederickson, The Inner Civil War. Northern Intellectuals and the Crisis of the Union, New
York, 1965, passim.
39 Cfr. A. Stillé, War as an instrument of Civilization. An Address before the Society of the
Alumni of the University of Pennsylvania, Philadelphia, November 27, 1861, Philadelphia, 1861.
46 I
Itirn Leonhard
della missione di libertà repubblicana definivano i contorni di un'immagine di sé che fu adottata
contro il. concorrente progetto nazionale del. Sud, nelle retoriche coeve sulla lealtà si alternavano,
nei fatti, fattori d'inclusione e di esclusione. I neri, a dispetto di tutte le dichiarazioni dell'epoca,
rimanevano esclusi da quest'idea di nazione, né dalla Leva militare derivò un'accettazione dell'uguaglianza giuridica o della partecipazione politica 40 . Le numerose manifestazioni di lealtà da
parte di cattolici e immigrati riflettevano una coazione alla giustificazione che con il perdurare
della guerra si fece sempre più pressante'''. Infine, la guerra mutò profondamente la percezione del
fattore militare, cui, a dispetto degli ideali educativi bellicisti, si era guardato in realtà con diffidenza da parte di ampi settori della società fino agli inizi degli anni Sessanta. Nella propaganda
ufficiale, l'esercito divenne il fulcro della nazione repubblicana e i suoi soldati dei combattenti
di Dio in lotta per la difesa dei valori etico-sociali dell'America 42 . Quanto più questa stilizzazione
era lontana da quella che per i soldati era invece la sanguinosa quotidianità della guerra, tanto
più chiaramente essa alludeva a un mutamento qualitativo nelle retoriche belliciste degli Stati
Uniti. La guerra civile come people's war non ispirava solo l'immaginaria figura della nazione in
armi predestinata da Dio, ma giustificava anche l'uso della violenza contro la popolazione civile
del Sud43.
Se il Nord poteva riferirsi a concezioni della nazione già circolanti, trasformando
quindi quelle che erano in primo luogo autorappresentazioni costituzional-difensive in categorie
religioso-aggressive, il Sud doveva invece sviluppare ex novo una propria immagine di nazione che
trascendesse la coscienza tradizionale della propria particolarità. A questo scopo servì non solo il
confronto storico tra la situazione del 1861 e del 1776, ma soprattutto la guerra stessa, perché
essa creò una comunità d'esperienza e di sacrificio di tipo nuovo, con autostilizzazioni peculiari
che non si erano mai date in precedenza". Fin dall'inizio, il Sud si propose come personificazione
delle qualità eroiche dell'America, in contrasto con la cultura urbana materialistica del Nord e con
la sua degenerazione morale. Nel momento in cui cominciò a delinearsi la sconfitta militare si
giunse a un significativo capovolgimento: la lost cause era il segno della superiorità morale degli
40 Cfr. [W.L. Garrison], The Loyalty and Devotion of Colored Americans in the Revolution
and War of 1812. Pubtished in Boston/Ma., 1861, published in New York City, 1918, New York, 1918; per la
ricostruzione del contesto si veda G. Frederickson, The Black Image in the White Mind: The Debate on AfroAmerican Character and Destiny, 1817-1914, New York, 1971 e D.W. Blight, Race and Reunion. The Civil War in
America Memoty, Cambridge (Ma.), 2001.
41 Cfr. per esempio The Doctrine of Loyalty, in «The New Englander», 22 (1863), pp.
560-581; cfr. H.M. Hyman, Era of the Oath. Northern Loyalty Tests during the Civil War and Reconstruction,
Philadelphia, 1954 e M. Hochgeschwender, Totaler Krieg und nationale Integration: Der Us-amerikanische
Katholizismus im Umfeld des amerikanischen Biirgerkriegs, in Beyrau (a cura di), Krieg, cit., pp. 140-164.
42 Cfr. per esempio W.L. Gaylord, The Soldier God's Minister. A Discourse delivered in the
Congregational Church, Fitzwilliam, N.H., Sabbath Afternoon, October 5, 1862, on the Occasion of the Departure of a Company of Volunteers for the Seat of War, Fitchburg, 1862.
43 Su questo concetto si veda per esempio Ch. Eliot Norton, The Soldier and the Good
Cause. American Unitarian Association, Army Series Nr. 2, Boston, 1861.
44 Cfr. D. Gilpin Faust, The Creation of Confederate Nationalism. Ideology and Identity in
the Civil War South, Baton Rouge, 1988; E.M. Thomas, The Confederate Nation, 1861-1865, New York, 1979,
pp. 67 ss. e 98 ss.; H.P. Owens e J.J. Cooke (a cura di), The Old South's Class System in the Crucible of War,
ivi, pp. 15-28 e L.P. PowelLe M.S. Wayne, Self-Interest and the Decline of Confederate Nationalism, ivi, pp.
29-45.
47
Nati dalla guerra e macchine da guerra?
Stati del. Sud e serviva all'elaborazione in termini di senso della catastrofe'''. Il conferimento di
senso alla sconfitta aveva però bisogno della legittimazione religiosa della propria superiorità e a
questa corrispondevano i motivi sacri del. sacrificio e della redenzione. In quest'ottica la vittoria
morale sul Nord attraverso il sacrificio del. Sud era un martirio, cui si collegava la speranza di una
rinascita della nazione su un piano superiore. Edward Pollard, uno dei principali pubblicisti del.
Sud, affermava che «it is impossible that a nation should have suffered as the South has in this
struggle; should have adorned itself with such sacrifices [...]. Not so does nature recompense the
martyrdom of individuals or of nations: it pronounces the triumph of resurrection»". IL Sud, tra il.
1861 e il 1865, poteva così fungere da esempio per la nascita di un'identità nazionale a partire
dalla guerra e dalla sconfitta; prima della guerra vi erano stati sì punti di partenza per l'elaborazione di una tale identità, ma solo attraverso il. radicale mutamento dello spazio d'esperienza
prodotto dalla guerra essi erano stati elaborati in un progetto nazionale dai contorni definiti. La
genesi di un'immagine distinta di nazione dall'esperienza della sconfitta mostra delle somiglianze
con la Francia del dopo 1870-71 e con l'elaborazione repubblicana della catastrofe tramite il parallelo tra il 1871 e il. 1792.
Conclusioni: La nazione nel mutamento interpretati-
7.
vo della violenza bellica
Nella sua opera fondamentale sul. Mediterraneo e il mondo mediterraneo nell'età
di Filippo II, Fernand Braudel osserva che «La guerra non è senz'altro l'anticiviltà. Come storici,
noi la chiamiamo sempre in causa, senza però conoscere né cercare di conoscere la sua o le sue
nature. Il fisico non ignora altrettanto la struttura della materia» 47 . Lo storico parla di guerra
perché essa entra costantemente e dolorosamente nella vita delle persone. Una storia delle cause della guerra dovrebbe però indagare, al di là dei dettagli, le scansioni di lungo periodo e Le
regolarità. Questo tema è stato qui affrontato prendendo come esempio un periodo della storia
contemporanea decisivo per la storia europea e nordamericana. Il. confronto rivela somiglianze
strutturali accanto a differenze di contenuto.
1. Il confronto tra le differenti interpretazioni della guerra ci fa vedere come in
tutte le società tra il 1854 e il 1871 sia esistito un forte nesso dinamico tra esperienze belliche e
concezioni della nazione, sia nel caso delle guerre nazionali europee sia in quello della guerra civile americana. Comune a tutte le esperienze è stata, soprattutto, la fondazione religioso-confessionale della nazione nella guerra. La guerra definiva uno spazio d'esperienza e una prospettiva per
la manifestazione del volere divino e per il rivelarsi di provvidenza e predestinazione, sacrificio,
espiazione e redenzione. Questo aspetto, che nelle guerre si tramutava in un'autosacralizzazione
45 Cfr. W. Schivelbusch, Die Kultur der Niederlage. Der Amerikanische Siiden 1865, Frankreich, 1871, Deutschland, 1918, Berlin, 2001, pp. 51-122.
46 E.A. Pollard, The Two Nations: A Key to the Histoty of the American War, Richmond,
1864, p. 16.
47 F. Braudel, Le forme della guerra, in Id., Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di
Filippo II (19825), 2 voli., Torino, 1986, vol. II, p. 887.
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Jórn Leonhard
della nazione, non è da sottovalutare nella sua funzione creativa di senso, dato che il. codice
religioso offriva una riserva pressoché illimitata d'interpretazioni, motivi e topoi per comunicare
in modo suggestivo l'elaborazione dell'esperienza. Questa funzione si è resa particolarmente evidente là dove, come in Francia, la sacralizzazione della nazione in guerra si separava dai contenuti
specificamente religiosi e il linguaggio religioso si trasferiva sul. terreno della redenzione intramondana della nazione. Tendenzialmente simile appariva anche L'effetto pervasivo sulla memoria
collettiva: sul terreno della politica delta storia e della memoria, dall'appropriazione in termini di
senso della guerra «sorsero» forme specifiche di comunità d'esperienza, di destino e di sacrificio.
Questa modalità di autocomprensione collettiva, inoltre, trascendeva le differenze tra vincitori e
vinti. Proprio dall'elaborazione delle sconfitte, dei rivolgimenti e delle perdite potevano sorgere
suggestivi e significativi progetti nazionali, come dimostrano gli esempi degli Stati americani del.
Sud dopo il. 1865 e della Francia dopo il. 1871 - non però la data epocale del. 1866 in Germania.
2. Dal. punto di vista strutturale, la guerra creò uno spazio in grado di produrre
esperienze e aspettative, ma nello stesso tempo favorì anche l'intensificarsi dei contatti, la diffusione delle idee, delle immagini e dei mezzi di comunicazione. Su questo piano, che si manteneva
per lo più a una certa distanza conoscitiva rispetto al diretto coinvolgimento negli avvenimenti
bellici, la guerra marcava una cesura nell'esperienza che imponeva una rielaborazione e un nuovo
orientamento delle interpretazioni consolidate. Come evento comunicativo la guerra produsse un
accumulo discorsivo di autointerpretazioni. Come contesto argomentativo, diede origine a punti
di riferimento, prospettive e depositi di memoria collettiva trans-generazionali per elaborazioni
del senso in chiave nazionale. La violenza si rivelò un elemento costitutivo del. politico, fondamentale soprattutto per la determinazione dello spazio politico della nazione. La guerra non
segnò affatto la fine del. dibattito politico sulla nazione, presentandosi al contrario come intensificazione e nuovo orientamento dei processi di creazione di senso.
3. Thomas Mann nella sua conferenza del 29 maggio 1949 a Washington dal
titolo La Germania e i tedeschi stabiliva, con riferimento alla Seconda guerra mondiale, una linea
negativa di continuità dello Stato nazionale tedesco: «Il. non sacro impero tedesco di nazione
prussiana, sorto dalle guerre, non poté essere altro che un impero di guerra. Come tale esso ha
vissuto, spina nella carne del. mondo, come tale va orà in rovina» 48 . La teleologia retrospettiva
di Thomas Mann era giustificata dal. profondo turbamento interiore prodotto in lui dall'ingiustizia dello Stato nazionalsocialista. Ma è davvero esistito questo Sonderweg bellicista della storia
tedesca? Il. confronto con altre esperienze potrà immunizzarci dall'attribuire alla storia tedesca
questo carattere esclusivo o, almeno, metterlo in discussione, contrapponendogli un approccio
maggiormente attento alle differenze, senza tuttavia voler negare le specifiche ipoteche di quella
storia. Tutte le società di cui si è qui parlato sono state segnate dall'esperienza della guerra nella
loro concettualizzazione della nazione, ma lo sono state in momenti diversi della loro storia, con
modalità e quindi anche con conseguenze differenti. Se le guerre francesi dal 1854 al 1871 hanno messo in luce la fragilità della politica tradizionale neobonapartista e delle sue strategie di
48 Th. Mann, La Germania e i tedeschi (1949), Roma, 1995, p. 51.
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Nati dalla guerra e macchine da guerra?
tegittimazione, nel. momento della sconfitta del 1870 sono emersi concetti di nazione ideologicamente contrapposti e con essi anche te diverse stratificazioni temporali della storia dal. 1789-92.
In nessun luogo più chiaramente che nella Francia degli anni 1792-93 e 1870-71 si è rivelato il
nesso di guerra e rivoluzione. All'auspicio di una funzione unificante e integrante del significato
della guerra si contrapponeva l'antagonismo ideologico delle diverse interpretazioni della guerra
all'interno della società: se L'elaborazione repubblicana della sconfitta dei. 1870-71 ricorreva al.
tema della Liberazione dal dispotismo, agli occhi dei conservatori borghesi e dei legittimisti La
guerra, la sconfitta e la Comune di Parigi apparivano, invece, come la prosecuzione di una storia
di perdite cominciata già con la rivoluzione del. 1789 e con te sue guerre e tuttora in corso.
A partire dagli anni Quaranta e, soprattutto, dopo il. 1848 la retorica bellicista
fece sempre più da sfondo in Germania alla proiezione di aspettative di politica nazionale. IL valore emblematico della guerra nazionale italiana del. 1859 si spiegava a partire da questo contesto,
ed esso fece da catalizzatore per te differenti concettualizzazioni della nazione mediate dalla
percezione della guerra al. di fuori detta Germania. Con la rivoluzione dello Stato prussiano del
1866 la situazione mutò. La breve, quanto alle sue forme, crisi di governo del 1866 si trasformò
agli occhi di motti esponenti borghesi del movimento nazional-liberale in una guerra nazionale
autenticamente tedesca, che incoraggiava l'alleanza con lo Stato prussiano. Ma il 1866 dimostrava anche che il rapporto tra guerra e nazione era sempre una storia di perdite, alla quale nel caso
tedesco ci si poteva accostare solo abbandonando l'angusta prospettiva della storiògrafia piccolotedesca. L'interpretazione della guerra da parte di cattolici, tedeschi meridionali e democratici
non giunse in ogni caso mai all'idealizzazione delta nazione di matrice bellicista. Se il conflitto
del 1870-71 che aveva condotto alla formazione dello Stato nazionale di matrice piccolo-tedesca
poteva certo essere ricondotto alla tradizione delle guerre nazionali vittoriose, in esso, tuttavia,
si mostravano con altrettanta chiarezza le differenti aspettative che i contemporanei associavano
alla guerra. Sul lungo periodo il nazionalismo bellicista, variamente intrecciato in Germania con
il. movimento nazionale borghese e segnato dalla duplice esperienza delle guerre contro la Francia
prima del 1815 e nel. 1870-71, avrebbe rafforzato aspettative che si richiamavano alla nazione
e allo Stato nazionale come criterio di riferimento, ma che successivamente, dopo il 1914, con
L'andamento e l'esito della Prima guerra mondiale, non sarebbe stato più possibile esaudire. Ciò
fu la premessa – a differenza di quanto avvenne negli altri casi qui trattati – di un'estrema polarizzazione politico-ideologica e del trauma social-psicologico della società tedesca dopo il 1918.
Da nessun'altra parte come in Germania, negli anni della crisi della repubblica di Weimar, la fase
successiva al 1918 rappresentò un simile prolungamento della guerra, una prosecuzione della
guerra con mezzi politici.
A differenza di quanto accadde nell'Europa continentale, la Gran Bretagna non
fece l'esperienza di una guerra nazionale nel XIX secolo, ma prima e in modo specifico. Il periodo di crisi vissuto agli albori della modernità, nel XVII secolo, ha avuto ricadute importanti
per la determinazione di lungo periodo del rapporto tra guerra e nazione. L'avversione contro
gli standing armies, alimentata dall'immagine spaventevole dell'assolutismo cattolico di conio
continentale fece sì che in Gran Bretagna il fattore militare non si ponesse al servizio della
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Jórn Leonhard
concentrazione monarchica della forza e della centralizzazione del potere, come accadde invece
negli Stati dell'Europa continentale. Al rifiuto degli standing armies si associò l'autoidealizzazione
della Gran Bretagna come nazione Liberai-costituzionale e come potenza marittima coloniale e
commerciale. Dopo il 1815, invece, gli spazi d'esperienza dell'impero, le small wars coloniali e la
Lettura in chiave di missione civilizzatrice delle guerre e degli eserciti favorirono anche in Gran
Bretagna il. sorgere di una retorica bellicista. La tradizionale autocoscienza confessionale della
propria specificità come protestant nation durante Le guerre contro La Francia, vista quest'ultima
come potenza egemone cattolica e come regime dispotico, passò in secondo piano di fronte all'elaborazione evangelica dei. Soldier of Christ. Decisiva fu la circostanza che, dopo le guerre civili
del XVII secolo e a differenza delle guerre nazionali dell'Europa continentale, per la Gran Bretagna
si trattasse sempre di guerre geograficamente lontane. Diversamente da Germania e Francia non ci
fu, pertanto, la coazione fondata sull'esperienza a formare una nazione in armi.
Ancora più evidenti appaiono le differenze se guardiamo agli Stati Uniti. Fin
dal 1776 faceva parte dell'autorappresentazione della giovane repubblica soprattutto la presa di
distanza dalle giustificazioni europee della guerra e dagli eserciti stanziali. La visione americana del. fattore militare rimase segnata da una manifesta diffidenza, in contrasto con il precoce
patriottismo e con la connotazione nazionale presente soprattutto in Francia e poi anche in Germania fino al 1815. Il. che pose un rigido limite all'influenza delle autorappresentazioni belliciste
ricalcate sui modelli europeo-continentali. Orientata in modo tipico-ideate alle premesse del repubblicanesimo classico, la repubblica non poté condurre guerre d'aggres sione, ma solo Legittime
guerre di difesa. Solo la guerra civile mise radicalmente in discussione questo modello di autorappresentazione, rafforzando però nello stesso tempo il paradigma della predestinazione religiosa
della repubblica e l'idea di una missione universale della nazione americana. Più fortemente che
nelle storie, dalle alterne vicende, di guerra e nazione dell'Europa continentale, queste modalità
interpretative si sono mantenute per molti aspetti fino a oggi. Dopo la Prima guerra mondiale
e soprattutto dopo la Seconda sono state dislocate da un quadro di riferimento esclusivamente
americano a un quadro globale.
4. Le guerre dal 1914 al 1945 hanno implicato nelle loro proiezioni ideologiche
la massima affermazione dell'idea dell'integrazione nazionale e nello stesso tempo, sul lungo
periodo, la fine degli Stati nazionali classici di matrice europea. Ernst Jùnger ha fissato questo
Momento storico di passaggio nella sua annotazione del 10 novembre 1942. In occasione dell'occupazione americana del Nordafrica scriveva: «il tipo di coinvolgimento che in me ho osservato
di fronte alla storia contemporanea è quello di un uomo che si sente più coinvolto in una guerra
civile mondiale che non in una guerra mondiale. [Io] sono perciò coinvolto in conflitti del tutto
diversi rispetto a quelli degli Stati nazionali in lotta. Questi ultimi verranno superati nel corso
degli eventi»49 . Con il bellum civile generalizzato ebbe contemporaneamente fine il secolo europeo
delle guerre nazionali. Solo la doppia esperienza di due guerre distruttive con un numero senza
49 E. Jiinger, Tagebucheintrag, 10. November 1942, in Id., Kaukasische Aufzeichnungen,
Werke, vol. 2: TagebOcher 11, Stuttgart, 1949, p. 433; cfr. anche D. Diner, Das Jahrhundert verstehen.
Eine universalhistorische Deutung, Frankfurt a.M., 2000, pp. 21 ss.
in Id.,
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Nati dalla guerra e macchine da guerra?
precedenti di vittime ha profondamente scosso e delegittimato in Europa il modello classico d'interpretazione della nazione e dello Stato nazionale, nonché il potenziale legittimante bellicista a
esso inerente. È stata anche la storia catastrofica del. bellicismo e delle sue ideologie legittimanti
che, dopo tre fasi di intense esperienze di guerra tra il. 1756 e il 1792-1815, tra il. 1854 e il. 1871
e tra il 1914 e il. 1945, ha aperto 1.e società europee alle nuove forme d'integrazione transnazionale. Almeno, quell'Europa, dal. cui centro continentale nel XVIII secolo si era affermato il. nesso
di guerra e nazione, è oggi uno spazio pacifico.
Jarn Leonhard, Historisches Institut F. Schiller -Universitàt Jena
(Traduzione dal tedesco di Furio Ferraresi)
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