Il sistema hegeliano: l’impianto teologico nella struttura della “Fenomenologia dello spirito” Quanto alla «genesi e alla struttura della fenomenologia dello spirito di Hegel» è bene notare, preliminarmente, che la prefazione è stata stesa successivamente alla redazione dell’opera (e come tale ne costituisce un’”aggiunta”, un compendio che chiarisce i fini per i quali è sorta l’opera), mentre, l’introduzione accompagna e segna, ab initio, l’intero iter della stessa. È proprio nell’introduzione che l’Autore esplicita gli sviluppi del percorso fenomenologico, chiarendo i tre momenti che costituiscono l’ossatura dell’impianto sistemico1: coscienza, autocoscienza, ragione e segnando, in tal guisa, un punto discriminante rispetto alla sezione finale della Fenomenologia che comprende gli sviluppi concernenti lo Spirito e la Religione i quali spostano in avanti il baricentro del discorso, e proiettano oltre, almeno rispetto ai punti presi in esame, stricto sensu, nell’introduzione. Il primo problema che è necessario esaminare è quello della conoscenza, essendo la fenomenologia il percorso della coscienza o, come qualcuno ha scritto, la «storia romanzata della coscienza, che attraverso erramenti, contrasti, scissioni, e quindi felicità e dolore, esce dalla sua individualità raggiunge l’universalità e si riconosce come ragione che è realtà e realtà che è ragione2». Scrive Hegel3: L’esperienza che la coscienza fa di sé, non può, secondo il concetto dell’esperienza stessa, comprendere in sé meno dell’intero sistema della coscienza, ossia l’intero regno della verità dello spirito; […] Sospingendo la coscienza se stessa verso la sua 1 Cfr. J. Hyppolite, Genesi e struttura della «Fenomenologia dello spirito» di Hegel, tr. it., pg. 263, La Nuova Italia, 1972, Firenze «Nella Fenomenologia del 1807 […] Hegel considera sempre il medesimo movimento dialettico esprimentesi in questi tre momenti: la coscienza, l’autocoscienza, la ragione. La coscienza, nel senso stretto del termine, considera l’oggetto come altro dall’io, è l’essere-in-sé. Ma lo sviluppo della coscienza conduce all’autocoscienza per cui l’oggetto è soltanto l’io stesso. […] Il contenuto della coscienza è tanto in sé quanto per la coscienza. Il sapere un oggetto è sapere sé e il sapere sé è sapere l’essere in sé. Tale identità di Pensiero ed Essere si chiama ragione ed è la sintesi dialettica della coscienza e dell’autocoscienza, ma questa sintesi è possibile solo se l’autocoscienza è veramente divenuta in sé autocoscienza universale.» 2 N. Abbagnano, G. Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, III vol., pg 166, Paravia, 1996, Torino cfr. J. Hyppolite, Genesi e struttura della «Fenomenologia dello spirito» di Hegel, tr. it., pg. 14-18 e 267, La Nuova Italia, 1972, Firenze In particolare si legge a pg.18: «[…] La Fenomenologia è una storia concreta della coscienza, il suo uscire dalla caverna e salire alla scienza.» 3 Hegel, Fenomenologia dello spirito, tr. it. a cura di Enrico De Negri, pg. 57 [introd. §17], La Nuova Italia, 2001, Milano esistenza vera, raggiungerà un punto nel quale depone la sua parvenza di essere inficiata di un alcunché di estraneo, che è solo per lei ed è come un altro; o dove l’apparenza diviene eguale all’essenza, dove, quindi, la presentazione della coscienza coincide proprio con questo punto della scienza dello spirito propriamente detta; e dove infine, nel cogliere questa sua essenza, la coscienza medesima segnerà la natura dello stesso sapere assoluto. La conoscenza è sapere dell’Assoluto, è il sapere sé dell’Assoluto, attraverso il dispiegamento del sapere nella coscienza che si conosce fino ad elevarsi a spirito conoscentesi nel farsi del suo «sapere fenomenico»: «La Fenomenologia non è una noumenologia o un’ontologia; eppure resta ancor sempre una conoscenza dell’Assoluto […] Ma invece di esporre la scienza dell’Assoluto in sé e per sé, Hegel considera il sapere quale esso è nella coscienza e al sapere assoluto si innalza movendo da tale sapere fenomenico autocriticantesi4». A differenza della filosofia dell’Assoluto schellinghiano5 e della presunta «dualità» tra sapere fenomenico e sapere assoluto soluta nell’indifferenziazione della medesimezza nell’Assoluto in cui si immola la connotazione del particolare sull’altare del Tutto indistinto pervenendo ad un «formalismo monocromatico» e ad una «conoscenza fatua6», Hegel, innestandosi sul binario della tradizione filosofica a lui immediatamente precedente7, ritorna al sapere fenomenico, al «sapere della coscienza comune8», ma per rendere evidente come esso risalga al sapere assoluto o, piuttosto, come il primo sia il sapere sé dell’Assoluto che si riconosce nel farsi fenomenicamente, nel procedere esperienziale che la coscienza compie dell’oggetto di conoscenza che è, sempre, oggetto per la coscienza. La sostanza viva è bensì l’essere il quale è in verità Soggetto, o, ciò che è poi lo stesso, è l’essere che in verità è effettuale, ma soltanto in quanto la sostanza è il movimento del porre se 4 J. Hyppolite, Genesi e struttura della «Fenomenologia dello spirito» di Hegel, tr. it., pg. 9, La Nuova Italia, 1972, Firenze 5 Almeno in riferimento alla necessità sollevata nel Bruno di dover porre accanto ad un sapere fenomenico uno assoluto 6 Hegel, Ibidem, prefaz., pg. 9-10, §15-16 7 Specificatamente a Kant e Fichte 8 È bene sottolineare che quando Hegel parla di «coscienza comune» egli non intende mai la coscienza come «una cosa, un esser-ci (da-sein) determinato ma è sempre al di là di sé, oltrepassa se stessa, si trascende. Questa esigenza trascendentale costituisce la natura della coscienza in quanto tale.»; cfr Hyppolite, Ibidem, pg. 22 2 stesso, o in quanto essa è la mediazione del divenir-altro-da-sé con se stesso9. In tal guisa «il sapere assoluto non è abbandonato, sarà il traguardo di uno sviluppo della coscienza10» e il sapere sé dell’Assoluto sarà in quanto sapere la coscienza e si procederà verso la medesima direzione, il sapere fenomenico elevandosi a sapere assoluto e questo sapendo sé attraverso il sapere della coscienza. Scrive Hartmann11: Hegel scorge qui nell’assoluto ciò ch’è insieme unitario e molteplice, in quanto è ciò che comprende se stesso. La sua autodifferenziazione è necessariamente autoraddoppiamento e nel raddoppiamento muove incontro a sé come l’altro. Come questo altro è il mondo, e come mondo è a sua volta oggetto della conoscenza. Che il metodo adottato dal Nostro sia descrittivo12 del dispiegarsi della scienza dell’esperienza della coscienza e non costruttivo risulta dal passaggio graduale, dalle tappe e dalle «figurazioni» della coscienza che partendo dalla certezza sensibile si innalza fino al sapere assoluto; la Fenomenologia essendo «l’itinerario dell’anima elevantesi allo spirito attraverso la mediazione della coscienza13» che esperisce a partire dal fenomeno, ovvero dall’oggetto che le si presenta come oggetto di conoscenza segnerebbe quel ritorno «alle cose stesse» di cui, seppur con le dovute differenze, avrebbe parlato Husserl14. Vero e sapere sono due momenti dello sviluppo della coscienza che cadono entrambi all’interno della coscienza medesima, in cui si rapportano e tale 9 Hegel, Ibidem, prefaz., pg. 10, §18 J. Hyppolite, Ibidem, pg. 12 11 N. Hartmann, La filosofia dell’idealismo tedesco, tr. it.di Bruno Bianco, a cura di V. Verra, Mursia, 1972, Milano, pg. 294 12 «La Fenomenologia […] non è tanto una riduzione dell’esperienza del vivere della coscienza a dei termini logici quanto piuttosto una descrizione [corsivo nostro] di tale vita che assume una certa forma logica»; cfr. J. Hyppolite, Ibidem, pg. 26 Si apre qui l’importante capitolo, che resterà soltanto accennato perché esula dalle finalità di questo lavoro, di come nella Fenomenologia siano già in opera categorie logiche, cioè del substratum logicospeculativo che soggiace alla struttura dello spirito immediato; difatti risultato della Fenomenologia è il «concetto [corsivo nostro] della scienza». In più punti N. Hartmann (op. cit.) nota l’importanza del concetto all’interno della Fenomenologia e dello spostamento dal räsonnierendes Denken al begreifendes Denken che opera Hegel perché «il significato del concetto stesso deve mutare, deve scomparire l’esteriorità dei predicati e la loro molteplicità dev’essere intesa come l’essenza dispiegatensi dell’oggetto medesimo (del soggetto). Anzi quest’essenza dell’oggetto […] deve mostrarsi come il concetto stesso, come il suo nucleo più intimo, la sua verità. [...] Ogni altro pensiero non concepisce nei suoi predicati il soggetto, bensì gli gira attorno.» (op. cit. pg. 244) 13 J. Hyppolite, Ibidem, pg. 16 14 J. Hyppolite, Ibidem, pg., 12 10 3 rapporto è per l’appunto l’esperienza15; la conoscenza della coscienza è sapere sé (il vero) attraverso il sapere dell’oggetto di conoscenza («ciò che lei [la coscienza] tiene per vero»). Il conoscere il vero trasmuta quando essa si accorge dell’inadeguatezza dell’oggetto a cui si rivolge l’indagine della gnosi; ma è proprio nell’oggetto che la coscienza, cercando il sapere sé, scopre quella negatività che la porterà a ri-porsi mutata nei confronti dell’oggetto d’esperienza realizzando l’Aufhebung direzionato verso il «divenire a sé un altro, ossia oggetto del suo Sé, e togliere questo esseraltro16». Dal momento in cui la coscienza direziona la sua indagine sull’oggetto che le è proprio oggetto di conoscenza e scopre che il fenomeno è qualcosa che è per lei e che va risolto in se stessa, essa si riconosce come autocoscienza: «nel sapere la natura l’intelletto sa dunque se stesso; il suo sapere l’Altro è un sapere sé, un sapere il sapere, e il mondo è “il grande specchio” in cui la coscienza scopre se stessa17». L’attività dell’autocoscienza è principalmente un sapere «pratico», nel senso che l’in sé del mondo diviene in essa il suo per sé, la logica del suo sviluppo decisivo per eleggere il sapere l’Altro (=la natura) a sapere sé. Nell’essere un superamento del sapere della coscienza, ovvero un “in più” (per cui si configurerebbe come la “verità della coscienza), tale autocoscienza realizza in sé il riconoscimento del sapere l’Altro come un sapere sé e si presenta, in contrapposizione alla coscienza, come «la coscienza attiva». Proseguendo nell’analisi del percorso fenomenologico si riscontra l’inadeguatezza dell’agire di questa «coscienza attiva» sicché, se essa ha costituito il polo dialettico opposto alla coscienza «teorica» e, dunque, il suo superamento, tanto l’essere (=coscienza teorica, ovvero la figura della coscienza) quanto l’agire (=coscienza pratica o attiva, ovvero l’autocoscienza) troveranno nella “superiore” figura della ragione la loro identità18: «L’io è in sé universale ma deve divenirlo per sé, così che le sue determinazioni si manifestino come le determinazioni stesse delle cose e il suo pensare sé sia in pari tempo il pensare l’oggetto19». Nella struttura della Fenomenologia l’ampia sezione concernente la religione precede immediatamente quella del sapere assoluto. La religione è propriamente il momento in cui lo Spirito acquista coscienza di sé, «è già la presentazione della verità speculativa ma in un elemento particolare20», nella forma della rappresentazione21. Se, soprattutto nelle Jugendschriften, 15 cfr. J. Hyppolite, Ibidem, pg. 30-31 Hegel, Ibidem, prefaz. §36, pg. 21 17 J. Hyppolite, Ibidem, pg. 175 18 cfr. J. Hyppolite, Ibidem, pg. 177-178 cfr. nota 1 di questo elaborato 19 J. Hyppolite, Ibidem, pg. 263 20 J. Hyppolite, Ibidem, pg. 653 21 Nella terminologia hegeliana la parola rappresentazione (Vorstellung) indica «il suo carattere intermedio, che è più generale della sensazione o intuizione, ma più particolare del concetto» (Dizionario della filosofia, Garzanti, pg. 951, 1993, Milano 16 4 gli influssi della visione mistica, «profetica», della religione di Schleiermacher sono presenti in Hegel22, il suo pensiero «sulla religione, quale appare nella Fenomenologia, è lontano da simili discorsi profetici, ma anche perfettamente in linea con questi quanto a scoprire nella religione una forma superiore dello spirito». La religione è il passo immediatamente precedente al completo sviluppo dello spirito, è «l’autocoscienza dello spirito23» e non ancora lo spirito assoluto perché è il sapersi dello spirito nell’elemento della Vorstellung: Più propriamente, lo spirito nell’immediatezza dell’autocoscienza è questa autocoscienza singola opposta all’autocoscienza universale; esso è Uno esclusivo, che per la coscienza, per la quale è là, ha la forma, ancora irrisolta, di un Altro sensibile; questo non sa ancora lo spirito come spirito suo; ossia lo spirito, a quel modo che è Sé singolo, non è ancora là come Sé universale, come ogni Sé. Ovverosia, la figura non ha ancora la forma del concetto, cioè del Sé universale, del Sé che nella sua effettualità immediata è altrettanto Tolto, pensare, universalità, - senza perdere quella in quest’ultima. – Ma la prima ed essa medesima immediata forma di tale universalità non è già la forma del pensare stesso, del concetto come concetto […]24 Il ripresentarsi della dialettica triadica all’interno della sezione dello spirito assoluto che culminerà con la filosofia permette di leggere la religione, largo sensu, come il momento dell’autocoscienza (dello spirito), intesa stricto sensu nella struttura generale della Fenomenologia25: precisamente Si legge in Hegel (ibidem, La religione disvelata §96, pg.469): «La rappresentazione costituisce il medio fra il puro pensare e l’autocoscienza come tale, ed è solo una delle determinatezze; ma in pari tempo, come si è visto, il suo carattere è di essere il collegamento sintetico esteso su tutti questi elementi e sulla loro determinatezza comune.» 22 cfr. J. Hyppolite, Ibidem, pg. 656-657 Bisogna sottolineare che per Schleiermacher la religione supera il pensiero filosofico o, quanto meno, egli con-fonde i due piani, cosa che lo Hegel della Fenomenologia separa nettamente, ponendo la religione un passo indietro rispetto all’autocomprensione completa dello spirito nella forma del concetto. 23 J. Hyppolite, Ibidem, pg. 657 24 Hegel, Ibidem, La religione disvelata §91, pg. 467 25 A tal proposito cfr. J. Hyppolite, op. cit., pg. 663 Si legge anche: «In queste pagine [quelle concernenti la religione] Hegel riassume tutti i momenti precedenti della coscienza dal punto di vista della religione. Ma in essi si trattava soltanto di una coscienza dell’essenza assoluta, non ancora dell’autocoscienza di tale essenza» (J. Hyppolite, op. cit., pg. 658, nota 11) 5 come il farsi autocoscienza dell’essenza e, di converso, il farsi essenza dell’autocoscienza, ovvero il farsi uomo di Dio; «Dio come essenza astratta si fa in lui autocoscienza, non più attraverso la mediazione di una produzione della coscienza, ma immediatamente secondo una necessità sensibile che rivela come le due nature, divina e umana, siano identiche 26». L’incarnazione di Cristo costituisce il farsi esserci dell’in sé divino, che dispiega nell’essenza rivelatensi il proprio sé: «Cristo è apparso, un uomo che è Dio e Dio che è uomo. Questa è la verità assoluta della religione assoluta. È tale verità che l’Incarnazione fa emergere al per-sé e, di conseguenza, all’in-sé-per-sé27». Il momento della «positività storica» è già contenuto nel concetto che si fa «esistenza, esserci, restando concetto nel suo esserci28»; la positività29 del Cristo è quell’autocoscienza umana che tiene ferma in sé l’essenza tanto quanto il suo essere sensibile (come figura storica) sicché «qui videt me videt et Patrem30». L’esistenza del Cristo riflette un sapere dell’intero percorso dell’infinito, un sapersi speculativo del Dio “fatto uomo”, del Sé singolo elevato a essenza e dell’essenza “alienata” a Sé singolo: «Gesù è l’Uomo per eccellenza, e perciò il Figlio di Dio, il che lo predispone ad essere un simbolo dialettico che rinvia ad un significato fuori di lui. […] Attinge alla fonte, all’Assoluto, per questo l’apostolo ha riconosciuto in lui il generato da Dio, il “Figlio della Vita”31». Rispetto alla filosofia della religione, così come era stata interpretata dalla tradizione filosofica precedente (Kant, Fiche), Hegel attua un’inversione di rotta in direzione di un recupero della figura di Cristo legato (teologicamente) al Padre e vivente nella comunità cristiana come Santo Spirito, come legame inscindibile d’amore32. Se Kant, in questo vessillifero dell’Aufklärung, attua la «distinzione tra il “Maestro del vangelo” e l’Idea del Cristo», soffermandosi sulla «dicotomia di una pura religione morale e di una fede ecclesiastica33», per Hegel «è finita con il maestro e il modello di moralità, in generale con l’obbedienza kantiana. Gli ispiratori sono Giovanni e Paolo e non più i Sinottici. Gesù non appare più come il maestro di morale e l’educatore alla libertà, né come il Messia e il Modello 26 J. Hyppolite, Ibidem, pg. 689 Cfr. anche X. Tilliette, Il Cristo della filosofia, Morcelliana, Brescia, 1997, pg. 206 27 X. Tilliette, Il Cristo della filosofia, op. cit., pg. 119 28 J. Hyppolite, Ibidem, pg. 690 29 cfr. X. Tilliette, La cristologia idealista, Queriniana, Brescia, 1993 «[…] È l’aspetto dogmatico che interessa di più Hegel, e non l’aspetto morale o storico. La positività della religione cristiana prende il sopravvento sulla predicazione morale del rabbi di Nazaret.» (pg. 82) 30 Giovanni, XIV, 9 31 X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 81 [corsivo nostro] 32 Si legge in X. Tilliette: «Gesù inventa l’amore mistico che rimette i peccati e riconcilia la vita con se stessa: il peccato non è più percepito come trasgressione, ma come destino che può conoscere la guarigione.» (La cristologia idealista, op. cit., pg. 80) 33 X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 34 6 divinizzati, ma sotto le specie speculative del Conciliatore, Riconciliatore che ha voluto superare nell’amore i duri antagonismi della vita34». L’esame cristologico si fa più profondamente teosofico e la figura della coscienza infelice35 solca anche il terreno della religione disvelata, ancorata nel profondo dolore della morte del Cristo, ma redenta dalla mirabile Pasqua di resurrezione che presenzializza quell’«eterno nel tempo» di eco kierkegaardiana36 che è la comunità riunita nel nome di Cristo37: Ubi enim sunt due vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum38. Il momento della sofferenza, della pura negatività rappresenta il polo dialettico antitetico all’immediatezza ipostatizzata di una “quiete” nihilificante in se stessa e spacca il selciato della coscienza penetrandola e con-ducendola ad una metabasi di ri-trovata quiescenza nella totale ed edificante coincidentia oppositorum: La morte […] è la più terribile cosa; e tener fermo il mortuum, questo è ciò a cui si richiede la massima forza la bellezza senza forza odia l’intelletto, perché questo le attribuisce dei compiti ch’essa non è in grado di assolvere. Ma non quella vita che inorridisce dinanzi alla morte, schiva della distruzione; anzi quella che sopporta la morte e in essa si mantiene, è la vita dello spirito39. 34 X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 80 Si legge più avanti: «È proprio qui [nelle figure della sofferenza di Cristo] che il pensiero di Hegel produrrà il più grande sforzo di comprensione e riuscirà a cancellare le vestigia del purismo kantiano.» (X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 82) 35 «Il deciframento della negatività, del male, della sofferenza, della morte, è il compito austero del filosofo, il quale trova una conferma nel segno della croce. È ciò che indica la celebre formula, detta en passant, della prefazione della Filosofia del diritto: trovare la rosa della ragione nella croce del presente.» ( X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 84) Cfr. anche nota 47 Cfr. anche X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 108 36 Anche il Tilliette sottolinea il carattere di “affinità” che legherebbe due pensatori così lontani negli esiti teoretici, forse l’uno all’opposto dell’altro, come Hegel e Kierkegaard. Si legge a proposito: «[…] L’uomo-Dio o il Verbo incarnato, che è il vero “metafisico nell’uomo”» si può tradurre in termini più filosofici come «[…] l’eterno nel tempo, il Singolare Universale, l’Immagine, la Mediazione, il Paradosso… queste due ultime traduzioni (Hegel e Kierkegaard) rappresentano facce opposte della stessa appercezione.» (X. Tilliette, Il Cristo della filosofia, Morcelliana, op. cit., pg. 143) Cfr. anche H. Küng, Incarnazione di Dio, Queriniana, 1972, Brescia, pg. 16 37 «L’altro aspetto dell’infinito dolore o dell’assoluta separazione è la riparazione, la riconciliazione in Cristo come storia di Dio. Ma supponeva sempre l’infinito dolore, la lacerazione naturale […] giacché la religione deve produrre eternamente il dolore per riconciliarlo eternamente.» (X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 104) Cfr. X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 109 Cfr. X. Tilliette, Il Cristo della filosofia, op. cit., pg. 100 38 Matteo, XVIII, 20 39 Hegel, Ibidem, Pref. § 32, pg. 19 7 Hegel svolge in senso cristologico e certamente non ateistico il tema della morte di Dio40 (Gottlosigkeit) che «rappresenta per la coscienza infelice al tempo stesso il tragico e la molla, lo stimolante della sua ricerca, […] la condizione della sua rinascita spirituale nella comunità41». In essa è tolta la semplicità dell’individualità e l’immediatezza della particolarità, mentre vive e respira lo spirito assurto a «coscienza universale di sé», all’essente in sé: «questo è il senso (speculativo) del trapasso dell’individuo divino [il Cristo incarnato] mediatizzato dalla comunità42» che rappresenta proprio la riconciliazione ed il traducere43 del Verbo divino. […] In quanto la sua morte non ha ancora compiuta la conciliazione, il mediatore è l’unilateralità che sa la semplicità del pensare come l’essenza in opposizione all’effettualità; questo estremo del Sé non ha ancora valore eguale a quello dell’essenza: ciò che il Sé ha soltanto nello spirito. La morte di tale rappresentazione contiene dunque nel medesimo tempo la morte dell’astrazione dell’essenza divina che non è posta come Sé. La morte è il sentimento doloroso della coscienza infelice: che Dio stesso è morto44. Ma l’immagine del Cristo crocifisso, del Dio che «spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini 45», fedele agli uomini usque ad mortem, mortem autem crucis, segna, per lo Hegel letto dal Tilliette, l’intero percorso della storia, sicché «la storia è così il Calvario dello spirito assoluto, la consacrazione della Croce46». La filosofia è, dunque, Verbum Crucis, Lògos tou stauroù, Theologia Crucis47, ed Hegel «il filosofo dell’esinanizione […] e della Croce al punto che si è potuto 40 Se questa è la visione che propone X. Tilliette, non parimenti è la posizione che espone H. Küng, il quale ha intravisto in Hegel il profeta che «ha compreso l’ateismo moderno in modo post-ateistico», anticipando i temi propri della filosofia nietzscheana e inaugurando «la storia dell’epoca moderna sotto l’insegna della parola della morte di Dio» (H. Küng, op. cit., pg. 207-221) 41 X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 83 42 X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 109 43 Lo stesso Tilliette usa il termine “traduzione, tradurre,…”. Cfr. X. Tilliette, Il Cristo della filosofia, op. cit., pg. 118-119 44 Hegel, Ibidem, La religione disvelata § 114, pg. 480 45 San Paolo, Fil. 2, 7 46 X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 84 47 La Croce rappresenta l’emblema dell’esinanizione (Entäusserung) e al contempo «rivela la vita di Dio e completa l’Incarnazione. Il processo teogonico attraverso cui Dio vive eternamente, passa per l’alterità, la negazione, la morte.» (X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 113). Ma attraverso la Croce è possibile leggere l’intero sistema della Fenomenologia che si poggia «su uno schematismo cristologico» o, meglio, che si articola «sulla figura della Croce.» (X. Tilliette, Il Cristo della filosofia, op. cit., pg. 116) 8 descrivere il sistema come una immensa staurologia48». Persino l’epilogo della Fenomenologia richiamerebbe, in quel «Calvario dello Spirito Assoluto49», il «Venerdì Santo speculativo50» e non solo quello storico51. Se distintamente si può parlare nel corso della storia del pensiero filosofico di un’attenzione al problema di Dio, sì da poter distinguere una Philosophia Christus da una Philosophia Christi52, con Kant e rivedutamente con Hegel si trapassa nell’Idea Christi che è «così la molla di un’intelligenza filosofica di Cristo53» attraverso la quale, tanto il filosofo quanto il teologo, esprimono il problema cristologico, che, per l’appunto, è significato dall’Idea Christi. Con Hegel, coerentemente con il “programma” cristologico, si apre la strada per l’approfondimento teorico del rapporto tra il «Gesù storico» ed il Cristo della fede, ossia il Cristo vivente della (nella) comunità. 48 X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 88 «La Croce che simboleggia la morte e la trasfigurazione diventa l’asse della totalità – stat crux, dispiegantesi in un’immensa staurologia, philosophia Crucis.» (X. Tilliette, Il Cristo della filosofia, op. cit., pg. 116-117) 49 Hegel, Ibidem, pg. 496 50 È così che Hegel in Fede e sapere rende la punta estrema dell’esinanizione, la mors turpissima della Croce. Cfr. X. Tilliette, Il Cristo della filosofia, op. cit., cap. IV, pg. 247-256 51 «La linea principale è la proclamazione, il manifesto di una filosofia che ha assunto la disperazione e la negatività più estrema, la morte.» (X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 100) Cfr. X. Tilliette, La cristologia idealista, op. cit., pg. 98-114 52 Con Philosophia Christus si considera un’equazione ellittica che identificherebbe la filosofia con la figura del Cristo: la nostra filosofia è Cristo. Con Philosophia Christi, termine legato all’opera di Erasmo, si intende «una sapienza cristiana, ispirata da Cristo». Cfr. X. Tilliette, Il Cristo della filosofia, op. cit. 53 X. Tilliette, Il Cristo della filosofia, op. cit., pg. 99 9 Bibliografia V. Verra, Introduzione a Hegel, Laterza, 1989, Bari, pg. 3-96 M. Guidotti, La concezione morale del mondo. Hegel critico dell’etica Kantiana, CUSL, 2002, Milano Hegel, Fenomenologia dello spirito, tr. it. a cura di E. De Negri, La Nuova Italia, 2001, Milano, pg. 1-57; 459-496 N. Hartmann, La filosofia dell’idealismo tedesco, ed. it. a cura di V. Verra, Mursia, 1960, Milano, pg. 239-361 J. Hyppolite, Genesi e struttura della «Fenomenologia dello spirito» di Hegel, La Nuova Italia, 1972, Firenze X. Tilliette, La cristologia idealista, Queriniana, Brescia, 1993 X. Tilliette, Il Cristo della filosofia, Morcelliana, Brescia, 1997 H. Küng, Incarnazione di Dio. Introduzione al pensiero teologico di Hegel, prolegomeni ad una futura cristologia, Queriniana, 1972, Brescia, pg. 15-39; 207-221 10 Università degli studi di Milano Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di laurea in Filosofia Seminario di Storia della filosofia contemporanea Il sistema hegeliano: l’impianto teologico nella struttura della “Fenomenologia dello spirito” Prof. R. Pettoello Dott. E. Colombo Studente: Giacomo Virone 11 Milano, Dicembre 2002 12