UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO Dottorato di Ricerca in Diritto Commerciale Interno e Internazionale Ciclo XXV S.S.D.: IUS/04 I PATTI PARASOCIALI OCCULTI TRA OPA OBBLIGATORIA E TUTELA DELL’INVESTIMENTO Tesi di Dottorato di: Simone LEGNANI Matr. N° 3811951 Anno Accademico 2011/2012 UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO Dottorato di Ricerca in Diritto Commerciale Interno e Internazionale Ciclo XXV S.S.D.: IUS/04 I patti parasociali occulti tra opa obbligatoria e tutela dell’investimento Coordinatore: Ch.mo Prof. Duccio Regoli Tesi di Dottorato di: Simone Legnani Matricola: 3811951 Anno Accademico 2011/2012 Indice Pag. Capitolo I La trasparenza dei patti parasociali: rapporti tra fattispecie e profili di disciplina 1. Precedenti storici in tema di trasparenza e piano dell’indagine. 2. La trasparenza dei patti parasociali nella disciplina codicistica e nel T.U.F.: rapporti tra fattispecie. 3. Segue: il requisito della stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società: significato e portata applicativa. 4. Segue: la natura del requisito della stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società tra interpretazioni “soggettivistiche” e “oggettivistiche”. 5. Ulteriori problemi di interpretazione delle fattispecie: la rilevanza dei patti a carattere occasionale e di quelli conclusi in vista di singole assemblee. 6. Segue: l’obbligo di pubblicità dei c.d. gentlemen’s agreements. 7. Profili di disciplina dell’art. 2341-ter c.c.: i poteri degli organi sociali in caso di omessa pubblicità dei patti e il patto occulto stipulato nella società controllante una s.p.a. “aperta”. 8. Conseguenze della mancata pubblicità dei patti stipulati nella società controllante una società con azioni quotate. 9. La trasparenza delle modifiche e il rinnovo tacito non pubblicizzato dei patti parasociali rilevanti. 1 4 8 17 25 27 31 32 40 43 Capitolo II I patti parasociali occulti tra opa obbligatoria e problema della prova Sezione I - Patti parasociali occulti, azione di concerto e opa obbligatoria 1. Inquadramento normativo: gli artt. 101-bis e 109 T.U.F. e la fattispecie dell’azione di concerto. 2. L’accordo “volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società emittente” (o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio). 3. Il patto parasociale (anche nullo) quale presunzione di concerto: i limiti di rilevanza del c.d. conscious parallelism. 4. Il fenomeno del controllo nella nozione di azione concertata: ammissibilità di una prova liberatoria. 5. Segue: possibili obiezioni all’ammissibilità della prova liberatoria e loro critica. 6. Segue: ulteriori profili di rilevanza dello scopo di acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società (o di contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio). 7. Il valore dei gentlemen’s agreements nella disciplina del concerto e dell’opa obbligatoria. 8. La successione temporale dei due presupposti dell’opa obbligatoria: l’acquisto di azioni e la stipulazione del patto parasociale. 9. Segue: accertamento dei patti parasociali occulti e permanenza delle condotte attuative; la rilevanza dei patti a carattere occasionale. 10. Modifiche occulte dei patti parasociali ed effetti della risoluzione del patto sull’obbligo di offerta. 47 54 57 69 81 85 88 90 98 101 Sezione II - Profili concernenti la prova dei patti parasociali occulti 11. La prova per presunzioni dei patti parasociali mantenuti segreti: principi generali. 12. Segue: prova dell’esistenza dei patti parasociali e principio dell’apparenza giuridica. 13. Segue: i patti parasociali occulti tra negozi indiretti e simulazione. 14. Segue: il ruolo dei derivati nell’accertamento di un patto parasociale occulto e la recente casistica. 2 107 114 116 130 Capitolo III I patti parasociali occulti nella prospettiva dei rimedi: le tutele dei soci estranei e degli investitori 1. Il successivo sviluppo della trattazione. 2. La responsabilità da mancata opa: natura e danno risarcibile. 3. Il patto parasociale occulto come ipotesi di informazione privilegiata non rivelata al mercato. 4. Il rapporto tra la responsabilità da mancata opa e la responsabilità civile da insider trading a fronte della scoperta di un patto occulto. 5. L’insider trading da patto occulto tra responsabilità risarcitoria e applicabilità di rimedi contrattuali. 6. I patti parasociali occulti come ipotesi di aggiotaggio. 7. Patti parasociali occulti e (semplice) responsabilità per omessa informazione. 8. La responsabilità da mancata disclosure dei patti parasociali nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. 134 135 151 160 174 183 187 193 196 Indice delle opere citate 3 Capitolo I La trasparenza dei patti parasociali: rapporti tra fattispecie e profili di disciplina Sommario: 1. Precedenti storici in tema di trasparenza e piano dell’indagine. - 2. La trasparenza dei patti parasociali nella disciplina codicistica e nel T.U.F.: rapporti tra fattispecie. - 3. Segue: il requisito della stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società: portata applicativa e significato. - 4. Segue: la natura del requisito della stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società tra interpretazioni “soggettivistiche” e “oggettivistiche”. - 5. Ulteriori problemi di interpretazione delle fattispecie: la rilevanza dei patti a carattere occasionale e di quelli conclusi in vista di singole assemblee. 6. Segue: l’obbligo di pubblicità dei c.d. gentlemen’s agreements.- 7. Profili di disciplina dell’art. 2341ter c.c.: i poteri degli organi sociali in caso di omessa pubblicità dei patti e il patto occulto stipulato nella società controllante una s.p.a. “aperta”. - 8. Conseguenze della mancata pubblicità dei patti stipulati nella società controllante una società con azioni quotate. - 9. La trasparenza delle modifiche e il rinnovo tacito non pubblicizzato dei patti parasociali rilevanti. 1. Precedenti storici in tema di trasparenza e piano dell’indagine. Come è noto, gli studi aventi ad oggetto i patti parasociali si sono concentrati per diversi decenni attorno al problema della loro validità.1 In assenza di norme generali che disciplinassero questo fenomeno - che, peraltro, veniva a diffondersi in maniera crescente nella realtà delle imprese societarie italiane 2 una funzione di regolamentazione era svolta dalle diverse leggi speciali che si susseguivano nel corso degli anni, le quali, tuttavia, lungi dall’adottare un approccio sistematico, si limitavano a dettare disposizioni di carattere settoriale, strettamente funzionali alla materia che le stesse normative specifiche avevano ad oggetto. 1 Per una panoramica del dibattito portato avanti nel passato dalla dottrina, si vedano in particolare G. ROSSI, Le diverse prospettive dei sindacati azionari nelle società quotate e in quelle non quotate, in Riv. soc., 1991, 1353 ss.; LIBONATI, Riflessioni critiche sui sindacati di voto, in Riv. dir. comm., 1989, I, 513 ss.; JAEGER, Il problema delle convenzioni di voto, in Giur. comm., 1989, I, 201 ss.; VISENTINI, I sindacati di voto: realtà e prospettive, in Riv. soc., 1988, 1 ss.; SALANITRO, Il regime dei sindacati azionari, in Riv. soc., 1988, 743 ss.; OPPO, Le convenzioni parasociali tra diritto delle obbligazioni e diritto delle società, in Riv. dir. civ., 1987, I, 517 ss.; FARENGA, I contratti parasociali, Milano, 1987; ID., Sindacati di voto, sindacati di blocco e poteri della Consob in ordine alla trasparenza del mercato azionario, nota a Pret. Roma, 19 luglio 1986 (decr.), in Riv. dir. comm., 1986, II, 470 ss.; UBERTAZZI, Sindacati azionari e attività d’impresa, in Dir. banca e merc. fin., 1987, 211 ss; SANTONI, Patti parasociali, Napoli, 1985; nonché i più antichi lavori di COTTINO, Le convenzioni di voto nelle società commerciali, Milano, 1958, e di OPPO, Contratti parasociali, Milano, 1942. 2 Sul punto RORDORF, I sindacati di voto, in Società, 2003, 20. 4 Dottrina e giurisprudenza avevano dato vita, dunque, ad ampie discussioni circa l’ammissibilità in via generale degli accordi parasociali nel nostro ordinamento e, più specificamente, in merito alle condizioni di validità dei medesimi.3 Non è questa, naturalmente, la sede per ripercorrere i termini di tale (sin troppo noto, del resto) dibattito4; quel che qui interessa sottolineare, invece, è che non di rado gli interpreti già si curavano di mettere in evidenza la centralità della trasparenza di tali accordi e l’importanza di una compiuta informazione della compagine sociale e del mercato in ordine alla loro esistenza e al loro contenuto, affinché divenisse possibile valutare la loro incidenza sugli aspetti di maggior rilievo della vita e del governo delle società, specialmente quotate: proprio questo profilo veniva spesso individuato quale condizione per il riconoscimento della stessa validità dei patti parasociali.5 Analoga esigenza era stata avvertita anche dalla Consob allorché, con le tre note circolari della prima metà degli anni ottanta, aveva posto l’urgenza del tema della disclosure dei patti parasociali.6 3 E’ risaputo, inoltre, che l’attenzione degli interpreti si soffermava in modo particolare sui sindacati di voto: in argomento, v. ad esempio, COTTINO, Anche la giurisprudenza canonizza i sindacati di voto?, nota a Cass. 20 settembre 1995, n. 9975, in Giur. it., 1996, I, 1, 164 ss., il quale, dopo parecchi anni di già intenso dibattito, evidenziava che la riflessione sulla validità delle convenzioni di voto avrebbe dovuto misurarsi con le regole in tema di contratti e di società, ancora interrogandosi sull’esistenza di “qualche paletto discriminatorio tra lecito ed illecito”. La citata sentenza, che si occupava della validità dei sindacati di voto a tempo indeterminato aventi ad oggetto le modalità di nomina di amministratori e sindaci, era stata pubblicata anche in Giur. comm., 1997, II, 50 ss., con commenti di BUONOCORE, CALANDRA BUONAURA (Sindacati di voto e durata indeterminata), CORSI, COSTI, GAMBINO (Tutela delle minoranze e ragioni dell’impresa nei sindacati di voto) e JAEGER. 4 Sul tema della validità dei sindacati di voto è di recente intervenuta Cass. 18 luglio 2007, n. 15693, pubblicata in parte in Giur. it., 2007, IV, 2754 ss., con nota di COTTINO, Patti parasociali: la Cassazione puntualizza (ibidem, 2756 ss.). 5 Si vedano, in giurisprudenza, Trib. Milano, 28 marzo 1990 (ord.), pubblicata in Giur. comm., 1990, II, 786 ss., con nota di FARENGA, Ancora in tema di validità dei sindacati di voto: tale pronuncia affermava espressamente che condizione per il riconoscimento della validità dei sindacati di voto doveva ritenersi la loro pubblicità e, al contempo, riteneva tale obbligo di comunicazione esteso a tutti i patti parasociali, in virtù dell’esigenza di informare i soci attuali e potenziali. Critico nei confronti di tale posizione era però FARENGA, op. ult. cit., il quale, pur auspicando un intervento del legislatore che imponesse precisi obblighi pubblicitari, contestava l’idea che la sanzione applicabile in caso di patto mantenuto segreto dovesse collocarsi sul piano della validità dello stesso. V. inoltre G. ROSSI, Le diverse prospettive, cit., 1365, ove si stabiliva un preciso collegamento tra la validità e l’efficacia degli accordi parasociali, da un lato, e l’osservanza del principio della trasparenza, dall’altro; LIBONATI, Sindacato di voto e gestione d’impresa, in Riv. dir. comm., 1991, I, 114-115; SALANITRO, op. cit., 755, che auspicava precise forme di pubblicità dei sindacati di voto, tra cui “il deposito dei testi degli accordi parasociali presso la sede sociale”; JAEGER, Il problema, cit., 206 e 259: l’A. osservava che l’atteggiamento di chiusura mostrato da coloro che si opponevano al riconoscimento della validità dei patti parasociali finiva per agevolare il mantenimento della loro segretezza; analog. VISENTINI, op. cit., 15; FARENGA, I contratti parasociali, cit., 358 ss., il quale, da un lato sottolineava con vigore l’esigenza informativa che nasce, specialmente nelle società quotate, intorno ad un patto parasociale e, dall’altro, prospettava una responsabilità anche degli organi sociali in caso di mancata comunicazione alla Consob, salva la prova dell’effettiva ignoranza del patto; cfr. anche ID., Sindacati di voto, cit., 480 ss. Più in generale, le diverse esigenze di trasparenza degli assetti proprietari nelle società quotate erano state già messe in evidenza da D’ALESSANDRO, La “trasparenza” della proprietà azionaria e la legge di riforma della Consob, in Giur. comm., 1986, I, 327 ss.; e, ancor più diffusamente, da LIBONATI, La “quarta” Consob, in Riv. soc., 1985, 433 ss. 6 La Consob, con questi tre diversi interventi, aveva esplicitato quali dovessero essere gli obblighi di trasparenza dei patti parasociali: con la Circolare 12 marzo 1981, n. 81/02348 (pubblicata in Riv. soc., 1981, 245 ss.), si era riservata il potere di richiedere tra l’altro, in mancanza di adempimento spontaneo, informazioni circa l’esistenza di sindacati di voto; con la Comunicazione 13 gennaio 1983, n. 83/00350 5 Eccettuato qualche isolato e antesignano caso7, si può dire che una vera e propria presa di coscienza dell’importanza del tema da parte del legislatore si sia avuta soltanto all’inizio degli anni novanta: il pensiero corre, in primo luogo, alla previgente disciplina in materia di OPA8 e, poco dopo, al Testo Unico Bancario (d. lgs. n. 385/1993), il quale prevedeva (e tuttora prevede) obblighi di comunicazione alla Banca d’Italia di particolari tipi di accordi conclusi tra i soci. Si è dovuto attendere l’avvento del Testo Unico Finanziario (d. lgs. n. 58/1998), tuttavia, per assistere all’introduzione di norme di portata generale (per quanto, naturalmente, riferite alle sole s.p.a. quotate), volte a disciplinare quelli che tuttora appaiono i due pilastri della disciplina dei patti parasociali, ossia la pubblicità e i limiti di durata degli accordi, prevedendo espressamente la nullità degli accordi mantenuti segreti e, dunque, adottando un’impostazione che già era stata auspicata da parte della dottrina.9 La legge delega 3 ottobre 2001, n. 366 per la riforma del diritto societario, poi, sancendo definitivamente la necessità di scongiurare la segretezza dei patti parasociali, aveva imposto al legislatore delegato [art. 4, comma 7, lett. c)] di “prevedere una disciplina dei patti parasociali, concernenti le società per azioni o le società che le controllano, che [...] ne assicuri il necessario grado di trasparenza attraverso forme adeguate di pubblicità.” Sulla falsariga del T.U.F., la riforma del diritto societario ha dunque inserito nel codice civile gli art. 2341-bis e 2341-ter, rubricati rispettivamente “Patti parasociali” e “Pubblicità dei patti parasociali”, che, come si vedrà nel prosieguo, sollevano però delicati problemi di coordinamento con la normativa dettata in tema di società quotate.10 (pubblicata in Riv. soc., 1983, 322 ss.), aveva precisato che la dichiarazione concernente i sindacati di voto dovesse “essere resa anche nell’ipotesi di insussistenza o di mancata conoscenza”; con la Comunicazione 11 aprile 1985, n. 85/07191 (pubblicata in Riv. soc., 1985, 315 ss.), aveva esteso gli obblighi di comunicazione circa l’esistenza, la mancata conoscenza o l’insussistenza degli accordi anche ai sindacati di blocco, prescrivendo la relativa dichiarazione in assemblea e il suo inserimento a verbale. Perplesso nei riguardi delle circolari della Consob era OPPO, Le convenzioni, cit., 529, per il fatto che esse avevano esteso l’obbligo di comunicazione dei patti parasociali oltre i limiti segnati dalla legge sull’editoria (l. 416/1981). 7 Si veda, ad esempio, l’art. 2 l. 416/1981 (legge sull’editoria), che imponeva la comunicazione dell’esistenza dei sindacati di voto nelle società appartenenti al settore. 8 La l. n. 149/1992 in materia di OPA (sulla quale si veda anche infra, cap. II), all’art. 10 stabiliva che “ogni accordo tra soci in merito all’esercizio dei diritti inerenti alle azioni e al trasferimento delle stesse deve essere comunicato alla Consob entro quarantotto ore dalla data di stipulazione” (ciò sebbene ai fini dell’obbligo di lancio dell’OPA assumessero rilievo unicamente i sindacati di voto: sul punto SBISA’, Patto di sindacato e OPA, in Contr. e impr., 1992, 655-656, ove ulteriori riferimenti; COSTI, I sindacati di blocco e di voto nella legge sull’OPA, in Banca, borsa, tit. cred., 1992, I, 472 ss.). 9 Cfr. ad esempio CERRAI-MAZZONI, La tutela del socio e delle minoranze, in Riv. soc., 1993, 65, ben avvertiti del fatto che il patto mantenuto segreto comporta “disinformazione del mercato su un elemento di indubbia rilevanza ai fini della valutazione della convenienza o meno di investire nei titoli di quella società”; analog. COTTINO, Il D. L. 24 febbraio 1998, n. 58. Il nuovo regime delle società quotate: prime considerazioni, in Giur. it., 1998, 1297. Per una sintesi dei precedenti normativi del T.U.F. in materia di trasparenza dei patti parasociali, si veda RESCIO, I sindacati di voto, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, Torino, 1994, (ristampa 2000), 3, *, 714 ss. 10 L’introduzione di un regime di trasparenza anche dei patti parasociali relativi a società (non quotate, ma) aperte al mercato dei capitali di rischio era stata in precedenza incoraggiata da COSTI, I patti parasociali, in AA.VV., La riforma delle società quotate, Milano, 1998, 134. 6 E’ di immediata evidenza, nel tessuto normativo, il peso dell’aspetto della trasparenza degli accordi aventi le caratteristiche descritte dall’art. 2341-bis c.c. e dall’art. 122 T.U.F.; il legislatore, in entrambi i casi, ha avuto cura di garantire la conoscibilità degli accordi paralleli al contratto sociale che rispondano alle caratteristiche individuate dalle rispettive fattispecie.11 Proprio questa rapida e schematica ricostruzione storica ha già in qualche modo introdotto la prima problematica che dovrà essere affrontata nelle pagine seguenti, ossia la delimitazione dell’area (o meglio, delle aree) di operatività dell’obbligo di pubblicazione dei patti parasociali e, per contro, di quella degli accordi che potrebbero legittimamente essere mantenuti segreti. Un’analisi del tema dei patti parasociali occulti e, dunque, della rilevanza che il fenomeno può spiegare nell’ordinamento societario (in particolare, nelle società quotate e nella disciplina in tema di OPA) non può che partire, infatti, dalla disamina delle fattispecie in tema di pubblicità, che costituirà la premessa per lo sviluppo dell’indagine condotta nei due capitoli successivi: nel secondo, si cercheranno di mettere in luce, da un punto di vista sia esegetico che sistematico, gli effetti che il fenomeno del patto parasociale occulto produce sulla disciplina (e in occasione) dell’offerta pubblica di acquisto obbligatoria, in connessione ai problemi posti dalla definizione di azione concertata; inoltre, verranno esaminati i principali aspetti che riguardano il tema della prova e dell’accertamento di un patto occulto. Nel terzo capitolo, invece, si tenterà di indagare l’esistenza e l’operatività di possibili rimedi e tutele - che si collochino tanto sul terreno civilistico quanto nell’ambito del diritto societario - a disposizione dei soci estranei al patto originariamente mantenuto segreto e successivamente portato alla luce.12 Proprio perché, come si è detto, la disamina delle fattispecie in tema di pubblicità - tese ad evitare che gli accordi tra azionisti rimangano segreti - costituisce eminentemente la (pur imprescindibile) base per il prosieguo del lavoro, si ritiene di dover sin d’ora avvertire che ci si limiterà nel presente capitolo a fare luce sugli snodi maggiormente rilevanti in tale prospettiva: per tale ragione, non ci si addentrerà in un’approfondita analisi delle sanzioni espressamente previste dal legislatore per l’ipotesi in cui patti non siano comunicati o pubblicati (sulla quale, del resto, soprattutto la dottrina si è ampiamente soffermata), essendo più opportuno limitarsi a richiamare tali aspetti solo in quanto necessari o utili nel percorso che si intende seguire. Non si può invece fare a meno, come si è detto, di operare una ricostruzione dei confini delle fattispecie in tema di pubblicità dei patti parasociali, alla quale sin d’ora si procede. 11 Secondo taluno, la pubblicità dei patti sarebbe in definitiva “l’unica tutela concessa dal legislatore” ai soci estranei: RUBINO-SAMMARTANO, I patti parasociali, in La riforma del diritto societario, a cura di M. de Tilla, G. Alpa e S. Patti, Roma, 2003, 185. 12 Non si mancherà di rivolgere, nel corso della trattazione, un costante sguardo ai principali ordinamenti stranieri in cui il problema dei patti occulti tra azionisti emerge ed è disciplinato (non solo con riferimento alla disciplina del concerto e dell’OPA obbligatoria, ma anche in relazione agli obblighi di disclosure): per una panoramica storico-comparatistica, sebbene non più del tutto attuale, cfr. ANDREOLI, I patti parasociali. L’esperienza americana, inglese e francese, in Il governo delle società dopo il D. Lgs. 24.2.1998, n. 58, a cura di E. Andreoli, Padova, 2002, 308 ss. 7 2. La trasparenza dei patti parasociali nella disciplina codicistica e nel T.U.F.: rapporti tra fattispecie. Al fine di identificare i patti parasociali soggetti agli obblighi di trasparenza e, corrispondentemente, quelli che potrebbero legittimamente rimanere “segreti”, è indubbiamente cruciale il problema dei rapporti tra la disciplina codicistica e quella contenuta nel Testo Unico della Finanza. Non ci si riferisce, per il momento, al rapporto tra le fattispecie in tema di pubblicità e quelle che riguardano l’offerta pubblica di acquisto, bensì, prima ancora, al nesso ed al necessario confronto tra le norme sulla pubblicità contenute nel codice civile (art. 2341-ter c.c.) e quelle corrispondenti dettate dall’art. 122 T.U.F. E’ del tutto noto che il contenuto precettivo di queste due disposizioni non coincide: il primo stabilisce che i patti parasociali nelle società per azioni “aperte” (o in società che le controllano) debbano essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea (dichiarazione da trascriversi poi nel verbale, destinato ad essere depositato nel registro delle imprese); il secondo, invece, prevede l’obbligo di comunicazione alla Consob, di pubblicazione per estratto sulla stampa quotidiana, di deposito presso il registro delle imprese e, oggi, anche di comunicazione “alle società con azioni quotate”, nel termine unificato di cinque giorni dalla stipulazione. Un ulteriore profilo di disallineamento tra le due discipline, di immediata percezione, consiste nella comminatoria della nullità dei patti parasociali mantenuti segreti nelle sole società quotate (o loro controllanti), prevedendo viceversa la disciplina codicistica - sul piano della risposta sanzionatoria - unicamente il divieto di esercizio del diritto di voto inerente alle azioni coinvolte nel patto occulto. La riforma del 2003, dunque, non ha raccolto l’invito della dottrina a ricavare dalle disposizioni del T.U.F. “un principio generale che consenta di subordinare, almeno per le società per azioni, la validità dei sindacati di voto all’adozione di adeguate forme di pubblicità”.13 13 Tale suggerimento, rimasto inascoltato, era formulato da COSTI, La Cassazione e i sindacati di voto: tra dogmi e “natura delle cose”, nota a Cass., 23 novembre 2001, n. 14865, in Giur. comm., 2002, II, 674; l’A. considerava infatti la conoscibilità “ai soci e ai terzi con adeguate forme di pubblicità” l’elemento capace di disegnare “i limiti entro i quali i sindacati di voto possono essere considerati compatibili con un ragionevole ordinamento delle società di capitali” (id est: di tutte le società di capitali). Sulla stessa linea, e perciò fortemente critico verso l’impostazione della riforma, era anche KUSTERMANN, Considerazioni critiche sui patti parasociali, come previsti nella legge delega n. 366 del 2001, in Società, 2002, 169 ss., il quale contestava apertamente la previsione di un regime di pubblicità limitato alle sole s.p.a. aperte al mercato del capitale di rischio, con la conseguenza che nelle altre società si finisce per imporre al socio, “nel caso di patto per lui o per la società dannoso [...] l’onere di provarne in giudizio l’esistenza e di provare che il patto stesso è invalido per avere contenuti contrari a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume o comunque non obbedienti alle regole di correttezza” (ibidem, 171). L’A. individuava altri due inconvenienti nella scelta adottata dal legislatore del 2003: da un lato, la creazione di una sorta di “scalino” tra modelli societari che potrebbe essere di ostacolo alla crescita e allo sviluppo dimensionale di una società nella quali i soci sindacati preferiscano conservare la libertà di mantenere occulto il patto stipulato; dall’altro, l’incoerenza di tale diversità di trattamento, che assoggetta a discipline differenti società in cui i soci estranei al patto hanno le medesime esigenze di conoscibilità dei reali centri di potere, tanto più in considerazione del fatto che ai diversi tipi o modelli societari non corrisponde uno standard dimensionale prestabilito (come dimostra anche la s.r.l. riformata). 8 La divaricazione tra le due prescrizioni non si apprezza però soltanto sul piano della disciplina, bensì, cosa che ancor più interessa in questa sede, su quello delle rispettive fattispecie e, correlativamente, dell’ampiezza dei relativi confini.14 E’ bene tentare di fare chiarezza in ordine al legame tra le stesse, al fine di munirsi di acquisizioni interpretative che consentano poi di affrontare le numerose e delicate questioni che il fenomeno del patto parasociale occulto pone nella disciplina del concerto e dell’OPA obbligatoria. Il loro esame, infatti, presuppone necessariamente un’adeguata ricostruzione delle fattispecie in materia di trasparenza15 e, in particolare, 14 Mentre l’art. 2341-ter c.c. richiama genericamente “i patti parasociali” (salvo verificare, come si dirà poco oltre nel testo, se il riferimento sia ai soli patti indicati nel precedente art. 2341-bis c.c.), l’art. 122 T.U.F. individua ben precise tipologie di accordi che devono essere resi noti: si tratta degli accordi sul voto nelle società quotate o loro controllanti (comma 1); degli accordi di preventiva consultazione per l’esercizio del voto nelle medesime società; di quelli limitativi del trasferimento delle azioni o degli strumenti finanziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione delle stesse; di quelli che prevedono l’acquisto di tali titoli; dei patti “aventi per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società”; nonché di quelli volti a favorire o contrastare il successo di un’offerta pubblica di acquisto (comma 5, lettere a - d-bis). E’ frequente in letteratura l’osservazione che la disciplina codicistica non sia applicabile alle s.r.l., salvo che queste controllino società per azioni: per tutti, PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, in Costituzione - conferimenti (a cura di M. Notari), Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L. A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2008, 331; DONATIVI, Sub art. 2341-bis, in Società di capitali, Commentario a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, *, 162. 15 In Germania, manca una vera e propria disciplina generale dei patti parasociali e della loro pubblicità, ma la loro ammissibilità è riconosciuta da tempo: si veda il non più recente studio di NOACK, Gesellschaftvereinbarungen bei Kapitalgesellschaften, Tübingen, 1994, spec. 61 ss.; nonché, più recentemente e con particolare riguardo ai sindacati di voto, LÖHDEFINK, Acting in concert und Kontrolle im Übernahmerecht, Köln-Berlin-München, 2007, 260; nella manualistica, WINDBICHLER, Gesellschaftsrecht, München, 2009, 396. In anni recenti, peraltro, essi sono stati indirettamente presi in considerazione, in attuazione di due distinte direttive europee, da due diversi corpi normativi: il Wertpapierhandelsgesetz (WpHG) prevede (§ 22, Abs. 2) che, ai fini degli obblighi di pubblicazione delle partecipazioni rilevanti di cui al § 21, Abs. 1, si tenga conto anche dei diritti di voto facenti capo a soggetti con i quali l’obbligato (alla pubblicazione) o una società da questo controllata “sein Verhalten in Bezug auf diesen Emittenten auf Grund einer Vereinbarung oder in sonstiger Weise abstimmt; ausgenommen sind Vereinbarungen in Einzelfällen. Ein abgestimmtes Verhalten setzt voraus, dass der Meldepflichtige oder sein Tochterunternehmen und der Dritte sich über die Ausübung von Stimmrechten verständigen oder mit dem Ziel einer dauerhaften und erheblichen Änderung der unternehmerischen Ausrichtung des Emittenten in sonstiger Weise zusammenwirken [...]”: ossia “coordini il suo comportamento con riferimento all’emittente sulla base di un’intesa o anche in altro modo; sono escluse le intese riguardanti casi singoli. Un comportamento coordinato presuppone che l’obbligato o la società da questo controllata e il terzo si accordino sull’esercizio dei diritti di voto o, con lo scopo di un durevole e rilevante cambiamento dell’organizzazione imprenditoriale dell’emittente, cooperino in altra maniera”. Questa regola, che contempla in definitiva una figura analoga a quella dei patti parasociali nel nostro ordinamento (e che, come si dirà, pone analoghi problemi di prova delle intese rilevanti non comunicate), vale anche per l’imputazione dei diritti di voto nell’ambito della disciplina del concerto e dell’insorgenza dell’obbligo di lanciare un’offerta pubblica di acquisto: essa, infatti, è ripresa pedissequamente dal § 30, Abs. 2 del Wertpapiererwerbs- und Übernahmegesetz (WpÜG, attuativo della c.d. Direttiva OPA), che completa la disciplina contenuta nel § 29 WpÜG, il quale impone l’obbligo di offerta a chi raggiunga il controllo, identificato con la disponibilità di almeno il 30% dei diritti di voto in assemblea. Per una sintetica ma generale panoramica in argomento, cfr. BUCK-HEEB, Kapitalmarktrecht, HeidelbergMünchen-Landsberg-Frechen-Hamburg, 2010, 164 ss. e 229 ss. A scanso di equivoci, “l’obbligato alla comunicazione” o “l’offerente” - come le due norme rispettivamente si esprimono in relazione ai due contesti - possono essere tanto azionisti della società quanto terzi: così, per tutti, VON BÜLOWBÜCKER, Abgestimmtes Verhalten im Kapitalmarkt- und Gesellschaftsrecht, in ZGR, 2004, 697. E’ bene avvertire sin d’ora che, salvo venga specificato diversamente, ogni successivo riferimento nel testo al § 22 dovrà intendersi effettuato al WpHG e ogni successivo riferimento al § 30, invece, al WpÜG. Nonostante la pressoché identica formulazione letterale, di fronte al problema se le due fattispecie - attesa la diversità 9 l’esatta delimitazione dell’ambito applicativo dell’art. 122 T.U.F., il quale, essendo richiamato espressamente dall’art. 101-bis, comma 4-bis, T.U.F., diventa fondamentale delle conseguenze giuridiche - debbano o meno venire interpretate allo stesso modo, la dottrina tedesca è divisa (il dibattito si attesta quindi principalmente sul rapporto tra la fattispecie in tema di disclosure e quella che prevede l’obbligo di offerta: anche per comodità espositiva, è preferibile illustrarlo immediatamente). La maggior parte dei commentatori propende per la soluzione negativa: cfr. SCHNEIDER, § 22, in Wertpapierhandelsgesetz Kommentar, herausgegeben von H. D. Assmann - U. H. Schneider, Köln, 2009, 1034, che richiama il differente scopo e significato delle due disposizioni, delle quali solo la seconda presupporrebbe un’ipotesi di controllo societario; ID., § 30, in Wertpapiererwerbsund Übernahmegesetz Kommentar, herausgegeben von H. D. Assmann, T. Pötzsch, U. H. Schneider, Köln, 2005, 849-850, ove aggiunge che il § 22 è orientato a garantire la massima trasparenza (“größtmöglicher Transparenz”), mentre il § 30 presuppone un’esigenza di protezione degli azionisti di minoranza; DRINKUTH, Gegen den Gleichlauf des Acting in concert nach § 22 WpHG und § 30 WpÜG, in ZIP,2008, 677 ss., il quale argomenta proprio in base al differente scopo delle due norme ma propone che la minore estensione del campo applicativo del § 30 sia precisata a livello normativo, al fine di farvi ricadere soltanto le fattispecie di acquisto effettivo del controllo; PSAROUDAKIS, Acting in concert in börsennotierten Gesellschaften, Köln, 2009, 296 ss., che mette in evidenza il fatto che le due disposizioni sono state introdotte con l’attuazione di due diverse direttive (l’A. si mostra peraltro molto critico circa la scelta legislativa di disegnare in maniera pressoché identica la norma in materia di pubblicità e quella in tema di OPA: ibidem, 313-314). Su questa stessa linea interpretativa anche PRASUHN, Der Schutz von Minderheitsaktionären bei Unternehmensübernahmen nach dem WpÜG, Köln, 2007, 185 ss., che individua lo scopo del § 22 nell’esigenza di assicurare la massima trasparenza delle partecipazioni e quello del § 30 nella verifica del potere di cui dispongono gli azionisti e aggiunge che proprio le gravose conseguenze giuridiche previste da quest’ultimo suggerirebbero una più ampia interpretazione del § 22, tale cioè da farvi ricadere anche i casi dubbi; nonché GAEDE, Koordiniertes Aktionärsverhalten im Gesellschafts- und Kapitalmarktrecht, Hamburg, 2008, 251, che osserva non essere indispensabile ai fini della trasparenza l’effettiva possibilità di esercizio del controllo, bastando una volontà iniziale degli azionisti in tal senso e anche comportamenti che ai fini del § 30 potranno rilevare come semplici indizi. Anche SCHOCKENHOFF-SCHUMANN, Acting in concert - geklärte und ungeklärte Rechtsfragen, in ZGR, 2005, 574, riferiscono la fattispecie di cui al § 30 al mutamento della situazione di controllo (“eine neue Kontrollsituation”); nondimeno, affermano che le due norme hanno uno scopo comune, ossia quello di far emergere una rilevante influenza sulla società dovuta al coagularsi di diritti di voto (“Stimmblöcke”) e concludono nel senso dell’identità dei rispettivi ambiti di applicazione: ne discende che l’analisi condotta riguardo all’una può essere estesa anche all’altra (ibidem, 609); per questa seconda linea di pensiero, che muove dall’intento del legislatore (e dall’esigenza) di evitare complicazioni e incertezze sul mercato finanziario, prevenendo differenti metodi di applicazione, cfr. anche RALOFF, Acting in concert, Jena, 2007, 146 ss.; WALZ, § 30, in Frankfurter Kommentar zum Wertpapiererwerbs- und Übernahmegesetz, herausgegeben von W. Haarman - M. Schüppen, Frankfurt am Main, 2005, 634; SCHÜPPEN-WALZ, § 30, in Frankfurter Kommentar zum Wertpapiererwerbs- und Übernahmegesetz, herausgegeben von W. Haarman - M. Schüppen, Frankfurt am Main, 2005, 657; nonché WEIß, Der Wertpapierhandelsrechtliche und übernahmerechtliche Zurechnungtatbestand des acting in concert, Bonn, 2006, 46 e 52, sia in virtù dell’esigenza di garantire la certezza del diritto, sia in base al rilievo che il § 37 WpÜG prevede che la BaFin (autorità di vigilanza del mercato finanziario) possa concedere una dispensa dall’obbligo di offerta in determinate circostanze, introducendo quindi in ogni caso un elemento differenziale rispetto alla disciplina di cui ai §§ 21 e 22 WpHG. Su una posizione intermedia si attestano VON BÜLOW-BÜCKER, op. cit., 703-704, i quali propongono una valutazione caso per caso circa l’ammissibilità di una omogenea lettura delle medesime. Anche nell’ordinamento francese il concerto rileva tanto ai fini degli obblighi di trasparenza delle partecipazioni, quanto, come si vedrà, per l’insorgenza dell’obbligo di promozione di un’offerta pubblica. Per ciò che concerne il primo profilo, l’art. L. 233-7 del code de commerce prevede obblighi di comunicazione al superamento di determinate soglie di partecipazione, a carico di “toute personne physique ou morale agissant seule ou de concert”; inoltre, l’art. L. 233-9 ribadisce che sono imputati alla persona tenuta alla comunicazione anche “les actions ou les droits de vote possédés par un tiers avec qui cette personne agit de concert”. Sulla nozione di concerto in Francia, v. amplius infra. Più specificamente, l’art. L. 233-11 impone che tutte le convenzioni che prevedono condizioni di prelazione nell’acquisto o nella cessione di azioni ammesse alle negoziazioni su un mercato regolamentato riguardanti almeno lo 0,5 % del capitale sociale o dei diritti di voto siano comunicate entro cinque giorni alla società e all’AMF (Autorité des marchés financiers). Analog., in precedenza, l’art. 356-1-4 della loi 24 juillet 1966: sul punto, v. LAPRADE, Concert et côntrole, Paris, 2007, 242 ss. 10 proprio al fine di studiare gli effetti che i patti parasociali occulti provocano - quale presunzione dell’esistenza di un concerto - sulla disciplina dell’OPA obbligatoria.16 16 Mentre i principali ordinamenti europei presentano una stretta connessione tra la disciplina della disclosure dei patti tra soci e quella dell’offerta pubblica di acquisto (che, a determinate condizioni, diventa obbligatoria per i partecipanti all’accordo), tale collegamento è presente nell’ordinamento americano in una forma diversa, meno netta. Le intese tra azionisti e l’azione di concerto rilevano infatti primariamente nell’ambito della disclosure (per quanto indirettamente) e solo eventualmente nella regolamentazione delle tender offers. La Section 13(d)(1) del Securities Exchange Act richiede, in sintesi, che chiunque (“any person”), dopo aver acquisito direttamente o indirettamente la disponibilità (“beneficial ownership”) di più del 5% delle partecipazioni, ne dia comunicazione alla SEC (tramite la Schedule 13D) entro dieci giorni, fornendo una serie di dettagliate informazioni aggiuntive, tra cui: gli obiettivi dell’acquisto e in particolare se lo scopo è quello di raggiungere il controllo dell’emittente; l’identità del soggetto [e, se si tratta di un gruppo, l’identità di ogni membro del gruppo: v. SEC v. Savoy Indus. Inc., 587, F.2d 1149 (D.C. Cir., 1978)]; nonché ogni “information as to any contracts, arrangements, or undestandings with any person with respect to any securities of the issuer”. Sul concetto di “beneficial owner” è intervenuta la SEC, la quale [Rule 13d-3(a)] ha stabilito che esso “includes any person who, directly or indirectly, through any contract, arrangement, understanding, relationship, or otherwise has or shares: voting power which includes the power to vote, or to direct the voting of, such security; and/or, investment power which includes the power to dispose, or to direct the disposition of, such security”. Ma ciò che ancor più rileva è la previsione della Section 13(d)(3), la quale stabilisce che “when two or more persons act as a partnership, limited partnership, syndicate, or other group for the purpose of acquiring, holding, or disposing of securities of an issuer, such syndicate or group shall be deemed a ‘person’ for the purposes af this subsection”. E’ chiaro, dunque, l’obbligo di rendere noti i patti che coinvolgano in sostanza una percentuale superiore al 5% del capitale: che si debba trattare di patti tra soci emerge dal fatto che ogni membro “must have beneficial ownership of the securities of the issuer prior to becoming a group member”: così LEVY, Regulation of Securities, SEC Answer Book, New York, 2011, 5-20. Come si è osservato, “The function of ownership disclosure is to enable investors to make their own informed assessment as to how the ownership structure of a particular firm may impact the value of the share”: così SCHOUTEN, The Case for Mandatory Ownership Disclosure, in Stanford Journal of Law, Business and Finance, 2010, 127 ss. e in www.ssrn.com, 9, da cui si cita. Il collegamento eventuale con la disciplina delle offerte pubbliche sta in ciò, che la Section 14 (d)(1) del SEA rende - si noti - illegittima (“unlawful”) per chiunque la promozione diretta o indiretta di un’offerta pubblica se, dopo il suo espletamento, l’offerente risulti il titolare (“beneficial owner”) di più del 5% delle partecipazioni, a meno che si ottemperi tempestivamente alla pubblicità contemplata nella Section 13(d) e quella eventualmente richiesta dalla SEC. Entrambe le regole contenute in queste due Sections dichiarano espressamente l’esigenza di soddisfare il “public interest” e la “protection of investors”, che passa non tanto per la previsione di un obbligo di offerta, ma nella facoltà di promozione dell’offerta a condizione che si sia provveduto ad un’adeguata disclosure, in connessione “to every large, rapid accumulation of securities, regardless of the technique employed, that might represent a shift in corporate control”: sul punto BROWN-FERRARA-BIRD-KUBEK-REGNER, Takeovers, A Strategic Guide to Mergers and Acquisitions, New York, 2010, §2.04[A], 2-20; e v. in giurisprudenza GAF Corp. v. Milstein, 324 F. Supp. 1062 (S.D.N.Y.). Peraltro, l’esistenza di legami tra gli azionisti acquista rilevanza anche nell’ambito della Section 16 del SEA, che contiene quella che per lungo tempo è stata la prima ed embrionale disciplina dell’insider trading negli Stati Uniti (ma sul punto v. infra, cap. III). Si prevede infatti che chiunque detenga più del 10% delle partecipazioni di un emittente, comunichi tra l’altro ogni successiva operazione di acquisto o alienazione delle medesime; dato che, secondo la Rule 16-a1 della SEC, la nozione di “beneficial ownership” è in prima battuta la medesima nella Section 13 e nella Section 16 del SEA, ciò significa che se un gruppo detiene congiuntamente più del 10% del capitale, ogni suo membro deve rendere note le sue transazioni ai sensi della Section 16: sul punto anche SODERQUIST-GABALDON, Securities Law, New York, 2007, 175; BROWN et. al., op. ult. cit., § 2.05[A], 2-51; LEVY, op. cit., 6-20. La Rule 16a-1(a)(2) della SEC aggiunge anche che il concetto di “beneficial ownership” indica anche “any person who, directly or indirectly, through any contract, arrangement, understanding, relationship or otherwise, has or shares a direct or indirect pecuniary interest in the equity securities[…] The term pecuniary interest in any class of equity securities shall mean the opportunity, directly or indirectly, to profit or share in any profit derived from a transaction in the subject securities”. Per un’ampia panoramica sulla Section 16 del SEA, cfr. HAMILTONRASMUSSEN, Guide to Section 16, Insider Reporting and Short-Swing Trading Liability, Chicago, 2004. 11 Proprio questa analisi, che costituisce il cuore del presente lavoro, non può tuttavia essere portata avanti se non partendo da una lettura sinottica delle previsioni in tema di pubblicità dei patti parasociali contenute nei due plessi normativi di riferimento; senza, peraltro, che questo implichi necessariamente un abbandono nel prosieguo della trattazione di tale confronto, ove esso continui a rivelarsi necessario o comunque proficuo.17 Ciò premesso, è tuttavia necessario fare un passo indietro e prendere le mosse dal problema - che si colloca, se vogliamo, a monte - del rapporto tra l’art. 2341-bis e l’art. 2341-ter c.c., non essendo del tutto pacifico se quest’ultimo, nell’evocare genericamente i “patti parasociali”, si riferisca unicamente alle tipologie di patti indicate nel primo.18 Secondo un primo filone dottrinale, la norma riguardante la pubblicità avrebbe un ambito di applicazione più ampio, riguardando ogni possibile patto parasociale.19 17 Può essere interessante anche notare che, mentre in Germania il § 22 WpHG “assorbe” la trasparenza dei patti tra azionisti nell’alveo della disciplina sulla comunicazione delle partecipazioni rilevanti, nel sistema del T.U.F. gli obblighi di comunicazione e pubblicazione dei patti parasociali di cui all’art. 122 T.U.F. sono, come noto, collocati in una disposizione diversa da quella (l’art. 120 T.U.F.) rubricata appunto “obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti”. Nell’ordinamento tedesco, il WpHG impone, a coloro che soddisfino le condizioni di cui al § 22, Abs. 2, un obbligo di comunicazione all’Autorità (BaFin) e alla società del superamento di determinate soglie di partecipazione o della riduzione della partecipazione al di sotto delle medesime. Un’impostazione analoga a quella dell’attuale norma tedesca era adottata in passato dall’art. 5-bis, co. 2, l. 216/74, ove si prevedeva che per il calcolo delle percentuali rilevanti si tenesse “conto anche delle azioni possedute da uno o più soggetti con i quali si è concluso, direttamente o indirettamente, un accordo scritto per l’esercizio concertato dei diritti di voto” e “anche delle azioni che in virtù di un accordo, stipulato direttamente o indirettamente, si possono acquistare di propria iniziativa”: sul punto SBISA’, Sub art. 120, in Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di G. Alpa e F. Capriglione, Padova, 1998, II, 1116 (ma in argomento v. anche CHIAIA, Le partecipazioni rilevanti in società quotate o ammesse al mercato ristretto. Novità legislative e regolamentari, in Giur. comm, 1993, I, 280 ss.). Tuttavia, un approccio volto a determinare, sotto il profilo applicativo, un’integrazione delle due citate norme del T.U.F. è quello adottato dal Regolamento Emittenti della Consob (adottato con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999), il cui art. 127, comma 1, stabilisce che “gli aderenti a un patto parasociale previsto dall’articolo 122 del Testo Unico avente ad oggetto partecipazioni complessivamente pari o superiori alla soglia indicata dall’articolo 120, comma 2, del Testo Unico, sono solidalmente obbligati a darne comunicazione alla Consob”; inoltre, l’art. 117 del Regolamento impone un obbligo di comunicazione alla Consob in caso di superamento di determinate soglie di partecipazione al capitale e l’art. 120 del Regolamento stesso prevede - con disposizione dal tenore simile a quella tedesca del § 22 WpHG - che “coloro che detengono una partecipazione inferiore alla soglia del 2% e aderiscono ad un patto parasociale rilevante si sensi dell’articolo 122, commi 1 e 5, lettere a) e d), del Testo Unico, computano, ai fini degli obblighi di comunicazione di cui all’articolo 117 [...] anche le azioni conferite nel patto dagli altri aderenti [...]”. Come si vede, la Consob considera qui rilevanti solo i patti di voto, di consultazione per l’esercizio del voto e quelli aventi per oggetto o per effetto l’esercizio congiunto di un’influenza dominante, coerentemente del resto con l’art. 120, comma 1, T.U.F., il quale espressamente avverte di voler prendere in considerazione nella sezione I (rubricata “Assetti proprietari”) solo il capitale “rappresentato da azioni con diritto di voto”. 18 Come noto, l’art. 2341-bis c.c. impone limiti di durata per i patti che, stipulati “al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società: a) hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano; c) hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società”. 19 Così CHIONNA, La pubblicità dei patti parasociali, Milano, 2008, 104 ss.; BLANDINI, Società quotate e società diffuse, Napoli, 2005, 338; LEOGRANDE, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, Padova, 2005, v. I, 107; MEOLI-SICA, I patti parasociali nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003, I, 614, i quali argomentano dal 12 Pare più convincente, tuttavia, la tesi che prospetta una coincidenza dell’ambito di applicazione delle due norme, le quali, pertanto, andrebbero riferite alle medesime fattispecie.20 Risulta difficile, in particolare, respingere l’idea che le due disposizioni codicistiche costituiscano un microsistema normativo, nell’ambito del quale il legislatore ha evidentemente ritenuto superfluo ripetere in seno all’art. 2341-ter c.c. gli elementi di fattispecie già definiti nell’articolo che immediatamente lo precede.21 Taluno ha invece ritenuto, all’opposto e secondo un’ulteriore impostazione, che non tutte le fattispecie di patti di cui all’art. 2341-bis c.c. siano soggette agli obblighi di trasparenza: più precisamente, la dichiarazione in apertura di assemblea riguarderebbe soltanto gli accordi in grado di spiegare una specifica rilevanza in sede di formazione della volontà assembleare (in particolare: gli accordi di voto) e non, ad esempio, i patti di prelazione.22 La tesi, pur autorevolmente sostenuta, non persuade, vuoi in forza di quanto poc’anzi osservato in merito al rapporto tra le due disposizioni codicistiche in materia, vuoi perché gli adempimenti pubblicitari prescritti - e specialmente, appunto, la dichiarazione assembleare da inserire nel verbale, oggetto di deposito nel registro delle imprese - hanno certamente, come meglio si dirà, l’obiettivo di informare non solo i soci estranei al patto ma anche i terzi: non vi è dubbio che questi ultimi possano essere interessati a conoscere l’esistenza di un patto parasociale anche diverso da quello avente ad oggetto il diritto di voto in assemblea. Aggiungasi, del resto, che l’art. 2341-ter c.c. non fa cenno alcuno a siffatte limitazioni del suo ambito di applicazione. Tornando all’interrogativo posto all’inizio del presente paragrafo, relativo ai rapporti tra la disciplina codicistica e il T.U.F., non è chiaro se il campo di applicazione delle disposizioni in materia di pubblicità previste nei due corpi normativi coincida.23 E’ risaputo che il comma 5-bis dell’art. 122 T.U.F. dichiara inapplicabili “ai patti di cui al presente articolo” gli artt. 2341-bis e 2341-ter del codice civile: tale norma parrebbe tracciare una netta linea di confine tra la disciplina delle società quotate e quella dettata fatto che le esigenze di trasparenza riguardano anche patti parasociali diversi da quelli individuati dall’art. 2341-bis c.c. e in particolare anche i patti di consultazione. 20 Per questa condivisibile interpretazione, sostenuta dalla dottrina prevalente v. RESCIO, I patti parasociali nel quadro dei rapporti contrattuali dei soci, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G. F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G. B. Portale, Torino, 2007, 1, 449 (nt. 6); ID., I patti parasociali dopo il d. lgs. 6/2003, in AA.VV., Le società: autonomia privata e suoi limiti nella riforma, Milano, 2003, 109-110; LIBERTINI, I patti parasociali nelle società non quotate. Un commento agli articoli 2341-bis e 2341-ter del c.c., in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G. F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G. B. Portale, Torino, 2007, 4, 494; BADINI CONFALONIERI, I patti parasociali, in Le nuove s.p.a., opera diretta da O. Cagnasso e L. Panzani, Bologna, 2010, *, 289 ss.; FIORIO, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, in Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004, *, 154; DONATIVI, Sub art. 2341-ter, in Società di capitali, Commentario a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, *, 183. 21 E v., per un simile rilievo, anche PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 363, ove si considera “poco plausibile che il legislatore abbia voluto mutare il presupposto di applicazione delle norme sulla pubblicità senza introdurre alcuna specificazione”. 22 E’ l’opinione di PAVONE LA ROSA, La “trasparenza” dei patti parasociali nelle società per azioni “aperte”, in Giur. comm., 2007, I, 549 ss.; la tesi era stata già sostenuta dall’Autore nello scritto I patti parasociali nella nuova disciplina della società per azioni, in Giur. comm., 2004, I, 10. 23 Sul punto già RESCIO, Dei patti parasociali, in Parere dei componenti del Collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in Diritto commerciale interno ed internazionale, Università Cattolica di Milano, in Riv. soc., 2002, 1459, che si mostrava critico nei confronti della formulazione della norma codicistica e si chiedeva per quale ragione il novero dei patti parasociali rilevanti ai fini della pubblicità, previsto per le società “diffuse” e per quelle quotate, non venisse fatto coincidere. 13 per le società (semplicemente) facenti ricorso al mercato del capitale di rischio; si tratterebbe, dunque, di una partizione fondata su un criterio di ordine, per così dire, tipologico - o, per meglio dire, attinente al modello di società cui il patto parasociale inerisce24 - anziché sulla natura e sull’oggetto degli accordi. Prima dell’introduzione della disposizione testé citata, vari autori sostenevano la plausibilità di un’operazione ermeneutica volta ad integrare e coordinare le due discipline sulla trasparenza, con il precipuo e dichiarato scopo di rendere in qualche modo i precetti del codice estendibili anche alle società quotate.25 La tesi è stata tuttavia riproposta anche in seguito e pare fondarsi su tre ordini di argomenti26: (i) in primo luogo, quello che muove dal combinato disposto dell’art. 2341-ter c.c. e dell’art. 2325bis c.c., per sostenere che non vi è alcun conflitto tra gli obblighi di trasparenza imposti dal T.U.F. e quelli aventi la loro fonte nell’articolato codicistico; le norme del T.U.F. per le società quotate, cioè, non disporrebbero “diversamente” rispetto a quelle dettate dal codice per le società “aperte” e quindi - in via generale, si potrebbe dire - pure per le quotate, anche perché l’art. 122 T.U.F. detterebbe una disciplina riferita all’informazione diretta al mercato, mentre l’art. 2341-ter c.c. si preoccuperebbe dell’informazione endosocietaria27; (ii) secondariamente, si nota che l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 2341-ter c.c. è letteralmente riferita, nel contesto dell’art. 122 T.U.F., ai “patti di cui al presente articolo”, con la conseguenza che gli accordi di tipo diverso da quelli in esso contemplati potrebbero venire assoggettati, nelle quotate, quantomeno all’applicazione della norma del codice28; (iii) inoltre, si osserva che il 24 In merito alla “scelta del legislatore di selezionare le forme di società non più esclusivamente per ‘tipi negoziali’, ma per ‘modelli’ o ‘tipi socio-economici’ (o modelli tipologici)”, v. ABBADESSAGINEVRA, Sub art. 2325-bis, in Società di capitali, Commentario a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, *, 8 (ai quali appartiene il virgolettato), ove ulteriori riferimenti; PORTALE, La società quotata nelle recenti riforme (note introduttive), in Studi in onore di Vittorio Colesanti, Napoli, 2009, II, 942; ancor prima, tra gli altri, ABBADESSA, La gestione dell’impresa nella società per azioni. Profili organizzativi, Milano, 1975, 51. 25 Cfr. ad es. RESCIO, I patti parasociali dopo il d. lgs. 6/2003, cit., 110-111; SEMINO, Il regime di pubblicità dei patti parasociali relativi a società quotate alla luce del D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in Società, 2003, 1462; GRIECO, Patti parasociali e riforma societaria, in Giust. civ., 2003, II, 534; FIORIO, Nota ad App. Milano, 28 febbraio 2003 (decr.), in Giur. it., 2003, III, 1877, il quale richiamava l’esigenza di “intensificare la tutela dell’informazione del mercato” ma, nel contempo, riconosceva il differente ambito oggettivo di applicazione dell’art. 2341-ter c.c. e dell’art. 122 T.U.F. sotto il profilo delle categorie di patti parasociali rilevanti per l’una e per l’altra norma. 26 V. in particolare CHIONNA, op. cit., 85 ss. 27 Così, di recente, CHIONNA, op. cit., 91. 28 Di nuovo CHIONNA, op. cit., 87. L’A. ha anche prospettato l’idea che i patti parasociali diversi da quelli specificamente elencati dall’art. 122 T.U.F. debbano in ogni caso essere resi noti al pubblico, in quanto fatti rilevanti per il mercato, ai sensi della più generale norma dell’art. 114 T.U.F. (ibidem, 163 ss. e spec. 165). Secondo l’A., l’assunto sarebbe confermato dalla disciplina di attuazione contenuta nel Regolamento emittenti adottato dalla Consob, il cui art. 109-bis impone alle società diffuse l’informazione al pubblico “della comunicazione di cui all’articolo 2341-ter del codice civile, indicando ogni elemento necessario per una compiuta valutazione del patto”. In realtà, anche questo argomento si risolve in una petizione di principio, dando per scontato che l’art. 109-bis del Regolamento sia destinato ad applicarsi a tutte le società quotate anziché alle sole società (diffuse) cui sia effettivamente applicabile la norma del codice. Della stessa opinione appena criticata BLANDINI, Società quotate, cit., 339. Contra invece RESCIO, La disciplina dei patti parasociali dopo la legge delega per la riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2002, 848, il quale affermava condivisibilmente che “nessun obbligo di comunicazione a particolari autorità e di pubblicità a vantaggio di tutti gli interessati può porsi, perciò, in capo a chi partecipa a patti non rientranti tra quelli di cui all’art. 122 T.U.F.” 14 coordinamento (o meglio: l’applicazione cumulativa) delle due discipline avrebbe il positivo effetto di intensificare e migliorare la trasparenza a beneficio degli operatori e del mercato.29 Il primo argomento non sembra fondato, atteso che l’art. 122 T.U.F. detta una disciplina differente e più specifica30: in ogni caso, esso pare aver perso consistenza alla luce delle novelle degli ultimi anni, dal momento che oggi anche l’art. 122, comma 1, lett. d) T.U.F. prevede la comunicazione del patto “alle società con azioni quotate” e dunque non si può dire che esso, a differenza dell’art. 2341-ter c.c., si occupi soltanto dell’informativa esterna alla società e diretta al mercato. Il secondo argomento, per quanto astrattamente meritevole di considerazione, risulta smentito proprio dal chiaro dettato dell’art. 122, comma 5-bis, T.U.F., il quale rivela una scelta di politica legislativa affatto diversa: assai frequente, in letteratura, è il rilievo che il legislatore con tale ultima norma abbia “eliminato ogni dubbio” in proposito, sancendo l’inapplicabilità delle disposizioni del codice civile alle società quotate, a prescindere dalla tipologia dell’accordo di cui trattasi.31 Appare infatti arbitraria l’operazione ermeneutica volta ad estendere la disciplina codicistica ai patti non compresi nell’elenco recato dall’art. 122 T.U.F. Quanto al terzo argomento, esso è speso portando l’esempio del patto stipulato “dopo febbrili trattative” nell’imminenza dell’assemblea di una società quotata 32: ebbene, secondo il suo sostenitore l’applicabilità dell’art. 2341-ter c.c., che prescrive la dichiarazione del patto in apertura di assemblea, avrebbe il vantaggio di consentire ai paciscenti il pieno esercizio del diritto di voto nell’assemblea stessa, anche qualora non siano ancora stati adempiuti gli obblighi di cui all’art. 122 T.U.F. al momento dell’adunanza. Anche questo genere di considerazioni sembra però aver perso mordente in seguito all’introduzione del nuovo obbligo di comunicazione alla società di cui all’art. 122, comma 1, lett. d) T.U.F., perché è del tutto plausibile ritenere che nella descritta ipotesi il patto debba essere comunicato alla società, al più tardi, proprio in apertura dell’assemblea che dovesse celebrarsi in pendenza del termine di cinque giorni.33 Questo modo di intendere l’obbligo di comunicazione alle società con azioni 29 V. SEMINO, Il regime, cit., 1462. Così anche MACRI’, Patti parasociali e attività sociale, Torino, 2007, 124. 31 Cfr. ad es. FIORIO, I patti parasociali, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009, diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2009, 81; ID., Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 141-142.; LENER, Appunti sui patti parasociali nella riforma del diritto societario, in Riv. dir. priv., 2004, 47; DONATIVI, Sub art. 2341-ter, cit., 183, secondo il quale, peraltro, anche in assenza della chiarificazione introdotta con il comma 5-bis dell’art. 122 T.U.F., “sarebbe stata comunque più convincente un’interpretazione che escludesse l’estensione dell’art. 2341-ter alle società con azioni quotate, sul rilievo che i due diversi meccanismi ‘pubblicitari’, ancorché non incompatibili tra loro, sembrano tuttavia essere stati pensati dal legislatore - a torto o a ragione - quali ‘sistemi’ informativi destinati ad interpretare, ciascuno di essi nel modo più congeniale e compiuto, le esigenze specifiche poste dai rispettivi ambiti soggettivi di riferimento.” In giurisprudenza, ha di recente accolto la soluzione qui ritenuta preferibile App. Genova, 19 dicembre 2009, in Società, 2010, 587 ss. e in www.consob.it. 32 Cfr. nuovamente SEMINO, Il regime, cit., 1462. 33 Si è anche sostenuto che proprio tale dichiarazione debba avere luogo anche nelle società quotate - sulla base del principio generale di correttezza nell’esecuzione del contratto - là dove il patto possa presentare in concreto un’incidenza sul conflitto d’interessi e la relativa regolamentazione: MACRI’, Patti parasociali, cit., 157 (nt. 154). Nemmeno tale considerazione pare però significativa, giacché in tale ipotesi sarà proprio la disciplina sul conflitto di interessi a trovare applicazione. 30 15 quotate può risolvere gran parte dei problemi interpretativi appena riferiti (del resto, come si è visto, la tesi qui criticata è stata resa da più parti prima della novella apportata all’art. 122 T.U.F.34). D’altra parte, se è vero che la lettera della norma non esclude di per sé che tale comunicazione alla società possa avvenire anche in via riservata, è da ritenere che la società stessa (tramite i suoi organi sociali) debba diffondere l’informazione quanto prima: in ogni caso, al più tardi, in occasione della prima assemblea successiva, eventualmente provvedendo altresì in via sostitutiva alla pubblicità che i pattisti - primi destinatari dei relativi obblighi - abbiano omesso. In conclusione, sembra corretto ritenere che l’art. 2341-ter c.c. si riferisca solo al più limitato elenco di patti approntato dall’art. 2341-bis c.c. e che, al contempo, concerna unicamente le società aperte al mercato del capitale di rischio ma non quotate; per le società quotate, varrà (soltanto) il regime di trasparenza dettato appunto dall’art. 122 T.U.F., in relazione alle tipologie di patti in esso descritte. 35 Non sarebbe invece 34 E. v. anche RESCIO, Gli strumenti di controllo: i patti di sindacato, in RDS, 2008, 69, il quale riteneva che l’inapplicabilità dell’art. 2341-ter c.c. alle quotate avrebbe dovuto essere limitata “al caso in cui il patto abbia goduto della pubblicità di cui all’art. 122, 1° comma, t.u.f.”. 35 Ma per l’opinione che le nozioni di patto parasociale contenute nel codice civile e nel T.U.F. normalmente coincidano, v. TRIMARCHI, I patti parasociali nella riforma del diritto societario, in La riforma del diritto societario, a cura di M. de Tilla, G. Alpa e S. Patti, Roma, 2003, 143. Entrambe le fattispecie generali illustrate possono intrecciarsi anche con la disciplina della trasparenza dei patti parasociali contenuta anche nel secondo comma dell’art. 20 T.U.B., sebbene allo specifico fine di consentire alla Banca d’Italia di intervenire con il proprio potere autorizzatorio in relazione all’acquisto di partecipazioni in una banca ai sensi dell’art. 19 T.U.B. (peraltro, taluno ha auspicato un rafforzamento degli “obblighi di trasparenza della proprietà delle banche, non solo verso la Banca d’Italia ma anche verso il pubblico”: così SANTORO, Il coordinamento del testo unico bancario con la riforma delle società. Due profili problematici: gli assetti proprietari e l’indipendenza degli esponenti aziendali, in Dir. banca e merc. fin., 2005, 8). Recita infatti l’art. 20 T.U.B.: “ogni accordo, in qualsiasi forma concluso, compresi quelli aventi forma di associazione, che regola o da cui comunque possa derivare l’esercizio concertato del voto in una banca, anche cooperativa, o in una società che la controlla deve essere comunicato alla Banca d’Italia dai partecipanti ovvero dai legali rappresentanti della banca o della società cui l’accordo si riferisce. Quando dall’accordo derivi una concertazione del voto tale da pregiudicare la gestione sana e prudente della banca, la Banca d’Italia può sospendere il diritto di voto dei partecipanti all’accordo stesso.” Lo spettro applicativo della norma è particolarmente ampio, avendo la stessa riguardo ad ogni accordo “in qualsiasi forma concluso”, dal quale possa scaturire come semplice effetto “l’esercizio concertato del voto” in una banca o in una sua controllante: cfr. ROSA, Patti parasociali e gestione delle banche, Milano, 2010, 58, la quale individua l’elemento caratterizzante della fattispecie nel“l’effetto pratico, anche solo potenziale, dell’esercizio concertato del ‘diritto di voto’ nell’assemblea, ordinaria o straordinaria della banca (o della società che la controlla).” L’A. ha ritenuto, giusta l’ampiezza della fattispecie, non del tutto conforme alla disciplina il provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 12 maggio 2009, che ha rinviato (paragrafo 1, nota 1 dell’Allegato 1) agli “accordi per l’esercizio concertato dei diritti di voto” (ibidem, 192, nt. 90). Sul punto anche BENOCCI, Sub artt. 20-21, in Testo unico bancario, Commentario a cura di M. Porzio, F. Belli, G. Losappio, M. Rispoli Farina, V. Santoro, Milano, 2010, 215, che menziona espressamente i patti di consultazione. Per un’interpretazione estensiva dell’art. 20, comma 2, T.U.B., v. anche TUCCI, Patti parasociali e governance nel mercato finanziario, Bari, 2005, 114-115 (e spec. nt. 80). Sembra invece attestarsi su una posizione diversa BOCCUZZI, Gli assetti proprietari delle banche, Regole e controlli, Torino, 2010, 44, perché l’A. opina nel senso che l’accordo “deve avere come obiettivo quello di regolare l’esercizio del diritto di voto” (corsivo aggiunto); così già MANZONE, Partecipazione al capitale delle banche, in La nuova legge bancaria, Il T. U. delle leggi sulla intermediazioni bancaria e creditizia e le disposizioni di attuazione, Commentario a cura di P. Ferro-Luzzi e G. Castaldi, Milano, 1996, t. I, 363, il quale si spingeva a ritenere necessario l’accertamento ex ante di tale finalità in capo agli aderenti; in quest’ultimo senso anche NASTASI, Sub art. 20, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Capriglione, Padova, 2001, t. I, 171. Va anche osservato che il campo di applicazione dell’art. 20 T.U.B. sembra ulteriormente ed indirettamente ampliato dal comma 1-bis 16 accettabile - lo si ribadisce - un’interpretazione volta a ritenere assoggettato a pubblicità nelle società quotate ogni possibile patto parasociale, a pena di frustrare il significato e la portata prescrittiva dell’elencazione tipologica recata dalla norma. Non è da escludere, peraltro, che patti di tipo diverso debbano essere resi noti, ai sensi dell’art. 114 T.U.F., quali informazioni privilegiate di cui all’art. 181 T.U.F., senza però che il loro occultamento determini le sanzioni previste tipicamente dall’art. 122 T.U.F. e, in particolare, la nullità del vincolo.36 3. Segue: il requisito della stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società: significato e portata applicativa. Proprio nel quadro della problematica analizzata nel precedente paragrafo quella del rapporto tra le disposizioni codicistiche e il T.U.F. - si colloca un altro degli interrogativi di importanza decisiva (come si vedrà anche oltre) ai fini dell’indagine condotta nel presente lavoro, ossia quello che riguarda la portata del requisito consistente nella finalità di “stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società”, contemplato in esordio dell’art. 2341-bis c.c. ma non riprodotto né in seno all’art. 2341-ter c.c., né nell’ambito del T.U.F. con riferimento alle società quotate 37. Anche l’art. 122 T.U.F., invero, tace sul punto, salvo individuare nei patti “aventi per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante” una specifica categoria che si affianca alle altre delineate dalla norma stessa [art. 122, comma 5, lett. d), T.U.F.]: norma che, essendo stata pedissequamente ripresa dalla lett. c) dell’art. 2341-ter c.c., non può tuttavia svolgere alcun ruolo decisivo in tal senso.38 Ci dell’art. 22 T.U.B. (inserito dall’art. 1.1, lett. f, n. 2, d. lg. 27 gennaio 2010, n. 21), il quale prevede che “ai fini dell’applicazione dei capi III e IV [rubricati rispettivamente “partecipazioni nelle banche” e “requisiti di professionalità e di onorabilità”, n.d.r.] si considera anche l’acquisizione di partecipazioni da parte di più soggetti che, in base ad accordi in qualsiasi forma conclusi, intendono esercitare in modo concertato i relativi diritti, quando tali partecipazioni, cumulativamente considerate, raggiungono o superano le soglie indicate nell’art. 19”: nel senso che il generico riferimento ai “diritti” comprenda anche “impegni parasociali anche soltanto di blocco o di consultazione, purché stabili”, v. ROSA, op. cit., 182 (nt. 66). 36 Sui rapporti tra patti parasociali occulti, informazioni privilegiate e insider trading ci si soffermerà diffusamente nel terzo capitolo. 37 Alla vigilia della riforma, esprimeva perplessità nei confronti dell’introduzione di tale requisito RESCIO, Dei patti parasociali, cit., 1458-1459, sia in quanto non agevolmente comprensibile, sia in quanto probabilmente in grado di esonerare dagli obblighi pubblicitari i patti stipulati dalle minoranze (magari di blocco). 38 E’ dubbio se tale categoria di patti possa comprendere anche gli accordi con cui taluni azionisti si impegnino reciprocamente ad esercitare un’influenza sugli amministratori. Anche prima dell’entrata in vigore della norma, taluno aveva negato la liceità di siffatti patti, argomentando in base al principio di libertà e responsabilità degli amministratori, che impedirebbe ai soci di vincolarsi validamente ad “esercitare pressioni (indebite) sui consiglieri di rispettiva designazione”: così SCHLESINGER, Oggetto delle clausole dei sindacati di voto, in Sindacati di voto e sindacati di blocco, a cura di F. Bonelli e P. G. Jaeger, Milano, 1993, 101 ss.; ma v. più di recente anche RORDORF, I patti parasociali: tipologia e disciplina, in Trattato del contratto, a cura di V. Roppo, Milano, 2006, v. VI, 804 ss.; PRATELLI, Problemi in tema di “sindacati di gestione”, in Giur. comm., 2005, I, 112 ss., entrambi argomentando principalmente sulla scorta del contrasto di tali patti con l’art. 2380-bis c.c. In senso parzialmente diverso TRIMARCHI, Strumenti per assicurare l’adempimento dei sindacati di voto, in Sindacati di voto e sindacati di blocco, a cura di F. Bonelli e P. G. Jaeger, Milano, 1993, 115 ss., il quale riteneva che tali 17 si deve chiedere, quindi, se la clausola inserita nella norma del codice civile sia una sorta di presupposto generale per l’applicazione di ogni disciplina riguardante la figura dei patti parasociali. La soluzione del quesito assume una portata di grande rilievo, tanto con riferimento all’esigenza di sceverare i patti parasociali soggetti agli obblighi pubblicitari previsti dal codice civile e dal T.U.F., quanto in rapporto al tema dell’accertamento dei patti parasociali occulti e, di riflesso, dell’individuazione degli elementi di fattispecie che a tal fine devono costituire oggetto di prova. Ora, per quanto riguarda le società facenti ricorso al mercato del capitale di rischio, risulta dominante e condivisibile l’opinione secondo cui il requisito in esame vada esteso anche alla disciplina della pubblicità di cui all’art. 2341-ter c.c., in nome dell’esigenza di coerenza interna al microsistema delineato dal codice civile, da leggersi, come già si è detto, in intima connessione.39 Maggiori incertezze sorgono, invece, proprio in relazione alla normativa riguardante le società quotate40: su questo punto è necessario soffermarsi, anche in pattuizioni, pur non potendo vincolare gli amministratori, sarebbero state del tutto valide tra i soci. In Germania, sono per lo più ritenuti rilevanti gli accordi in virtù dei quali gli azionisti esercitano una pressione congiunta sul consiglio di sorveglianza o sugli amministratori: cfr. DRINKUTH, op. cit., 677; SCHNEIDER, § 22, cit., 1070, il quale osserva come la norma sia attualmente inequivocabile in tal senso e possa riferirsi anche all’influenza di fatto sull’assemblea; nonché, ancora con riferimento al § 22, PSAROUDAKIS, op. cit., 304-305 (l’A., peraltro, richiama l’esigenza che l’influenza di fatto sia concretamente provata). Contra, con particolare riguardo al § 22, GAEDE, op. cit., 260. Il problema si era posto soprattutto con riferimento alla precedente versione delle due norme (in cui l’eccezione del caso singolo era letteralmente riferita all’esercizio del diritto di voto), sulla cui base la nota sentenza del BGH del 18 settembre 2006 (in ZIP, 2006, 2077 ss.) aveva ritenuto che anche la fattispecie generale comprendesse soltanto le intese aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di voto. La sentenza è stata pubblicata anche in RDS, 2008, 74 ss., con nota di F. M. MUCCIARELLI, Acting in concert e opa obbligatoria in una sentenza del BGH tedesco. Concorde con tale pronuncia si è mostrato LÖHDEFINK, op. cit., 336 ss., il quale si è espresso per la riconducibilità alla fattispecie dell’ipotesi in questione qualora esistano circostanze che garantiscano di fatto un’influenza sull’intero organo; per un commento già critico verso tale decisione, v. invece SCHNEIDER, Acting in Concert: Vereinbarung oder Abstimmung über Ausübung von Stimmrechten?, in ZGR, 2007, 440 ss.: l’A. ha osservato che l’intesa sull’esercizio del voto in assemblea non è né necessaria - giacché “il controllo è raggiunto, quando sussiste la possibilità di esercitare un’influenza di fatto sulla base dei diritti di partecipazione” (“Kontrolle ist erlangt, wenn die Möglichkeit besteht, den auf den Mitgliedschaftsrechten beruhenden faktischen Einfluss einzusetzen”) né sufficiente, poiché l’assemblea non è competente per le decisioni di gestione e d’altra parte l’accordo sulla scelta dei membri del consiglio di sorveglianza non potrebbe garantire automaticamente un’influenza sulla gestione. Il dubbio circa la rilevanza di altre condotte - diverse dall’esercizio del voto sembra ormai essere stato eliminato a seguito della modifica della norma, che non riferisce più l’eccezione del caso singolo al voto in assemblea: v., con riferimento al § 22, PSAROUDAKIS, op. cit., 300 ss. Restano di avviso contrario, con riguardo al § 30, GAEDE, op. cit., 216, in quanto per garantire l’esercizio del controllo ogni intesa dovrebbe riguardare l’esercizio dei diritti di voto; LÖHDEFINK, op. cit., 286, che ritiene sufficiente l’intesa avente tale oggetto, a prescindere dal fattivo e materiale esercizio del controllo, bastando la sua potenzialità (ibidem, 293); nonché HAMANN, op. cit., 1090, che ritiene i casi di influenza di fatto sugli amministratori - atteso che costoro sono vincolati soltanto a perseguire il bene dell’impresa - esclusi dal campo di applicazione del § 30 e soggetti soltanto a rimedi di diritto societario quali la responsabilità dei gestori stessi. 39 MACRI’, Patti parasociali, cit., 71 ss. Si è sostenuto però anche che la finalità di stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società sia strettamente coerente e funzionale alla (sola) disciplina in tema di durata dei patti parasociali, ossia all’art. 2341-bis c.c., e non anche a quella riguardante la pubblicità: CHIONNA, op. cit., 135. 40 Per i termini della questione cfr. SEMINO, Il problema della validità dei sindacati di voto, Milano, 2003, 363 ss., il quale pare propugnare la soluzione della verifica caso per caso e in concreto dell’applicabilità del requisito nelle società quotate. Cfr. sul punto LIBERTINI, op. cit., 489, il quale osserva che i sindacati di blocco presuppongono implicitamente in via generale il fine di stabilizzare la 18 ragione delle ricadute applicative che la soluzione di questo problema è destinata ad avere sulla disciplina del concerto e dell’OPA obbligatoria.41 proprietà, mentre quelli di controllo “tendono a stabilizzare il governo”; riconosce però l’A. che il problema rimarrebbe per i sindacati di voto (i quali, peraltro, costituiscono l’ipotesi più diffusa e frequente di patto parasociale): tanto basterebbe perché la questione conservi intatta la sua urgenza e rilevanza. Si osservi, peraltro, che analoga considerazione vale per i patti di consultazione e per quelli di acquisto di azioni (anch’essi contemplati dall’art. 122 T.U.F.). 41 Nell’ordinamento tedesco, le due norme in tema di pubblicità e di offerta pubblica di acquisto obbligatoria nelle società quotate (§ 22, Abs. 2 WpHG e § 30, Abs. 2 WpÜG) assicurano maggiore certezza, richiedendo, come già si è visto, che vi sia una cooperazione con lo scopo di determinare un durevole e rilevante cambiamento dell’organizzazione imprenditoriale della società. Si noti, peraltro, che tale requisito assume una connotazione chiaramente speculare rispetto a quello “nostrano”, proprio perché richiede un mutamento e non tanto una cristallizzazione delle dinamiche inerenti alla conduzione dell’impresa sociale: da questo punto di vista, parte della dottrina lo ha interpretato restrittivamente, escludendo che vi possa rientrare, appunto, un’azione concertata diretta alla conservazione dello status quo: cfr. VON BÜLOW-STEPHANBLOME, Acting in concert und neue offenlegungspflichten nach dem Risikobegrenzungsgesetz, in ZIP, 2008, 1799. In senso diverso, pare, SCHNEIDER (§ 22, cit., 1069) che ha richiamato la necessità di un “progetto comune” (“Gesamtplan”), sotteso alla durevole e rilevante influenza sulla società, che non deve però necessariamente tradursi in un cambiamento della politica commerciale (“nicht zwingend erforderlich ist aber eine Änderung der Geschäftspolitik”). Cfr. anche SCHÜPPEN-WALZ, op. cit., 651, ove si sottolinea, con riferimento al § 30, la necessità dello scopo dell’imposizione di importanti obiettivi societari, in una forma continua e durevole. Il problema interpretativo più spinoso che le norme tedesche pongono, però, è se tale generale requisito valga anche per le intese sul diritto di voto, essendo letteralmente riferito soltanto ai comportamenti coordinati di diversa natura: per una risposta affermativa con riferimento ad entrambe le norme v. ANDERS-FILGUT, Abgestimmte Stimmrechtsausübung - ist die Einzelfallausnahme systemwidrig?, in ZIP, 2010, 1115 ss., i quali osservano che l’esercizio coordinato del diritto di voto è soltanto una specifica ipotesi di comportamento omogeneo e pertanto rileva in presenza dei medesimi presupposti; sempre con riferimento ad entrambe le norme, VON BÜLOW-STEPHANBLOME, op. cit., 1798, ove si evidenzia che il coordinamento del diritto di voto deve mirare “auf eine nachhaltige und beständige Einflussnahme auf die Gesellschaft im Sinne eines Gesamtplans” (ossia “ad un durevole e costante influsso sulla società inteso come progetto comune”) e deve essere “spürbar” (percepibile); nonché PSAROUDAKIS, op. cit., 291. Similmente, ma con riferimento al § 22, GAEDE, op. cit., 252, che prospetta l’idea secondo cui anche l’intesa sul voto deve avere una certa rilevanza, al fine di evitare il pericolo di una sovrainformazione del mercato che, ove riguardasse fatti poco rilevanti, finirebbe per essere controproducente. Di diverso avviso HAMANN, In concert or not in concert? Eine methodische Konkretisierung von § 30 Abs. 2 Satz 1 WpÜG, in ZIP, 2007, 1091, secondo cui l’esercizio del diritto di voto in assemblea non deve a tale fine avere alcuna particolare connotazione ulteriore, anche in considerazione delle difficoltà di prova dell’esistenza di un coordinamento. Anche negli Stati Uniti lo scopo di raggiungimento del controllo rileva ai fini della disclosure, ma non tanto come elemento costitutivo della fattispecie dell’obbligo di pubblicità [la Section 13(d) richiede del resto che sia data notizia dello scopo degli acquisti, che potrebbe anche essere diverso], quanto nella prospettiva di un possibile alleggerimento della disclosure: secondo la Section 13(d)(5), si può beneficiare di un modello semplificato di informazione (Schedule 13G) nel caso in cui la percentuale rilevante sia acquistata nell’ambito della corrente attività del detentore “and were not acquired for the purpose of and do not have the effect of changing or influencing the control of the issuer nor in connection with or as a participant in any transaction having such purpose or effect”. La norma è attuata pressoché pedissequamente dalla Rule 13d-1(b)(1) della SEC: sul punto LEVY, op. cit., 5-15. Si tratta, come rilevato in dottrina, di una norma tipicamente pensata per gli investitori istituzionali: cfr. BROWN et al., op.cit., § 2.04[A], 2-21. Ciononostante, è comunque emersa l’opinione che tali previsioni possano comunque avere l’effetto negativo di scoraggiare il coinvolgimento degli investitori istituzionali nella corporate governance: sul punto COFFEE Jr.-SELIGMAN-SALE, Securities Regulation: Cases and Materials, New York, 2007, 719. Peraltro, la Rule 13d-1(e)(2) della SEC prevede che sino a quando l’investitore, dopo aver cambiato i suoi obiettivi, non provveda ad una piena disclosure, non possa né esercitare il voto per le sue partecipazioni, né acquistarne altre. Le Corti hanno avuto occasione di affermare, da un lato, che se la Schedule 13D non contiene l’informazione circa lo scopo di acquisizione del controllo e successivamente viene promossa una tender offer, l’informativa deve essere ritenuta falsa e ingannevole [v. ad es. Chromalloy Am. Corp. v. Sun Chem. Corp., 611 F.2d 240 (8th Cir. 1979)]; dall’altro, che su questo punto la disclosure deve riguardare un’intenzione ben 19 Secondo un primo orientamento, tale direzione finalistica degli accordi non sarebbe necessaria al fine dell’assoggettamento agli obblighi di pubblicità previsti dal Testo Unico della Finanza: di conseguenza, non vi sarebbero dubbi sulla necessità di pubblicizzare anche i patti intervenuti, ad esempio, tra soci di minoranza.42 Questa tesi è stata sostenuta anche sulla base dell’argomento per cui l’esigenza di una piena informativa al pubblico suggerirebbe di dare pubblicità a qualunque tipo di accordo, anche in ragione delle varie peculiarità che essi assumono in concreto e della difficoltà di distinguere categorie di patti parasociali dai contorni precisi.43 In base ad una differente ricostruzione, viceversa, lo scopo degli accordi parasociali descritto in maniera pressoché solenne dall’art. 2341-bis c.c. dovrebbe considerarsi un tratto fondamentale e comune a tutti i patti parasociali presi in considerazione dalla legge, ossia un presupposto necessario dell’applicazione della disciplina, specialmente ai fini degli obblighi di trasparenza, sia nell’ambito delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, sia nelle società quotate.44 precisa (e non già dai contorni indefiniti), che sia cioè più di una vaga previsione futura [Azurite Corp. v. Amster & Co., 52 F.3d 15, 18 (2d Cir. 1995); ma per la tesi che tale scopo non debba necessariamente essere accompagnato da un piano già definito, v. Standard Financial, Inc. v. La Salle/Kross Partners, LP, 1997 WL 80946, No. 96 C 8037 (N.D. III Feb. 20, 1997), riportato da DAVIS, Mergers & Acquisitions: Cases and Problems, Buffalo, New York, 2007, 178 ss.]. Lo scopo del raggiungimento e dell’esercizio del controllo non è menzionato nemmeno nella Section 16, anche se in dottrina si è rilevato che “Section 16 is intended to reach those persons who can be presumed to have access to inside information because they can influence or control the issuer as a result of their equity ownership”: così HAMILTONRASMUSSEN, op. cit., 22-23; per un’analoga osservazione con riferimento alla Section 13 - che riguarderebbe pur sempre “persons who may have the potential to exercise influence over the company”, cfr. BARTOS, United States Securities Law: A Practical Guide, Norwell, 2002, 131 (ove il virgolettato. Ma già la giurisprudenza aveva osservato: “that the purpose of section 13(d) is to alert the marketplace to every large, rapid aggregation or accumulation of securities, regardless of technique employed, which might represent a potential shift in corporate control is amply reflected in the enacted provisions”: v. GAF Corp. v. Milstein, 453 F.2d 709 (2d Cir. 1971). E’ bene osservare che, secondo quanto previsto dalla Rule 12b-2 della SEC, applicabile anche alla Section 13(d) del SEA, il controllo consiste in “the possession, direct or indirect, of the power to direct or cause the direction of the management and policies of a person, whether through the ownership of voting securities, by contract or otherwise”. 42 La rilevanza dei patti parasociali stipulati anche dalle minoranze era messa in luce da OPPO, Maggioranza e minoranze nella riforma delle società quotate, in Riv. dir. civ., 1999, II, 233, il quale riteneva però che difficilmente gli azionisti di minoranza avrebbero fatto ricorso a tale strumento. Sostengono la maggiore ampiezza dell’ambito di applicazione dell’art. 122 T.U.F., proprio in ragione dell’assenza del mancato richiamo di tale requisito, BLANDINI, Società quotate, cit., 342; FERRARA JR.-CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2009, 784. 43 Cfr. SEMINO, Brevi spunti su alcune questioni relative alla disciplina sulla disclosure dei patti parasociali nelle società quotate (deposito dei patti presso il registro delle imprese, regime sanzionatorio di cui all’art. 122 t.u.i.f. e accordi di lock-up), nota a Trib. Como, 31 gennaio 2000 (decr.), in Giur. comm., 2002, II, 282; e, in modo non molto dissimile, MEO, Le società di capitali, Le società con azioni quotate in borsa, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, Torino, 2002, v. XVII, 79. 44 Così, espressamente, MACRI’, Patti parasociali, cit., 78; RORDORF, I patti parasociali, cit., 798. In tal senso anche G. F. CAMPOBASSO, Voto di lista e patti parasociali nelle società quotate, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, I, 128 ss. e spec. 130, il quale opinava nel senso che gli accordi tra più azionisti per la presentazione congiunta di una lista di candidati al consiglio di amministrazione - non affiancati da un parallelo accordo sul voto - non costituirebbero patti parasociali rilevanti ai sensi dell’art. 122 T.U.F. in quanto “non sono destinati ad incidere sugli assetti proprietari e sulla contendibilità del controllo delle società quotate”. Conf., ma con diversa motivazione, CHIAPPETTA, I patti parasociali nel Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, in Riv. soc., 1998, 998 (nt. 30). Tale prospettiva è stata accolta anche da CARIELLO, Tutela delle minoranze e accordi parasociali nelle società quotate, in Riv. soc., 1999, 718 ss.: l’A. osservava che la disciplina del Testo Unico può spiegarsi soltanto con la necessità di garantire la massima trasparenza degli assetti di controllo e che, in particolare, 20 Proprio con riferimento a queste ultime, la giurisprudenza ha in più occasioni recentemente affermato che “caratteristica comune dei patti rilevanti ai fini della norma in esame [l’art. 122 T.U.F., n.d.r.] è quella dell’essere volti a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società, e la finalità della pubblicità è quella di garantire la trasparenza degli assetti proprietari della società quotata, a tutela del mercato” 45. In tal senso, peraltro, si era già pronunciata la Consob ancor prima delle novelle del T.U.F. intervenute nel 2007 e nel 2009, allorché aveva ritenuto che nelle fattispecie di cui all’art. 122 T.U.F. dovessero ritenersi rientranti solamente i patti aventi lo scopo di incidere sugli assetti proprietari e sulla contendibilità del controllo delle società quotate.46 La risposta all’interrogativo posto all’inizio del presente paragrafo merita però un ulteriore approfondimento. Occorre ammettere la correttezza dell’assunto che, in linea di principio, l’esigenza di pubblicizzare altresì i patti di minoranza non collide di per sé con la necessità che si ravvisi (anche) il presupposto della stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società: come si è giustamente notato, “mentre il fine di stabilizzare il governo societario caratterizza i sindacati di maggioranza (e quelli che, pur di minoranza, sono in grado in talune ipotesi e in presenza di certe condizioni di influire sulle decisioni societarie), invece la stabilizzazione degli assetti proprietari può concernere anche patti di minoranza.” 47 Tale affermazione, per quanto le sanzioni irrogate in caso di inosservanza degli obblighi pubblicitari trovano giustificazione soltanto se riferite ad accordi in grado di garantire l’influenza dominante sulla società, manifestando altrimenti la loro eccessività; secondo l’A., “l’art. 122, nella parte in cui prescrive tre diverse forme di pubblicità, è privo di ratio qualora se ne invochi l’applicazione con riferimento agli accordi di minoranza” (ibidem, 739). Sul punto anche COSTI, I patti parasociali e il collegamento negoziale, in Giur. comm., 2004, I, 206, il quale, in maniera più ambigua, rilevava che il fine di stabilizzazione “non viene esplicitamente richiesto con riferimento alle società quotate, anche se potrà considerarsi implicitamente perseguito pure per queste ultime nella massima parte dei casi”. 45 Così App. Genova, 19 dicembre 2009 (decr.), pubblicata in Società, 2010, 587 ss.; nonché App. Bologna, 27 gennaio 2010, pubblicata in Società, 2010, 591 ss. 46 Così la nota Comunicazione Consob n. 29486 del 18 aprile 2000, la quale aggiungeva che la funzione dei patti parasociali destinati ad essere assoggettati agli obblighi di trasparenza “può essere sinteticamente individuata nello scopo di dare un indirizzo unitario all’organizzazione e alla gestione sociale […] e nello scopo di ‘cristallizzare’ determinati assetti proprietari”. Tale comunicazione è stata poi ripresa dalle successive comunicazioni n. DEM/2060863 dell’11 settembre 2002; n. DEM/3077483 del 28 novembre 2003 e n. DEM/5044981 del 22 giugno 2005. Sul punto, v. anche DE CANTELLIS - GIUDICI TERRILE, Rassegna delle comunicazioni Consob in materia di offerte pubbliche di acquisto, in Riv. soc., 2001, 556. Si è di recente osservato che il legislatore del 2003 sembra aver recepito quanto già era stato affermato dalla Consob con riferimento alle società quotate e averne ricavato un principio generale: così BOVE, Sub art. 122, in Commentario all’offerta pubblica di acquisto, a cura di G. Fauceglia, Torino, 2010, 235 (nt. 30). Come si legge nella Relazione al d. lgs. n. 6/2003, inoltre, la comune finalità dei patti parasociali è volta a “scongiurare il rischio, già manifestatosi in relazione alle società quotate, di un’impropria estensione delle norme sui patti parasociali a fattispecie che nulla hanno a che vedere con questi”. Sul punto, v. anche GUACCERO, Interesse al valore per l’azionista e interesse della società, Milano, 2007, 337 ss., il quale ritiene siano riconducibili all’art. 122 T.U.F.: (i) gli accordi con i quali si attribuisce un diritto di opzione a favore degli azionisti che non intendano aderire ad un’offerta pubblica di acquisto né recedere da un preesistente ed ulteriore patto parasociale; (ii) gli impegni aventi ad oggetto l’acquisto di azioni mediante un’offerta concorrente; tali patti, ad avviso dell’A., presenterebbero le esigenze di trasparenza di cui all’art. 122 T.U.F. vuoi in quanto aventi ad oggetto l’acquisto di azioni, vuoi in quanto idonei ad incidere sugli assetti proprietari e sul controllo della società. 47 Sono le parole di MACRI’, Patti parasociali, cit., 81. Conf. PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 340; FIORIO, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 143-144; DONATIVI, Sub art. 2341-bis, cit., 169; LENER, Appunti, cit., 47; i quali richiamano la formazione di una minoranza di blocco nelle assemblee 21 condivisibile, non risolve però il problema se il requisito debba in ogni caso essere presente ai fini dell’applicazione della disciplina e dunque, per quanto riguarda i patti parasociali occulti, costituire oggetto di prova. Un tentativo di soluzione potrebbe passare attraverso la verifica se tale clausola sia compatibile con tutte le categorie di patti indicate dall’art. 122 T.U.F.: il riferimento è, in particolare, agli accordi volti ad aderire ad un’offerta pubblica, che non parrebbero certo volti a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società. In realtà, non è da escludere che tale effetto “stabilizzatore” possa anche essere previsto riguardo al futuro, ossia all’assetto proprietario come destinato a configurarsi proprio in seguito al successo dell’OPA: in altre parole, non è affatto scontato che gli “assetti proprietari” menzionati dalla norma del codice civile siano necessariamente quelli esistenti al momento della stipula del patto parasociale, ben potendo quest’ultimo, appunto, limitarsi inizialmente a non opporsi ad un mutamento del controllo che sia destinato successivamente a consolidarsi.48 Rientrano nella fattispecie di cui alla lett. d-bis) anche gli accordi con cui un terzo si impegni a promuovere un’offerta concorrente a quella ostile al gruppo di comando della società bersaglio: si è correttamente osservato che anche in tal caso emergono esigenze di trasparenza dell’accordo, specie in capo all’offerente ostile, il quale ha evidentemente interesse a conoscere l’offerta concorrente e gli accordi ad essa sottostanti.49 Anche tale percorso argomentativo, tuttavia, non sembra in grado di dimostrare la necessità del presupposto in esame ai fini dell’applicazione della disciplina del T.U.F.: altro è che il requisito sia astrattamente compatibile con tutte le tipologie di patti contemplate dall’art. 122 T.U.F., altro è sostenere che esso sia imprescindibile, con conseguente condanna all’irrilevanza degli accordi che in concreto ne siano privi. Tale imprescindibilità non potrebbe essere ricavata neppure dal tenore dell’art. 101-bis T.U.F., che individua i patti parasociali di cui all’art. 122 T.U.F. (ad esclusione di quelli di cui alla lett. d-bis) quale ipotesi presuntiva di un’azione concertata, che si fonda sull’accordo “volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società emittente” (o a contrastare un’offerta pubblica di acquisto o di scambio): tale locuzione, come si avrà modo di illustrare più diffusamente nel capitolo successivo e salva la necessità di precisarne la portata, gioca un ruolo chiave ai fini propri dell’insorgenza dell’obbligo di promuovere un’OPA, ma non anche nell’ottica della trasparenza, non trovandosi del resto traccia della stessa nell’art. 122 T.U.F. Né sembra avere importanza decisiva nella presente questione, come anticipato, il fatto che l’elenco di cui all’art. 122 T.U.F. contempli i patti aventi per oggetto o per effetto l’esercizio di influenza dominante sulla società [lett. d) del quinto comma]: tale fattispecie, invero, coincide con quella di cui all’art. 2341-bis c.c., n. 3, nel cui contesto straordinarie e anche la stipulazione di un sindacato di blocco da parte di soci minoritari. Sul punto anche OPPO G., Patto sociale, patti collaterali e qualità di socio nella società per azioni riformata, in Riv. dir. civ., 2004, II, 57 ss.; LEOGRANDE, op. cit., 101; TRIMARCHI, I patti parasociali, cit., 141. 48 Sul punto, v. BOVE, op. cit., 236. L’A. aggiunge anche che “chi si è impegnato ad aderire ad un’OPA agisca normalmente di concerto con colui che l’ha promossa o la promuoverà” (ibidem, 235). Nessun dubbio, invece, sul fatto che gli impegni di non adesione all’OPA siano rilevanti ai fini della cristallizzazione degli assetti proprietari: cfr. App. Bologna, 27 gennaio 2010, cit.. 49 V. BOVE, op. cit., 241 (testo e nt. 58). 22 essa convive proprio con il generale requisito della finalità di stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo societario.50 Si può accedere all’idea che tale categoria di patti costituisca una fattispecie di chiusura che non vale di per sé ad escludere la rilevanza, con riguardo alle altre tipologie di patti elencate dall’art. 122 T.U.F., degli accordi stipulati anche dalle minoranze.51 Se questo è vero, non è meno vero che tale assunto debba oggi certamente essere corretto alla luce del comma 5-ter dell’art. 122 T.U.F. - che fissa al due per cento del capitale sociale la soglia di rilevanza dei patti destinati ad essere comunicati nelle società quotate - ma risulta certamente condivisibile. A ben guardare, è proprio l’introduzione di questo requisito numerico (ad opera del d. lgs. n. 146/2009) a poter fornire una prospettiva di soluzione. Si può constatare, cioè, che il legislatore ha evitato di inserire ulteriori limiti alla pubblicità dei patti parasociali di società quotate, pur essendo a conoscenza dei termini del presente (e già esistente) dibattito52. Né risulta condivisibile l’interpretazione proposta da chi ha osservato che tale soglia riguarderebbe a ben vedere i soli “obblighi di comunicazione” (come letteralmente prevede lo stesso comma 5-ter) e non anche quelli di pubblicazione, che rimarrebbero in ogni caso fermi53: una simile soluzione, invero, sarebbe razionale se fossero i più gravosi obblighi di pubblicazione ad essere limitati ad una fascia più ristretta di patti e non già quello di 50 E’ probabilmente vero che, come sostiene DONATIVI, Sub art. 2341-bis, cit., 173, se un patto ha per oggetto o per effetto l’esercizio di un’influenza dominante soddisfa altresì il requisito generale della finalità di stabilizzazione: il problema, però, è proprio quello di verificare se esso possa ritenersi presupposto generale di applicazione della disciplina anche per le altre tipologie di patti contemplate dall’art. 122 T.U.F. 51 Cfr. SANTONI, I patti parasociali nella nuova disciplina delle società quotate, in Riv. dir. priv., 1999, 204, il quale, ammettendo pertanto la necessaria pubblicizzazione dei patti di minoranza, evidenziava che “non è dato individuare una particolare categoria di soggetti, e specificamente i c.d. soci di minoranza, che si avvantaggerebbero della disciplina in esame, la quale ha invece come proprio effettivo obiettivo la tutela del mercato”; e v. anche ID., Sub art. 122, in Testo Unico della Finanza (d. lg. 24 febbraio 1998, n. 58), Commentario diretto da G. F. Campobasso, Torino, 2002, **, 1003 e 1005. Analog, OPPO, Patti parasociali: ancora una svolta legislativa, in Riv. dir. civ., 1998, II, 224, il quale affermava che “fatta salva l’ipotesi di ‘influenza dominante’ […], la disciplina, come quella stessa del sindacato di voto, prescinde dalla creazione o dalla preesistenza di una situazione di controllo”. Conf. ATELLI, Sub artt. 122-124, in Il testo unico della intermediazione finanziaria, Commentario al D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, a cura di C. Rabitti Bedogni, Milano, 1998, 677. 52 Per i termini della questione cfr. MACRI’, Patti parasociali, cit., 82 (nt. 94). Dopo la riforma societaria, del resto, si era proposto di introdurre in relazione alle società quotate proprio il riferimento alla soglia di rilevanza del 2%, in linea con la disciplina della comunicazione delle partecipazioni rilevanti e dei limiti alle partecipazioni reciproche contenuta nel T.U.F.: v. ad esempio DONATIVI, Sub art. 2341-bis, cit., 170-171. Quanto appena detto introduce implicitamente la questione se si dovranno computare tutte le azioni detenute dagli aderenti o soltanto quelle espressamente vincolate al rispetto del patto parasociale: esigenze di natura antielusiva militano nel primo senso. La questione potrebbe essere sdrammatizzata se si ritiene, come taluno ha fatto, che la partecipazione singolarmente detenuta (e formalmente estranea al patto) vada comunque resa oggetto di comunicazione ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 120 T.U.F.: BOVE, op. cit., 231. Sotto altro profilo, l’A. osserva che debbano essere computate al denominatore soltanto le azioni con diritto di voto (anche se limitato o sospeso), mentre al numeratore (ossia ai fini del calcolo del 2%) anche gli strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi. 53 Si è rilevato infatti che il comma 5-ter dell’art. 122 T.U.F. si riferisce letteralmente agli “obblighi di comunicazione”, che dovrebbero essere distinti dagli “obblighi di pubblicazione”: così BOVE, op. cit., 230, il quale sottolinea in particolare che, mentre il comma 3 della norma menziona genericamente gli “obblighi di cui al comma 1” e il comma 2 distingue appunto la “comunicazione” dalla “pubblicazione” dei patti, il comma 5-ter si rivolge espressamente ai soli “obblighi di comunicazione”. 23 comunicazione. Dunque, può certamente ammettersi l’assoggettabilità degli accordi parasociali di minoranza nelle società quotate - rientranti, naturalmente, nelle tipologie elencate dall’art. 122 T.U.F. - agli obblighi di pubblicazione e comunicazione ivi previsti, essendo necessario ma anche sufficiente che essi coinvolgano azioni in misura superiore alla predetta percentuale. Il dato normativo, su questo punto, sembra difficilmente equivocabile. Sulle impostazioni di ordine restrittivo tese a valorizzare quale discrimine la finalità “di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società”, risultano dunque destinati a prevalere, da un lato, il comma 5-ter dell’art. 122 T.U.F., che come si è visto milita nel senso che la soglia in esso individuata si configuri quale requisito necessario e sufficiente per l’insorgenza degli obblighi di trasparenza; dall’altro, ancora una volta, il chiaro disposto del comma 5-bis dello stesso art. 122 T.U.F., che sancisce l’inapplicabilità - ai patti in esso previsti e relativi appunto a società quotate - degli artt. 2341-bis e 2341-ter c.c. Né si può obiettare che la disposizione del comma 5-bis si riferisca unicamente alla disciplina dettata dagli articoli del codice, rimanendo la fattispecie ivi descritta (o quantomeno taluni suoi elementi) estendibile anche ai patti parasociali di società quotate: questa tesi si risolverebbe in un’evidente forzatura del dato normativo, atteso che l’art. 122 T.U.F. mostra chiaramente, attraverso un’elencazione delle tipologie di patti (in parte sovrapponibile, ma comunque) differente, di voler configurare in maniera autonoma anche la fattispecie (rectius: le fattispecie) soggette agli obblighi informativi da esso imposti. Anche volendo prescindere da questi argomenti di natura esegetica - per quanto, ad opinione di chi scrive, di per sé decisivi - si può osservare che in ragione delle maggiori e pressanti esigenze di trasparenza che emergono nel contesto delle società quotate, non sembra ragionevole limitare in relazione a queste ultime l’ambito applicativo delle norme in tema di disclosure dei patti parasociali, uniformandolo a quello delle disposizioni codicistiche. Anche la dottrina tedesca, in relazione al § 22 WpHG - che in sostanza sancisce, come si è visto, l’obbligo di comunicazione degli accordi tra soci in quanto rilevanti per la disclosure delle soglie di partecipazione al capitale - ha evidenziato, da un lato, la necessità di ricomprendervi anche i casi dubbi 54; dall’altro, che tale norma mira a garantire la massima trasparenza, anche di assetti proprietari non di controllo.55 Non è chi non veda come la tesi che propugna l’assoggettamento a pubblicità dei soli patti volti a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società finisca per avere ricadute applicative decisamente problematiche, giacché non sarebbe certo semplice stabilire in concreto se un determinato patto parasociale sia o meno da rendere noto; nel caso di un patto occulto, per di più, tali difficoltà si aggiungerebbero a quelle derivanti dalla prova (tanto del patto stesso quanto, in particolare, dello specifico requisito di cui si è detto). Ad ogni modo, come si vedrà nel capitolo successivo, la conclusione rassegnata non implica affatto l’assoluta irrilevanza, nel tessuto normativo approntato dal T.U.F., dell’idoneità del patto a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società, ben 54 55 PRASUHN, op. cit., 185 ss. VON BÜLOW-BÜCKER, op. cit., 703-704. 24 potendo tali o simili effetti - che abbiano a prodursi in concreto - rivestire un ruolo chiave ai fini della prova dell’esistenza di un patto parasociale occulto, basata primariamente sul comportamento conforme dei presunti concertisti e sul relativo impatto nell’ambito della vita societaria. 4. Segue: la natura del requisito della stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società tra interpretazioni “soggettivistiche” e “oggettivistiche”. Le ultime battute del precedente paragrafo hanno già anticipato ed in parte introdotto il successivo approdo della trattazione. Si è poc’anzi ritenuta più corretta l’impostazione secondo cui la finalità di stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società costituisce un elemento caratterizzante ed essenziale per i soli patti parasociali soggetti alla disciplina codicistica in tema di pubblicità, relativa cioè a società facenti ricorso al mercato del capitale di rischio ma non quotate. La clausola non rileva, viceversa, ai fini dell’insorgenza degli obblighi di trasparenza di cui all’art. 122 T.U.F. Nel tessuto normativo del codice civile, si pone però l’ulteriore problema se la predetta destinazione teleologica dell’accordo debba altresì costituire oggetto della prova volta a far emergere un patto parasociale occulto.56 Altro quesito, tutt’altro che secondario, è se, correlativamente, la predetta finalità di cui all’art. 2341-bis c.c., costituente presupposto dell’applicazione anche dell’art. 2341-ter c.c., debba essere intesa e valutata in senso oggettivo o soggettivo.57 La Corte d’Appello di Bologna, in una recente pronuncia riguardante il noto caso Unipol-BNL, pur presupponendo la rilevanza del requisito anche nell’ambito della disciplina del T.U.F., ha risposto alla prima questione, per quanto implicitamente, in senso affermativo, là dove ha ritenuto che gli elementi indiziari forniti dalla Consob non fossero sufficienti a provare “l’intento di stabilizzazione degli assetti proprietari necessario per poter ravvisare la sussistenza di un patto parasociale rilevante ai sensi dell’art. 122 T.U.F.” 58 (corsivo aggiunto). Con tale passaggio, come si può notare, la Corte ha altresì attribuito al requisito una valenza soggettiva, lasciando intendere che tale elemento della fattispecie debba costituire oggetto di rappresentazione e volontà dei paciscenti e che, appunto, su di esso debba essere raggiunta la prova. 56 Non si può passare sotto silenzio, in argomento, l’originale ma isolata posizione di BADINI CONFALONIERI, op. cit., 285, che, con riferimento alla disciplina del codice civile, ritiene il requisito funzionale di cui all’art. 2341-bis c.c. “presunto nei patti parasociali indicati dalla norma stessa”, salva la prova contraria. 57 Nella dottrina tedesca, alcuni autori hanno optato per interpretare in senso soggettivistico il requisito del cambiamento dell’organizzazione dell’impresa sociale o comunque dell’influenza durevole sulla società, ma si tratta di opinione - a quanto consta - minoritaria: in tal senso, VON BÜLOWSTEPHANBLOME, op. cit., 1799, i quali ritengono che esso debba presentarsi nella forma di un intento che sta alla base dell’intesa, non essendo necessario che l’influenza sulla società abbia, in ultima analisi, successo. Conf. HAMANN, op. cit., 1092. 58 Così App. Bologna, 27 gennaio 2010, cit., 591. 25 Questa impostazione risulta essere però minoritaria in dottrina e, in ogni caso, poco convincente, giacché è “evidente come la soggezione alla disciplina non possa dipendere da un elemento soggettivo di difficile e insicuro accertamento” 59. In letteratura tende infatti a prevalere l’idea che la clausola vada intesa oggettivamente: in questa prospettiva, però, le posizioni si diversificano ulteriormente. Taluni, in particolare, ritengono che si debba avere riguardo ai possibili effetti del patto parasociale.60 Altri, sempre nell’ambito della tesi “oggettivistica”, preferiscono interpretare la locuzione alla stregua di una “causa concreta” dell’accordo61: si osserva, in proposito, che l’applicabilità della disciplina non può dipendere da una valutazione ex post avente ad oggetto gli effetti pratici del patto.62 Quest’ultima impostazione presenta tuttavia alcuni punti deboli. Innanzitutto, non si tratterebbe necessariamente di procedere ad una valutazione ex post, bensì ad una valutazione ex ante secondo il criterio della prognosi postuma: se, poi, si riscontra che il patto parasociale ha concretamente prodotto effetti di tal fatta, anche tale prova ne risulterà agevolata; in secondo luogo, la causa concreta intesa come intento od obiettivo comune delle parti è concetto scivoloso e finisce per essere a livello pratico pressoché indistinguibile dai motivi o, comunque, dallo stato soggettivo dei paciscenti; infine, si può forse osservare che la nozione di causa afferisce alla struttura di un determinato negozio, a prescindere dalla percentuale di capitale detenuta dagli azionisti che lo pongono in essere (il patto stipulato da una strettissima minoranza, cioè, ha la medesima causa di quello di contenuto identico ma stipulato da una percentuale rilevante) 63: affinché sia configurabile in concreto l’idoneità del patto a stabilizzare gli effetti proprietari o il governo della società, invece, occorrerà pur sempre che l’accordo coinvolga una percentuale del capitale sociale (certamente variabile a seconda dei casi e tuttavia) tale da consentire (concretamente, appunto), la produzione di tale effetto. 59 Così, condivisibilmente, PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 338. Aderiscono a questo orientamento MACRI’, Patti parasociali, cit., 72; DONATIVI, Sub art. 2341-bis, cit., 172; più sfumata ma analoga appare la posizione di ABRIANI, L’assemblea, in Le società per azioni, a cura di N. Abriani, S. Ambrosini, O. Cagnasso, P. Montalenti, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, Padova, 2010, v. IV, t. I., 549, che giudica decisiva la “obiettiva capacità del patto parasociale di incidere sugli assetti proprietari e sul governo societario”. 61 PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 338. Un’opinione simile è emersa nella letteratura tedesca con riferimento al requisito degli accordi rilevanti, sia per il § 22 che per il § 30: si è detto, cioè, che conta il perseguimento da parte degli interessati di uno scopo comune (“ein gemeinsames Ziel”), ma non anche dei medesimi obiettivi a livello soggettivo, essendo irrilevanti i motivi individuali: così RALOFF, op. cit., 192-193. Nello stesso senso si orienta la dottrina francese, nel momento in cui sottolinea che la “politique commune” implica “la présence d’un élément intentionnel particulier, une sorte d’affectio concertis”: così LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 543; essa, però, non si identifica con i motivi individuali perché “ils agissent de concert non point nécessairement parce qu’ils veulent tous la même chose, mais parce que leur politique commune permet à chacun d’obtenir ce qu’il veut”: sono parole di SCHMIDT, Action de concert, in Rép. Sociétés Dalloz, 2000, n. 42. 62 In dottrina, per tale posizione, v. in particolare CHIONNA, op. cit., 115 ss. e spec. 118: l’A. ammette l’irrilevanza dei motivi individuali inespressi e riconosce la (sola) rilevanza della “causa concreta” dell’accordo, che sarebbe determinata dall’unanime volontà manifestata in sede di stipulazione del patto dai suoi aderenti. 63 In tal senso DONATIVI, Sub art. 2341-bis, cit., 172, il quale aggiunge che, quand’anche si aderisse alla tesi soggettivistica o a quella causale, si dovrebbe intendere la finalità di stabilizzazione come comprensiva anche di uno scopo-mezzo e non solo di uno scopo-fine. 60 26 Quanto testé detto verrà ripreso anche nel capitolo successivo, allorché si approfondirà il significato dell’obiettivo di “acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società”, individuato dall’art. 101-bis, comma 4, T.U.F. come un tratto fondamentale dell’accordo in cui si sostanzia l’azione concertata. 5. Ulteriori problemi di interpretazione delle fattispecie: la rilevanza dei patti a carattere occasionale e di quelli conclusi in vista di singole assemblee. A questo punto occorre chiedersi se siano soggetti agli obblighi pubblicitari anche i patti parasociali di carattere, per così dire, episodico - che si risolvono, cioè, in un adempimento meramente puntuale - tra i quali rientrano quelli conclusi in vista ed in occasione di singole assemblee.64 Quanto alle società quotate, l’aver escluso l’imprescindibilità del requisito di stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società ai fini dell’applicazione della disciplina, da un canto, e l’assenza di indicazioni di carattere limitativo nell’elencazione contenuta nell’art. 122 T.U.F., dall’altro, inducono a propendere per la risposta affermativa.65 Naturalmente, non va dimenticato che la quota di capitale sociale detenuta dai soci avvinti nel patto deve essere almeno pari al due per cento. Il dubbio potrebbe acquisire maggiore consistenza, semmai, per i patti di cui alla lett. d), che si riferiscono al“l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante”: in proposito, vi è chi ha sostenuto che vi rientrino anche i patti stipulati in vista di una sola assemblea, dunque non aventi carattere di stabilità.66 Senz’altro, come è stato scritto, è da escludere che possano rientrare nella fattispecie di cui alla lett. d) anche i patti di carattere occasionale stipulati dalle minoranze. 67 Anche in merito ai patti conclusi in via del tutto episodica da soci in grado di riunire una percentuale rilevante - magari di controllo - del capitale sociale, tuttavia, non è agevole predicare in via generale ed astratta la loro riconducibilità alla predetta categoria. Si potrebbero forse invocare, a 64 Come si è già visto, nell’ordinamento tedesco è stata esclusa la rilevanza delle “Vereinbarungen in Einzelfällen” (cioè delle intese in casi singoli, ossia episodiche), ma resta il problema di verificare in che modo debba essere intesa la portata dell’eccezione (v. infra). 65 Con riferimento alle società quotate, ritiene sempre rilevanti i patti stipulati occasionalmente MONTALENTI, La società quotata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, Padova, 2004, v. IV, t. II, 141; contra TRIMARCHI, I patti parasociali, cit., 140-141. 66 Così SANTONI, I patti parasociali, cit., 205, il quale argomenta a partire dall’osservazione che “lo stesso art. 2359 cod. civ. non richiede affatto che l’influenza dominante debba essere duratura o continuata”. 67 E’ quanto riconosce anche SANTONI, I patti parasociali, cit., 207. I patti stipulati dalle minoranze rileveranno senz’altro, invece, nell’ambito delle altre figure di patti elencate dall’art. 122 T.U.F. Si noti, del resto, che in sede di emanazione del Testo Unico si era detto che “il problema dei patti parasociali non è un problema di maggioranze o minoranze, ma essenzialmente un problema di informativa al pubblico, sicché si è ritenuto non praticabile limitare la pubblicità solo a quelli di maggioranza ovvero fissare limiti di rilevanza dei patti, per non dare spazio a comportamenti elusivi”: così il direttore generale del Tesoro nell’audizione alla Commissione Finanze della Camera (21 gennaio 1998), pubblicata in Riv. soc., 1998, 204 ss. Tale impostazione può conservare anche oggi la sua valenza di fondo, nonostante le modifiche apportate all’art. 122 T.U.F. e l’introduzione della soglia di rilevanza del 2%, che, come si è detto, concerne non solo gli “obblighi di comunicazione” ma anche quelli di pubblicazione. 27 titolo di esempio, quelle intese concluse in vista della nomina (o della revoca) degli amministratori o dei membri del consiglio di sorveglianza: 68 non vi è dubbio che un accordo di tal fatta, per quanto destinato a risolversi in un adempimento puntuale e circoscritto ad un’unica assemblea (salve, eventualmente, le successive convocazioni), rechi in sé una potenziale vocazione ad incidere sul governo e sulla gestione della società; affinché vi sia, nondimeno, (vero e proprio) esercizio di un’influenza dominante non sembra si possa prescindere dalla persistenza (e dalla correlativa possibilità di riscontro) di condotte che, in quanto poste in essere in via continuativa, manifestino un’intensità tale da consentire ai loro autori di influire concretamente sulla conduzione dell’impresa sociale e sulla sua gestione, nonostante la discrezionalità che gli amministratori conservano in via di principio in questo ambito.69 68 Sul punto anche RESCIO, Gli strumenti di controllo, cit., 61-62. In Germania si è sviluppato un intenso dibattito proprio intorno all’interpretazione da dare all’eccezione del caso singolo - prevista espressamente sia dal § 22, Abs. 2 che dal § 30, Abs. 2 - con ricadute problematiche inerenti proprio all’accordo per la nomina degli organi sociali. Diverse e variegate sono le posizioni che si riscontrano in letteratura, riconducibili peraltro a due principali filoni. Alcuni sostengono, sebbene con qualche variante, l’adozione di un criterio formale, in base al quale ogni patto o intesa conclusi in vista di una determinata circostanza (per esempio, in occasione di una certa delibera assembleare) possa sempre beneficiare dell’esenzione, a prescindere dal fatto (ed ammesso) che sia in grado di produrre durevoli e rilevanti effetti sulla società: per tale linea interpretativa, con riguardo al § 22 e al § 30, si vedano PSAROUDAKIS, op. cit., 318-319 e 326-327; VON BÜLOW-STEPHANBLOME, op. cit., 1799, i quali osservano che se si volessero sottrarre dall’operatività dell’eccezione le condotte anche puntuali ma con effetti di lungo termine, la sua portata e il suo significato ne uscirebbero svuotati, giacché la regola generale richiede appunto una durevole e rilevante influenza sulla società. Aggiungono gli A. che, in base al criterio formale, ciò che conta è soltanto che il coordinamento degli azionisti si basi su di un’unica decisione comune: pertanto, rimarrebbero “casi singoli” anche più condotte omogenee nell’esercizio del voto - con riferimento a diversi oggetti di decisione - nell’ambito di un’unica seduta assembleare, come anche i comportamenti coordinati aventi un unico obiettivo ma che richiedono di essere attuati attraverso un più o meno lungo lasso di tempo (ibidem, 1799). Analog. VON BÜLOWBÜCKER, op. cit., 700-70, secondo i quali può parlarsi di caso singolo ogni qual volta il comportamento coordinato riguardi un’unica ed omogenea circostanza e si fondi su di una nuova decisione degli aderenti, a prescindere dal fatto che esso debba o meno essere ripetuto in più occasioni ed indipendentemente dalla propagazione nel tempo dei relativi effetti sulla società. Conf. WEIß, op. cit., 126 ss. Posizione simile è quella di STEINMEYER, § 30, WpÜG, Wertpapiererwerbs- und Übernahmegesetz Kommentar, von R. Steinmeyer zusammen mit M. Häger, Berlin, 2007, 525, che ritiene decisiva l’unicità dell’oggetto della decisione assembleare, a prescindere da considerazioni di carattere temporale inerenti la ripetizione delle condotte. Il c.d. criterio formale è stato accolto anche dal BGH nella già citata pronuncia del 18 settembre 2006 (in riforma della sentenza dell’OLG München del 27 aprile 2005), il quale, riconducendo all’eccezione l’accordo sulla nomina di membri del consiglio di sorveglianza, ha individuato come parametro di valutazione la frequenza delle condotte, argomentando sia in base alla lettera della norma che a esigenze di certezza del diritto. Analog. l’OLG Stuttgart, nella pronuncia del 10 novembre 2004 (in NZG, 2005, 432 ss.), che ha ritenuto rientrino nell’eccezione di cui al § 22 le intese per l’esercizio del voto in un’assemblea e ha evidenziato che la condotta omogenea in assemblea di per sé non è comunque sufficiente per ipotizzare un comportamento coordinato. Optano espressamente per un criterio di tipo materiale, invece, LÖHDEFINK, op. cit., 294 e 310-311, il quale riferisce all’eccezione la singola decisione che sia, al contempo, irrilevante per il raggiungimento del controllo, sussistendo altrimenti i presupposti del concerto, e aggiunge che anche condotte ripetute non sono sufficienti se non permettono alcun controllo; nonché (quantomeno in rapporto al § 30), PRASUHN, op. cit., 219-220, la quale reputa che il criterio della durevolezza (“Nachhaltigkeit”) imponga una valutazione di tipo qualitativo in relazione agli oggetti di decisione (“eine qualitative Gewichtung im Hinblick auf die Beschlussgegenstände”). Ha tentato di conciliare le diverse proposte interpretative HAMANN, op. cit., 1094, il quale ha proposto di risolvere il contrasto affermando che le condotte (tipicamente, le votazioni in assemblea) debbano essere ripetute (anche se non necessariamente con carattere di stretta continuità) e, al contempo, siano dirette ad un obiettivo di più lungo termine (analog. GAEDE, op. cit., 222 ss. con riferimento al § 30 e 254 con riferimento al § 22, la quale richiede che le 69 28 Tale riflessione dischiude allora una diversa prospettiva, che riconosce la necessità di compiere un’analisi indirizzata al singolo caso concreto, al fine di verificare l’effettiva sussistenza di un’influenza dominante derivante dall’accordo (ma anche e soprattutto dalle successive condotte) e di non ledere “la necessaria trasparenza di accordi rilevanti per il mercato”70. Quanto appena detto vale, si badi, proprio e soltanto per la categoria di patti individuata dalla lett. d) del quinto comma dell’art. 122 T.U.F.; per le altre, invece, come si è detto, non si ravvisano solidi argomenti per mandare esenti dagli obblighi di pubblicità anche gli accordi perfezionati in una singola, determinata occasione. Torna in gioco e diviene prevalente, infatti, l’interesse alla più ampia trasparenza degli accordi conclusi tra gli azionisti di una società quotata. Di conseguenza, i patti di voto o di consultazione conclusi unicamente in vista dell’assemblea chiamata al rinnovo delle cariche sociali, anche se non riconducibili di per sé alla lett. d) del quinto comma, dovranno senz’altro essere pubblicati ai sensi, rispettivamente, del primo comma o della lett. a) del quinto comma.71 Si può allora affermare che, mentre con riferimento alle condotte concernano più di una assemblea e al contempo non si limitino ad una sola questione tecnica): non basterebbero, dunque, per ritenere integrata la fattispecie generale, né una condotta puntuale con effetti rilevanti di più lunga durata (come vorrebbe il c.d. criterio materiale), né una condotta ripetuta ma inidonea ad influire stabilmente sulla società in ragione dell’oggetto su cui ricade (come risulterebbe dal c.d. criterio formale). Su una posizione simile si sono collocati SCHOCKENHOFF-SCHUMANN, op. cit., 589. 70 Questa la conclusione cui giunge SEMINO, Il regime, cit., 1463. 71 Il problema della rilevanza dei patti a carattere occasionale è stato affrontato in Germania, proprio in relazione alla nomina del consiglio di sorveglianza, da diversi autori: v. DRINKUTH, op. cit., 676, il quale ritiene che il coordinamento ad essa riferito non rientri nell’eccezione del caso singolo allorquando essa concerna più membri dell’organo o sussistano circostanze particolari, come quando vengono adottate unitamente alla stessa altre misure di carattere strutturale (ibidem, 677). Così anche SCHNEIDER, § 22, cit., 1070; il medesimo autore, con riguardo al § 30, ha sostenuto che l’accordo per la scelta di due o più membri del consiglio di sorveglianza deve anche essere accompagnata da ulteriori intese aventi lo scopo di esercitare una continua e durevole influenza sulla società (§ 30, cit., 880). Similmente GAEDE, op. cit., 184 ss. ove, con riferimento al § 30, si prospetta l’idea che l’accordo per la scelta dei componenti del consiglio non basti per integrare la fattispecie del concerto, dovendo accompagnarsi ad una stabile maggioranza e ad un’ulteriore intesa anche tacita tra essa volta ad influenzare l’organo (“Es muss ausdrücklich oder konkludent vereinbart werden, auf die Aufsichtsratmitligeder in eine bestimmte Richtung einzuwirken”); nonché PRASUHN, op. cit., 248, secondo cui la scelta coordinata dei membri dell’organo non garantisce di per sé la possibilità di imporre in maniera durevole determinati obiettivi. Diversamente, VON BÜLOW-BÜCKER, op. cit., 714, i quali, coerentemente al criterio generale di tipo formale da essi accolto, hanno sostenuto che l’accordo per la scelta del consiglio di sorveglianza rientri nell’eccezione, anche qualora sia ripetuto con riferimento alle successive nomine, purché sia ogni volta il frutto di una nuova manifestazione di volontà dei pattisti. Conf. PSAROUDAKIS (op. cit., 325), che individua nell’accordo per l’elezione del consiglio di sorveglianza “un tipico esempio di caso singolo” (“ein klassisches Beispiel von Stimmrechtsausübung in einem einzelnen Fall”). Su una posizione intermedia, ma più vicina al c.d. criterio materiale, sembrano attestarsi, invece, SCHÜPPEN-WALZ, op. cit., 655, i quali hanno evidenziato che la nomina del consiglio di sorveglianza non rientra automaticamente nell’eccezione del caso singolo, ma nemmeno nella fattispecie generale, dovendo a tal fine essere riscontrato un ulteriore obiettivo imprenditoriale comune. Si può qui anticipare (ma v. meglio il capitolo successivo) che nell’ordinamento inglese uno dei presupposti dell’OPA obbligatoria a seguito di azione concertata è dato dall’obiettivo definito dal Takeover Panel (l’organismo chiamato all’intepretazione e all’applicazione del City Code on takeovers and mergers) di “board control-seeking” (ossia, potremmo dire, di conseguimento del controllo sull’organo amministrativo), che nell’ipotesi di accordo per la nomina dei membri del board in occasione dell’assemblea annuale è ritenuto integrato soltanto a certe condizioni, che dipendono anche dal numero e dallo specifico ruolo degli amministratori da eleggere: su questi aspetti cfr. The Takeover Code, documento a cura del Takeover Panel del 19 settembre 2011. 29 altre ipotesi previste dall’art. 122 T.U.F. la valutazione di rilevanza è già stata compiuta una volta per tutte dal legislatore in base ad una valutazione “tipologica” di quelli che sono gli impegni (e le relative condotte) che scaturiscono dall’accordo in capo alle parti, il caso di cui alla lett. d) del quinto comma richiama l’intervento dell’interprete, al fine di verificare se il patto concluso possa produrre effetti durevoli sulla società in punto di esistenza di un’influenza dominante. Per quanto concerne, invece, le società facenti ricorso al mercato del capitale di rischio, la risposta all’interrogativo circa la rilevanza - ai fini di cui all’art. 2341-ter c.c. - dei patti stipulati occasionalmente non può che basarsi sul fondamentale parametro orientativo costituito dalla finalità di stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società. Proprio questa clausola ha indotto parte delle dottrina ad escludere tout court che gli accordi di carattere puntuale vadano assoggettati all’applicazione della norma codicistica in tema di pubblicità. 72 Sembra, tuttavia, che tale conclusione possa essere messa in discussione alla luce di una più meditata riflessione. Sono, infatti, esigenze di natura antielusiva a richiedere di ricondurre alla disciplina della trasparenza anche i patti parasociali stipulati occasionalmente o in vista di singole assemblee, quantomeno allorché siano in grado di incidere sugli assetti proprietari o sul governo della società.73 Il fatto che tale finalità non sia incompatibile con accordi destinati a risolversi in adempimenti puntuali può essere agevolmente dimostrata con alcuni esempi. Non ci si riferisce tanto al patto che introduce limiti all’alienazione delle partecipazioni: del resto, la condotta consistente nell’astenersi dal disporre delle azioni è pur sempre destinata a protrarsi nel tempo. Si può pensare, piuttosto, all’accordo con cui più soci si impegnano ad ostacolare in assemblea straordinaria, attraverso un’azione congiunta, l’approvazione di un aumento di capitale o l’emissione di obbligazioni convertibili, che potrebbero portare - in ragione delle circostanze concrete - ad una destabilizzazione degli assetti proprietari esistenti; o ancora, all’accordo con cui più soci si impegnano a votare in assemblea a favore della rielezione dei membri dell’organo amministrativo, al fine di stabilizzare il “governo della società”, attribuendo allo stesso una continuità nella linea di gestione. Ciò che conta, in conclusione, è che il patto, nonostante sia fonte di obblighi immediati e puntuali, abbia pur sempre gli effetti individuati dall’art. 2341-ter c.c., destinati dunque a protrarsi nel tempo con carattere di stabilità.74 Non basterebbe quindi agli aderenti all’accordo invocare la sua “occasionalità” per sottrarsi agli obblighi di 72 G. F. CAMPOBASSO, Voto di lista, cit., 130, il quale escludeva la rilevanza dei patti a carattere occasionale ritenendo che essi dovessero necessariamente essere destinati a durare nel tempo; RORDORF, I sindacati di voto, cit., 23; MEO, Le società, cit., 85; nonché ABETE, Patti parasociali e sindacati di voto, in Società, 2006, 962. 73 Sono di questo avviso MACRI’, Patti parasociali, cit., 74; PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 339; FIORIO, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 144, il quale rileva la necessità di analizzare in ogni caso il contenuto del singolo patto; nonché DONATIVI, Sub art. 2341-bis, cit., 170. 74 Cfr. DONATIVI, Sub art. 2341-bis, cit., 169; PINNARO’, I patti parasociali, in Intermediari finanziari, mercati e società quotate, a cura di A. Patroni Griffi, M. Sandulli, V. Santoro, Torino, 1999, 806. 30 disclosure e mantenerlo segreto75; un rilievo dirimente dovrà essere attribuito alla natura e alle conseguenze del patto all’interno della società. 6. Segue: l’obbligo di pubblicità dei c.d. gentlemen’s agreements. E’ inoltre necessario verificare se debbano essere pubblicati quei patti che si configurino come semplici gentlemen’s agreements, privi dunque per volontà delle parti della forza di legge del contratto e della conseguente vincolatività giuridica. 76 Una prima corrente di pensiero opina nel senso dell’opportunità di ricondurre un siffatto genere di accordi alla disciplina di cui agli artt. 2341-ter c.c. e 122 T.U.F. e dunque, di riflesso, anche alle norme sul concerto. 77 Anche la dottrina tedesca si mostra quanto mai compatta nell’attribuire rilevanza ai gentlemen’s agreements, tanto nell’ambito della fattispecie di cui al § 22, Abs. 2, WpHG in materia di pubblicità, quanto in quella relativa all’OPA obbligatoria (§ 30, Abs. 2, WpÜG), come si vedrà anche nel capitolo successivo.78 Un indice contrario alla rilevanza, all’interno del nostro sistema normativo riguardante i patti parasociali, dei gentlemen’s agreements potrebbe provenire dalla nullità comminata dall’art. 122 T.U.F. per l’ipotesi della mancata pubblicazione dei patti parasociali stipulati nell’ambito di società con azioni quotate o di società controllanti una società con azioni quotate. Non è chi non veda, invero, come l’efficacia dissuasiva di tale sanzione venga ad essere notevolmente compressa - se non addirittura azzerata - nei casi in cui il patto, ab origine e per volontà delle parti stesse, risulti privo di vincolatività giuridica e dunque tale, per sua stessa natura, da non permettere la tutela delle situazioni giuridiche derivanti dal medesimo. A soluzione diversa si potrebbe, forse, pervenire con riferimento ai patti relativi a società facenti ricorso al mercato del 75 Sul punto BLANDINI, Società quotate, cit., 356, la cui conclusione è proprio la riconducibilità alla disciplina della trasparenza anche dei patti stipulati in vista di una sola assemblea, non potendo essere riconosciuta ai soci sindacati un’agevole difesa consistente appunto nel sostenere “l’esistenza del sindacato occasionale”; cfr. anche ID., Sul requisito della forma nei patti parasociali, in Riv. dir. impr., 2005, I, 59. 76 Il problema ha ragione di porsi in quanto è pacifico che il patto parasociale sia, in linea di principio, un vero e proprio accordo contrattuale con effetti obbligatori, nel senso che esso vincola gli aderenti al patto a tenere i comportamenti concordati (in tal senso di recente Cass. 5 marzo 2008, n. 5963, in Riv. not., 2009, I, 460 ss., con nota di BUCCIARELLI DUCCI, I patti parasociali: natura giuridica e profili di tutela, ibidem, 462 ss.; nonché in Foro it., 2009, I, 2195 ss.). Non sembra, invece, che possa venire qui in rilievo la questione, già emersa anche in giurisprudenza, dell’ammissibilità nel nostro ordinamento del c.d. intento giuridico negativo: sul punto, cfr. SICA, Gentlemen’s agreements e intento giuridico negativo: elaborazione dottrinale e “risveglio” giurisprudenziale, in Contratti, 2001, 85 ss. 77 Tale è l’opinione di MACRI’, Patti parasociali, cit., 64 ss., il quale richiama le finalità antielusive delle norme in questione e fa appello al tenore letterale delle medesime, che, comprendendo i patti stipulati “in qualunque forma”, sarebbe idoneo ad includere anche i gentlemen’s agreements; gli stessi argomenti sono utilizzati da SEMINO, Il problema, cit., 246-247. L’argomento basato sulla lettera della norma appare però il frutto di una forzatura, giacché la volontà delle parti di escludere gli effetti giuridici potenzialmente derivanti dall’accordo costituisce parte del contenuto di questo e non incide sulla sua forma. 78 Si vedano, ex multis, VON BÜLOW-STEPHANBLOME, op. cit., 1799; SCHOCKENHOFFSCHUMANN, op. cit., 583-584; PRASUHN, op. cit., 213; RALOFF, op. cit., 190 e 197, ove ritiene sufficiente un vincolo di carattere fattuale; PSAROUDAKIS, op. cit., 289; con specifico riferimento al § 22, Abs. 2, SCHNEIDER, § 22, cit., 1068. 31 capitale di rischio ma non quotate, atteso che l’art. 2341-ter c.c. non colpisce con la nullità quei patti parasociali che non siano stati pubblicati secondo le modalità previste dalla norma stessa. Ragioni di armonia sistematica inducono tuttavia a negare cittadinanza ad un simile disallineamento tra la disciplina del codice civile e quella del Testo Unico della Finanza. Prevalgono in entrambi i casi, infatti, esigenze di natura antielusiva, non potendo permettersi che accordi che vengono a configurarsi come gentlemen’s agreements rimangano legittimamente occulti, ben potendo gli stessi essere attuati e quindi produrre in via di fatto i medesimi effetti e risultati di un patto valido giuridicamente vincolante.79 Anzi, proprio l’indebolimento della risposta sanzionatoria che, almeno nelle società quotate, si verificherebbe in tali ipotesi, induce a non abbassare la pretesa normativa di trasparenza rispetto ad accordi aventi il medesimo potenziale di influenza sulla società ma il cui incentivo alla pubblicità risulta affievolito dal venir meno dell’effetto deterrente rappresentato dalla minaccia della nullità. Tale soluzione pare ulteriormente rafforzata se si osserva che proprio il cammino legislativo in direzione della più ampia trasparenza dei patti parasociali sia coinciso, da un lato, con il definitivo riconoscimento della dignità giuridica di tali accordi e, dall’altro, con l’intento di farli uscire “dalla sfera inizialmente attrattiva dei patti tra gentiluomini”80. La pubblicazione dei gentlemen’s agreements, secondo le modalità previste dal codice civile e dal T.U.F., potrebbe inoltre essere imposta dal generale obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto sociale, in grado di costituire il fondamento della necessità di rendere noto ogni tipo di accordo tra soci che possa incidere sulla società alla stessa stregua di quelli previsti - quali veri e propri patti parasociali - dagli artt. 2341-ter c.c. e 122 T.U.F.81 7. Profili di disciplina dell’art. 2341-ter c.c.: i poteri degli organi sociali in caso di omessa pubblicità dei patti e il patto occulto stipulato nella società controllante una s.p.a. “aperta”. Come noto, il comma 2 dell’art. 2341-ter c.c. sanziona con il divieto di esercizio del diritto di voto “i possessori delle azioni cui si riferisce il patto parasociale” che non abbiano effettuato la dichiarazione in apertura di assemblea imposta dal primo comma. 82 79 La necessità di togliere spazio ad elusioni è sottolineata, come si è visto da MACRI’, Patti parasociali, cit., 64 ss.; ma anche da SEMINO, Il problema, cit., 246-247. 80 Questo il rilievo di SICA, op. cit., 88. 81 Il tema della valenza dei gentlemen’s agreements verrà trattato anche in seguito con riferimento ai presupposti dell’OPA obbligatoria: cfr. cap. II, § 7. 82 Questa norma sembra risolvere con sufficiente chiarezza il quesito - più volte affiorato in letteratura circa gli effetti del conferimento al patto parasociale di una parte soltanto del pacchetto azionario riconducibile all’aderente. Il divieto di esercizio del diritto di voto, infatti, per espressa disposizione normativa colpisce “i possessori delle azioni”: dunque, non soltanto le azioni sindacate (sul punto, per tutti, PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 377; RORDORF, I sindacati di voto, cit., 26). E’ evidente la ratio antielusiva del precetto, dal momento che è del tutto ragionevole attendersi che i membri del patto adottino un comportamento omogeneo con riferimento all’intera partecipazione da essi detenuta nella società (si pensi, tipicamente, proprio al caso del sindacato di voto). 32 Prosegue la norma stabilendo che le delibere adottate con il voto determinante di quelle azioni sono impugnabili a norma dell’art. 2377 c.c. Come si può notare, la sanzione è destinata ad applicarsi soltanto in mancanza della predetta dichiarazione assembleare e non anche in caso di mancata (previa) comunicazione alla società ai sensi del comma 1 dell’art. 2341-ter c.c.83 Si dovrebbe concludere, pertanto, nel senso che la sanzione riguardi non soltanto i patti effettivamente mantenuti segreti (dunque, nemmeno comunicati precedentemente alla società), ma anche gli accordi rispetto ai quali non si sia ottemperato soltanto alla seconda delle formalità pubblicitarie previste dalla legge (la dichiarazione in apertura di assemblea, appunto).84 83 Si può notare come, a differenza di quanto stabilito dall’art. 122 T.U.F., la disciplina codicistica, con riguardo ai patti stipulati nell’ambito di società aperte, non fissi un termine per l’adempimento degli obblighi pubblicitari. Questo aspetto può però trovare una spiegazione di ordine sistematico. Per quanto concerne la dichiarazione assembleare, innanzitutto, è evidente che essa debba avere luogo ogni volta che la compagine sociale abbia a riunirsi e, pertanto, la fissazione di un termine non avrebbe alcun significato; quanto, poi, all’obbligo di comunicazione alla società, è da ritenere che la comunicazione vada effettuata senza indugio e che, in mancanza, sarà sempre possibile addivenire - verosimilmente in via giudiziale all’accertamento dell’esistenza del patto parasociale mantenuto segreto. Si è sostenuto, infatti, che tale comunicazione debba essere “immediata”, anche qualora il patto sia sottoposto a condizione sospensiva o a termine iniziale: così MACRI’, Patti parasociali, cit., 147; PINNARO’, op. cit., 784. Diversamente PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 368, che, da un lato, propone il termine di cinque giorni in analogia a quanto previsto dal T.U.F. e, dall’altro, ritiene che esso decorra solo dal momento in cui il patto acquisti efficacia. 84 La sensazione di una rigidità sanzionatoria all’apparenza ingiustificata pare acuirsi ove si aderisca all’idea che la dichiarazione in apertura dei lavori assembleari possa (anziché avere carattere analitico) limitarsi a richiamare i contenuti della precedente comunicazione effettuata alla società e dunque gli elementi principali dell’accordo: così CHIONNA, op. cit., 172 ss.; DONATIVI, Sub art. 2341-ter, cit., 194-195; BLANDINI, Sul requisito di forma, cit., 62; SEMINO, I patti parasociali nella riforma delle società di capitali: prime considerazioni, in Società, 2003, 352; TUCCI, Patti parasociali, cit., 182, secondo cui la natura più sintetica della dichiarazione rispetto alla preventiva comunicazione sarebbe desumibile “già sulla base del tenore letterale della norma”; nonché FIORIO, Sub artt. 2341-bis - 2341ter, cit., 156, il quale però evidenzia che i terzi non hanno accesso alla comunicazione interna e non potranno che essere informati sulla base delle risultanze del registro delle imprese, a loro volta fondate sul contenuto del verbale d’assemblea. Altri, pertanto, ritengono che la dichiarazione assembleare debba essere integrale (MACRI’, Patti parasociali, cit., 155; SALAFIA, Esame di validità di alcuni patti parasociali relativi a società non quotate, in Società, 2008, 1334), o quantomeno accompagnata dalla consegna di una copia del patto, in modo da non appesantire lo svolgimento dei lavori assembleari: così PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 375-376. Quest’ultima pare la soluzione più convincente: la copia del patto sarà dunque allegata al verbale (nel quale viene riprodotta la vera e propria dichiarazione della sussistenza dell’accordo) e depositata unitamente a questo nel registro delle imprese, sì da garantire la piena conoscibilità ai terzi del testo aggiornato del patto parasociale. La persuasività di una siffatta ricostruzione è avvalorata dalla constatazione che tale adempimento dovrà essere eseguito - come prescrive la norma - in apertura di “ogni assemblea”: sorgerà quindi l’esigenza di non appesantire oltremodo lo svolgimento dei lavori assembleari attraverso la verbalizzazione di dichiarazioni particolarmente lunghe e complesse. Sulla necessità di una dichiarazione in apertura di ogni assemblea v. RESCIO, I patti parasociali dopo il d. lgs. 6/2003, cit., 118, ma l’A. ritiene necessaria e sufficiente una dichiarazione che illustri il contenuto del patto, ossia “la esplicitazione di tutti gli elementi richiesti per l’estratto ai fini della pubblicazione sulla stampa quotidiana ai sensi dell’art. 122 t.u.f.”; se ne trova una conferma in ID., Assemblea dei soci. Patti parasociali, in AA. VV., Diritto delle società, Manuale breve, Milano, 2008, 209, ove l’A. prende posizione nel senso che, stando alla lettera delle legge, a dover essere depositato presso il registro delle imprese è “il verbale in cui è trascritta la dichiarazione - non il patto”, dunque (pare) non necessariamente il testo integrale del medesimo. Proposta diversa è quella di chi ha ritenuto, proprio muovendo dalla considerazione che la dichiarazione debba essere effettuata in occasione di ogni assemblea, che essa debba avere carattere integrale solo nella prima assemblea successiva alla stipulazione del patto, bastando nelle seguenti un semplice rinvio: così SALAFIA, I patti parasociali 33 Una spiegazione di tale apparente stranezza può rinvenirsi nella circostanza che la dichiarazione in assemblea deve essere trascritta nel verbale, il quale a sua volta è soggetto al deposito presso l’ufficio del registro delle imprese, come prevede espressamente l’art. 2341-ter, comma 1, c.c.. Emerge anche sotto questo profilo l’assoluta centralità che l’informazione del pubblico (rectius: del mercato) occupa nella disciplina dei patti parasociali; è evidente, infatti, che l’informazione rivolta (unicamente) alla società (id est: ai suoi amministratori) non ha un immediato sbocco “esterno”: il verbale assembleare, viceversa, proprio in quanto destinato al deposito presso il registro delle imprese, presenta certamente una vocazione informativa di portata più generale.85 Certo, il patto parasociale comunicato alla società ma non dichiarato in apertura di assemblea non può, a rigore, ritenersi “occulto”86; tuttavia, i suoi membri sono nelle società non quotate, in Società, 2005, 946. Diverso problema è se oggetto di disclosure debbano essere anche le decisioni interne al patto parasociale e magari la volontà espressa da ciascuno dei membri dell’accordo in sede parasociale: in senso affermativo MACRI’, Patti parasociali, cit., 153; contra PAVONE LA ROSA, La “trasparenza”, cit., 552. Sul punto, cfr. inoltre PISELLI, La validità e l’efficacia dei patti parasociali dopo la riforma societaria, nota a Cass. 18 luglio 2007, n. 15963, in Società, 2009, 201 (nt. 7); TOFFOLETTO, Patti parasociali e società quotate, in Governo dell’impresa e mercato delle regole. Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, t. I, 283; nonché RESCIO, Gli strumenti di controllo, cit., 68-69, il quale auspica una presa di posizione del legislatore sul punto. 85 L’idoneità di tale strumento ad informare il mercato è sottolineata da BADINI CONFALONIERI, op. cit., 298; e, precedentemente, da MEOLI-SICA, op. cit., 613. Tale assunto potrebbe essere messo in dubbio dalla tesi che ritiene l’informativa preassembleare limitata alla notizia dell’esistenza del patto o, al limite, dei suoi elementi essenziali; anche accogliendo tale impostazione, tuttavia, è da ritenere che gli amministratori debbano preoccuparsi di garantire che tramite il registro delle imprese sia possibile accedere in ogni momento al testo integrale ed aggiornato dei patti parasociali già comunicati alla società. In senso diverso da quanto affermato nel testo, tuttavia, CHIONNA, op. cit., 214, secondo il quale la pubblicazione presso il registro delle imprese avrebbe, da un lato, la funzione di informare i soci estranei che non hanno preso parte all’assemblea e, dall’altro, quella (per lo meno con riferimento ai sindacati di voto) di informare circa il comportamento tenuto dai pattisti in assemblea; l’A. ritiene infatti che l’informazione al mercato sia già garantita dall’art. 114 T.U.F. e dall’art. 109-bis del Regolamento Emittenti, applicabili per espresso disposto normativo anche alle società aperte non quotate. DONATIVI, Sub art. 2341-ter, cit., 188, ha invece ravvisato una lacuna normativa nell’assenza di ogni previsione riguardante la possibilità per i soci di prendere visione del contenuto del patto e per i terzi di consultarlo attraverso il registro delle imprese. In termini ancor più negativi nei confronti dell’utilità della pubblicità presso il registro delle imprese si è espresso PAVONE LA ROSA, I patti parasociali, cit., 14-15, secondo il quale essa è destinata “a non assolvere alcuna utile funzione”. 86 Tale considerazione dovrebbe conservare la sua validità anche nel caso in cui la comunicazione, in concreto, non abbia avuto ad oggetto il contenuto del patto e si sia limitata alla notizia della sua esistenza (o, tutt’al più, ad indicarne i connotati essenziali). Assolutamente prevalente e condivisibile è, ad ogni modo, l’opinione che ritiene oggetto della comunicazione alla società il testo integrale dei patti, atteso che solo in questo modo diviene possibile garantire un’adeguata informazione dei soci estranei e controllare la sua corrispondenza con la successiva dichiarazione assembleare: cfr., tra i tanti, MACRI’, Patti parasociali, cit., 149, il quale argomenta, sotto un profilo sistematico, a partire da quanto previsto dalla Consob nel Regolamento Emittenti, che richiede [art. 127, comma 2, lett. a)] una “copia integrale del patto”; nonché, da un punto di vista teleologico, sottolineando che la comunicazione integrale consente agli organi sociali di riscontrare in apertura di assemblea la completezza e la veridicità della dichiarazione. Come si è osservato (FIORIO, I patti parasociali, cit., 83) tale opinione trova conforto proprio nella disciplina del Regolamento Emittenti, il cui art. 109-bis ha previsto che gli emittenti azioni diffuse informino il pubblico “della comunicazione di cui all’art. 2341-ter del codice civile, indicando ogni elemento necessario per una compiuta valutazione del patto.” Sul punto v. anche TUCCI, Patti parasociali, cit., 183. Per la tesi della necessaria comunicazione integrale del patto, v. inoltre CHIONNA, op. cit., 179 ss., il quale ipotizza altresì un obbligo degli amministratori di “successiva diffusione dell’integrale contenuto della comunicazione”; BADINI CONFALONIERI, op. cit., 298; PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 367; DONATIVI, Sub art. 2341-ter, cit., 186, il quale sostiene un’analoga 34 egualmente sanzionati con il divieto di esercizio del voto, perché la loro condotta non ha consentito la generale conoscibilità dell’accordo, necessaria nelle società aperte al mercato dei capitali: si potrebbe dire, allora, che il legislatore abbia voluto colpire i patti parasociali che, quand’anche noti in ambito “endosocietario”, siano invece stati tenuti nascosti al mercato.87 Naturalmente, la mancata comunicazione originaria alla società farà sì probabilmente che non vi saranno nemmeno le successive dichiarazioni in apertura di assemblea, con conseguente applicazione della sanzione prevista (allorquando, s’intende, l’esistenza del patto venga successivamente rivelata od accertata in un giudizio di cognizione)88: anche da questo angolo visuale, l’apparente soluzione per la comunicazione alla Consob nelle società quotate; SEMINO, I patti parasociali, cit., 352. Contra, invece, LEOGRANDE, op. cit., 107, e SBISA’, La disciplina dei patti parasociali nella riforma del diritto societario, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, 493, per i quali sarebbe sufficiente la comunicazione degli elementi essenziali dell’accordo. 87 Tale conclusione necessita peraltro di un’opportuna precisazione: la sanzione della sospensione del diritto di voto colpisce soltanto l’omessa dichiarazione e non anche il mancato deposito nel registro delle imprese del verbale che la contiene: così PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 373, il quale ipotizza in quest’ultima ipotesi l’applicabilità del rimedio risarcitorio. 88 Qualora, invece, la dichiarazione in apertura di assemblea venga effettuata nonostante la mancata previa comunicazione alla società, gli aderenti al patto parasociale non dovrebbero essere passibili di sanzione, salvo probabilmente in due casi: (i) qualora la dichiarazione - non preceduta, appunto, dalla comunicazione - non sia stata sufficientemente analitica ed idonea a rivelare, anche a mezzo del deposito di una copia, l’intero contenuto del patto; (ii) qualora si provi che il patto risalga in realtà ad un momento antecedente rispetto ad una precedente ed ulteriore adunanza assembleare, nella quale il patto stesso non era stato dichiarato: con riferimento a tale precedente assemblea, il divieto di esercizio del voto (con conseguente eventuale impugnabilità della delibera) dovrebbe riacquistare piena applicazione, sempre che non sia decorso il termine di novanta giorni per l’impugnativa. A questo proposito, va osservato in linea generale che tale termine potrebbe spirare senza che il patto parasociale occulto sia già venuto alla luce: se così è, le esigenze di tutela connesse agli obblighi di trasparenza dei patti ed all’eventuale applicazione delle relative sanzioni potrebbero risultare frustrate. Si pone dunque il problema se il termine per esperire l’azione di impugnazione della delibera possa decorrere dal diverso e successivo momento in cui il patto venga accertato o comunque reso conoscibile ai terzi. Effettivamente, in prima battuta sembra doversi evitare che dall’occultamento di un patto parasociale possano derivarne effetti favorevoli in capo a coloro i quali sono venuti meno all’obbligo informativo previsto dalla legge. E’ evidente, infatti, che un notevole limite della sanzione costituita dal divieto di esercizio del voto in assemblea è dato dal fatto che essa presuppone la scoperta del patto: è quanto fa notare SCHLESINGER, La disciplina dei patti parasociali nel Testo Unico della Finanza, in Il governo delle società dopo il D. Lgs. 24.2.1998 n. 58, a cura di E. Andreoli, Padova, 2002, 195, il quale aggiunge che “se i paciscenti non vogliono che si sappia dell’esistenza del patto e lo stipulano deliberatamente in modo riservato, o al limite non stipulano alcun accordo, ma tengono quello che nella legislazione antitrust si chiamano le prassi concordate […] le possibilità di scoperta dell’esistenza di questo patto, della vigenza di questo patto, sembrano piuttosto remote”. Ciò è tanto più vero se si accede all’idea che “solo una condotta reiterata nel tempo consenta agli amministratori, e soprattutto agli altri soci, di comprendere la natura della condotta, frutto di una regolamentazione parasociale”: così ZACCHEO, I patti parasociali, in La riforma del diritto societario, a cura di M. de Tilla, G. Alpa e S. Patti, Roma, 2003, 150. Tuttavia, il termine di impugnazione è di decadenza e quindi non può trovare applicazione la regola dettata con riferimento alla prescrizione in base alla quale questa decorre (solo) a partire dal momento in cui il diritto può essere fatto valere. Hanno infatti negato ogni possibilità di procrastinare la decorrenza del termine per l’impugnativa, anche con riferimento alle società quotate, AZZARO, Frazionamento dell’acquisto diretto e O.P.A. obbligatoria, in Contr. e impr., 2006, 734; OPPO, Patti parasociali, cit., 227; ID, Sub artt. 122-123, in Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di G. Alpa e F. Capriglione, Padova, 1998, t. II, 1142; PICCIAU, Sub art. 122, in La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Commentario a cura di P. G. Marchetti e L. A. Bianchi, Milano, 1999, t. I, 88 ss.; FIORIO, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 160, quest’ultimo tuttavia critico nei confronti dell’efficacia di una sanzione così articolata. Un’ulteriore opzione interpretativa potrebbe essere quella di ritenere che la violazione degli obblighi di trasparenza integri una violazione di principi generali dell’ordinamento del mercato finanziario tale da inficiare per relationem la validità della 35 singolarità dell’apparato sanzionatorio predisposto dal legislatore può quindi trovare una spiegazione soddisfacente. A questo punto si innesta però l’interrogativo se gli organi sociali, segnatamente gli amministratori, debbano, nel caso di un patto parasociale precedentemente comunicato alla società, effettuare la relativa dichiarazione in assemblea (con conseguente trascrizione nel verbale), qualora i paciscenti non vi provvedano spontaneamente o siano assenti.89 La risposta negativa potrebbe derivare non tanto dalla necessità di impedire in ogni caso l’esercizio del voto a coloro che, in una simile situazione, a rigore permarrebbero comunque inadempienti (prospettiva, questa, nella quale non sarebbe difficile scorgere una sorta di accanimento sanzionatorio probabilmente poco giustificato), quanto dalla necessità - che sembra trasparire dal dettato normativo - di accertare la permanente sussistenza e vigenza del patto: la dichiarazione in tal senso degli aderenti, da questo angolo visuale, non sarebbe dunque sostituibile da quella effettuata dagli organi sociali e basata unicamente sulla precedente comunicazione, proprio in quanto occorrerebbe verificare l’attualità della vigenza dell’accordo.90 delibera assembleare da esso influenzata e renderla illecita: è la tesi prospettata da SCHLESINGER, La disciplina, cit.,, 196, il quale osserva peraltro che il problema non sarebbe completamente risolto nemmeno per questa via, giacché anche l’impugnazione ex art. 2379 c.c. è soggetta ad un termine di decadenza, oltre il quale potrebbe emergere l’esistenza del patto parasociale occulto. Sul punto v. anche AZZARO, op. cit., 738. Naturalmente, qualora già sussistano elementi tali da far presumere la sussistenza di un patto mantenuto segreto, sarà possibile esperire da subito l’azione di annullamento, che presupporrà in via preliminare l’accertamento dell’esistenza dell’accordo. Tornando al rapporto tra i due obblighi di trasparenza, concorde a quanto sopra osservato sub (i) è FIORIO, I patti parasociali, cit., 83, secondo il quale, in mancanza della comunicazione alla società, la dichiarazione assembleare potrebbe evitare la sterilizzazione del voto “solo qualora contenga tutti gli elementi propri della comunicazione, ovvero quando ad essa sia allegato il testo dell’accordo parasociale”; similmente PICCIAU, Sub artt. 2341-bis 2341-ter, cit., 369, il quale, specularmente, aderisce all’idea che, nonostante l’omessa comunicazione, qualora il patto “sia stato dichiarato e reso conoscibile in sede assembleare” la sanzione non sia applicabile. Contra LIBERTINI, op. cit., 495, che ritiene che “in caso di mancata previa comunicazione, l’eventuale dichiarazione in assemblea assume il carattere di dichiarazione irregolare”, con conseguente annullabilità della delibera. Analog. CHIONNA, op. cit., 203 ss.: viene affermata dunque una complementarietà dei due obblighi, dalla quale scaturirebbe l’applicazione della medesima sanzione in caso di violazione di uno di essi; conf. DONATIVI, Sub art. 2341-ter, cit., 190. Questa tesi risulta però in conflitto - oltre che con il dato letterale - anche con il dichiarato intento del legislatore della riforma di limitare i casi di tutela reale e, pertanto, di ridurre le possibilità di impugnativa delle delibere degli organi sociali: è dunque probabilmente prospettabile, in un simile caso, l’ingresso di una tutela di tipo risarcitorio a beneficio dei soci che non siano stati messi in grado, prima dell’adunanza assembleare, di venire a conoscenza del patto (purché, ovviamente, un danno sia provato). Sul fenomeno di “arretramento delle tutele reali, ossia invalidatorie [...], e di loro graduale sostituzione con quelle obbligatorie, cioè risarcitorie”, cfr. tra gli altri D’ALESSANDRO, Il conflitto d’interessi nei rapporti tra socio e società, in Studi in onore di Vittorio Colesanti, Napoli, 2009, I, 510 ss. (cui appartiene il virgolettato); nonché, con particolare riferimento proprio all’impugnazione delle delibere assembleari, STAGNO D’ALCONTRES, L’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea di s.p.a. La nuova disciplina, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G. F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G. B. Portale, Torino, 2007, 2, 186 ss. 89 Taluno ha effettivamente ritenuto gli amministratori, destinatari dell’originaria comunicazione, legittimati ad effettuare la dichiarazione in assemblea: BADINI CONFALONIERI, op. cit., 299. 90 Cfr. MACRI’, Patti parasociali, cit., 159, che esclude la legittimazione degli organi sociali ad effettuare la dichiarazione al fine di dare al patto la pubblicità prevista dalla legge, ma ammette che il presidente dell’assemblea possa escludere dal voto i soci inadempienti (ipotesi possibile, ovviamente, qualora la previa comunicazione alla società sia stata regolarmente effettuata o comunque il patto sia in seguito venuto alla luce); in tale ultimo senso v. anche CHIONNA, op. cit., 62, che ammette l’esistenza di 36 Nondimeno, è evidente che ragionando in questi termini si finirebbe per porre in capo alla società l’onere della prova circa la persistenza del patto parasociale precedentemente comunicato ma non dichiarato nelle successive assemblee; detto altrimenti, dalla semplice mancanza di tale dichiarazione assembleare si finirebbe per presumere (seppure relativamente) il venir meno del patto stesso. Si tratterebbe tuttavia di un risultato non conforme al sistema, il quale, viceversa, si preoccupa di garantire la massima trasparenza dei patti parasociali e soprattutto di prevenire comportamenti elusivi. Aggiungasi che l’incertezza circa l’attuale vigenza del patto non fa comunque venir meno l’interesse alla conoscenza della pregressa (comunicazione della) stipula di un patto parasociale rilevante. E’ allora senz’altro preferibile ritenere, al contrario, che il comportamento reticente (in una successiva assemblea, s’intende) degli aderenti al patto precedentemente comunicato alla società faccia presumere la persistenza e l’attualità dell’accordo parasociale, con una duplica conseguenza: per un verso, il presidente dell’assemblea potrà far verbalizzare la sussistenza del patto in forza della dichiarazione degli amministratori (affinché ne sia data notizia per il tramite del susseguente deposito presso il registro delle imprese) e, nel contempo, escludere i soci inadempienti dalla votazione91; per l’altro, sarà a carico dei paciscenti l’onere di provare eventualmente che l’accordo ha esaurito i suoi effetti e deve ritenersi superato. Diversamente deve dirsi, invece, per l’ipotesi in cui sia mancata ogni forma di esteriorizzazione del patto, il quale, dunque, non è nemmeno stato comunicato preventivamente alla società: è corretto ritenere che in questi casi gli amministratori non abbiano il potere-dovere di tale potere in capo al presidente dell’assemblea anche qualora questi sia “venuto in qualche modo a conoscenza di un patto parasociale non pubblicato”. 91 Anche secondo PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 374, in presenza della comunicazione ma in difetto della successiva dichiarazione, sorge in capo agli organi sociali e al presidente dell’assemblea “il potere-dovere di provvedere alla dichiarazione”; conf. SBISA’, La disciplina, cit., 494; per quanto concerne il potere di estromettere dal voto i soci che abbiano omesso la dichiarazione, v. FIORIO, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 158. In senso parzialmente difforme DONATIVI, Sub art. 2341-ter, cit., 194, il quale ammette il potere del presidente e degli organi sociali di effettuare la dichiarazione in via sostitutiva ma, su questa base, giunge ad escludere (purché vi sia stata la preventiva comunicazione alla società) l’applicabilità della sanzione, ritenendola operante soltanto allorché “la mancata dichiarazione in assemblea si accompagni alla mancata comunicazione alla società”, nonché qualora la pur effettuata dichiarazione assembleare non sia stata preceduta dalla comunicazione. E’ evidente, tuttavia, che una simile ricostruzione finisce per riferire la sanzione - in chiaro contrasto con la lettera della norma - non già alla mancata dichiarazione assembleare ma soltanto alla mancata comunicazione preventiva (!). Al contrario, in una prospettiva di maggiore aderenza al disposto dell’art. 2341-ter, c.c. pare più corretto ritenere che: (i) come già rilevato nel testo, in caso di effettuazione della comunicazione e di omessa dichiarazione assembleare, gli organi sociali possano effettuare la dichiarazione in via sostitutiva e la sanzione della sospensione del voto trovi comunque applicazione, anche in considerazione del fatto che permarrà comunque un’incertezza in merito alla persistente vigenza del patto e al suo attuale contenuto; (ii) in caso di mancata comunicazione preventiva, qualora la dichiarazione assembleare venga effettuata la sanzione non si applicherà, purché quest’ultima sia accompagnata dal deposito di copia integrale del patto, da allegare al verbale. Certo, rimarrebbe la perplessità di chi ha rilevato che, essendo la sanzione connessa unicamente all’omessa dichiarazione assembleare, i soci estranei potrebbero venire a conoscenza dei patti soltanto in assemblea (così FIORIO, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 161). In ogni caso, è auspicabile che la soluzione proposta - connessa in particolare al deposito integrale del patto presso il registro delle imprese - trovi quanto prima un espresso riconoscimento normativo, al fine di eliminare la criticità forse maggiore del sistema della trasparenza disegnato dal codice civile e, in ogni caso, di fare maggiore chiarezza (del resto, anche DONATIVI, Sub art. 2341-ter, cit., 205, pur non condividendo tale soluzione come proposta interpretativa, ha auspicato la sua introduzione a livello normativo). 37 effettuare la dichiarazione, né il presidente abbia quello di effettuare la relativa verbalizzazione e di escludere dalla votazione i soci presunti membri del patto occulto, giacché mancherebbe in prima battuta la prova dell’esistenza dell’accordo (salva, ovviamente, l’applicazione delle sanzioni in caso di successivo accertamento).92 Altro problema, fermo restando che le disposizioni dell’art. 2341-bis c.c. si applicano tanto ai patti stipulati nell’ambito di società per azioni quanto di società che le controllano, è se le norme in tema di trasparenza di cui all’art. 2341-ter c.c. riguardino solo i patti parasociali intervenuti nelle società “aperte” - come la lettera della norma lascia intendere - oppure anche quelli conclusi nelle società che le controllano. E’ del tutto plausibile accogliere questa seconda soluzione, vuoi per esigenze di natura antielusiva, vuoi, ancora una volta, sulla base del convincente rilievo che le due norme codicistiche costituiscano una sorta di “microsistema” e si riferiscano alle medesime fattispecie.93 Detto ciò, il problema che si pone è quello della modalità di operatività 92 Così anche MACRI’, Patti parasociali, cit., 188; DONATIVI, Sub art. 2341-ter, cit., 201; MEO, Le società, cit., 114. In ogni caso, secondo PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 376, il presidente dell’assemblea deve sempre chiedere se tra gli azionisti siano stati stipulati patti parasociali rilevanti e verbalizzare la relativa dichiarazione. E’ interessante osservare che in Francia la giurisprudenza ha escluso che l’assemblea (rectius: il bureau, ossia l’ufficio interno con mansioni segretariali) abbia il potere di accertare l’esistenza di un concerto (spettando esso soltanto al giudice o all’AMF): pertanto, la sanzione della sospensione del diritto di voto in mancanza della comunicazione del superamento delle soglie potrà essere applicata o qualora sia certo che l’accordo è stato concluso o allorché siano applicabili le presunzioni legali di concerto sancite dall’art. L. 233-10 II code de commerce: così Tribunal de commerce de Nanterre 6 mai 2008, SA Grupo Rayet c/ SA Eiffage et SAS Effaime, in Revue des sociétés, 2008, 842 ss., con nota adesiva di PACLOT, Les pouvoirs du bureau de l’assemblée en matière de privation des droits de vote en cas de franchissement de seuil par action de concert, ibidem, 845 ss. La sanzione, conforme a quella prescelta dal nostro legislatore, è prevista dall’art. L. 233-14 del code de commerce per il caso di mancata comunicazione delle soglie rilevanti ai sensi dell’art. L. 233-7 code de commerce e dura fintanto che non si provveda all’adempimento di tale obbligo. Un caso in materia è stato quello deciso da Tribunal de commerce de Nancy, 23 décembre 2008, GHM, MMF et GCL c/ Journal de l’Est républicain et autres, in Revue des sociétés, 2009, 385 ss., con nota di LAPRADE, Lorsque le droit des sociétés s’empare de l’action de concert, ibidem, 390 ss. Tornando al nostro ordinamento, è interessante notare, sotto il profilo sistematico, che il comma 2 dell’art. 20 T.U.B., menzionando anche i “legali rappresentanti della banca o della società cui l’accordo si riferisce”, sembra far emergere il problema dei potenziali obbligati all’adempimento degli obblighi di disclosure (trattasi, nel caso di specie, dell’inoltro della comunicazione alla Banca d’Italia); in linea con quanto sostenuto con riferimento alla disciplina del codice civile, sembra preferibile ritenere che gli organi sociali possano provvedervi solo qualora il patto parasociale sia stato precedentemente comunicato loro dagli aderenti, mancando altrimenti obiettivi elementi di valutazione: qualora, invece, i legali rappresentanti della banca o della sua controllante nutrano semplicemente un sospetto circa l’esistenza di un patto occulto, potranno certamente effettuare apposita segnalazione alla Banca d’Italia affinché questa provveda al loro accertamento per il tramite dei poteri ad essa attribuiti dagli artt. 20, comma 4, e 21 T.U.B. Posto che la sanzione per l’inadempimento dell’obbligo di cui all’art. 20, comma 2, T.U.B. e comminata dall’art. 24, comma 1, T.U.B. consiste, in linea con quanto previsto dal codice civile e dal T.U.F., nel divieto di esercizio del diritto di voto inerente alle partecipazioni per le quali e stata omessa la comunicazione, si pone anche in tale contesto il problema se il presidente dell’assemblea possa escludere dalla votazione i membri dell’accordo non comunicato. Una parte della dottrina si è mostrata, effettivamente, di tale avviso: ANTONUCCI, Sub art. 24, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Belli, G. Contento, A. Patroni Griffi, M. Porzio, V. Santoro, Bologna, 2003, v. I, 341; SANTONI, Sub art. 24, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Capriglione, Padova, 2001, t. I, 197. 93 In tal senso PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 264, che richiama altresì l’esigenza di una coerenza sistematica con quanto previsto dal T.U.F. per le società quotate; analog. FIORIO, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 154; SEMINO, I patti parasociali, cit., 351; ID., Il problema, cit., 354; DONATIVI, Sub art. 2341-ter, cit., 210, il quale sostiene l’applicabilità ad entrambe le società degli 38 della sanzione consistente nel divieto di esercizio del voto: su questo punto, sono state proposte due differenti soluzioni. Secondo taluno, il divieto di esercizio del voto, in quanto testualmente riferito alle “azioni”, si applicherebbe solo nelle assemblee della controllata “aperta” e non anche in quelle delle controllanti, giacché non sarebbe possibile distinguere nell’ambito di queste ultime tra società azionarie e non.94 In base ad un diverso indirizzo, la sospensione del voto ex art. 2341-ter c.c. dovrebbe applicarsi non solo alle azioni della s.p.a. aperta controllata, detenute dalla controllante, ma anche con riferimento alle quote sindacate della stessa società controllante.95 Secondo il suo fautore, si renderebbe infatti necessaria la duplicazione integrale degli obblighi pubblicitari, al fine di consentire all’organo amministrativo della holding di comunicare e soprattutto dichiarare l’esistenza del patto in occasione delle assemblee della seconda. Su quest’ultimo punto si può concordare, perché dovendo essere il patto dichiarato nelle assemblee della controllata, non potranno che provvedervi gli amministratori della controllante che vi partecipino, a loro volta precedentemente informati (per quanto, in realtà, nulla impedisca che quantomeno alla comunicazione del patto alla controllata provvedano direttamente coloro che lo hanno stipulato). Questa tesi solleva però un problema ulteriore: che succede se il patto viene regolarmente comunicato dalle parti alla società controllante cui si riferisce, ma gli organi di questa non provvedono poi a mettere al corrente la società controllata? In tale ipotesi pare difficile sostenere che l’inibizione del diritto di voto colpisca anche i pattisti che abbiano regolarmente comunicato (e dichiarato) l’esistenza dell’accordo all’interno della società controllante. Sicuramente rimarrà ferma la preclusione per quest’ultima di esercitare il diritto di voto nelle assemblee della controllata, ma a questa dovrebbe aggiungersi soltanto una responsabilità degli amministratori della holding nei confronti della società ed eventualmente dei soci per il pregiudizio causato, rimanendo invece liberi i pattisti di esprimere il loro voto nell’assemblea della controllante. Anche in caso di omessa comunicazione (e dichiarazione) alla controllante, sembra che la soluzione debba essere analoga (con responsabilità, tuttavia, dei pattisti e non degli amministratori), conformemente del resto a quanto si dirà tra breve a proposito dei patti conclusi nell’ambito della controllante di una società quotata. adempimenti imposti dall’art. 2341-ter c.c.; ABETE, op. cit., 963. Ma v. anche PAVONE LA ROSA, La “trasparenza”, cit., 553, che ha escluso l’obbligo di dichiarazione del patto nell’assemblea della controllata aperta e ha ritenuto inapplicabile il divieto di voto alle azioni detenute dalla controllante nella controllata aperta. Per una posizione più articolata v. RORDORF, I patti parasociali, cit., 814, secondo il quale occorrerebbe distinguere a seconda che la società controllante sia o meno una società che strutturalmente si presti all’applicazione delle modalità di comunicazione previste dall’art. 2341-ter c.c., specialmente sotto il profilo dell’esistenza in seno alla medesima dell’organo assembleare (assente, come noto, nelle società personali). Tale opinione non sembra però condivisibile, alla luce di quanto si dirà subito nel testo. 94 Così BADINI CONFALONIERI, op. cit., 291. Conf. RESCIO, I patti parasociali dopo il d. lgs. 6/2003, cit., 123, il quale ha ritenuto che “non avrebbe qui senso il divieto di voto in capo ai soci della controllante, partecipanti al patto non dichiarato”. 95 V. MACRI’, Patti parasociali, cit., 161 ss. 39 8. Conseguenze della mancata pubblicità dei patti stipulati nella società controllante una società con azioni quotate. Sin dalla sua entrata in vigore, l’art. 122 T.U.F. ha previsto per le società quotate e le loro controllanti un più ampio spettro di obblighi di disclosure per le categorie di patti parasociali in esso contemplati, articolantesi nella comunicazione alla Consob, nella pubblicazione per estratto sulla stampa quotidiana e nel deposito presso il registro delle imprese del luogo in cui si trova la sede sociale.96 Il d. lgs. n. 146/2009 ha modificato l’art. 122 T.U.F. in una triplice direzione: in primis, ha aggiunto a quelli già contemplati l’obbligo di comunicare i patti “alle società con azioni quotate”97; in secondo luogo, ha unificato il termine per l’adempimento dei suddetti obblighi di trasparenza - precedentemente differenziato - in “cinque giorni dalla stipulazione”; infine, come già si è visto, ha stabilito (comma 5-ter) che gli obblighi di comunicazione non si applichino ai patti parasociali aventi ad oggetto partecipazioni complessivamente inferiori al due per cento del capitale sociale. Ferma restando l’attribuzione alla Consob del potere di stabilire con regolamento le modalità e i contenuti degli obblighi di comunicazione, le sanzioni previste per il caso di inadempimento sono le stesse già comminate dalla versione originaria del T.U.F. (art. 122, commi 3 e 4): oltre ad una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 193 T.U.F.)98, da una parte il divieto di esercizio del voto “inerente alle azioni quotate per le quali non sono stati adempiuti gli obblighi”, con possibilità di impugnazione della delibera anche da parte della Consob in caso di inosservanza99; dall’altra, la nullità dei patti.100 96 Secondo SANTONI, Sub art. 122, cit., 1010, la Consob dovrebbe verificare la conformità tra la comunicazione ricevuta ed il testo del patto depositato presso il registro delle imprese. Per la necessità di un deposito del testo integrale del patto nel registro delle imprese, v. PICCIAU, Sub art. 122, cit., 879. 97 Secondo BOVE, op. cit., 228 (nt. 28), tale comunicazione non può limitarsi ad un estratto, dovendo essere trasmesso “il testo integrale del patto”. Peraltro, tale obbligo era già previsto dall’art. 129 del Regolamento emittenti, il quale richiede che, contestualmente alla pubblicazione, l’estratto del patto sia inviato alla società e, per la relativa diffusione, alla società di gestione del mercato: la dottrina aveva già rilevato che il significato di tale disposizione dovesse essere individuato nell’esigenza di “far segnalare la notizia dell’esistenza del patto rispetto al momento assembleare”: cfr. CHIONNA, op. cit., 183-184, nt. 43). 98 Nell’ordinamento tedesco, la violazione degli obblighi di pubblicazione degli accordi previsti dal WpHG comportano la perdita dei diritti sociali collegati alle azioni e una sanzione pecuniaria: sul punto, RALOFF, op. cit., 149. 99 Occorre rilevare che, a differenza di quanto previsto dall’art. 2341-ter c.c., l’art. 122 T.U.F. prevede la sterilizzazione dei diritti di voto (non già con riferimento ai “possessori” delle azioni, bensì) rispetto “alle azioni quotate per le quali non sono stati adempiuti gli obblighi previsti dal comma 1”. Tuttavia, esigenze di natura antielusiva dovrebbero consigliare di estendere l’applicazione della sanzione all’intero pacchetto azionario detenuto dai soggetti che si sono sottratti alla pubblicizzazione del patto parasociale. E’ probabilmente per questo che in dottrina si è talora proposto di interpretare la norma del codice civile alla stregua di un principio generale, estendibile, dunque, anche alle società quotate: in tal senso MACRI’, Patti parasociali, cit., 174; RORDORF, I sindacati di voto, cit., 26 (nt. 23), ad avviso del quale la norma del codice civile ha avuto un “effetto chiarificatore”. In proposito, si veda anche TUCCI, Patti parasociali, cit., 183. 100 Ci si è chiesti se la nullità debba colpire anche i patti occulti (non afferenti a società quotate o società che le controllano, bensì) stipulati in una società facente ricorso al mercato del capitale di rischio qualora non siano state rispettate le prescrizioni di cui all’art. 2341-ter c.c.: autorevole dottrina si è espressa in senso affermativo, ritenendo che “i patti parasociali segreti, ossia caratterizzati dall’impegno di 40 Il principale dubbio interpretativo che la novella del 2009 ha sollevato è analogo a quello esaminato nel paragrafo precedente e deriva dal nuovo obbligo di comunicazione dei patti “alle società con azioni quotate”: posto che la disciplina si applica (in questo caso per espressa previsione normativa) sia ai patti parasociali conclusi nell’ambito di società quotate sia a quelli stipulati nelle loro controllanti, è necessario chiedersi se lo specifico obbligo in esame riguardi solo la prima delle due ipotesi o se esso imponga, nel secondo caso, che i soci della controllante comunichino il patto intervenuto tra di essi (anziché, appunto, alla loro società) unicamente e direttamente alla società quotata controllata.101 La lettera della norma pare corroborare quest’ultima soluzione, anche in considerazione del fatto che, a differenza dell’art. 2341-ter c.c., non si prevede l’obbligo di dichiarazione in assemblea, che invece potrebbe essere adempiuto solo dagli amministratori della controllante. Tuttavia, tale modalità di effettuazione della comunicazione potrebbe accentuare il problema, già postosi in passato, concernente l’applicazione della sanzione del divieto di voto in caso di omissione102: posto che il quarto comma dell’art. 122 T.U.F. inibisce il voto “inerente alle azioni quotate per le quali non sono stati adempiuti gli obblighi” e non anche quello inerente alle azioni (o quote) che i pattisti detengono nella società controllante non quotata, le alternative sembrano essere soltanto le seguenti: da una parte, quella di segretezza, dovranno ritenersi nulli perché diretti ad occultare le situazioni di controllo azionario; e dovranno ritenersi nulli, e non semplicemente soggetti al regime conseguente alla omessa pubblicità, anche per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio” (così GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, a cura di F. Galgano, vol. XXIX, t. I, Le nuove società di capitali e cooperative, Padova, 2003, 91). Più convincente sembra, tuttavia, l’opinione contraria, secondo cui “non sembra possibile desumere in via interpretativa una norma imperativa (o un principio) con così gravi conseguenze”: queste le parole di TUCCI, Patti parasociali, cit., 184 (nt. 45); conf. PAVONE LA ROSA, I patti parasociali, cit., 12; BLANDINI, Società quotate, cit., 372; nonché CARBONETTI, I patti parasociali nelle società non quotate alla luce del Testo Unico della Finanza, in Riv. soc., 1998, 911, secondo cui la previsione della nullità “si inquadra agevolmente nella disciplina della informazione societaria concernente le società quotate” e non è dunque analogicamente applicabile ai patti parasociali relativi a società non quotate (sempre che, ovviamente, non controllino società quotate). Analogo problema è sorto in relazione alle previsioni del T.U.B., che pur imponendo la pubblicità dei patti tra soci con determinate caratteristiche, non prevede la nullità degli accordi non comunicati. Una recente dottrina ha ritenuto di poter ripianare in via interpretativa tale difformità, a motivo del fatto che l’omessa disclosure integrerebbe “un’intenzione contrattuale contraria alle istanze che, a protezione dell’interesse - generale e pubblico - del risparmio, impongono la conoscibilità, da parte della Banca d’Italia, dei contenuti di tutte le convenzioni extrastatutarie riferite alla banca”: ROSA, op. cit., 205 ss., la quale richiama a sostegno di tale tesi la corrente giurisprudenziale che ha ricondotto all’alveo dell’art. 1418 c.c. la lesione di interessi di natura generale e pubblica protetti dalla norma violata, di istanze cioè “che si collochino al vertice della gerarchia dei valori protetti dall’ordinamento giuridico” e, di conseguenza, propone la nullità delle intese parasociali mantenute segrete, riconducendola alla illiceità della causa ai sensi degli artt. 1343 e 1344 c.c. Come si è detto poc’anzi con riferimento alla norma del codice civile, tuttavia, non sembra che un simile risultato possa essere ricavato in via interpretativa. 101 Tra i primi commenti si è ritenuto che le “società con azioni quotate” di cui parla la norma sarebbero “quelle interessate al patto”: così BADINI CONFALONIERI, op. cit., 302 (nt. 112); il problema non è però così risolto, perché società interessata al patto potrebbe essere anche una controllante non quotata di una s.p.a. quotata. 102 Ha di recente auspicato un’espressa soluzione del problema a livello legislativo PROVERBIO, I patti parasociali, Milano, 2010, 173. Merita segnalare peraltro che, tra i patti afferenti a società italiane quotate regolarmente comunicati, quelli stipulati nelle loro controllanti rappresentano circa il terzo del totale: si veda l’interessante studio empirico di FIGA’-TALAMANCA - FERIOLI - RASTIELLO, Controllo e sindacati azionari nelle società quotate italiane, in RDS, 2010, 174 ss. 41 ritenere che la mancata comunicazione (direttamente rivolta) alla società quotata controllata di un patto intervenuto tra soci della controllante non quotata vada soggetta unicamente alla sanzione della nullità e a quella pecuniaria 103; dall’altra, quella - più aderente al dettato normativo - di prospettare comunque (oltre alla nullità e alla sanzione pecuniaria, anche) un’inibizione del diritto di voto per le azioni quotate detenute dalla holding nella società figlia, nonostante il patto sia stato stipulato in seno alla prima e non sia stato comunicato nemmeno alla holding.104 Tale reazione dell’ordinamento affonderebbe del resto le sue radici nell’esigenza di evitare che i (para)soci della holding non quotata riescano indirettamente ad esercitare un’influenza dominante sulla società quotata e in quest’ottica conserverebbe una sua logica: del resto, è probabile che ciò costituisca il vero obiettivo di chi stringe un accordo nell’ambito della holding. Ed è forse proprio per questo che una simile conclusione è stata ritenuta da alcuni non pienamente appagante quantomeno nell’ipotesi in cui l’accordo parasociale mantenuto segreto coinvolga soci di minoranza della controllante 105: sebbene una simile distinzione non trovi un sicuro fondamento nel dato normativo, essa risponde certamente alla sua ratio, per quanto - occorre dirlo - possa presentare particolari difficoltà l’accertamento in concreto della quota di capitale sociale coinvolta nel patto inizialmente occultato.106 E’ senz’altro possibile che con la recente introduzione di tale ulteriore obbligo di rendere noto il patto alla società con azioni quotate il legislatore abbia avuto in mente l’ipotesi di un doppio canale di comunicazione dell’accordo parasociale: dapprima, dai soci paciscenti alla loro società (la controllante non quotata); successivamente, dalla holding (tramite i suoi amministratori) alla controllata quotata. Nulla esclude, peraltro, che i soci stipulanti della controllante provvedano direttamente ad effettuare la comunicazione (anche) a beneficio della società controllata quotata. Non sembra, ad 103 Per tale opinione, in passato, v. PINNARO’, op. cit., 819. Inoltre, l’A. da ultimo citato rilevava l’impossibilità di concepire un’impugnazione da parte della Consob delle delibere della holding non quotata; su quest’ultimo punto v. altresì MEO, Le società, cit., 112, il quale individuava la probabile ratio di tale differenza di disciplina nelle difficoltà che la Consob incontrerebbe nell’accertare la sussistenza di patti occulti in una società non quotata e, di conseguenza, nel promuovere l’azione di annullamento delle relative delibere. Anche secondo ATELLI, op. cit., 674, in tale ipotesi la sola sanzione applicabile sarebbe quella della nullità del patto. 104 Tesi già sostenuta da SANTONI, Sub art. 122, cit., 1009, secondo cui la segretezza del patto parasociale relativo alla holding non quotata non pregiudicherebbe in ogni caso le delibere della controllante, ma (ferma restando la sanzione della nullità) provocherebbe anche “la diretta sanzione del divieto di voto delle azioni quotate da quest’ultima posseduta”, con potenziale pregiudizio per le delibere della società figlia. Similmente SEMINO, Il problema, cit., 305, secondo cui il divieto, colpendo solo le “azioni quotate”, non può applicarsi nelle assemblee della controllante. 105 Proprio al fine di evitare che l’inadempimento degli obblighi informativi da parte dei soci di minoranza della controllante possa finire per impedire l’esercizio del diritto di voto di quest’ultima nella controllata, si è proposto di ritenere l’inibizione del voto della società madre nell’assemblea della figlia limitata alle ipotesi di mancata disclosure di un patto parasociale di controllo della holding: cfr. MACRI’, Patti parasociali, cit., 164; SEMINO, Il problema, cit., 307-308; MEO, Le società, cit., 78 (nt. 64). 106 In tale frangente, ossia in presenza di un dubbio circa la “consistenza numerica” e il concreto peso del patto, appare ragionevole continuare a prospettare la paralisi del diritto di voto della controllante, salva la responsabilità dei pattisti occulti, i quali potranno essere chiamati a risarcire i danni in tal modo cagionati alla propria società ed ai soci estranei; ma ad analoga responsabilità dovrebbero andare sempre soggetti i (para)soci di maggioranza della holding per aver portato alla paralisi del voto esercitabile da questa nelle assemblee della controllata: per uno spunto in tale ultimo senso v. RESCIO, I patti parasociali dopo il d. lgs. 6/2003, cit., 123. 42 ogni modo, che da ciò possano discendere, nel silenzio della legge, differenze di trattamento in caso di omissione dell’una o dell’altra comunicazione, unica essendo la sanzione prevista.107 9. La trasparenza delle modifiche e il rinnovo tacito non pubblicizzato dei patti parasociali rilevanti. A conclusione di questo primo capitolo, merita soffermare l’attenzione su un aspetto che si avrà occasione di riprendere anche in seguito, vale a dire il problema, postosi da tempo, della necessità di pubblicazione delle modifiche apportate ai patti parasociali e del rinnovo degli stessi tacitamente intervenuto. In proposito, alcuni autori hanno ritenuto che debbano essere comunicate soltanto le modifiche in grado di determinare una variazione dell’assetto dei patti; dunque, in caso di rinnovo tacito, dovrebbero essere rese note soltanto eventuali disdette di taluni dei partecipanti all’accordo, in mancanza delle quali dovrebbe presumersi che l’accordo prosegua inalterato tra le parti originarie.108 Diversamente, si è ritenuto che l’obbligo di pubblicità rimanga salvo in ogni ipotesi di rinnovo tacito, nella quale è ravvisabile una nuova stipulazione per comportamento concludente.109 Come noto, la stessa ammissibilità del rinnovo tacito dei patti è questione discussa: alcuni la escludono sulla base dell’idea che gli adempimenti pubblicitari costituiscano requisiti di forma dei patti.110 Quest’ultima opzione interpretativa è però da respingere, non tanto in forza di un (anch’esso controverso) principio di libertà di forma dei patti parasociali111, ma 107 Pare in ogni caso necessario riconoscere che con la prescrizione di tale ulteriore adempimento - già peraltro previsto dall’art. 129 del Regolamento emittenti - il legislatore abbia voluto allineare sistematicamente, a livello di normativa primaria, la disciplina del T.U.F. con quella codicistica, garantendo in entrambi i casi la piena informazione dei soci in ordine all’esistenza di patti parasociali: come si era condivisibilmente sostenuto poco prima della recente novella, l’obbligo di preventiva comunicazione alla società si spiega nell’ottica della necessità di tenere a disposizione dei soci, presso la sede sociale ed in occasione di ogni riunione assembleare, tutti i documenti e le notizie necessari per un adeguato e consapevole esercizio dei diritti sociali: v. CHIONNA, op. cit., 189 ss., il quale offre tale ricostruzione teleologica dell’istituto muovendo dall’art. 130 T.U.F. per quanto riguarda le società quotate e dai principi generali del codice civile per quanto concerne le società aperte. Ne deriva dunque in tutti i casi un diritto dei soci estranei di prendere visione del contenuto dei patti comunicati alla società: come l’A. ha osservato, “qualsiasi assemblea di società diffusa, peraltro, come si ritiene normalmente accada per le quotate, può ragionevolmente diventare per il socio occasione per capire se vi siano ancora le condizioni per mantenere o meno l’investimento” (ibidem, 197). 108 Per questa tesi, cfr. CHIAPPETTA, op. cit., 1005, il quale riteneva tale opinione confortata dall’art. 123, comma 2, T.U.F., il quale stabilisce che al recesso dai patti si applichino i commi 1 e 2 dell’art. 122. L’A. propugnava altresì la nullità del recesso non pubblicizzato per contrasto con norme imperative. 109 OPPO, Patti parasociali, cit., 226. Anche secondo MEO, Le società, cit., 98, debbono essere assoggettati a comunicazione il rinnovo tacito, il rinnovo espresso e formalizzato, lo scioglimento dei patti ed ogni altra modifica degli stessi; conf. DONATIVI, Sub art. 2341-bis, cit., 178. 110 BLANDINI, Sul requisito di forma, cit., 76. 111 Il principio della libertà di forma dei patti parasociali è affermato da una parte della dottrina, “salvo alcune ipotesi legali in cui indirettamente la forma scritta deriva dall’obbligo di comunicazione del patto a specifiche pubbliche autorità investite della tutela di pubblici interessi”: queste le parole di PANUCCIO, I patti parasociali, in La riforma del diritto societario, a cura di M. de Tilla, G. Alpa e S. Patti, Roma, 2003, 193. Altri hanno invece sostenuto che all’inciso “in qualunque forma stipulati” debba “riconoscersi il più modesto significato di ricomprendere nella categoria delineata tutti i patti, ciascuno con la forma 43 soprattutto per la ragione che l’esigenza di impedire che il socio resti indefinitamente vincolato al patto è soddisfatta dalla (indiscutibile) facoltà di sciogliersi dal patto alla scadenza, manifestando la propria volontà in tal senso, presente o meno che sia nel patto parasociale una clausola di rinnovo salvo disdetta (c.d. clausola di rinnovo automatico).112 Ciò detto, è probabile che la risposta al superiore interrogativo possa derivare dalla messa a fuoco di ciò che concretamente la nozione di “rinnovo tacito” identifica. In mancanza di pubblicità dell’intento dei pattisti di prolungare la durata del vincolo contrattuale inizialmente sorto, potrà parlarsi di rinnovo tacito allorché i paciscenti continuino a tenere un comportamento corrispondente all’attuazione dell’accordo originario.113 E’ evidente che si verrà a creare una situazione di incertezza agli occhi dei terzi che dovrà essere rimossa: per tale ragione, è preferibile affermare la persistenza (o meglio: la reviviscenza) dell’obbligo di provvedere alla pubblicità (ai sensi dell’art. 2341-ter c.c. o dell’art. 122 T.U.F.). 114 Le relative sanzioni potranno trovare applicazione solo se, da un lato, vengano riscontrate condotte conformi all’esecuzione del patto originario senza soluzione di continuità e, dall’altro lato, l’obbligo stesso non risulti adempiuto nelle forme e nei termini previsti dalle due disposizioni poc’anzi richiamate (a seconda, naturalmente, di quale delle due sia applicabile in concreto). Pertanto, in mancanza di disdetta e in assenza di una clausola del patto che preveda espressamente il rinnovo automatico, può operare una presunzione di prosecuzione dell’accordo originario (o di nuova stipulazione tacita o per comportamento che il suo contenuto richiede”, dato che le norme sui patti parasociali non regolerebbero “un contratto, ma una classe di contratti”: in questi termini, probabilmente risolutivi, SAMBUCCI, Durata dei patti parasociali e limiti all’autonomia privata, in Riv. dir. comm., 2008, 904. 112 Per l’ammissibilità della clausola di rinnovo automatico, cfr., per tutti, PRATELLI, Rinnovo di patti parasociali e opzioni put & call, in Giur. comm., 2010, I, 936; PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 354, il quale rileva giustamente che le norme codificano la possibilità di rinnovare il patto alla scadenza, “senza escludere le ipotesi del rinnovo automatico o del rinnovo tacito”, le quali si distinguono dal rinnovo espresso soltanto per “il modo in cui è manifestata la volontà negoziale”. Per l’opinione contraria v. RORDORF, I patti parasociali, cit., 810-811, il quale si è espresso per l’inammissibilità della clausola di rinnovo automatico (da lui però chiamata di “rinnovo tacito”), in quanto essa darebbe vita in sostanza ad un patto a tempo indeterminato con possibilità di recesso (anziché in qualsiasi momento) soltanto ogni tre o cinque anni. Altri ancora hanno invece ritenuto opportuno introdurre una distinzione tra società quotate e non quotate, escludendo la facoltà di rinnovo tacito con riferimento alle prime in ragione del maggiore interesse - che in queste si registra - alla contendibilità del controllo: RESCIO, I patti parasociali dopo il d. lgs. 6/2003, cit., 116. 113 Come efficacemente si è rilevato, proprio questo elemento vale a distinguere il rinnovo tacito dal rinnovo automatico, derivante cioè da una clausola del patto che preveda espressamente il protrarsi degli effetti dell’accordo in caso di mancata disdetta: BADINI CONFALONIERI, op. cit., 294. Sul punto anche PICCIAU, op. ult. cit., 356, il quale osserva che il rinnovo tacito si verifica allorché “la prolungata esecuzione del patto successivamente alla sua scadenza originaria determini la sua proroga” (corsivo aggiunto). 114 Tale soluzione sembra confortata anche dagli attuali artt. 128 e 131 del Regolamento Emittenti Consob (modificati da ultimo con la recentissima delibera n. 18214 del 9 maggio 2012), i quali, pur non facendo più espresso riferimento al rinnovo anche tacito dei patti parasociali quale oggetto di comunicazione e pubblicazione, impongono comunque la comunicazione del rinnovo dei patti parasociali senza distinguere tra rinnovo espresso e rinnovo tacito. 44 concludente) allorché vengano in concreto riscontrate condotte ad esso corrispondenti.115 Da questo angolo visuale, è evidente il collegamento tra tale problematica e quella riguardante la prova per presunzioni dei patti parasociali non comunicati, che verrà trattata nel capitolo successivo: basti per il momento dire che, qualora venga ravvisata la prosecuzione del comportamento conforme ad un patto precedentemente comunicato, sarà indubbiamente più agevole l’inferenza presuntiva tesa ad affermare la sua persistente vigenza in virtù del rinnovo tacito (o, se si preferisce, la stipulazione tacita di un nuovo patto dal contenuto analogo). Al di là del problema specifico posto dal rinnovo tacito del patto parasociale, è comunque opportuno che ogni modifica degli accordi già pubblicizzati (intervenuta nel periodo in cui essi sono in vigore tra le parti) venga resa nota nelle stesse forme, essendo arbitrario il procedimento ermeneutico volto ad introdurre delle distinzioni a seconda della tipologia della modifica apportata.116 Detto questo, si pone il problema se, nelle società quotate, l’omissione dell’informativa inerente alla modifica del patto parasociale determini la nullità del solo accordo modificativo o se, viceversa, ne risulti colpito tout court l’accordo originario.117 In via di prima approssimazione, si potrebbe sostenere che ad essere colpita sia soltanto la volontà negoziale successivamente intervenuta e non pubblicata; si è però correttamente rilevato che a seguito dell’accordo modificativo il patto originario non esiste più, proprio in quanto (almeno parzialmente) sostituito: la sanzione della nullità, dunque, non potrebbe che riguardare l’attuale regolamento negoziale nel suo insieme, ossia l’unico vigente a seguito delle intervenute variazioni.118 Tale impostazione è in linea di principio condivisibile, a meno che risulti applicabile, in questa ipotesi, l’art. 1419, comma 1, c.c. in tema di nullità parziale, allorché la modifica riguardi solamente clausole accessorie.119 115 V. ancora BADINI CONFALONIERI, op. cit., 295, il quale osserva che in tal modo il patto diviene a tempo indeterminato, con conseguente applicazione della relativa disciplina sul recesso. Sul punto anche FIORIO, I patti parasociali, cit., 80. Diversamente PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 356. 116 Si può condividere l’incisiva osservazione di DELLE DONNE, Sindacati di voto e “riforma Draghi”: le nuove frontiere del “parasociale” nelle società quotate, in Corr. giur., 2001, 1253: si chiedeva l’A. “che differenza c’è infatti tra un patto non pubblicizzato e perciò occulto, e un patto pubblicizzato in maniera differente da come è nella realtà, che questa differenza sia iniziale o sopravvenuta?”. In arg. V. anche RESCIO, I patti parasociali nel quadro dei rapporti contrattuali tra i soci, cit., 469 (testo e nt. 47), ove l’A. rileva che l’intervenuta modifica o cessazione di un patto (id est: di ogni patto, n.d.r.) incluso nello statuto deve essere comunicata alla società e dichiarata in apertura di assemblea, secondo quanto previsto dall’art. 2341-ter c.c., affinché gli amministratori provvedano al deposito della versione aggiornata dello statuto presso il registro delle imprese. Il condivisibile assunto può essere esteso anche ai patti non risultanti dallo statuto, dovendo essi comunque risultare dal registro delle imprese secondo quanto previsto dallo stesso art. 2341-ter c.c. Nell’ordinamento statunitense, ogni “material change” alle informazioni contenute nella Schedule 13D deve essere comunicato tempestivamente (“promptly”), sulla base della Section 13(d)(2) del SEA; secondo quanto previsto dalla Rule 13d-2(a) della SEC, rientrano in tale nozione gli atti dispositivi di almeno l’1% delle partecipazioni; nel caso in cui riguardino una percentuale inferiore, occorrerà una valutazione delle circostanze concrete. Secondo la Rule 12b-2, il termine “material” indica la probabilità che la circostanza da comunicare sia presa in considerazione da un investitore ragionevole al fine di decidere se comprare o vendere titoli della società. 117 Sul fatto che la modifica occulta sia illecita in quanto contraria ad una norma inderogabile, cfr. nuovamente DELLE DONNE, op. cit., 1253. 118 In tal senso MEO, Le società, cit., 108. 119 Pur senza voler approfondire in questa sede l’argomento, è noto che in tema di nullità parziale si fronteggiano due orientamenti: il primo predilige una valutazione di tipo soggettivo - volta, cioè, ad 45 Quanto alla inibizione del diritto di voto, applicabile anche nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio ma non quotate, si è correttamente sostenuto che essa colpisca tutti i paciscenti in caso di modifica (occulta) al patto nella sua interezza, apportata cioè al regolamento negoziale come originariamente stabilito; altrimenti, in caso cioè di semplice variazione soggettiva o quantitativa, “la sospensione del voto si applicherà alle azioni di tutti solo se, avuta la notizia, nessuno degli aderenti abbia assolto agli obblighi pubblicitari.”120 indagare la volontà delle parti - circa l’essenzialità o l’accessorietà delle clausole nulle; il secondo ritiene viceversa preferibile un giudizio di carattere oggettivo: sul punto e per qualche riferimento cfr. M. PINTO, La ratio del limite di durata dei patti parasociali a tempo determinato e l’art. 2341-bis, ultimo comma, c.c., in Riv. soc., 2008, 1022-1023 (nt. 33). Più difficile sembra invece, in concreto, prospettare la conversione del contratto nullo (quello, cioè, risultante dalle modifiche non pubblicizzate) in quello originario, regolarmente reso noto: è da escludere infatti che le parti non conoscessero la causa di nullità (come richiesto in via generale dalla norma dell’art. 1424 c.c. ai fini della conversione), in tal caso derivante proprio dalla mancata pubblicazione della modifica. 120 Il virgolettato è di MEO, Le società, cit., 115. 46 Capitolo II I patti parasociali occulti tra opa obbligatoria e problema della prova Sommario: Sezione I - Patti parasociali occulti, azione di concerto e opa obbligatoria. - 1. Inquadramento normativo: gli artt. 101-bis e 109 T.U.F. e la fattispecie dell’azione di concerto. - 2. L’accordo “volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società emittente” (o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio). - 3. Il patto parasociale (anche nullo) quale presunzione di concerto: i limiti di rilevanza del c.d. conscious parallelism. - 4. Il fenomeno del controllo nella nozione di azione concertata: ammissibilità di una prova liberatoria. - 5. Segue: possibili obiezioni all’ammissibilità della prova liberatoria e loro critica - 6. Segue: ulteriori profili di rilevanza dello scopo di acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società (o di contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio). - 7. Il valore dei gentlemen’s agreements nella disciplina del concerto e dell’opa obbligatoria. - 8. La successione temporale dei due presupposti dell’opa obbligatoria: l’acquisto di azioni e la stipulazione del patto parasociale. - 9. Segue: accertamento dei patti parasociali occulti e permanenza delle condotte attuative; la rilevanza dei patti a carattere occasionale. - 10. Modifiche occulte dei patti parasociali ed effetti della risoluzione del patto sull’obbligo di offerta. - Sezione II - Profili concernenti la prova dei patti parasociali occulti. - 11. La prova per presunzioni dei patti parasociali mantenuti segreti: principi generali. - 12. Segue: prova dell’esistenza dei patti parasociali e principio dell’apparenza giuridica. - 13. Segue: i patti parasociali occulti tra negozi indiretti e simulazione. - 14. Segue: il ruolo dei derivati nell’accertamento di un patto parasociale occulto e la recente casistica. Sezione I Patti parasociali occulti, azione di concerto e opa obbligatoria 1. Inquadramento normativo: gli artt. 101-bis e 109 T.U.F. e la fattispecie dell’azione di concerto. Come hanno mostrato i casi venuti alla ribalta delle cronache finanziarie negli ultimi anni, il contesto nel quale il tema dei patti parasociali occulti è elettivamente destinato ad acquisire maggiore rilevanza è quello delle società quotate, nel cui ambito essi non vengono in considerazione unicamente nell’ottica dell’imposizione di obblighi di pubblicità (art. 122 T.U.F.), ma anche nella disciplina dell’offerta pubblica di acquisto obbligatoria.1 1 Peraltro, le esigenze di trasparenza degli assetti proprietari non sono affatto trascurate dalle norme in tema di OPA, bensì da queste ricomprese ed assorbite: in proposito, si è efficacemente osservato che “la 47 E’ noto che, in forza del combinato disposto degli artt. 109 e 101-bis T.U.F., sono tenuti a promuovere un’offerta pubblica di acquisto coloro che siano giunti a detenere una partecipazione complessiva superiore a quelle indicate dagli artt. 106 e 108 T.U.F. in virtù di un’azione concertata, la quale è ritenuta dalla legge essere esistente nell’ipotesi della stipulazione di un patto parasociale (anche nullo) di cui all’art. 122, comma 1 e comma 5, lett. a), b), c) e d) T.U.F., purché la soglia rilevante sia superata dagli aderenti in forza di acquisti di azioni avvenuti nei dodici mesi precedenti la stipula del patto stesso.2 Il fatto che la nullità dell’accordo parasociale possa derivare dall’inadempimento degli obblighi di trasparenza di cui all’art. 122 T.U.F. e, dunque, dalla segretezza del patto, è un dato di per sé sufficiente a rendere la misura dell’importanza che presenta la connessione tra patti parasociali occulti e OPA obbligatoria. 3 finalità prevalente delle norme in tema di offerta pubblica di acquisto […] è di assoggettare a disciplina di trasparenza e correttezza tutte quelle operazioni che possono avere rilevanza alla luce degli interessi tutelati”, tra cui, naturalmente, i patti parasociali: così SERSALE, Sub art. 101-bis, in Commentario all’offerta pubblica di acquisto, a cura di G. Fauceglia, Torino, 2010, 5. Analog., ancor prima, REGOLI, Doveri di assistenza degli amministratori e nuovo ruolo dei soci in pendenza di opa, in Riv. soc., 2000, 799, ove si evidenziava ancor più chiaramente che in materia di OPA “il legislatore ha adottato un impianto tripartito di tutela, composto, in parte, da norme dirette a garantire agli azionisti il diritto di disinvestire a condizioni eque in caso di trasferimento del controllo (exit); accanto a queste e in rapporto di strumentalità, da norme con finalità di trasparenza, dirette ad assicurare un più consapevole e informato esercizio dell’exit; infine, da norme che attribuiscono agli azionisti oblati un diritto di intervento/voice [...]”. I problemi posti dagli interessi in gioco in questo ambito si complicano ulteriormente allorché le operazioni in questione assumano carattere transnazionale: sull’argomento, v. MAZZONI, Patti parasociali e regole di mercato nel diritto del commercio internazionale, in Dir. comm. int., 2005, 487 ss. I più recenti casi in cui è emersa l’esistenza di patti parasociali occulti (SAI-Fondiaria, BNL, Antonveneta, S.S. Lazio), saranno richiamati infra nel corso della trattazione. Per una vicenda più risalente ma non meno nota, si veda CASTELLANO, Il patto parasociale Mediobanca: sindacato di blocco e sindacato di voto, in Giur. comm., 1985, I, 342 ss. 2 La norma sull’acquisto di concerto non era contemplata nella previgente legge sull’OPA (l. n. 149/1992): un precedente era invece ravvisabile nell’art. 8 della l. n. 474/1994 (legge sulle privatizzazioni), che prevedeva appunto l’obbligo di lancio di un’offerta pubblica di acquisto a carico di chi avesse concluso un patto in qualsiasi forma, “desumibile anche dal comportamento concertato”. Sulla differenza tra questa disposizione e l’art. 101-bis T.U.F. si tornerà poco oltre nel testo. 3 Atteso che i patti nulli sono equiparati a quelli validi ai fini della disciplina in esame, non sembra qui avere particolare peso la soluzione che si voglia dare al problema se le sanzioni debbano applicarsi anche in caso di inosservanza di uno soltanto degli obblighi di pubblicità sanciti dal primo comma dell’art. 122 T.U.F.: vengono senz’altro in considerazione, infatti, anche i patti parzialmente o irregolarmente comunicati. Ad ogni modo, l’opinione prevalente in dottrina propende per la risposta affermativa: cfr. SEMINO, Il problema, cit., 274; ID., Brevi spunti, cit., 279; SANTONI, I patti parasociali, cit., 196; CIAN, Società con azioni quotate: profili sanzionatori della disciplina dei patti parasociali nella riforma Draghi, in Corr. giur., 1998, 733; KUSTERMANN, Osservazioni sui patti parasociali dopo la “riforma Draghi”, in Società, 1998, 914; PINNARO’, op. cit., 814; TORINO, I contratti parasociali, Milano, 2000, 476 ss.; ATELLI, op. cit., 671, il quale precisava anche che la nullità non opererebbe allorquando ad essere violate siano soltanto le prescrizioni integrative dettate dalla Consob; con specifico riferimento al divieto di esercizio del voto, SALAFIA, I patti parasociali nella disciplina contenuta nel d. lgs. 58/1998, in Società, 1999, 264. Da ultimo, v. CHIONNA, op. cit., 14, ad avviso del quale il patto “resterebbe in qualche modo ‘illegittimo’” in caso di adempimento parziale agli obblighi pubblicitari. Tuttavia, non pare debba escludersi la possibilità di verificare se un adempimento soltanto parziale degli obblighi di informazione possa ricevere un trattamento diverso da quello del totale occultamento del patto parasociale. Premesso che difficilmente tale ipotesi sembra potersi verificare in concreto - atteso che l’intento di mantenere segreti i patti si tradurrà verosimilmente nell’inadempimento totale degli obblighi di disclosure - è interessante notare che una recente pronuncia della Corte d’Appello di Roma, nell’ambito della complessa vicenda riguardante la scalata a BNL, ha annullato la sanzione amministrativa irrogata dalla Consob ad Unipol e Deutsche Bank, il cui patto era stato sì inserito nel sito 48 Centrale diviene, in particolare, il problema della prova dell’esistenza di siffatti accordi, poiché, qualora essi rimanessero nell’ombra, la piena applicazione della disciplina in materia di offerta pubblica di acquisto obbligatoria ne risulterebbe evidentemente frustrata. Ciò non significa, naturalmente, che, come si è visto nel capitolo precedente, l’approfondimento delle modalità e dei limiti con cui sia possibile determinare l’emersione di un patto parasociale occulto non abbia un peso decisivo anche con riferimento all’esigenza di garantire l’effettività delle sanzioni previste - tanto dal T.U.F. quanto dalla disciplina codicistica (ma anche dal T.U.B.) - nell’ipotesi di inosservanza degli obblighi di pubblicità (art. 2341-ter c.c., art. 122 T.U.F. e artt. 19 ss. T.U.B.). Prima di approfondire i profili di maggior rilievo in punto di prova, è però necessario affrontare le questioni, di carattere esegetico e sistematico, che la disciplina dell’OPA obbligatoria solleva, assumendo naturalmente come angolo visuale il tema generale cha fa da sfondo al presente lavoro - quello cioè dei patti parasociali mantenuti segreti - e indagando gli aspetti sui quali tale fenomeno può reagire in maniera problematica sull’applicazione delle disposizioni di cui si compone il tessuto normativo costruito dagli artt. 101-bis ss. T.U.F. Il d. lgs. n. 146/2009 ha operato una significativa rivisitazione della nozione di azione di concerto, incidendo sulle disposizioni dell’art. 101-bis T.U.F., introdotto ex novo dal d. lgs. n. 229/2007 in attuazione della c.d. Direttiva OPA.4 della Consob, ma non altrimenti pubblicato: ebbene, la Corte ha ritenuto che una siffatta comunicazione dovesse ritenersi idonea e sufficiente ad informare il pubblico (cfr. App. Roma, 29 settembre 2009, decr., reperibile in www.ipsoa.it). I giudici romani hanno scelto dunque un’impostazione antiformalistica, mostrando di ritenere le sanzioni previste dalla legge applicabili unicamente ai patti che siano stati tout court occultati. Tale impostazione può essere accolta, anche perché indirettamente confortata dal tenore letterale dei commi 3 e 4 dell’art. 122 T.U.F., i quali, facendo menzione degli “obblighi” (al plurale, dunque) rimasti inadempiuti, danno l’impressione di presupporre una totale inosservanza dei medesimi. Sembra derivarne, a contrario, che anche una sola delle modalità previste per la pubblicazione dovrebbe mettere al riparo gli aderenti dall’applicazione delle sanzioni. Tale conclusione merita tuttavia di essere adeguatamente moderata, facendovi probabilmente eccezione i casi in cui ad essere stati effettuati in concreto siano la pubblicazione sulla stampa quotidiana e/o la neo introdotta comunicazione alla società quotata; tali adempimenti, invero, non sembrano istituzionalmente in grado, di per sé, di garantire quell’informativa generale diretta al mercato che, nelle società quotate, richiede un grado di tutela ancor più elevato: il mancato raggiungimento di tale risultato per causa imputabile ai paciscenti reclama, pertanto, la comminatoria delle sanzioni di legge. Viceversa è a dirsi per la comunicazione alla Consob e per il deposito presso il registro delle imprese: anche uno solo di essi dovrebbe porre al riparo i membri del patto dalle conseguenze di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 122 T.U.F. Questa proposta interpretativa, tra l’altro, ha il pregio di assicurare anche una certa coerenza sistematica con la ricostruzione offerta in sede di analisi della disciplina dettata dal codice civile (cfr. cap. I, § 7). 4 Sull’attuazione della Direttiva 2004/25/CE (c.d. Direttiva OPA) nel nostro ordinamento, cfr. TOLA, La direttiva europea in materia di OPA: prime riflessioni, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, I, 490 ss.; F.M. MUCCIARELLI, L’attuazione della Direttiva opa nell’ordinamento italiano, in Giur. comm., 2008, I, 448 ss.; ANGELILLIS - MOSCA, Considerazioni sul recepimento della tredicesima direttiva in materia di offerte pubbliche di acquisto e sulla posizione espressa nel documento della Commissione Europea, in Riv. soc., 2007, 1106 ss. E’ bene sottolineare sin da ora che già tale Direttiva imponeva che il documento di offerta indicasse “l’identità delle persone che agiscono di concerto con l’offerente”, e dunque gli accordi da questo conclusi con altri soggetti interessati all’operazione. Per una prospettiva più recente sull’armonizzazione delle discipline in tema di OPA a livello europeo, anche de jure condendo, si veda ENRIQUES, Né con gli scalatori né con i gruppi di comando: per una disciplina neutrale sulle opa nell’Unione Europea, in Riv. soc., 2010, 657 ss. 49 In origine, il legislatore del Testo Unico aveva preferito evitare l’introduzione di una definizione generale di concerto5, fornendo viceversa l’indicazione di quattro specifiche fattispecie, sulla cui qualificazione le interpretazioni della dottrina non erano (e non sono nemmeno attualmente) univoche: all’indomani dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 58/1998, invero, si era immediatamente posto il problema - tuttora dibattuto con riferimento all’attuale art. 101-bis T.U.F. - se tale elenco (precedentemente contenuto, però, nell’art. 109 T.U.F.) individuasse (e ancora oggi individui) presunzioni legali assolute o, piuttosto, ipotesi tassative di concerto.6 Non si può non richiamare, in proposito, l’art. 8 della vecchia legge sulle privatizzazioni (l. n. 474/1994), il quale stabiliva che l’obbligo di procedere ad un’offerta pubblica di acquisto derivasse dall’apporto di azioni “ad un patto di sindacato di voto o di consultazione, in qualsiasi forma concluso, desumibile anche dal comportamento concertato”: come si può notare, nel contesto di tale disposizione, il comportamento concertato delle parti - fenomenicamente percepibile - era il fondamento di una presunzione legale circa l’esistenza di un patto parasociale (di voto o di consultazione).7 5 La soluzione originaria era stata salutata favorevolmente dalla dottrina, in quanto sembrava eliminare “il rischio di affidare alla Consob la valutazione di casi concreti sulla base di una definizione sfuggente”: così WEIGMANN, Offerte pubbliche d'acquisto (voce), in Enc. giur. Treccani, vol. XXI, Roma 2001, 10. 6 Secondo l’opinione prevalente esse costituiscono presunzioni legali assolute di concerto: si vedano G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. 2. Diritto delle società, ottava edizione a cura di M. Campobasso, Torino, 2012, 264, nt. 23; MOSCA, Comportamenti di concerto e patti parasociali, in Scritti giuridici per Piergaetano Marchetti, Milano, 2011, 454; GUIZZI-TUCCI, Articolo 109, in Le offerte pubbliche di acquisto, a cura di M. Stella Richter jr, Torino, 2011, 264; SERSALE, Sub art. 109, in Commentario all’offerta pubblica di acquisto, a cura di G. Fauceglia, Torino, 2010, 189 e 193; AZZARO, op cit., 717; BAGLIONI, Il patto “di concerto” Antonveneta accertato da Consob, in Società, 2005, 1045; WEIGMANN, Sub art. 109, in Testo Unico della Finanza (d. lg. 24 febbraio 1998, n. 58), Commentario diretto da G. F. Campobasso, Torino, 2002, **, 932; P. FERRO-LUZZI, Il “concerto grosso”; variazioni sul tema dell’o.p.a., in Giur. comm., 2002, I, 657; BIANCHI, Sub art. 109, in La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Commentario a cura di P. Marchetti e L. A. Bianchi, Milano, 1999, t. I, 439. Secondo altri, invece, l’elencazione portata dalla norma è da ritenersi (soltanto) tassativa e quindi preclusiva di altre ipotesi di concerto concretamente riscontrabili: v., ad es., ROMAGNOLI, Diritti dell’investitore e dell’azionista nell’OPA obbligatoria, Padova, 2005, 184, il quale esclude pertanto ogni possibilità di interpretazione estensiva o analogica; TUCCI, Patti parasociali, cit., 189 (nt. 55); MONTALENTI, OPA: la nuova disciplina, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, 155; nonché CALLEGARI, Acquisto di concerto, in La legge Draghi e le società quotate in borsa, diretto da G. Cottino, Torino, 1999, 66. Non è mancato, peraltro, chi ha ritenuto le due prospettive conciliabili e, pertanto, entrambe condivisibili: v. DESANA, Tribunale versus Corte d’Appello nella vicenda Sai Fondiaria: due pronunce ambrosiane sulle conseguenze della violazione dell’Opa obbligatoria, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, II, 595; EAD., Opa obbligatoria “da concerto occulto”: alcune osservazioni a margine della vicenda Sai-Fondiaria, nota a Cons. Stato, VI Sezione, 13 maggio 2003, n. 4142, in Giur. it., 2004, IV, 2113. Similmente GIUDICI, L’acquisto di concerto, in Riv. soc., 2001, 495, il quale scriveva che “sul piano degli effetti […] le due tesi non possono che condurre ad identici risultati”, stante l’impossibilità di impiego dell’analogia, “preclusa dalla natura eccezionale della norma” (ibidem, 496). Sul punto, da ultimo, VENTURINI, Difese, concerto e derivati nelle ultime modifiche alla disciplina OPA, in Società, 2010, 450. 7 La dottrina, peraltro, riteneva trattarsi di presunzione legale relativa: così GIUDICI, op. ult. cit., 493. Sul punto, v. BASSO, Sub art. 109, in Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di G. Alpa e F. Capriglione, Padova, 1998, t. II, 1014, il quale evidenziava che “il comportamento concertato, quindi, nella legge del 1994 costituiva un espediente per alleggerire l’onere della prova dell’esistenza dei patti parasociali indicati nella disposizione, ma non anche un autonomo presupposto per l’obbligo di OPA a carico dei soggetti concertanti”. Sui problemi interpretativi sollevati dalla previgente disciplina, cfr. anche CHIAPPETTA, op. cit., 1009. 50 Fu proprio il Testo Unico della Finanza - sin dalla sua prima versione - a determinare un vero e proprio rovesciamento di prospettiva: l’art. 109 T.U.F., invero, a differenza del precedente art. 8 l. n. 474/1994, non concepiva più - secondo lo schema della presunzione legale - il comportamento concertato quale sintomo dell’esistenza di un patto parasociale; al contrario, considerava (e l’art. 101-bis T.U.F. tuttora considera) la stipula di un patto parasociale, anche nullo, di cui all’art. 122 T.U.F., quale indice (rectius: quale vera e propria figura) di azione concertata, questa sì fonte diretta dell’obbligo di promozione dell’offerta pubblica di acquisto (in presenza, naturalmente, degli altri presupposti di cui all’art. 109 T.U.F.). 8 Anche il d. lgs. n. 229/2007 - limitandosi ad aggiungere una quinta ipotesi di concerto [quella de “i soggetti che cooperano tra loro al fine di ottenere il controllo della società emittente”: lett. e) dell’art. 101-bis T.U.F., in vigore sino al 2009 e poi soppressa] alle quattro già contemplate dall’art. 109 T.U.F. e trasferendo queste ultime proprio in seno all’art. 101-bis T.U.F. (di nuova introduzione, appunto) - aveva rinunciato a tracciare in via generale i contorni della fattispecie.9 Si era osservato che l’ipotesi di cui alla lett. e), omettendo ogni riferimento ad un “contratto” o ad un “accordo”, pareva “andare oltre la nozione di ‘contratto’ anche nullo” ed ammettere la rilevanza - ai fini dell’individuazione del concerto - dei comportamenti di collusione tacita.10 Premesso che su quest’ultimo punto vi sarà modo di soffermarsi nel prosieguo, è sufficiente per il momento sottolineare che il d. lgs. n. 146/2009 ha provveduto a riscrivere l’art. 101-bis T.U.F., eliminando tale specifica ipotesi presuntiva e delineando per la prima volta i tratti generali della nozione di concerto. Recita infatti l’attuale comma 4 della norma: “per ‘persone che agiscono di concerto’ si intendono i soggetti che cooperano tra di loro sulla base di un accordo, espresso o tacito, verbale o scritto, ancorché invalido o inefficace, volto ad acquisire, 8 L’art. 109 T.U.F., infatti, nella sua prima versione così recitava: “Acquisto di concerto - 1. Sono solidalmente tenuti agli obblighi previsti dagli artt. 106 e 108, quando vengano a detenere, a seguito di acquisti a titolo oneroso effettuati anche da uno solo di essi, una partecipazione complessiva superiore alle percentuali indicate nei predetti articoli: a) gli aderenti a un patto, anche nullo, previsto dall’art. 122; b) un soggetto e le società da esso controllate; c) le società sottoposte a comune controllo; d) una società e i suoi amministratori o direttori generali. 2. L’obbligo di offerta pubblica sussiste in capo ai soggetti indicati nel comma 1, lettera a), anche quando gli acquisti siano stati effettuati nei dodici mesi precedenti la stipulazione del patto ovvero contestualmente alla stessa.” Sul previgente art. 109 T.U.F., v. D’AMBROSIO, Sub artt. 102-112, in Il testo unico della intermediazione finanziaria, Commentario al D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, a cura di C. Rabitti Bedogni, Milano, 1998, 607, ove si osservava che l’ampia portata dell’art. 122 T.U.F. avrebbe potuto comunque “compensare” la mancata previsione di una fattispecie generale di azione di concerto “a soggetto indifferente”. 9 Ma proprio la lett. e) poteva legittimare il dubbio che fosse comunque stata introdotta una nozione generale di concerto, come rilevato da BRUNETTA, Sub art. 109, in La disciplina dell’offerta pubblica di acquisto, in Le nuove leggi civ. comm., 2010, 210. 10 Così LIBONATI, Corso di diritto commerciale, Milano, 2009, 314, il quale ammetteva la ricorrenza della fattispecie del concerto “in ogni ipotesi di parallelismo consapevole di comportamenti che pur tuttavia non attinga gli estremi della fattispecie patto parasociale”; VENTURINI, Difese, cit., 451, il quale nota altresì che tale opzione normativa si esponeva ad ulteriori critiche da parte della dottrina, quale ad esempio l’affiancamento della fattispecie di cui alla lett. e) ad altre - quelle, appunto, già originariamente previste - certamente “dai confini meno ampi”. Sulla rilevanza delle c.d. collusioni tacite e del parallelismo consapevole di comportamenti, ad ogni modo, si tornerà nel prosieguo della trattazione. 51 mantenere o rafforzare il controllo della società emittente o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio”; il nucleo essenziale della fattispecie viene così ad essere individuato nella sussistenza di un accordo, accompagnato da una condotta attuativa e caratterizzato da un preciso obiettivo comune alle parti.11 11 Tale generale definizione riprende molto da vicino, sebbene non esattamente, quella già contenuta nell’art. 2 della Direttiva 2004/25/CE, la quale considerava agenti di concerto le “persone fisiche o giuridiche che cooperano con l’offerente o la società emittente sulla base di un accordo, sia esso espresso o tacito, verbale o scritto, e volto ad ottenere il controllo della società emittente, o a contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta”. Un’attuazione pressoché pedissequa di tale definizione (simile dunque a quella rinvenibile nel T.U.F.) si è avuta anche nell’ordinamento inglese, dove la Rule 9.1 del City Code on Takeover and Mergers stabilisce che “persons acting in concert comprise persons who, pursuant to an agreement or under standing (whether formal or informal), co-operate to obtain or consolidate control [...] of a company or to frustrate the successful outcome of an offer for a company. A person and each of its affiliated persons will be deemed to be acting in concert all with each other.” La norma prosegue indicando una serie di presunzioni che (a differenza di quelle contenute nell’art. 101-bis T.U.F., interpretato secondo l’opinione dominante) sono espressamente presentate come relative (“unless the contrary is established”). Inoltre, la Rule 9.1(a) prevede che scatti l’obbligo di offerta pubblica se un soggetto acquista partecipazioni che, considerate unitamente a quelle di coloro con i quali agisce di concerto, attribuiscono il 30% o più dei diritti di voto. Si afferma poi che la cooperazione tra azionisti condurrà all’applicazione della disciplina del concerto solo se essi perseguono uno scopo qualificato, ossia “requisition or threaten to requisition a meeting for the consideration of a ‘board control-seeking’ proposal” (cioè richiedono o minacciano di richiedere un’adunanza per la presa in considerazione di uno scopo di acquisto del controllo del board): così lo UK Takeover Panel, Response to the European Commission’s Green Paper on the EU corporate governance framework , 22 luglio 2011, 3 ss., ove si individuano anche alcuni fattori idonei ad indicare l’esistenza di tale scopo, come il rapporto esistente tra i soci e gli amministratori che vengono proposti, un eventuale pregresso rapporto o la sussistenza di un accordo o di un’intesa tra gli stessi (ibidem, Appendix). La corrispondente norma tedesca di attuazione della Direttiva (§ 30, Abs. 2 WpÜG), pressoché coincidente con quella dettata ai fini degli obblighi pubblicitari (§ 22, Abs. 2 WpHG), è già stata riportata, come si ricorderà, nel capitolo precedente. Nell’ordinamento francese, la norma di riferimento è contenuta nell’art. L. 233-10 del code de commerce, che, come modificato dall’art. 18 della Loi n. 2007-211 del 19 febbraio 2007, dispone: “sont considérées comme agissant de concert les personnes qui ont conclu un accord en vue d’acquérir ou de céder des droits de vote ou en vue d’excercer les droits de vote, pour mettre en oeuvre une politique commune visà-vis de la société ou pour obtenir le contrôle de cette société”. Quest’ultima parte della definizione, che fa riferimento allo scopo del raggiungimento del controllo, è stata inserita solo di recente, principalmente sulla scorta dell’osservazione dell’AMF secondo cui l’intento di mettere in atto una politica societaria comune non riusciva a comprendere le ipotesi di azione concertata nell’interesse di uno solo dei pattisti: sul punto LE NABASQUE, Commentaire des principales dispositions de la loi de régulation bancaire et financière du 22 octobre 2010 intéressant le droit des sociétés et le droit financier, in Revue des sociétés, 2010, 547 ss., il quale si è espresso però criticamente nei confronti di detta “aggiunta”, evidenziando che in realtà l’accordo volto ad acquisire il controllo della società è una sottocategoria di quello atto a porre in essere una politica comune. La previsione generale richiamata è seguita da un’elencazione di presunzioni di concerto, che a differenza di quelle contenute nel nostro art. 101-bis T.U.F. e al pari di quelle “inglesi”, sono ritenute presunzioni relative di concerto: LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 232. Inoltre, la legge di attuazione della c.d. Direttiva Opa (2004/25/CE), ossia la Loi n. 2006-387 del 31 marzo 2006, aveva già ampliato la nozione di concerto, inserendo nel Code una norma (art. L. 233-10-1) che dispone: “en cas d’offre publique d’acquisition, sont considérées comme agissant de concert les personnes qui ont conclu un accord avec l’auteur d’une offre publique visant à obtenir le controle de la société qui fait l’object de l’offre. Sont également considérées comme agissant de concert les personnes qui ont conclu un accord avec la société qui fait l’object de l’offre afin de faire échouer cette offre”. Anche in Francia scatta l’obbligo di offerta pubblica in caso di superamento della soglia rilevante, individuata nella detenzione di un terzo del capitale sociale o dei diritti di voto dell’emittente: tale obbligo, in caso di azione di concerto, grava solidalmente su tutti gli agenti. L’art. L. 433-3 del Code monetaire et financier affida al Regolamento generale dell’AMF il compito di individuare i presupposti per l’obbligo di depositare un progetto di offerta. Prevede dunque l’art. 234-2 del Regolamento generale dell’AMF: “lorsqu’une personne physique ou morale, agissant seule ou de concert [...], vient à détenir plus du tiers 52 Si potrebbe forse criticare l’eccessiva ampiezza dell’attuale fattispecie, tale cioè da attribuire (alla Consob) un margine di discrezionalità alquanto ampio nell’accertamento delle ipotesi di azione concertata, anche in considerazione del fatto che, come hanno dimostrato i ben noti casi di concerto da patto occulto emersi negli ultimi anni, rimane a tal fine “imprescindibile l’intervento dell’autorità di vigilanza” 12; è anche vero però che gli estesi confini della fattispecie, pur ponendo problemi interpretativi di non poco momento, tendono a svolgere, nella prospettiva del legislatore, una chiara funzione antielusiva, proprio al fine di garantire l’adeguata soddisfazione degli interessi protetti dalla disciplina dell’OPA obbligatoria.13 des titres des capital ou plus du tiers des droits de vote d’une société, elle est tenue, à son iniziative, d’en informer immédiatement le conseil et de déposer un projet d’offre publique visant la totalité des titres de capital et des titres donnant accès au capital ou aux droits de vote et libellé à des conditions telles qu’il puisse être déclaré receivable”. La sanzione prevista per la violazione di tale obbligo è la privazione del diritto di voto inerente ai titoli eccedenti la soglia rilevante (art. L. 433-3, I Code monetaire et financiaire). Per una analitica disamina di questi temi nella letteratura francese cfr. in particolare BONNEAU, L’action de concert, in Les offres publiques d’achat, diretto da G. Canivet, D. Martin, N. Molfessis, Paris, 2009, 97 ss.; VIANDIER, OPA, OPE et autres offres publiques, Levallois, 2006, spec. 231 ss. Si noti che, nonostante gli auspici della Commissione Europea in tal senso, non è a tutt’oggi ravvisabile una nozione omogenea di azione concertata negli ordinamenti dei Paesi europei che hanno attuato la c.d. Direttiva OPA; lo UK Takeover Panel, nel suo Response, cit., 3 ss., ha però espresso parere recisamente sfavorevole ad un’eventuale opera di ulteriore armonizzazione in materia, manifestando il convincimento che gli Stati membri debbano rimanere liberi di declinare la relativa disciplina in ragione delle peculiarità dei singoli ordinamenti nazionali. 12 Il virgolettato è di DESANA, Tribunale versus Corte d’Appello, cit., 597; analog. EAD., Opa obbligatoria, cit., 2113, ove l’A. rileva che il caso del patto non comunicato “implica necessariamente un intervento dell’autorità di vigilanza volto a svelarne l’esistenza”. 13 Negli Stati Uniti, come si è detto nel capitolo precedente, la nozione (e la rilevanza) del concerto riguarda invece solo eventualmente (anche se probabilmente frequentemente) le offerte pubbliche (tender offers), assumendo invece un ruolo primario nella disciplina della disclosure di una partecipazione superiore al 5%. La Section 13(d)(3) del SEA attribuisce infatti espressamente rilevanza, a quest’ultimo fine, ai gruppi di soggetti agenti congiuntamente, e la Rule 13d-5(b)(1) della SEC, implementando detta previsione, delinea così i contorni di un gruppo (concerto): “when two or more persons agree to act together for the purpose of acquiring, holding, voting or disposing of equity securities of an issuer, the group formed thereby shall be deemed to have acquired beneficial ownership, for purposes of Sections 13(d) and(g) of the Act, as of the date of such agreement, of all equity securities of that issuer beneficially owned by any such persons.” Come si è notato, la SEC ha aggiunto lo scopo di “voting”, non contemplato nella Section 13(d)(3) del SEA, dando adito a dubbi di “overregulation”: COFFEE Jr. et al., op. cit., 719. Naturalmente, può ben essere riscontrabile un’offerta promossa da un gruppo di soggetti, i quali devono aver previamente effettuato la disclosure secondo quanto previsto proprio dalla Section 13(d) del SEA: non a caso, la Section 14(d)(2) contiene esattamente la stessa definizione della Section 13(d)(3), estendendo il concetto di “person” a chiunque agisca - in senso lato - come gruppo. Qualora il gruppo agente di concerto si formi successivamente alla promozione dell’offerta, sarà necessaria un’opportuna informativa o il lancio di una nuova offerta da parte di tutti i membri del gruppo: sul punto BROWN et al., op. cit., § 4.02[C], 4-16. La possibile rilevanza di un concerto nell’ambito delle offerte pubbliche (rectius: “tender offers”) è stata esplicitata anche dalla SEC almeno in due diversi contesti. In primo luogo, in sede di emanazione di linee guida interpretative della Rule 14d-1(g)(2), la quale prevede che il termine “bidder” (offerente) indica “any person who makes a tender offer or on whose behalf a tender offer is made”; ebbene, l’Autorità americana ha stabilito (cfr. SEC Current Issues and Rulemaking Projects, November 14, 2000; nonché BARTOS, op. cit., 137) che uno dei fattori da considerare a tale riguardo è se un soggetto agisce di concerto “with the named bidder”, ossia con il principale offerente. Pertanto, potrebbe derivarne in questo modo l’obbligo di offerta in capo a quest’altro soggetto concertista. Inoltre, nella Rule 14e-5 si prevede che, in presenza di un’offerta pubblica, “a covered person” non possa acquistare direttamente o indirettamente azioni dell’emittente o titoli correlati se non nell’ambito della stessa offerta; e tra questa categoria di soggetti rientra “any person acting, directly or indirectly, in concert with any of the persons specified in this paragraph (c)(3) in connection with any purchase or arrangement to purchase any subject securities or any related Securities” (così la Rule 14e-5(c)(3). Va 53 2. L’accordo “volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società emittente” (o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio). Come si è appena avuto modo di notare, la nozione di concerto “torna ad avere, quale denominatore comune, un ‘accordo’” 14; inoltre, essa abbraccia - oltre ai patti resi oggetto di una formalizzazione scritta - tanto gli accordi conclusi verbalmente quanto quelli perfezionatisi tacitamente, anche se invalidi o inefficaci. Tale scenario normativo sollecita immediatamente due fondamentali interrogativi. In primo luogo, non è chiaro se per tale via il legislatore abbia senz’altro dato ingresso anche al semplice “parallelismo consapevole di comportamenti”15: in aggiunto, tra l’altro, che negli Stati Uniti il concetto di “tender offer” non è chiarito dalla Section 14 del SEA ed ha costituito oggetto di un dibattito anche tra le Corti, le quali hanno proposto diversi criteri di identificazione: per i termini della questione v. in particolare SODERQUIST-GABALDON, op. cit., 140 ss.; THOMPSON Jr., Mergers, Acquisitions and Tender Offers, New York, 2011, v. 2, 8-52 ss.; nonché, meno recentemente, EBERT M. D., “During the Tender Offer” (or Some Other Time Near it): Insider Transactions Under the All Holders/Best Price Rule, in Villanova Law Review, 2002, v. 47, 677 ss. 14 Così TUCCI, Le offerte pubbliche di acquisto, in L’ordinamento finanziario italiano, a cura di F. Capriglione, Padova, 2010, t. II, 936; SERSALE, Sub art. 109, cit., 180; VENTURINI, Difese, cit., 451, il quale evidenzia anche come siano state aggiunte “le espressioni ‘mantenere o rafforzare’ il controllo della società emittente, in ragione della maggiore estensione della nozione interna di OPA rispetto a quella comunitaria” (ibidem, nt. 58); GUIZZI-TUCCI, op. cit., 265. L’accordo è ritenuto alla base dell’azione concertata anche nell’ordinamento francese: sul punto, LAPRADE, Affaire Gecina: et si la Cour de cassation s’était trompée de contentieux? Note sous Cour de Cassation (com.) 27 octobre 2009, 3 arrêts, in Revue des sociétés, 2010, 118; VIANDIER, op. cit., 233; nonché nella dottrina e giurisprudenza americane: “formation of a group occurs whenever individuals agree to act together for a common purpose” (così BROWN et al., op. cit., § 2.04[C], 2-33) [e v., nelle Corti, Texasgulf Inc. v. Canada Dev. Corp., 366 F. Supp. 374, 403 (S.D. Texas, 1973); per l’affermazione che una semplice “relationship” non sarebbe sufficiente, National Home Prods, Inc. v. Gray, 416 F. Supp. 1293, 1322 (D. Del. 1976); nonché, ancor più espressamente, Wellman v. Dickinson, 682 F.2d 355 (2d Cir. 1982), ove si è rilevato che “the touchstone of a group within the meaning of section 13(d) is that the members combined in furtherance of a common objective”]. Peraltro, come si è visto, tale scopo comune non necessariamente deve coincidere con l’acquisto congiunto del controllo: v. Roth v. Jennings, 489 F.3d 499, 508 (2d Cir. 2007); in letteratura, LEVY, op. cit., 5-18. Nel vigore della versione originaria dell’art. 109 T.U.F., che non comprendeva una definizione generale di concerto, si discuteva invece circa la necessità di raggiungere la prova anche in ordine ad una presunta “volontà di concertarsi”: sul punto GIUDICI, L’acquisto, cit., 496; tale opinione era tuttavia da ritenere priva di fondamento, stante la presenza del meccanismo delle presunzioni legali, mentre oggi il dubbio è chiarito proprio dall’attuale nozione di concerto, che postula inequivocabilmente la sussistenza di un accordo e dunque l’esistenza di volontà convergenti (salvo, naturalmente, il problema di accertare in concreto l’esistenza di detto accordo). Inoltre, già si affacciava talvolta l’idea - peraltro decisamente poco condivisibile anche nel previgente contesto normativo - che la fattispecie del concerto coincidesse in sostanza con l’elemento oggettivo rappresentato dalla pluralità di acquisti da parte di più soggetti, di per sé idoneo, dunque, a generare l’obbligo di lancio dell’OPA “anche a prescindere dalla sussistenza di un patto”: così AZZARO, op. cit., 724. Come si vedrà successivamente, non è esatto affermare che l’acquisto di azioni integri la fattispecie dell’azione concertata, rappresentando viceversa un ulteriore presupposto che, unitamente a quest’ultima, determina l’insorgenza dell’obbligo di lancio dell’offerta pubblica di acquisto. 15 Così invece, espressamente, VENTURINI, Difese, cit., 452. La dottrina francese lo esclude recisamente, rilevando plasticamente che “à défaut d’intention commune, ce parallélisme conscient ne constituera qu’un simple indice d’action concertée et non une preuve”: così LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 435; analog. VIANDIER, op. cit., 248 e 236, ove si parla di “commounauté d’objectifs” quale caratteristica fondamentale del concerto. A proposito dei comportamenti che possono costituire indizi di un concerto e sempre con riferimento all’ordinamento francese, va menzionata la regola che attribuisce all’AMF il potere di indagare - interrogando gli interessati - in ordine ad elementi e 54 prima battuta, si può osservare come proprio il richiamo della norma alla necessaria esistenza di un “accordo” induca a pensare che la convergenza delle condotte sia un elemento necessario ma non sufficiente, occorrendo altresì, in via di principio, una comunanza di intenti in vista di un determinato risultato.16 Certamente, l’esistenza di un vero e proprio accordo sarà desumibile in via indiziaria; è bene però sottolineare che la sola omogeneità delle condotte non può in linea di massima considerarsi sufficiente a tal fine, dovendosi procedere ad un’indagine concernente la sussistenza di ulteriori e più significativi elementi idonei a rivelare l’effettiva esistenza di un incontro di volontà. Al riguardo, è utile osservare che il semplice acquisto sul mercato delle azioni di una determinata società da parte di più soggetti, quand’anche ciascuno sia a conoscenza della condotta degli altri, non può certo rappresentare di per sé l’esistenza di un patto (quand’anche avente proprio tale oggetto) - e nemmeno di una più generica forma di cooperazione (id est: di concerto) - volto al conseguimento del controllo di quella medesima società: come si dirà meglio in seguito, ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di promozione di un’offerta pubblica di acquisto, il rastrellamento di azioni sul mercato è presupposto distinto ed ulteriore rispetto alla sussistenza del concerto (e dunque del patto parasociale ad esso eventualmente sotteso e volto all’acquisizione del controllo). Quanto precisato consente di introdurre il secondo dei due interrogativi cui si faceva cenno. Occorre subito rilevare che il riferimento teleologico contenuto nell’art. 101-bis, comma 4, T.U.F. - il quale, come si è visto, richiede che l’accordo sia “volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società emittente o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio” - solleva, analogamente alla clausola di cui all’art. 2341-bis c.c., il dubbio se esso incarni l’elemento soggettivo della fattispecie o se, viceversa, si limiti a descrivere gli effetti che - sul piano giuridico-fenomenico - l’accordo deve essere in grado di produrre.17 Certamente, l’accoglimento della prima soluzione, comportando la necessità dell’accertamento di uno stato soggettivo, avrebbe l’effetto di rendere la prova dell’esistenza del concerto maggiormente difficoltosa, a meno di ritenere che gli effetti comportamenti che fanno presumere l’intenzione di preparare un’offerta pubblica (art. L. 433-1 Cod. mon. fin.). Sul punto cfr. DAIGRE, Rumeur d’OPA: comment réagir?, in BJB, 2008, 190 ss. 16 In tal senso SERSALE, Sub art. 109, cit., 191 (nt. 32), il quale esclude che “si possa attribuire rilevanza al mero scambio di informazioni o alla mera consapevolezza di agire coordinato, in quanto la norma in questione richiede chiaramente l’esistenza di un accordo tra gli agenti, e quindi di una qualche forma di condivisione di strategie e di obiettivi”. Conf. TUCCI, Le offerte pubbliche, cit., 936, il quale ha osservato che “un accordo deve comunque essere ricostruibile e, per di più, non nel senso, del tutto generico, di (reciproca) ‘condivisione’ dell’altrui condotta, ma in un’accezione assai più pregnante, dovendo avere un oggetto determinato”. Naturalmente (ma sul punto ci si soffermerà più avanti con specifico riferimento ai patti parasociali occulti) rimane la difficoltà, all’atto pratico, di tracciare una linea di confine tra accordo tacito (rilevante per espressa disposizione normativa) e semplice convergenza di condotte, magari soltanto occasionale. 17 Nel primo senso si orienta SERSALE, Sub art. 109, cit., 191, il quale ritiene trattarsi di “una sorta di elemento psicologico che gli agenti devono avere”, aggiungendo che “il riferimento più plausibile è ai motivi che spingono le parti all’accordo (art. 1345 c.c.), piuttosto che alla causa tipica dello stesso” (ibidem, nt. 31); riconosce però l’A. che, “a differenza dell’art. 1345 c.c., la norma […] non richiede esplicitamente che la ‘volontà’ sia comune ed esclusiva e che, da altra prospettiva, la ratio ed il fine antielusivo della disciplina impone di considerare l’applicazione della disciplina del concerto anche laddove una delle parti, pur non essendo mossa dalla ‘volontà’ tipica, si risolva a cooperare e quindi a favorire consapevolmente l’altra parte per arricchirsi o per altro interesse” (ibidem, nt. 32). 55 concretamente prodottisi - ed empiricamente riscontrabili - in seguito all’azione congiunta siano un elemento di per sé idoneo a far presumere la sussistenza della comune volontà degli agenti18; se così fosse, la questione diverrebbe però meramente nominalistica e, a quel punto, l’ago della bilancia finirebbe sicuramente per pendere in favore della prospettiva “oggettivistica”, in grado di fornire un più sicuro appiglio all’opera dell’interprete. Ad ogni modo, analogamente a quanto si è detto nel primo capitolo a proposito della clausola contenuta nell’incipit dell’art. 2341-bis c.c., la difficoltà di ammettere che l’applicazione di tale disciplina possa dipendere dall’accertamento (sicuramente non semplice ed alquanto delicato) di uno stato soggettivo porta a concludere che oggetto di valutazione debba essere l’effettiva portata dell’accordo19: tale prospettazione può peraltro ritenersi confortata dal tenore letterale del quarto comma dell’art. 101-bis T.U.F., il quale richiede che sia l’accordo medesimo ad essere “volto” ad incidere sul controllo della società. In altri termini, posta l’irrilevanza, in base ai principi generali, dei motivi individuali, perderebbe significato l’operazione diretta ad enucleare una sorta di motivo comune o di elemento psicologico comune, assumendo viceversa esclusiva rilevanza la valutazione della portata e degli effetti del regolamento negoziale, “volto”, per l’appunto, nella sua struttura oggettivamente percepibile, “ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società” (o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica). In tal senso depone anche l’altro presupposto richiesto dalla norma perché vi sia azione concertata, ossia la cooperazione: essa indica che non è sufficiente una comune volontà (l’accordo, appunto), ma è necessario altresì che questa - per quanto, eventualmente, soltanto verbale o tacita - sia accompagnata dall’effettiva realizzazione del programma negoziale. E sarà proprio quest’ultimo elemento a costituire la “spia” dell’idoneità dell’accordo di concerto ad incidere sulle vicende relative al controllo della società.20 Quanto appena detto lascia per il momento aperto il problema - sul quale ci si soffermerà in seguito - se il riscontro di effetti concreti corrispondenti alla finalità del concerto individuata dalla nozione generale sia o meno, in prima battuta, un presupposto indefettibile (tale, cioè, da dover costituire immediatamente oggetto di prova) affinché l’obbligo di promozione di un’offerta pubblica possa sorgere. 18 Così pare esprimersi lo stesso SERSALE, Sub art. 109, cit., 192, il quale, dopo aver negato ogni rilevanza al fatto “che la cooperazione in questione abbia effettivamente sortito gli effetti voluti” o meno, precisa però come “l’accertamento di comportamenti del tutto inidonei o inconferenti con la ratio della norma possa, viceversa, portare a convincersi dell’assenza della volontà richiesta dalla legge” (ibidem, nt. 37). 19 L’irrilevanza dei motivi delle parti nell’ambito della fattispecie di concerto di cui al § 30 WpÜG è messa in risalto anche dagli autori tedeschi, perché decisiva deve reputarsi soltanto l’acquisizione di un potenziale di influenza sulla società: v. PRASUHN, op. cit., 212. 20 Da un punto di vista sistematico, tale conclusione è coerente con quanto previsto dal Testo Unico Bancario: gli artt. 20 e 23 T.U.B. attribuiscono espressamente rilievo agli accordi che abbiano per effetto, rispettivamente, la concertazione del voto e l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento; né sembra possa smentire tale impostazione l’art. 22 .T.U.B., il quale contempla quegli accordi in forza dei quali gli aderenti “intendono esercitare in modo concertato i relativi diritti”: invero, essi possono essere conclusi “in qualsiasi forma” e la predetta intenzione, qualora il patto non sia stato esteriorizzato, non potrà che essere desunta dall’esercizio stesso di quei diritti e dunque dall’effetto concretamente prodotto dall’accordo. 56 3. Il patto parasociale (anche nullo) quale presunzione di concerto: i limiti di rilevanza del c.d. conscious parallelism. Tra le presunzioni assolute di concerto21, l’art. 101-bis, comma 4-bis, T.U.F. annovera in primo luogo i patti parasociali, anche nulli, di cui all’art. 122, comma 1 e comma 5, lett. a), b), c) e d), T.U.F.22: dunque, tutte queste tipologie di accordi possono venire in rilievo quali ipotesi di concerto.23 21 Sebbene, come già si è detto, la dottrina dominante le qualifichi in questi termini, può essere legittimamente avanzata l’idea che le ipotesi contemplate dalla norma, introdotte dalla locuzione “in ogni caso”, identifichino in fin dei conti vere e proprie fattispecie di concerto. Dal punto di vista pratico, tuttavia, non sembrano potersi riscontrare significative differenze, dal momento che in entrambi i casi risulterebbe (ed infatti risulta) impedita l’eventuale prova - volta ad evitare l’applicazione della disciplina - circa l’eventuale inesistenza di elementi che compongono la nozione generale di concerto sì come confezionata dal quarto comma dell’art. 101-bis T.U.F. 22 Non viene menzionata la lett. d-bis) dell’art. 122 T.U.F., che contempla i patti volti a favorire o contrastare un’offerta pubblica di acquisto: ciò tuttavia non costituisce una svista, come si evince dalla Relazione illustrativa al d. lgs. n. 229/2007; del resto, tale ipotesi è parzialmente ricompresa nella nozione generale di concerto, che fa riferimento all’accordo avente per obiettivo il contrasto di un’offerta pubblica (sul punto VENTURINI, I patti parasociali e la Consob: il caso Unipol - BNL, in Società, 2010, 600). Restano fuori, dunque, i patti volti a favorire il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica, ma la ragione è facilmente spiegabile: non avrebbe senso imporre a chi sia intenzionato ad aderire ad un’offerta l’obbligo di promozione di un’ulteriore offerta che, configurandosi gioco forza come concorrente, finirebbe per innescare una (non voluta!) battaglia per il controllo. Anche nel Regno Unito si tende ad escludere che gli impegni di adesione all’offerta presi con l’offerente configurino un’azione concertata: come si legge nel Practical Statement n. 22, Irrevocable committments, concert parties and related matters, emanato dal Takeover Panel in data 10 luglio 2008 ed emendato il 19 settembre 2011, “the Executive would not normally consider the offeror to have acquired a right to exercise or direct the exercise of the voting rights attaching to, or general control of, the relevant shares for the purposes of Note 9 on the definition of “acting in concert”, la quale prevede che il Panel stabilisca se vi sia azione di concerto qualora “the terms of irrevocabile commitment give the offeror or the offeree company (as the case may be) either the right (whether conditional or absolute) to exercise or direct the exercise of the voting rights attaching to the shares or general control of them” (qualora, cioè, “i termini dell’impegno irrevocabile danno all’offerente o alla società bersaglio, a seconda dei casi, o il diritto, condizionato o assoluto, di esercitare od orientare l’esercizio dei diritti di voto inerenti alle partecipazioni o il loro generale controllo”). Come ricordato in calce al medesimo documento, i Practical Statements sono una sorta di linee guida che il Takeover Panel emana al fine di fornire indicazioni interpretative inerenti alle disposizioni del City Code on Takeovers and Mergers, ma non sono vincolanti per lo stesso Panel. Occorre ricordare anche che il comma 4-ter dell’art. 101-bis T.U.F. attribuisce alla Consob il potere di stabilire ulteriori presunzioni relative di concerto e di individuare i casi in cui la cooperazione tra più soggetti, viceversa, non configura un’azione di concerto ai sensi del quarto comma. Parallelamente, l’art. 106, comma 5, T.U.F., prevede che la Consob stabilisca con regolamento i casi in cui il superamento, anche da parte di più soggetti controllanti, delle soglie rilevanti, non comporti l’obbligo di offerta, specialmente se determinatosi in particolari contesti, riguardo ai quali il compito dell’Autorità sembra essere (solamente) quello di disciplinare le modalità di operatività dell’esenzione con riferimento ai singoli casi. La Consob era quindi giunta ad affermare che i patti parasociali strettamente funzionali ad una fusione o ad una scissione sono da ritenere parte integrante dell’operazione stessa e dunque rientranti nella fattispecie di cui all’art. 49 del Reg. Emittenti che prevede l’esenzione dall’obbligo di OPA: cfr. Comunicazione n. 2050754 del 22 luglio 2002, pubblicata in Società, 2002, 1289, che aveva determinato il superamento della più risalente Comunicazione n. 42498 del 1 giugno 2000; nello stesso senso si sono espresse ulteriori Comunicazioni dell’Autorità: v., ex multis, le nn. DEM/DCL/6085619 del 26 ottobre 2006 e DEM/9105951 del 28 dicembre 2009. In giurisprudenza, cfr. inoltre Trib. Firenze, 19 settembre 2007, in Giur. comm., 2009, II, 77. Si è ritenuto però che gli accordi che accompagnano una fusione possano beneficiare della predetta esenzione soltanto se pubblicati, non potendo la Comunicazione della Consob “invocarsi a copertura di un patto mantenuto segreto”: è l’osservazione di DESANA, Il caso SAIFondiaria: ancora tre decisioni attendendo la Cassazione, in Giur. comm., 2009, II, 134. 23 Tale scelta legislativa non ha mancato di sollevare critiche: si veda la Circolare Assonime n. 4/2010, Prime considerazioni sul decreto correttivo sull’opa (d. lgs. 25 settembre 2009, n. 146), in Riv. soc., 57 Si è detto in dottrina che le presunzioni assolute di concerto - contrariamente a quanto accade secondo la definizione generale - dispenserebbero dall’accertamento “di una cooperazione attuativa di un accordo, essendo sufficiente il riscontro della ‘situazione’ descritta”24: l’assunto è corretto se lo si intende nel senso che la realizzazione di una delle ipotesi previste dalla norma esime dalla verifica circa la sussistenza dei diversi elementi della fattispecie generale di concerto, fermo restando tuttavia che anche l’esistenza di un patto parasociale nullo in quanto occulto - lett. a) del 2010, 576, ove si legge che “la norma rischia di sanzionare anche comportamenti non necessariamente concertati”, quali i patti parasociali “di consultazione o di prelazione convenzionale, o quelli che vincolano a non superare una certa percentuale di possesso, pur quando essi lasciano i paciscenti liberi di votare come meglio credono e, quindi, anche di seguire condotte antitetiche”. Tale osservazione parte dal presupposto che l’azione concertata consista necessariamente in un coordinamento nell’esercizio del diritto di voto: a rigore, stando al dato letterale dell’art. 101-bis T.U.F., così probabilmente non è, ma la circolare dell’Assonime adombra un problema di non poco momento, vale a dire se sia possibile far scattare le conseguenze giuridiche collegate alla fattispecie del concerto anche in assenza di omogeneità di condotte in assemblea e dunque, in ultima analisi, in mancanza di effettivo esercizio del controllo. La questione, che viene sostanzialmente a coincidere con quella posta in chiusura del precedente paragrafo, verrà approfondita in seguito. Per altro verso, anche sulla scorta di quanto emerso nel capitolo precedente, non può essere condivisa l’opinione di chi ha ritenuto che i patti rilevanti ai fini del concerto debbano comunque avere la finalità di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società: BOSI, Sub art. 101-bis, in La disciplina dell’offerta pubblica di acquisto, in Le nuove leggi civ. comm., 2010, 50. In Germania non tutti gli accordi contemplati dal “nostro” art. 122 T.U.F. sono ritenuti compresi nella fattispecie del § 30, Abs. 2: innanzitutto, si tende ad escludere in generale che vi sia un’azione concertata in presenza di un mero patto di consultazione che non sfoci in un accordo sul voto (SCHNEIDER, § 22, cit., 1075; con riguardo al § 30, GAEDE, op. cit., 216) o che comunque non miri all’attuazione di una cooperazione (WEIß, op. cit., 146; SCHNEIDER, § 30, cit., 877); inoltre, si è esclusa, ad esempio, la rilevanza dei c.d. accordi di stand-still, in base ai quali i paciscenti si vincolano reciprocamente a non cedere il loro pacchetto azionario e/o a non incrementarlo, nonché quella degli accordi per l’alienazione delle partecipazioni (così SCHOCKENHOFF-SCHUMANN, op. cit., 579, i quali ritengono che tale conclusione resti ferma anche nell’ipotesi in cui l’accordo di stand-still sia accompagnato da un patto avente ad oggetto l’esercizio del voto nelle delibere riguardanti operazioni sul capitale); v. anche GAEDE, op. cit., 208 e 258-259, sul rilievo che tali accordi non attribuiscono di per sé il controllo, né lo stesso potenziale di influenza assicurato dal 30% dei diritti di voto; conf. VON BÜLOW-BÜCKER, op. cit., 698-699; SCHÜPPEN-WALZ, op. cit., 653. In senso parzialmente contrario PRASUHN (op. cit., 215-216), a cui avviso l’accordo di stand-still non è immediatamente rilevante per l’acquisto del controllo ai fini di cui al § 30, ma potrebbe diventarlo se accompagnato da un accordo per l’esercizio del voto. Viceversa, si tende generalmente ad affermare che tali tipi di accordi siano soggetti a pubblicità in quanto rilevanti nell’ambito del § 22, Abs. 2: così SCHNEIDER, § 22, cit., 1071 ss.; ancora GAEDE, op. cit., 208 e 258-259; PSAROUDAKIS, op. cit., 299, rilevando l’importanza della loro comunicazione ai fini dell’assunzione delle decisioni di investimento riguardo all’emittente. Nell’ordinamento statunitense, la lettera della Section 13(d)(1) pare considerare rilevante ogni tipo di accordo, ma ai fini del raggiungimento (anche congiunto) della soglia rilevante per la disclosure, si ha riguardo soltanto alle partecipazioni con diritto di voto (e quindi anche a quelle che si potrebbero ottenere con la conversione di nonvoting securities): sul punto BROWN et al., cit., § 2.04 [C], 2-27; nonché, nelle Corti, Hemispherx Biopharma, Inc. v. Johannesburg Consol., Inv., 533 F.3d 1351 (11th Cir. 2008). La Section 13(d)(3) e la Rule 13d-5(b)(1) della SEC, pur introducendo una limitazione, come si è visto, agli accordi che riguardano l’acquisto, la detenzione, il voto o la disposizione delle partecipazioni, hanno in realtà praticamente ricompreso tutte le tipologie di accordi tipicamente più rilevanti. Su questo punto, la giurisprudenza ha recentemente statuito che l’accordo non deve avere necessariamente ad oggetto tutte le condotte descritte da queste regole, bastandone una: “acquiring, holding, and disposing of are listed in the disjunctive” [così Roth v. Jennings, cit., 508, la quale ha precisato che l’accertamento di un concerto è necessariamente una questione di fatto]. 24 In questi termini GUIZZI-TUCCI, op. cit., 265. 58 comma 4-bis dell’art. 101-bis T.U.F. - non potrà che essere provata, quantomeno in prima battuta, sulla base del comportamento tenuto dai presunti pattisti.25 E’ soprattutto in relazione a questa prima ipotesi di azione concertata - come può accadere per la definizione generale - che si pone il cruciale problema se, ai fini della disciplina dell’OPA obbligatoria, il patto parasociale, anche nullo, riconducibile all’elenco di cui all’art 122 T.U.F., possa risultare da una mera collusione tacita, ossia dalla semplice consapevolezza e volontà di ciascuno dei paciscenti di coordinarsi reciprocamente.26 Tanto l’art. 101-bis quanto l’art. 109, comma 2, T.U.F., richiamano i patti, anche nulli, di cui all’art. 122 T.U.F., che, in base al disposto di quest’ultima norma, possono essere “in qualunque forma stipulati”. Secondo un autore, tale riferimento normativo “fa scivolare rapidamente il piano della prova dell’esistenza del patto parasociale rilevante ai fini del concerto da indici formali a indici puramente comportamentali”27: questa affermazione necessita tuttavia di un’adeguata verifica, giacché non può darsi per scontata l’idoneità di “indici puramente comportamentali”, appunto, ad integrare la fattispecie in esame. La questione è destinata naturalmente a riverberarsi sul problema dell’oggetto della prova circa l’esistenza di un patto occulto. Qualora, infatti, si propenda per la sufficienza di un coordinamento tacito ma consapevole (salvo verificare se possa essere anche occasionale28), occorrerebbe comunque distinguere - sul piano fattuale e, di riflesso, probatorio - questa fattispecie da quella del mero parallelismo inconsapevole di comportamenti tenuti da più soci, sicuramente irrilevante29. 25 Uno spunto in tal senso è fornito, nella letteratura francese, da LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 425, il quale nota che la prova dell’accordo alla base del concerto “ne peut résulter que de leur attitude convergente sur une certaine durée”. 26 Il problema era già posto in questi termini da GIUDICI, L’acquisto, cit., 491, il quale - richiamando a titolo di esempi il concorso di persone nel reato in diritto penale e le pratiche concertate nel diritto antitrust - osservava altresì in via generale come “la legge può attribuire significato giuridico alla semplice evidenza di un comportamento coordinato, cosciente e volontario, considerando irrilevante che a monte di esso vi sia o meno un accordo, espresso o tacito”. Dalle parole di questo Autore sembra tra l’altro trasparire l’idea che la collusione tacita possa essere distinta dall’accordo intervenuto tacitamente: sul punto, v. poco oltre nel testo. 27 Così SERSALE, Sub art. 109, cit., 187; l’A. aggiunge peraltro che le presunzioni di cui all’art. 101-bis T.U.F. implicano il venir meno della necessità di provare “una comune volontà concertante degli agenti” (ibidem, 193, nt. 39): quest’idea può essere condivisa, giacché il patto parasociale già integra quell’accordo, alla base della cooperazione, in cui si sostanzia la nozione di concerto; permane, tuttavia, proprio la necessità di verificare se il patto parasociale quale ipotesi presuntiva di concerto richieda o meno l’accertamento di un vero e proprio accordo. La tesi riferita riprende l’opinione di chi, in precedenza, aveva lamentato l’incoerenza dell’esclusione di condotte non costituenti un vero e proprio accordo e riteneva che “il momento veramente significativo è costituito dal comportamento parallelo”: così BASSO, op. cit., 1018. Di quest’ultima opinione era anche OPPO, Sub artt. 122-123, cit., 1140, per il quale in presenza di condotte uniformi “è giustificato ipotizzare un accordo tacito e comunque non si può lasciare aperta una così facile via all’elusione”. 28 Escludono tout-court la rilevanza di un coordinamento occasionale GUIZZI-TUCCI, op. cit., 268-269: ad avviso degli autori, invece, quello reiterato, “vale a dire o il coordinamento sempre tra i medesimi soggetti più volte in relazione ad un medesimo diritto [...] ovvero il coordinamento sempre dei medesimi azionisti in relazione a diritti diversi” può essere “considerato elemento indiziario di una prospettiva di cooperazione stabile”. Per l’esclusione dalla fattispecie dei patti parasociali di quei comportamenti solo occasionalmente convergenti, v. in precedenza anche PINNARO’, op. cit., 806. 29 La difficoltà di distinguere “tra mero parallelismo di comportamenti, che sia figlio del caso, e fattispecie di collusione tacita” è stata evidenziata da ultimo da VENTURINI, Ancora sul caso Unipol BNL, Commento a App. Venezia 12 agosto 2010 (decr.), in Società, 2010, 1502. Lo spinoso problema era 59 Prima di procedere nel tentativo di fornire una risposta a tale interrogativo, occorre rilevare peraltro che anche con riferimento all’ipotesi dell’accordo tacito qualche dubbio potrebbe residuare. Atteso che i patti parasociali anche nulli - giusta il disposto del comma 4-bis dell’art. 101-bis - rilevano solo come una delle ipotesi in cui può manifestarsi la fattispecie del concerto, si potrebbe pensare che la generale rilevanza (ai sensi del quarto comma della norma) degli accordi taciti non autorizzi a ritenere che ciò valga anche per i patti parasociali. Una simile conclusione sembrerebbe avallata, ad una prima impressione, dalla norma recata dal comma 2 dell’art. 109 T.U.F., il quale, facendo menzione di una vera e propria “stipulazione del patto”, richiede, ai fini dell’obbligo di promozione dell’OPA, che essa segua l’acquisto di azioni sul mercato da parte dei paciscenti; quest’ultimo fenomeno, che isolatamente considerato è qualificabile quale comportamento parallelo, caratterizzato nella maggior parte dei casi dalla reciproca consapevolezza dei rispettivi acquisti, non è sufficiente perché sorga l’obbligo di lanciare l’offerta, essendo altresì necessaria, appunto, anche la successiva “stipulazione del patto”.30 In realtà questo rilievo non è decisivo, perché l’acquisto di azioni sul mercato si configura quale presupposto distinto ed ulteriore - ai fini, s’intende, dell’obbligo di lancio dell’offerta pubblica di acquisto - rispetto alla stipulazione del patto parasociale31 già registrato da MONTALENTI, OPA, cit., 156; nonché, con riguardo alla disciplina codicistica, da FIORIO, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 145. La dottrina tedesca è pressoché unanime nell’escludere che la presenza di un acting in concert possa essere desunta unicamente sulla scorta di un comportamento inconsapevolmente parallelo (“unbewusste Parallelverhalten”): tra gli altri, LÖHDEFINK, op. cit., 257; PRASUHN, op. cit., 211; WEIß, op. cit., 116; GAEDE, op. cit., 218. Analog. la dottrina francese, che esclude la rilevanza “du simple parallélisme fortuit”, ma si pone il problema di distinguerlo da “une authentique concertation”: così LAPRADE, Affaire Gecina, cit., 118. 30 A meno che, naturalmente, non sia possibile individuare nei precedenti acquisti un concerto - di per sé rilevante a prescindere dall’esistenza di un vero e proprio patto parasociale - qualora risulti direttamente integrata la fattispecie di cui al comma 4 dell’art. 101 T.U.F.; ovvero, in alternativa, risulti stipulato proprio un patto parasociale avente presumibilmente ad oggetto l’acquisto di azioni. In effetti, come si vedrà, non è impedito l’accertamento in via di fatto dell’esistenza di un patto tacito risalente ad un momento precedente la sua manifestazione esteriore (o formale stipulazione), qualora quest’ultima abbia effettivamente fatto seguito agli acquisti azionari; così come, più in generale, non è impedito l’accertamento di un patto risalente ad un momento anteriore all’effettuazione degli acquisti di azioni (v. infra, § 8). 31 Certamente, l’acquisto parallelo di azioni sul mercato può avere valore indiziario (ma comunque mai di per sé decisivo) nell’ambito della prova presuntiva riguardante un patto parasociale avente ad oggetto proprio l’acquisto di azioni [lett. c) dell’art. 122, comma 5, T.U.F.]. Si noti che anche la dottrina tedesca in prevalenza esclude, nell’ambito del § 22, Abs. 2 come del § 30, Abs. 2 riguardante l’obbligo di lancio di un’offerta pubblica, la rilevanza del semplice acquisto di azioni, quand’anche abbia luogo in maniera coordinata: v. VON BÜLOW-STEPHANBLOME, op. cit., 1799; DRINKUTH, op. cit., 677, il quale prospetta l’idea che sia necessaria, successivamente, anche una cura degli interessi comuni attraverso l’esercizio dei diritti di partecipazione; analog, ma con specifico riferimento al § 30, Abs. 2, HAMANN, op. cit., 1090; SCHOCKENHOFF-SCHUMANN, op. cit., 577, che ritengono necessaria anche un’esplicita o implicita intesa sull’esercizio dei diritti amministrativi (in particolare il diritto di voto); VON BÜLOW-BÜCKER, op. cit., 699 e 715, i quali evidenziano che tale conclusione discende dalla necessità che l’intesa sia rilevante per il controllo della società ed in grado di influenzarne l’andamento in misura consistente; SCHÜPPEN-WALZ, op. cit., 653, giacché occorrerebbe anche l’esercizio coordinato dei diritti sociali orientato a conseguire il dominio della società; ancora con riferimento al § 30, GAEDE, op. cit., 207, secondo cui accordi per l’acquisto possono venire in rilievo solo se accompagnati dallo scopo di conseguire il controllo o da una contemporanea concertazione avente ad oggetto i diritti di voto (ma poi aggiunge anche che queste due ultime condizioni coincidono, essendo la seconda il presupposto della prima: ibidem, 215); analog., con particolare riguardo al § 22, PSAROUDAKIS, op. cit., 308-309, 60 e, dunque, non sembra poter incidere sulla problematica che riguarda i connotati che quest’ultimo deve assumere.32 La Consob, da parte sua, ha da tempo ritenuto che “l’atto che sostiene questa tesi rifacendosi al requisito normativo della “durevolezza”, che non sarebbe ravvisabile nell’ipotesi di un semplice acquisto privo di un’ulteriore cooperazione (analog. lo stesso autore con riguardo al § 30: ibidem, 321 ss.). Questo orientamento è peraltro conforme alla linea seguita, in giurisprudenza, dall’OLG Frankfurt a. M., 25 giugno 2004, (in ZIP, 2004, 1309 ss., nonché in NZG, 2004, 865 ss.), ove pure si è affermato anche che le parti devono cooperare con lo scopo di esercitare in maniera coordinata e continua (“koordiniert und kontinuierlich”) i diritti sociali (l’assunto si fonda, nella ricostruzione della Corte, sulla previsione dell’eccezione del caso singolo); ma è conforme anche all’impostazione adottata dall’Autorità di vigilanza dei mercati finanziari (la BaFin) nel caso Beiersdorf AG del 24 gennaio 2004 (cfr. lo Jahresbericht della BaFin del 2005). Sul punto STEINMEYER, op. cit., 523; WEIß, op. cit., 65. Più articolata, circa l’interpretazione del § 30, la posizione di RALOFF, op. cit., 157 ss., che ritiene tale norma da interpretare uniformemente a quella contenuta nel § 2, Abs. 5 WpÜG, la quale, nel dare una definizione generale dell’azione concertata, contempla alternativamente l’esercizio dei diritti di voto o l’acquisto di azioni della società; quest’ultimo tipo di intesa potrebbe dunque rilevare autonomamente, ossia a prescindere da un accordo sul voto (più espressamente, ibidem, 207), purché sia comunque raggiunta la prova circa l’esistenza di un’intesa (ibidem, 210) e circa la volontà dei pattisti di acquisire il controllo (ibidem, 231-232). Analog., con riguardo al § 30, PRASUHN, op. cit., 216, che sembra aprire agli accordi per l’acquisto di azioni in quanto “possono condurre all’acquisto del controllo”. Ancor più netta in tal senso la posizione di BORGES, Acting in Concert: Vom Schreckgespenst zur praxistauglichen Zurechnungsnorm, in ZIP, 2007, 364, il quale sostiene che il coordinamento inerente l’acquisto di azioni (se in grado di assicurare una partecipazione di controllo) rilevi sempre come indizio del fatto che gli azionisti vogliono esercitare un’influenza dominante sulle sorti della società (“ein sicheres Indiz dafür ist, dass die Beteiligten einen beherrschenden Einfluss auf die Geschicke der Gesellschaft ausüben wollen”) e pertanto fa scattare l’obbligo di offerta anche in assenza di un accordo sul voto. Più articolata la riflessione di SCHNEIDER (§ 22, cit., 1071-1072), con riferimento al § 22: ritiene infatti l’A. che ogni patto riguardante l’acquisto di azioni debba essere immediatamente pubblicizzato in nome dell’esigenza della trasparenza, anche qualora non vi sia un accordo per l’esercizio omogeneo dei diritti sociali; mentre, nell’ambito del § 30, sostiene l’A. la necessità che vi sia l’obiettivo di acquisire ed esercitare il controllo, ma non anche che i pattisti abbiano già l’intenzione di influenzare la politica societaria in una determinata direzione (§ 30, cit., 878-879). Analog. GAEDE, op. cit., 256 ss., la quale osserva che ai sensi del § 22 non è necessaria la possibilità di esercizio del controllo e ogni accordo per l’acquisto cui segua il superamento delle soglie indicate dal § 21 è soggetto all’obbligo di comunicazione, purché l’acquisto stesso sia realmente effettuato e la soglia venga oltrepassata. In Francia, l’art. L. 233-10 del code de commerce, come si è visto, comprende espressamente nella nozione di concerto gli accordi volti ad acquistare o cedere diritti di voto, purché “pour mettre en oeuvre une politique commune vis-à-vis de la société ou pour obtenir le contrôle de cette société”: la dottrina che più attentamente ha studiato questa tematica mette in evidenza che, da un lato, tale accordo inerente i “diritti di voto” è un accordo in realtà riguardante i trasferimenti di azioni (essendo i due profili inscindibili) e che, dall’altro lato - come del resto la norma lascia chiaramente intendere - occorre un’intesa ulteriore rispetto a quella immediatamente concernente l’acquisto della partecipazione: LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 182 ss. Nel Regno Unito, il Takeover Panel ha aperto alla possibile rilevanza anche dell’accordo tra il venditore e l’acquirente di partecipazioni quale ipotesi di concerto, sebbene in presenza di determinate circostanze ravvisabili in linea di massima nell’intesa per l’esercizio del controllo, magari garantito dalla somma delle partecipazioni dei soggetti coinvolti (“the Panel will be concerned to see whether in such circumstances the vendor is acting in concert with the purchaser and/or has effectively allowed the purchaser to acquire a significant degree of control over the shares retained by the vendor such that the purchaser should be treated as having acquired an interest in them [...]”: cfr. The Takeover Code, cit.). Negli Stati Uniti, nonostante, come si è visto, l’acquisto di partecipazioni possa costituire oggetto dell’accordo tra i concertisti, la Rule 13d-5(b)(2) della SEC precisa anche che non si ha la formazione di un “gruppo” se più soggetti acquistano in maniera coordinata azioni al di fuori di un’offerta pubblica e senza lo scopo di cambiare o influenzare il controllo, né di incidere sulla società se non proprio al (solo) fine di facilitare l’operazione complessiva di acquisto. Nella nostra letteratura, v. BIANCHI, op. cit., 442, il quale ha escluso che il voto convergente in assemblea in seguito all’effettuazione degli acquisti possa di per sé far desumere l’esistenza di un concerto. 32 In tal senso Trib. Belluno, 23 gennaio 2010 (ord.), in Giur. comm., 2011, II, 1490 ss., secondo cui l’acquisto di azioni “di per sé rappresenta un ‘atto neutro’, che trova comprensibili giustificazioni senza per questo assumere il significato di un ‘inizio di esecuzione’ del patto, del quale certamente non 61 nullo deve comunque avere caratteristiche tali da poter essere considerato un patto ex art. 122”33: tale precisazione, però, pare voler soprattutto richiamare la necessità di marcare opportunamente i confini tra le ipotesi di nullità e quelle di inesistenza e non già escludere la generale rilevanza dei patti parasociali conclusi tacitamente. In direzione contraria, del resto, milita la lettera dello stesso art. 122 T.U.F., il quale sembra sì richiedere che i patti siano effettivamente “stipulati”, ma ammette che ciò possa ben avvenire “in qualsiasi forma”.34 E’ vero che “un patto anche nullo esiste quando vi sia un qualche accordo tra le parti (e si può dire, con la giurisprudenza e la prevalente dottrina: un qualche accordo socialmente riconoscibile) su un rapporto patrimoniale”35: proprio la giurisprudenza, infatti, ha riconosciuto che occorre “un accordo socialmente riconoscibile” e la “percepibilità oggettiva della ‘vincolatività’ dell’accordo per le parti, indipendentemente dalla giuridica validità e dalla stessa efficacia dell’obbligo”. 36 Ciò non toglie, però, che esso possa perfezionarsi anche oralmente o per facta concludentia, sì come ammesso dagli artt. 2341-bis c.c. e 122 T.U.F., che conferiscono rilievo, costituisce un indice assoluto ed univoco.” Il problema della rilevanza dell’acquisto di azioni è emerso anche nell’ambito del noto caso della scalata ad Antonveneta, nel quale la Consob ebbe ad accertare con la Delibera n. 15029 del 10 maggio 2005 “un patto parasociale avente ad oggetto l’acquisizione concertata di BAPV e l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla Banca stessa per il quale non sono stati adempiuti gli obblighi di cui all’art. 122 del d. lgs. n. 58 del 1998”. L’Autorità ravvisò l’esistenza di siffatto patto sulla base di una serie di indizi che avevano accompagnato la fase di rastrellamento delle azioni di Antonveneta: era accaduto, in particolare, che una serie di finanziamenti anomali per le loro caratteristiche erano stati concessi da BPI ad una serie di soggetti (anche correntisti della Banca), i quali, con il denaro ricevuto, avevano acquistato azioni di Antonveneta prima di “riversarle” ad ulteriori soggetti nell’imminenza dell’assemblea del 30 aprile 2005, in cui questi ultimi avevano poi votato in conformità al progetto portato avanti da BPI e a favore della lista di amministratori da questa presentata. Tutta la nota vicenda è ben ricostruita anche dalla sentenza penale pronunciata dal Tribunale di Milano in data 28 maggio 2011, inedita ma consultabile su www.penalecontemporaneo.it. 33 Così la Comunicazione del 12 ottobre 2000, n. 75252. 34 Proprio questo inciso, secondo alcuni, “deve essere letto quale affermazione dell’irrilevanza della forma e dello schema giuridico utilizzati dagli aderenti”: così FIORIO, Nota ad App. Milano, cit., 1876. Anche nell’ordinamento francese non vi sono dubbi sul fatto che l’accordo rilevante ai fini del concerto può essere (oltre che verbale) anche tacito: v. LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 423, il quale aggiunge che “la seule condition est que l’accord existe et qu’il révèle une entente concertée et volontaire”. Nella dottrina tedesca, v. PSAROUDAKIS, op. cit., 289, il quale rileva che il rispetto di forme particolari nella conclusione dell’intesa non è necessario, ma che “fallen mündlich oder stillschweigend geschlossene Vereinbarungen ebenfalls in das Anwendugsfeld dieser Regelung” (“ricadono nel campo di applicazione della regola pure le intese concluse oralmente o tacitamente”). Ancor più espressamente LÖHDEFINK, op. cit., 258: “Diese Übereinkunft kann in Form einer bindenden Vereinbarung, schriftlich oder mündlich, oder rechtlich unverbindlich, ausdrücklich oder auch konkludent getroffen werden” (“Questo accordo può essere raggiunto nella forma di un’intesa vincolante, per iscritto o oralmente, o giuridicamente non vincolante, espressamente o anche per fatti concludenti”). Anche PRASUHN, op. cit., 212, ritiene possa bastare una fusione delle volontà intervenuta per fatti concludenti (“konkludente Willenseinigung”). Per un’analoga conclusione nell’ordinamento americano, cfr. nella giurisprudenza SEC v. Savoy Industries, Inc., 587 F.2d 1149, 1163 (D. C. Cir. 1978); Wellman v. Dickinson, 475 F. Supp. 783 (S.D.N.Y. 1979), per l’affermazione che un accordo scritto o formale non è necessario, bastando una semplice intesa (“understanding”); più di recente, Roth v. Jennings, cit. In dottrina, per tutti, LEVY, op. cit., 5-18; CHOI-PRITCHARD, Securities Regulation: Cases and Analysis, New York, 2008, 763. 35 Il virgolettato è di GIUDICI, L’acquisto, cit., 501. 36 Cfr. App. Genova, 19 dicembre 2009, in Società, 2010, 589 e anche in www.consob.it; sulla rilevanza dei patti conclusi anche oralmente o tacitamente (e, dunque, per fatti concludenti), si vedano anche App. Bologna, 26 gennaio 2010, cit.; nonché già App. Milano, 28 febbraio 2003 (decr.), pubblicata in Giur. it., 2003, III, 1875 ss. 62 appunto, ai “patti in qualunque forma stipulati”.37 Proprio i “fatti concludenti”, del resto, possono rappresentare quel fattore idoneo a rendere comunque l’accordo “socialmente riconoscibile” e fenomenicamente percepibile. In ogni caso, la soluzione prospettata è di certo maggiormente coerente con l’esigenza di evitare condotte elusive in una materia nella quale l’interesse del mercato alla più ampia trasparenza e correttezza dei comportamenti degli operatori necessita della più convinta protezione.38 Ciò detto, bisogna riconoscere che è invece estremamente difficoltoso distinguere, sul piano pratico, le ipotesi di (vero e proprio) accordo tacito - intervenuto, cioè, a mezzo di fatti concludenti - da quelle di (semplice) collusione tacita (data dalla coscienza e volontà degli azionisti di coordinamento - ossia di allineamento - del proprio comportamento a quello altrui).39 Nondimeno, oltre che sul piano concettuale, anche dal punto di vista pratico è possibile affermare che la semplice consapevolezza e volontà da parte di un azionista di conformare la propria condotta a quella tenuta da altri possa distinguersi da un vero e proprio accordo, per quanto tacito, il quale potrebbe apprezzarsi per l’ulteriore elemento dato dall’esistenza di un’intesa (implicita, ma verosimilmente basata su una qualche forma di comunicazione) in virtù della quale gli agenti attribuiscano ciascuno alla condotta degli altri un significato univoco, tale da ingenerare una reciproca aspettativa sui rispettivi futuri comportamenti.40 37 Conf., in dottrina, MELILLO, L’OPA obbligatoria da “concerto occulto” e la manipolazione del mercato nella disciplina del Market Abuse, in Dir. econ. ass., 2011, 135; SERSALE, Sub art. 109, cit., 194 (testo e nt. 46), secondo il quale è necessario (come, del resto, con riguardo alla definizione generale di concerto) “che vi sia stato un vero e proprio accordo - per quanto tacito o segreto - tra le parti”. Analog. TUCCI, Patti parasociali, cit., 197-198, il quale sottolinea l’insufficienza della “mera condotta ‘convergente’ di due o più soci” (corsivo aggiunto) e ribadisce la necessità di verificare che sia stato effettivamente concluso un contratto, “pur in assenza di una ‘formale stipulazione’”. Più prudente BLANDINI, Società quotate, cit., 350: l’A. non ritiene di giungere ad una generale conclusione sul punto, ma giudica “doveroso, invece, un esame specifico del singolo caso concreto”. Da un punto di vista sistematico, la soluzione ritenuta preferibile nel testo si pone in linea con la disciplina contenuta nel T.U.B. (cfr. cap. I): come si è visto, tanto l’art. 20, comma 2, quanto l’art. 22, comma 1-bis, T.U.B., attribuiscono espressamente rilievo agli accordi “in qualsiasi forma conclusi” ed analoga conclusione deve valere anche per gli accordi da cui scaturisce l’esercizio del controllo di cui all’art. 23 T.U.B. Sul punto, v. ROSA, op. cit., 191, la quale, con specifico riferimento all’art. 20, comma 2, T.U.B., ammette che esso riguarda “anche semplici intese, non obbligatoriamente scritte”. 38 La rilevanza dei patti stipulati per fatti concludenti è ammessa anche da MACRI’, Patti parasociali, cit., 68, il quale riconosce la necessità di provarne l’implicita stipulazione “sulla base del comportamento concludente delle parti.” E v. nella giurisprudenza, espressamente, la pronuncia della Corte d’Appello di Milano del 13 giugno 2012 sul “caso Unipol”, p. 48 (rinvenibile sul sito www.penalecontemporaneo.it). 39 Sul punto, v. anche GIUDICI, L’acquisto, cit., 491. 40 Sia con riferimento all’insorgenza dell’obbligo di lancio di un’OPA che alla fattispecie in tema di pubblicità, diversi autori tedeschi hanno affermato che l’imputazione delle partecipazioni presuppone una condotta consapevolmente coordinata a livello comunicativo, ossia che l’intesa deve trovare origine in una qualche forma di comunicazione: cfr. DRINKUTH, op. cit., 676; GAEDE, op. cit., 218 (“es eines kommunikativen Prozesses bedarf”, ossia “c’è bisogno di un processo comunicativo”, senza che però esso debba a tutti i costi consistere in una comunicazione espressa). Così anche WEIß, op. cit., 115-116; HAMANN, op. cit., 1092, ove si precisa che deve essere ravvisata una qualche forma di comunicazione, che conduce ad un’intesa a sua volta orientata ad un agire comune. Si vedano anche SCHOCKENHOFFSCHUMANN, op. cit., 583, i quali, rilevando la necessità che gli interessati cooperino consapevolmente con lo scopo di esercitare in modo omogeneo i loro diritti partecipativi, traggono la conclusione che sia imprescindibile un reciproco contatto (“gegenseitiger Kontakt”), nella forma di un processo comunicativo che non si esaurisca nel mero scambio di informazioni (“ist für die Stimmrechtzurechnung jedoch ein kommunikativer Vorgang unverzichtbar, der sich nicht im bloßen Informationsaustausch erschöpfen 63 Si potrebbe essere tentati di obiettare che la distinzione assume un sapore eminentemente teorico e che, dunque, non sarebbe possibile attribuirle valore dal punto di vista della realtà fattuale, atteso che la prova presuntiva dell’esistenza di un patto intervenuto tacitamente si fonderebbe pur sempre sul comportamento uniforme dei suoi presunti aderenti: si è rilevato infatti che “l’accordo esplicito, quello tacito e, in certe situazioni, la collusione sono indistinguibili dall’esterno” 41. Il problema, tuttavia, consiste proprio nel dare la corretta valenza ai comportamenti paralleli percepibili nella realtà.42 Pertanto - dopo aver ammesso la possibilità di attribuire rilevanza ad un patto parasociale intervenuto per facta concludentia - nella prospettiva di garantire la più ampia tutela agli interessi sottesi alle norme in commento, pare d’obbligo aprire cautamente la porta della fattispecie del patto parasociale anche ai comportamenti paralleli che, empiricamente, si mostrino idonei a determinare un risultato equivalente (in termini, si intende, di rafforzamento della posizione degli agenti all’interno dell’organizzazione sociale) a quello cui condurrebbe - a parità di condizioni - un vero e proprio accordo (espresso o tacito).43 Tale risultato equivalente sembra poter essere garantito proprio in virtù del sorgere di una reciproca aspettativa che consenta a ciascuno dei presunti pattisti di riporre un fondato affidamento sulla futura condotta degli altri44: si pensi, ad esempio, all’omogeneità del comportamento assembleare - in darf”). Gli stessi A. avvertono opportunamente che il mero scambio di informazioni non dovrebbe essere di per sé sufficiente, al fine di non correre il rischio di atrofizzare, se non addirittura impedire, la comunicazione tra gli azionisti (ibidem, 585). Conf. RALOFF, op. cit., 189, che parla di “bewussten kommunikativen Prozess” (“processo comunicativo consapevole”), senza che sia sufficiente il mero scambio di informazioni (ibidem, 195) e aggiunge che l’oggetto dell’intesa, all’atto della comunicazione, deve essere sufficientemente determinato o determinabile (ibidem, 190). Analog. PSAROUDAKIS, op. cit., 290, che, oltre a rilevare l’insufficienza del mero scambio di informazioni o di opinioni, afferma che la condotta comunicativa deve mostrarsi di una certa intensità al fine di dare vita ad un legame tra i soggetti coinvolti. Sul punto anche PRASUHN, op. cit., 214. Sembra invece sbiadire la necessità di un procedimento comunicativo nelle parole di SCHNEIDER (§ 22, cit., 1068), il quale, con specifico riferimento al § 22, precisa essere necessaria “ein bewusst praktiziertes Zusammenwirken” (ossia, potremmo tradurre letteralmente, una “cooperazione consapevolmente praticata”), mentre la condotta inconsapevolmente omogenea non basta, nemmeno a fondare semplicemente l’ipotesi presuntiva dell’esistenza di un coordinamento; lo stesso concetto è formulato dall’A. in § 30, cit., 877. 41 Così GIUDICI, L’acquisto, cit., 502. Anche MONTALENTI, OPA, cit., 156, si chiedeva quale dovesse essere il criterio per distinguere “comportamenti sociali casualmente convergenti, ancorché ripetuti, da comportamenti tali da dover da essi evincere l’esistenza di un accordo”. 42 Come anche la dottrina tedesca ha ben presente, non può infatti certo bastare il semplice sospetto dell’esistenza di un’intesa a far scattare l’obbligo di OPA, in quanto insufficiente ad integrare la fattispecie di cui al § 30, Abs. 2: v. SCHOCKENHOFF-SCHUMANN, op. cit., 584; sull’insufficienza di meri elementi di sospetto, v. anche VON BÜLOW-BÜCKER, op. cit., 702. 43 Un simile rilievo è emerso anche nella letteratura tedesca: v. WEIß, op. cit., 121, ove si osserva che nel caso di condotte non fondate su una vera e propria intesa (“Abstimmung in sonstiger weise”, nel linguaggio delle più volte citate norme), gli effetti devono corrispondere a quelli di una vera e propria intesa (“in ihren Wirkungen einer Abstimmung durch eine Vereinbarung entsprechen”). 44 Anche in Germania diversi autori hanno fatto leva su tale concetto di aspettativa: cfr. SCHOCKENHOFF-SCHUMANN, op. cit., 586, ove si è efficacemente rilevato che “ist deshalb erforderlich, dass jeder Beteiligte seine Absichten dem anderen gegenüber bewusst zu erkennen gibt und dass beide Beteiligten, jedenfalls im Sinne eines ‘Gentlemen’s Agreement’ objektiv davon ausgehen können und subjektiv auch davon ausgehen, dass die jeweils andere Seite in Kenntnis und mit Rücksicht auf die übereinstimmenden Absichten Handeln werde” (ossia, è necessario che ogni parte faccia capire all’altra le proprie intenzioni e che entrambe, quantomeno nel quadro di un gentlemen’s agreement, possano partire dal presupposto che ciascuna agirà nella consapevolezza e con riguardo alle concordate 64 punto di esercizio del diritto di voto - tenuto ripetutamente da più azionisti con riferimento ad un certo tipo di delibere, tale da mostrare la loro predilezione per un certo tipo di politica societaria (con riferimento ad un determinato settore di attività, a particolari scelte di investimento ecc.).45 E’ proprio tale aspettativa che può essere equiparata ad un vero e proprio accordo (sebbene tacito) e può quindi essere ritenuta sufficiente a segnalarne la presenza: naturalmente, anch’essa non può che essere ravvisata sulla scorta di un procedimento inferenziale basato sull’osservazione della realtà, ma tanto basta per ribadire la necessità che il comportamento uniforme dei presunti pattisti sia in concreto sempre accompagnato da ulteriori elementi indiziari affinché si possa pervenire alla conclusione circa l’esistenza di un patto parasociale.46 intenzioni). In questi stessi termini RALOFF, op. cit., 191, la quale osserva anche che gli azionisti interessati devono avere la consapevolezza che al loro comportamento può essere attribuito da ciascuno degli altri un determinato valore, un significato univoco (“beiden Beteiligten muss bewusst sein, dass ihrem Verhalten für den jeweils anderen Beteiligten ein Erklärungswert zukommt”) (ibidem, 189). Simile la posizione di LÖHDEFINK, op. cit., 259, il quale peraltro ha cura di ribadire l’irrilevanza di un’aspettativa che non sia il frutto di una comunicazione, come del resto accade nel diritto della concorrenza: “Damit scheiden [...] die Erwartung eines bestimmten Verhalten ohne Kommunikation als abgestimmte Verhaltensweisen wie im Kartellrecht aus”. Sul punto, sempre in chiave comparatistica, è interessante la sentenza pronunciata in Nuova Zelanda dalla New Zealand Court of Appeal del 4 novembre 2003, pubblicata anche in Dir. comm. int., 2006, 417 ss. con nota di DIALTI, Equity swaps ed obblighi di disclosure (ibidem, 428 ss.). Per un’analisi della vicenda v. anche LUPOI, L’interposizione finanziaria, Milano, 2008, 123 ss. Il caso riguardava la stipula da parte di una società, Perry Corporation, di due contratti di equity swap con due banche, aventi ad oggetto azioni di una diversa società, Rubicon. La Corte aveva dovuto stabilire se le modalità con cui l’operazione risultava congegnata integrassero altresì la fattispecie di arrangement o understanding, resi oggetto di un obbligo di disclosure (purché concernenti il diritto di voto) dalla section 5 (1) (f) del Securities Markets Act. Ebbene, la Corte rilevava che queste due nozioni “describe something less than a formal contract” e che, tuttavia, è necessario un vero e proprio incontro di volontà (a “meeting of minds”), il quale può anche derivare da una “expectation as to future conduct, meaning that there is consensus as to what is to be done. This necessarily involves communication. The communication does not, however, need to be formal or even verbal”. In sostanza, l’incontro di volontà necessario per poter ravvisare un accordo sul voto soggetto all’obbligo di disclosure può anche derivare da una sorta di aspettativa reciproca, purché a sua volta fondata su una qualche forma di comunicazione, ma non necessariamente formale o verbale. 45 Una considerazione simile è quella fatta da SCHNEIDER, § 22, cit., 1074, secondo il quale un elemento indicativo di una strategia comune - soltanto nell’ottica della quale, cioè, esso acquisterebbe significato - sarebbe la condotta consapevolmente omogenea tenuta da più azionisti rispetto a più punti dell’ordine del giorno (“in mehreren Tagesordnungspunkten”). 46 Conforme pare l’affermazione MOSCA, Comportamenti, cit., 462, la quale osserva che il comportamento posto in essere di concerto può costituire solo un indizio “dell’esistenza di un patto nullo”. La conclusione raggiunta è altresì coerente con quella che emerge nella dottrina tedesca, sia con riferimento agli obblighi pubblicitari che a quello di OPA: il comportamento parallelo egualmente orientato ma non concordato non può condurre alla reciproca imputazione delle partecipazioni, né può bastare il semplice sospetto di un coordinamento di comportamenti, nonostante le difficoltà poste dalla relativa prova: così VON BÜLOW-STEPHANBLOME, op. cit., 1800. Conf. STEINMEYER, op. cit., 524; LÖHDEFINK, op. cit., 256-257, il quale afferma che un comportamento egualmente orientato ma senza un’intesa, ossia senza comunicazione, non basta, essendo necessario un processo comunicativo che conduca ad un accordo quantomeno implicito (“zu einer stillschweigenden Übereinkunft”); HAMANN, op. cit., 1092, ove si chiarisce che “das zwar bewusste, aber nicht kommunizierte Parallelverhalten schon mangeln Interaktion kein Fall abgestimmten Verhaltens sein kann” (ossia, il parallelismo di comportamenti consapevole ma non accompagnato da una qualche comunicazione, proprio per mancanza di vera e propria interazione non può essere considerato un caso di comportamento coordinato rilevante per il § 30, Abs. 2); prosegue l’A. (ibidem, 1093) notando che, a differenza del diritto della concorrenza ove il parallelismo di comportamenti rileva come indizio (potenzialmente sufficiente) - nella fattispecie in questione deve sempre avere luogo un’intesa consapevolmente raggiunta (e dunque devono essere ravvisati elementi ulteriori rispetto alla condotta omogenea). Si veda inoltre PRASUHN, op. cit., 210 ss., 65 E’ opportuno aggiungere che quanto detto vale in ogni caso in cui si rende necessaria la prova dell’esistenza di un patto parasociale, tanto ai fini dell’applicazione delle sanzioni conseguenti all’omessa pubblicità, quanto, naturalmente, nell’ambito della disciplina dell’offerta pubblica di acquisto obbligatoria. Con una precisazione: come si è visto, mentre la disciplina codicistica richiede anche che i patti siano volti a “stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società”, tale requisito non è richiesto dall’art. 122 T.U.F., che esclude l’applicabilità degli artt. 2341-bis e 2341-ter c.c.. Rimane da chiedersi cosa accada sotto questo profilo nel microsistema normativo delineato dal combinato disposto degli artt. 101-bis e 109 T.U.F., in connessione con gli artt. 106 e 108 T.U.F.; se, cioè, in tale contesto sia altresì necessario fornire la prova che l’accordo - concluso magari tacitamente - sia “volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società” o a contrastare il successo di un’offerta pubblica: a questo interrogativo verrà fornita una risposta nel prosieguo dell’indagine. Per il momento, basti osservare che la conclusione circa la possibile valenza di quelli che si sono definiti “comportamenti paralleli” - seppure alle condizioni testé illustrate - e, dunque, la loro potenziale riconducibilità (per quanto in via presuntiva) alla figura dei patti parasociali, sembra essere corroborata da due ulteriori ordini di argomenti: (i) il primo muove dalla semplice osservazione del dato normativo, e consiste nel fatto che se (come dispone inequivocabilmente l’art. 101-bis T.U.F.) dall’esistenza di un patto parasociale anche nullo la legge presume la sussistenza di un’azione concertata, ciò significa che la prima fattispecie non può essere di estensione minore rispetto alla seconda e, pertanto, con riferimento ad essa non deve risultare più difficoltoso l’assolvimento dell’onere probatorio inerente al suo accertamento; (ii) in secondo luogo, si è più volte notato in letteratura che ai fini di cui all’art. 109 T.U.F. - attesa l’irrilevanza del profilo della che mostra essere necessaria e sufficiente una “cooperazione consapevole (“bewußt Zusammenwirken”), ma poi aggiunge che tale consapevolezza debba comunque derivare da una comunicazione, non necessariamente orale o scritta, potendo anche trattarsi di una “konkludente Kommunikation” (posizione praticamente coincidente con quella di LÖHDEFINK, op. cit., 258: anch’egli parla di “bewußten Zusammenwirken” e, come si è visto poc’anzi, ritiene sufficiente che esso sia accompagnato da un’intesa intervenuta anche per fatti concludenti). Nell’analisi del § 30, SCHÜPPEN-WALZ, op. cit., 651, evocano la necessità dell’elemento soggettivo dell’intesa, che deve essere consapevolmente e volutamente stabilita. Posizione netta è quella assunta da RALOFF, op. cit., 193, la quale evidenzia che non basta il comportamento parallelo, né inconsapevole né consapevole, ed afferma esplicitamente (ibidem, 194) che esso “può in determinate circostanze fondare o rafforzare il sospetto di un’intesa. Un tale sospetto [...] non esonera tuttavia gli interessati dalla necessità di provare una vera e propria intesa” (“Ein einheitliches Abstimmungsverhalten mag zwar unter bestimmten Umstanden den Verdacht einer Absprache begründen oder verstärken. Ein solcher Verdacht [...] befreit somit nicht von der Notwendigkeit, den Beteiligten eine Abstimmung nachzuweisen”). Anche nella letteratura francese viene espresso il concetto secondo cui il parallelismo di comportamenti non basta a caratterizzare il concerto, essendo necessaria, come ritenuto dall’Autorità dei mercati finanziari (AMF), una “démarche collective organisée tendant à la poursuite d’une finalité commune” (“azione collettiva organizzata tendente al perseguimento di una comune finalità”): così LE CANNU, Les silences d’un concert espagnol, Note sous Cour d’appel de Paris, 1re ch., sect. H, 2 avril 2008, SA Sacyr Vallehermoso et autre c/SA Eiffage, in Revue des sociétés, 2008, 394 ss., 404, il quale precisa che, pertanto, è necessaria la volontà degli agenti di operare di concerto. Aggiunge ancora l’A. che “on peut avoir la même analyse du marché sans pout autant se mettre d’accord” (“si può avere una medesima lettura del mercato senza tuttavia mettersi d’accordo”, pur agendo appunto allo stesso modo). Conf. LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 434, il quale osserva che pur non bastando “le simple parallélisme de comportements”, essi “pouvent en constituer un indice sérieux d’action de concert”, dovendo però essere necessario anche l’elemento soggettivo (“l’élément intentionnel”). 66 validità dei patti parasociali, i quali, appunto, possono essere anche nulli - gli stessi sono concepiti dalla norma quali (meri) fatti giuridici piuttosto che come veri e propri contratti47: da questo angolo visuale, l’attenzione deve soffermarsi sull’omogeneità di determinate condotte e sugli effetti concretamente e praticamente derivanti dall’agire comune. Quello appena enunciato sembra essere il criterio più idoneo a garantire la corretta applicazione della disciplina in esame e, al contempo, per operare un’adeguata analisi della “realtà fenomenica”; in altre parole, si potrebbe dire che l’osservazione di condotte uniformi poste in essere da più azionisti (tanto più ove appaiano in grado di determinare un’influenza dominante dei medesimi sulla società) possa essere idonea a far presumere l’esistenza di un patto parasociale occulto, dal quale, a sua volta, la legge fa derivare l’esistenza di un’azione concertata (art. 101-bis, comma 4-bis T.U.F.), che come si è visto postula necessariamente la sussistenza di un accordo. Con la precisazione, naturalmente, che i comportamenti uniformi dovranno essere accompagnati da elementi indiziari ulteriori.48 Tale conclusione pare quella 47 In questi termini, espressamente, GUIZZI-TUCCI, op. cit., 265; MONTALENTI, OPA, cit., 155; CHIAPPETTA, op. cit., 1010-1011; ATELLI, op. cit., 671. V. anche GIUDICI, L’acquisto, cit., 499, il quale richiamava altresì il concetto di “pratica facilitante”, intesa come meccanismo di rafforzamento degli interessi comuni dei paciscenti, possibile a prescindere dalla giuridica vincolatività dell’accordo. Con riferimento alla normativa bancaria, analoga considerazione è espressa da MOTTI, Sub artt. 20-21, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Belli, G. Contento, A. Patroni Griffi, M. Porzio, V. Santoro, Bologna, 2003, v. I, 320, la quale osserva che rilevano ai fini dell’obbligo di comunicazione alla Banca d’Italia di cui all’art. 20, comma 2, T.U.B., anche “gli accordi nulli per inosservanza degli obblighi di cui all’art. 122 T.U.F. o per qualsiasi altra causa”. La distinzione tra la problematica del patto “come prova, presuntiva di un fatto giuridico” e quella della validità dello stesso “quale contratto” era già messa in evidenza da GALGANO, Il paradosso dei sindacati di voto, in Contr. e impr, 1995, 65-66; sul punto anche SBISA’, Il definitivo riconoscimento dei patti parasociali nell’attuale legislazione, ibidem, 71. Posizione diversa aveva assunto in passato COSTI, Il problema della validità dei sindacati di voto alla luce della legislazione più recente, in Sindacati di voto e sindacati di blocco, a cura di F. Bonelli e P. G. Jaeger, Milano, 1993, 45 ss.: l’A., anche se con specifico riferimento al fenomeno del controllo da sindacato, affermava comunque in termini generali che la presa in considerazione da parte del legislatore del “contratto-sindacato di voto per ricollegare allo stesso degli effetti” presupponga “un giudizio di compatibilità in linea di principio di tale contratto con l’ordinamento”. Un concetto analogo a quello espresso nel testo è presente nella dottrina tedesca: si vedano, con riferimento al § 30, SCHÜPPEN-WALZ, op. cit., 652, i quali hanno rilevato che per l’integrazione dei requisiti della fattispecie non è necessario un contratto efficace secondo le regole del diritto civile; RALOFF, op. cit., 203, la quale precisa che contratti inefficaci sono soggetti alla disposizione non tanto come intese (“Vereinbarungen”), quanto come coordinamento di tipo ulteriore (“Abstimmung in sonstiger Weise”). Ancor più esplicitamente PSAROUDAKIS, op. cit., 288, il quale osserva che in nessun caso le norme in esame presuppongono l’effetto giuridico derivante dalla conclusione di un vero e proprio contratto (“keinesfalls darf nämlich Rechtswirkung, also die Schlieβung eines Vertrags, vorausgesetzt werden”). Nella dottrina francese, v. LE CANNU, Les silences, cit., 404; LAPRADE, Affaire Gecina, cit., 118, il quale precisa però che l’azione di concerto deve essere mantenuta nell’ambito contrattuale, dal momento che l’art. L. 233-10 del code de commerce “la désigne comme la situation de fait qui résulte de la conclusion d’un accord”. Non diversa sembra l’impostazione espressa ancor prima da SCHMIDT-BAJ, Réflexions sur la notion d’action de concert, in Droit bancaire, 1991, 87 ss., i quali opinavano che “l’accord est la condition nécessaire de l’action concertée et non simplement son révélateur”. Tale riflessione può essere recepita anche con riferimento al nostro ordinamento, dal momento che, come già si è detto, occorre pur sempre l’accertamento dell’esistenza di un accordo. 48 Così, espressamente, anche ROMAGNOLI, Diritti dell’investitore, cit., 185-186, il quale ha osservato che “se pur non è possibile trarre l’esistenza di un acquisto di concerto dalla condotta di più soggetti che compiono scelte parallele o votano in modo uniforme in più assemblee sociali, quel dato potrà essere uno degli elementi che valutato unitamente ad altri indizi conduce alla dimostrazione di un patto”: dove gli altri indizi, in base a quanto sostenuto nel testo, dovranno consistere eminentemente negli effetti di 67 maggiormente in grado di raggiungere un punto di equilibrio tra l’esigenza di non imputare con troppa leggerezza ai presunti pattisti conseguenze giuridiche indubbiamente gravose e, dall’altra parte, quella di non rendere troppo difficoltoso il percorso probatorio volto a far emergere l’esistenza dell’accordo.49 A tale ultimo proposito, vale la pena richiamare le parole di un illustre civilista, il quale avverte che “se i paciscenti non vogliono che si sappia dell’esistenza del patto e lo stipulano deliberatamente in modo riservato, o al limite non stipulano alcun accordo, ma tengono quello che nella legislazione antitrust si chiamano le prassi concordate - e quindi si comportano in coerenza ad un ipotetico accordo che però non risulta da nessuna parte la possibilità di offrire la prova dell’esistenza del patto e quindi di un concerto considerato illecito - perché non reso trasparente da una adeguata pubblicitàcomunicazione, le possibilità di scoperta dell’esistenza di questo patto, della vigenza di questo patto, sembrano piuttosto remote”50. Un’ultima riflessione, di ordine sistematico, risulta qui opportuna: con riferimento alla disciplina dettata in materia bancaria, si è negata la rilevanza del mero “conscious parallelism”, sulla base del rilievo che l’obbligo di comunicazione degli accordi sul voto di cui all’art. 20, comma 2, T.U.B. (con la correlativa eventuale sanzione) è posto anche a carico di soggetti estranei ai medesimi, vale a dire il rappresentante legale della banca o della società controllante cui il patto si riferisce, “dai quali non si può evidentemente pretendere di scrutinare il contegno in assemblea” 51 dei presunti pattisti. Tale ultima considerazione può valere anche alla luce delle discipline contenute nel codice civile e nel T.U.F., come del resto è emerso anche dall’indagine condotta nel capitolo precedente con riferimento ai poteri degli organi sociali in materia52; non sembra, viceversa, che essa sia spendibile con riferimento alla tematica siffatte condotte. Il problema della portata assunta dal controllo e dunque dall’influenza dominante eventualmente esercitati dai pattisti verrà approfondito infra. Conf, nella dottrina tedesca, WEISS, op. cit., 128, ove si afferma che quanto più di frequente i soci cooperano e quanto più rilevante per il controllo risulta tale convergenza, tanto più ciò suggerirà l’ipotesi di un collegamento tra le singole condotte e quindi della sussistenza di un sodalizio tra gli azionisti (“eines Gesellschafterblocks”). Occorre infatti ribadire come sia in ogni caso “doveroso [...] un esame specifico del singolo caso concreto, al fine di evidenziare se, in base ai principi ordinari in materia di prova, sia possibile ritenere che, nella ipotesi concreta, un patto parasociale è stato comunque stipulato”: così BLANDINI, Sul requisito di forma, cit., 59-60; v. anche ID., Società quotate, cit., 350. Questa esigenza non è sfuggita alla Consob: cfr. Delibera n. 17535 del 19 ottobre 2010, in Bollettino Consob 10.2/2010, pubblicata anche in Società, 2010, 1530: il voto convergente di due azionisti in occasione dell’assemblea per l’elezione dell’organo amministrativo è stata considerata elemento idoneo a far emergere un patto parasociale occulto (soltanto) in quanto tra i due soci sussistevano anche “da tempo rapporti di carattere contrattuale e societario relativi alla loro partecipazione”. La dottrina francese ha ben messo in evidenza che è l’esigenza di adeguata protezione delle persone sospettate di agire di concerto a determinare l’esigenza che si raccolgano indizi convincenti (“collectionner des indices convaincants”): LE CANNU, Les silences, cit., 404. 49 Detto altrimenti, come rilevato dallo UK Takeover Panel (Response, cit., 3), si tratta di operare il giusto bilanciamento “between allowing shareholders to co-operate for normal corporate governance purposes and providing protection in the case of a change of control of the company” (ossia, “tra il permettere agli azionisti di collaborare in vista di normali obiettivi di governo ocietario e il fornire una tutela nel caso di cambiamento del controllo della società”). 50 Sono parole di SCHLESINGER, La disciplina, cit., 195-196. 51 Per tale opinione, cfr. MOTTI, op. cit., 320 (nt. 28). 52 Ad una diversa conclusione può forse condurre l’analisi di FIORIO, I patti parasociali, cit., 85 (nt. 64), il quale ritiene che l’art. 123 T.U.F., che obbliga a dare notizia dei patti nella relazione sulla gestione, 68 della prova della sussistenza di un patto parasociale (tanto più nella disciplina sulle offerte pubbliche di acquisto), giacché altro è negare il potere (e a maggior ragione l’obbligo) degli organi sociali di procedere alla pubblicizzazione di presunti patti in presenza (solamente) di semplici condotte uniformi, altro ammettere - come pare corretto - che queste ultime possano dare corpo e fondamento (per quanto in presenza di altri elementi indiziari e dunque non in via esclusiva) alla prova circa l’esistenza di un patto parasociale occulto. 4. Il fenomeno del controllo nella nozione di azione concertata: ammissibilità di una prova liberatoria. Sebbene, come già argomentato, la finalità - sottesa al patto parasociale - di stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo societario non appaia necessaria affinché trovi applicazione il regime pubblicitario di cui all’art. 122 T.U.F., occorre rilevare che le norme in materia di offerta pubblica di acquisto non sembrano trascurare del tutto questo elemento allorché prevedono che l’azione di concerto presupponga un accordo “volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società emittente o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio” (art. 101-bis, quarto comma).53 Per la verità, si potrebbe subito osservare comporti l’obbligo degli amministratori, che siano a conoscenza di patti anche in via ufficiosa, di farne menzione e di attivarsi per “reperire dagli aderenti agli accordi informazioni più dettagliate”. 53 In ordine al fatto che il concetto di controllo sia al centro della disciplina del concerto, v. GUIZZITUCCI, op. cit., 264. Si è visto che, nell’ordinamento tedesco, la corrispondente norma del § 30 WpÜG (pressoché identica a quella dettata a fini di trasparenza dal § 22 WpHG) richiede che i concertisti perseguano lo scopo di un durevole e rilevante cambiamento dell’organizzazione imprenditoriale della società. Come si è osservato in precedenza, diversi sono gli autori tedeschi che ravvisano nell’acquisto, nell’esercizio e nel mutamento dell’assetto del controllo l’elemento centrale della disciplina dettata dal § 30: in tal senso, tra i tanti, PRASUHN, op. cit., 221; GAEDE, op. cit., 178 ss. e spec. 180. Si è sostenuto, però, che tale requisito non presupponga necessariamente un completo programma comune sulla futura attività dell’impresa, ma sia integrato anche soltanto dal formarsi di rapporti di partecipazione che possano (anche solo potenzialmente, dunque) dare vita a tali cambiamenti (“Beteiligungverhältnisse, die solche Änderungen herbeiführen können”): così PSAROUDAKIS, op. cit., 333 ss., il quale aggiunge che, da un lato, è sufficiente il mutamento dei rapporti di forza interni alla compagine sociale anche non accompagnato da intese su specifiche misure o iniziative da assumere e, dall’altro, che, mentre ai sensi del § 22 WpHG devono essere pubblicate anche le intese destinate a protrarsi nel tempo a prescindere dalla loro incidenza sulla società, gli accordi interessati dal § 30 WpÜG sono quelli in grado di produrre un effetto durevole e rilevante, nel senso appena chiarito (ovviamente quest’idea muove dall’assunto, fatto proprio dall’Autore in questione, che le due norme tedesche testé richiamate possano essere interpretate diversamente nonostante l’identità della loro formulazione). Pongono l’accento sulla concreta possibilità di comune esercizio del controllo anche WEIß, op. cit., 118-119; LÖHDEFINK, op. cit., 228 e 273, ove si osserva che il concerto sussiste quando il coordinamento delle condotte rende possibile il dominio sulla società “bersaglio” (“wenn die Verhaltenabstimmung die Herrschaft über die Zielgesellschaft ermöglicht”). Quest’ultimo A. ridimensiona inoltre la problematica se l’obiettivo dell’acquisto del controllo debba essere inteso in senso soggettivo o oggettivo, ritenendo che tale interrogativo nella prassi finisce per giocare un ruolo marginale (ibidem, 296). Negli Stati Uniti, come si è detto nel primo capitolo, lo scopo di acquisizione del controllo, per quanto spesso presente, non è a rigore un elemento costitutivo del concerto: come la giurisprudenza ha recentemente statuito, ci può essere accordo rilevante tra gli shareholders anche se questi, detenendo congiuntamente più del 5% del capitale, si limitino ad accordarsi per coordinare la vendita delle partecipazioni: cfr. SEC v. Sierra Brokerage Services, Inc., 608 F. Supp. 2d 923 (S.D. Ohio, 2009); e già in precedenza Wellman v. Dickinson, 1982, cit. In dottrina, la tendenziale irrilevanza dello scopo di acquisizione del controllo (con l’eccezione 69 come quest’ultima locuzione tenda ad assumere una portata più ristretta rispetto a quella dell’art. 2341-bis c.c., ben potendo quest’ultima comprendere, come comunemente si osserva, anche patti stipulati dalle minoranze; non è questo, tuttavia, l’aspetto che qui preme maggiormente. Ciò che primariamente conta, piuttosto, è verificare se anche nel microsistema normativo costruito dagli artt. 101-bis e 109 T.U.F. il riscontro di effetti corrispondenti a tale dimensione teleologica del patto sia o meno un elemento essenziale della fattispecie (tale cioè da dover costituire oggetto di prova ai fini dell’obbligo di lancio di un’offerta pubblica).54 Si tratta, cioè, del problema che si è lasciato aperto in precedenza (supra, § 2); al contempo, occorre cercare di comprendere se le conseguenze giuridiche ricollegate all’azione di concerto possano prodursi anche in mancanza di un vero e proprio esercizio di influenza dominante interna, allorquando a venire in rilievo sia proprio un patto parasociale nullo in quanto inizialmente occultato. Ci si deve innanzitutto chiedere, dunque, se l’accertamento dell’effettiva acquisizione (o del mantenimento o del rafforzamento) del controllo (oppure, se si volesse aderire all’impostazione “soggettivistica”, dell’originario intento dei paciscenti) sia realmente un presupposto dell’obbligo di offerta, tale da dover costituire oggetto di prova. Lo stesso art. 101-bis, comma 4-bis, T.U.F. sancisce invero chiaramente che gli aderenti ad un patto parasociale, anche nullo, di cui all’art. 122 T.U.F. “sono, in ogni caso, persone che agiscono di concerto”, dando la netta impressione di rimuovere la necessità di provare che l’accordo abbia l’effetto poc’anzi descritto. Tale conclusione pare avvalorata dal fatto che l’obbligo di promuovere un’offerta pubblica (ex art. 109 T.U.F.) sorge soltanto se i concertisti vengono a detenere a seguito di acquisti sul mercato una percentuale particolarmente rilevante del capitale sociale (il 30% in caso di prevista dalla Rule 13d-1(b)(1) della SEC) è messa in evidenza anche da LEVY, op. cit., 5-15; nonché da HAZEN, Treatise on the Law of Securities Regulation, St. Paul, 2005, v. 3, 15. Nell’ordinamento francese, si è visto che la nozione di concerto comprende la finalità di porre in essere una politica societaria comune: la giurisprudenza ha statuito che essa a sua volta presuppone “une volonté de contribuer en commun et durablement à la gestion ou à la stratégie économique, commerciale ou industrielle de la société” (così Cour de Cassation, 27 ottobre 2009, n. 08-18.819, Soler Crespo c/ Sté Gecina, in Droit des sociétés cotées, 2010, 112 ss.). Come si ricorderà, la nozione di concerto contenuta nell’art. 101-bis T.U.F. comprende anche gli accordi volti a contrastare il successo di un’offerta pubblica di acquisto o scambio: l’obbligo di offerta scatterà però solo se vi è anche l’acquisto aggiuntivo di azioni nei dodici mesi e sino al 30% sì come richiesto dall’art. 109 T.U.F. Al contrario, come già si è visto, solo l’art. 122 T.U.F. contempla gli accordi volti a favorire un’offerta pubblica, giacché la lett. d-bis) dell’art. 122 T.U.F. non è richiamata dall’art. 101-bis T.U.F. Nella dottrina tedesca, è invece discussa la rilevanza degli accordi volti a contrastare il buon esito di un’offerta pubblica: la esclude GAEDE, op. cit., 209-210, la quale ritiene che sarebbe irragionevole limitare la possibilità degli azionisti di addivenire ad intese tra loro in questa fase, né sembra accettabile la conclusione che questi vengano a trovarsi per forza di cose nell’alternativa tra accettare l’offerta o doverne proporre loro una (a meno che, naturalmente, provvedano anche ad acquisti aggiuntivi fino alla soglia del 30%: ma, sostiene l’A., questo non capiterà mai, perché per rendere poco attraente la società per l’offerente ostile basterà conservare una minoranza ostruzionista). Circa invece la rilevanza di tali accordi, v. WEIß, op. cit., 156-157. In Francia, v. LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 247, il quale conferma che “toute convention susceptible d’avoir une influence sur l’issue d’une OPA est potentiellement constitutive d’une action de concert”. 54 Secondo un’opinione dottrinale, i patti parasociali che interessano nel contesto delle disposizioni in materia di OPA sarebbero quelli che, a prescindere da tali finalità, proprio perché tenuti nascosti mirino, più semplicemente, proprio ad aggirare la disciplina dell’OPA, “impedendo che venga assicurata quella trasparenza dei mercati regolamentati”: è l’osservazione di AZZARO, op. cit., 724. Quest’ordine di idee non sembra interferire con il problema posto, potendo tale obiettivo - in presenza dei presupposti dell’OPA obbligatoria - essere considerato connaturale al nascondimento di un patto parasociale rilevante e, quindi, in re ipsa. 70 offerta totalitaria ex art. 106 T.U.F. e addirittura il 95% in caso di offerta c.d. residuale ex art. 108 T.U.F.): allora, si potrebbe essere tentati di affermare che il legislatore, con una valutazione ex ante, abbia ritenuto tali soglie sufficienti ad attribuire ai pattisti, sebbene presuntivamente55, il controllo della società56, con la conseguenza che non sarebbe necessaria la specifica dimostrazione degli effetti concreti dell’accordo (o, eventualmente, del corrispondente intento degli aderenti).57 Siffatta argomentazione, tuttavia, presterebbe il fianco ad almeno due ordini di rilievi. In primis, la nozione di controllo cui fare riferimento in questo contesto normativo è (e rimane) quella dell’art. 93 T.U.F., che si fonda sul pilastro concettuale dell’influenza dominante astenendosi dall’attribuire un rilievo decisivo a quote di capitale pari o inferiori al cinquanta per cento. All’eventuale obiezione che le disposizioni in tema di concerto non richiamano espressamente una data nozione di controllo pare sufficiente ribattere che la fondamentale ratio dell’istituto dell’OPA obbligatoria riposa sull’avvenuto mutamento del controllo della società e questo risulta essere principio ricevuto anche in dottrina. 58 In secondo luogo, il ragionamento qui criticato si regge su un sottile equivoco che deriva da un’imprecisa lettura delle norme in questione. Certamente non vi sono ostacoli ad affermare che la sussistenza (debitamente provata) di un patto parasociale, facendo scattare la presunzione di concerto ex art. 101-bis, comma 4-bis, T.U.F. indica anche - secondo la valutazione effettuata in questo contesto dal legislatore - la presenza di un accordo (quantomeno) “volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società” (o a contrastare un’offerta pubblica di acquisto), in cui il concerto si sostanzia: del resto, proprio le ipotesi presuntive elencate dalla norma stanno a significare che l’ordinamento, di fronte a determinate tipologie di patti tra soci, presume che essi abbiano come obiettivo ultimo l’esercizio del controllo. Tuttavia, non è esatto far discendere da ciò l’ulteriore assunto che il raggiungimento della soglia del 30% delle 55 Un cenno sul fatto che la soglia del 30% del capitale faccia presumere, in questo contesto, il controllo della società si rinviene anche in SAMBUCCI, Durata dei patti parasociali, cit., 915. 56 E’ effettivamente così nell’ordinamento tedesco, dove, almeno ai fini dell’obbligo di promozione di un’offerta pubblica, secondo quanto previsto dal § 29, Abs. 2, WpÜG il controllo equivale alla disponibilità di almeno il 30% dei diritti di voto nella società: sul punto, cfr. ex multis SCHNEIDER, Acting in concert, cit., 447; VON BÜLOW, Sub § 35, in Kölner Kommentar zum WpÜG, herausgegeben von H. Hirte und C. von Bülow, Köln, 2003, 1030; nonché, nella manualistica, BUCK-HEEB, op. cit., 229. 57 Ad una conclusione simile giungono COSTI-ENRIQUES, Il mercato mobiliare, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, Padova, 2004, v. VIII, 135, i quali osservano che “la sussistenza delle relazioni previste dall’art. 109 [oggi dall’art. 101-bis, n.d.r.] è sufficiente ad integrare la fattispecie ivi prevista [quella, cioè, del concerto], essendo irrilevante che vi sia anche la volontà di perseguire una determinata strategia comune”. 58 Al riguardo, v. ad esempio MOSCA, Acquisti di concerto, partecipazioni incrociate e responsabilità per inadempimento dell’obbligo di opa. Note a margine del caso Sai-Fondiaria, in Riv. soc., 2007, 1326 (l’obbligo di offerta rappresenta “una norma che, a livello di sistema, tende a creare le condizioni ottimali per l’investimento azionario, offrendo la garanzia consistente nella possibilità di partecipare ai mutamenti del controllo”); TUCCI, Obbligo di offerta e responsabilità civile, in Riv. soc., 2007, 1002 (nt. 7) [“Nella fattispecie regolata dall’art. 106 T.U.F. il ‘mutamento’ rilevante è, sostanzialmente, l’acquisizione (o il consolidamento) del controllo di una società quotata”]; ID., La violazione dell’obbligo di offerta pubblica di acquisto. Rimedi e tutele, Milano, 2008, 42 (testo e nt. 5); ma anche MORELLO, Mancata promozione di Opa obbligatoria totalitaria e risarcimento del danno, in Società, 2006, 409; GUIZZI, Noterelle in tema di OPA obbligatoria, violazione dell’obbligo di offerta e interessi protetti, in Riv. dir. comm., 2005, II, 257; F. FERRO-LUZZI, Regole del mercato e regole nel mercato: due vasi non comunicanti, in Riv. dir. comm., 2007, II, 208 e 212. 71 azioni con diritto di voto da parte dei pattisti implichi automaticamente, per una sorta di presunzione juris et de jure, l’acquisto (potenziale o effettivo) del controllo59, anche perché l’acquisizione di quella partecipazione è contemplata dall’art. 109 T.U.F. quale presupposto dell’obbligo di offerta ulteriore rispetto all’azione concertata, la quale sì a sua volta comprende un accordo (ma, si noti, semplicemente) “volto” all’esercizio del controllo.60 Ciò precisato, resta fermo che l’acquisto effettivo del controllo (o il suo mantenimento o rafforzamento) non è un presupposto della fattispecie che determina l’insorgenza dell’obbligo di offerta ai sensi dell’art. 109 T.U.F. sulla base di un patto parasociale (rectius: non deve costituire oggetto di prova positiva a tal fine), come inequivocabilmente dimostra anche la previsione in seno all’art. 101-bis T.U.F. di tipologie di patti parasociali sicuramente inidonee di per sé ad assicurare il controllo della società: basti pensare a tutti i patti diversi da quelli aventi ad oggetto l’esercizio del voto, la cui rilevanza in questo ambito prescinde completamente dal fatto che essi siano affiancati da un accordo sul voto, come proprio le due norme testé richiamate lasciano indubitabilmente intendere.61 Inoltre, dal momento che l’art. 109 T.U.F. prevede un obbligo solidale di promozione dell’offerta pubblica in capo a tutti i protagonisti dell’azione concertata62, si manifesta altresì in prima battuta una sorta di 59 A tale risultato conduce anche la tesi che ritiene in ogni caso irrilevante, proprio sulla base del sistema della soglia fissa, l’accertamento circa l’effettiva acquisizione del controllo: v. ad es. TUCCI, Condizioni dell’opa obbligatoria e acquisizione del controllo mediante patto di sindacato, nota a App. Milano, 27 novembre 1998, in Società, 1999, 316 ss. 60 Come si era osservato in dottrina già nel vigore della previgente normativa in materia di OPA, “è necessario anche distinguere, nella disciplina dell’OPA obbligatoria, il ruolo del ‘concerto’ per l’acquisto dal ruolo del sindacato di voto, come strumento per l’acquisizione di partecipazioni di controllo”: questa l’acuta e ancor valida constatazione di COSTI, I sindacati di blocco, cit., 477. 61 Come si è osservato, infatti, è da escludere che “l’acquisizione, la conservazione e il rafforzamento del controllo congiunto possano discendere anche da accordi aventi ad oggetto la sola preventiva consultazione circa l’esercizio del diritto di voto in assemblea”: così CARIELLO, “Controllo congiunto” e accordi parasociali, Milano, 1997, 174. Come osservava anche RESCIO, I sindacati di voto, cit., 688689, occorre distinguere “i sindacati di voto dai patti di consultazione e dalle altre alleanze tra soci che [...] non danno alcuna influenza dominante”. E’ forse interessante osservare che la previgente normativa in materia di OPA (l. n. 149/1992), attribuiva rilevanza ai fini dell’obbligo di offerta unicamente ai sindacati di voto, considerati gli unici in grado di consentire l’acquisizione del controllo: sul punto SBISA’, Patto di sindacato, cit., 655-656; COSTI, I sindacati di blocco, cit., 472. In Germania, come si è visto, nonostante l’espressa previsione della rilevanza di condotte uniformi anche diverse (“in sonstiger Weise”) in seno al § 30 WpÜG, non è del tutto sopito il dibattito circa l’idoneità di intese diverse da quelle sul voto ad integrare la fattispecie, proprio in ragione della stretta connessione esistente tra obbligo di offerta, acquisto del controllo e disponibilità di voti in assemblea in misura rilevante. 62 La regola della solidarietà vige anche in Francia, allorché “l’existence d’une action de concert permettait à l’AMF d’agir contre un seul d’entre eux in raison de la solidarité passive”: così DAIGRE, Le président du tribunal de grande instance de Paris statuant en la forme des référés peut imposer le lancement d’une offre publique obligatoire à la demande de l’AMF, Note a CA Paris, 14e ch., sect. A, 19 oct. 2005, n° 05/54287 C. c/ AMF, in BJB, 2006, n. 141, 162. Non è necessariamente questa (pur essendo possibile) invece la conseguenza del concerto nel Regno Unito, giacché, come chiarito dal Takeover Panel (The Takeover Code, cit.), l’obbligo di promozione dell’offerta grava primariamente su chi ha effettuato gli acquisti che impongono l’obbligo stesso; ma, se questo non è il principale membro del gruppo (“principal member”), “the obligation to make an offer may attach to the principal member or members and, in exceptional circumstances, to other members of the group acting in concert” (: “l’obbligo potrebbe incombere sul membro o sui membri principali e, in circostanze eccezionali, sugli altri membri del gruppo dei concertisti”). E’ improbabile, dunque, che possa essere esteso al nostro ordinamento il rilievo, emerso talora nella letteratura tedesca, secondo cui le conseguenze giuridiche 72 disinteresse del legislatore per il tipo di controllo - solitario o congiunto - eventualmente esercitato dai concertisti e sul problema dell’imputazione dello stesso. 63 derivanti dalla scoperta dell’accordo (sia ai sensi del § 22 che del § 30) potranno ricadere su tutti gli aderenti soltanto se ciascuno di essi ha adeguato il proprio comportamento al risultato dell’accordo, verificandosi altrimenti l’imputazione solo a carico di chi esercita l’influenza all’interno del patto: VON BÜLOW-BÜCKER, op. cit., 706 ss.; LÖHDEFINK, op. cit., 331. Diversamente orientata è, del resto, RALOFF, op. cit., 204, che non ritiene importante individuare chi adegui il proprio comportamento verso chi o in quale direzione ed afferma anzi che l’imputazione reciproca è la basilare conseguenza di un’azione concertata ai sensi del § 30 (ibidem, 257-258); così anche WEIß, op. cit., 67; su una posizione intermedia sembra collocarsi PRASUHN, op. cit., 224, ad avviso della quale l’imputazione ha luogo a carico di uno solo dei pattisti unicamente nel caso in cui costui sia in grado di esercitare anche autonomamente un’influenza sull’esercizio dei diritti di voto e dunque sulla società. Ai sensi delle norme del T.U.F. l’obbligo di lancio dell’OPA sorge sempre solidalmente in capo ai pattisti, pur non essendo certo esclusa l’eventualità che solo taluno di essi adegui il proprio comportamento a quello degli altri (e sempre che, naturalmente, ciò sia il frutto di un vero e proprio accordo). 63 L’imputazione del controllo da accordi parasociali è un tema che la nostra letteratura ha affrontato da tempo e sul quale non è il caso di soffermarsi qui oltremisura: bastino dunque pochi cenni. Sull’imputazione del controllo congiunto da patti parasociali, la posizione da tempo incarnata da CARIELLO, “Controllo congiunto”, cit., 179 ss., è nel senso che esso vada riconosciuto in capo ai membri dell’accordo che siano in grado di spiegare in concreto “un complessivo potere di influenza qualificata unitamente ad altri” (ibidem, 195), fermo restando che mai il patto parasociale può essere elevato a soggetto e dunque destinatario nel suo complesso delle norme in tema di controllo e di relativa imputazione (ibidem, 189). Il tema è stato ripreso dallo stesso autore più di recente: v. ID., Dal controllo congiunto all’attività congiunta di direzione e coordinamento di società, in Riv. soc., 2007, 30 ss. Sul punto anche RESCIO, I sindacati di voto, cit., 684 ss., il quale, partendo dall’assunto che il controllo ex art. 2359 c.c. è concepito come individuale, nel senso che il soggetto controllante deve essere in grado di esplicare il controllo in via autonoma, giungeva alla conclusione che nel caso delle convenzioni di voto è necessario che un solo soggetto abbia la capacità di influire sul voto di tutti gli altri, o in virtù della maggioranza delle azioni sindacate o “in base ad accordi con altri parasoci (sorta di sindacati nel sindacato)”. L’A. proseguiva rilevando che “là dove il sindacato di voto consente il dominio di una sola persona (sul gruppo dei soci sindacati e quindi) sulla società, è solo questa a dover essere reputata controllante” (ibidem, 709); mentre, “quando il sindacato di voto all’unanimità è mezzo di controllo congiunto, tutti i partecipanti sono necessariamente controllanti”. Anche MONTALENTI, La legge italiana sulle offerte pubbliche: prime riflessioni, in Giur. comm., 1992, I, 856 ss. e spec. 858, muovendo dall’idea di controllo individuale sottesa all’art. 2359 c.c., affermava che a parte le specifiche previsioni di “co-controllo”, un’ipotesi di controllo da sindacato avrebbe potuto verificarsi “soltanto nell’ipotesi in cui un soggetto acquisti la maggioranza nell’ambito di una convenzione di voto a maggioranza”. Più radicale e difficilmente sostenibile l’opinione che era stata espressa ancor prima da VISENTINI, op. cit., 12, secondo cui “ciascuno degli azionisti partecipanti al sindacato acquista la qualifica di controllante, anche se la sua partecipazione di per sé considerata è esigua, e comunque non tale da determinare di per sé il controllo”. Su tali questioni si erano soffermati anche MINERVINI e COSTI, Due pareri su come vada inteso il “rapporto di controllo” in presenza di sindacati di voto (art. 4, comma 3°, legge n. 1/1991), in Contr. e impr., 1991, 1015 ss.; COSTI, Il problema della validità, cit., 32 ss., ove l’A. escludeva che il controllo da sindacato potesse rientrare nella fattispecie dell’art. 2359 c.c., sia nel caso di soggetto avente la maggioranza del sindacato, sia nell’ipotesi di controllo congiunto; ma anche ID., I sindacati di blocco, cit., 477 ss. Tali problemi, quantomeno nel contesto dell’offerta pubblica obbligatoria che qui interessa, si ponevano maggiormente, per la verità, nel vigore della precedente disciplina, in quanto l’art. 10 l. n. 149/1992 prevedeva l’obbligo di offerta a carico di “chiunque intenda acquisire direttamente o indirettamente, per il tramite di interposta persona o di società fiduciaria ovvero attraverso una partecipazione a sindacati di voto, il controllo di una società quotata in borsa”: diveniva perciò cruciale l’individuazione del soggetto controllante e dunque obbligato al lancio dell’OPA, specialmente nel caso di patti parasociali. Come è evidente, le norme attuali sembrano aver consentito un superamento della questione, atteso che l’obbligo di promozione dell’offerta grava solidalmente in capo a tutti coloro che vengono individuati come concertisti. In realtà, anche con riferimento alla previgente disciplina in materia di OPA obbligatoria, il peso della predetta discussione era ridimensionato da chi osservava che, pur non potendosi attribuire la qualifica di controllante ai singoli membri del patto (se non quando in grado di disporre proprio tramite il patto della maggioranza dei voti), ai fini dell’obbligo di offerta a contare sarebbe stata unicamente “la partecipazione rilevante [...] complessivamente posseduta dagli 73 Semmai, ci si può chiedere se sia possibile per i concertisti una prova liberatoria - volta cioè ad ottenere un’esenzione dall’obbligo di offerta - con la quale essi possano dimostrare che, nonostante l’accertamento del patto parasociale inizialmente occultato e l’avvenuto superamento della soglia rilevante in seguito ad acquisti di azioni, non si sia in concreto determinata un’acquisizione (o un mantenimento o un rafforzamento) del controllo.64 Sicuramente, in forza di quanto prevede l’art. 106, comma quinto, del T.U.F. è sempre possibile dimostrare che altri soci - individualmente o congiuntamente detengono una partecipazione di controllo e quindi dispongono di un maggior numero di diritti di voto.65 Il dubbio, però, è se, con specifico riferimento ai patti nulli (anche) in quanto occulti, sia consentita (anche) la prova liberatoria - sempre diretta a smentire l’avvenuta acquisizione del controllo ed a consentire un’esenzione dall’obbligo di offerta - avente ad oggetto la circostanza che i concertisti non hanno concluso alcuna intesa avente ad oggetto il diritto di voto e che, in ogni caso, non lo hanno mai esercitato in maniera uniforme, con la conseguenza che nessuna influenza dominante è stata spiegata sulla società. Taluno è parso escluderlo, in ragione del fatto che sarebbe alquanto disagevole e complessa un’indagine volta ad accertare l’eventuale influenza dominante di fatto esercitata da altri. 66 Questa considerazione si espone però all’obiezione che i concertisti non necessariamente dovrebbero provare che l’influenza dominante è esercitata da altri, potendo anche solo dimostrare che nessuna influenza dominante deriva (rectius: è derivata) dal loro operato nella società.67 Ad ogni modo, occorre muovere dalla nozione di controllo che viene in rilievo in questo ambito: essa, come anticipato, è delineata dall’art. 93 T.U.F., il quale, oltre a richiamare l’art. 2359 azionisti sindacati [...] con la quale si può acquisire il controllo di una specifica società”: così SBISA’, Patto di sindacato, cit., 659. 64 Si può già osservare che, perché si determini l’acquisto del controllo, non sembra potersi prescindere (anche) da una fattiva e riscontrabile cooperazione. Sul punto, si osservi quanto affermava CARIELLO, “Controllo congiunto”, cit., 117-118 (ma anche 164): “perché un accordo parasociale si riveli funzionale al controllo solitario o congiunto è dunque necessario e sufficiente, anche nell’ambito normativo, che sia attestabile la sua potenziale idoneità ad assicurare con un certo affidamento la stabile prestazione della collaborazione e la stabile attuazione del coordinamento”. 65 Al riguardo, l’art. 49, comma 1, lett. a) Reg. Consob n. 11971 del 1999, esclude l’obbligo di offerta se un altro socio o altri soci dispongono congiuntamente della maggioranza dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria. Sul punto, si è sostenuto che “ai fini dell’operatività dell’esenzione viene presupposta l’altrui disponibilità del controllo di diritto, ai sensi dell’art. 2359, c. 1, n. 1 c.c. Ciò significa che al momento dell’acquisizione in astratto rilevante, la società non deve essere scalabile in quanto il pacchetto di maggioranza può trasferirsi solo per volontà del suo titolare”: così TOLA, Opa e tutela delle minoranze, Napoli, 2008, 187. 66 Così ANNUNZIATA-LIACE, Sub art. 106, in Commentario all’offerta pubblica di acquisto, a cura di G. Fauceglia, Torino, 2010, 152. 67 Del resto, come detto poc’anzi, al di fuori dell’ipotesi qui considerata i concertisti che superino la soglia del 30% potrebbero beneficiare dell’esenzione dall’obbligo di OPA solo qualora vi siano altri soci che detengano più del 50% dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria, come prescritto dall’art. 49, comma 1, lett. a) Reg. Emittenti. Ma per una critica all’impostazione adottata dall’Autorità, in quanto “sarebbe stato auspicabile accordare l’esenzione in discorso in presenza di ‘soci di controllo’ anche solo di ‘fatto’ ovvero ‘contrattuale’”, v. RONDINELLI, Sub art. 106, in La disciplina dell’offerta pubblica di acquisto, in Le nuove leggi civ. comm., 2010, 150-151 (ove il virgolettato). Né il tipo di prova in discorso può essere ritenuta diabolica in quanto “negativa”, giacché l’abrogazione del quinto comma dell’art. 147-ter T.U.F. ad opera del d. lgs. n. 303/2006 ha fatto sì che ora le votazioni per l’elezione delle cariche sociali - in cui si sostanzia tipicamente l’esercizio del controllo - avvengano a scrutinio palese. 74 c.c., prevede, tra l’altro, che sono considerate controllate “le imprese, italiane o estere, su cui un socio, in base ad accordi con altri soci, dispone da solo di voti sufficienti a esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria” (così il comma 1, lett. b). La concezione fatta propria da queste due norme è quella di un controllo meramente potenziale, fondato sulla disponibilità di diritti di voto che, di fatto o di diritto, consentano di esercitare un’influenza dominante sull’assemblea68: in altri termini, “il mancato esercizio del potere, che integra il controllo interno di diritto o di fatto, non fa venir meno la fattispecie del controllo, e ciò a prescindere dal motivo che sta alla base del mancato esercizio”69. La presa d’atto di quanto precede parrebbe a prima vista fornire un’importante indicazione: nell’ipotesi in cui sia stata già raggiunta la prova dell’esistenza di un sindacato di voto mantenuto segreto - cui si aggiunga, naturalmente, l’acquisto di azioni in misura tale da consentire il raggiungimento delle soglie rilevanti non sembrerebbe essere consentita alcuna prova contraria (al di fuori, naturalmente, di quella già concessa in conformità ai principi generali del diritto processuale nell’eventuale giudizio di cognizione svoltosi oppure nell’istruttoria condotta dall’Autorità competente, volti appunto all’accertamento dell’accordo 70; o, ancora, al di fuori di quella espressamente richiamata dall’art. 106, comma 5, T.U.F.); il patto, invero, ove coinvolgesse una determinata percentuale del capitale sociale, dovrebbe garantire - almeno potenzialmente - il controllo, sulla base dell’insieme dei diritti di voto facenti capo ai pattisti e ciò, in virtù della nozione di controllo di cui agli artt. 2359 c.c. e 93 T.U.F., sarebbe sufficiente ad eliminare la necessità di ulteriori indagini. 71 Si può però a questo punto obiettare come tale idea si attagli astrattamente soltanto al controllo individuale da patto di sindacato valido, che è proprio quello contemplato dall’art. 93, comma 1, lett. b, T.U.F.72; non, invece, al controllo 68 Con riferimento all’art. 2359 c.c., cfr., per tutti, NOTARI-BERTONE, Sub art. 2359, in Azioni, Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L. A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2008, 701; LAMANDINI, Sub artt. 2359 - 2359-quinquies, in Società di capitali, Commentario a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, *, 398. Per lo stesso rilievo con riferimento all’art. 93 T.U.F., mai modificato dopo la sua introduzione, v. G. MUCCIARELLI, Sub art. 93, in La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Commentario a cura di P. G. Marchetti e L. A. Bianchi, Milano, 1999, t. I, 57. Sul punto anche VOLPE, Sub art. 93, in Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di G. Alpa e F. Capriglione, Padova, 1998, II, 866 ss., secondo cui “non potrebbe dirsi che la nozione di controllo accolta dall’art. 93 presenti caratteri peculiari particolarmente distinti rispetto alla nozione basica contenuta nell’art. 2359 c.c.” (ibidem, 871); SALIMEI, Sub art. 93, in Il testo unico della intermediazione finanziaria, Commentario al D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, a cura di C. Rabitti Bedogni, Milano, 1998, 549 ss. 69 Di nuovo NOTARI-BERTONE, op. cit., 704; analog., per la norma del T.U.F., G. MUCCIARELLI, Sub art. 93, cit., 57. 70 Sul rispetto del principio del contraddittorio nei procedimenti instaurati dalla Consob, cfr. in particolare RORDORF, Sanzioni amministrative e tutela dei diritti nei mercati finanziari, in Società, 2010, 991 ss. 71 Si tenga presente che i problemi di cui si va discutendo non si pongono, ovviamente, se uno degli aderenti al patto occulto già disponga individualmente della maggioranza dei voti in assemblea. 72 Anche RESCIO, I sindacati di voto, cit., 688-689, aveva osservato che solo la validità del sindacato di voto, che si traduce dunque in una valida pretesa giuridica, può garantire il controllo individuale. Secondo altra più radicale opinione emersa in passato, invece, il controllo da sindacato non sarebbe mai riconducibile alla nozione dell’art. 2359 c.c., perché questo esclude dal computo i voti spettanti per conto di terzi, tra i quali andrebbero annoverati quelli spettanti agli altri soci sindacati: così COSTI, Il problema della validità, cit., 35-56. Ma non sembra che i voti degli altri soci possano ritenersi spettanti “per conto 75 (congiunto) da patto parasociale nullo (quale è quello occulto)73, perché questo non può mai garantire una vera e propria disponibilità di diritti di voto in misura tale da consentire un’influenza dominante individuale (quand’anche potenziale) sull’assemblea. Inoltre, sempre in ragione del fatto che l’accordo non comunicato è nullo e quindi privo di effetti tra le parti, finisce inevitabilmente per scomparire in questo contesto la rilevanza della distinzione tra controllo individuale e controllo congiunto da sindacato 74: si può parlare di controllo individuale da sindacato, infatti, solo nel momento in cui uno dei membri, proprio in forza dell’accordo giuridicamente vincolante, venga a disporre anche dei diritti di voto spettanti agli altri (è questa, lo si ribadisce, l’ipotesi tipicamente contemplata dall’art. 93, comma 1, lett. b, T.U.F.).75 Proprio perché si registra di terzi”; semmai risulterebbero, in concreto e in forza del patto, semplicemente esercitati per conto di terzi. 73 Al controllo esercitato “congiuntamente” sulla base del concerto occulto ha fatto riferimento anche la Corte d’Appello di Milano nella sentenza sul “caso Unipol”, cit., 48. 74 Rilevanza che era stata invece giustamente individuata in termini generali da chi aveva sostenuto che, a differenza del controllo individuale, il controllo congiunto può derivare anche da patto di sindacato invalido, purché venga di fatto osservato e attuato il programma comune: così RESCIO, I sindacati di voto, cit., 711, testo e nt. 75. Si è più di recente scritto anche che “il coordinamento inteso a condurre a una concordata politica comune ovvero, più semplicemente, a un raccordato esercizio dei rispettivi poteri di influenza, a loro volta suscettibili di realizzare una situazione di controllo congiunto, può tradursi nella convergenza non solo di distinte possibilità di influenza ognuna delle quali, singolarmente presa, sarebbe inidonea ad assicurare al suo titolare individuale la disponibilità di un potere di influenza qualificata contrassegnabile come controllo; ma anche di differenti possibilità di influenza delle quali una sarebbe invece, già di per sé considerata, idonea a riservare al suo titolare la disponibilità di un vero e proprio potere di influenza qualificabile come controllo”: così CARIELLO, Dal controllo congiunto, cit., 11. La perdita di significatività della distinzione tra queste due ipotesi di controllo congiunto si apprezza, a maggior ragione, proprio nell’evenienza qui all’esame, vale a dire qualora il patto da cui origina il coordinamento (quand’anche al suo interno uno dei membri detenesse la maggioranza) sia, in quanto non tempestivamente reso noto, nullo e quindi inidoneo a far sorgere pretese giuridiche reciproche in capo agli aderenti in merito al rispetto dell’accordo. 75 Lo sottolinea con forza G. MUCCIARELLI, Sub art. 93, cit., 62, il quale evidenzia come rimangano escluse le ipotesi di controllo congiunto da patto di sindacato. Per completezza sistematica, si può osservare che un’analoga concezione del controllo da patto parasociale è sottesa alla norma dell’art. 23 T.U.B., sebbene operante soltanto ai fini della disciplina della trasparenza delle partecipazioni nelle banche e dei relativi poteri autorizzativi della Banca d’Italia. Oltre a richiamare l’art. 2359, commi 1 e 2, c.c., e a fare riferimento a contratti e clausole che abbiano per oggetto o per effetto il potere di esercitare l’attività di direzione e coordinamento, il secondo comma dell’art. 23 T.U.B. individua una serie di presunzioni relative di controllo, tra le quali spicca, al n. 1, “l’esistenza di un soggetto che, sulla base di accordi, ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori o del consiglio di sorveglianza ovvero dispone da solo della maggioranza dei voti ai fini delle deliberazioni relative alle materie di cui agli artt. 2364 e 2364-bis del codice civile”. La dottrina dominante osserva appunto trattarsi di controllo individuale: da ultimo ROSA, op. cit., 185 (testo e nt. 76, ed ivi ulteriori riferimenti dottrinali), ove si argomenta soprattutto a partire dal fatto che là dove il legislatore ha voluto attribuire rilievo “a poteri congiunti è stato più limpido”. Anche per LAMANDINI, Sub artt. 22-23, in Testo unico bancario, Commentario a cura di M. Porzio, F. Belli, G. Losappio, M. Rispoli Farina, V. Santoro, Milano, 2010, 234, il n. 1) del secondo comma dell’art. 23 T.U.B. descrive ipotesi di controllo solitario; v. inoltre, già in passato, MANZONE, op. cit., 372. Per due esempi di controllo individuale da patti parasociali, v. GALANTI, La nuova disciplina degli assetti proprietari delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, I, 511 ss. e spec. 513 (nt. 7), che richiamava l’ipotesi “dell’aderente al quale l’accordo abbia conferito il potere di decidere come dovrà essere esercitato il voto anche degli altri aderenti”, nonché quella “del socio che detiene la maggioranza sufficiente per l’adozione, all’interno del patto, di delibere vincolanti per tutti i soci sindacati”. Diversa da quella prevalente è la tesi sostenuta da PATRONI GRIFFI, Sub artt. 22-23, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Belli, G. Contento, A. Patroni Griffi, M. Porzio, V. Santoro, Bologna, 2003, v. I, 335 ss., giacché l’A. distingue anche le due ipotesi di cui al n. 1 del secondo comma dell’art. 23: mentre la prima (diritto di nomina o 76 l’impossibilità di fare leva su una pretesa giuridicamente azionabile che consenta ad (almeno) uno dei pattisti di venire a disporre anche dei diritti di voto di cui sono titolari gli altri soci sindacati, diviene qui (id est: in questo ambito e in presenza di un patto occulto anche di voto) parzialmente inutilizzabile la nozione generale di controllo di cui agli artt. 2359 c.c. e 93 T.U.F., che sull’idea di disponibilità (almeno potenziale) dei diritti di voto, appunto, si fonda.76 La riportata obiezione è fondata (almeno nelle sue premesse) e ciò, pare, basta a dimostrare la debolezza della tesi che nega l’ammissibilità della prova liberatoria; non si possono però condividere sino in fondo i risultati cui anche tale modo di argomentare potrebbe condurre. Con riferimento ai patti nulli in quanto non comunicati, cioè, non sarebbe accettabile la conclusione che essi, proprio in quanto privi di effetti giuridici tra le parti, non assicurerebbero mai il controllo. Ciò significherebbe, infatti, “saltare” letteralmente dal negare spazio alla prova liberatoria sino alla conclusione radicalmente opposta: seguendo tale ragionamento, infatti, ne discenderebbe che la prova liberatoria circa l’assenza di un effettivo acquisto del controllo da parte dei concertisti avrebbe sempre (e automaticamente) successo e, in ultima analisi, non sarebbe più nemmeno necessaria, sebbene prima della scoperta del patto i diritti di voto potrebbero di fatto essere stati esercitati ed aver quindi consentito l’esercizio del controllo. Allora, vista l’impraticabilità delle due ipotesi alternative “estreme” poc’anzi illustrate, il problema diventa quello di verificare se, nonostante la nullità del patto non comunicato, gli aderenti siano stati comunque in grado, unendo le loro forze, di revoca della maggioranza degli amministratori, e oggi anche del consiglio di sorveglianza) integrerebbe una fattispecie di controllo congiunto, la seconda (disponibilità della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria) costituirebbe un esempio di “controllo minoritario da patto di sindacato”; similmente SERRA, Sub art. 23, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Capriglione, Padova, 2001, t. I, 190, per il quale la prima ipotesi non presuppone un “controllo stabile dell’assemblea ordinaria”. Si è anche rilevato da un lato che, per quanto le presunzioni di cui ai nn. 2), 3) e 4) dell’art. 23, comma 2, individuino invece ipotesi di controllo congiunto, non è certo che esse, pur riferendosi tra l’altro a “rapporti, anche tra soci”, comprendano il controllo da patti parasociali: su questo punto ROSA, op. cit., 186 (testo e nt. 78) e 189; dall’altro, che il controllo congiunto è comunque compreso dal nuovo art. 22, comma 1-bis, T.U.F. quale ipotesi “più rilevante dal punto di vista funzionale” (LAMANDINI, Sub artt. 22-23, cit., 231). 76 Ciò è vero, si noti, indipendentemente dalla soluzione che si voglia dare al più generale problema della riconducibilità del controllo congiunto (specie da sindacato) all’alveo applicativo dell’art. 2359 c.c., essendosi il relativo dibattito chiaramente sviluppato sul presupposto che si abbia a che fare con patti validi. Prima della riforma, l’opinione prevalente ravvisava nella nozione fornita dall’art. 2359 c.c. una forma di controllo soltanto individuale o “solitario”: v. ad esempio RESCIO, I sindacati di voto, cit., 684 ss.; MONTALENTI, La legge italiana, cit., 856 ss. (e, in giurisprudenza, si ricorderà il c.d. caso Rizzoli, deciso dal Tribunale di Milano con sentenza del 6 novembre 1986, in Giur. comm., 1987, II, 413 ss. e in Foro it., 1987, I, c. 3162). Posizione minoritaria era, pertanto, quella della riconducibilità anche del controllo congiunto all’art. 2359 c.c.: v., anteriormente alla riforma del 2003, CARIELLO, “Controllo congiunto”, cit., 112 ss. e spec. 130, ove però non a torto si osservava che sarebbe stato irragionevole trascurare la rilevanza delle “fattispecie di controllo congiunto, certo più pericolose in quanto di più difficile accertamento e meglio adatte a essere utilizzate al fine di occultare l’effettiva titolarità del controllo”; LAMANDINI, Appunti in tema di controllo congiunto, in Giur. comm., 1993, I, 218 ss. e spec. 241 ss. Dopo la riforma, la dottrina maggioritaria sembra ancora orientata a sostenere la sola rilevanza generale del controllo individuale (cfr. per tutti NOTARI-BERTONE, op. cit., 683, ove ulteriori riferimenti), ma alcuni autori hanno continuato a sostenere l’indirizzo minoritario: di nuovo CARIELLO, Dal controllo congiunto, cit., 1 ss.; LAMANDINI, Sub artt. 2359 - 2359-quinquies., cit., 401 ss. Quanto all’93 T.U.F., per la verità, il dato normativo sembra escludere con maggiore chiarezza il controllo congiunto da sindacato. 77 esercitare un’influenza dominante sulla società attraverso l’esercizio dei loro voti in assemblea. Sembra allora emergere, in questo specifico contesto e proprio a motivo del fatto che si ha a che fare con un accordo nullo in quanto (almeno originariamente) occultato, un concetto di controllo in parte differente da quello espresso dall’art. 2359 c.c. e dall’art. 93 T.U.F. (o, se si preferisce, una particolare declinazione della nozione di controllo congiunto), ben spiegabile in rapporto a quest’ultimo ricorrendo allo scarto che connota la coppia concettuale potenza-atto: tale diversa tipologia di controllo, pur fondandosi in ultima analisi sull’esercizio del diritto di voto in assemblea, viene a poggiare sulla condotta concretamente tenuta dai potenziali controllanti anziché sulla dimensione puramente potenziale connessa alla (semplice) disponibilità di diritti di voto.77 In altri termini, essendo certamente fuori gioco la nozione di controllo individuale da sindacato, resta in campo soltanto quella di controllo congiunto basato sulla cooperazione (principalmente in assemblea) dei soggetti coinvolti. 78 Tornando quindi all’interrogativo circa l’oggetto della (possibile) prova liberatoria a carico dei concertisti, sembra doversi - conseguentemente e logicamente - rispondere nel senso che esso potrà consistere nella dimostrazione dell’inesistenza di una convergenza delle loro condotte in sede assembleare tale da garantire (o meglio, aver garantito) al gruppo il concreto esercizio di un’influenza dominante79. 77 E’ utile richiamare a questo proposito le parole di NOTARI-BERTONE, op. cit., 707, i quali, con riferimento all’esercizio dell’influenza dominante, acutamente rilevano che “non può escludersi che il comportamento di fatto tenuto dal socio o dai soci che la esercitano non assuma rilevanza sul piano dell’applicazione di altre discipline che si basano su nozioni diverse dal controllo” oppure “che si basano su diverse nozioni di controllo”, che quindi ben potrebbero essere rintracciate all’interno del sistema. Similmente LAMANDINI, Sub artt. 2359 - 2359-quinquies, cit., 401 ss., il quale, sebbene riferendosi soltanto all’art. 2359 c.c., ha poi opportunamente osservato come la disciplina in esso contenuta “sia dettata prioritariamente ai fini della disciplina dell’acquisto indiretto di azioni proprie” e quindi, aggiungiamo, non esclude affatto che diverse nozioni di controllo possano venire in rilievo in altri, specifici, contesti o microcontesti normativi. La conclusione tracciata nel testo risulta ancor più convincente se si aderisce all’idea che lo stesso art. 93, comma 1, lett. b), T.U.F. includa “anche situazioni di ‘effettività’ in tal senso, quand’anche suscettibili di incorrere nella sanzione di nullità ex art. 122, cit. co. 3”: così VOLPE, op. cit., 872; ma, come si è già detto nel testo, è difficile sostenere che tale norma comprenda ipotesi ulteriori rispetto al sindacato di voto valido, stante il tenore letterale della stessa (“un socio, in base ad accordi con altri soci, dispone da solo di voti sufficienti [...]”). Collima con quanto rilevato nel testo la proposta avanzata da una parte della dottrina tedesca di meglio definire a livello normativo una minore estensione dell’ambito applicativo del § 30 rispetto alla norma dettata a fini di trasparenza, al fine di farvi ricadere soltanto le fattispecie di acquisto effettivo del controllo: cfr. DRINKUTH, op. cit., 677 ss. Ma anche de jure condito e ancor più espressamente, taluno è giunto ad affermare che, con riferimento all’obbligo di promozione di un’offerta pubblica, “il controllo è raggiunto quando sussiste la possibilità di esercitare un’influenza di fatto sulla base dei diritti di partecipazione” (“Kontrolle ist erlangt, wenn die Möglichkeit besteht, den auf den Mitgliedschaftsrechten beruhenden faktischen Einfluss einzusetzen”): così SCHNEIDER, Acting in Concert, cit., 453. Ciò viene affermato, si badi, nonostante manchi nell’ordinamento tedesco la sanzione della nullità del patto non comunicato e nonostante la nozione di controllo rilevante in tema di concerto sia individuata nel raggiungimento (anche congiunto) della disponibilità di almeno il 30% dei diritti di voto in assemblea. 78 E in effetti, “la cooperazione costituisce il requisito qualificante l’esercizio del controllo congiunto”, come osservato da MOSCA, Comportamenti, cit., 467-468. 79 Tale conclusione pare in linea con le riflessioni di chi aveva scritto che, “dal momento [...] che il controllo congiunto si può dire esistente solo se questo coordinamento risulta concretamente attuato, non basta riscontrare la presenza di uno o più [...] ‘indizi’ perché si abbia una situazione di controllo congiunto, ma è richiesto appunto che il coordinamento sia effettivamente realizzato” (CARIELLO, “Controllo congiunto”, cit., 163). Se così è, risulta ulteriormente confermata la perdita di significato oltre che della distinzione tra controllo individuale e controllo congiunto da patto parasociale - anche del 78 Tale risposta è avvalorata altresì dal già citato disposto del quinto comma dell’art. 106 T.U.F., che affida alla Consob il compito di determinare con regolamento i casi in cui il superamento della partecipazione rilevante “non comporta l’obbligo di offerta ove sia realizzato in presenza di uno o più soci che detengono il controllo” o sia determinato da altre cause. Non sembra si possa obiettare che l’esenzione di cui si sta discutendo risulterebbe arbitrariamente introdotta dall’interprete anziché - come dovrebbe avvenire, appunto - da un intervento dell’Autorità: la norma del T.U.F. testé menzionata, infatti, pare fornire una conferma a livello sistematico di quella che è la ratio della disciplina (e della promozione) dell’OPA obbligatoria, vale a dire l’esigenza di fornire agli azionisti della società l’opportunità di dismettere le rispettive partecipazioni (soltanto) a fronte di un’avvenuta acquisizione (e conseguente ricambio) del controllo, la quale va verificata - quantomeno con riferimento alla fattispecie di concerto costituita dai patti parasociali occulti (e quindi nulli) - secondo i criteri precedentemente illustrati. Se l’esito cui si è giunti può essere ottenuto, come si è cercato di dimostrare, anche in via interpretativa, non vi è dubbio che un intervento della Consob a livello di normativa regolamentare - che contempli espressamente l’esenzione di cui si è detto in caso di successo della prova liberatoria (ancora: con riferimento alla sola ipotesi dei patti nulli) - sia quantomeno opportuno, tanto in chiave ermeneutica quanto in una prospettiva sistematica.80 La questione riguardante l’ammissibilità e l’oggetto della prova liberatoria di cui i concertisti possono disporre dovrebbe, a maggior ragione, essere risolta nel senso predetto nelle ipotesi in cui la presunzione assoluta di concerto si basi sulla stipula di un patto parasociale che non riguardi l’esercizio del voto (ma pur sempre nullo, in quanto dibattito sulla riconducibilità o meno del controllo congiunto (in generale o da patto parasociale) alla nozione dell’art. 2359 c.c., come si è anticipato poc’anzi; nel caso che ci occupa, invero, si ha a che fare con patti nulli e quindi ciò che conta è unicamente il profilo dell’effettivo esercizio di un’influenza dominante da parte di coloro che, concretamente, fanno convergere le loro condotte in vista di un obiettivo comune. Interessante è anche la riflessione di una certa dottrina tedesca, che, ribadendo la rilevanza del controllo ai fini dell’obbligo di OPA, ammette esplicitamente una prova liberatoria a favore dei concertisti: così WEIß, op. cit., 134, il quale afferma che, in caso di acquisto di azioni da parte di più azionisti, “wird es ihnen in der Regel möglich sein, darzulegen, dass sie mit der Abgestimmten Erwerb, durch den sie gemeninsam die formale Kontrollschwelle erreichten, keine materielle Kontrolle über die Gesellschaft erlangt haben und die Entscheidungsgrundlage der außenstehenden Aktionäre durch den Abgestimmten Erwerb nicht beeinträchtigt wird” (ossia, deve essere concessa la possibilità di provare che nonostante il superamento della soglia “del controllo formale”, pari al 30%, in realtà i concertisti non hanno ottenuto il controllo materiale né hanno pregiudicato i presupposti su cui sono destinate a fondarsi le decisioni degli altri azionisti). Sul tema del controllo congiunto, si veda nell’ordinamento francese l’articolo L. 233-3 del code de commerce, il quale stabilisce che “deux ou plusieurs personnes agissant de concert sont considérées comme en contrôlant conjointement une autre lorsqu’elles déterminent en fait les décisions prises en assemblée générale”: riguardo a tale norma, la giurisprudenza ha eliminato ogni dubbio sul fatto che le persone fisiche possono essere controllanti oltre che concertisti (Conseil d’État, 10e et 9e sous-sect. Réunies, 6 luglio 2007, Société 2003 Productions, in Revue des sociétés, 2008, 104 ss., con nota adesiva di LE CANNU, Le contrôle d’une SAS par la mère d’une société minoritaire et par les cadres de celle-ci, ibidem, 107 ss.). 80 Tale esenzione sarebbe dunque diversa da quella - già prevista dall’art. 49 del Regolamento Emittenti che contempla l’ipotesi in cui “un altro socio, o altri soci congiuntamente, dispongono della maggioranza dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria”. 79 mantenuto segreto).81 Deve senz’altro escludersi, infatti, che i pattisti (individualmente o congiuntamente) dispongano in senso proprio di diritti di voto in grado di assicurare loro un’influenza dominante sull’assemblea ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2359 c.c. e 93 T.U.F. Tuttavia, proprio perché, come si è visto, affiora in questo ambito una nozione di controllo parzialmente differente rispetto a quella delineata da tali norme, i pattisti dovranno in ogni caso dimostrare l’assenza di una condotta omogenea in sede assembleare che, di fatto, abbia consentito loro di esercitare comunque, in via congiunta, un’influenza dominante (sull’assemblea stessa e quindi) sulla società. 82 Se quanto detto è corretto, ne deriva che la prova liberatoria dovrà avere in ogni caso il medesimo oggetto, ossia quello poc’anzi individuato. 83 Si può concludere osservando che, al contrario di quanto accade in materia di pubblicità, dove, nel rispetto dei dati normativi, i soci estranei al patto meritano la più ampia tutela consentita dai confini delle fattispecie rilevanti, l’istituto dell’OPA obbligatoria richiede che si ricerchi un diverso punto di equilibrio degli interessi in 81 Per quanto riguarda, ad esempio, i patti di consultazione, si è rilevato come la ragione della loro inclusione nell’elenco di cui all’art. 122 T.U.F. risieda con ogni probabilità nel fatto che “sovente si tratta di veri e propri sindacati di voto in forma mascherata”: così RORDORF, I patti parasociali, cit., 808. 82 E’ allora forse possibile prendere in prestito, a chiusura del ragionamento, la conclusione di chi in tempi ormai non più recenti già osservava che “l’apprezzamento dei patti di sindacato come strumenti di controllo congiunto non può essere risolto in modo aprioristico e astratto ma si colleghi ad un ponderato apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto”: queste le parole di LAMANDINI, Appunti, cit., 240, le quali acquistano ancor più valore se riferite proprio all’ipotesi del patto di sindacato nullo. 83 Peraltro, è probabile che proprio con riferimento ai patti diversi da quelli sul voto la prova liberatoria abbia maggiori probabilità di successo, posto che la scoperta di un accordo riguardante il voto in assemblea si fonderà per lo più (come accade in via generale) sul comportamento omogeneo tenuto dai pattisti in assemblea, rendendo nei fatti alquanto complicata la dimostrazione dell’assenza di un’influenza dominante. Il risultato raggiunto non implica, si badi, che i patti rilevanti per l’art. 109 T.U.F. siano in definitiva soltanto quelli che abbiano “per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla società” (così invece GIUDICI, L’acquisto, cit., 499): sia perché cosi opinando si attribuirebbe una portata generale a quella che costituisce solo una tipologia di patto parasociale di cui all’art. 122 T.U.F.; sia, soprattutto, perché questa affermazione costringerebbe ad ammettere - in chiaro contrasto, però, con la struttura delle presunzioni di cui all’art. 101-bis, comma 4bis, T.U.F. - che l’obbligo di offerta sorga soltanto se si provi ex ante che il patto occulto abbia (sempre) ad oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante. Ma tale conclusione non sarebbe sostenibile: viceversa, la scoperta, ad esempio, di un semplice patto di consultazione (ma lo stesso vale per un patto di non alienazione delle partecipazioni) accompagnato da acquisti di azioni tali da aver determinato il superamento delle soglie rilevanti basterà a determinare l’insorgenza dell’obbligo di promozione dell’offerta; spetterà, semmai, ai pattisti occulti dimostrare (come si è detto nel testo) che il loro accordo non produce (o meglio, non ha prodotto) alcun effetto in termini di influenza dominante sulla società. In base alla conclusione cui si è pervenuti, non potrà perciò mai bastare ai pattisti dimostrare, ad esempio, che si tratti di un sindacato a maggioranza e che nessuno singolarmente la detenga, oppure che si tratti di accordo sul voto all’unanimità (nonostante taluno in passato abbia argomentato che un patto di voto all’unanimità “si converte o degrada a mera consultazione” e pertanto la differenza con un patto di consultazione rischierebbe di sbiadire: IRTI, I patti di consultazione, in Riv. soc., 1991, 1377): si concederebbe, altrimenti, una facile quanto inaccettabile via per sfuggire all’obbligo di promozione dell’offerta pubblica di acquisto. E’ interessante, in chiave comparatistica, una recente pronuncia della Cour de cassation francese, la quale ha escluso le conseguenze giuridiche della fattispecie del concerto in ragione del mancato riscontro di un esercizio effettivo di influenza dominante, consistente nella capacità dei concertisti di determinare in via di fatto le decisioni prese dall’assemblea generale: Così Cour de cassation (com.), 15 mars 2011, F-D, n. 10-11.877, Sté Libération c/ Aubenas, pubblicata in Revue des Sociétés, 2011, 552 ss., con nota di LAPRADE, Concert ne rime pas toujours avec contrôle, ibidem, 554 ss.; cfr. anche il commento di BOMPOINT, Concert n’est pas nécessairement contrôle, in BJB, 2011, 431 ss. Nella nostra letteratura, un breve commento è offerto da ARDIZZONE, Una sentenza della Cour de cassation (com.) francese sull’acquisto di concerto, in Riv. soc., 2011, 1344 ss. 80 gioco, che presuppone la verifica di un effettivo e significativo accadimento che interessi le dinamiche del controllo societario; questa necessità si impone non soltanto in considerazione delle gravose conseguenze giuridiche che discenderebbero in capo ai pattisti, ma anche, si noti, proprio in ragione del diverso atteggiarsi delle esigenze di tutela dei soci estranei al patto, giacché solo un evento che incide in maniera effettiva sul controllo della società può davvero giustificare una “via d’uscita” dalla stessa, resa appunto possibile dall’offerta pubblica di acquisto.84 5. Segue: possibili obiezioni all’ammissibilità della prova liberatoria e loro critica. Si presenta a questo punto la necessità di togliere spazio a prevedibili obiezioni circa la possibilità di dare ingresso alla prova liberatoria di cui si è detto, fondata sull’assenza dell’effettivo esercizio di un’influenza dominante. Al contrario di quanto potrebbe a prima vista sembrare, va osservato innanzitutto che essa non è in contrasto con la presunzione assoluta di concerto di cui all’art. 101bis, comma 4-bis, T.U.F.: questa, infatti, in presenza di un patto parasociale di cui all’art. 122 T.U.F., rimane ferma, ma il fatto che sia riscontrabile la sussistenza di un concerto (nonché l’ulteriore presupposto dell’obbligo di offerta di cui all’art. 109 T.U.F., vale a dire il superamento della soglia rilevante in seguito ad acquisti di azioni) significa soltanto che si è presenza di un accordo (semplicemente) “volto” all’acquisto o al rafforzamento del controllo, ma non esclude affatto che tale obiettivo non venga in concreto raggiunto o che comunque le corrispondenti condotte attuative non siano state poste in essere; casi, questi ultimi, in cui l’obbligo di promozione dell’offerta non appare più giustificato. Le conclusioni raggiunte valgono naturalmente anche con riferimento allo scopo di “contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio”, sebbene l’argomentazione sia stata sin qui condotta con lo sguardo rivolto all’ipotesi più rilevante e problematica, quella appunto dell’esercizio del controllo: del resto, il comune intento di opporsi ad un’offerta pubblica di acquisto può ben costituire un esempio particolare di (accordo volto al) mantenimento o rafforzamento del controllo (già esistente). In ogni caso, essendo i due possibili obiettivi del patto contemplati come alternativi dal quarto comma dell’art. 10184 Vi è un ulteriore ragionamento che può supportare le riflessioni sin qui svolte. Come la dottrina ha osservato (CARIELLO, Dal controllo congiunto, cit., 30) il problema dell’imputazione del controllo congiunto (quale senz’altro è quello eventualmente derivante da patti parasociali nulli) pone, in relazione ad ogni singola disciplina di riferimento, di fronte alla seguente alternativa: “si allude all’imputazione del controllo in via ‘indifferenziata’ o ‘automatica’ (vale a dire, in nome della semplice partecipazione alla coalizione di controllo e/o della sua concreta attuazione, a prescindere dalla sua disponibilità) ovvero ‘selettiva’ (e cioè, in ragione della disponibilità del potere di influenza qualificata, indipendentemente dalla sua attuazione)”. Ora, il patto parasociale nullo rende impraticabile la seconda opzione, in quanto la mancanza di effetti giuridici derivanti dall’accordo impedisce di ragionare in termini di “disponibilità” del controllo congiunto, nel senso di disponibilità da parte di taluno dei pattisti anche dei diritti di voto spettanti agli altri: pertanto, al fine di verificare la sussistenza di una fattispecie di controllo congiunto da patto parasociale nullo non si potrà che fare riferimento all’effettiva attuazione dello stesso, ossia al concreto esercizio di un’attività ad esso corrispondente. 81 bis T.U.F., se ne possono ricavare due corollari: per un verso, risulta ulteriormente confermato l’assunto secondo cui la prova dell’effettivo acquisto del controllo non è in prima battuta necessario perché risultino integrati i requisiti della presunzione di concerto e quindi sorga l’obbligo di offerta; per altro verso, i concertisti potrebbero essere costretti a provare non solo l’assenza in concreto di un evento significativo ed incisivo sul piano delle dinamiche inerenti il controllo della società, ma anche che l’accordo non ha prodotto in concreto alcun effetto in termini di contrasto ad un’offerta pubblica di acquisto (qualora ovviamente ne sia già stata promossa una). La soluzione proposta non sembra contraddire nemmeno la natura e l’operatività delle sanzioni comminate dal legislatore per il caso in cui il patto parasociale afferente ad una società quotata rimanga segreto. In primo luogo, non si può non richiamare la circostanza che l’art. 101-bis, comma 4-bis, T.U.F. prevede, come più volte detto, che il concerto sia presunto anche nel caso di patto parasociale nullo: se ne potrebbe inferire che sia proprio tale previsione ad impedire di spendere l’argomento della nullità per sostenere la parziale inutilizzabilità della nozione di controllo che scaturisce dagli artt. 2359 c.c. e 93 T.U.F. In realtà, con tale disposizione il legislatore si è evidentemente preoccupato di prevenire elusioni, specialmente in relazione a quei patti che sono nulli proprio in quanto occultati, giacché anche questi potrebbero essere messi in atto e dunque garantire un risultato di fatto analogo a quello di un patto valido. Ma proprio questo dimostra che l’aspetto centrale di tale disciplina (a fronte della presenza di patti occulti, si intende) finisce per essere l’imprescindibile analisi concreta della realtà di fatto; aggiungasi che la comprensibile attenzione del legislatore per le eventuali condotte elusive non toglie che, per converso e proprio perché il patto è nullo, ad esso le parti non diano seguito e si astengano dall’imporre di fatto un’influenza dominante. Pertanto, non si vedono particolari ragioni per impedire loro - pur se integrati i presupposti di operatività della presunzione legale - di fornire la prova liberatoria avente tale oggetto (a maggior ragione, come si è detto, a fronte di accordi che non riguardano il diritto di voto, rispetto ai quali essa avrebbe certamente migliori probabilità di successo). Una più ampia riflessione viene richiesta dall’altra risposta fornita dal legislatore sul piano sanzionatorio, vale a dire il divieto di esercizio del diritto di voto relativo alle azioni quotate coinvolte nel patto non comunicato (o meglio, alle “azioni quotate per le quali non sono stati adempiuti gli obblighi previsti dal comma 1”, come si esprime l’art. 122 T.U.F.). Ci si potrebbe chiedere, infatti, se tale circostanza non determini il venir meno del significato della prova liberatoria di cui si è detto, non potendo i pattisti votare per le loro azioni in seguito alla scoperta del patto occulto e, conseguentemente, venendo essi a perdere comunque ogni possibilità di esercitare - anche in via di fatto - il controllo sulla società. Tale conclusione non potrebbe però essere accettata per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, l’obbligo di promozione di un’offerta pubblica di acquisto ha a che fare, come di consueto si rileva, con un avvenuto ricambio del controllo o comunque con vicende che abbiano (già) inciso sulle dinamiche del controllo societario. Da questo punto di vista, la prova liberatoria può avere successo - e prima ancora, essere fornita - se (e solo se) i concertisti dimostrano di non aver mai tenuto (in 82 passato, quindi) una condotta omogenea (tipicamente, in assemblea) che, nonostante il divieto di esercizio del voto nascente dall’occultamento del patto, abbia loro permesso di esercitare congiuntamente in via di fatto un’influenza dominante sulla società. 85 In secondo luogo, la prospettata obiezione non potrebbe essere accolta anche in quanto vi sono buoni motivi per ritenere che (contrariamente a quanto la stessa implicitamente presuppone), una volta scoperto il patto inizialmente occultato, gli aderenti possano recuperare l’esercizio del diritto di voto in assemblea 86. Appare preferibile, infatti, ritenere che in ogni ipotesi di emersione di un patto nullo in quanto inizialmente celato dunque, anche in caso di pubblicazione spontanea tardiva ad opera degli aderenti - gli azionisti che ne fanno parte possano riacquistare la legittimazione all’esercizio del voto in assemblea: vuoi in quanto tale misura sanzionatoria (o forse sarebbe meglio dire cautelare) ha significato solo là dove gli altri soci non siano a conoscenza dell’accordo in sede assembleare e, quindi, affonda le sue radici in un deficit di trasparenza; vuoi in quanto tale soluzione potrebbe rappresentare un incentivo proprio alla manifestazione 85 E’ ovvio, del resto, che i pattisti non potrebbero comunque provare che in futuro non porranno in essere condotte attuative del patto o comunque corrispondenti all’esercizio del controllo. Naturalmente, come già si è detto (cap. I, § 9), qualora accada che, nonostante la prova dell’insussistenza di una (pregressa) influenza dominante, i concertisti tengano successivamente un comportamento omogeneo corrispondente al patto originariamente stipulato (specialmente se di voto), sarà più agevole la prova della sua persistente vigenza (o della conclusione di un ulteriore accordo dal contenuto analogo): ciò innescherà le conseguenze previste dalla legge, togliendo probabilmente a quel punto spazio, in concreto, al successo della prova liberatoria. 86 Non vi dovrebbero invece essere dubbi sul fatto che medio tempore il diritto di voto non possa essere esercitato: si vedano, ex plurimis, TUCCI, Patti parasociali; MEO, Le società, cit., 112-113; ANGELICI, Le “minoranze” nel decreto 58/1998: “tutela” e “poteri”, in Riv. dir. comm., 1998, 224; CIAN, op. cit., 735; KUSTERMANN, Osservazioni, cit., 912; PINNARO’, op. cit., 814. A tale conclusione perviene anche MACRI’, Patti parasociali, cit., 172, il quale afferma a chiare lettere che “la stipulazione del patto importi la sospensione del diritto di voto finché non vengano adempiuti gli obblighi pubblicitari”. La sanzione, infatti, opererebbe attraverso l’impugnabilità della delibera adottata con il voto determinante dei parasoci e quindi potrebbe essere messa in pratica anche prima del decorso dei termini per provvedere alla pubblicità. E v., più di recente, anche CHIONNA, op. cit., 62; nonché, con riferimento all’analoga sanzione prevista dal T.U.B. per l’omessa comunicazione alla Banca d’Italia, BENOCCI, Sub art. 24, in Testo unico bancario, Commentario a cura di M. Porzio, F. Belli, G. Losappio, M. Rispoli Farina, V. Santoro, Milano, 2010, 242; ANTONUCCI, op. cit., 342. Diversamente orientati RESCIO, Gli strumenti di controllo, cit., 68-69 (nt. 35), il quale ritiene che la sanzione non potrebbe essere applicata in pendenza dei termini per provvedere alla pubblicità, “in quanto nessuna violazione di quegli obblighi può dirsi (ancora) realizzata”; SEMINO, Il regime di pubblicità, cit., 1462; nonché BLANDINI, Sul requisito di forma, cit., 59 (nt. 24). Di diverso avviso rispetto alla posizione accolta nel testo inoltre RIOLFO, I patti parasociali, Padova, 2003, 241. Tale differente ricostruzione non pare poter essere condivisa, non solo e non tanto per l’impossibilità di estendere le disposizioni codicistiche alle società quotate (cfr. cap. I, § 2, ove si è detto del resto che anche nelle quotate il patto dovrebbe essere comunicato alla società al più tardi in occasione della prima assemblea successiva in pendenza del termine di cinque giorni), ma anche perché, come efficacemente osservato, a seguire questa tesi “si giungerebbe all’assurdo di elevare ad oggetto di tutela delle norme de quibus non già la pronta conoscibilità dei patti [...] quanto invece il mero rispetto di una serie di obblighi procedimentali”: in questi termini PROVERBIO, op. cit., 175. Infatti, ragionando diversamente si finirebbe per riconoscere ai parasoci (in maniera probabilmente non accettabile) la possibilità di votare tenendo gli altri azionisti all’oscuro dell’accordo fintanto che i termini per provvedere alla pubblicità non sono trascorsi; conclusione, questa, che pare scontrarsi frontalmente con l’obbligo di dichiarazione dei patti in apertura di assemblea previsto dal codice civile, ma che può parimenti valere con riferimento alle società quotate, specie se si accoglie l’idea (testé ricordata) secondo cui anche in queste ultime la comunicazione alla società dovrebbe avvenire al più tardi nella prima assemblea successiva (quand’anche i termini per la pubblicità siano ancora pendenti). 83 esteriore (quand’anche tardiva) del patto, nonostante questo sia colpito da nullità insanabile.87 Infine, l’approccio qui suggerito circa l’ammissibilità della prova liberatoria potrebbe risultare indebolito dall’osservazione che in presenza di un patto valido (di qualsiasi tipo) nessuno si sentirebbe di ammettere una sorta di prova contraria a 87 La tesi dell’insanabilità della nullità in questione è senz’altro preferibile perché, come diversi autori hanno sottolineato, se la sanzione avesse rimedio gli aderenti non avrebbero alcun interesse ad un’immediata pubblicizzazione dell’accordo e vi provvederebbero soltanto nel momento in cui taluno di essi intendesse farlo rispettare e, quindi, far valere la sua vincolatività: si vedano ad esempio, ex multis, TUCCI, Patti parasociali, cit., 176, il quale ha scritto che la nullità insanabile “consente di colpire i patti occulti in modo più incisivo [...] obbligando tutti a una nuova stipulazione, seguita dall’adempimento degli obblighi di pubblicità”; SEMINO, Brevi spunti, cit., 279; TORINO, I contratti parasociali, cit., 481; nonché, ancor prima, RESCIO, I sindacati di voto, cit., 723-724; ma anche, con immagine particolarmente efficace, CASTELLANO, Il sindacato Gemina, in Giur. comm., 1985, I, 580: “vi sono, in natura, animali o piante che riusciamo a vedere soltanto in circostanze particolari. Tale è la sorte dei patti parasociali: se ne conoscono l’esistenza e il contenuto quando fra i parasoci sorga controversia non definibile nel riserbo di un arbitrato, ovvero quando la convenzione appaia sprigionare effetti di natura politica.” Per l’opinione della sanabilità della nullità si vedano però ATELLI, op. cit., 673; DESANA, Nota a Trib. Como 31 gennaio 2000 (decr.), in Giur. it., 2001, I, 338 (e la pronuncia giurisprudenziale annotata, pubblicata anche in Dir. prat. soc., 2000, n. 7, 63 ss., con nota di BASSI, Nullità sanabile dei patti parasociali viziati da tardivo adempimento; in Società, 2000, 858 ss., con nota di TUCCI, Contratti di collocamento, patti parasociali e nullità sopravvenuta per omessa pubblicità; nonché in Notariato, 2000, 447 ss., con nota di MINUSSI, I patti parasociali nelle società quotate). La nullità insanabile non è in conflitto con la possibilità per i paciscenti, in caso di adempimento tardivo, di recuperare la legittimazione ad esercitare il diritto in assemblea: cfr. in tal senso COSTI, I patti parasociali, cit., 128; MEO, Le società, cit., 114, secondo cui la recuperabilità del diritto di voto in seguito alla pubblicazione tardiva prescinde dalla soluzione della questione circa la sanabilità o meno della nullità; CIAN, op. cit., 738, il quale ritiene peraltro che al semplice fine di recuperare l’esercizio del voto sarebbe sufficiente la comunicazione alla Consob. Recenti pronunce giurisprudenziali hanno affermato che “anche in relazione ai patti nulli o comunque inidonei a produrre effetti sussiste l’obbligo di comunicazione, che decorre in ogni caso dalla stipula, eventualmente anche orale o perfezionata per facta concludentia, considerata la previsione normativa che estende l’obbligo ai patti in qualunque forma stipulati”: così App. Genova, 19 dicembre 2009, cit., 588. Analog. App. Bologna, 27 gennaio 2010, cit., che ha parlato però più specificamente di inidoneità “a produrre effetti rilevanti ai sensi dell’art. 122 T.U.F.” (in dottrina, v. RESCIO, Gli strumenti di controllo, cit., 58, nt. 10, il quale condivisibilmente osserva che anche i patti nulli “esplicano una rilevanza di fatto sulla vita della società”). E’ vero che tale asserto delle Corti si riferisce ai patti nulli ab origine per vizi diversi dall’omessa pubblicità; esso tuttavia pare condivisibile anche nella più specifica prospettiva che qui interessa: la nullità del patto, da ritenersi insanabile una volta decorsi i termini fissati dalla legge per gli adempimenti pubblicitari, non esclude l’interesse degli altri soci e del mercato a venire a conoscenza di un accordo che potrebbe in via di fatto essere eseguito dai paciscenti. Per tali rilievi cfr., di recente, CHIONNA, op. cit., 66; nonché, espressamente, SEMINO, Brevi spunti, cit., 277, il quale ha evidenziato che “questa imprescindibile esigenza di informazione da parte del mercato è del tutto slegata dalla eventuale nullità degli accordi o dalla loro vincolatività giuridica ed esiste nel momento in cui i patti parasociali sono comunque in grado di influenzare le decisioni societarie se non come contratti come meri fatti”. Né si potrebbe obiettare che il persistente obbligo di portare il patto - già irrimediabilmente colpito dalla nullità - a conoscenza dei terzi, sia sprovvisto di un’adeguata ulteriore sanzione e rischierebbe dunque di rimanere una “pistola scarica”: invero, a svolgere una funzione deterrente può ben provvedere proprio il divieto di esercizio del diritto di voto inerente alle azioni dei paciscenti, destinato ad operare solo fin tanto che l’accordo mantenuto segreto non venga portato alla luce. In sintesi, il divieto di prendere parte alle votazioni assembleari è una misura sanzionatoria - o meglio, cautelare - in grado di svolgere due funzioni: (i) quella di incentivo ad una pubblicazione, anche tardiva, del patto; (ii) quella di evitare che il patto possa essere di fatto eseguito in mancanza di una piena disclosure, spirato o meno che sia il termine di cinque giorni per la pubblicazione. Certamente, la seconda funzione vale (soltanto) con riferimento ai sindacati di voto; ma, a parte il fatto che essi sono quelli che potrebbero determinare l’esercizio (anche congiunto e in via di fatto) del controllo, per gli altri tipi di patti può rimanere fermo quanto testé osservato sub i): sul punto v. anche TUCCI, Patti parasociali, cit., 179. 84 beneficio dei pattisti, di tal che sarebbe inammissibile una distinzione in tal senso tra le diverse fattispecie rilevanti. Tuttavia, a parte il fatto che nel caso in cui si tratti di un patto di voto (valido, appunto) potrebbe risultare integrata proprio la fattispecie del controllo di cui all’art. 93 T.U.F., negli altri casi rimarrebbe comunque la possibilità di dimostrare, a mente dell’art. 106, comma 5, T.U.F., che il controllo non è stato raggiunto; questa norma fornisce, come si è detto, un’indicazione di ordine sistematico che, con riferimento ai patti occulti (e dunque nulli), suggerisce di ritenere che la prova liberatoria possa avere anche un diverso oggetto.88 6. Segue: ulteriori profili di rilevanza dello scopo di acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società (o di contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio). Fermo restando quanto precede, la rilevanza dei risvolti sul controllo della società che il patto parasociale sotteso al concerto spesso presenta può svolgere una funzione importante ai fini della soluzione delle problematiche poste dal tessuto normativo in esame anche sotto un diverso profilo. Si è già sottolineata la difficoltà di distinguere, in concreto, gli accordi perfezionatisi per fatti concludenti dalle collusioni tacite e dai semplici comportamenti inconsapevolmente paralleli. Ebbene, la prova dell’esistenza di un patto parasociale occulto (e, per questa via, della sussistenza di un’azione concertata rilevante ai sensi degli artt. 101-bis e 109 T.U.F.) potrà basarsi non solo sulla continuità delle condotte riscontrate, ma anche sulla natura e sulla stabilità dei loro potenziali effetti89. Se tale assunto è corretto, esso potrà valere in ogni caso di prova di un patto parasociale mantenuto segreto, dunque (non solo nell’ambito di un’OPA obbligatoria, ma, prima ancora) anche ai fini dell’irrogazione delle sanzioni per omessa pubblicità di cui all’art. 122 T.U.F. Questa idea non era parsa condivisa dalla Consob allorché, nell’atto di accertamento del patto parasociale stipulato da BPI con altri soggetti al fine di ottenere il controllo di Antonveneta, aveva affermato che “la comunanza dell’intento negoziale dei diversi soggetti che procedono all’acquisto […] implica l’esistenza di un concerto 88 Se poi si volesse concludere, in base all’intero ragionamento sin qui svolto, che anche a fronte di patti validi diversi da quelli sul voto dovrebbe essere concessa la prova liberatoria nei termini indicati, troverebbe probabilmente una solida base la critica espressa dall’Assonime nella citata circolare n. 4/2010 circa la previsione, nella fattispecie dell’OPA obbligatoria da concerto, di patti aventi oggetto diverso dall’esercizio del voto e dunque in ogni caso inidonei ad assicurare il controllo della società. 89 La conclusione prospettata nel testo pare rappresentare in qualche modo la sintesi della risultante del pensiero di due illustri autori: da un canto, PAVONE LA ROSA, I patti parasociali, cit., 11, ha ritenuto che la concordanza del voto espresso in assemblea tra azionisti, quand’anche di riferimento, non sia circostanza sufficiente a rivelare l’esistenza di un patto parasociale, anche in ragione del rilievo che è normale una qualche forma di consultazione tra azionisti nell’imminenza dell’assemblea; diversamente dovrebbe dirsi, invece, “nell’ipotesi che la ‘consultazione’ assuma le dimensioni di una prassi abituale o addirittura costante”. Interessante, poi, lo spunto contenuto nelle riflessioni di LIBONATI, Sindacato di voto, cit., 115, là dove l’illustre Autore osservava che “i sindacati di voto possono (e devono) essere valutati non solo per gli effetti che direttamente producono [...] ma anche per le premesse che li giustificano e per gli effetti indotti.” 85 tra gli stessi soggetti”90: come è lecito ritenere, peraltro, tale “intento negoziale”, anche nella prospettiva assunta dall’Autorità, non potrebbe certo essere costituito unicamente dal comune intento di acquistare azioni sul mercato, bensì anche dalla comunanza dello scopo di giungere - mediante, appunto, un’azione concertata - a quell’ulteriore obiettivo rappresentato dall’acquisizione del controllo della società “bersaglio” (nel caso di specie, Antonveneta). Ferma dunque la necessità che, ai fini dell’obbligo di OPA, vi siano acquisti di azioni che conducano al superamento - anche da parte di più soggetti congiuntamente - delle soglie di partecipazione rilevanti, seguendo il ragionamento dell’Autorità se ne dovrebbe inferire che: (i) la finalità del raggiungimento del controllo della società vada intesa alla stregua di un elemento soggettivo della fattispecie; (ii) che la prova dell’esistenza di un patto parasociale (e dunque di un concerto, come risulta anche dalle parole della Consob) venga raggiunta proprio attraverso la dimostrazione (in via presuntiva, naturalmente) del comune intento finalistico dei partecipanti all’accordo. Tale prospettiva “soggettivistica”, in realtà, non convince. Si sono già indicate nel capitolo precedente (sebbene con specifico riferimento alla finalità di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società) le ragioni per cui il profilo teleologico dell’accordo parasociale debba essere valutato in termini effettuali ed oggettivi. Le considerazioni svolte in quella sede acquistano una valenza ancor maggiore nel presente contesto: come emerso anche nel paragrafo che precede, il profilo centrale della disciplina del concerto e dell’OPA obbligatoria risulta essere, specialmente nel caso di patti parasociali occulti e quindi nulli, la verifica della presenza di una compagine di azionisti in grado di esercitare effettivamente il dominio della società (o, in alternativa, di opporsi efficacemente ad un’offerta pubblica già promossa). Le esigenze di “tenuta” del sistema impongono, quindi, di attribuire un peso decisivo all’osservazione della realtà in cui le condotte dei pattisti si manifestano e sui risvolti pratici che esse mostrano di avere. Più di recente, del resto, la stessa Consob pare essersi implicitamente avvicinata all’impostazione qui ritenuta preferibile: ha affermato infatti l’Autorità - per quanto con specifico riferimento ad un patto volto primariamente a stabilizzare gli assetti proprietari della società - che la valutazione della parasocialità dell’accordo può essere ricavata dalla valutazione degli effetti obiettivamente prodottisi e, inoltre, che “non occorre, dunque, ai fini della configurabilità del patto parasociale che la finalità dello stesso, ossia la cristallizzazione degli assetti proprietari, sia perseguita da entrambi i paciscenti, ma che il patto risulti ‘oggettivamente funzionale’ a tale scopo, così come rilevato nelle motivazioni dell’atto di accertamento Consob relativo al patto parasociale denominato “Spot Hedge” tra Deutsche Bank e Unipol, avente ad oggetto azioni Banca Nazionale del Lavoro (delibera n. 15259 del 23 dicembre 2005).”91 90 Cfr. nuovamente l’atto di accertamento allegato alla delibera Consob n. 15029 del 10 maggio 2005, cit. Così la delibera n. 16326 del 30 gennaio 2008, in www.consob.it (poi annullata dal Tar Lazio, 8 ottobre 2008, n. 8835, a sua volta in parte riformata da Cons. Stato, sez. VI, 2 dicembre 2009, n. 1144). La vicenda è ben riassunta nel corpo della delibera stessa, ove si legge: “nel caso di specie, gli accertamenti effettuati hanno evidenziato l’esistenza di un accordo tra il Dott. Lotito e l’Arch. Mezzaroma finalizzato all’acquisto ed al mantenimento in capo a quest’ultimo, per un certo lasso di tempo, del 14,61% circa del capitale della Lazio. Un tale accordo ha avuto quale effetto oggettivo la sottrazione dal mercato della partecipazione posta in vendita da Capitalia, che, in mancanza dell’acquisto di Mezzaroma, avrebbe 91 86 Se la prospettiva qui delineata è corretta, il ragionamento ad essa sotteso può fondatamente ripetersi anche con riferimento al quarto comma dell’art. 101-bis T.U.F., secondo cui, come si è visto, l’accordo che si traduce in un’azione concertata deve essere “volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società emittente o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto”: il medesimo criterio poc’anzi descritto, in altre parole, dovrebbe valere anche per l’ipotesi della prova diretta di un concerto, che non dovesse cioè poggiare sulla presunzione legale a sua volta fondata sull’esistenza di un patto parasociale. Anche prima dell’entrata in vigore del T.U.F., del resto, vi era chi - con parole sorprendentemente precorritrici delle attuali norme - affermava: “l’esercizio del controllo congiunto può inoltre rappresentare l’effetto dell’agire concertato di più soggetti (quindi, la o una manifestazione dell’esistenza di un accordo diretto a realizzare una politica comune nei confronti della società partecipata) e in quanto tale assumere rilevanza nell’ambito di discipline rispetto alle quali a provocare il sorgere dell’obbligo di offerta pubblica è anche l’azione di concerto intesa all’acquisizione del controllo di società quotate”.92 A questo punto, sulla scorta del ragionamento sin qui svolto, potrebbe forse sorgere il dubbio circa il rischio di una sorta di “corto circuito” interpretativo e, di conseguenza, applicativo. Potrebbe, cioè, apparire a prima vista paradossale la sequenza logica in base alla quale la prova dell’esistenza di un patto parasociale potrebbe muovere da indizi quali l’effettiva attuazione di una dominazione della società (o di un contrasto ad un’offerta pubblica), da cui si giunga alla presunzione di concerto ex art. 101-bis, comma 4-bis T.U.F. e di qui, se vi sono acquisti di azioni, all’obbligo di lancio dell’OPA, rimanendo tuttavia pur sempre aperta (come si è sostenuto) la possibilità per i pattisti di provare l’assenza di un effettivo e concordato esercizio di influenza dominante (o l’innocuità dell’azione volta a contrastare un’offerta pubblica). In realtà, l’apparente incongruenza può trovare, a ben vedere, una possibile spiegazione. Se si pone mente alla riflessione svolta nel paragrafo precedente, si ricorderà che la presunzione legale assoluta di concerto opera anche in presenza di accordi diversi da quelli aventi ad oggetto l’esercizio del voto in assemblea e, pertanto, inidonei di per sé soli ad assicurare il controllo della società. In casi simili, il problema non si pone potuto essere, oltre che ceduta a terzi, riversata sul mercato, ovvero mantenuta da Capitalia e gestita con modalità differenti e, quindi con una maggiore partecipazione alla vita societaria.” E ancora: “la sussistenza di un tale effetto oggettivo di sottrazione dal mercato di una determinata partecipazione azionaria, considerato congiuntamente all’entità di tale partecipazione [...] nonché alla possibilità per i paciscenti di determinare a loro piacimento il momento in cui promuovere l’OPA obbligatoria sul capitale della Lazio, determina una valutazione in termini di parasocialità dell’accordo, senza che sia necessaria a questi fini la prova dell’esistenza di un soggetto determinato ad effettuare una scalata ‘ostile’ della società” (corsivo aggiunto). L’idea secondo cui l’esistenza di un concerto possa essere desunta dalla vocazione del tentativo degli agenti - concretamente riscontrabile - alla conquista del controllo della società, è emersa anche nella dottrina francese: così LAPRADE, Affaire Gecina, cit., 118. 92 Così CARIELLO, “Controllo congiunto”, cit., 142 (nt. 121), il quale, pur riferendosi precipuamente a esperienze straniere, svolgeva come si vede una riflessione che ben si attaglia alla formulazione attuale della norma in tema di obbligo di offerta pubblica sulla base di un’azione concertata. Una prospettiva analoga a quella qui proposta è stata adottata, pare, anche dallo UK Takeover Panel, il quale ha di recente evidenziato che uno dei principali criteri per accertare la sussistenza (o la persistenza) di un concerto è verificare “whether the parties have been successful in achieving their stated objective” (cioè “se le parti hanno avuto successo nella realizzazione degli obiettivi che si erano prefisse”): cfr. The Takeover Code, cit., § 2. 87 giacché è evidente il significato della prova liberatoria e del relativo oggetto, come già definito: tali patti, invero, non verranno alla luce sulla base dell’effettivo esercizio di un’influenza dominante (congiunta), che passa viceversa attraverso l’omogeneo esercizio del voto in assemblea. Proprio per tale ragione l’apparente incongruenza descritta sembra emergere, piuttosto, allorché sia stato riscontrato un patto di voto. Con riguardo a tale ipotesi, può però osservarsi quanto segue: o la prova dell’esistenza dell’accordo è raggiunta senza fare leva (il che è pur sempre possibile) sulle concrete condotte assembleari dei pattisti, tramite le quali il gruppo di soci sia addivenuto in fatto all’esercizio (congiunto) del controllo, e allora anche in tal caso la prova liberatoria di cui si è parlato conserverebbe il suo pieno spazio e significato; altrimenti, l’apparente aporia non può che risolversi prendendo semplicemente atto della concreta maggiore difficoltà (o, più probabilmente, impossibilità) di successo - in questo specifico caso della prova contraria stessa. Quanto, invece, al patto volto a contrastare un’offerta pubblica di acquisto o di scambio, la prova liberatoria non potrà basarsi (semplicemente) sull’assenza di condotte continuate, perché in questo caso anche una condotta puntuale in attuazione dell’accordo potrebbe senz’altro rivelarsi sufficiente allo scopo93: se la prova dell’esistenza del patto si è basata (anche) sul tipo di effetti (concreti) da esso prodotti, non vi sarà probabilmente spazio per la prova liberatoria. Tuttavia, è bene sottolinearlo, ciò non implica affatto la generale inammissibilità della stessa: si tratta semplicemente di constatare la pressoché totale mancanza di sue concrete chances di successo in determinate ipotesi. 7. Il valore dei gentlemen’s agreements nella disciplina del concerto e dell’opa obbligatoria. Sembra che a questo punto dell’indagine possa essere fornita piuttosto agevolmente una risposta all’ulteriore quesito se, al di là dei profili riguardanti la trasparenza, anche i c.d. gentlemen’s agreements possano costituire una tipologia di accordi in grado di dare vita ad un concerto e, in definitiva, a far scattare l’obbligo di promozione di un’offerta pubblica. E’ da dire innanzitutto che esiste un orientamento secondo cui essi possono essere assimilati soltanto ai casi di parallelismo di comportamenti potenzialmente idoneo a costituire un indice presuntivo di un patto parasociale nullo, verosimilmente perfezionatosi per fatti concludenti (o di un’ipotesi di c.d. collusione tacita).94 Questa tesi appare però errata e del tutto inconducente: non è chi non veda, infatti, come l’apprezzamento degli accordi con risvolti e vincoli soltanto morali o sociali si collochi sul piano degli effetti del rapporto instaurato. Per un verso, dunque, i comportamenti c.d. paralleli non sono verosimilmente in grado, di per sé considerati, di svelare alcunché circa la natura degli effetti che il presunto accordo ad essi sottostante è 93 Il pensiero corre alle decisioni che anche l’assemblea potrebbe dover prendere in pendenza dell’offerta: cfr. la disciplina contenuta negli artt. 104 e 104-bis T.U.F. 94 Sul punto, cfr. VENTURINI, I patti parasociali, cit., 600-601. 88 destinato, nell’intenzione degli stipulanti, a produrre nelle rispettive sfere individuali; per altro verso, l’individuazione di un patto occulto che si configuri come gentlemen’s agreement presuppone comunque l’assolvimento della relativa prova, fondata (questa sì) sui comportamenti dei pattisti ed anche su ulteriori elementi indiziari. E’ chiaro dunque come il medesimo gentlemen’s agreement non possa qualificarsi, esso stesso, alla stregua di un indizio. Occorre, allora, volgere l’attenzione a profili affatto differenti. La dottrina tedesca è pressoché unanime nel constatare che anche siffatto genere di accordi venga in considerazione (oltre che nell’ambito degli obblighi di comunicazione, anche) ai fini dell’applicazione della disciplina del concerto e dell’offerta pubblica di acquisto.95 Proprio in quest’ultimo contesto, la “nostra” giurisprudenza sembra aver implicitamente aperto alla rilevanza di questa tipologia di intese allorché, richiamando un indirizzo espresso in dottrina, ha rilevato la necessità che un patto - ancorché nullo (perché, ad esempio, non pubblicato nell’ipotesi in cui si riferisca a società quotate96) - debba essere caratterizzato dalla “vincolatività dell’accordo per le parti, indipendentemente dalla giuridica validità e dalla stessa efficacia dell’obbligo”97; stando a questo passaggio, se ne potrebbe evincere che sia sufficiente una vincolatività di ordine sociale o morale. Tuttavia, non sembra possibile ricavare soluzioni sicure dalle parole dei giudici testé riportate. E’ certo, infatti, che un gentlemen’s agreement non possa comunque essere considerato vincolante (quantomeno in senso giuridico), ma soprattutto rimane il dubbio che la pronuncia giurisprudenziale richiamata abbia inteso ribadire la necessità che l’accordo abbia pur sempre la pretesa di regolare giuridicamente le condotte degli aderenti, quand’anche si riveli poi (in concreto) invalido o inefficace, eventualmente a causa della sua mancata pubblicazione. La soluzione al quesito sembra quindi dover passare per un diverso ordine di riflessioni. In particolare, si presenta anche in questo caso l’esigenza di ridurre al minimo il rischio di elusioni della disciplina, che potrebbe consigliare di ricomprendere nelle nozioni di “accordo” o di “patto parasociale” rilevanti anche gli accordi la cui sanzione consisterebbe soltanto in una riprovazione di ordine morale, o, per meglio dire, in una censura da parte della comunità finanziaria.98 Del resto, sebbene sia certamente vero che l’adempimento di un siffatto genere di pattuizioni non sia giuridicamente coercibile, è altrettanto corretto rilevare che esse potrebbero ciononostante essere concretamente attuate, garantendo magari agli aderenti la possibilità di determinare in 95 Con particolare riguardo al § 30, Abs. 2, si vedano per tutti SCHÜPPEN-WALZ, op. cit., 652; HAMANN, op. cit., 1089 e 1091, il quale osserva che il dominio della società può essere ottenuto anche con intese o azioni comuni che non siano formalmente e giuridicamente vincolanti, precisando che non è necessario che gli interessati siano in grado di imporre in via di fatto l’uno all’altro l’osservanza dell’intesa. La dottrina francese, viceversa, pare orientata diversamente, allorché nota che mentre nel diritto della concorrenza (anche di matrice comunitaria) rileva qualsiasi genere di accordi, vincolanti anche solo da un punto di vista fattuale o morale, sarebbe qui ravvisabile una differenza con la nozione di concerto: così LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 439. 96 Come anche la Consob ha rilevato, “il caso tipicamente preso in considerazione dall’art. 109 t.u.f. è […] proprio quello nel quale non siano stati adempiuti gli obblighi legali di pubblicità”: così Comunicazione del 12 ottobre 2000, n. 75252, cit. In tal senso anche BAGLIONI, op. cit., 1045. 97 Così App. Genova, 19 dicembre 2009, cit., 589. 98 L’esigenza di evitare agevoli elusioni in materia è sottolineata a più riprese anche dagli autori tedeschi: cfr. ad es. SCHOCKENHOFF-SCHUMANN, op. cit., 584. 89 via congiunta l’esercizio del controllo della società - o comunque di incidere sulle vicende che lo riguardano - in maniera non differente da quanto può avvenire in base ad un patto parasociale (originariamente pensato per essere giuridicamente vincolante e tuttavia) nullo. Anche in questa prospettiva, quindi, viene in evidenza il tratto centrale dell’ambito normativo di cui ci stiamo occupando, vale a dire la necessità di verificare se il programma portato avanti dai concertisti consenta loro l’esercizio - in via congiunta e in concreto - di un’influenza dominante sulla società. Proprio per le ragioni indicate, pare più ragionevole riconoscere la rilevanza dei gentlemen’s agreements anche nella disciplina del concerto e dell’OPA obbligatoria.99 Certo, nel caso dei patti che vengano mantenuti segreti (e che, pertanto, siano da qualificare come nulli), è probabile che non si riscontrino significative variazioni, in quanto ad oneri probatori e quindi da un punto di vista pratico, nella posizione di chi intenda giungere all’accertamento dell’esistenza dell’intesa occulta: come si è detto, questo si fonderà eminentemente sulla condotta tenuta dai presunti pattisti e, conseguentemente, non risulterà particolarmente significativo il profilo dell’originaria e astratta vocazione dell’accordo a produrre effetti giuridicamente vincolanti; ciò è tanto più vero se si pone mente proprio al fatto che il patto non comunicato è irrimediabilmente nullo. Per questo motivo, è probabile che, in definitiva, la portata pratica dell’affermazione della rilevanza dei gentlemen’s agreements anche nel contesto normativo che si va esaminando si risolva semplicemente nell’impossibilità per i presunti pattisti di difendersi negando l’originaria sussistenza di una comune volontà di addivenire al perfezionamento di un vero e proprio contratto giuridicamente efficace. Non sarà invece preclusa, nemmeno in questo caso, la prova liberatoria di cui si è detto in precedenza: i gentlemen’s agreements, in base a quanto motivato poc’anzi, rilevano quale possibile presupposto di operatività della presunzione legale di cui all’art. 101-bis, comma 4-bis, T.U.F., ma non si vedono motivi per negare che i relativi membri siano legittimati a fornire la dimostrazione che la loro azione nella società non si è tradotta nel concreto e congiunto esercizio di un’influenza dominante. 8. La successione temporale dei due presupposti dell’opa obbligatoria: l’acquisto di azioni e la stipulazione del patto parasociale. Come noto, il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 109 T.U.F., subordina la rilevanza dei patti, anche nulli, di cui all’art. 122 T.U.F., - ai fini, naturalmente, dell’obbligo di lancio di un’offerta pubblica di acquisto - alla circostanza che questi facciano seguito ad acquisti di azioni che, nei dodici mesi precedenti, abbiano determinato il raggiungimento delle soglie di cui agli artt. 106 o 108 T.U.F.100 La lettera 99 Per questa conclusione cfr. anche ROMAGNOLI, Diritti dell’investitore, cit., 186. Si è opportunamente precisato che rilevano gli acquisti effettuati anche da uno solo dei partecipanti al concerto, il quale sarà però l’unico obbligato al lancio dell’offerta qualora giunga a superare individualmente la soglia rilevante: SERSALE, Sub art. 109, cit., 198-199; conf., già prima delle modifiche del 2007, AZZARO, op. cit., 725 (testo e nt. 45); P. FERRO-LUZZI, Il “concerto grosso”, cit., 657. Così anche le Comunicazioni Consob nn. DAL/38036 del 18 maggio 2000 e n. DEM/61943 del 9 agosto 2000. La Consob ha inoltre chiarito che nel caso di adesione al patto di un nuovo soggetto, i 100 90 dell’art. 109 T.U.F., come attualmente formulato, sembra considerare unicamente, dunque, l’ipotesi del patto parasociale che sia preceduto da acquisti di azioni: ciò, in linea di principio, potrebbe spiegarsi, perché nel caso in cui fosse il patto a precedere l’acquisto di azioni mancherebbe inizialmente l’altro presupposto necessario per l’insorgenza dell’obbligo di OPA, costituito proprio dalla disponibilità - anche congiunta - della partecipazione rilevante a seguito dell’effettuazione di acquisti di azioni sul mercato.101 Ciò non toglie, naturalmente, che la stipula del patto che preceda dodici mesi dovranno essere computati a ritroso da tale momento (così la Comunicazione n. DEM/DCL/4073976 del 6 agosto 2004). Come si è visto, la corrispondente norma tedesca (§ 30, Abs. 2, WpÜG) è formulata in maniera diversa: pertanto, la necessità che ai fini dell’imputazione e dell’obbligo di OPA venga effettuato l’acquisto di azioni è stata affermata solo con riguardo al patto avente proprio tale scopo e non anche con riguardo a quello avente ad oggetto l’esercizio del voto, qualora in tale ultimo caso il coordinamento dei diritti di voto sia già sufficiente a determinare il raggiungimento (della soglia rilevante e quindi) del controllo: così RALOFF, op. cit., 249 ss., la quale aggiunge che in questa ipotesi non è necessario che il voto sia effettivamente esercitato conformemente all’intesa, bastando, secondo una valutazione ex ante, la semplice possibilità dell’effettiva attuazione della condotta secondo quanto stabilito. Anche nell’ordinamento inglese sembra riscontrarsi su questo punto una differenza rispetto alla nostra normativa, perché il Takeover Panel (cfr. Practice Statement no. 26, Shareholder activism, 9 settembre 2009, 10) ha affermato che “when a party has acquired an interest in shares without knowledge of other persons with whom he subsequently comes together to co-operate as a group to obtain or consolidate control of a company, and the shares in which they are interested at the time of coming together carry 30% or more of the voting rights in that company, the Panel will not normally require a mandatory offer to be made under Rule 9.1” (: “quando una parte ha acquistato partecipazioni all’insaputa di altre persone con cui viene poi a cooperare come gruppo per ottenere o consolidare il controllo della società, e le partecipazioni da loro detenute al tempo della concertazione attribuiscono il 30% o più dei diritti di voto nella società, il Panel non richiederà normalmente un’offerta pubblica ai sensi della Rule 9.1”). 101 Dunque, nel caso in cui i paciscenti vengano congiuntamente a detenere - semplicemente in forza, cioè, della stipula di un accordo parasociale - una partecipazione superiore alle soglie rilevanti, sussiste l’obbligo di comunicazione del patto ma non quello di lancio dell’offerta pubblica di acquisto, come previsto dall’art. 109, comma 2, prima parte, T.U.F. (v. anche poco oltre nel testo): in tal senso v. ad es. BRUNETTA, op. cit., 218; e già PICONE, Patti parasociali e opa obbligatoria, in Società, 1999, 1493. Qualora poi i membri del patto si accordino anche per l’effettuazione di ulteriori acquisti di azioni volti semplicemente ad incrementare il peso delle rispettive partecipazioni, l’obbligo di pubblicizzazione di tale secondo patto sorge indubbiamente prima dell’ulteriore effettuazione di siffatti acquisti sul mercato; non così, invece, l’obbligo di promozione dell’OPA, poiché la legge richiede espressamente acquisti effettuati nell’arco di dodici mesi (la necessità del duplice presupposto ai fini dell’insorgenza dell’obbligo è stata diffusamente sottolineata in dottrina: cfr. ad esempio DESANA, Opa obbligatoria, cit., 2113; ma ancor prima COSTI, I sindacati di blocco, cit., 476, il quale osservava che in assenza di acquisti di azioni il meccanismo dell’OPA obbligatoria non funzionerebbe, perché “non si saprebbe a quale prezzo effettuarla”). In un caso del genere, pur preesistendo la partecipazione rilevante alla stipulazione del secondo accordo parasociale, è dunque da ritenere che l’obbligo di lancio dell’OPA scatti solo (e non appena) abbiano inizio gli acquisti in attuazione dello stesso (contra BRUNETTA, op. cit., 232). Un concetto del tutto analogo è stato espresso nell’ordinamento inglese, allorché il Takeover Panel (Practice Statement no. 26, cit., 7-8) ha ribadito che il concerto (e, dunque, l’obbligo di offerta) presuppone tanto un accordo quanto l’acquisto di partecipazioni sino ad almeno il 30% del capitale, “or, if they are already interested in shares carrying 30% or more of the voting rights of the company, they acquire further interests in shares” (o, cioè, “se già detengono il 30% o più dei diritti di voto della società, che essi acquistino ulteriori partecipazioni”; v. anche ibidem, 10 e 16, ove ancor più chiaramente si afferma che se le partecipazioni detenute dai concertisti ammontano ad almeno il 30%, “the ‘coming together’ of the concert party will not normally, of itself, result in a possible requirement to make a mandatory offer. A requirement to make a mandatory offer would only arise if a member of the concert party were to acquire additional interests in shares carrying voting rights”: il cooperare dei concertisti non condurrà di per sé, normalmente, al risultato di un possibile obbligo di offerta; la richiesta di promuovere un’offerta sorgerebbe solo se un membro del patto acquistasse ulteriori partecipazioni con diritto di voto). Quanto detto deve però essere integrato con il disposto dell’art. 106, comma 3, lett. b) T.U.F., a mente del quale, in presenza di un patto tra coloro che già detengono complessivamente una partecipazione superiore al 91 l’acquisto di azioni da parte dei contraenti sia però soggetta sin da subito, in presenza dei necessari presupposti, agli obblighi di disclosure di cui all’art. 122 T.U.F. e, in caso di inosservanza, alle relative sanzioni.102 Essendo questo l’effetto immediato di un siffatto patto, è parimenti corretto affermare che ad esso si aggiungerà l’obbligo di lanciare l’offerta pubblica di acquisto non appena si riscontrino acquisti di azioni e la soglia rilevante risulti essere superata (sia che lo fosse al momento della stipula del patto, sia che venga ad esserlo proprio in virtù degli acquisti stessi)103; gli acquisti successivi, una volta dimostrata l’esistenza originaria dell’accordo parasociale, avranno dunque l’effetto di determinare l’insorgenza di tale obbligo.104 L’opinione contraria, secondo la quale sarebbe in ogni caso necessario che gli acquisti di azioni e dunque il raggiungimento delle percentuali rilevanti precedano la stipula del patto parasociale105, può apparire aderente al tenore letterale dell’art. 109, comma 2, seconda parte, T.U.F., ma non risulta condivisibile in quanto chiaramente non in grado far fronte alle difficoltà che affiorano proprio nel caso in cui si abbia a che fare con patti parasociali occulti: qualora manchi, cioè, l’esteriorizzazione dell’accordo, 30% del capitale sociale, senza tuttavia detenere la maggioranza dei voti nell’assemblea ordinaria, l’obbligo di offerta scatta soltanto in seguito all’effettuazione di acquisti superiori al 5%: sul punto v. MEO, Modifiche di patti parasociali, tutela delle minoranze e opa obbligatoria (considerazioni sul patto anti-opa RCS MediaGroup), in Giur. comm., 2005, I, 605, il quale osserva anche che in presenza di un patto parasociale il computo dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria non può essere acriticamente desunto dalla percentuale di capitale sindacata, ben potendo il patto avere oggetto diverso dall’esercizio del diritto di voto. 102 Invero, “qualora si realizzi in qualsiasi forma un accordo tra più soggetti per l’effettuazione di acquisti di partecipazioni, all’apparenza separatamente ma, in realtà, in modo coordinato, al fine di esercitare congiuntamente il controllo sulla società al termine dell’operazione, o a trasferire le partecipazioni al soggetto ‘capofila’, si è in presenza di un patto parasociale rilevante ai sensi dell’art. 122 T.U.F. indipendentemente dalla realizzazione degli acquisti” (così App. Genova, 19 dicembre 2009, cit., 588, corsivo aggiunto): un simile accordo, si badi, rileva in un primo momento esclusivamente - come correttamente evidenziato dalla Corte - ai sensi dell’art. 122 T.U.F., ossia con riferimento agli obblighi di disclosure, e non certo - in mancanza della detenzione di una partecipazione rilevante già al momento dell’accordo, che derivi da acquisti di azioni - ai fini dell’OPA. 103 In tal senso già AZZARO, op. cit., 725 (testo e nt. 42); MOSCA, Acquisti di concerto, cit., 1300, la quale osserva che “una volta provata la stipulazione di un patto nullo, l’obbligo di promuovere l’offerta scatta al superamento della soglia rilevante da parte dei partecipanti all’accordo”; P. FERRO-LUZZI, Il “concerto grosso”, cit., 658 e 667. Sotto questo profilo, le recenti novelle non sembrano aver introdotto significativi elementi di novità rispetto alla previgente versione dell’art. 109, comma 2, T.U.F., il quale, anteriormente al 2007, prevedeva che l’obbligo sorgesse nel caso di acquisti effettuati precedentemente alla stipula del patto, ma anche “a seguito” o “contestualmente”: cfr. BAGLIONI, op. cit., 1046, il quale osservava che sarebbe stato quindi rilevante “ogni acquisto effettuato nell’anno precedente, contestualmente o a seguito della conclusione del patto”; conf. già CALLEGARI, op. cit., 67. Anche la Consob, nell’ambito dell’accertamento dei patti legati alla scalata Antonveneta, aveva rilevato acquisti precedenti la data di stipulazione del patto, ma anche successivi, a seguito dei quali era stata superata la soglia del 30% (cfr. delibere n. 15029 del 10 maggio 2005 e n. 15115 del 22 luglio 2005). 104 Gli acquisti di azioni, si badi, proprio per questo non potranno di per sé soli valere a fondare la prova presuntiva dell’esistenza del patto, potendo rappresentare (come precedentemente si è detto con riguardo al parallelismo di comportamenti) solo un possibile indizio in tal senso. 105 In tal senso sembra orientato F. M. MUCCIARELLI, L’attuazione, cit., 477, ove si legge: “la semplice stipulazione di un patto parasociale, quando la somma delle partecipazioni dei soci che hanno stipulato il patto supera le soglie rilevanti ai fini dell’opa obbligatoria o dell’obbligo di acquisto, non fa sorgere di per sé l’obbligo di opa, a meno che i soci che hanno stipulato il patto non abbiano acquistato le azioni nei dodici mesi precedenti alla stipulazione del patto stesso”; l’A. sembra cioè ritenere necessario che gli acquisti di azioni precedano la stipulazione del patto. 92 occorrerà indagare il momento dell’eventuale stipulazione del patto, il quale potrebbe anche risalire ad un momento antecedente agli acquisti sul mercato o essere a questi contestuale; è di tutta evidenza, però, che escludere tali ipotesi dall’applicazione della disciplina finirebbe per agevolare - contro il chiaro intento del legislatore - facili elusioni.106 Vale forse la pena, su questo punto, riportare l’ammonimento che attenta dottrina faceva già nel vigore della precedente legge sull’OPA (l. n. 149/1992), allorché avvertiva che “sarà necessario, in concreto, evitare la frode alla legge, realizzabile attraverso fittizie separazioni fra acquisto delle azioni e stipulazione del patto di sindacato”.107 Né la conclusione cui si ritiene di aderire risulta smentita dal disposto dello stesso art. 109, comma 2, prima parte, T.U.F., il quale esordisce escludendo l’applicazione del primo comma (che prevede appunto l’obbligo di OPA in capo ai concertisti), “quando la detenzione di una partecipazione complessiva superiore alle percentuali indicate negli artt. 106 e 108 costituisce effetto della stipula di un patto, anche nullo, di cui all’art. 122”: questo passo della norma, invero, non ha il significato di escludere la rilevanza degli acquisti successivi al momento in cui il patto parasociale viene fatto risalire, ma soltanto di chiarire che se gli aderenti, al momento dell’accordo, dispongono complessivamente di una percentuale di capitale superiore alle soglie rilevanti, l’obbligo di OPA non scatta, giacché è proprio l’acquisto delle azioni in un determinato arco temporale a rappresentare un presupposto indefettibile a tal fine. 108 106 In proposito anche BRUNETTA, op. cit., 230. Queste le ancora attuali parole di COSTI, I sindacati di blocco, cit., 476. E’ importante notare che la soluzione qui proposta risulta essere stata, di fatto, accolta dalla Consob negli atti di accertamento del patto occulto promosso da BPL a cavallo tra il 2004 e il 2005 al fine di ottenere il controllo di Antonveneta: l’Autorità, con l’atto di accertamento allegato alla Delibera n. 15029 del 10 maggio 2005, aveva riscontrato l’esistenza di un patto parasociale avente ad oggetto “l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla Banca” ed aveva aggiunto che esso “è stato stipulato quantomeno in data 18 aprile 2005, con superamento della soglia rilevante ai sensi dell’art. 106 comma 1 del d. lgs. n. 58 del 1998 in data 19 aprile 2005”. Il patto volto all’esercizio dell’influenza dominante, cioè, secondo la ricostruzione della Consob, risultava avere ispirato il rastrellamento concertato delle azioni e dunque essere stato perfezionato in un momento anteriore all’effettivo superamento della soglia del 30% ad opera dei concertisti; anche a prescindere da ciò, peraltro, la stessa complessità della vicenda e la sovrapposizione di diversi patti parasociali mantenuti segreti hanno dimostrato l’enorme difficoltà di individuare con precisione il momento della stipula degli stessi. Tanto è vero che, nell’ambito della medesima indagine, la Consob, con Delibera n. 15115 del 22 luglio 2005 aveva accertato la conclusione di un diverso patto stipulato dalla BPL di Fiorani con la sola Magiste s.p.a. di Ricucci risalente al 10 marzo 2005 ma ovviamente inserito nel medesimo disegno complessivo architettato da BPI per ottenere il controllo di Antonveneta e dunque anch’esso seguito da acquisti azionari da parte dei protagonisti; lo stesso è a dirsi per l’ulteriore patto occulto tra BPL e la Unipol di Consorte e Sacchetti, accertato dalla Consob solo diverso tempo dopo (cioè in data 28 febbraio 2007), a seguito delle indagini condotte dalla Procura di Milano, da cui era emerso che in data 22 aprile 2005 Unipol aveva incrementato la propria partecipazione in Antonveneta al 3,77 % prima di votare all’assemblea del 30 aprile 2005 per l’elezione degli amministratori facenti capo a Fiorani e a BPL. Anche in quest’ultimo caso, cioè, era assai plausibile che tale accordo (avente ad oggetto anche l’esercizio del voto in assemblea) fosse stato concluso in epoca antecedente agli acquisti di azioni e che anzi questi ultimi fossero funzionali ad assicurare proprio il risultato cui il primo mirava. In quell’assemblea, BPL era in effetti riuscita a raggiungere la maggioranza dei voti, prima che l’intero e complesso piano venisse, come è noto, alla luce. 108 Sebbene, come si ricorderà, la disciplina statunitense del concerto riguarda in prima battuta gli obblighi di disclosure e solo eventualmente le tender offers, si può notare che a tali fini non rileva che i pattisti abbiano posto in essere acquisti di azioni tali da determinare il superamento della soglia rilevante, perché questo può ben prodursi semplicemente in seguito alla stipula dell’accordo tra soggetti che già detengano, congiuntamente, più del 5% delle partecipazioni: sul punto LEVY, op. cit., 5-17; BROWN et 107 93 Semmai, ci si potrebbe chiedere se gli effetti dell’applicazione del combinato disposto degli artt. 101-bis e 109 T.U.F. possano essere evitati dimostrando che in realtà gli acquisti di azioni sul mercato si collocano al di fuori di un disegno concertato. Pare corretto rispondere, innanzitutto, negando che sia necessario provare, affinché l’obbligo di offerta scatti, che l’acquisto di azioni sia stato posto in essere in attuazione di una strategia comune: altrimenti, perderebbe significato la presunzione di concerto sancita dall’art. 101-bis T.U.F. allorché si riscontri l’esistenza di un patto parasociale rientrante nei tipi individuati dalla norma, perché sarà proprio questo a far presumere l’esistenza di una strategia comune intesa come scopo di acquistare, mantenere o rafforzare il controllo della società (o di contrastare un’offerta pubblica di acquisto o di scambio) 109. Né, del pari, sembra possibile dare spazio ad un’eventuale prova contraria, una volta che si dimostrino l’esistenza del patto parasociale e, appunto, l’effettuazione di acquisti di azioni sul mercato.110 Vero è, infatti, che il concerto (ossia: il complessivo disegno ideato dagli aderenti) è presunto ex lege proprio in base alla stipulazione del patto parasociale, al quale, ai fini dell’obbligo di promozione dell’OPA, devono aggiungersi il semplice acquisto di azioni ed il superamento delle soglie rilevanti (così il combinato disposto degli artt. 101-bis, comma 4-bis, e 109, comma 1, T.U.F.). La soluzione poc’anzi esposta si salda e va a sistema con l’affermazione, fatta propria anche dalla Consob, secondo cui devono essere computate ai fini del raggiungimento delle soglie anche le azioni detenute dagli aderenti ma formalmente non al., op. cit., § 2.04[C], 2-32; nonché, nella giurisprudenza, GAF Corp. v. Milstein, cit., ove si è affermato espressamente che “the history and language of section 13(d) make it clear that the statute was primarily concerned with disclosure of potential changes in control resulting from new aggregations of stockholdings and was not intended to be restricted to only individual stockholders who made future purchases and whose actions were, therefore, more apparent. It hardly can be questioned that a group holding sufficient shares can effect a takeover without purchasing a single additional share of stock”; la stessa pronuncia rendeva anche conto che in tal senso militava chiaramente la relazione di accompagnamento del c.d. Williams Act. Fermo restando, però, che il concerto può senz’altro tradursi (anche) nell’acquisto concordato di partecipazioni: per un simile caso, v. Bath Industries, Inc. v. Blot, 427 F.2d 97 (7th Cir. 1970), ove un gruppo di investitori aveva posto in essere tale condotta al fine di formare una coalizione contrapposta al management, che aveva comportato la detenzione congiunta di una partecipazione superiore al 5% (v. per questo caso anche DAVIS, op. cit., 177). Ad ogni modo, come le Corti hanno anche di recente rilevato, solo chi detiene una partecipazione può essere considerato membro di un gruppo ai sensi della Section 13(d): cfr. Hemispherx Biopharma v. Johannesburg Consol. Inv, cit. (“the goal af section 13(d)(3) is to prevent persons who already have attained beneficial ownership of some amount of an issuer’s securities from combining to control over five percent of a class of securities”); conf. Rosenberg v. XM Ventures, 274 F.3d 137 (3d Cir. 2001); Transcon Lines v. A. G. Becker, Inc., 470 F. Supp. 356 (S.D.N.Y.). In dottrina, per tutti, LEVY, op. cit., 5-20; HAZEN, op. cit., 15, per il rilievo che “Section 13(d) does not address attempts to exert control otherwise than through the ownership of shares”. 109 Per questa opinione v. anche TUCCI, Le offerte pubbliche, cit., 937, il quale efficacemente rileva che “la concertazione, quando rilevante, non ha per oggetto un acquisto di azioni, bensì la ‘gestione’ del controllo societario ovvero il contrasto di un’offerta di acquisizione”; così anche GUIZZI-TUCCI, op. cit., 266. L’acquisto di azioni, in altri termini, non entra nella nozione di “azione concertata”, affiancando piuttosto quest’ultima quale ulteriore presupposto indefettibile al fine dell’obbligo di promozione dell’offerta pubblica; in tal senso, difficilmente equivocabile è il disposto dell’art. 109, comma 1, T.U.F., che plasticamente individua l’azione concertata e gli acquisti di azioni (“effettuati anche da uno solo” dei concertisti) quali distinti elementi della fattispecie da cui deriva l’obbligo di OPA. 110 Così BASSO, op. cit., 1020, ad avviso del quale “è preclusa la prova dell’inesistenza di una politica comune”. Conf. BIANCHI, op. cit., 439 e 435. Ha prospettato la possibilità di dare ingresso a tale prova contraria, invece, PINNARO’, op. cit., 829. 94 conferite nel patto parasociale111; entrambi gli assunti, infatti, sono perfettamente coerenti con il disposto del comma 1 dell’art. 109 T.U.F., che prende espressamente in considerazione gli acquisti di azioni “effettuati anche da uno solo” dei pattisti: infatti, tale disposizione, da un lato sembra indicare che un disegno comune con specifico riferimento all’atto di acquisto di azioni non sia necessario e, dall’altro, manifesta un certo disinteresse del legislatore - preoccupato, come più volte sottolineato, di evitare elusioni della disciplina - circa la “provenienza” delle azioni comprese nel calcolo della soglia rilevante.112 A soluzione in parte diversa si dovrebbe forse pervenire allorché si abbia a che fare con un patto parasociale avente ad oggetto l’acquisto di azioni [lett. c) dell’art. 122, comma 5, T.U.F.]113; è vero che, anche in tale ipotesi, gli acquisti, quali meri comportamenti omogenei, non possono bastare da soli a svelare l’esistenza di un accordo parasociale, essendo necessari ulteriori elementi indiziari e dovendosi altresì avere riguardo agli eventuali effetti che una siffatta azione congiunta può produrre sulla società e sul mercato; è anche vero, però, che essendo la prova del patto incentrata proprio su tale condotta, da un lato gli interessati a tale prova si troveranno nella condizione di dover dimostrare (per quanto in via presuntiva) una volontà comune sottesa all’effettuazione degli acquisti e, dall’altro lato, si dovrà necessariamente riconoscere agli agenti la possibilità di contestare che gli acquisti si collochino nell’ambito di un disegno unitario in grado di identificare un vero e proprio patto.114 111 La finalità antielusiva di tale asserto è evidente e la Consob non ha mancato di esplicitarla a più riprese: si vedano, ad esempio, le comunicazioni n. DIS/99061705 del 13 agosto 1999 (pubblicata in Società, 1999, 1491 ss. con commento di PICONE, Patti parasociali e opa obbligatoria, cit., 1492 ss.); n. 99024712 del 31 marzo 1999; n. 38036 dell’8 maggio 2000 e n. 4073976 del 6 agosto 2004 (quest’ultima pubblicata in Giur.It., 2004, IV, 2115 ss., con commento di WEIGMANN). In dottrina, cfr. BAGLIONI, op. cit., 1046; PICONE, op. ult. cit., 1494 ss.; WEIGMANN, Sub art. 109, cit., 933; RORDORF, I sindacati di voto, cit., 22; BRUNETTA, op. cit., 217, secondo cui il fondamento normativo dell’assunto risiederebbe nella presenza di un ulteriore patto tacito riguardante le restanti azioni; nonché GIUDICI, L’acquisto, cit., 507, il quale, pur condividendo la conclusione, tuttavia criticava l’argomento basato sulle conseguenze abbracciato dalla Consob, la quale rilevava che nella prassi gli aderenti ad un patto parasociale votano nello stesso modo per tutte le azioni: l’A. osservava infatti che tale argomento varrebbe soltanto per i sindacati di voto e che, pertanto, si rende necessario il più generale argomento “teleologico”, in forza del quale “ignorare le azioni ‘non conferite’ al patto equivarrebbe a tradire la funzione dell’art. 109.” La necessità che si tenga conto dell’intera partecipazione detenuta, anche se dal punto di vista formale l’accordo riguarda solo una parte di essa, non è pacifica nella letteratura tedesca: in tal senso VON BÜLOW-BÜCKER, op. cit., 701; contra invece LÖHDEFINK, op. cit., 324, che ritiene rilevanti ai fini dell’imputazione solo le azioni vincolate al patto. 112 Sul punto già BIANCHI, op. cit., 445, il quale osservava come tali acquisti ben potrebbero essere effettuati all’insaputa degli altri concertisti. V. inoltre la delibera Consob n. 99024712 del 31 marzo 1999, cit. 113 Sul punto anche GUIZZI-TUCCI, op. cit., 260. Di ciò si è mostrata avvertita anche la Consob, nella Delibera n. 15029 del 10 maggio 2005 relativa alla scalata Antonveneta, con la quale l’Autorità ebbe ad accertare un “patto parasociale avente per oggetto l’acquisto concertato di azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.”, accertamento che era seguito al riscontro di numerosi elementi indiziari che avevano portato a ritenere esistente un progetto comune alla base degli acquisti stessi. 114 Non sembra che possano essere ravvisate ulteriori differenze tra il patto volto all’acquisto di azioni e quelli di diversa tipologia: in Germania, si è talora affermato che mentre nel primo caso l’obbligo di offerta sorgerebbe soltanto in seguito all’effettivo acquisto, negli altri casi sarebbe decisivo il momento in cui l’accordo acquista efficacia (così GAEDE, op. cit., 225-226). Nel nostro ordinamento, non si potrà mai prescindere, secondo quanto previsto dall’art. 109 T.U.F., dall’effettuazione di acquisti sul mercato nei dodici mesi precedenti (o seguenti) il perfezionamento dell’accordo. 95 Ci si potrebbe chiedere, inoltre, se l’arco temporale di dodici mesi valga (oltre che per gli acquisti precedenti la stipula del patto) anche per l’eventuale ipotesi in cui essi lo seguano o siano ad esso contestuali: la risposta negativa, nel senso cioè che dovrebbero venire in considerazione tutti gli acquisti effettuati durante la vigenza del patto, si lascia preferire per almeno due motivi: (i) è solo per gli acquisti anteriori, limitati appunto ai dodici mesi precedenti la stipula del patto, che si deroga al principio - valido per le altre fattispecie rilevanti di concerto - secondo cui sono (tutti e soltanto) gli acquisti successivi a venire in gioco (arg. ex artt. 106, comma 1, e 109, commi 1 e 2)115; (ii) inoltre, si impone anche in questo caso l’esigenza di impedire (o quantomeno di ridurre al minimo) il rischio di facili elusioni, sebbene esso potrebbe permanere con riferimento al limite temporale “a ritroso” di cui si è detto.116 Sempre a proposito della successione temporale in cui possono presentarsi i presupposti dell’obbligo di offerta, occorre poi notare che se l’eventuale successiva pubblicazione di un patto parasociale non esclude di per sé che esso risalga in realtà ad un momento antecedente117 (magari coincidente temporalmente con la fase del rastrellamento di azioni), è anche vero che, come osservato dalla giurisprudenza, “la mera acquisizione di azioni seguita da un successivo accordo parasociale non necessariamente implica di per sé sola che il patto sia stato stipulato fin dal momento dell’acquisto, dovendosi a tal fine individuare gli elementi che consentano di ritenere raggiunto l’accordo parasociale e riconducibile all’attuazione di esso l’acquisto stesso.”118 Tale considerazione ha il merito di ribadire che semplici comportamenti paralleli, quale l’acquisto di azioni, non sono sufficienti ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di cui all’art. 109 T.U.F. e che, soprattutto, da essi non è possibile desumere automaticamente la preesistenza di un patto parasociale e dunque di un concerto; detto altrimenti, non si deve cadere nell’equivoco che la seconda parte del comma 2 dell’art. 109 T.U.F. (che, del resto, ribadisce la regola di cui al primo comma) determini la presunzione che gli acquisti di azioni siano il frutto di un patto parasociale ad essi preesistente.119 Tuttavia, proprio il passo giurisprudenziale testé riportato sottolinea come non debba escludersi, al fine di individuare temporalmente la decorrenza degli obblighi di pubblicizzazione e di OPA, la possibilità di dimostrare che 115 La ratio di tale principio è ben messa in evidenza da MOSCA, Comportamenti, cit., 472-473, e consiste nel fatto che, in assenza di un patto parasociale, gli acquisti anteriori all’“effettivo avvio della concertazione” non possono che esprimere, “per definizione, scelte individuali.” 116 Qualche autore se ne era reso conto poco dopo l’entrata in vigore del T.U.F.: cfr. CALLEGARI, op. cit., 67. 117 E’ certo infatti che “il momento rilevante ai fini dell’eventuale obbligo di opa [in presenza, naturalmente, degli ulteriori presupposti, n.d.r.] sia quello della ‘stipula’ dell’accordo e non quello della sua eventuale, successiva nuova pattuizione formalizzata in rispetto degli obblighi posti dall’art. 122 T.U.F.”: così, correttamente, DE CANTELLIS - GIUDICI - TERRILE, op. cit., 557; in tal senso anche la Comunicazione Consob n. DEM/DCE/75252 del 12 ottobre 2000. Similmente MOSCA, Comportamenti, cit., 453, la quale osserva che la decorrenza dell’obbligo di OPA potrebbe essere anticipata - rispetto alla stipula del patto - alla fase in cui si riscontri una “intensa concertazione”. Lo stesso vale, prima ancora, per il decorso del termine per la pubblicazione del patto parasociale: v. SEMINO, Il problema, cit., 250, il quale afferma espressamente che il dies a quo per l’adempimento degli obblighi di cui all’art. 122 T.U.F. vada individuato in quello della stipula orale (o per fatti concludenti) degli accordi e non in quello della loro riproduzione documentale. 118 App. Genova, 19 dicembre 2009, cit., 588. 119 Di diverso avviso, a quanto pare, COSTI-ENRIQUES, op. cit., 136 (nt. 51). 96 il patto sia stato in realtà stipulato in un momento antecedente la sua (eventuale) effettiva manifestazione. Le riflessioni che precedono ben si attagliano a quanto accaduto nel contesto del complesso caso relativo alla scalata di BNL, nel quale la Consob ebbe occasione di contestare la mancata o tardiva pubblicazione di patti parasociali, sostenendo in questo secondo caso che gli stessi risalissero a momenti antecedenti la loro esteriorizzazione. 120 Certamente si tratta di una prova tutt’altro che agevole, anche in considerazione del fatto che, in linea di principio, “al fine di perfezionare il vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa sugli elementi costitutivi, sia principali, che secondari, dell’accordo”121. Nondimeno, la Suprema Corte ha ritenuto anche che, “qualora l'intesa raggiunta dalle parti abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto [...] non è configurabile un impegno con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio, dovendo ritenersi formata la volontà attuale di un accordo contrattuale”122; e ancora, “in ipotesi di contratti a formazione progressiva, nei quali l’accordo delle parti su tutte le clausole si raggiunge gradatamente, il momento di perfezionamento del negozio è di regola quello dell’accordo finale su tutti gli elementi principali ed accessori, salvo che le parti abbiano inteso vincolarsi negli accordi raggiunti sui singoli punti, riservando la disciplina degli elementi secondari” 123. Al fine di operare tale valutazione volta all’individuazione del momento in cui il patto può dirsi effettivamente stipulato, occorrerà servirsi dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. e, conformemente a quanto sopra osservato, soffermare in particolare l’attenzione sul comportamento delle parti successivo alla presunta conclusione dell’accordo contrattuale (rectius: parasociale).124 120 Sui patti parasociali legati al caso BNL, si vedano i quattro casi decisi, tutti in senso sfavorevole alle contestazioni mosse dalla Consob, da: App. Roma, 29 settembre 2009 (decr.), cit.; App. Genova, 19 dicembre 2009, cit.; App. Bologna, 26 gennaio 2010 (decr.), cit.; App. Bologna, 27 gennaio 2010 (decr.), cit. 121 Così Cass. 11 gennaio 2005, n. 367, in Giust. civ. Mass., 2005, I; nonché Cass. 20 giugno 2006, n. 14267, pubblicata in parte in Società, 2007, 1111 ss. con nota di PISELLI, I patti parasociali tra diritto dei contratti e diritto societario, ibidem, 1112 ss.: si legge nella sentenza che “ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori”, con l’avvertenza che tale accertamento “è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in Cassazione ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici”. Negli stessi termini, più di recente, Cass. 4 febbraio 2009, n. 2720, in Guida al diritto, 2009, 12, 51 ss. e in www.dejure.giuffre.it. Sulla tendenziale irrilevanza della fase delle trattative precedenti la stipula del patto v. anche MOSCA, Comportamenti, cit., 452. 122 Cass. 4 febbraio 2009, n. 2720, cit.; nonché, in precedenza, Cass. 7 aprile 2004, n. 6871, in Giust. civ. Mass., 2004, 4 e in www.dejure.giuffre.it. 123 Cass. 24 ottobre 2003, n. 16016, in Giust. civ. Mass., 2003, 10, e in Contratti, 2004, I, 221 ss. In tal senso anche Trib. Belluno, cit., 1497. 124 Cfr. App. Genova, 19 dicembre 2009, cit.; nonché Cass. 4 febbraio 2009, n. 2720, cit., ove si è precisato che tali criteri valgono non solo per individuare il contenuto dell’accordo, ma anche al fine di verificare se si è in presenza di un accordo vincolante. 97 9. Segue: accertamento dei patti parasociali occulti e permanenza delle condotte attuative; la rilevanza dei patti a carattere occasionale. Dopo aver stabilito che i due presupposti dell’obbligo di offerta contemplati dall’art. 109 T.U.F. non richiedono una rigorosa e prestabilita successione temporale, posto che la prova per presunzioni non può che basarsi, in prima battuta, sul comportamento tenuto dalle parti, si pone un ulteriore interrogativo: ci si deve chiedere, cioè, se il permanere della condotta attuativa dei partecipanti all’accordo sia un elemento determinante al fine di considerarlo persistente e, dunque, di far scattare l’obbligo di promozione dell’offerta pubblica di acquisto. In altri termini, occorre verificare se, in caso di acquisti non contestuali di azioni, sia necessario accertare e provare (non solo l’originaria esistenza, ma anche) la permanenza dell’accordo al momento del superamento della soglia rilevante (qualora questo si determini soltanto in epoca successiva), o comunque durante tutto l’arco di tempo nel quale si protraggono gli acquisti.125 Il problema si è posto con evidenza nel noto e già menzionato caso SAIFondiaria, nel quale si sono succeduti tre comunicati della Consob: in un primo tempo, l’autorità accertò, presuntivamente, l’esistenza di un patto occulto; successivamente, essa ritenne non più esistente l’accordo proprio in ragione dell’avvenuta interruzione dell’agire concertato tra SAI e Mediobanca ed originariamente diretto al raggiungimento del controllo congiunto di Fondiaria; infine, tornò sui suoi passi e, con un ulteriore comunicato nel quale esprimeva il proprio ravvedimento (sul piano, si badi, meramente fattuale), ritenne che tale patto era invece da considerarsi ancora sussistente. Un indirizzo interpretativo cui si ritiene di aderire, contestando la bontà dell’operato della Consob nel caso testé menzionato, ha negato, una volta raggiunta la prova dell’esistenza del patto, la rilevanza della persistenza dei successivi ed ulteriori comportamenti attuativi dell’accordo.126 Si è osservato, in particolare, che “la Consob si è addossata, nei fatti, l’oneroso compito di verificare, in relazione al patto già ‘svelato’, la permanenza dell’interesse perseguito e l’attualità dell’accordo, con il pericolo di avviare una prassi inopportuna: il rischio, cioè, di voler dimostrare, in ogni momento, la ‘vitalità’ dei patti parasociali nulli, dovendo, di conseguenza, dichiarare scaduti gli accordi dei quali non si sia più in grado di provare la continua concertazione.” 127 Per tali ragioni, fermo restando che dovrà verificarsi la coesistenza di tutti i presupposti dell’OPA obbligatoria in un dato momento, è senz’altro preferibile ritenere che l’accertamento dell’iniziale esistenza dell’accordo avrà l’effetto di porre a carico dei pattisti l’onere di fornire un’eventuale prova contraria, avente cioè ad oggetto la non più 125 La questione è stata così descritta da DESANA, Opa obbligatoria, cit., 2113. Questo il pensiero di MOSCA, Acquisti di concerto, cit., 1300. Similmente si era già pronunciata App. Milano, 28 febbraio 2003, cit., ove si leggeva che “l’insorgenza di divergenze tra i pattuenti, in dipendenza di un successivo dispiegarsi della vicenda non funzionale all’ipotesi propinata, non acquisisce il significato di prova dell’inesistenza del precedente accordo”. 127 Così, nuovamente, MOSCA, Acquisti di concerto, cit., 1301. V. inoltre DESANA, Opa obbligatoria, cit., 2113, la quale ha evidenziato che “l’obbligo di una nuova verifica in ordine alla permanenza del patto, infatti, finisce con il premiare coloro che, in violazione degli obblighi pubblicitari, non hanno comunicato l’esistenza di accordi per il controllo di una società quotata, riversando sull’Autorità di vigilanza l’onere di un doppio accertamento”. 126 98 attuale vigenza dell’accordo128 (o anche, sempre al fine di esonerarsi dall’obbligo e in linea con quanto precedentemente sostenuto, l’inesistenza dell’esercizio congiunto di un’influenza dominante sulla società). Né può obiettarsi, in senso contrario, che il quarto comma dell’art. 101-bis T.U.F. individua tra gli elementi del concerto - insieme all’accordo volto a controllare la società o a contrastare un’OPA - la cooperazione tra gli agenti: nel caso in cui sia ritenuta raggiunta la prova dell’esistenza di un patto parasociale, infatti, viene meno la necessità di dimostrare la ricorrenza dei singoli elementi della fattispecie del concerto e, pertanto, ciò che dovrà essere verificato, accanto appunto alla stipula - espressa o tacita - dell’accordo, sarà soltanto il superamento delle soglie di partecipazione rilevanti in seguito ad acquisti di azioni sul mercato.129 Le conclusioni qui raggiunte consentono altresì di precisare il valore e la portata che possono avere, nell’ambito normativo in esame, i patti occulti a carattere episodico, conclusi in vista di una specifica e puntuale occasione, come tipicamente avviene nel caso di una determinata assemblea. Nell’ordinamento tedesco, lo si ricorda, il § 22 WpHG e il § 30 WpÜG escludono espressamente la rilevanza di intese riguardanti casi singoli (“Vereinbarungen in Einzelfallen”), ma il dibattito dottrinale, come si è visto, è alquanto acceso sul significato da attribuire a tale eccezione. Per quanto concerne la disciplina contenuta nel Testo Unico della Finanza, se ai sensi dell’art. 122 T.U.F. ogni patto parasociale - in assenza di dati testuali e di elementi di carattere sistematico di segno contrario - è destinato ad essere pubblicizzato (sempre che, naturalmente, sia riconducibile ad una delle categorie previste dalla norma), la questione deve essere trattata in maniera specifica nel contesto dell’offerta pubblica di acquisto obbligatoria.130 Tra l’altro, se la dottrina tedesca tende in prevalenza ad interpretare diversamente, pur nella pressoché assoluta coincidenza del dato letterale, le due norme testé richiamate in quanto aventi uno scopo distinto, è legittimo pensare che una divaricazione degli ambiti applicativi debba essere professata, a maggior ragione, nel nostro ordinamento, in cui, pur essendo l’art. 122 T.U.F. richiamato nella presunzione 128 Così ancora DESANA, op. ult. cit., 2113. Si noti che tale conclusione presenta un’affinità di ordine sistematico con quella raggiunta nel primo capitolo, con particolare riferimento all’art. 2341-ter c.c., in tema di poteri degli organi sociali allorché un patto parasociale sia stato comunicato alla società ma poi non dichiarato in apertura di assemblea: anche in questa ipotesi, si è detto, la perdurante vigenza del patto parasociale andrà presunta, salva la possibilità dei pattisti di fornire la prova che l’accordo ha invece esaurito i suoi effetti. 129 Tale conclusione è conforme a quella cui è pervenuta la dottrina tedesca che più diffusamente ha studiato l’argomento: cfr. LÖHDEFINK, op. cit., 304, il quale ha espressamente sostenuto che “für die Tatbestände des Übernahmeangebots und des Pflichtangebots genügt es, daß sämtliche Tatbestandsvoraussetzungen zu einem bestimmt Zeitpunkt erfüllt waren” (cioè, “nell’ambito delle norme in tema di trasparenza e di offerta pubblica è sufficiente che tutti i presupposti della fattispecie sono stati integrati in un determinato momento”). 130 Proprio per tale ragione, non risulta condivisibile la tesi di chi ha escluso in via generale la rilevanza dei patti a carattere occasionale nelle società quotate anche sulla base dell’argomento che gli obblighi di OPA “sono rivolti a consentire l’uscita a chi non sia soddisfatto del mutamento dell’assetto di governo della società, ma non anche a chi non sia soddisfatto dell’esito di una singola votazione di nomina degli amministratori”: così TRIMARCHI, I patti parasociali, cit., 141. Invero, ai fini dell’OPA obbligatoria (ma a differenza di quanto accade in relazione agli obblighi pubblicitari) il patto non è di per sé sufficiente a completare la fattispecie, essendo comunque necessario riscontrare altresì il superamento della soglia rilevante da parte dei concertisti. 99 legale di concerto di cui all’art. 101-bis, comma 4-bis, T.U.F., non si può certo dire che le due disposizioni abbiano un identico contenuto precettivo (dovendo tra l’altro quest’ultima combinarsi con il disposto dell’art. 109 T.U.F. ai fini dell’individuazione dei presupposti dell’obbligo di offerta). Orbene, le tappe sin qui percorse forniscono una possibile chiave di lettura anche di questa ulteriore questione, tenendo presente che, lo si ripete, la stipulazione del patto parasociale può precedere o seguire, senza significative ricadute applicative, l’acquisto di azioni che conduce al superamento della soglia rilevante. Per comodità espositiva, tuttavia, è preferibile distinguere le due ipotesi. Nel caso in cui si accerti che il patto non comunicato risalga ad epoca antecedente l’acquisto di azioni, si è poc’anzi ritenuto che un ulteriore successivo accertamento della persistenza degli effetti - concreti - dell’accordo non sia necessario, pur restando aperta, si è detto, la possibilità per i concertisti di dimostrare che questo non ha più prodotto alcun effetto: non si tratterà, evidentemente, degli effetti giuridici (giacché il patto è irrimediabilmente nullo), bensì degli effetti di ordine pratico consistenti nella sua attuazione e nel fattivo esercizio di un’influenza dominante sulla società. Dunque, diviene evidente come l’oggetto di tale prova liberatoria venga a coincidere con quello individuato, sul piano generale, con riferimento al momento in cui risultino realizzati tutti i presupposti dell’obbligo di offerta: si tratterà di dimostrare che, nonostante l’originario perfezionamento dell’accordo, questo non produce alcun effetto ulteriore sul controllo della società, inteso come effettivo esercizio di dominio sulla stessa, reso possibile dalla concreta cooperazione degli aderenti. Per tali ragioni, non sarebbe fondata l’obiezione, per la verità comunque generica, secondo cui l’esclusione della rilevanza di patti che esauriscano puntualmente i loro effetti aprirebbe ad elusioni della disciplina; non di elusioni, infatti, si tratterebbe, posto che l’obbligo di offerta è da ritenersi giustificato soltanto in presenza di eventi che determino (e abbiano determinato) una significativa variazione - o che, viceversa, la impediscano - sul piano del controllo societario, come sopra inteso; allorché tali fenomeni in concreto non si riscontrino, non vi è ragione per non rendere possibile un esonero dall’obbligo di offerta (sempre che, ovviamente, la prova liberatoria abbia successo). 131 Lo stesso ragionamento può valere per la diversa ipotesi - canonica, secondo quanto risulta dall’art. 109 T.U.F. - in cui il patto parasociale risulti stipulato in seguito all’acquisto di azioni. Anche in questo caso, nonostante tutti i requisiti necessari per l’insorgenza dell’obbligo possano ritenersi integrati dopo l’accertamento del patto, non si potrà negare spazio alla prova liberatoria di cui si è detto. 131 Così come nell’ordinamento tedesco, anche in quello francese si esclude che nella nozione di concerto possa rientrare un’operazione di carattere puntuale i cui effetti si esauriscano con la stessa, ma essa può essere anche un’operazione di carattere temporaneo: cfr. Cour de cassation, 27 ottobre 2009, n. 0818.779, in Revue des sociétés, 2010, 114 ss. Nello stesso senso, ancor prima, la Cour d’appel de Paris, 24 giugno 2008, Gecina, in Revue des sociétés, 2008, 644 ss., con nota di LAPRADE, On peut aussi agir de concert pour séparer, ibidem, 651 ss. L’assunto è ormai acquisito nell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale d’oltralpe: cfr. sul punto ancora LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 190-191, ove si osserva che l’esigenza posta dalla norma che l’accordo sia concluso “in vista di” (“en vue de”) presuppone proprio una certa prospettiva temporale. 100 A questo punto, sulla base di tale conclusione, sembra altresì risultare ridimensionato (almeno in questo ambito del nostro ordinamento) il problema, che tanto affatica gli interpreti tedeschi, circa il significato da attribuire all’eccezione del patto concluso in casi singoli: si discute se, nella nozione di caso singolo, l’accento debba essere posto sull’episodicità della condotta o piuttosto sulla puntualità dei relativi effetti, che si esauriscano cioè in un intervallo temporale pressoché istantaneo senza durevoli ripercussioni sull’andamento del governo della società. Ebbene, è possibile prospettare l’idea che, sulla scorta del significato che assume il controllo congiunto nel nostro ordinamento in questo specifico contesto, gli effetti del patto che ne è alla base non possano in realtà andare disgiunti dalle condotte che li producono. E’ vero che, come osservato da più parti, il concetto di influenza dominante può forse risolversi, in termini generali, nella capacità del gruppo di azionisti di determinare la nomina dell’organo amministrativo132; non è meno vero, però, che questa idea sembra dare implicitamente per scontato che a tale nomina faccia seguito l’esercizio di un’influenza - in termini puramente fattuali e non certo limitata alla condotta tenuta nell’assemblea di nomina - sugli amministratori ad opera del gruppo di comando, attraverso canali non propriamente istituzionali e facendo leva sul rapporto esistente tra i primi ed il secondo; ora, questo tipo di influenza richiederà certamente che gli azionisti che la esercitano continuino a comportarsi in maniera omogenea in attuazione del programma comune, all’interno o all’esterno dell’assemblea. E’ dunque difficile immaginare un’influenza (dominante, per di più) dispiegata sulla base di una condotta puramente puntuale, che si mostri in grado (ipotesi, questa, più teorica che reale) di produrre effetti di lunga durata sul controllo e sul governo della società.133 10. Modifiche occulte dei patti parasociali ed effetti della risoluzione del patto sull’obbligo di offerta. Si è già affrontato nel primo capitolo il tema degli obblighi di pubblicazione delle modifiche successivamente apportate ad un patto parasociale. Ai fini dell’obbligo di lancio di un’offerta pubblica di acquisto, tuttavia, la gravità delle conseguenze giuridiche in questione induce a pensare che non tutte le variazioni dei connotati del patto possano indistintamente rilevare.134 132 Così, ad esempio, NOTARI-BERTONE, op. cit., 710. Si può quindi concordare con chi ha scritto che “l’accordo ex art. 93 lett. b) [...] debba avere carattere di stabilità, essendo in contraddizione con la nozione stessa di controllo l’idea di una maggioranza che si costituisca per circostanze occasionali”: così VOLPE, op. cit., 873. 134 Sul punto TUCCI, Patti parasociali, cit., 198 ss., critico verso l’orientamento della Consob teso a valorizzare le circostanze del caso concreto; WEIGMANN, Sub art. 109, cit., 935 ss. Per una disamina anche casistica v. inoltre BIANCHI, op. cit., 445 ss. Nella dottrina tedesca, si è escluso ad esempio che possa rilevare la semplice adesione di un nuovo socio ad un patto tra azionisti che già detengono il controllo della società (e continuerebbero a detenerlo anche senza la partecipazione del primo): cfr. RALOFF, op. cit., 262, la quale argomenta a partire dal rilievo che gli azionisti di minoranza non necessiterebbero in tal caso della protezione loro garantita in via generale dall’obbligo di OPA. Secondo l’A., rileva unicamente, oltre all’acquisto del controllo, soltanto un successivo ricambio nel controllo della società (ibidem, 263-264). 133 101 La Consob ha affrontato a più riprese la questione, ritenendo da un lato che occorre verificare se si sia in presenza di modifiche sostanziali degli assetti di controllo “tali da far ritenere che si sia in presenza di un patto nuovo e diverso dal precedente”135; dall’altro, che il problema dell’accertamento dell’obbligo di OPA si pone “pur in assenza di un incremento della partecipazione complessivamente ascrivibile ai membri del patto, qualora i mutamenti determinino una vera e propria novazione, o comunque implichino una significativa modificazione delle regole di funzionamento del patto o degli assetti di potere esistenti al suo interno”136. E’ proprio in questi termini che l’Autorità ha risolto, in particolare, il problema della semplice sostituzione di un membro ad un altro (qualora, beninteso, la quota complessiva di partecipazione riconducibile ai concertisti rimanga invariata), nonché quello del trasferimento di azioni intervenuto tra i partecipanti all’accordo.137 Più di recente, la Consob ha precisato essere “necessaria una significativa modificazione degli assetti di potere interni al patto, che può verificarsi solo nel caso in cui un nuovo socio sia in grado di esercitare una stabile preminenza all’interno del patto o di disporre di uno stabile potere di veto sulle decisioni che attengono alla gestione ordinaria della società” 138. E’ bene tenere presente che queste affermazioni di carattere generale non si riferiscono direttamente ai patti parasociali occulti e alle loro modifiche, ma possono fornire utili indicazioni anche per l’ipotesi che qui maggiormente interessa, ossia quella in cui venga mantenuta segreta la modifica apportata ad un patto parasociale già esistente. Occorre precisare, infatti, che lo specifico problema de quo ha ragione di porsi (solo) nel caso in cui il patto originario sia stato regolarmente reso noto, applicandosi altrimenti i principi generali già esaminati (e che si esamineranno anche nel prosieguo 135 Cfr. Comunicazione n. 99024712 del 31 marzo 1999. Tale soluzione è stata criticata da COSTIENRIQUES, op. cit., 137, secondo i quali essa lascerebbe un eccessivo margine di discrezionalità alla Consob: gli A. proponevano pertanto il più definito criterio della modifica - dovuta, appunto, ai trasferimenti di azioni - di per sé “sensibile alle soglie”. 136 Così Comunicazione n. DIS/99061705 del 13 agosto 1999, cit.; nonché, nello stesso senso, Comunicazione n. 38036 del 18 maggio 2000, e Comunicazione n. 61943 del 9 agosto 2000. La posizione della Consob, che sembrerebbe aver riguardo soltanto ai casi “di cambio immediato ed avvertibile del controllo” è stata criticata in dottrina, dal momento che la struttura normativa delle disposizioni in tema di OPA obbligatoria sembrerebbe “indifferente alla velocità con cui si tocca e si supera la soglia”: così GIUDICI, L’acquisto, cit., 510. Tale orientamento è stato confermato dall’Autorità con numerose ulteriori comunicazioni: cfr. ad es. Comunicazioni nn. DEM/2010342 del 14 febbraio 2002, DEM/2042919 del 14 giugno 2002, DEM/DCL/7096246 del 26 ottobre 2007, DEM/7103030 del 20 novembre 2007, DEM/8085779 del 17 settembre 2008 e DEM/9023135 del 16 marzo 2009. 137 Con la Comunicazione n. 38036 del 18 maggio 2000, la Consob ha precisato inoltre che possono rilevare trasferimenti interni al patto che, lasciando inalterata la compagine degli aderenti, comportino mutamenti idonei ad alterare la fisionomia originaria dell’accordo. Poco dopo l’entrata in vigore del T.U.F., di diverso avviso era MONTALENTI, OPA, cit., 158, il quale sembrava più drasticamente escludere la rilevanza di ogni trasferimento interno alla compagine degli aderenti all’accordo in assenza di modifiche di ordine quantitativo alla partecipazione complessiva; ma per l’opinione opposta WEIGMANN, La nuova disciplina delle OPA, in La riforma delle società quotate, a cura di F. Bonelli, V. Buonocore, F. Corsi, R. Costi, P. Ferro-Luzzi, A. Gambino, P. G. Jaeger, A. Patroni Griffi, Milano, 1998, 206. Anche nella dottrina tedesca, si è sostenuta l’irrilevanza di cambiamenti della compagine di controllo (sia in entrata che in uscita), senza che si determini un vero e proprio trasferimento dello stesso: così RALOFF, op. cit., 264, ove si è evidenziata l’ininfluenza, ai fini del § 30, di riduzioni o ampliamenti del gruppo di controllo; viceversa, l’A. ha affermato essere rilevante il passaggio dal controllo congiunto al controllo individuale (ibidem, 266 ss.). 138 Così la Comunicazione n. 10064646 del 22 luglio 2010, in Bollettino Consob 7/2/2010, pubblicata anche in Società, 2010, 1157-1158. 102 di questo capitolo) inerenti al suo accertamento ed alla verifica dei presupposti dell’OPA obbligatoria. Ciò detto, occorrerà distinguere sostanzialmente due ipotesi, vale a dire: (i) quella in cui gli aderenti al patto originariamente pubblicato non detenessero inizialmente e complessivamente una partecipazione superiore alle soglie rilevanti; (ii) quella in cui, viceversa, i membri del patto già superassero tali soglie ma non sussistessero i presupposti per l’insorgenza dell’obbligo di offerta, ad esempio per mancanza di acquisti di azioni nell’arco di tempo individuato dall’art. 109 T.U.F. L’ipotesi sub (i) sembra meno problematica: se la modifica - tenuta nascosta del patto parasociale ha determinato il superamento delle soglie (attraverso l’ulteriore acquisto, magari indiretto, di azioni da parte di uno dei pattisti, o anche tramite l’adesione di un nuovo socio che abbia acquistato azioni nei dodici mesi precedenti e che, accedendo all’accordo, consenta il superamento delle soglie) sorgerà indubbiamente l’obbligo di promozione dell’OPA (purché, ovviamente, la modifica occulta venga adeguatamente provata e portata alla luce)139. Nell’ipotesi sub (ii), invece, occorre chiedersi se una variazione dell’assetto interno al patto possa di per sé determinare l’insorgenza dell’obbligo di offerta. Premesso che (cfr. cap. I, § 9) la modifica non regolarmente comunicata rende - in linea di principio - nullo il patto nella sua interezza, nel caso in cui si verifichino anche semplicemente ulteriori acquisti di azioni da terzi sul mercato non vi è dubbio che la risposta debba essere affermativa, come emerso anche dall’analisi condotta nei paragrafi precedenti.140 Meno immediata è la soluzione qualora si verifichi soltanto, come detto, una variazione consistente nel trasferimento interno - anche indirettamente, per mezzo di soggetti interposti - di azioni, ossia tra i membri del patto: in tal caso, possono essere di aiuto le affermazioni della Consob poc’anzi riportate, in base alle quali l’obbligo di offerta potrebbe giustificarsi solo se la modifica (purché, lo si ripete, venga alla luce) determini anche un’alterazione degli assetti di potere all’interno della compagine. 141 La 139 Anche la Consob ha preso atto che “se uno o più degli aderenti al patto nullo acquistano a titolo oneroso e tale acquisto comporta il superamento della soglia da parte dell'insieme dei partecipanti, l'obbligo sussiste”: così la Comunicazione n. 75252 del 12 ottobre 2000, cit. 140 Ciò è pacifico anche nel Regno Unito: il Takeover Panel ha espressamente certificato che “when the group is interested in shares carrying 30% or more of the voting rights in a company but does not hold shares carrying more than 50% of such voting rights, an offer obligation will arise if an interest in any other shares carrying voting rights is acquired from non-members of the group” (: “quando il gruppo detiene partecipazioni che attribuiscono il 30% o più dei diritti di voto nella società ma non detiene partecipazioni che attribuiscono più del 50% di tali diritti di voto, un obbligo di offerta sorgerà se un’ulteriore partecipazione con diritto di voto è acquistata da soggetti esterni al gruppo”): cfr. The Takeover Code, cit. 141 In tal senso v. anche RORDORF, Il contratto sulla società: patti parasociali, in Trattato del contratto, a cura di V. Roppo, Milano, 2006, v. VI, 786; MOSCA, Comportamenti, cit., 474-475. E’ interessante ravvisare una conclusione analoga nelle affermazioni del Takeover Panel britannico, là dove, dopo aver precisato che in determinate circostanze anche i trasferimenti interni al patto potranno far scattare l’obbligo di offerta, ha dichiarato che “whenever a group acting in concert is interested in shares which together carry 30% or more of the voting rights in a company and as a result of an acquisition o fan interest in shares from another member of the group a single member comes to be interested in shares carrying 30% or more or, if already interested in shares carrying over 30%, acquires an interest in any other shares carrying voting rights, the factors which the Panel will take into account in considering whether to waive the obligation to make an offer include: (a) whether the leader of the group or the member with the largest individual interest in shares has changed and whether the balance between the interests in the group has changed significantly […]”. Il tutto si può tradurre così: “ogni qual volta un 103 stessa conclusione può attagliarsi all’eventualità in cui la variazione interna non consista tanto nel trasferimento di partecipazioni tra i membri, bensì nel mutamento delle regole del rapporto che conduca a nuovi equilibri di potere all’interno del gruppo. 142 E’ nella cornice del tema delle modifiche ai patti parasociali che viene in rilievo un altro aspetto senz’altro meritevole di attenzione. Come prevede espressamente l’art. 109 T.U.F., gli acquisti rilevanti ai fini del raggiungimento delle soglie possono essere effettuati anche da uno soltanto dei concertisti, a nulla rilevando il fatto che ciò avvenga all’insaputa degli altri.143 Proprio per tutelarsi di fronte ad una simile eventualità, che comporterebbe l’insorgenza dell’obbligo solidale di lancio dell’OPA in capo a tutti gli aderenti, in sede di stipulazione del patto parasociale i soci potrebbero convenire che il contratto si risolva qualora, a seguito degli acquisti effettuati da uno di essi, venga a determinarsi il complessivo superamento della quota rilevante per l’OPA obbligatoria. Un simile congegno negoziale potrebbe però essere ideato proprio per eludere le conseguenze previste dall’art. 109 e dall’art. 110 T.U.F. (che stabilisce le conseguenze dell’inadempimento degli obblighi di OPA): i membri del patto, cioè, potrebbero aver regolarmente pubblicizzato l’accordo ab origine proprio al fine di rendere nota anche la predetta clausola risolutiva espressa ed ingenerare la convinzione che, una volta superata la soglia rilevante, il patto parasociale sia destinato automaticamente a venire meno. Sul trattamento da riservare a tale fattispecie, si registrano in dottrina due diversi orientamenti. Secondo una prima tesi, la risoluzione del rapporto comporterebbe il venir meno dell’obbligo di promozione dell’OPA, in quanto segnerebbe inequivocabilmente il venir meno della volontà di coordinarsi da parte dei pattisti144; si evidenzia, a sostegno di tale opinione, che non potrebbe giocare un ruolo decisivo in senso contrario la rilevanza dei patti anche nulli, espressamente sancita dall’art. 101-bis T.U.F.: altro gruppo di concertisti detiene partecipazioni che attribuiscono il 30% o più dei diritti di voto di una società e come risultato di un acquisto da un altro membro del gruppo un singolo membro viene a detenere una partecipazione pari o superiore al 30% o, se già detiene una partecipazione superiore, acquista una qualsiasi ulteriore partecipazione con diritto di voto, i fattori che il Panel prenderà in considerazione per verificare l’insorgenza di un obbligo di offerta comprendono: (a) se il leader del gruppo o il membro con la più ampia partecipazione è cambiato e se l’equilibrio di potere tra le partecipazioni è variato in modo significativo [...]” (cfr. The Takeover Code, cit.). 142 Contra PICONE, Patti parasociali, cit., 1496, in base all’argomento che la disciplina del concerto (sin dalla sua versione originaria prevista dal T.U.F.) abbia soppresso la rilevanza del controllo individuale da sindacato e, dunque, reso irrilevante la posizione individuale dei singoli pattisti. Tale rilievo, per quanto in linea di massima corretto, non sembra poter giocare un ruolo significativo nell’ipotesi in esame: a parte la possibilità di qualificare i trasferimenti di azioni interni al patto come acquisti rilevanti ai fini della norma sul concerto, occorre osservare come la decisione presa segretamente dai pattisti, ad esempio, di esercitare il diritto di voto secondo le indicazioni di uno di essi, possa indubbiamente spostare gli equilibri riguardanti l’esercizio del controllo della società. Né si può obiettare che tale accordo modificativo non comunicato sarebbe nullo e, come già detto, probabilmente in grado di travolgere l’intera pattuizione parasociale: sino alla sua scoperta, infatti, esso potrebbe di fatto essere messo in esecuzione e spiegare i suoi effetti sul governo della società. Non vi è dubbio, per altro verso, che, immutati la composizione e l’assetto interno del patto, nessun obbligo di offerta sorga per il semplice fatto che i membri decidano semplicemente un mutamento di strategia nelle scelte gestorie e di governo societario: sul punto BRUNETTA, op. cit., 221. 143 Sul punto v. anche TUCCI, Patti parasociali, cit., 192. 144 Tesi, questa, prospettata da GIUDICI, L’acquisto, cit., 512. 104 sarebbe, infatti, un patto nullo ma comunque messo in esecuzione dai suoi membri, altro il patto risolto, contraddistinto, appunto, dalla sopravvenuta mancanza di volontà di agire in via concertata. Si è però anche sostenuto, in base ad una diversa impostazione, che l’operatività della clausola risolutiva espressa non potrebbe pregiudicare la piena applicazione dell’art. 109 T.U.F.145: da un lato, occorrerebbe evitare facili elusioni della disciplina dell’OPA obbligatoria; dall’altro, si rileva che la diversa soluzione dovrebbe, per ragioni di coerenza, valere anche nell’ipotesi di risoluzione consensuale, intervenuta (a prescindere dall’esistenza della suddetta clausola) in seguito al superamento delle soglie, con il risultato però di “degradare l’offerta totalitaria da concerto a oggetto di un’obbligazione alternativa”, rimessa interamente alla volontà degli agenti.146 A ben guardare, nessuno dei due argomenti invocati a sostegno di quest’ultima posizione - a prima vista indubbiamente suggestiva - risulta, però, del tutto persuasivo. Non lo è il primo, giacché anche chi ha sostenuto la tesi del venir meno dell’obbligo di OPA riconosce che resta salvo l’obbligo di lancio dell’offerta pubblica qualora si dimostri che, nonostante l’operare della clausola risolutiva espressa, il patto non sia concretamente rimasto privo di effetti in ragione della persistenza di comportamenti conformi all’attuazione del medesimo147; da questo punto di vista, la necessità di impedire una facile elusione della disciplina sembra fatta salva anche dalla prima delle due soluzioni prospettate. Né convince il secondo argomento invocato a sostegno della tesi più “rigida”. La risoluzione consensuale del patto parasociale è infatti una fattispecie diversa che non può essere chiamata in causa al fine di invocare una pretesa parità di trattamento: in tal caso, infatti, l’obbligo è già scattato e il relativo effetto non è più disponibile per gli obbligati, perché la fattispecie dell’acquisto di concerto si è già perfezionata; mentre la risoluzione (automatica) del patto al momento dei successivi acquisti impedisce di ritenere integrata la fattispecie rilevante, venendo a mancare la necessaria coesistenza della vigenza del patto con l’acquisto che comporta il superamento della soglia148. 145 Tesi, quest’altra, che sembra prevalente: cfr. TUCCI, Patti parasociali, cit., 193 ss.; GUIZZI-TUCCI, op. cit., 266, i quali rilevano in via generale che i paciscenti estranei all’acquisto non potrebbero “addurre l’inadempimento del patto quale ‘circostanza esimente’, rispetto all’obbligo solidale di offerta” (intendendosi per inadempimento proprio l’acquisto ulteriore di azioni compiuto da taluno all’insaputa degli altri pattisti); nonché ROMAGNOLI, Diritti dell’investitore, cit., 186. 146 Queste le parole di TUCCI, op. ult. cit., 195. 147 Di nuovo GIUDICI, L’acquisto, cit., 512. Cfr. in senso analogo MONTALENTI, OPA, cit., 157, secondo il quale occorrerebbe (pare, in via generale e a prescindere dalla presenza di una vera e propria clausola risolutiva espressa) il consenso degli altri aderenti affinché vengano “sindacate” anche le azioni acquistate successivamente alla stipula dell’accordo (e, dunque, siano computate nell’ambito della partecipazione complessiva), a meno che sia riscontrabile che a tale acquisto successivo sia seguito “il concerto di fatto”. 148 E’ interessante ravvisare uno spunto nel senso della tesi qui proposta anche nel Practice Statement no. 26 dello UK Takeover Panel, cit., ove si afferma che “no mandatory offer would be required if, at the time that any such agreement or understanding is reached, steps are taken to prevent the acquisition of interests in shares in the relevant company by the activist shareholders” (cioè, “nessuna offerta obbligatoria sarà richiesta se al tempo in cui l’accordo o l’intesa sono conclusi, vengono prese misure per impedire l’acquisizione di partecipazioni nella società bersaglio da parte degli azionisti concertanti”: ibidem, 9). 105 Come accennato, resta aperta la possibilità di dare ingresso all’accertamento che la successiva azione comune, nonostante il dissolversi degli effetti giuridici connessi all’accordo originariamente concluso, abbia dato seguito ad un vero e proprio patto parasociale e, magari, abbia presentato tutte le caratteristiche tipiche dell’esercizio di un’influenza dominante.149 Né sembra particolarmente incisiva l’obiezione secondo cui, così ragionando, si finirebbe però per addossare agli interessati la prova della persistente vigenza (per quanto soltanto fattuale) dell’originario patto, “alleggerendo” la posizione dei suoi componenti150: come si è già osservato nel capitolo precedente in relazione all’ipotesi del rinnovo tacito del patto, proprio perché la situazione in esame concerne un patto che era stato originariamente pubblicato, tale prova può ritenersi più agevole di quella richiesta in via ordinaria, giacché il riscontro di condotte conformi all’accordo già noto (e formalmente risoltosi) rappresenterà un indizio molto solido e difficilmente smentibile nel senso della perdurante sussistenza di un legame tra gli originari pattisti.151 Certo, in conformità a quanto precedentemente prospettato in via generale, non potrà negarsi ai presunti pattisti la prova contraria (a quel punto non certo semplice) dell’inesistenza in concreto di un’influenza dominante da loro congiuntamente esercitata sulla società. Come si è più volte ricordato, il patto parasociale rilevante ai sensi degli artt. 101-bis e 109 T.U.F. può essere anche nullo, il che significa che la produzione dei suoi effetti giuridici non è in questo contesto un fattore determinante. Nell’ipotesi poc’anzi illustrata, come si è detto, nemmeno l’argomento che equipara il contratto risolto al contratto nullo, per concludere nel senso dell’immediata insorgenza dell’obbligo di OPA, risulta convincente: rimane appunto necessario l’accertamento di una vera e propria azione comune che valga a far presumere l’esistenza del patto parasociale (si tratti di quello originario ancora attuato o di un nuovo patto, nullo in quanto non pubblicizzato ma pur sempre esistente). L’art. 101-bis T.U.F. infatti mira a chiarire che l’idoneità del patto a produrre effetti giuridici non è necessaria, proprio in quanto esso viene preso in considerazione come fatto e non tanto come contratto; ciò non toglie, però, che proprio per tale ragione non si possa prescindere dalla sua effettiva attuazione, ossia dal prodursi in via di fatto dei suoi effetti, perché è a partire da questi che la prova presuntiva dell’esistenza del patto è destinata a prendere le mosse. E questo vale non solo per il patto nullo ma anche per quello, appunto, che ha conosciuto il verificarsi di un evento risolutivo. 149 In tal senso, facendo riferimento al “controllo di fatto”, BRUNETTA, op. cit., 223. Così MELILLO, op. cit., 145, il quale lamenta l’insorgenza di “un altro difficile problema di prova”. 151 Il peso indiziario di tale elemento sarà tale da ridurre notevolmente la portata pratica dell’eventuale quesito - di natura, pare, eminentemente teorica - se si abbia a che fare con un nuovo e diverso accordo perfezionatosi per fatti concludenti o se, viceversa, si tratti di dimostrare che il patto iniziale è (di fatto) ancora in vita. Propende per la prima soluzione SAMBUCCI, Durata dei patti parasociali, cit., 923-924. 150 106 Sezione II Profili concernenti la prova dei patti parasociali occulti 11. La prova per presunzioni dei patti parasociali mantenuti segreti: principi generali. L’intera trattazione che precede - riguardante le fattispecie e gli obblighi in tema di pubblicità, da un lato, e la disciplina del concerto e dell’OPA obbligatoria, dall’altro deve ora essere completata attraverso la messa a fuoco dei principi che governano la prova per presunzioni, cui già si è più volte fatto cenno, così come del modo in cui essi reagiscono ed incidono sull’accertamento dei patti parasociali occulti. Nei paragrafi immediatamente successivi, si cercherà di indagare alcuni specifici profili che possono venire in rilievo allorché si tratti di dimostrare l’avvenuta stipulazione di un patto parasociale mantenuto segreto. Tutto ciò costituirà, per un verso, occasione di verifica della bontà di alcune conclusioni precedentemente raggiunte e, per altro verso, la necessaria premessa dell’indagine che verrà sviluppata nel capitolo successivo, allorché si cercherà di individuare possibili rimedi e tutele di cui, in caso di emersione di un patto occulto, i soci ad esso estranei e gli investitori potrebbero disporre. Fatta questa breve premessa, occorre registrare, innanzitutto, la convinzione largamente diffusa circa la possibilità di provare per presunzioni i patti parasociali mantenuti segreti dagli aderenti.152 Peraltro, sebbene l’art. 101-bis T.U.F. presuma l’esistenza di un concerto dalla stipula di un patto parasociale, le norme di legge non forniscono indici di generale applicabilità dai quali ricavare la sussistenza di un siffatto patto.153 152 Cfr. da ultimo SERSALE, Sub art. 109, cit., 194; VENTURINI, I patti parasociali, cit., 600; nonché, con riferimento anche al settore bancario ed alla vigilanza della Banca d’Italia, ROSA, op. cit., 95 (testo e nt. 12); MOTTI, op. cit., 320 (nt. 28). In tal senso già ROMAGNOLI, Diritti dell’investitore, cit., 185; RORDORF, I sindacati di voto, cit., 23, il quale più generalmente ha ritenuto ammissibile “ogni mezzo” di prova; COSTI-ENRIQUES, op. cit., 138, i quali ben rilevavano come non trovino qui applicazione le limitazioni poste dal codice civile alla prova per presunzioni, essendo i terzi e non le parti a dover provare la sussistenza del contratto; ENRIQUES, Mercato del controllo societario e tutela degli investitori. La disciplina dell’OPA obbligatoria, Bologna, 2002, 107. V. anche GIUDICI, L’acquisto, cit., 491, il quale già osservava che “dall’esterno, infatti, il legame tra i soggetti non può che essere manifestato da indizi […]”; e ancora, che “nessuna disposizione o principio consente di desumere che l’accertamento delle fattispecie indicate dall’art. 109 T.U.F. [oggi, dall’art. 101-bis, n.d.r.] possa essere sottratto all’applicazione delle presunzioni semplici di cui all’art. 2729 c.c.” (ibidem, 503). In giurisprudenza, v. in particolare App. Milano, 28 febbraio 2003, cit. Anche prima dell’avvento delle attuali discipline in materia di patti parasociali, peraltro, si sottolineava la possibilità di provare l’esistenza dei patti parasociali “con qualsiasi mezzo, sia per testimoni che con presunzioni ai sensi degli artt. 2721 e 2729 cod. civ.”: così FARENGA, I contratti parasociali, in Nuova giur. civ. comm., 1989, II, 70, il quale richiamava Cass. 8 agosto 1963, n. 2244, in Giust. civ., 1963, I, 1772, e in Giur. it., 1964, I, 1, 983. 153 Analoga osservazione è stata fatta, con riferimento all’ordinamento tedesco, da SCHNEIDER, § 22, cit., 1074. Circa l’ammissibilità della prova indiziaria dell’azione di concerto, cfr., per tutti, STEINMEYER, op. cit., 525. Nella giurisprudenza americana, un’applicazione dello strumento delle presunzioni per la prova di un concerto è stata fatta in Champion Parts Rebuilders, Inc. v. Cormier Corp., 661 F. Supp. 825 (N.D. Ill 1987); più di recente, per la generale affermazione che l’esistenza di un gruppo di soggetti agenti congiuntamente è questione da decidere in concreto, senza predeterminazione delle possibili circostanze rilevanti, cfr. Hallywood Realty Partners LP v. Gotham Partners LP, 286 F.3d 613 107 Pertanto, non vi sono circostanze in grado di fondare una presunzione assoluta dell’avvenuta conclusione di un tale accordo.154 Si è osservato, in particolare, che tale prova “consente di ovviare, da un lato, alla difficoltà di provare fatti che difficilmente sono conoscibili a soggetti estranei all’accordo, dall’altro agli inconvenienti che si potrebbero creare riconducendo ai patti parasociali semplici comportamenti paralleli e non coordinati”155. Tale indirizzo, che ammette l’impiego delle presunzioni nella prova dei patti parasociali occulti, ha di recente ricevuto un ulteriore avallo della giurisprudenza di merito, che, espressasi di nuovo nell’ambito della nota e travagliata vicenda UnipolBNL, ha riconosciuto apertis verbis la possibilità di raggiungere la prova dei patti occulti “alla stregua di circostanze presuntive gravi, univoche e concordanti”156. La giurisprudenza ha altresì osservato, per quanto incidentalmente, che dagli elementi indiziari157 forniti da chi ha interesse all’emersione e alla pubblicizzazione di un patto segreto, dovrebbero potersi individuare con sufficiente precisione il suo oggetto e gli obblighi nascenti a carico delle parti.158 (2d Cir. 2002). In dottrina, si è recentemente osservato che “proof of group formation may consist of circumstantial evidence”: LEVY, op. cit., 5-19. 154 Analog., nella letteratura tedesca, GAEDE, op. cit., 220-221, ove si osserva che “denn würde man tatsächliche Umstände genügen lassen, käme dies einer Aufstellung einer unwiderleglichen Vermutung gleich. Würdigt man die tatsächlichen Umstände auf Beweisebene, ist dagegen eine Widerlegung möglich” (“se si ritenessero sufficienti alcune circostanze effettive, ciò equivarrebbe alla formulazione di un’inconfutabile presunzione. Se si apprezzano le circostanze effettive sul piano della prova, diviene per contro possibile una confutazione”, ossia la prova contraria). Nondimeno, dato che anche per mezzo delle presunzioni la prova dell’esistenza di un patto parasociale rimane difficile da raggiungere, in dottrina si è proposta almeno l’introduzione di presunzioni iuris tantum dell’esistenza di patti parasociali “al verificarsi di dati indici rivelatori” (così RESCIO, Gli strumenti di controllo, cit., 68). 155 Sono parole di FIORIO, Nota ad App. Milano, cit., 1876. Si noti che sull’idoneità della prova presuntiva a fondare da sola il convincimento del giudice, non sembrano ormai esservi dubbi: cfr. Cass. 4 marzo 2005, n. 4743, in Foro padano, 2006, 1, I, 50; Cass. 6 luglio 2002, n. 9834, in Giust. civ. Mass., 2002, 1174; Cass. 21 dicembre 1988, n. 6987, in Giust. civ. Mass., 1988, f. 12. 156 Così App. Venezia, 12 agosto 2010 (decr.), cit., pubblicata in Società, 2010, 1498 ss. La Corte ha ravvisato gli indizi presuntivi dell’esistenza di un patto occulto tra BPI (oggi “Banca Popolare Società Cooperativa”) e Unipol, volto ad acquisire congiuntamente il controllo di BNL tramite acquisto di azioni sul mercato, da un lato nell’assidua consultazione dei rispettivi dirigenti e, dall’altro, nella stipula di un contratto derivato tra BPI e Barclays Bank, avente ad oggetto un pacchetto di azioni di BNL, che, oltre ad essere stato, secondo la motivazione, “sollecitato da Unipol”, configurava ad avviso della Corte un fenomeno di natura interpositoria, con previsione implicita “a carico della parte intermediaria di un obbligo di consegna delle azioni sottostanti il derivato, a mera richiesta del titolare dell’opzione (in alternativa al pagamento del differenziale in denaro), nell’interesse del quale le azioni erano state acquistate” (ivi, 1499). La Corte d’Appello ha dunque confermato le sanzioni già irrogate dalla Consob ai pattisti per la mancata pubblicazione dell’accordo “avente ad oggetto l’acquisto concertato di azioni ordinarie BNL e l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla Banca stessa”, nonché per l’esercizio del voto in violazione della sanzione di cui all’art. 122, comma 4, T.U.F. (così la Delibera Consob 16 aprile 2009, n. 16867, in Boll. Consob., 4/2/2009). La Consob, in particolare, aveva contestato a BPI due acquisti di azioni concertati con Unipol, uno effettuato direttamente sul mercato tra il 10 e il 16 maggio 2005 e l’altro avvenuto, appunto, indirettamente attraverso la stipula del derivato con Barclays Bank. 157 Sia detto per inciso che, come osservato da un autorevole studioso della materia, nessun dubbio dovrebbe residuare in merito alla “equipollenza sostanziale tra ‘presunzione’ e ‘indizio’”: così COMOGLIO, Le prove civili, Torino, 2010, 663. 158 Cfr. App. Bologna, 27 gennaio 2010, cit., 591; nello stesso senso App. Bologna, 26 gennaio 2010 (decr.), che ha affermato la necessità di provare “l’intervenuto accordo tra le parti, il contenuto dell’accordo tale da integrare una delle ipotesi previste dalla norma citata [l’art. 122 T.U.F.], quali soggetti hanno aderito al patto stesso” (pronuncia reperibile in www.ipsoa.it). Il punto è messo in 108 Come si è visto, la difficoltà di distinguere - in presenza di un parallelismo di condotte da parte di più soggetti - tra un vero e proprio accordo tacito, una collusione tacita e l’inconsapevole parallelismo di comportamenti, sollecita l’interrogativo circa la necessità di fare riferimento a criteri determinati al fine di verificare la sussistenza di un vero e proprio patto parasociale. Si è detto infatti che, per quanto anche i patti parasociali stipulati per fatti concludenti debbano essere presi in considerazione ai fini dell’applicazione della disciplina, occorre dare la giusta valenza alle condotte omogenee di più azionisti e ricercare elementi indiziari ulteriori. Il problema è quello di contemperare, da un lato, l’esigenza a che la normativa non venga aggirata e non si presti ad elusioni e, dall’altro, la necessità di non estendere l’applicazione delle norme sul concerto e sull’OPA obbligatoria a condotte che non costituiscono un accordo e che, pertanto, non sarebbero in ogni caso idonee a determinare il raggiungimento, mantenimento o rafforzamento del controllo della società (o a contrastare gli obiettivi di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio). 159 L’armonizzazione di queste due diverse istanze è certamente questione di non semplice soluzione e deve naturalmente essere ottenuta in concreto attraverso il corretto impiego dello strumento presuntivo, secondo i principi generali.160 Per ovviare a tale ostacolo, nell’intento di rinvenire un criterio utile ad attribuire maggiore certezza ed affidabilità al meccanismo delle presunzioni, parte della dottrina ha proposto di attribuire rilievo discriminante alle c.d. pratiche facilitanti, come lo scambio di informazioni tra le parti, quali “indizi rivelatori della coscienza e volontà di coordinarsi”161. L’idea è coerente con quanto osservato in precedenza circa l’importanza evidenza anche da PURPURA, Sui presupposti minimi necessari per ritenere accertata l’esistenza di patti parasociali (occulti) ex art. 122 T.U.F., in Riv. soc., 2010, 256. La prova indiziaria in questo ambito è ammessa senza particolari dubbi anche nell’ordinamento tedesco, ma spesso emerge la preoccupazione che il nesso inferenziale tra indizio e circostanza da provare sia “oltremodo solido”, “dovendo la sussistenza dell’indizio essere quasi sempre accompagnata dalla sussistenza di questa circostanza” (“muss [...] der Zusammenhang zwischen dem Indiz und der zu beweisenden Tatsache außerordentlich stark sein, indem das Vorliegen des Indizes fast immer vom Vorliegen dieser Tatsache begleitet werden muss”): il criterio è così enunciato da PSAROUDAKIS, op. cit., 494. L’A. mette anche in guardia dal rischio di operare pressoché automaticamente un’inferenza presuntiva a partire da indizi quali il c.d. comportamento parallelo, il concordato acquisto di azioni, l’intesa in un caso singolo o rapporti di carattere familiare tra più azionisti, in quanto “la loro considerazione dovrebbe essere possibile accanto ad altri indizi” (“ihre Mitberücksichtigung neben anderen Indizien möglich sein sollte”: ibidem, 495). Anche in Francia la giurisprudenza “a admis la production de tous moyens de preuve”: così LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 423. L’art. 1353 del Code civil, peraltro, contempla esattamente gli stessi requisiti di ammissibilità della prova per presunzioni che valgono nel nostro ordinamento, ossia la gravità, la precisione e la concordanza. 159 L’esigenza di non impedire discussioni di carattere preliminare e quindi la comunicazione tra gli azionisti è stata avvertita anche dalla giurisprudenza americana: cfr. Lane Bryant, Inc. v. Hatleigh Corp. [1980 Transfer Binder] Fed. Sec. L. Rep. (CCH) (S.D.N.Y. June 9, 1980); analog. Paintry Pride, Inc. v. Rooney, 598 F. Supp. 891 (S.D.N.Y. 1984). 160 Autori tedeschi hanno efficacemente osservato che le difficoltà di assolvimento dell’onere probatorio in questo ambito non autorizzano ad abbandonare le regole generali in tema di prova: così SCHÜPPENWALZ, op. cit., 652. Conf. RALOFF, op. cit., 197, che reputa necessaria anche la dimostrazione del nesso causale tra lo scambio di informazioni e il comportamento coordinato ed aggiunge che la difficoltà di tale prova non può comunque consentire di assoggettare al § 30 i semplici comportamenti paralleli, consapevoli o inconsapevoli. 161 GIUDICI, L’acquisto, cit., 504. Il problema di individuare possibili criteri “per stabilire in quale situazione societaria il voto ‘convergente’ assuma rilevanza” era sollevato anche da BIANCHI, op. cit., 443. 109 che occorre attribuire al riscontro di un procedimento comunicativo che valga a qualificare la relazione intercorrente tra le parti. Ciò premesso, pare però indispensabile passare in rassegna, con l’ausilio delle elaborazioni compiute nel tempo dalla giurisprudenza, le principali caratteristiche della prova per presunzioni ed i principi che la governano; in particolare, è di grande interesse ai fini della presente indagine l’individuazione della “soglia minima” di operatività della medesima. Al riguardo, è bene evidenziare sin da ora che la Suprema Corte ha affermato che “la prova per presunzioni non esige che il fatto ignoto sia desumibile da una pluralità di fatti noti, cioè da una pluralità di fonti certe che parimenti convergano verso un identico risultato logico-deduttivo, bastando dunque anche un unico fatto noto, quando tutti gli aspetti di esso, in assenza di circostanze di valenza contraria, siano chiaramente ed univocamente concordanti sul verificarsi del fatto ignoto”. 162 L’unico fatto noto, allora, potrebbe consistere nel comportamento delle parti, purché però “tutti gli aspetti di esso” - tra cui, è da ritenere, la portata e gli effetti delle condotte convergano in un’unica direzione; il mero fatto della condotta uniforme, lo si è già anticipato, in assenza di ulteriori profili peculiari, non dovrebbe invece poter costituire indizio sufficiente ad inferire l’esistenza di un patto occulto. Tale conclusione può certamente rappresentare un primo passo, ma non consente ancora di mettere a fuoco la potenziale rilevanza delle condotte episodiche rispetto a quelle che si manifestano con carattere di continuità. La questione è connessa al noto dibattito sorto intorno al requisito della “concordanza” delle presunzioni, richiesto dall’art. 2729 c.c. L’orientamento giurisprudenziale prevalente ha da tempo ritenuto che tale presupposto non implichi necessariamente la presenza di una pluralità di elementi indiziari e, pertanto, ha concluso nel senso che esso sia meramente eventuale, non essendo da escludere la possibilità che il giudice “possa legittimamente formare il proprio convincimento anche su di una sola presunzione semplice, purché grave e precisa”.163 Inoltre, sebbene con qualche residuo dissenso, la dottrina e la giurisprudenza sono ormai concordi nell’affermare che l’inferenza induttiva propria del giudizio di fatto non debba condurre ad una certezza assoluta circa l’esistenza del fatto da provare, ma possa limitarsi a desumere quest’ultimo “dal fatto noto come 162 Così Cass. 11 dicembre 1998, n. 12481, in Foro it., Rep., 1999, voce Tributi in genere, n. 1053. Il virgolettato è di COMOGLIO, op. cit., 672, nt. 79. In giurisprudenza tale orientamento è ormai prevalente: si vedano Cass. 26 marzo 2003, n. 4472, in Giust. civ. Mass., 2003, 613; Cass. 4 maggio 1999, n. 4406, in Giust. civ. Mass., 1999, 1001; Cass. 3 febbraio 1999, n. 914, in Giust. civ. Mass., 1999, 244; Cass. 4 febbraio 1993, n. 1377, in Giust. civ. Mass., 1993, 224, nonché in Giust. civ., 1993, I, 1485. Residua tuttavia qualche pronuncia contraria: cfr. Cass. 6 agosto 2003, n. 11906, in Giust. civ. Mass., 2003, 7-8, la quale ha ritenuto che “il requisito della concordanza postula che la prova sia fondata su una pluralità di fatti noti convergenti”. Peraltro, anche su un piano di analisi ulteriore e più specifico, la giurisprudenza si divide: da una parte, si ritiene che in presenza di più elementi indiziari il giudice debba procedere ad una valutazione necessariamente complessiva degli stessi (cfr. ad es. Cass. 18 febbraio 2005, n. 3390, in Rep. Foro it., 2005, Voce Presunzione, n. 9; nonché, più di recente, Cass. 13 novembre 2009, n. 24134, in www.dejure.giuffre.it, ove si legge che “è compito del giudice del merito valutare in concreto l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva”); dall’altra, si afferma che il giudice dovrebbe invece valutare preventivamente ciascuno dei singoli indizi ed escludere quelli “intrinsecamente privi di rilevanza” (così Cass. 13 ottobre 2005, n. 19894, in Fallimento, 2006, 1392; nonché Cass. 18 settembre 2003, n. 13819, in Giust. civ. Mass., 2003, 9). 163 110 conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità” 164; al contempo, però, è necessario che tale rapporto inferenziale possa ritenersi esclusivo, cioè non suscettibile di lasciare spazio a diverse alternative, quand’anche di minore probabilità.165 Proprio questi criteri confermano in linea di massima, salva naturalmente la necessità di procedere alla disamina dei singoli casi concreti, che la semplice convergenza di condotte da parte di più soci in una singola occasione non pare tendenzialmente idonea, in quanto unico indizio, a fondare un’inferenza probatoria di tipo esclusivo, a meno che, appunto, sia accompagnata da ulteriori elementi particolarmente incisivi.166 Viceversa, la reiterazione di determinati comportamenti omogenei da parte di più soggetti può sicuramente presentare quella più intensa valenza probatoria nel senso dell’esistenza, a monte, di un accordo tra gli agenti, che sia anche in grado di determinare stabili effetti sul controllo e, quindi, sul governo della società. Naturalmente, quanto precede non può valere ad escludere l’operatività del principio del contraddittorio e, dunque, a consentire l’ingresso della prova contraria da parte dei presunti membri del patto parasociale mantenuto segreto. 167 Già in epoca precedente alle novelle del T.U.F. del 2007 e del 2009, la dottrina aveva discusso in merito a quelli che costituiscono i più classici sintomi dell’avvenuta stipulazione di un patto parasociale, ossia la presentazione congiunta di una lista di candidati al consiglio di amministrazione o la convergenza dei voti di più azionisti in assemblea. L’opinione maggioritaria ha escluso la rilevanza di simili comportamenti 164 Così nella massima Cass. 10 gennaio 2006, n. 154, in Giust. civ. Mass., 2005, 7/8; conf. Cass. 29 maggio 2006, n. 12282, in Giust. civ. Mass., 2005, 11; Cass. 8 aprile 2004, n. 6889, in Giust. civ. Mass., 2004, 4; Cass. 20 febbraio 2003, n. 2582, in Giur. it., 2003, 2251, che ha preferito parlare di “ragionevole probabilità”; Cass. 13 novembre 1996, n. 9961, in Giust. civ. Mass., 1996, p. 1519. In dottrina, v. COMOGLIO, op. cit., 669. 165 Cfr. Cass. 6 agosto 1999, n. 8489, in Riv. crit. dir. lav., 1999, 902, nella cui massima si esprime la necessità che “tra il fatto noto e quello da dimostrare sussista un legame che, pur senza essere di assoluta ed esclusiva necessità causale ma stabilito alla stregua di un canone di probabilità, sia esclusivo, nel senso che, sia pure con il metro della probabilità, dal fatto noto sia possibile inferire solo quello ignoto.” Così anche Cass. 28 novembre 1998, n. 12088, in Giust. civ. Mass., 1998, p. 2482. Tale requisito presenta una stretta parentela con il presupposto normativo della “gravità” della presunzione, la quale, come si è scritto, rappresenta “la proiezione definitoria del grado o dell’intensità variabile delle probabilità, da valutarsi caso per caso”: così COMOGLIO, op. cit., 671. Anche nella letteratura tedesca si è ribadito questo principio, in forza del quale non basterebbe che tra più possibilità una di esse sia più probabile delle altre: cfr. SCHOCKENHOFF-SCHUMANN, op. cit., 600. 166 Il fatto che, come ritenuto in precedenza, i patti di carattere occasionale e quindi con effetti limitati nel tempo non siano probabilmente in grado di far sorgere un obbligo di offerta (almeno qualora la prova liberatoria riguardante l’inesistenza di un’influenza dominante abbia successo), non è in contraddizione con l’idea ora espressa nel testo secondo cui, in particolari casi, anche la condotta uniforme manifestatasi una tantum può fondare, se accompagnata da ulteriori elementi indiziari, la prova presuntiva dell’esistenza di un (non occasionale) accordo. 167 Sollecita a non perdere di vista il basilare principio del contraddittorio, COMOGLIO, op. cit., 674, che richiama l’esigenza “di garantire costantemente alle parti la possibilità effettiva di esercitare un controllo dialettico preventivo sui presupposti ‘basici’ del ragionamento inferenziale”. Anche in Germania si è sottolineato che ai concertisti spetta comunque la possibilità di dare la prova dell’effettivo perimetro e contenuto dell’accordo, come anche della mancanza di ripercussioni dello stesso sulle vicende riguardanti il controllo della società: v. PSAROUDAKIS, op. cit., 479-480; WEIß, op. cit., 117. Si noti come tale conclusione si avvicini molto a quella accolta nelle pagine precedenti circa la possibilità che i presunti concertisti debbano avere di provare la incapacità del loro legame e delle loro condotte di influire in modo consistente sulle concrete dinamiche inerenti al controllo societario. 111 quali indici di per sé sufficienti a dimostrare l’esistenza di un patto parasociale 168: è evidente però che tale condotta potrebbe rappresentare un indizio, che, se particolarmente connotato alla luce dei criteri dinanzi illustrati, può consentire di giungere ad individuare la presenza di un ulteriore accordo non comunicato, verosimilmente avente ad oggetto il voto in assemblea.169 In proposito, è importante ricordare altresì che il d. lgs. n. 303 del 2006 ha abrogato il comma 2 dell’art. 147-ter T.U.F., ai sensi del quale “per le elezioni alle cariche sociali le votazioni devono sempre 168 G. F. CAMPOBASSO, Voto di lista, cit., 128 ss. e spec. 130, il quale più radicalmente opinava nel senso che gli accordi tra più azionisti per la presentazione congiunta di una lista di candidati al consiglio di amministrazione - non affiancati da un parallelo accordo sul voto - non costituiscono patti parasociali rilevanti ai sensi dell’art. 122 T.U.F. in quanto “non sono destinati ad incidere sugli assetti proprietari e sulla contendibilità del controllo delle società quotate”; BIANCHI, op. cit., 442. Analog., più di recente, MACRI’, Patti parasociali, cit., 60 ss. Il punto è ben messo in evidenza anche dal rapporto del Comitato ESME (European Securities Market Expert Group) della Commissione Europea, intitolato Preliminary views on the definition of “acting in concert” between the Transparency Directive and the Takeover Bids Directive, del 17 novembre 2008 (reperibile in www.ec.europa.eu); vi si legge infatti: “In order to enhance good corporate governance, especially in case of cross-border shareholdings, it is of major importance that shareholders know when they are able to exchange information and work together without any fear of their action triggering undue obligations.” Proprio al fine di non impedire la proficua collaborazione tra azionisti tramite la costante minaccia di gravosi obblighi, si sottolinea, inoltre, l’importanza di un’impostazione normativa che distingua adeguatamente tra vero e proprio concerto e (semplici) condotte attive degli azionisti, specie quelli istituzionali: “for instance, (institutional) shareholders are increasingly working together in the execution of their corporate governance (or more broadly: environmental, social and governance) polices towards corporations, without seeking any controls of these corporations. Therefore, a dividing line between shareholder activism and acting in concert should be drawn.” Un breve commento al documento in parola è offerto da MOSCA, Il documento dell’ESME in materia di “acting in concert”, in Riv. soc., 2009, 228 ss. 169 Sulla questione ha inciso direttamente il Documento di consultazione della Consob del 6 ottobre 2010, con il quale l’Autorità di vigilanza, nell’ambito della facoltà, attribuitale dall’art. 101-bis, comma 4-ter, T.U.F., di individuare ulteriori presunzioni relative di concerto, aveva proposto di modificare l’art. 44quater del Regolamento Emittenti riconducendo alla fattispecie dell’azione di concerto la presentazione congiunta di una lista per “l’elezione della maggioranza dei componenti dell’organo amministrativo o del consiglio di sorveglianza”, nonché la promozione congiunta “di una sollecitazione di deleghe di voto finalizzata alla votazione di tale lista” (il documento, con i relativi allegati, è consultabile sul sito internet www.consob.it). E’ importante sottolineare che la stessa Consob, nell’allegato 6 del Documento (pag. 11), evidenziava che “si è ritenuto di presumere la sussistenza di una cooperazione volta ad acquisire o mantenere il controllo”, proprio in virtù dell’idoneità di tali forme di cooperazione ad incidere sul controllo degli organi di governo societari. Tale soluzione è stata però superata dal successivo Documento di Consultazione del 18 febbraio 2011 (anch’esso consultabile in www.consob.it), con il quale la Consob ha eliminato la suddetta presunzione dal corpo dell’art. 44-quater del Regolamento, registrando (v. pag. 12 del documento) la critica che “ha riguardato la presunzione di concerto concernente la presentazione di una lista volta ad eleggere la maggioranza degli organi sociali, in quanto è stato evidenziato come tale presunzione non consente in concreto di fornire una prova contraria all’atto della presentazione della lista, operando a prescindere dalla effettiva nomina della maggioranza dei componenti.” Ancora: “condividendo tale osservazione si è ritenuto di eliminare tale presunzione fermo restando che tale fattispecie potrà costituire un indizio utile ai fini dell’accertamento di un’azione di concerto” (corsivo aggiunto). E’ forse per questa ragione che qualche commentatore ha recentemente osservato che la predetta conclusione dovrebbe probabilmente essere rimeditata alla luce dell’attuale generale nozione di concerto di cui all’art. 101-bis T.U.F., nel cui alveo - sub specie di accordo volto a mantenere il controllo della società - sarebbe riconducibile proprio la presentazione di una lista comune di candidati all’organo amministrativo: così SERSALE, Sub art. 109, cit., 109-110, il quale tuttavia pare prendere in considerazione soltanto la lista “di maggioranza”. L’Assonime viceversa, nella recente Circolare n. 4/2010, già citata, ha espresso l’auspicio che tale ipotesi venga dalla Consob espressamente fatta oggetto di esenzione ai sensi dell’art. 101-bis, comma 4-ter, T.U.F., al fine di evitare agli investitori istituzionali e agli altri azionisti il “timore che i propri comportamenti vengano impropriamente assimilati all’azione di concerto”. 112 svolgersi con scrutinio segreto”. La dottrina ha ritenuto positiva questa abrogazione per “il rilievo che assumono le manifestazioni di voto dei presunti paciscenti quale indice presuntivo dell’esistenza del patto”.170 Non dovrebbero esservi dubbi sul fatto che della prova per presunzioni possano servirsi tanto la Consob quanto gli altri soggetti interessati all’emersione del patto occulto, come gli azionisti estranei al medesimo.171 La stessa Consob, peraltro, ha precisato di non incontrare i limiti previsti dal codice civile per la prova presuntiva del contenuto dei contratti: in tal senso può essere richiamata una pronuncia del Consiglio di Stato riguardante il caso SAI-Fondiaria, che ha affermato, con riguardo alla posizione dell’Autorità, come “la dimostrazione del patto non incontri i limiti previsti dal codice civile per la prova testimoniale e per le presunzioni semplici, allorché il patto venga in considerazione nella veste di fatto illecito”172. 170 DESANA, Tribunale versus Corte d’Appello, cit., 597, nt. 17. Già prima del d. lgs. n. 303/2006 altri autori avevano auspicato l’abrogazione della norma citata, proprio in quanto avrebbe compromesso “la possibilità di accertare l’aggiramento di discipline quali, per es., quella sull’opa obbligatoria, atteso che il parallelismo di voto può essere considerato in certe circostanze un indizio di esistenza di un patto parasociale occulto”: così FERRARINI-GIUDICI, La legge sul risparmio, ovvero un pot-pourri della corporate governance, in Riv. soc., 2006, 591; analog. G. ROSSI, La legge sulla tutela del risparmio e il degrado della tecnica legislativa, in Riv. soc., 2006, 7, il quale rilevava l’incoerenza di un’impostazione normativa che prescrive obblighi di pubblicità ai sindacati di voto e, al contempo, indebolisce fortemente la possibilità di addivenire al loro accertamento. La possibilità di utilizzo dello strumento presuntivo nel caso in esame ha trovato anche un fondamento normativo nell’art. 4, comma 227, della l. n. 350/2003, il quale, in relazione all’impiego della golden share statale sotto forma di opposizione alla stipula di patti ex art. 122 T.U.F., ha stabilito che “qualora dal comportamento in assemblea dei soci sindacati si desuma il mantenimento degli impegni assunti con l’adesione ai patti di cui al citato articolo 122 del testo unico di cui al d. lgs. n. 58/1998, le delibere assunte con il voto determinante dei soci stessi sono impugnabili”. Tuttavia, è da rilevare che anche tale norma non ha adottato la stessa soluzione contemplata dall’ordinamento inglese, il quale sancisce una presunzione di agire concertato in presenza di una convergenza di voti in assemblea su delibere riguardanti la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione. Così il City Code inglese, alla Note 2 della Rule 9.1. Per una posizione recisamente contraria all’adozione di un simile criterio anche nel nostro ordinamento, si veda BIANCHI, op. cit., 442. La norma italiana citata, infatti, fa riferimento ad un’inferenza presuntiva puramente eventuale, escludendo ogni automatismo e richiedendo implicitamente, dunque, altri indizi in grado di rafforzare il convincimento circa l’esistenza di un patto parasociale. 171 E’ stata però evidenziata la difficoltà di dimostrare l’esistenza del patto da parte degli azionisti estranei: SANTONI, I patti parasociali, cit., 214, il quale osservava che “in ogni caso è la Consob a disporre di penetranti poteri inquisitori ed ispettivi che le consentono di venire in possesso di informazioni anche in caso di reticenza da parte dei soci aderenti al patto.” Si veda, ad esempio, l’atto di accertamento allegato alla già citata Delibera della Consob n. 15029 del 10 maggio 2005, in cui l’Autorità riconosceva di aver fatto ricorso a procedimenti logico-deduttivi e di essersi servita dello strumento delle presunzioni, richiamando le pronunce che ne avevano precedentemente affermato la legittimità (App. Milano, decreti del 5-28 febbraio 2003 e del 21 giugno 2003; App. Torino, decreti del 21-27 febbraio 2002; TAR Lazio, sentenza del 23-30 ottobre 2002). La delibera è pubblicata parzialmente in Società, 2005, 1041 ss., con commento di BAGLIONI, op. cit., 1042 ss. Anche in Germania, come si è rilevato, gli azionisti non hanno a disposizione i medesimi strumenti che può utilizzare l’Autorità (BaFin): cfr. SCHOCKENHOFF-SCHUMANN, op. cit., 596. 172 Cons. Stato, VI Sezione, 13 maggio 2003, n. 4142, in Giur. it., 2004, IV, 2111. Si è osservato peraltro che la Consob non è fornita dei poteri di ispezione e di indagine simili a quelli dell’Autorità Antitrust: così GIUDICI, L’acquisto, cit., 505-506, il quale esprime seri dubbi sul fatto che l’art. 115, comma 2, T.U.F. “legittimi la Consob anche nei confronti dei soggetti solamente sospettati di essere legati da un patto nascosto” e conclude nel senso che “nel caso in cui non vi fosse un socio di controllo chiaramente identificabile, perciò, la Consob non avrebbe comunque alcun potere ispettivo capace di condurre al superamento dei problemi di prova”. 113 E’ bene da ultimo precisare che la soluzione che ammette la prova presuntiva dell’esistenza dei patti parasociali non contrasta, giusta la presunzione legale stabilita dall’art. 101-bis T.U.F., con il divieto di praesumptio de praesumpto, fondato sulla necessità che il ragionamento inferenziale poggi sull’esistenza di un fatto “noto”, sì come richiesto dall’art. 2727 c.c., anziché su una circostanza a sua volta presunta 173: invero, la giurisprudenza riconosce uniformemente che tale divieto non impedisce al giudice di innestare una presunzione legale su di un fatto accertato mediante presunzione semplice.174 Proprio il richiamo a detto principio fornisce la conferma dell’erroneità delle tesi che interpretano in senso soggettivistico le norme che fanno riferimento alla finalità di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società (art. 2341-ter c.c.) o a quella di acquisire, mantenere o rafforzare il controllo (art. 101bis T.U.F.); la ricostruzione che muove dall’intento (quale elemento di carattere soggettivo) dei presunti pattisti, per ricavarne l’esistenza di un patto parasociale (o comunque di un concerto) appare infatti in contrasto con il divieto di praesumptio de praesumpto: presumendo l’esistenza di un patto parasociale dall’intenzione comune degli acquirenti di azioni, si incorrerebbe evidentemente in una presunzione di secondo grado, posto che anche l’elemento psicologico non potrà che poggiare su un procedimento inferenziale di natura presuntiva.175 12. Segue: prova dell’apparenza giuridica. dell’esistenza dei patti parasociali e principio Un ulteriore aspetto meritevole di essere indagato, anche alla luce dell’analisi sin qui svolta, riguarda la possibile operatività, nell’ambito della categoria dei patti parasociali occulti, del principio, di derivazione giurisprudenziale, dell’apparenza giuridica. L’elaborazione ad esso sottesa, come noto, si traduce essenzialmente nell’idea della necessità di tutelare coloro i quali abbiano riposto il proprio affidamento incolpevole, sulla scorta di dati della realtà obiettivamente idonei ad ingenerare una situazione di apparenza, nella sussistenza di una determinata situazione giuridica, in realtà inesistente; la giurisprudenza non si limita, in questi casi, a riconoscere l’azionabilità di una tutela di tipo risarcitorio ai soggetti danneggiati, ma si spinge ad 173 Il divieto di operare una presunzione di secondo grado, fondata cioè su di un fatto a sua volta soltanto presunto, rappresenta un principio consolidato: in giurisprudenza si veda, per tutte, Cass. 9 aprile 2002, n. 5045, in Giust. civ. Mass., 2002, p. 612. Tale principio opera anche nell’ordinamento tedesco, come evidenziato da SCHOCKENHOFF-SCHUMANN, op. cit., 600. 174 V., ex multis, Cass. 18 gennaio 2008, n. 1023, in Giust. civ. Mass., 2008, 1, 58; Cass. 21 dicembre 2007, n. 27032, in Giust. civ. Mass., 2007, 12; Cass. 20 giugno 2006, n. 14115, in Giust. civ. Mass., 2006, 6; nonché già Cass. 9 settembre 1996, n. 8180, in Giur. it., 1997, I, 1, 1244. 175 Come si ricorderà, la Corte d’Appello di Bologna, pur estendendo il requisito della finalità di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società anche nell’ambito della disciplina del T.U.F., in una recente pronuncia riguardante il caso Unipol-BNL, ha finito per sostenere l’impostazione qui criticata là dove ha ritenuto che gli elementi indiziari forniti dalla Consob non fossero sufficienti a provare “l’intento di stabilizzazione degli assetti proprietari necessario per poter ravvisare la sussistenza di un patto parasociale rilevante ai sensi dell’art. 122 T.U.F.”: così App. Bologna, 27 gennaio 2010, cit., 591. 114 affermare l’inopponibilità, da parte di chi con il proprio comportamento ha ingenerato nei terzi l’affidamento incolpevole, dell’inesistenza della situazione giuridica apparente: quest’ultima, cioè, è ritenuta pienamente sussistente, o meglio può essere fatta valere come tale da coloro che sono incorsi incolpevolmente nell’errore. E’ risaputo che di tale principio la Suprema Corte ha fatto un ampio uso con particolare riferimento al fenomeno della società apparente, con la conseguenza che gli apparenti soci sono stati ritenuti assoggettati a tutte le conseguenze che sarebbero derivate in caso di effettiva esistenza della società.176 Applicando tale ricostruzione alla fattispecie dei patti parasociali occulti, ne potrebbe discendere che l’insieme di una serie di elementi obiettivamente percepibili, volti a far sorgere nei terzi un affidamento incolpevole in ordine all’esistenza di un siffatto accordo, dovrebbe determinare l’applicazione della relativa disciplina, con l’aggravante dell’applicazione delle sanzioni derivanti dalla mancata comunicazione del patto; di conseguenza, gli altri soci potrebbero, ad esempio, impugnare le delibere adottate con il voto determinante di coloro che risulterebbero parti del medesimo, senza che questi possano opporre e far valere l’inesistenza dell’accordo. Tale ragionamento non pare però sufficientemente persuasivo, in quanto foriero di esiti non condivisibili alla luce dei risultati interpretativi raggiunti nell’indagine sin qui condotta. In primo luogo, si rischierebbe probabilmente di attribuire rilievo anche ai comportamenti paralleli puramente occasionali, magari attraverso un’eccessiva valorizzazione dell’elemento (per così dire, soggettivo) della non colpevolezza dell’affidamento; ma soprattutto, sorgerebbero notevoli incertezze in punto di rapporti tra principio di apparenza e prova presuntiva dell’esistenza del patto, con conseguente ampliamento dei margini di discrezionalità del giudice nell’ambito del relativo accertamento. E’ interessante osservare che un illustre autore ha ancora di recente escluso, con riferimento all’ipotesi dell’esistenza di una società, che essa possa essere contemporaneamente occulta ed apparente, giacché i due concetti si escluderebbero a vicenda: secondo questa dottrina, la situazione di apparenza presupporrebbe necessariamente, oltre ad una serie di atti corrispondenti all’esercizio dell’attività economica, la spendita del nome della società nei rapporti esterni, ciò che naturalmente non può accadere nel caso della società occulta; dunque, la semplice pluralità di condotte “che possono suscitare l’immagine esteriore di una società [...] possono integrare la prova di una (esistente) società occulta, non già giustificare il convincimento dei terzi circa l’apparenza di una (inesistente) società.”177 Tale osservazione sembra utilmente estendibile al caso che qui interessa: anche per quanto concerne i patti parasociali occulti, cioè, pare più corretto ritenere che la 176 Tale indirizzo giurisprudenziale è risalente ed ormai consolidato: cfr. ad es. Cass. 7 giugno 1985, n. 3388, in Fallimento, 1986, 152; Cass. 9 gennaio 1975, n. 49, in Giur. comm., 1975, II, 597; Cass. 18 giugno 1968, n. 2009, in Dir. fall., 1968, II, 526. 177 Quella esposta è la tesi espressa da GALGANO, Trattato di diritto civile, Padova, 2010, v. II, 413 ss., il quale aggiunge che “la società apparente è, tecnicamente, una società simulata, retta dagli specifici principi della simulazione dei contratti” (ibidem, 415). Si veda anche ID., Della simulazione, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Artt. 1414-1446, Bologna-Roma, 1998, 22 ss. 115 reiterazione di comportamenti omogenei, anziché determinare in base ad una sorta di automatismo l’applicazione del principio di apparenza, debba servire unicamente a fondare la prova presuntiva dell’esistenza del patto, con le conseguenze precedentemente esaminate.178 L’operatività del principio di apparenza potrebbe forse conservare un margine di applicazione con riferimento ad ipotesi diverse: esso, cioè, presupporrebbe anche che il patto, quand’anche concluso tacitamente o per fatti concludenti, oltre ad essere attuato venga anche dichiarato esistente (si pensi all’ipotesi in cui uno degli aderenti al patto non formalmente esteriorizzato in precedenza - dichiari in assemblea di esercitare il proprio voto secondo quanto stabilito dal sindacato cui aderisce: in un simile caso non sarà più opponibile agli altri soci e ai terzi l’inesistenza del patto, proprio perché si genererà un legittimo affidamento in ordine alla sua effettiva sussistenza). 179 La dichiarazione del patto come esistente, però, non fa altro che confermare che i principi in materia di apparenza sono incompatibili con il fenomeno del patto parasociale occulto (nonché, più in generale, con l’occultamento di fatti giuridicamente rilevanti). 13. Segue: i patti parasociali occulti tra negozi indiretti e simulazione. Il tema della prova dei patti parasociali occulti induce ad esplorare un ulteriore fenomeno riscontrabile nella pratica. Può accadere, cioè, che più soggetti pongano in essere comportamenti che, pur non consistendo propriamente nell’attuazione di un patto parasociale, potrebbero quantomeno celare un simile accordo e, pertanto, dare vita ad un’ipotesi di occultamento (o, forse, anche di simulazione).180 Il tema del nascondimento dei patti parasociali dietro lo “schermo” di un diverso negozio giuridico era stato più volte toccato da numerosi autori che, occupandosi in passato dell’argomento, rilevavano il possibile intreccio dei due fenomeni. 181 Le ipotesi 178 Anche in Germania diversi autori hanno messo in evidenza l’inadeguatezza e l’inammissibilità di un’eventuale “Anscheinsregeln” (regola dell’apparenza), in connessione con l’impraticabilità delle massime di esperienza in questo settore dell’ordinamento: si vedano VON BÜLOW-BÜCKER, op. cit., 702; PSAROUDAKIS, op. cit., 497-498; PRASUHN, op. cit., 211; SCHÜPPEN-WALZ, op. cit., 652, ove si precisa che semplici elementi di sospetto non possono mai dare ingresso ad un’inversione dell’onere della prova; così anche STEINMEYER, op. cit., 525. Propenso ad aprire cautamente la porta ad un simile meccanismo sembra invece SCHNEIDER, § 22, cit., 1074, temendo che la frapposizione di ostacoli all’alleggerimento dell’onere probatorio possa privare le norme della loro funzione. 179 Semmai, potrebbe porsi il problema della possibilità per gli altri soci presunti membri del patto di opporre la propria estraneità ad esso: la questione è delicata, non essendo certo facile accettare l’idea che tutti i soci che voteranno in assemblea in modo conforme a colui che ha dichiarato di agire sulla base dell’accordo parasociale siano automaticamente considerati membri di questo. La prova contraria, dunque, dovrà ritenersi ammissibile, quantomeno a favore degli altri soci ritenuti membri del patto. 180 Il fenomeno della simulazione in rapporto ai patti parasociali risulta essere stato approfondito soltanto in pochissimi scritti ormai non più recenti: cfr. in particolare CERONI, Simulazione e patti parasociali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, 1111 ss. e spec. 1155 ss., ove però il problema veniva studiato in una diversa prospettiva, giacché si ipotizzava la rilevanza dei patti parasociali quali possibili “controdichiarazioni” (non occulte ma espresse, quindi) rispetto al contratto di società; da questo angolo visuale studiava il problema anche FARENGA, I contratti parasociali, cit., 302 ss. 181 FARENGA, I contratti parasociali, cit., 300 ss.; JAEGER, Il problema, cit., 205, ove si osservava il “ricorso a diversi istituti, utilizzati indirettamente, come veste formale sotto la quale si nasconde, in tutto o in parte, la sostanza dei sindacati azionari [...] Essi vanno dalla società holding, società fiduciarie, 116 che più comunemente venivano immaginate dagli interpreti erano la comunione di azioni, il conferimento da parte di più soci di una società A dei rispettivi pacchetti azionari ad una società holding B (magari di nuova costituzione), l’intestazione fiduciaria di azioni.182 Il fatto che simili congegni negoziali possano celare un patto parasociale era già messo in evidenza in letteratura da quanti osservavano che proprio l’impiego di una holding può rappresentare lo strumento per dotare il patto di una sorta di “efficacia reale” tra le parti, per garantirne cioè il pieno rispetto, al pari dell’utilizzo di altri strumenti giuridici quali, appunto, il trasferimento di azioni ad una società fiduciaria, la comunione di azioni o anche il mandato.183 Gli esempi testé richiamati sollecitano, tuttavia, un approfondimento della questione che consenta di fare maggiore chiarezza e, prima ancora, di distinguere adeguatamente i medesimi fenomeni dalla figura della simulazione. Non vi è dubbio, innanzitutto, che un patto parasociale, al pari di un comune atto negoziale, possa essere in concreto simulato: ciò si verificherà allorquando sussista una controdichiarazione - nota, ovviamente, soltanto agli aderenti - volta ad escludere gli effetti dell’accordo. Sembrerebbe doversi parlare di vera e propria simulazione (del contratto in generale e del patto parasociale in particolare) soltanto nell’ipotesi in cui l’accordo - per quanto, appunto, simulato - si sia manifestato nel mondo giuridico. Non pare agevole, invero, immaginare un patto simulato che non sia stato esteriorizzato: verrebbe meno, in quest’ultimo caso, la stessa ragion d’essere della controdichiarazione, proprio in quanto (il contratto e in particolare) l’accordo parasociale - i cui effetti non sono voluti dalle parti - non è nemmeno reso percepibile ai terzi. Nell’ambito della fattispecie simulatoria, infatti, le parti hanno interesse a che il contratto simulato sia percepito all’esterno come pienamente efficace e dunque, ancor prima, sia riconoscibile come esistente. Tuttavia, si è autorevolmente scritto che “nulla esclude che il contratto simulato, quando non sia un contratto per il quale la legge esige la forma scritta, possa società semplice, comunione di quote, mandato collettivo irrevocabile e previsione di clausole penali”. Sul punto anche VIDIRI, I sindacati di voto: un antico contrasto tra approdi dottrinali e giurisprudenziali, nota a Cass. 27 luglio 1994, n. 7030, in Giust. civ., 1995, I, 1328; RESCIO, I sindacati di voto, cit., 675 ss. Ancor prima, si vedano COTTINO, Le convenzioni di voto, cit., 287; nonché, a commento di un antico caso giurisprudenziale riguardante proprio il conferimento di azioni in una holding, BIGIAVI, Nuovi orizzonti in tema di sospensione di delibera assembleare e di sindacati azionari, in Foro it., 1953, I, 727 ss. 182 Sul fatto che “il sindacato può assumere la veste di una holding”, cfr., in particolare, SBISA’, Sindacati di voto e rappresentanza in assemblea, in Riv. soc., 1991, 1394. Quanto all’intestazione delle azioni sindacate ad un trustee, al fine di dare attuazione ad uno shareholders’ agreement, si tratta di un fenomeno diffuso nell’esperienza statunitense, come rileva anche TUCCI, Contratti parasociali e trust nel mercato finanziario, in I contratti del mercato finanziario, a cura di E. Gabrielli e R. Lener, Torino, 2004, II, 935. 183 V. OPPO, Sub artt. 122-123, cit., 1137; ATELLI, op. cit., 665; JAEGER, Il problema, cit., 254, per il rilievo che “nell’ipotesi di società holding, chi voglia contestare che essa nasconde una convenzione di voto [...] si assume un compito non facile.” Di recente, è intervenuta in argomento anche la Consob, con la Comunicazione n. DEM/8093480 del 9 ottobre 2008, che ha escluso in tali casi l’operatività dell’esenzione dall’obbligo di OPA consistente negli “acquisti infragruppo” di cui all’art. 49, comma 1, lett. c) del Regolamento Emittenti (una volta superata, naturalmente, la soglia rilevante); tale provvedimento è pubblicato in Riv. soc., 2009, 151 ss., con commento di MOSCA, Riorganizzazione della struttura proprietaria e opa obbligatoria, ibidem, 136 ss. 117 essere tacitamente concluso.”184 Naturalmente, se l’accordo è reso manifesto le problematiche emergenti nelle ipotesi di occultamento dei patti parasociali vengono meno e, pertanto, si tratterà di invocare (soltanto) l’applicazione delle norme del codice civile in materia di simulazione (artt. 1414-1417 c.c.).185 Se si accoglie l’idea che sia possibile trovarsi di fronte (ad un contratto e quindi anche) ad un patto parasociale tacitamente concluso e simulato, a quanto detto si affiancherà peraltro il problema della validità dell’accordo simulato (quantomeno nelle società quotate), giacché l’art. 122 T.U.F. fulmina con la nullità i patti non comunicati espressamente secondo le modalità in esso stabilite. E’ però assai arduo riuscire ad accettare questo tipo di ricostruzione: come da più parti si rileva, il tratto caratteristico e fondamentale del fenomeno simulatorio consiste nella creazione di un’apparenza di effetti giuridici, pur non essendo essi voluti.186 Come si è osservato nel paragrafo precedente, l’apparenza (di effetti giuridici) e l’occultamento sono due concetti antitetici, che non possono coesistere: se c’è simulazione, c’è per definizione apparenza e dunque non ci può essere patto occulto. Si è efficacemente evidenziato, inoltre, che “in assenza di una controdichiarazione, non si può parlare di una dissimulazione, e perciò non si può nemmeno parlare di una simulazione”187: una controdichiarazione ha senso e significato proprio (e solo) in quanto vi sia una dichiarazione, ma questa nel caso del patto parasociale (e, più in generale, del contratto) occulto manca, con la conseguenza che, non potendosi riscontrare né una dichiarazione né una controdichiarazione, i patti parasociali occulti non potranno configurarsi come contratti simulati.188 Del resto, è difficile accogliere l’idea - inevitabilmente presupposta dalla tesi qui criticata - secondo cui la percepibilità esteriore dell’accordo (pur simulato) possa essere garantita semplicemente attraverso le condotte attuative dello stesso, in grado semmai di dare vita ad un sospetto circa l’esistenza del patto più che ad una situazione di apparenza in senso stretto. Ad ogni modo, negli esempi innanzi richiamati - conferimento di partecipazioni in una holding e intestazione fiduciaria - prende corpo, a ben guardare, un fenomeno di diversa natura: le parti, cioè, si servono di un determinato strumento negoziale per garantire il pieno rispetto del patto parasociale e, al contempo, per evitare la 184 Così GALGANO, Della simulazione, cit., 27, critico nei confronti dell’indirizzo giurisprudenziale “che induce a pensare al contratto simulato come ad un contratto espresso”. 185 Non vi è dubbio infatti che, in tal caso, i soggetti estranei all’accordo possano provare il reale stato di cose per presunzioni: come la Suprema Corte ha precisato, “il divieto posto dall’art. 2722 c.c. è, pertanto, derogato a favore dei creditori e dei terzi, i quali possono smentire la scrittura che contiene il contratto simulato, avvalendosi di qualsiasi mezzo di prova”: così, per tutte, Cass. 17 marzo 2005, n. 5765, reperibile in www.dejure.giuffre.it. 186 Sul punto, chiaramente, ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2001, 694: “il contratto simulato è quello che le parti fanno per creare la situazione apparente [...] esso positivamente crea un’apparenza di effetti contrattuali” (corsivo dell’Autore). 187 Così SACCO, Le controdichiarazioni, in Obbligazioni e contratti, Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, Torino, 2002, v. 10, t. II, 283. 188 Naturalmente, quanto detto non esclude invece che proprio perché occulti i patti parasociali in parola possano invece presentarsi all’interno del fenomeno simulatorio in qualità di contratti dissimulati, tenuti cioè nascosti da una diversa fattispecie negoziale affetta da simulazione relativa: in tali casi, però, potranno riprendere vigore i criteri già esposti in punto di prova del patto occulto, essendo la simulazione relativa un semplice congegno utilizzato in concreto proprio per nascondere la pattuizione realmente voluta dalle parti. In proposito, può valere quanto si dirà immediatamente oltre nel testo. 118 manifestazione di questo all’esterno. In altri termini, l’accordo parasociale rimane nascosto, ma gli effetti dell’ulteriore contratto posto in essere sono pienamente voluti dagli aderenti. Tale fattispecie, allora, pare riconducibile a quella del negozio indiretto, che “si distingue da quello simulato in quanto realmente voluto dalle parti”.189 Nei casi menzionati, è evidente la mancanza di una controdichiarazione dei contraenti: essi vogliono sia il patto parasociale occulto, sia l’ulteriore negozio indiretto, che anzi risulta posto in essere proprio al fine di rafforzare gli effetti prodotti dal primo e di garantirne il rispetto, evitandone la piena manifestazione esteriore. La costituzione di una società holding cui i paciscenti decidono di trasferire le proprie azioni, così come l’intestazione fiduciaria, sono state ascritte dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla fattispecie dell’interposizione reale di persona, prima ancora che alla categoria del negozio indiretto.190 Tale congegno negoziale, come si è rilevato, “è in linea di principio valido ed efficace, salvi i casi in cui ricorrano gli estremi della 189 Il virgolettato è di MANTUCCI, Sub artt. 1414-1417, in Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di G. Perlingieri, Napoli, 2010, Libro quarto, t. I (artt. 1173-1536), 983: l’A. precisa che “la simulazione si distingue dal negozio indiretto, che è il negozio utilizzato per la realizzazione di una funzione non corrispondente alla sua causa [...] ovvero per il conseguimento di finalità diverse, spesso ulteriori, rispetto a quelle normali o tipiche del modello negoziale adoperato”. Nel senso indicato nel testo si esprime, con particolare riferimento al contratto fiduciario, anche GALGANO, Della simulazione, cit., 35. Sulla distinzione tra simulazione, contratto fiduciario e interposizione reale, cfr. anche GENTILI, Simulazione dei negozi giuridici, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XVIII, Torino, 1998, 523 ss. Per un rilievo simile a quello proposto nel testo, v. JAEGER, Il problema, cit., 255, già pienamente consapevole che nell’ipotesi di creazione di una società holding “non si può fare ricorso ai principi della simulazione, perché lo schema societario è voluto, sia pure avendo in vista un’utilizzazione ulteriore, di tipo indiretto.” Sul punto v. anche FARENGA, I contratti parasociali, cit., 300 ss. Certo, può accadere che gli stessi conferimenti di azioni in una holding a copertura di un patto parasociale siano simulati, come segnalavano già COTTINO, Le convenzioni di voto, cit., 287-288, e BIGIAVI, op. cit., 731: in tal caso, però, non sembra che sia necessariamente anche tale patto ad essere simulato, potendo essere lo stesso pienamente voluto dalle parti; l’A. da ultimo citato rilevava anche che in tale ipotesi ogni socio della holding potrebbe far valere la simulazione e pretendere la restituzione dei titoli apportati, “in modo da esercitare liberamente il voto che gli compete”. E’ forse possibile ritenere, viceversa, che in linea di principio, pur continuando il patto a produrre i suoi effetti tra le parti, a venire meno sia soltanto il meccanismo rafforzativo del suo adempimento e della sua segretezza, rappresentato dal conferimento delle partecipazioni in un’unica società; è anche vero, tuttavia, che tale soluzione, come si dirà poco oltre nel testo, sembra attagliarsi soltanto alle società aperte ma non quotate, perché con riferimento a queste ultime l’art. 122 T.U.F. commina la nullità dei patti mantenuti segreti, con la conseguenza (sostanzialmente equivalente a quella rilevata da Bigiavi) che i paciscenti non risulterebbero comunque più vincolati a quanto previsto dal regolamento negoziale. 190 Sul punto, cfr. MANTUCCI, op. cit., 983 ss. e spec. 988, ove l’A. osserva che “nell’intestazione fiduciaria di titoli azionari (o di quote di partecipazione societaria) si ravvisano gli estremi dell’interposizione reale di persona”. In giurisprudenza, hanno escluso che il fenomeno fiduciario integri un’ipotesi di simulazione, Cass. 1 aprile 2003, n. 4886, in Giust. civ., 2004, I, 1591; Cass. 27 novembre 1999, n. 13261, in Società, 2000, 702, nonché in Banca, borsa, tit. cred., 2001, II, 268 (tale pronuncia ha ricondotto appunto l’intestazione fiduciaria di azioni al fenomeno dell’interposizione reale, prima ancora che alla generale categoria del negozio indiretto); Cass. 18 ottobre 1991, n. 11025, in Giur. it., 1992, I, 1, 1786, nonché in Giust. civ. Mass., 1991, f. 10; Trib. Milano, 1 febbraio 2001, in Giur. it., 2001, 1441. Sul punto anche GALGANO, Della simulazione, cit., 35, il quale definiva “il contratto fiduciario come il contratto mediante il quale si persegue uno scopo diverso dalla causa del contratto prescelto, avendo il pactum fiduciae la funzione di piegare il contratto prescelto alla realizzazione dello scopo perseguito”; sempre con riferimento al contratto fiduciario, anche la giurisprudenza si è espressa in termini di contratto “strumentalmente diretto al conseguimento di uno scopo diverso da quello tipico” (così Cass. 23 gennaio 1971, n. 146, in Foro it., 1971, I, 1655). Sul tema dell’interposizione di persona, cfr. di recente LUPOI, op. cit., spec. 29 ss.; e in precedenza NANNI, L’interposizione di persona, Padova, 1990, spec. 59 ss. per quanto concerne i tratti distintivi dell’interposizione reale, del negozio fiduciario e del negozio indiretto. 119 frode alla legge e della conseguente nullità del negozio”. 191 In proposito, occorrerà distinguere l’ipotesi in cui il patto parasociale occultato ed affiancato da uno dei negozi indiretti sopra menzionati sia stato stipulato nell’ambito di una società quotata o, viceversa, di una società aperta al mercato del capitale di rischio ma non quotata (e rispettive controllanti). Posto che in entrambi i casi il negozio indiretto, in quanto volto ad aggirare una norma imperativa, non potrà che essere colpito dalla nullità, tale sanzione si estenderà anche al patto parasociale sottostante soltanto nell’ambito di una società con azioni quotate, giusta il disposto dell’art. 122 T.U.F. La prova che il negozio indiretto celi in realtà un patto parasociale mantenuto segreto e che, dunque, esso risulti stipulato in frode alla legge, può certamente essere fornita a mezzo dello strumento presuntivo: sotto questo profilo non vi è quindi differenza rispetto alla simulazione, la cui prova può essere fornita per presunzioni senza limiti dai terzi, ma anche dalle parti se volta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato. Proprio la norma sancita dall’art. 1417 c.c. sarebbe, secondo un indirizzo dottrinale, la “mera applicazione del principio, desumibile dagli artt. 1344 e 1418, della nullità del negozio in frode alla legge”.192 191 MANTUCCI, op. cit., 984, ove ulteriori riferimenti; GALGANO, Della simulazione, cit., 39 e 45, in generale e con particolare riferimento al contratto fiduciario e al mandato senza rappresentanza; v. anche SACCO, Le controdichiarazioni, cit., 284, il quale precisa che “un contratto siffatto, se non si prova che impinga in un’ipotesi di frode alla legge, è lecito”. Più di recente, FUSI, I patti parasociali alla luce della nuova disciplina societaria e le possibili applicazioni dei voting trust, in Società, 2007, 694. A parte l’eventualità in cui essi contribuiscano a nascondere un patto parasociale, la legittimità dei congegni negoziali volti ad attribuire al patto una “efficacia reale” è ormai riconosciuta, in linea di principio, dalla dottrina: cfr. ad es. RORDORF, I sindacati di voto, cit., 25; ID., I patti parasociali, cit., 800-801; LOMBARDI, I patti parasociali nelle società non quotate e la riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003, I, 275; ma v. anche FIORIO, I patti parasociali, cit., 67 ss.; MACRI’, L’efficacia dei patti parasociali, nota a Trib. Genova, 8 luglio 2004 (ord.), in Banca, borsa, tit. cred., 2006, II, 238 ss.; GHIONNI, Patti parasociali, sindacati di voto a maggioranza per teste e forme di tutela, nota a Trib. Genova, 8 luglio 2004 (ord.), in Giur. comm., 2007, II, 248-249; LENER, Appunti, cit., 51 ss. Il Tribunale di Milano, 10 maggio 2000 (ord.), ha addirittura ritenuto inesistente un patto parasociale di blocco perché esso non era costruito in modo da limitare effettivamente la libertà degli aderenti di compiere atti di vendita delle azioni: la pronuncia è pubblicata in Giur. it., 2001, I, 334 ss. con nota di DESANA, D. Lgs. n. 58 del 1998: una pronuncia del Tribunale di Milano in tema di Opa concorrente, ibidem. Si noti però che ancora recentemente la Cassazione ha ritenuto inammissibile “la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all’esercizio del voto in assemblea”, cosa che accade proprio con il confezionamento dei negozi in esame: così Cass. 5 marzo 2008, n. 5963, cit.; ma già precedentemente Cass. 23 novembre 2001, n. 14865, in Società, 2002, 431 ss.; in Riv. not., 2002, 1047 ss.; e in Giur. comm., 2002, II, 666 ss. Stando a questa impostazione, il negozio indiretto sarebbe da considerare sempre nullo, anche quando non sia rivolto a celare un patto parasociale, bensì semplicemente a garantirne l’adempimento. Diverso problema è quello dell’ammissibilità di provvedimenti cautelari volti ad imporre al socio il rispetto del patto parasociale, sul quale si sono registrate diverse aperture della giurisprudenza: v. da ultimo, POMELLI, Stipulazione per facta concludentia, efficacia e coercibilità dei patti parasociali di voto, nota a Trib. Belluno, 23 gennaio 2010 (ord.), cit., in Giur. comm., 2011, II, 1498 ss.; in precedenza, oltre ai già citati autori, SEMINO, I patti parasociali hanno assunto efficacia reale?, nota a Trib. Genova, 8 luglio 2004 (ord.), in Società, 2004, 1267 ss. 192 Di nuovo MANTUCCI, op. cit., 1015, ove ulteriori riferimenti dottrinali. Analog. GIUDICI, L’acquisto, cit., 491, il quale aggiungeva (nt. 2) che l’art. 1417 c.c., pertanto, “non è affatto una norma eccezionale”. Occorre evidenziare, poi, che i fenomeni di interposizione o intestazione fiduciaria appena esaminati si prestano a giocare un ruolo di primo piano anche nel contesto della normativa bancaria sulla trasparenza degli assetti proprietari: non soltanto perché l’art. 22, comma 1, T.U.B., stabilisce espressamente che “ai fini dell’applicazione dei capi III e IV del presente Titolo si considerano anche le partecipazioni acquisite o comunque possedute per il tramite di società controllate, di società fiduciarie o 120 E’ da segnalare, tuttavia, l’opinione secondo la quale i voting trust o intestazioni fiduciarie non sarebbero riconducibili alle fattispecie dei patti parasociali rilevanti ai sensi degli artt. 2341-bis c.c. e 122 T.U.F.: si osserva, per un verso, che “l’atto istitutivo di trust, come pure l’atto di conferimento della partecipazione in trust, è per ciascun disponente un atto unilaterale e non un patto”; per altro verso, che le finalità dell’atto istitutivo del trust “possono essere ben più ampie” di quelle descritte nelle due norme testé richiamate.193 Nessuno di questi due argomenti, tuttavia, persuade. Quanto al primo, è agevole obiettare che non può certo essere esclusa dal campo del possibile l’ipotesi di un’intestazione fiduciaria effettuata di comune accordo da più soci a favore di un unico soggetto, essendo anzi proprio questa l’ipotesi più frequente. 194 Quanto al secondo argomento, la circostanza che le finalità del trust - nonché, più in generale, di congegni negoziali in grado di determinare il trasferimento in capo a terzi di diritti sociali195 - possano andare oltre quelle di cui agli artt. 2341-bis c.c. e 122 T.U.F. per interposta persona”; ma anche, più specificamente, per il fatto che tali ipotesi possono nascondere un accordo sul voto soggetto all’obbligo di disclosure di cui all’art. 20, comma 2, T.U.B. In dottrina si è sostenuto che gli accordi rilevanti ai fini di tale ultima norma siano anche quelli connessi alla possibilità in capo ai partecipanti di influenzare concretamente il voto esercitato da altri, proprio come accade nei casi di interposizione fiduciaria o persona interposta; né è da escludere a priori che il fiduciario o l’interposto siano ab origine parte dell’accordo, in maniera tale da dare vita ad una forma di partecipazione indiretta: cfr. MOTTI, op. cit., 318 ss., la quale ritiene che tale conclusione sia in linea con il contenuto delle Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia (Titolo II, Sezione III, paragrafo 2.2) che specificano il contenuto dell’obbligo di comunicazione imponendo l’indicazione anche dei partecipanti in via indiretta all’accordo. L’A. esclude però che tale obbligo sussista anche in capo agli stessi partecipanti indiretti. 193 La tesi riferita ed il virgolettato sono di FUSI, op. cit., 694. 194 Sul punto TUCCI, Contratti parasociali, cit., 936 e 939, ove si sottolinea che “la creazione di un voting trust si incentra, infatti, su due passaggi fondamentali, consistenti nella stipulazione di un accordo tra due o più soci e nel trasferimento delle loro azioni ad uno o più trustees”; l’A. aggiunge anche che in tali ipotesi tanto gli stipulanti quanto i trustees siano tenuti agli obblighi di comunicazione dei patti parasociali (ibidem, 951). La stessa idea è espressa dal medesimo autore in altra sede, là dove afferma ancor più chiaramente che l’accordo con cui più azionisti convengano di trasferire le proprie azioni ad un trustee “allo scopo di uniformare il diritto di voto in assemblea, ovvero di rendere stabili gli assetti proprietari della società partecipata” si configurerebbe ex se come patto parasociale avente ad oggetto l’esercizio del voto o il limite al trasferimento delle azioni, “con conseguente applicabilità della relativa disciplina in tema di pubblicità [...]”:TUCCI, Patti parasociali, cit., 186-187. 195 Il pensiero corre al rapporto tra patti parasociali e associazioni di azionisti (art. 141 T.U.F.). La profonda rivisitazione dell’art. 141 T.U.F. ad opera del d. lgs. n. 27/2010 ha determinato l’abrogazione del comma 2, che escludeva le associazioni di azionisti dall’applicazione delle sanzioni di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 122 T.U.F. in materia di patti parasociali. Questo enigmatico riferimento aveva suscitato in dottrina accese discussioni sulla natura delle associazioni di azionisti e dunque sull’applicabilità dei commi 1 e 2 dell’art. 122 T.U.F. Sul punto, cfr. SACCHI, Sollecitazione e raccolta delle deleghe di voto, in AA.VV., La riforma delle società quotate, Milano, 1998, 394, che, pur ritenendo le associazioni di azionisti configurabili quali patti parasociali, manifestava l’impossibilità di rintracciare nelle norme una soluzione univoca. Anche PISCITELLO, Sub art. 141, in Testo unico della finanza (d. lg. 24 febbraio 1998, n. 58), Commentario diretto da G. F. Campobasso, Torino, 2002, **, 1153, mostrava di considerare l’associazione di azionisti in quanto tale come patto parasociale, salva la necessità di verificare se essa potesse configurarsi quale vero e proprio sindacato di voto, tale perciò da determinare anche l’applicazione delle norme sui patti parasociali in tema di durata e di recesso (artt. 123 e 124 T.U.F.). Secondo CAVANNA, Sub art. 141, in La legge Draghi e le società quotate in borsa, diretto da G. Cottino, Torino, 1999, 221, proprio l’applicabilità delle norme in tema di patti parasociali (artt. 122-124) all’associazione che si fosse configurata come sindacato di voto avrebbe giustificato il sacrificio della libertà nell’espressione del voto da parte del socio associato, pur sancita dal previgente art. 141 T.U.F. Sulla possibilità per le associazioni di configurarsi come sindacato di voto, si veda altresì MONTALENTI, La società quotata, cit., 191. In senso difforme RACUGNO, Associazioni di azionisti e 121 non significa che esse non possano anche coincidere proprio con l’intento di non manifestare un patto parasociale rilevante; “non sembra possano sussistere dubbi, dunque, in merito alla riconducibilità del voting trust agreement alla nozione di patto parasociale avente ad oggetto l’esercizio del diritto di voto in assemblea ovvero di patto che pone limiti al trasferimento delle azioni”196, come risulta anche da un confronto con l’esperienza comparatistica197. tutela dei consumatori, in Giur. comm., 1999, I, 663, che spiegava il mancato richiamo ai primi due commi dell’art. 122 T.U.F. con l’impossibilità per l’associazione di azionisti di assumere le vesti di un patto parasociale, attesa la stretta funzionalità di questi ultimi agli interessi dei gruppi di comando e stante la libertà di voto degli associati sancita dall’art. 141, u.c., T.U.F. Così anche PELLEGRINO, La nuova disciplina della rappresentanza dell’azionista nelle società quotate, Milano, 2002, 118 ss. L’interpretazione più piana, anche se non incontrovertibile, della disposizione previgente era nel senso che le associazioni di azionisti fossero in ogni caso (intendesi: anche quando non configurabili come veri e propri patti parasociali) soggette agli obblighi pubblicitari di cui all’art. 122 T.U.F., commi 1 e 2 ma non, appunto, alle relative sanzioni di cui ai due successivi commi: così PRESTI, La nuova disciplina delle deleghe di voto, in Banca impresa società, 1999, 45, il quale osservava che “la deroga espressa a una particolare sanzione ha senso solo se persiste l’obbligo sostanziale”; nonché PISCITELLO, op. cit., 1153. Contra invece FAZZUTI, La raccolta delle deleghe e le associazioni di azionisti, in Intermediari finanziari, mercati e società quotate, a cura di A. Patroni Griffi, M. Sandulli, V. Santoro, Torino, 1999, 961; e OPPO, Sub artt. 122-123, cit., 1143, in base all’argomento secondo cui sarebbe stata inconcepibile l’esistenza di un precetto senza sanzione. Peculiare e diversa la tesi di BLANDINI, Società quotate, cit., 444, ad avviso del quale le norme dei commi 3 e 4 dell’art. 122 T.U.F. sarebbero rimaste inapplicabili anche qualora l’associazione di azionisti avesse assunto i connotati di un patto parasociale: tali disposizioni sarebbero però tornate pienamente operanti nel caso in cui l’associazione non avesse rispettato i requisiti dettati dall’art. 141 T.U.F e, dunque, non fosse risultata legittimata a raccogliere deleghe di voto. Il legislatore del 2010, nella prospettiva di semplificazione normativa e di incoraggiamento all’utilizzo di strumenti in grado di determinare un maggior coinvolgimento dell’azionariato disperso, ha verosimilmente voluto escludere l’automatica applicazione di quegli obblighi pubblicitari alle associazioni di azionisti, anche perché queste devono pur sempre essere stipulate per scrittura privata autenticata e sono soggette agli obblighi di trasparenza dettati dall’art. 144 T.U.F. e dalle disposizioni integrative emanate dalla Consob. Tuttavia, è da ritenere che l’art. 122 T.U.F. torni pienamente ad applicarsi qualora, in concreto, l’associazione si configuri come patto parasociale rilevante ai sensi dell’art. 122 T.U.F. Sicuramente, non sempre essa può essere equiparata ad un sindacato di voto: in passato si era osservato che le prescrizioni in materia di voto divergente e di libertà nel conferimento della delega operassero nel senso di impedire all’associazione di “divenire il vestito di un sindacato di voto vincolante per il socio associato” (così PRESTI, op. cit., 44). Questo rilievo è da ritenere ancora valido perché, nonostante la novella, l’esordio dell’art. 141 T.U.F. mostra di voler preservare la libertà di espressione del voto dell’associato. Ci si può chiedere, piuttosto, se l’associazione sia o meno da considerare sempre alla stregua di un patto di consultazione: secondo alcuni sarebbe tale (solo) qualora lo statuto preveda la formulazione di proposte da parte dell’associazione: cfr. ancora PRESTI, op. cit., 44; da ultimo, BLANDINI, op. ult. cit., 443. E’ difficile però sostenere che non vi sia, in ogni caso, una consultazione, quantomeno operata dai (e a beneficio dei) rappresentanti dell’associazione. Ad ogni modo, per quanto qui interessa, non è da escludere che questa figura negoziale possa nascondere (oltre ad una vera e propria consultazione tra gli associati) anche un patto di voto (occulto), che potrebbe essere desumibile in via indiziaria dalla costante uniformità dei voti espressi in assemblea dai membri dell’associazione. Se così è, se ne dovrà naturalmente tenere conto anche ai fini di un eventuale obbligo di OPA. La disciplina delle associazioni di azionisti è un modello mutuato in parte dall’ordinamento francese: per questa prospettiva storico-comparatistica v. TORINO, L’istituzionalizzazione delle minoranze azionarie. Le associazioni di azionisti in Francia e in Italia, in Riv. soc., 1998, 603 ss. 196 Con queste parole ancora TUCCI, Contratti parasociali, cit., 953. 197 Nell’ordinamento americano, la rilevanza dell’istituto del trust ai fini del computo delle partecipazioni dei soggetti obbligati alla disclosure (ed eventualmente ad una tender offer) secondo le Sections 13(d) e 14(d), è espressamente contemplata dalla Rule 13d-3(b) della SEC, la quale estende la nozione di beneficial ownership a chiunque “directly or indirectly, creates or uses a trust”, come anche “any other contract, arrangement or device [...] as part of a plan or scheme to evade the reporting requirements of sections 13(d) [...]”. Merita segnalare che anche alcuni autori tedeschi hanno messo in luce la rilevanza, ai fini della scoperta di un concerto, dell’azione condotta mediante un “rappresentante comune”, 122 Tra l’altro, occorre ricordare che nel caso dell’intestazione fiduciaria, il soggetto che acquisisce la disponibilità dei titoli azionari dovrà seguire le indicazioni dei fiducianti nell’esercizio dei relativi diritti, le quali possono senz’altro essere omogenee proprio in quanto derivanti da un accordo concluso dai fiducianti stessi ma non rivelato.198 Quanto al conferimento di partecipazioni in una holding, non è superfluo precisare che il fenomeno in esame si differenzia, in linea di massima, dal patto parasociale direttamente afferente ad una società controllante una s.p.a. aperta o quotata, espressamente contemplato dalle norme del codice civile e del T.U.F. 199: nel caso in questione, infatti, si conferiscono partecipazioni relative ad una determinata società precedentemente detenute - in una diversa società holding proprio allo scopo di rafforzare - per il tramite di quest’ultima - l’azione congiunta nella società controllata e garantire una strategia unitaria (beneficiando, eventualmente, anche dei vantaggi che derivano direttamente dalla partecipazione nella holding). Per maggiore chiarezza, è bene prendere in considerazione le due ipotesi separatamente. Può accadere, come si è appena ricordato, che venga stipulato un patto parasociale in una società che controlla una s.p.a. aperta o una s.p.a. quotata. Esso sarà senz’altro da assoggettare a pubblicità secondo quanto previsto dall’art. 2341-ter c.c. e dall’art. 122 T.U.F. Quanto alla disciplina dell’OPA obbligatoria, occorre porre mente al fatto che l’art. 105, comma 2, T.U.F. indica che la nozione di “partecipazione” rilevante ai fini delle norme in tema di offerte pubbliche di acquisto obbligatorie va intesa come “quota, detenuta anche indirettamente per il tramite di fiduciari o per interposta persona”. 200 Non vi è dubbio, allora, che vadano incluse nel calcolo anche le incaricato di agire per conto degli aderenti: con riferimento alla fattispecie del § 22, Abs. 2 e quindi ai fini della trasparenza, cfr. SCHNEIDER, § 22, cit., 1067. Ancor più specificamente, precisa l’A. che un’intesa rilevante sussiste anche “wenn die Beteiligten die Koordinierung der Ausübung ihrer Stimmrechte in einem Verein oder in einer Gesellschaft, gleich welcher Rechtsform, zusammenfassen” (ossia, “quando gli aderenti riuniscono il coordinamento dell’esercizio dei loro diritti di voto in capo ad un’associazione o ad una società, in qualunque forma giuridica”). Cfr. anche, proprio con riguardo al § 30, WEIß, op. cit., 148 ss., il quale ammette espressamente l’imputazione ai soci di una fiduciaria (“Treuhänder”) dei diritti di voto da questa detenuti in una diversa società obiettivo. Conf. RALOFF, op. cit., 256, la quale aggiunge che in caso di più accordi separati degli azionisti con l’intermediario occorrerà comunque, secondo i criteri generali, “einen bewussten Kommunikativen Prozess und eine gegenseitige Verständigung der Beteiligten” (“un processo comunicativo consapevole e una reciproca intesa tra gli interessati”); negli stessi termini GAEDE, op. cit., 269. E’ stato anche evidenziato che la semplice delega per l’esercizio del voto ad un’associazione di azionisti, conferita da più soci singolarmente, non può rilevare ai sensi del § 30, a meno che i soci decidano di coordinare il loro comportamento secondo le proposte dell’associazione: così di nuovo RALOFF, op. cit., 186. 198 Infatti, essendo l’intestazione fiduciaria di azioni riconducibile alla figura dell’interposizione reale, va tenuto presente che “l’interposto acquista (a differenza che nel caso di interposizione fittizia o simulata) la titolarità delle azioni o delle quote, pur essendo, in virtù di un rapporto obbligatorio con l’interponente, tenuto ad osservare un certo comportamento”: così MANTUCCI, op. cit., 988. 199 Così come si differenzia, naturalmente, dal concerto individuabile nel rapporto esistente tra controllante e controllata, espressamente preso in considerazione dall’art. 101-bis, comma 4-bis, lett. b) T.U.F.; per un’analoga ipotesi nell’ordinamento americano v. in particolare il Current Issues and Rulemaking della SEC del 14 novembre 2000, cit., il quale ha identificato i potenziali offerenti (“bidders”) anche nei soggetti che “control the named bidder, directly or indirectly”. 200 La possibile rilevanza dei patti afferenti ad una holding, ai fini dell’OPA obbligatoria sulle azioni della controllata, è contemplata anche in altri ordinamenti europei, anche se con determinate restrizioni: nel 123 partecipazioni detenute nella s.p.a. quotata tramite società controllate: per un verso, Regno Unito, il Takeover Panel ha ritenuto che la detenzione da parte di più concertisti di una partecipazione superiore al 50% in una società che a sua volta, direttamente o indirettamente, da sola o magari unitamente ai concertisti stessi, controlla una seconda società, non determinerà automaticamente l’obbligo di offerta con riferimento a tale ultima società se non in circostanze particolari, come il fatto che “the interest in shares which the first company has in the second company is significant in relation to the first company” (: “la partecipazione che la prima società detiene nella seconda è particolarmente significativa in relazione alla prima società”) ovvero “securing control of the second company might reasonably be considered to be a significant purpose of acquiring control of the first company” (: “l’assicurarsi il controllo della seconda società può essere ragionevolmente ritenuto essere il vero scopo dell’acquisto del controllo della prima società”) (cfr. The Takeover Code, cit.). In Francia, un interessante caso in tal senso è stato deciso da CA Paris, 1re ch., sect. H., 13 sept. 2005, n° 2005/04058 Adam c/ Sté Hyparlo et autres, in BJB, 2005, n. 177, 735 ss., con nota di BUCHER, De la prédominance au sein d’un concert dans le cadre d’un cas de non lieu à dépôt d’une offre publique obligatoire indirecte (ibidem, 739 ss.); ma v. anche il commento di SCHMIDT-DELESPAUL, Contrôle conjoint et injonction de dépôt d’une offre publique, in BJS, 2005, 1385 ss. Era accaduto che due gruppi di azionisti avevano concordato una variazione degli assetti proprietari all’interno delle società tramite le quali controllavano indirettamente un’ulteriore società quotata. La Corte aveva fatto applicazione dell’art. 243-3 del règlement général dell’AMF, il quale prevede che allorché una partecipazione superiore ad un terzo del capitale di una società quotata sia detenuto tramite un’altra società e costituisca parte essenziale dell’attivo di questa, l’obbligo di lancio dell’offerta pubblica si applichi (cfr. pronuncia citata, ibidem, 737) “quand un groupe de personnes agissant de concert vient à prendre le contrôle de la société détentrice [...], sauf si l’une ou plusieurs d’entre elles disposaient déjà de ce contrôle et demeurent prédominante et, dans ce cas, tant que l’équilibre des partecipations respectives n’est pas significativement modifié” (: “quando un gruppo di persone agenti di concerto viene ad acquisire il controllo della società detentrice, salvo che uno o più tra loro già dispongano di tale controllo e conservino il relativo predominio di tal che, in questo caso, l’equilibrio delle rispettive partecipazioni non risulti significativamente modificato”). Anche nell’ordinamento tedesco è espressamente prevista l’imputazione ai concertisti dei diritti di voto spettanti a (e dunque detenuti indirettamente tramite) società figlie (Tochterunternehmen): inequivocabile in tal senso il § 30, Abs. 1 e Abs. 2. Sul punto, cfr. ad esempio, ex multis, SCHNEIDER, § 30, cit., 851 ss.; STEINMEYER, op. cit., 529. Come rileva PRASUHN, op. cit., 191, il concetto di “società figlia” è definito dal § 2, Abs. 6, WpÜG, il quale fa leva sulla nozione di “influenza dominante” (beherrschende Einfluss) cui la stessa società figlia deve essere soggetta, senza tuttavia meglio illustrarlo: l’A. propone allora di fare riferimento al concetto di dipendenza (“Abhängigkeit”) di cui al § 17 AktG, che sarebbe ravvisabile “wenn ein Gesellschafter einen ausschlaggebenden Einfluss auf die Personalpolitik der fraglichen Gesellschaft ausüben, er also mit einer Hauptversammlungmehrheit die personelle Zusammensetzung des Aufsichtsrats und somit mittelbar auch des Vorstands bestimmen kann” (quando, cioè, “un socio può esercitare un’influenza determinante sulla scelta degli organi della società in questione, vale a dire può determinare con una maggioranza in assemblea la composizione personale del consiglio di sorveglianza e così in via mediata anche del consiglio di amministrazione”). Se l’ipotesi immaginata dalla norma sembra essere in prima battuta quella di società individualmente controllate da ciascuno dei pattisti (cfr. VON BÜLOW - BÜCKER, op. cit., 709 ss.) non pare certo da escludere l’imputazione, a coloro che controllano congiuntamente una società, dei diritti di voto a questa spettanti nella (diversa) società obiettivo. In questo senso cfr. WEIß, op. cit., 147, secondo cui l’imputazione avviene “auf der Annahme, dass die Beteiligten die Stimmrechtsausübung der gemeinsamen Tochter wegen deren Abhängigkeit lenken können”, vale a dire “in base all’ipotesi che i concertisti possono influenzare e pilotare l’esercizio dei diritti di voto spettanti alla società figlia congiuntamente dominata proprio per via della sua dipendenza” (dai soci stessi); analog. STEINMEYER, op. cit., 525-526, che evoca proprio l’ipotesi in cui tra più soci di una società veicolo vi sia un’intesa sull’esercizio dei diritti di voto a questa spettanti in una diversa società “bersaglio”. In argomento anche RALOFF, op. cit., 261, la quale osserva che se due soci controllano e dominano congiuntamente una società e concludono un accordo per l’esercizio del voto nella stessa, a loro sono imputati i diritti di voto che la società dominata detiene in una diversa società obiettivo: quindi, sarà a loro carico che scatterà l’obbligo di offerta sui titoli della società bersaglio. Più cauta e, in definitiva, più restrittiva è l’interpretazione proposta da PRASUHN (op. cit., 217-218), la quale sostiene che l’imputazione congiunta a carico dei soci pattisti della società veicolo che superi il 30% nella società “bersaglio” potrebbe forse verificarsi in maniera automatica solo ai sensi del § 22, ma non anche del § 30 e quindi ai fini dell’obbligo di offerta, giacché in tal caso sarebbe richiesta la conclusione di un’ulteriore intesa che vada oltre la holding intermedia e sia specificamente riferita alla società obiettivo. 124 come si è visto poc’anzi, anche queste ultime possono a buon diritto rientrare nel concetto di “interposta persona”; per altro verso, la quota può considerarsi “detenuta indirettamente” soltanto se si controlla la società titolare della partecipazione rilevante nella s.p.a. quotata.201 Da ciò discende che l’obbligo di lancio dell’OPA sorgerà in capo ai pattisti occulti della controllante soltanto qualora costoro, a loro volta e congiuntamente, controllino tale società: non basterà, quindi, ad esempio, un semplice patto di consultazione intervenuto tra essi (che, se celato, condurrà soltanto all’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 122 T.U.F.). A questo punto, però, se si pone mente alla nozione di controllo enucleata dall’art. 93 T.U.F., ci si rende conto che anche in questa situazione riemerge tutta la sua problematicità: il patto non comunicato (anche se di voto) è - secondo quanto prevede l’art. 122 T.U.F. - nullo e quindi inidoneo di per sé ad assicurare ad uno dei pattisti la disponibilità individuale dei voti che l’art. 93 T.U.F., appunto, richiede. Non si può che fare ancora una volta appello, allora, al risultato interpretativo raggiunto e proposto in precedenza: se si individua l’esistenza di un accordo tra coloro che dispongono complessivamente nella holding di partecipazioni e di diritti di voto astrattamente “di controllo”, l’obbligo di offerta sorgerà senz’altro a loro carico, ma essi conserveranno la possibilità di provare l’assenza di una condotta concertata che abbia in concreto portato all’esercizio congiunto di influenza dominante all’interno della holding e, di riflesso, della partecipata quotata. Come si è già detto, peraltro, è chiaro che se viene accertata l’esistenza di un patto di voto sulla base del comportamento tenuto dai pattisti in assemblea, sarà estremamente complicato per costoro fornire con successo la prova liberatoria. Si diceva poc’anzi che l’ipotesi appena descritta va distinta, almeno in linea teorica, da quella del conferimento di azioni di una s.p.a. quotata in una holding che - lo si è già anticipato - potrebbe rappresentare lo strumento per occultare un accordo in realtà riferito alla stessa s.p.a. quotata e verosimilmente già esistente tra i conferenti. Perché sia immaginabile l’insorgenza di un obbligo di offerta, è evidente innanzitutto che la holding debba arrivare a disporre di una partecipazione nella controllata corrispondente ad una delle soglie rilevanti a tal fine (non basterebbe, ovviamente, che i pattisti-conferenti dispongano del trenta per cento o più del capitale della holding se la quota di capitale da questa detenuta nella controllata quotata si mantenesse al di sotto delle soglie rilevanti: tipicamente, proprio il trenta per cento).202 201 Una conferma in tal senso si rinviene nell’art. 45 del Regolamento Emittenti della Consob. Giunge a questa conclusione anche G. MUCCIARELLI, Sub art. 105, in Commentario all’offerta pubblica di acquisto, a cura di G. Fauceglia, Torino, 2010, 131, ma l’A. argomenta a partire dal combinato disposto degli artt. 109 e 101-bis, comma 4-bis, lett. b) T.U.F., il quale tra le presunzioni assolute di concerto menziona il rapporto tra “un soggetto, il suo controllante, e le società da esso controllate”. Tuttavia, è bene sottolineare che questa è un’ipotesi diversa da quella del patto parasociale occulto afferente alla controllante di una s.p.a. quotata, tanto è vero che essa è contemplata dall’art. 101-bis, comma 4-bis, T.U.F. distintamente rispetto alla presunzione di concerto fondata sull’esistenza di patti parasociali. La lett. b) si limita infatti a presumere l’esistenza di un concerto in presenza di un rapporto di controllo, allorché vi siano acquisti di azioni in misura tale da condurre al superamento delle soglie rilevanti nella società quotata: il rapporto di controllo sarà, però, quello fondato sulle nozioni generali di cui agli artt. 2359 c.c. e 93 T.U.F. e non quello derivante da accordi parasociali nulli in quanto non pubblicizzati, con la conseguenza che non viene in considerazione in tali casi la problematica dell’esercizio concreto e congiunto di un’influenza dominante. 202 Cfr. nuovamente l’art. 45 del Regolamento Emittenti. 125 Ciò detto, può certamente accadere che più soci di una s.p.a. quotata, che detengono congiuntamente una partecipazione superiore al trenta per cento del capitale, decidano concordemente di conferire le loro partecipazioni ad una diversa società magari di nuova costituzione - proprio al fine di servirsi dello “schermo” della holding e di evitare, per questa via, di dover direttamente promuovere un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria. Proprio su questo punto, la Consob ha in un’occasione ritenuto che, in caso di conferimento di una partecipazione superiore al trenta per cento detenuta da più soci di una società A in una società B di nuova costituzione, non sorgerebbe l’obbligo di offerta in capo ai soci conferenti bensì in capo alla neo-costituita holding, in quanto “l'uso della forma societaria per la realizzazione di finalità perseguite dai soci, non può rendere direttamente imputabile ai soci medesimi le attività negoziali compiute dalla società dotata di autonoma personalità giuridica e non consente di considerare la società stessa come un mero schermo privo di realtà giuridica” 203: veniva quindi di fatto esclusa la sussistenza in tale ipotesi di un’azione concertata da parte dei soci. Si è però correttamente evidenziato che in tal modo diverrebbe irrilevante, ai fini dell’OPA, il prezzo cui le azioni erano state eventualmente acquistate (magari nei dodici mesi precedenti il conferimento) dai soci, avendosi riguardo unicamente al valore del conferimento, il quale potrebbe però essere di proposito determinato in misura inferiore al primo.204 Una così agevole possibilità di aggiramento delle norme in materia di OPA non è accettabile e, dunque, la soluzione proposta dalla Consob nel caso richiamato merita di essere adeguatamente rimeditata. Quanto, innanzitutto, al soggetto tenuto al lancio dell’OPA, è opportuno un ulteriore approfondimento che parte dall’interrogativo se sia altresì necessario, affinché tale obbligo sorga in capo ai soci-conferenti, che questi detengano (o vengano a detenere, in seguito al conferimento) il controllo della holding conferitaria. Se essi dispongono complessivamente nella holding di partecipazioni e di diritti di voto astrattamente “di controllo”, non vi dovrebbero essere dubbi sul fatto che il gruppo dei concertisti sia tenuto a promuovere l’offerta, anche in virtù di quanto previsto dall’art. 105, comma 2, T.U.F.; salva, anche in questo caso e conformemente a quanto ribadito poc’anzi, la verifica, nel contraddittorio dei pattisti stessi, circa l’esistenza o meno di un’effettiva influenza dominante. Ma cosa può accadere se, viceversa, i concertisti, pur avendo conferito una partecipazione del trenta per cento nella società quotata, non dispongano nella holding di una partecipazione (nemmeno astrattamente) di controllo? In tal caso, la conclusione circa l’inesistenza dell’obbligo di offerta in capo a costoro pare affrettata. Non è da escludere, infatti, che i pattisti si accordino con gli amministratori della holding in merito all’esercizio dei diritti di voto nella controllata quotata205: potrebbe allora prospettarsi l’idea che l’obbligo gravi in via 203 Così la delibera n. 13198 del 17 luglio 2001. Cfr. COSTI-ENRIQUES, op. cit., 136 (testo e nt. 51), per questa ragione giustamente critici nei confronti della posizione espressa dall’Autorità. 205 Sulla possibilità, peraltro, che alle convenzioni parasociali partecipino anche “terzi estranei alla compagine sociale”, v. per tutti RORDORF, I patti parasociali, cit., 799; ID., Il contratto sulla società, cit., 783. In ogni caso, è ben possibile che il descritto comportamento integri la fattispecie (generale) di concerto tra i soci e gli amministratori a prescindere dalla questione della configurabilità di un (vero e proprio) patto parasociale tra i primi e i secondi: non vi è dubbio infatti che il concerto possa essere ravvisato anche rispetto a chi non detiene partecipazioni, come osservato anche da BRUNETTA, op. cit., 225. E’ vero che, come si è visto nel primo capitolo, sussistono forti dubbi sulla validità dei c.d. sindacati 204 126 solidale sui soci conferenti, sulla holding e sui suoi amministratori; proprio perché questa costituisce un diverso soggetto giuridico, si può pianamente osservare che essa, ricorrendone i presupposti, potrà entrare nel novero dei concertisti.206 Se così è, si dovrà ritenere che (qualora, naturalmente, la partecipazione detenuta dalla holding nella controllata quotata sia superiore al trenta per cento), l’offerta debba essere promossa al prezzo cui le azioni erano state eventualmente acquistate dai soci nei dodici mesi precedenti il conferimento, perché anch’essi vanno considerati - insieme alla holding membri del concerto.207 Si noti che la stessa soluzione può valere anche qualora i pattisti abbiano conferito nella holding una partecipazione nella controllata inferiore al trenta per cento del capitale di questa e, nondimeno, pongano in essere un’intesa con gli amministratori della holding e con altri azionisti della partecipata che consenta di esercitare su quest’ultima un’influenza dominante.208 di gestione: tuttavia, a parte il fatto che ciò avrebbe il solo effetto di aggiungere alla segretezza dell’accordo un ulteriore motivo di nullità del patto, nulla impedisce - come più volte si è detto - che esso venga di fatto eseguito (quantomeno sino alla sua scoperta). 206 Il possibile assoggettamento della stessa holding all’obbligo di offerta è stato immaginato anche in Germania, ove si è rilevato che vi può ben essere un concerto tra una società e i suoi soci (WEIß, op. cit., 150); nonché nel Regno Unito, ove il Panel (cfr. The Takeover Code, ult. cit.) ha affermato che la partecipazione della holding nella controllata può rilevare anche “when aggregated with those which the person or group is already interested in” (ossia, “unitamente a quelle detenute dalla persona o dal gruppo dei concertisti”). Lo stesso Panel si è altresì riservato espressamente il diritto di esaminare le ipotesi in cui anche gli amministratori possano rientrare nel novero dei concertisti (“the right [...] to examine situations closely should the actions of the directors suggest that they may be acting in concert”). Anche negli Stati Uniti si è affermato che il management può entrare a far parte del novero dei concertisti, quantomeno “if management and a third party enter into an agreement relating to management’s maintaining corporate control, and if management and the third party together own more than 5% of the company”: così BROWN et al., cit., § 2.04[C], 2-36 (ove si riporta anche il contrasto nelle Corti sul diverso punto se il management di per sé considerato possa o meno costituire un “gruppo”); conf. LEVY, op. cit., 5-22; nella giurisprudenza, v. Warner Communications, Inc. v. Murdoch, 581 F. Supp. 1482, 1489 (D. Del. 1984); Jewelcor Inc. v. Pearlman, 397 F. Supp. 221 (S.D.N.Y. 1975). 207 Quanto detto non sarebbe comunque messo in discussione dalla tesi che ha negato, in linea generale, la configurabilità di patti parasociali tra i soci e la società stessa (per la quale v. RORDORF, Il contratto sulla società, cit., 784). Per un verso, la situazione evocata nel testo costituirebbe un’ipotesi parzialmente differente, giacché il concerto coinvolgerebbe sì la società ma con riferimento ad una diversa società, ossia la controllata; per altro verso, non si può certo escludere che risulti qui integrata la fattispecie generale del concerto anche a prescindere dall’esistenza di un (vero e proprio) patto parasociale. 208 Non è forse superfluo evidenziare anche che nei casi descritti, una volta provata l’esistenza dell’accordo sotteso (o parallelo) al conferimento, l’altro presupposto dell’OPA obbligatoria sarà sicuramente integrato, giacché il conferimento stesso si configura di per sé come acquisto di azioni da parte della holding, la quale, come si è visto, può certamente entrare a far parte del gruppo dei concertisti. E’ anche opportuno sottolineare, analogamente a quanto già si è detto a proposito del rapporto di controllo quale presunzione assoluta di concerto, che il coinvolgimento degli amministratori quali concertisti nelle ipotesi descritte nel testo si differenzia dalla presunzione di concerto di cui alla lett. d) dell’art. 101-bis, comma 4-bis, T.U.F. (“una società e i suoi amministratori, componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza o direttori generali”): il caso da questa immaginato, infatti, non riguarda la presenza di patti parasociali, ma si configura semplicemente in presenza dell’acquisto di azioni quotate da parte degli organi apicali di una società, che, se in grado di determinare il raggiungimento delle soglie rilevanti, farà scattare l’obbligo di offerta sia in capo agli uni che in capo all’altra. Secondo taluno, peraltro, le presunzioni che riguardano il rapporto di controllo e quello tra la società e i suoi organi sarebbero puramente relative, rimanendo aperta la possibilità di dimostrare “che gli acquisti effettuati non rispondono ad un disegno comune”: così CALLEGARI, op. cit., 68. Anche in Germania è pacifico che possa ravvisarsi un concerto tra la società e i suoi organi, in particolar modo gli amministratori: cfr. SCHNEIDER, § 30, cit., 883; WEIß, op. cit., 150-151. 127 Quanto si è detto pare sufficiente a sgombrare definitivamente il campo da dubbi sulla compatibilità delle ipotesi descritte con la figura dei patti parasociali (occulti). Si è infatti sostenuto, ancora in tempi recenti, che il fenomeno sia alternativo alla stipulazione di un patto parasociale, sulla base di due considerazioni 209: da un lato, le esigenze di pubblicità sarebbero comunque soddisfatte dalla reperibilità (presso il registro delle imprese) dell’elenco dei soci della holding e del suo statuto; dall’altro, se il socio conferente resta in minoranza non avrà più la possibilità “di orientare l’espressione del diritto di voto nelle controllate”.210 Il primo argomento non sembra affatto solido, dal momento che la conoscibilità dei soci della holding non assicura certo anche quella dell’eventuale presenza di ulteriori accordi intervenuti tra gli stessi (o tra questi ed il management della società). L’incisività del secondo rilievo risulta invece smentita proprio dalle riflessioni appena svolte. In sintesi, anche qualora la partecipazione che garantirebbe congiuntamente il controllo della partecipata venga apportata nella holding, tale situazione potrebbe non impedire ai pattisti di orientare l’esercizio del diritto di voto nella partecipata da parte della stessa holding (tramite, ovviamente, gli amministratori di questa). Ciò può accadere sia in virtù di una partecipazione significativa nella holding, che consenta loro di esercitare congiuntamente un’influenza dominante su tale società, anche in via di fatto e nonostante il loro patto sia nullo; sia, in ogni caso, in forza di altri possibili accordi con gli amministratori della holding ed eventualmente con i restanti soci della controllata.211 Certo, si potrebbe osservare che in tal modo nascerebbe una (ulteriore) intesa che si riferisce direttamente alla holding; ma, a parte il fatto che anch’essa può venire ovviamente occultata, la stessa può ben costituire il tramite per dare efficacemente seguito, rimanendo nell’ombra, ad un’azione comune nei confronti della partecipata e consentire una strategia concordata anche nell’ambito di quest’ultima 212. Né quanto 209 Per le quali si veda BLANDINI, Società quotate, cit., 354. Anche MONTALENTI, La società quotata, cit., 140, con argomenti analoghi esclude che possano ritenersi convenzioni di voto “le società holding che possiedono azioni quotate”, “sia perché l’esercizio dei diritti di voto consegue in questo caso dall’applicazione del regime legale societario, sia perché lo statuto della holding è soggetto a pubblicità”. 211 Desta qualche perplessità il combinato disposto dell’art. 106, comma 3, lett. a) del T.U.F. e dell’art. 45 del Regolamento Emittenti, là dove essi paiono richiedere altresì, ai fini dell’obbligo di offerta, che il pacchetto di azioni della società quotata detenuto indirettamente a mezzo della holding “interposta” rappresenti la parte prevalente del patrimonio di quest’ultima. Tale previsione (che, per la verità, fa riferimento unicamente all’ipotesi di acquisto di partecipazioni di controllo nella holding) si dimostra, in effetti, coerente con il caso (richiamato nel testo) in cui i soci della s.p.a. quotata conferiscano il pacchetto azionario rilevante (almeno pari al 30% del suo capitale) nella holding di nuova costituzione, acquisendo in pari tempo il controllo di quest’ultima: se con questa operazione i conferenti giungono a controllare la società madre (come l’art. 45 del Regolamento richiede), infatti, è probabile che il valore di siffatto conferimento costituisca la parte prevalente del suo (capitale e del) patrimonio sociale. Tuttavia, fermo restando quanto osservato nel testo circa la possibilità che l’obbligo di offerta scatti anche in ipotesi ulteriori, è da rilevare come il requisito richiesto dalle due disposizioni testé richiamate possa prestare il fianco ad agevoli elusioni. 212 Uno spunto in tal senso era già fornito da TRIMARCHI, Strumenti, cit., 121, il quale rilevava che tali pattuizioni finiranno per riferirsi “direttamente alla holding e indirettamente alla società controllata”. Una conclusione simile è emersa anche in Germania, ove si è sostenuto che il semplice conferimento di azioni ad una società holding (più correttamente definita “Zwischenholding”), non è di per sé sufficiente ai fini dell’applicazione della disciplina, perché i soci conferenti si spogliano in linea di principio dei diritti di voto inerenti alle azioni (della diversa società partecipata) conferite; tuttavia, si è anche fatto notare che un concerto può essere ravvisato se uno o più soci conferenti vengono a dominare la holding (“in den 210 128 detto trova un limite nella circostanza che, come si è visto nel capitolo precedente, nel caso di patto mantenuto segreto risulterebbe inibito l’esercizio del diritto di voto della holding nella controllata (e forse, nel caso quest’ultima sia una società aperta ma non quotata, anche quello dei pattisti soci della holding nelle assemblee di questa): è evidente infatti che, fintanto che il patto non venga alla luce, il diritto di voto (ma anche gli altri diritti sociali) sarà (di fatto) esercitato e potrà consentire l’esercizio (di fatto) di un’influenza dominante.213 Minori sembrano i problemi in punto di OPA obbligatoria nel caso di intestazione fiduciaria di azioni. La soluzione adottata dalla Consob in relazione al conferimento in una holding di una partecipazione pari al trenta per cento di una società quotata non è qui, a maggior ragione, condivisibile. Si è già detto della possibile equiparabilità tra l’accordo sottostante un voting trust e un patto parasociale: se così è, almeno nel caso in cui il trustee entri a far parte del patto occorrerà cumulare le partecipazioni assunte dal trustee a quelle acquistate dai soci a titolo oneroso ai fini dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 109 T.U.F. e del computo delle soglie rilevanti214; altrimenti, il concerto potrà comunque essere ravvisato, secondo le regole Fällen, in denen er allein oder gemeinsam mit anderen die Zwischenholding beherrscht”): per tale tesi e per il virgolettato, cfr. VON BÜLOW - BÜCKER, op. cit., 711; analog. WEIß, op. cit., 147 ss. e spec. 155, ove si osserva chiaramente che “eine Zurechnung der sich koordinierenden Obergesellschafter untereinander erfolgt, wenn diese gemeinsam beherrschenden Einfluss auf die Zwischengesellschaft ausüben [...] oder falls sie keine umfassende Beherrschung begründen, wenn sie sich hinsichtlich der Ausübung der Stimmrechte der Zwischengesellschaft besonders abstimmen” (: “si verifica un’imputazione a carico dei soci concertisti quando essi esercitano congiuntamente un’influenza dominante sulla società holding intermedia [...] o qualora essi non danno vita ad un pieno dominio, ma si coordinano riguardo all’esercizio dei diritti di voto nella stessa holding intermedia”). Per una diversa opinione, v. GAEDE, op. cit., 266 ss., la quale, pur ammettendo che i soci della holding intermedia possano giungere a influenzare l’esercizio del voto nella società obiettivo, nega la rilevanza dell’ipotesi descritta, argomentando che in seguito all’apporto delle partecipazioni i soci conferenti della holding non possono più spiegare un’azione diretta e coordinata nella partecipata (“Abstimmungshandlung”). Le riflessioni esposte nel testo sembrano ridurre anche l’incisività dell’opinione, avanzata per la verità meno recentemente dalla nostra dottrina, secondo cui i descritti meccanismi sarebbero “strutture alternative alle convenzioni di voto, in quanto si estrinsecano in negozi che hanno per oggetto le azioni e non direttamente l’esercizio o la titolarità del voto a loro inerente”: così RESCIO, I sindacati di voto, cit., 675 ss., che si riferiva principalmente al conferimento di azioni in una holding ma anche alla comunione di azioni. Anche tale convincimento si espone infatti ad un’obiezione simile a quella riferita nel testo: non può escludersi, cioè, che il negozio avente ad oggetto direttamente le azioni sia accompagnato da un’ulteriore convenzione riguardante anche le modalità di esercizio dei diritti connessi alle partecipazioni della holding che si ottengono in cambio del conferimento e che potrebbero consentire di orientare le modalità di esercizio dei diritti sociali da parte della holding nella società controllata (non solo nel caso in cui il pacchetto complessivamente detenuto dai pattisti-conferenti consenta di spiegare un’influenza dominante nella holding e indirettamente anche nella partecipata, ma anche in tutti i casi in cui intervenga un’intesa con gli amministratori della holding al riguardo). Per un orientamento in linea con quanto qui sostenuto si veda, del resto, SBISA’, Sindacati di voto, cit., 1394, il quale affermava anzi che in ipotesi di costituzione di una holding ha (o può avere) luogo “l’organizzazione dei partecipanti al sindacato in forma societaria”. 213 Riemerge, allora, anche il problema del rapporto tra accertamento del patto occulto e termini per l’impugnativa delle delibere assembleari adottate con l’apporto determinante dei voti invalidamente esercitati: anche su questo punto si rinvia al capitolo precedente (§ 7). 214 In tal senso, espressamente, anche TUCCI, Contratti parasociali, cit., 955, il quale prospetta pertanto l’applicabilità analogica dell’art. 109 T.U.F. alla fattispecie del voting trust. Avverte però l’A. che, così come la mera stipula di un patto parasociale non è sufficiente ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di OPA (essendo necessario anche l’acquisto di azioni sul mercato), parimenti il semplice conferimento di azioni ad un trustee non assume di per sé rilevanza ai sensi della disciplina del concerto (ibidem, 955). Analog., 129 generali, in capo ai fiducianti. In entrambi i casi, per la determinazione del corrispettivo dell’offerta si potrà fare riferimento agli acquisti eventualmente effettuati da alcuno dei fiducianti nei dodici mesi precedenti il trasferimento al trustee. 14. Segue: il ruolo dei derivati nell’accertamento di un patto parasociale occulto e la recente casistica. E’ interessante anche notare come, nel giudizio riguardante l’accertamento della sussistenza di patti parasociali occulti, l’esperienza pratica abbia più volte evidenziato il ruolo svolto dalla stipulazione di contratti derivati tesi al nascondimento dell’accordo. 215 Più in particolare, le note vicende degli ultimi anni hanno messo in luce che tale fenomeno può intersecarsi con la disciplina dell’offerta pubblica di acquisto obbligatoria sostanzialmente in due differenti modi: (i) da un lato, può accadere che il derivato sia uno schema negoziale utilizzato per occultare la titolarità di un pacchetto azionario che, unitamente a quello detenuto da altri soggetti con i quali si agisce di in precedenza, STELLA RICHTER JR., Il trust nel diritto italiano delle società, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, I, 483. In realtà si potrebbe obiettare che, almeno nel caso in cui il trustee possa essere fatto rientrare nel novero dei concertisti, il trasferimento delle azioni potrebbe configurarsi come acquisto delle stesse da parte del medesimo soggetto intestatario. Si noti che quanto detto a proposito della necessità che il concerto coinvolga anche il fiduciario implica che non basta certo un qualsiasi fenomeno di interposizione per far sì che l’obbligo di promozione dell’OPA scatti in ogni caso anche in capo all’interposto: cfr. sul punto la giurisprudenza in materia di responsabilità da mancata OPA (infra, cap. III), la quale ha escluso che la presenza di accordi di put e call sia sufficiente in tal senso, dal momento che l’interposto può limitarsi “ad operare per conto dell’interponente, in una posizione quindi priva di una sua autonoma valenza sostanziale in rapporto agli assetti proprietari” (con queste parole CACCHI PESSANI S., Violazione dell’obbligo di OPA e risarcimento del danno, nota a Trib. Milano, 7-9 giugno 2007, in Giur. comm., 2008, II, 523). Proprio tale pronuncia ha assunto la posizione testé riferita. 215 Per una sintetica panoramica in argomento, si veda FERRARINI, Prestito titoli e derivati azionari nel governo societario, in La società per azioni oggi, a cura di P. Balzarini, G. Carcano, M. Ventoruzzo, Milano, 2007, **, 629 ss. Sul punto anche MOSCA, Comportamenti, cit., 458 (testo e nt. 22, ove ulteriori riferimenti). Anche la Consob, a motivo della crescente rilevanza assunta dai contratti derivati in quest’ambito, ha pubblicato in data 9 ottobre 2009 un Position Paper in tema di trasparenza proprietaria sulle posizioni in derivati cash settled, fermo restando che l’Autorità è altresì legittimata - in forza dell’art. 105, comma 3-bis, T.U.F. - a determinare “i casi e le modalità con cui gli strumenti finanziari derivati detenuti sono computati” ai fini delle soglie rilevanti per l’OPA. Anche la dottrina tedesca ha talora notato la possibile rilevanza dell’accordo volto ad acquisire Debt-Equity-Swaps, che sia mediatamente diretto all’acquisto di partecipazioni attraverso la trasformazione dell’originario credito da finanziamento in pacchetto azionario della società: v. GAEDE, op. cit., 273 ss.; contra HALÁSZKLOSTER, Abgestimmtes Verhalten im Sinne des § 30 Abs. 2 WpÜG im Zusammenhang mit einem DebtEquity Swap, in WM Heft, 2006, 2152 ss., i quali (con riferimento, tuttavia, alla precedente versione della norma, che sembrava dare rilievo soltanto agli accordi per l’esercizio del voto) affermavano che simili intese ricadrebbero nell’eccezione del caso singolo, mancando un coordinamento con effetti durevoli di una quota di diritti di voto in misura pari almeno al trenta per cento del capitale. La rilevanza della stipulazione di contratti derivati - ai fini degli obblighi di disclosure ed eventualmente degli accordi tra soci - è oggetto di attenzione nell’ordinamento americano già a livello normativo. In particolare, la Section 16(a)(2)(C) del SEA ne prevede espressamente la rilevanza ai fini dell’obbligo di comunicazione di ogni operazione sui titoli condotta da chi detiene più del 10% del capitale dell’emittente: si vedano, più diffusamente, HAMILTON-RASMUSSEN, op. cit., 55 ss. Ma anche la Section 13(d)(1), come emendata dal recentissimo 2010 Financial Reform Act, prevede che l’obbligo di disclosure riguardi non solo il titolare (“beneficial owner”) di partecipazioni, ma anche chiunque “otherwise becomes or is deemed to become a beneficial owner of any of the foregoing upon the purchase or sale of a security-based swap that the Commission may define by rule”. 130 concerto, determinerebbe il superamento delle soglie rilevanti di cui agli artt. 106 e 108 T.U.F.216; (ii) dall’altro, non è esclusa la possibilità che sia proprio la stipulazione del contratto derivato - allorché l’accordo contempli ulteriori elementi, quali ad esempio l’obbligo della c.d. parte corta che detiene le azioni di non aderire ad eventuali OPA concorrenti - a configurare un vero e proprio patto parasociale.217 La prima ipotesi, che si risolve in un fenomeno di interposizione 218, è stata ravvisata nella vicenda SAI-Fondiaria, contraddistintasi peraltro per il pendolarismo della Consob nell’accertamento della sussistenza di un patto occulto tra SAI e Mediobanca per il controllo di Fondiaria. Si è correttamente rilevato che “se un’interposizione di persona sia configurabile, l’obbligo di comunicazione della partecipazione rilevante graverà sia sull’interponente che sull’interposto, mentre le azioni verranno computate nella partecipazione dell’interponente ai fini dell’OPA obbligatoria.”219 Al di là delle problematiche che la nozione può sollevare a livello concettuale, rimane in ogni caso ben possibile fare riferimento allo strumento della frode alla legge per colpire e garantire l’emersione del patto parasociale cui il contratto derivato risulti occultamente asservito.220 Il secondo dei due modelli descritti, invece, pare aver caratterizzato un altro caso ormai celebre, ossia il tentativo di scalata a BNL da parte di Unipol. E’ qui accaduto che Unipol concludesse con Deutsche Bank un c.d. spot hedge che garantiva alla prima 216 Casi simili si sono verificati anche negli Stati Uniti: SEC v. First City Financial Corp. Ltd., 890 F.2d 1215 (D.C. Cir. 1989), ove First City aveva raggiunto una percentuale rilevante di partecipazione nella diversa società Ashland Oil Co. (non attraverso acquisti diretti, bensì) servendosi di nominees e stipulando con questi accordi di put/call al fine di occultare la propria effettiva disponibilità dei titoli. Analoga la recente vicenda che ha visto protagonisti due hedge funds agenti di concerto a mezzo della stipulazione di contratti derivati che attribuivano loro la sostanziale disponibilità dei titoli acquistati, salvo il formale esercizio del diritto di voto in assemblea: CSX Corp. v. Children’s Inv. Fund Mgmt. (UK) LLP, 562 F. Supp 2d 511 (S.D.N.Y.), 2008 U.S. App. LEXIS 19788 (2d Cir. N.Y. Sept. 15, 2008). In argomento e in particolare su quest’ultimo caso, v. più diffusamente THOMPSON Jr., op. cit., 8-25 e 831 ss. 217 Si è notato, peraltro, che la stipulazione di contratti derivati può essere in concreto funzionale anche ad un “controllo” del prezzo cui avverrà l’OPA obbligatoria, giacché esso sarà determinato in base agli acquisti più recenti effettuati dall’obbligato (o dagli obbligati), i quali potranno coincidere con il trasferimento delle azioni “cedute dalla controparte all’esito dello scioglimento del contratto derivato”: così SANDRELLI, La nuova disciplina degli “strumenti finanziari derivati” nelle offerte pubbliche di acquisto, in Riv. soc., 2012, 147-148, al quale si rinvia per ulteriori approfondimenti sul tema. 218 Come si è osservato, la natura interpositoria della fattispecie concreta e, dunque, l’intento di occultare la proprietà di un pacchetto azionario rilevante, potrebbe palesarsi specialmente in presenza di circostanze quali la scarsa liquidità delle azioni, “tali da far ritenere che l’operazione sarà verosimilmente chiusa con un ritrasferimento delle azioni al loro iniziale proprietario”: così FERRARINI, Prestito titoli, cit., 658, il quale, servendosi delle parole di P. FERRO-LUZZI (Art. 9, comma 1 e 2, l. 281/85: prime considerazioni esegetiche, in Banca, borsa, tit. cred., 1986, I, 425 ss. e spec. 433) avverte peraltro che il concetto di interposizione in questo ambito deve essere inteso non tanto in senso strettamente tecnico-giuridico, quanto “come situazione nella quale malgrado la partecipazione non sia intestata ad un soggetto (né a società da questo controllata o a società fiduciaria per suo conto) questi tuttavia si trovi rispetto alla partecipazione in situazione equivalente” (ibidem, 655.) 219 E’ l’ammonimento di FERRARINI, Prestito titoli, cit., 663. Da un punto di vista, per così dire, sistematico, non può non notarsi l’affinità tra le parole di questo Autore e la soluzione proposta nel paragrafo precedente con riferimento all’individuazione dei soggetti tenuti a promuovere l’offerta pubblica nelle ipotesi di conferimento di partecipazioni in società holding e di intestazione fiduciaria di azioni, in cui si fa particolarmente pressante (come nel caso dei derivati, appunto), l’esigenza di sbarrare la strada a facili tentativi di elusione della disciplina. 220 Di nuovo FERRARINI, Prestito titoli, cit., 656. 131 un’opzione d’acquisto del sottostante (ossia il 2 per cento circa del capitale di BNL che Deutsche Bank avrebbe poi acquistato sul mercato) e alla seconda un’opzione di vendita; la Consob, peraltro, aveva ritenuto sussistente il patto anche in forza dell’impegno assunto da Deutsche Bank di non aderire né all’OPA di Unipol né ad altre concorrenti.221 Naturalmente, gli elementi che si affiancano al contratto derivato e che contribuiscono alla sua identificazione quale vero e proprio patto parasociale possono anche essere altri, in particolare le previsioni riguardanti le modalità con cui il diritto di voto dovrà medio tempore essere esercitato dal detentore delle azioni.222 Sempre nell’ambito della medesima complessa vicenda, è interessante notare che ulteriori patti parasociali intervenuti tra i soggetti protagonisti sono però stati ricondotti a quello che si è visto essere il primo “modello” di riferimento [supra, (i)]: la Corte d’Appello di Venezia, nella decisione sull’impugnazione della sanzione comminata dalla Consob al patto occulto tra BPI ed Unipol per il controllo di BNL, ha dato un’interpretazione non formalistica del contratto concluso da BPI con Barclays Bank, avente ad oggetto un pacchetto di azioni BNL pari allo 0,49% del capitale sociale di quest’ultima. Infatti, nonostante non fosse espressamente prevista una clausola di physical settlement del sottostante (id est, di consegna fisica delle azioni a BPI alla scadenza), la Corte ha ravvisato un fenomeno di interposizione che, stante l’interesse della sola BPI all’acquisto ed al mantenimento nel proprio portafoglio di azioni BNL, non escludeva la possibilità di una successiva consegna delle stesse azioni da Barclays 221 E’ interessante notare che l’obbligo di lancio dell’OPA venne individuato anche in capo a Deutsche Bank, soggetto non controllante BNL (cfr. la Delibera Consob n. 15259 del 23 dicembre 2005 e il relativo atto di accertamento, in cui si rilevava che il patto era volto ad agevolare il raggiungimento di una posizione di controllo da parte di Unipol e valeva ad individuare DB come soggetto agente di concerto con Unipol): questo provvedimento dell’Autorità, tra l’altro, ha costituito la conferma che l’esercizio del controllo, quand’anche in maniera congiunta, da parte dei concertisti non è un presupposto essenziale perché sorga a loro carico l’obbligo di offerta ex art. 101-bis e 109 T.U.F., bastando appunto l’avvenuta conclusione di un accordo (semplicemente) “volto” a tale risultato. 222 Sul punto, SANDRELLI, op. cit., 148; FERRARINI, Prestito titoli, cit., 664, il quale pare anzi ritenere essenziale una tale previsione ai fini della qualificazione dello swap come patto parasociale intervenuto tra le stesse parti contraenti. Sembra più plausibile, tuttavia, considerare quello descritto soltanto un indizio che potrà concorrere alla prova presuntiva dell’esistenza del patto parasociale. Un caso simile si è verificato in Nuova Zelanda ed è stato deciso con la già citata sentenza della New Zealand Court of Appeal del 4 novembre 2003. Era accaduto, lo si ricorda, che una società, la Perry Corporation, aveva concluso due contratti di equity swap con Deutsche Bank e UBS Warburg, aventi ad oggetto pacchetti di azioni della società Rubicon ed entrambi risolvibili con preavviso. Dato che la section 5 (1) (f) del Securities Markets Act prevedeva l’obbligo di disclosure di ogni “trust, agreement, arrangement or understanding relating to the voting security”, la Court of Appeal ha dovuto risolvere la questione se nel caso di specie ne ricorressero gli estremi. Contrariamente a quanto statuito dal giudice di primo grado, i giudici d’appello lo hanno escluso: pur essendo l’operazione congegnata in modo tale da rendere certo o molto probabile che le azioni di Rubicon acquistate dalle banche sarebbero tornate a disposizione di Perry, la Corte faceva rilevare che un arrangement o un understading presuppone un meeting of minds, ossia un vero e proprio incontro di volontà (“a meeting of minds is required”), non essendo sufficienti semplici aspettative reciproche basate semplicemente su dati empirici (“market reality”) ma non accompagnate da una qualche forma di comunicazione, quand’anche fondate sulla prassi commerciale: “mutual expectations based on commercial reality (but without such consensus or communication) are not sufficient to give rise to an arrangement or understanding”. Inoltre, la Corte sottolineava che l’obbligo di disclosure era posto dalla predetta norma in relazione al diritto di voto. 132 alla stessa BPI.223 In particolare, affermava la Corte che l’interposizione “deve essere intesa, ai fini della disciplina antielusiva propria della legislazione in materia di mercati finanziari, sulla base di parametri necessariamente non rigidi, considerata l’estrema varietà e duttilità degli strumenti di intermediazione disponibili per gli operatori”.224 In questa prospettiva, i giudici veneziani hanno ritenuto che il predetto “parcheggio” delle azioni di BNL presso Barclays Bank rispondesse proprio all’interesse sotteso al patto occulto concluso tra BPI e Unipol. Come facilmente immaginabile, gli oneri probatori relativi a simili accertamenti sono notevoli: nonostante ciò, anche i più recenti interventi normativi hanno lasciato inascoltato l’appello di attenta dottrina ad inserire la stipulazione di derivati tra i presupposti dell’OPA obbligatoria, al fine di attribuire giuridica rilevanza “all’acquisto della proprietà economica di azioni effettuato dalla parte lunga di un derivato”. 225 Anche la Consob si è di recente astenuta dall’intervenire su questo fronte: con il provvedimento n. 16850/2009, sulla scorta delle indicazioni della Direttiva n. 2004/109/CE (c.d. Direttiva Transparency), si è infatti limitata ad imporre l’obbligo di trasparenza delle “partecipazioni potenziali”, come definite dal nuovo art. 116-terdecies, comma 1, lett. d) del Regolamento Emittenti. La nozione si scinde in quella di “partecipazioni potenziali in acquisto” e “partecipazioni potenziali in vendita”: secondo la dottrina, non sarebbe però ammissibile un’interpretazione volta ad includere nel perimetro di tale fattispecie “tutte le partecipazioni che un soggetto ha - semplicemente - il diritto o la facoltà di acquistare. Anche i lavori preparatori sembrano confermare la tesi in base alla quale la disciplina delle partecipazioni potenziali è essenzialmente volta a regolare gli obblighi di trasparenza connessi con la stipulazione di contratti derivati connotati dal c.d. physical settlement”.226 223 Peraltro, secondo SANDRELLI, op. cit., 149, ai fini dell’OPA obbligatoria la Consob, con l’art. 44-ter Reg. Emittenti, avrebbe dovuto adottare un approccio di tipo funzionale, “così da abbracciare le fattispecie che, sia pure non attribuendo all’interponente il diritto di succedere all’interposto nella titolarità della partecipazione, garantiscono comunque al dominus un controllo stabile sulla stessa”. 224 In tale direzione si è mossa anche la Consob, con il Documento di consultazione del 6 ottobre 2010, già richiamato. 225 E’ la proposta - che pare conservare intatta la sua validità - formulata alcuni anni or sono da FERRARINI (Prestito titoli, cit., 666-667). Analoga la posizione assunta dalla dottrina americana, che ha suggerito un ampliamento della nozione di beneficial ownership contenuta nella Section 13(d), al fine di includervi “any derivative instruments that create a pecuniary interest in the underlying security”: cfr. BROWN et al., op. cit., § 2.04[C], 2-30. 226 In questi termini ANNUNZIATA, Brevi note in merito alla nuova disciplina delle “partecipazioni potenziali”: verso quali disclosure?, in Giur. comm., 2010, I, 588; l’A. aggiunge che diviene essenziale il riferimento al contenuto degli accordi, che dovranno necessariamente contemplare “il diritto incondizionato o la facoltà di trasferire le partecipazioni” (ibidem, 589). 133 Capitolo III I patti parasociali occulti nella prospettiva dei rimedi: le tutele dei soci estranei e degli investitori Sommario: 1. Il successivo sviluppo della trattazione. - 2. La responsabilità da mancata opa: natura e danno risarcibile. - 3. Il patto parasociale occulto come ipotesi di informazione privilegiata non rivelata al mercato. - 4. Il rapporto tra la responsabilità da mancata opa e la responsabilità civile da insider trading a fronte della scoperta di un patto occulto. - 5. L’insider trading da patto occulto tra responsabilità risarcitoria e applicabilità di rimedi contrattuali. - 6. I patti parasociali occulti come ipotesi di aggiotaggio. - 7. Patti parasociali occulti e (semplice) responsabilità per omessa informazione. - 8. La responsabilità da mancata disclosure dei patti parasociali nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. 1. Il successivo sviluppo della trattazione. Nell’arco della trattazione condotta nei due capitoli precedenti si è più volte fatto cenno alle sanzioni che il legislatore espressamente commina a fronte dell’occultamento di un patto parasociale rilevante: da una parte, il divieto di esercizio del diritto di voto relativo alle azioni coinvolte nel patto e dall’altra - con riferimento alle sole società quotate e alle loro controllanti - la nullità dell’accordo (cui si aggiunge una sanzione amministrativa pecuniaria). La restante parte dell’indagine verrà ora dedicata ad una verifica circa l’utilizzabilità di rimedi che consentano agli azionisti estranei al patto di essere ristorati del pregiudizio eventualmente subito in ragione dell’occultamento di un patto parasociale che avrebbe dovuto essere pubblicato. E’ evidente, infatti, che i presidi sanzionatori allestiti dall’art. 2341-ter c.c. e dall’art. 122 T.U.F. tendono eminentemente a determinare la rimozione degli effetti che, sul piano corporativo e della governance societaria, il patto è destinato a produrre; in altre parole, il legislatore si preoccupa primariamente di sterilizzare l’impatto che l’accordo mantenuto segreto può avere sul controllo e, dunque, sul governo e sulla contendibilità della società: ciò dovrebbe avvenire, appunto, sia con una privazione del diritto di voto in assemblea, sia impedendo (nelle società quotate e loro controllanti) che dall’accordo tenuto nascosto possano validamente nascere pretese reciproche in capo ai paciscenti. Le norme invece tacciono circa l’azionabilità di strumenti di tutela dei soci estranei che permettano, come detto, di rimuovere le conseguenze pregiudizievoli che si siano prodotte direttamente 134 nella loro sfera giuridico-patrimoniale. Nonostante l’opzione normativa si diriga verso una protezione dei soci esterni al patto intesi come collettività (o, si potrebbe dire, della società nel suo complesso e del generale buon andamento della gestione), sembra che la cura delle posizioni giuridiche individuali di costoro non possa comunque essere trascurata, anche in considerazione del fatto che l’operatività delle risposte sanzionatorie apprestate dal legislatore presuppone inevitabilmente, come si è più volte sottolineato, la scoperta del patto: può accadere, però, che prima di quel momento il programma negoziale sia comunque messo in atto e produca, di fatto, i suoi effetti sulla società. Le ripercussioni del patto occulto (comunque attuato) sulla vita della società potrebbero senz’altro configurarsi come pregiudizievoli anche per i singoli soci ad esso estranei e, più in generale, per il mercato. Il silenzio del legislatore sul punto non può perciò essere considerato decisivo e sollecita, semmai, una risposta all’interrogativo se la via della tutela risarcitoria - secondo i paradigmi generali della responsabilità - e quella dei rimedi contrattuali siano, in tali ipotesi, percorribili. E’ su questo tronco che verrà principalmente sviluppata l’analisi che segue, nel tentativo di conciliare la ricerca di soluzioni sistematicamente coerenti (con il percorso sin qui compiuto e) con la necessità di dare adeguate risposte alle esigenze di tutela di quanti operano sul mercato dei titoli azionari, i quali abbisognano di adeguate informazioni e incarnano perciò in una prospettiva particolaristica un interesse la cui soddisfazione costituisce al contempo una vera e propria linfa vitale per il mercato nel suo complesso.1 2. La responsabilità da mancata opa: natura e danno risarcibile. Come si è potuto ampiamente osservare in precedenza, la figura del patto parasociale occulto assume una rilevanza notevole soprattutto nelle società quotate, in particolare nella prospettiva dell’obbligo di promozione di un’offerta pubblica di acquisto. Non è un caso, del resto, che proprio in rapporto a tale fenomeno si sia sviluppato, a partire da alcune pronunce della giurisprudenza di merito, il dibattito circa la possibilità di riconoscere ai soci estranei al patto occulto, in seguito alla mancata promozione di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria, un diritto al risarcimento del danno subito. 1 Sull’intreccio tra interesse individuale all’informazione e interesse del mercato nel suo insieme v. RORDORF, Importanza e limiti dell’informazione nei mercati finanziari, in Giur. comm., 2002, I, 775. In proposito, si è osservato nella nostra dottrina che l’adeguata protezione del bisogno di informazione rende più efficiente il mercato anche nella forma di un’agevolazione dell’incontro di domanda e offerta: SCHLESINGER, Mercati, diritto privato, valori, in Riv. dir. civ., 2004, II, 325; analog. CAVAZZUTI, La trasparenza dei mercati finanziari, in Banca impresa società, 2004, 420. Tale convergenza è in effetti tanto più facilitata quanto maggiore è il grado di certezza che il mercato possa riflettere in ogni momento le informazioni rilevanti: per una simile considerazione v. S. BRUNO, L’azione per danni da informazione non corretta sul mercato finanziario: diritto comune e legislazione speciale, in Contr. e impr., 2001, 1329. 135 E’ bene, pertanto, prendere le mosse da una ricognizione dei profili che questa problematica presenta, per poi verificare la praticabilità di rimedi risarcitori ulteriori e i loro possibili rapporti con la responsabilità da mancata OPA. Il fatto che la mancata promozione dell’OPA obbligatoria possa dare luogo ad una qualche forma di responsabilità risulta un dato ormai acquisito nel nostro ordinamento2; piuttosto, sono il titolo e la natura dell’obbligo risarcitorio ad essere stati (e ad essere tuttora) discussi, con la conseguenza che diverse sono le prospettazioni offerte da giurisprudenza e dottrina anche in punto di individuazione del danno risarcibile. Quest’ultimo profilo, come si vedrà, risulterà particolarmente rilevante nell’accertamento della compatibilità e della possibilità di coesistenza della responsabilità da mancata OPA con altre forme di responsabilità, a carico di soggetti anche diversi dai pattisti occulti. Le prime sentenze di rilievo in materia sono state quelle pronunciate dal Tribunale di Milano in date 26 maggio 2005 - 9 giugno 2005 in relazione al già richiamato caso SAI-Fondiaria, con le quali i giudici avevano affermato l’esistenza di un “obbligo giuridico contrattuale discendente dalla legge” (e valevole ad integrare il regolamento negoziale a mente dell’art. 1374 c.c.) di promuovere un’offerta pubblica di acquisto allorché ricorrano i presupposti normativamente contemplati. 3 Secondo la ricostruzione offerta dal Tribunale, la responsabilità a titolo contrattuale da mancata OPA non si porrebbe in contraddizione con il meccanismo sanzionatorio costruito dall’art. 110 T.U.F., il quale stabilisce che, in caso di violazione dell’obbligo, il diritto di voto “inerente all’intera partecipazione detenuta” non possa essere esercitato e i titoli 2 Sul punto, in particolare, GUIDOTTI, Sub art. 110, in La disciplina dell’offerta pubblica di acquisto, in Le nuove leggi civ. comm., 2010, 244. Non è così in Germania, dove ancora si discute sull’esistenza di un vero e proprio diritto all’OPA e sulla configurabilità di una responsabilità del mancato offerente nei confronti degli azionisti pretermessi in caso di violazione: per i termini della questione e per le diverse opinioni si vedano, senza pretesa di completezza, BUCK-HEEB, op. cit., 242-243; POHLMANN, Rechtsschutz der Aktionäre der Zielgesellschaft im Wertpapiererwerbs- und Übernahmeverfahren, in ZGR, 2007, 9 ss.; VON BÜLOW, op. cit., 1075; SEIBT, Rechtsschutz im Übernahmerecht, in ZIP, 2003, 1876-1877; MÜLBERT-SCHNEIDER, Der außervertragliche Abfindungsanspruch im Recht der Pflichtangebote, in WM, 2003, 2301 ss. e spec. 2307-2308; HABERSACK, Reformbedarf im Übernahmerecht!, in ZHR, 2002, 621 ss.; LAPPE - STAFFLAGE, Unternehmensbewertungen nach dem Wertpapiererwerbs- und Übernahmegesetz, in BB, 2002, 2190-2191. Quanto alle sanzioni espressamente previste per l’ipotesi di mancata pubblicizzazione dell’acquisto del controllo o per la mancata promozione dell’offerta, il § 59 del WpÜG prevede la perdita dei diritti sociali collegati alle azioni degli obbligati (concertisti compresi), salve alcune eccezioni; non è invece imposto (a differenza di quanto fa l’art. 110 T.U.F.) l’obbligo di alienazione della partecipazione eccedente le soglie rilevanti. Inoltre, il § 38 WpÜG dispone a carico degli obbligati il pagamento di interessi a beneficio degli azionisti pretermessi, in misura determinata e per tutto il periodo in cui perdura la violazione. Sul punto v., da ultimo, SEIBT, Der (Stimm-)Rechtsverlust als Sanktion für die Nichterfüllung kapitalmarktrechtlicher Mitteilungspflichten im Lichte des Vorschlags der Europäischen Kommission zur Reform der Transparenzrichtlinie, in ZIP, 2012, 797 ss. 3 Per alcuni commenti si vedano GAMBARO, Riflessione breve sulla argomentazione giurisprudenziale, in Giur. comm., 2005, II, 769 ss.; GATTI, Mancata promozione di opa obbligatoria e risarcimento del danno, in Giur. comm., 2005, II, 774 ss.; MORELLO, op. cit., 408 ss.; GUIZZI, op. cit., 251 ss.; CARBONETTI, OPA obbligatoria e diritti degli azionisti, in Dir. banca e merc. fin., 2005, 634 ss.; ROMAGNOLI, Responsabilità contrattuale per omissione d’opa obbligatoria e tutela risarcitoria subordinata, in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 435 ss.; DE GIOIA-CARABELLESE, Responsabilità per violazione di Opa obbligatoria: epistemologia e fenomenologia di un passaggio a nord-ovest, in Società, 2005, 1142 ss.; CAJAZZO, Società quotate: l’obbligo di lanciare l’O.P.A. ha natura contrattuale, nota a Trib. Milano, 9 giugno 2005, in Corr. merito, 2005, 1156 ss. 136 eccedenti le soglie rilevanti siano alienati entro dodici mesi. 4 Il mancato ottemperamento a tale previsione, infatti, non eliminerebbe il pregiudizio patito dagli azionisti che avrebbero dovuto ricevere l’offerta, il quale, nella prospettiva adottata dal legislatore, dovrebbe in prima battuta essere rimosso proprio con il ripristino della situazione proprietaria antecedente la stipula dell’accordo e il superamento delle soglie rilevanti. Il cuore della sentenza in parola è però rinvenibile nell’ulteriore passaggio in cui si ammette che anche l’alienazione delle azioni eccedenti la soglia rilevante non escluderebbe l’obbligo risarcitorio qualora essa si dimostri in concreto inefficace, a motivo del fatto che risulti ugualmente conseguito per altra via il controllo della società. Attesa la natura contrattuale della responsabilità in discorso, il danno risarcibile verrà a coincidere con (il c.d. interesse positivo, ossia con) la differenza tra il prezzo al quale le azioni avrebbero dovuto essere trasferite in seno all’offerta e quello che le stesse avevano sul mercato al momento in cui si è consumato l’inadempimento. La ricostruzione testé sintetizzata è stata ripresa dal medesimo Tribunale anche con la pronuncia dell’8 maggio 2006 5, con l’ulteriore precisazione che, nel caso in cui si verifichi un incremento del valore delle azioni successivamente al momento in cui avrebbe dovuto essere promossa l’offerta, non sarà comunque possibile operare una compensatio lucri cum damno, la quale presuppone che il lucro e il danno destinati (almeno parzialmente) ad elidersi nascano dal medesimo fatto e non da eventi tra loro indipendenti.6 Come è noto, la Corte d’Appello di Milano ha assunto, in sede di gravame della prima pronuncia del Tribunale7, una posizione del tutto differente, esprimendo il convincimento che l’assenza di un contratto possa portare tutt’al più alla qualificazione della responsabilità risarcitoria dei pattisti come precontrattuale (e dunque, in ultima analisi, extracontrattuale)8, ma solo qualora venga leso l’affidamento riposto dai soci estranei nella promozione dell’offerta9; di conseguenza, il danno risarcibile, da 4 Occorre subito segnalare che l’art. 110 T.U.F. ha subito una modifica importante ad opera del d. lgs. n. 229/2007, ossia in epoca successiva alle prime delle pronunce giurisprudenziali che si vanno illustrando: il comma 1-bis prevede ora che “in alternativa all’alienazione” dell’eccedenza, la Consob, avuto riguardo ad una serie di circostanze, possa “imporre la promozione dell’offerta totalitaria al prezzo da essa stabilito”. 5 Per un commento v. ROLFI, Quando l’O.P.A. diventa veramente “obbligatoria”, in Corr. giur., 2006, 995 ss. 6 Su questo punto v. anche MORELLO, op. cit., 413; MOSCA, Acquisti di concerto, cit., 1336. Sull’operatività del principio richiamato v. ad es. PINORI - CORRADI, Il principio della riparazione integrale dei danni, in Il risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di G. Visintini, Milano, 1999, 41 ss. e spec. 65 ss., ove si aggiunge che ulteriore requisito perché possa operare la compensatio lucri cum damno è “la omogeneità dei reciproci vantaggi, vale a dire l’inerenza del vantaggio al bene o interesse leso” (ibidem, 68). 7 La sentenza della Corte, del 15 gennaio 2007, è stata commentata in particolare da MERUZZI, Responsabilità da contatto, culpa in contrahendo e dintorni: il caso SAI-Fondiaria-Mediobanca tra vecchi pregiudizi e nuove prospettive, in Giur. merito, 2007, 2594 ss.; FESTI, Mancato lancio di o.p.a. obbligatoria e responsabilità, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, 486 ss.; ROLFI, Ancora sull’o.p.a. obbligatoria e sulle conseguenze della sua violazione, in Corr. giur., 2007, 1594 ss. 8 Per una ricostruzione in termini di responsabilità precontrattuale, adesiva a quella proposta dalla Corte d’Appello di Milano, v. POLIANI, Risarcimento del danno da mancata promozione di opa obbligatoria, in Giur. comm., 2009, I, 1097 ss. e spec. 1112 ss. 9 Un primo motivo di perplessità scaturisce proprio da questo passaggio, perché viene da chiedersi su che cosa possa fondarsi tale legittimo affidamento se non appunto sul fatto che esiste un vero e proprio 137 determinarsi anche equitativamente, coinciderebbe con il c.d. interesse negativo e consisterebbe soltanto nelle spese sostenute e nei mancati guadagni (quelli, cioè, che sarebbero derivati da altre occasioni contrattuali perdute).10 La Corte è giunta a tale conclusione sulla base di tre principali ordini di argomenti, che però, oltre a non risultare condivisibili, sembrano impingere in un notevole equivoco di fondo, come a breve si dirà. Innanzitutto, i giudici della Corte d’Appello hanno sostenuto che l’obbligo contrattuale di acquistare le rimanenti azioni (o meglio, di formulare un’apposita offerta in tal senso) e la relativa (eventuale) responsabilità sarebbero da escludere in quanto l’art. 110 T.U.F. impone, all’opposto, l’alienazione delle partecipazioni detenute in eccedenza rispetto alla soglia rilevante.11 In realtà, una contraddizione non c’è, perché, come era stato messo in luce dal Tribunale, il rapporto tra i due rimedi può essere inteso nel senso che in caso di mancato ottemperamento alle previsioni dell’art. 110 T.U.F. (o di concreta inidoneità delle stesse a ripristinare la situazione pregressa) rimarrà in capo agli altri azionisti un pregiudizio per non aver ricevuto l’offerta pubblica, destinato ad essere riparato con un apposito risarcimento. Pertanto, se le azioni in esubero venissero obbligo previsto dalla legge, cui corrisponde un diritto ad esaminare un’offerta pubblica di acquisto: è interessante a questo proposito il precedente offerto da Trib. Milano, 20 marzo 2000, in Società, 2000, 1357 ss., ove si affermava proprio che “prima della pubblicazione dell’offerta, il singolo azionista può solo fare un legittimo affidamento sul lancio dell’OPA, legittimo in quanto il relativo obbligo discende direttamente dalla legge.” Inoltre, la classica ipotesi di responsabilità precontrattuale per ingiustificata rottura delle trattative presuppone tipicamente l’assenza di un obbligo di contrarre, a fronte della quale viene tuttavia leso l’affidamento riposto da una delle parti nella conclusione dell’affare. Proprio per tale ragione, il danno ritenuto risarcibile è di norma commisurato al c.d. interesse negativo; nell’ipotesi in esame, invece, non ci si trova nel campo della piena libertà negoziale, essendo imposto dalla legge l’obbligo di formulare un’offerta pubblica di acquisto. Critico nei confronti della soluzione proposta dalla Corte è anche CASTRONOVO, Vaga culpa in contrahendo: invalidità responsabilità e la ricerca della chance perduta, in Europa e dir. priv., 2010, 39: “nella specie non viene in questione, infatti, alcuna condotta precontrattuale rilevante ai fini di una responsabilità ex art. 1337”. 10 Così App. Milano, 15 gennaio 2007, cit. La Corte d’Appello ha in gran parte riproposto le argomentazioni già svolte da due precedenti pronunce milanesi rese con riferimento a casi in cui risultava applicabile la previgente disciplina: ci si riferisce a Trib. Milano, 20 marzo 2000, cit., e ad App. Milano, 27 novembre 1998 (a conferma di Trib. Milano, 23 giugno 1997), in Foro it., 1999, 2712 ss., sulle quali v. CARBONETTI, OPA obbligatoria, cit., 636 ss.; MORELLO, op. cit., 410, ove ulteriori riferimenti dottrinali. Un’ulteriore ricostruzione - che appare per la verità infondata - è quella proposta da GUIZZI, op. cit., 258 ss.: secondo l’A., la violazione dell’obbligo di OPA condurrebbe ad una responsabilità di tipo extracontrattuale, in quanto “il comportamento che vi dà attuazione è preordinato ad assolvere una funzione soltanto conservativa di un valore (quello di scambio realizzabile attraverso l’esercizio del generale potere di disporre) che è già attribuito al patrimonio individuale degli azionisti”; ancora, il risarcimento qui “non serve (come accade nelle ipotesi di responsabilità contrattuale) a surrogare un trasferimento di valori programmato da un atto di scambio e non attuato, quanto a ristorare una perdita di valori già appropriati alla sfera individuale altrui”. Tali affermazioni, tuttavia, paiono contenere un’evidente contraddizione in termini, giacché si parla di un valore già acquisito al patrimonio degli azionisti ma si riconosce per altro verso che esso è soltanto “realizzabile”: infatti, esso può essere realizzato proprio (e soltanto) tramite la condotta imposta dalla legge agli obbligati e volta a soddisfare un interesse altrui, come tipicamente accade nell’ambito di un rapporto obbligatorio. In tale ultimo senso anche TUCCI, Obbligo di offerta, cit., 1049: è “più agevole inquadrare la situazione nell’ambito di un rapporto di cooperazione instaurato ex lege e diretto ad accordare agli investitori un’utilità ulteriore, anziché in un contesto normativo volto a delimitare le reciproche sfere di attività, prevedendo il risarcimento per i danni derivanti da una ‘ingerenza’ non consentita.” 11 E per un analogo rilievo in dottrina, v. MORELLO, op. cit., 411; CARBONETTI, OPA obbligatoria, cit., 641; FESTI, op. cit., 489; GAMBARO, op. cit., 773. 138 alienate come il legislatore prevede, dovrebbe in linea di massima risultare eliminato il danno, senza il quale non si dà responsabilità12. Quest’ultimo approccio - accolto (secondo accenti ancor più radicali) anche dalle più recenti decisioni della Corte d’Appello di Milano13 - potrebbe sembrare a prima vista confermato dal nuovo comma 1-bis dell’art. 110 T.U.F., il quale prevede che, “in alternativa all’alienazione di cui al comma 1”, la Consob possa comunque con provvedimento motivato “imporre la promozione dell’offerta totalitaria al prezzo da essa stabilito, anche tenendo conto del prezzo di mercato dei titoli”.14 Parrebbe, in altri termini, che l’alienazione azionaria e l’offerta tardiva siano due meccanismi tra loro (necessariamente) alternativi, parimenti in grado di cancellare il pregiudizio derivato dalla mancata offerta. In realtà, l’idea secondo cui l’alienazione dell’eccedenza rimuova sempre il danno (salva, eventualmente, l’ipotesi in cui ciò non consenta di eliminare la posizione di controllo raggiunta per altra via dai pattisti) non è precisa. Il riferito approccio dà l’impressione, in particolare, di non tenere conto che, a fronte dell’omesso lancio di un’OPA, la lesione sofferta dagli azionisti pretermessi può atteggiarsi in modo differente. A ben guardare, è possibile notare che l’alienazione ex art. 110 T.U.F. potrebbe non essere sempre in grado di rimuovere il pregiudizio originariamente patito dagli azionisti pretermessi: senz’altro non elimina quello derivato dalla (ormai non più rimediabile) avvenuta permanenza in società nel lasso di tempo caratterizzato dall’assenza di adeguata informazione sul nuovo assetto di controllo (si pensi, ad esempio, alla perdita del valore intrinseco del diritto di voto in assemblea esercitato medio tempore)15; ma non elimina nemmeno quello di carattere strettamente 12 In questi termini TUCCI, Tribunale versus Corte d’Appello nel caso Sai Fondiaria: le combat continue, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, 657; ID., La violazione, cit., 129-130. Non pare del tutto corretto dire che in seguito all’osservanza dell’art. 110 T.U.F. risulterebbe eliminato l’illecito, come sostiene invece ROLFI, Quando l’O.P.A., cit., 1002: l’illecito - consistente nella mancata promozione dell’OPA nel momento in cui era sorto l’obbligo - resta fermo, ma possono esserne rimosse le conseguenze tramite il ripristino dello status quo ante. A maggior ragione, una responsabilità dei pattisti dovrebbe sussistere se si ritiene che la scoperta del concerto oltre i dodici mesi prescritti dall’art. 110 T.U.F. per l’alienazione dell’eccedenza impedisca di procedere, appunto, alla dismissione del pacchetto acquisito: è quanto prospettato da MACCHIAVELLO - PERUZZO, Mancato lancio di OPA obbligatoria: il puzzle SAI - Fondiaria alla luce di alcune esperienze europee, in Giur. comm., 2008, I, 918. 13 Cfr. App. Milano, 9 febbraio 2012, n. 463, massimata in Società, 2012, 461, la quale ha ritenuto che in presenza di una dismissione della quota di partecipazione eccedente la soglia rilevante, la pretesa risarcitoria avanzata dai soci inizialmente pretermessi si risolverebbe (sempre) in un arricchimento ingiustificato; negli stessi termini, poco prima, App. Milano, 9 gennaio 2012, n. 27, massimata in Società, 2012, 334. 14 E infatti, come rilevato anche da TUCCI, La violazione, cit., 130, la rimozione del danno si può verificare anche a seguito dell’intervento della Consob che imponga l’offerta tardiva. Risulta dunque non più proponibile la tesi secondo cui “un’OPA tardiva non può essere lanciata, perché colliderebbe con l’obbligo di alienazione”, avanzata prima della novella da CARBONETTI, OPA obbligatoria, cit., 641. La legge, invero, chiarisce ormai che l’OPA tardiva può essere imposta dalla Consob non solo in caso di mancato rispetto delle misure reattive predisposte dall’art. 110 T.U.F., ma anche “in alternativa” all’alienazione delle azioni da questo prevista. 15 E’ probabilmente a questo che si riferiva il Tribunale di Milano nella pronuncia del 17 maggio 2007, n. 6212, allorché individuava il danno patito dagli azionisti pretermessi “nella perdita del valore del diritto di voto, perdita resa definitiva e quindi risarcibile dal consolidamento della posizione di controllo acquisita dall’offerente, nonostante le sanzioni civili previste dall’art. 110 T.U.F.” La sentenza è 139 patrimoniale “da mancato corrispettivo ricevuto”, allorché il valore delle azioni al tempo dell’alienazione ex art. 110 T.U.F. sia inferiore rispetto al prezzo che avrebbe dovuto essere corrisposto in seno all’OPA obbligatoria 16. Proprio in una circostanza di questo tipo la Consob potrebbe ritenere preferibile l’imposizione dell’offerta tardiva, che sarebbe in grado di rimuovere (quantomeno) tale seconda voce di danno.17 Dal momento che il comma 1-bis dell’art. 110 T.U.F. attribuisce all’Autorità un margine di discrezionalità nella scelta del prezzo dell’offerta (nonché la possibilità di tener conto dei valori espressi dal mercato), quest’ultima potrebbe essere imposta con modalità tali da consentire una riparazione della lesione (strettamente patrimoniale) sofferta inizialmente dagli oblati: quella, cioè, derivata dal non aver potuto uscire dalla società per un determinato corrispettivo.18 Uno spunto per analoghe considerazioni è fornito anche dalla recentissima pronuncia della Cassazione che, respingendo la ricostruzione accolta in prima battuta dalla Corte d’Appello di Milano nel caso SAI-Fondiaria, ha evidenziato che l’alienazione azionaria prevista dall’art. 110 T.U.F. potrebbe sì eliminare il pregiudizio sofferto dagli azionisti in seguito al mancato lancio dell’offerta, ma “senza che se ne possa ricavare un’incompatibilità di ordine logico tra la pretesa risarcitoria degli azionisti orbati dell’offerta e l’attuazione delle misure previste dal massimata in Giur. comm., 2008, II, 464, e pubblicata in Società, 2008, 205 ss., con nota di RIZZINI BISINELLI, Violazione dell’obbligo di Opa totalitaria e risarcimento del danno in favore dei soci di minoranza, ibidem, 208 ss. Analog., in dottrina, CARIELLO, Tutela delle minoranze, cit., 732, il quale osservava: “è evidente che un potere di controllo gestito nell’ombra, inaccessibile alla conoscenza di chi non vi partecipa precluderebbe al singolo azionista e alle minoranze organizzate di essere messi nelle condizioni di valutare aspettative e prospettive della propria permanenza nella società”; ancora: “la minoranza ‘qualificata’ che aspira a divenire titolare del controllo in sostituzione o assieme a chi lo detiene, potrebbe risultare illegittimamente ostacolata nella conoscenza del proprio concorrente e delle modalità dal medesimo utilizzate per esercitare il controllo, con conseguenze negative per la predisposizione di strategie adeguate allo scopo da essa perseguito”. 16 E’ vero, infatti, che l’alienazione dell’eccedenza dovrebbe consentire di ripristinare lo status quo ante con riferimento agli assetti proprietari e di controllo dell’emittente, ma in termini patrimoniali il risultato complessivo per gli azionisti orbati dell’offerta sarebbe (non già nullo, bensì) negativo, qualora essi si ritrovino ad avere in portafoglio azioni con un valore inferiore al corrispettivo che avrebbero dovuto (e potuto) ricevere in sede di offerta pubblica. In presenza di una simile eventualità, la voce di danno risarcibile può senz’altro coincidere con il parametro generale di riferimento già indicato nel testo, dato dalla differenza tra il prezzo che avrebbe dovuto essere pagato in seguito all’offerta e il valore che le azioni avevano sul mercato al tempo dell’inadempimento. Peraltro, in caso di successivi ribassi dei titoli rispetto a tale ultima soglia (che siano stati, naturalmente, conservati dagli azionisti pretermessi), non sembra potersi negare la risarcibilità anche di tale ulteriore voce di danno: si tratterebbe, però, di un danno non ricollegabile tanto alla mancata OPA, quanto piuttosto alla decisione di rimanere in società, a sua volta influenzata dalla non conoscenza dell’avvenuto mutamento dell’assetto di controllo. Un danno, in altri termini, che non si sarebbe prodotto se, a fronte di una corretta disclosure, gli azionisti avessero deciso di cedere le proprie partecipazioni: ferma la necessità che costoro forniscano tale prova (la prova, cioè, del nesso causale), si può dunque osservare che tale danno è propriamente il risultato di un’omessa informazione e tale responsabilità avrà, pertanto (come si vedrà infra, § 7), natura extracontrattuale. 17 E per un’impostazione analoga v. Delibera Consob 23 dicembre 2011 n. 18049, riportata in parte in Società, 2012, 229, la quale nel caso in questione aveva ritenuto di imporre l’OPA ai sensi dell’art. 110, comma 1-bis, T.U.F. rilevando che il prezzo deve esprimere “un valore credibile, ossia un prezzo realmente pagato o che in base a dati oggettivi avrebbe potuto effettivamente essere pagato”; come si è scritto, una delle ragioni della scelta della Consob nel caso di specie è probabilmente da ravvisarsi nel fatto che l’OPA “avrebbe consentito al mercato di far beneficiare del premio implicito nel prezzo imposto rispetto al valore di mercato del titolo”: così il commento di VENTURINI, Osservatorio Consob, ibidem, 230. 18 Sul punto anche GUIDOTTI, op. cit., 247. 140 menzionato art. 110”.19 Si può rilevare che l’alienazione dell’eccedenza contemplata da tale norma fungerà verosimilmente da strumento di rimozione del danno derivato dalla mancata percezione del corrispettivo d’OPA soltanto nel caso in cui, al momento di detta alienazione, il valore di mercato dei titoli corrisponda (o sia addirittura superiore) proprio al corrispettivo che avrebbe dovuto essere originariamente riconosciuto con l’OPA e, in pari tempo, gli azionisti conservino una concreta possibilità di uscita dalla società attraverso le contrattazioni borsistiche. In mancanza di ottemperamento all’obbligo di alienazione, potrà senz’altro venire in gioco (ed essere impiegato) lo strumento dell’offerta coattiva su disposizione dell’Autorità. Dunque, l’offerta tardiva imposta dalla Consob potrebbe rappresentare un efficiente salvacondotto per gli stessi azionisti pretermessi al fine di veder soddisfatte le loro pretese evitando la promozione di un giudizio ordinario volto ad ottenere tutela 20; fermo restando, naturalmente, che l’azione giudiziale rimarrà l’unica soluzione possibile allorché gli obbligati non adempiano nemmeno alle prescrizioni dell’Autorità, ovvero nell’ipotesi in cui residui una voce di danno nonostante la tardiva promozione dell’offerta.21 19 Così Cass. 10 agosto 2012, n. 14400, pag. 24, consultata integralmente, al momento della chiusura del presente lavoro, in www.ilsole24ore.com. Come ha osservato ROMAGNOLI, Responsabilità, cit., 438439, del resto, “la realizzazione di quanto auspicato [dall’art. 110 T.U.F, n.d.r.] non integra l’oblando di quel guadagno che avrebbe potuto conseguire se l’obbligo primario fosse stato tempestivamente rispettato”. 20 Non è affatto da escludere, tra l’altro, che il prezzo d’offerta imposto dalla Consob possa essere stabilito in modo tale da consentire il ristoro di tutte le voci di danno di cui si è detto. 21 Infatti, non manca chi ha fatto notare che “l’offerta tardiva lascia impregiudicato il danno subito dagli investitori che hanno venduto le azioni prima dell’intervento della Consob e va a beneficio, invece, di coloro che si trovino per ventura a essere azionisti della società al momento dell’intervento dell’autorità pubblica (che può essere anche molto tardivo)”: in questi termini GIUDICI, La responsabilità civile nel diritto dei mercati finanziari, Milano, 2008, 312. La dinamicità del mercato finanziario fa sì che i destinatari dell’offerta tardiva possano essere soggetti diversi da quelli che avrebbero dovuto originariamente riceverla e proprio questa ipotesi (che sarà, peraltro, tutt’altro che infrequente) dimostra come il danno originariamente causato dalla mancata OPA non sempre possa essere rimosso dalla sua successiva (o meglio: tardiva) promozione: cfr. in proposito anche GUIDOTTI, op. cit., 247. E’ vero che i precedenti azionisti hanno trovato una via d’uscita dalla società, ma avrebbero avuto (e conservano) il diritto di pretendere il “prezzo d’OPA”, ove l’alienazione sia avvenuta per un corrispettivo inferiore (v. anche infra nel testo). E’ probabilmente soltanto in quest’altro caso che può continuare a riconoscersi uno spazio al risarcimento del danno e non, come taluno ha sostenuto, in ogni ipotesi in cui sia stata comunque alienata l’eccedenza (cfr. DESANA, Tribunale versus Corte d’Appello, cit., 602; GATTI, op. cit., 791-792, in base all’argomento che la disciplina dell’OPA tuteli due interessi distinti, facenti capo agli investitori da un lato e al mercato dall’altro). In tale ultimo senso si è peraltro orientato lo stesso Tribunale di Milano nelle più recenti pronunce sul tema: v. Trib. Milano, 7-9 giugno 2007, pubblicata in Giur. comm., 2008, II, 464 ss. con nota di CACCHI PESSANI, Violazione dell’obbligo di OPA e risarcimento del danno, ibidem, 496 ss.; e in Corr. giur., 2007, 1573 ss., con nota di ROLFI, Ancora sull’o.p.a., cit., 1594 ss.; Trib. Milano, 15 marzo 2010, in Società, 2010, 771-772. Nella pronuncia del 2007, il Tribunale ha affermato che l’alienazione dell’eccedenza non eliminerebbe la “perdita di un’opportunità di guadagno collegata al diritto di put” riconosciuto agli azionisti. V. però quanto affermato da ROLFI, Ancora sull’o.p.a., cit., 1599: “viene spontaneo obiettare, tuttavia, che, in tal modo, l’O.P.A. cessa di tutelare semplicemente ‘il risparmio’ ed il valore dell’investimento del singolo azionista - come prima pure aveva argomentato lo stesso Tribunale - e finisce per tutelare una vera e propria aspettativa di lucro (il plusvalore derivante dalla cessione a prezzo di O.P.A.) che, non ci si può esimere dall’osservare, forse tutela non tanto il risparmiatore, quanto lo speculatore”. Del resto, come si è osservato nel testo, non si può escludere a priori che l’alienazione dell’eccedenza risulti in concreto in grado di rimuovere la perdita collegata all’opportunità di guadagno non concessa tempestivamente (è il caso, lo si ribadisce, in cui il valore di mercato dei titoli sia in linea con il corrispettivo che avrebbe 141 Tornando alle argomentazioni espresse dalla Corte d’Appello di Milano, un ulteriore asse portante del ragionamento sviluppato nella sentenza era il seguente: dal momento che l’obbligo di promuovere l’offerta pubblica sarebbe in ultima analisi incoercibile (non potendo operare il rimedio di cui all’art. 2932 c.c.), non si potrebbe ravvisare una (vera e propria) obbligazione a contrarre.22 Tale asserto non convince per almeno due ragioni: (i) in primis, la Corte parla di “obbligo a contrarre”, dando l’impressione di dimenticare che l’oggetto dell’obbligazione imposta dalla legge è la promozione dell’offerta (ossia: la formulazione di una proposta contrattuale secondo un determinato procedimento) e non già la stipulazione del contratto di compravendita delle azioni, rimanendo del resto gli altri soci liberi di accettare o meno l’offerta stessa23; come si è osservato, “la non attualità della pretesa di trasferire le azioni dietro pagamento del corrispettivo non esclude, di per sé, l’esistenza della pretesa a ricevere una proposta irrevocabile diretta alla (eventuale) conclusione del contratto di compravendita”24; (ii) inoltre, è evidentemente scorretta l’affermazione secondo cui l’esistenza di un’obbligazione dipende dalla sua eseguibilità in forma specifica, giacché è noto che a fronte di un obbligo di facere infungibile (e, dunque, incoercibile), in caso di inadempimento rimarrà pur sempre percorribile la via del risarcimento per equivalente.25 Un terzo argomento dei giudici di seconda istanza era rappresentato dal rilievo che “dalla legge possono anche sorgere obblighi qualificabili come extracontrattuali, o doveri o obblighi di natura generale e pubblicistica”. Tale osservazione generale può essere in sé vera, ma evidenzia il vizio di fondo da cui è percorsa l’intera argomentazione della Corte: essa insiste più volte sull’inesistenza di un obbligo contrattuale (ossia, prima ancora, di un contratto)26 e attorno a questo punto focale dovuto essere riconosciuto in sede di offerta e, in pari tempo, gli azionisti conservino la concreta possibilità di alienare in borsa le proprie partecipazioni). 22 In questo senso, espressamente, anche C. MARICONDA, OPA obbligatoria e situazioni soggettive: il contrasto tra il Tribunale e la Corte d’Appello di Milano, in Vita not., 2007, 972. Sulla non operatività della tutela ex art. 2392 c.c. non sembrano esservi dubbi (in dottrina, per tutti, ROMAGNOLI, Responsabilità, cit., 437; MORELLO, op. cit., 411; ma per una prospettazione timidamente contraria v. DE GIOIA-CARABELLESE, op. cit., 1147-1148) e in tal senso si è in seguito espresso anche il Trib. Milano, 29 maggio 2008, pur non condividendo la soluzione generale offerta dalla Corte d’Appello. Due sono gli argomenti sviluppati dal Tribunale a sostegno di tale conclusione: (i) da un lato, il rimedio sarebbe in contrasto con l’obbligo di alienazione delle azioni di cui all’art. 110 T.U.F.; (ii), dall’altro, si è più efficacemente osservato che la prestazione consistente nel lancio di un’offerta pubblica assume, in ragione dei vari passaggi procedimentali in cui essa si articola, un grado di complessità tale da renderla incoercibile. 23 Se ne avvedono MORELLO, op. cit., 411; CACCHI PESSANI, op. cit., 504 ss. Nel medesimo equivoco di cui è vittima la Corte cade, invece, MARICONDA, op. cit., 974, la quale (erroneamente) afferma che “la responsabilità contrattuale presuppone l’inadempimento di un’obbligazione a contrarre”. Anche se la stipulazione del contratto di cessione delle azioni rappresenta un esito eventuale, ciò non autorizza a trascurare (come la Corte d’Appello ha fatto) che il procedimento di offerta “è imposto dalla legge (art. 106 t.u.f.); non costituisce il frutto di una scelta di autonomia privata”: con queste parole TUCCI, Tribunale versus Corte d’Appello, cit., 655. 24 Così, efficacemente, TUCCI, Obbligo di offerta, cit., 1035. 25 Così anche CASTRONOVO, Vaga culpa, cit., 40; TUCCI, Obbligo di offerta, cit., 1024; ID., La violazione, cit., 70; DESANA, Tribunale versus Corte d’Appello, cit., 603. 26 Tale fraintendimento è messo in luce anche da TUCCI, Obbligo di offerta, cit., 1027; ID., La violazione, cit., 74 e 76, ove si osserva che l’obbligo di offerta “sorge al verificarsi della fattispecie descritta dalla norma di legge, non certo per effetto della pubblicazione del documento di offerta”; ancora, 142 costruisce la motivazione, senza avvedersi che un’obbligazione non nasce necessariamente da un contratto, ben potendo, secondo il noto disposto dell’art. 1173 c.c., derivare anche dalla legge, senza che per questa ragione si possa escludere la tutela di tipo contrattuale che spetta ad ogni creditore di una prestazione in caso di inadempimento del debitore.27 E’ probabile che la Corte sia caduta nell’equivoco determinato dal fatto che con il sintagma “responsabilità contrattuale” si indica comunemente la responsabilità da inadempimento di un’obbligazione regolata dall’art. 1218 c.c., quale che sia la fonte della medesima (e non solo, ovviamente, la responsabilità per inadempimento di un’obbligazione nascente effettivamente da un contratto).28 Inoltre, appare fuorviante il ricorso alla categoria della responsabilità precontrattuale, atteso che a fronte dell’inadempimento dell’obbligo di lanciare l’OPA non si assiste - per definizione - ad alcuna trattativa.29 Si è detto che uno dei punti cardine della prima sentenza del Tribunale di Milano era rappresentato dall’affermazione della sussistenza di una responsabilità risarcitoria dei pattisti (soltanto) quando la mancata dismissione del pacchetto azionario rilevante o la concreta inidoneità della cessione ad eliminare gli effetti prodottisi sul controllo societario fanno sì che permanga un danno in capo agli azionisti estranei (i quali avrebbero dovuto ricevere un’offerta pubblica totalitaria).30 Alcuni autori, che hanno “non può ritenersi decisivo il richiamo all’assenza di un diritto alla prestazione derivante dal contratto, poiché anche la futura stipulazione di un contratto può costituire oggetto di un’obbligazione derivante da un atto di autonomia negoziale ovvero da una disposizione di legge” (ibidem, 82). Come rileva ROMAGNOLI, Responsabilità, cit., 436, si dovrebbe parlare di obbligo “previsto quale conseguenza d’un fatto predeterminato dalla legge”; analog. COSTI-ENRIQUES, op. cit., 169. In ogni caso, la soluzione circa la natura contrattuale della responsabilità e la misura del danno risarcibile non muta anche accogliendo l’impostazione del Tribunale di Milano (pronuncia del 9 giugno 2005), che ha preferito parlare di obbligo contrattuale nascente dalla legge, la quale determinerebbe appunto un’integrazione del regolamento negoziale a mente dell’art. 1374 c.c.: così anche CACCHI PESSANI, op. cit., 511. Peraltro, solo con la successiva pronuncia del 9 giugno 2007, il Tribunale di Milano - continuando a richiamare l’art. 1374 c.c. - ha fatto espresso riferimento ad un diritto soggettivo degli azionisti al lancio dell’OPA, addirittura parlando di un “diritto di put”: sul punto MARICONDA, op. cit., 957 ss. E’ dubbio però che la situazione soggettiva nascente in capo agli azionisti possa configurarsi come diritto di put: sotto questo profilo, non può escludersi a priori, lo si ribadisce, che l’applicazione delle misure reattive di cui all’art. 110 T.U.F. elimini i presupposti dell’OPA obbligatoria nonché il danno inizialmente patito dagli azionisti. Contraria all’idea che possa ravvisarsi in capo agli azionisti un diritto di put anche MOSCA, Acquisti di concerto, cit., 1330. 27 In tal senso anche Trib. Milano, 17 maggio 2007, cit. Anche ROLFI, Quando l’O.P.A., cit., 1000, osserva che pochi dubbi dovrebbero esservi sulla “riconducibilità dell’O.P.A. obbligatoria nell’ambito delle obbligazioni ex art. 1173 c.c. [...] originando un corrispondente diritto di credito degli altri azionisti a ricevere l’offerta”; conf. MERUZZI, Responsabilità, cit., 2601, critico nei confronti della soluzione proposta dalla Corte milanese. Nel fraintendimento di cui si è detto è incorso anche GAMBARO, op. cit., 771, il quale opina che “occorre fondare il diritto all’opa su un contratto”. D’altra parte, si noti, la Corte non discute che si tratti di un vero e proprio obbligo e non già di un semplice onere. 28 Si deve osservare, infatti, che “la responsabilità c.d. contrattuale è tale, qualunque [...] sia la fonte del rapporto, il contratto o la legge”: così CASTRONOVO, Vaga culpa, cit., 2. Sul punto anche MERUZZI, Responsabilità, cit., 2600; TUCCI, La violazione, cit., 82, nt. 78, ove ulteriori riferimenti con riguardo al principio, ormai ricevuto, secondo cui la responsabilità contrattuale non deriva necessariamente dall’inadempimento “di un’obbligazione di fonte contrattuale”. 29 Di nuovo MERUZZI, Responsabilità, cit., 2603; F. FERRO-LUZZI, op. cit., 210; DESANA, Tribunale versus Corte d’Appello, cit., 604. Cfr. inoltre Cass. n. 14400/2012, cit., 26 ss. 30 Così anche Trib. Milano, 17 maggio 2007, cit. Parzialmente concorde MARICONDA, op. cit., 974, la quale tuttavia si esprime in termini di responsabilità extracontrattuale, ritenendo che in caso di ottemperanza alle prescrizioni dell’art. 110 T.U.F. verrebbe meno il danno di cui all’art. 2043 c.c. 143 contestato questo passaggio, hanno ritenuto che la sterilizzazione dei diritti di voto relativi alle azioni dei pattisti (ossia la seconda misura reattiva contemplata dall’art. 110 T.U.F.) valga in ogni caso a rimuovere il danno, perché impedirebbe il concreto esercizio del controllo.31 La tesi in parola, però, appare debole. Innanzitutto, seguendo tale ragionamento la dismissione del pacchetto azionario rilevante ai sensi dell’art. 110 T.U.F. perderebbe paradossalmente significato, proprio perché dovrebbe bastare l’inibizione dei diritti di voto ad impedire l’esercizio del controllo. In secondo luogo, l’aggregazione di più azionisti in un gruppo (rectius: concerto) che arrivi a detenere una partecipazione superiore al 30% non pone soltanto un problema di esercizio del controllo (il quale, tra l’altro, potrebbe anche non essere concretamente garantito da tale soglia), ma anche di riduzione del flottante: se i concertisti non intendono alienare l’eccedenza nei termini prescritti dalla legge, si determinerà evidentemente una maggiore difficoltà nel raggiungere percentuali di partecipazione equivalenti o più ampie. La tesi riportata, infine, non tiene conto della già evidenziata circostanza che, proprio in presenza di un patto parasociale occulto (poi svelato) che abbia condotto al superamento della soglia rilevante, vi sarà senz’altro un intervallo di tempo (sino alla scoperta dell’accordo, appunto) in cui il controllo verrà di fatto esercitato, non potendo ancora essere applicate, naturalmente, le relative sanzioni: è probabile che proprio con riferimento a tale periodo gli altri azionisti lamentino un danno, perché in tale frangente avrebbe dovuto essere promossa l’offerta e, di riflesso, avrebbe dovuto essere concessa loro la possibilità di valutare un eventuale disinvestimento dalla società a fronte della sostituzione del gruppo di controllo. Il pregiudizio in parola, come si è accennato e come si dirà meglio tra breve, non potrà essere rimosso dalla (tardiva) dismissione del pacchetto di controllo32 e, pertanto, dovrà senz’altro essere risarcito. Il fatto che il problema delle conseguenze della mancata OPA si ponga eminentemente con riferimento a casi di avvenuta conclusione di patti occulti sembra stranamente sfuggire alla quasi totalità degli autori che si sono occupati del problema (ed in particolare ai fautori della tesi testé criticata), sebbene la vicenda che ha portato alla riferita contesa giurisprudenziale avesse ad oggetto proprio le conseguenze derivanti dalla scoperta di un patto occulto “di controllo”: come taluno ha osservato, del resto, “appare difficile che un azionista si ponga apertamente nelle condizioni di dover lanciare l’o.p.a. e non vi ottemperi”33. Inoltre, è stato contestato l’assunto del Tribunale secondo cui la responsabilità può sorgere qualora, nonostante l’alienazione delle azioni in eccedenza, si giunga ad ottenere il controllo per altra via: si è detto infatti che, “se il controllo sulla società 31 V. POLIANI, op. cit., 1106; MOSCA, Acquisti di concerto, cit., 1329; MORELLO, op. cit., 412; CARBONETTI, OPA obbligatoria, cit., 640; FESTI, op. cit., 493 e 495; F. FERRO-LUZZI, op. cit., 212213, il quale ritiene addirittura che il risarcimento del danno potrebbe essere riconosciuto soltanto in caso di effettivo lancio dell’OPA che sia avvenuto ad un prezzo inferiore rispetto a quello pagato ad alcuni azionisti. 32 Un’analoga questione è stata posta dallo stesso Tribunale di Milano nella successiva pronuncia del 9 giugno 2007, cit.: si osservava infatti che, “visto il lungo tempo concesso (un anno) per ottemperare all’obbligo di vendere a chi ha violato la disciplina, una serie di conseguenze sul mercato del titolo saranno inevitabilmente cristallizzate”. Sul punto, in dottrina, FESTI, op. cit., 490. V. anche il già riportato passo di CARIELLO, Tutela delle minoranze, cit., 732. 33 FESTI, op. cit., 487. 144 obiettivo permane, esso non deriva da quelle azioni”34. Ma negare una responsabilità risarcitoria in tali casi significa aprire la strada ad elusioni della disciplina dell’OPA obbligatoria.35 Risulta dunque più corretto affermare, in base a quanto precede, la natura contrattuale della responsabilità da mancata OPA36, dovendosi ravvisare l’esistenza di un vero e proprio obbligo, sebbene di fonte legislativa, di promuovere l’offerta, con conseguente attribuzione ai restanti azionisti di un vero e proprio diritto soggettivo a riceverla.37 Tale natura della responsabilità de qua è stata confermata dal Tribunale di Milano anche con le più recenti sentenze del 7-9 giugno 200738, del 29 maggio 200839 e del 15 marzo 201040, nonché dalla recentissima (già citata) sentenza della Cassazione del 12 agosto 2012.41 Il danno risarcibile, pertanto, coinciderà con il c.d. interesse positivo, dato, come si è già osservato, dalla differenza fra il prezzo per il quale le azioni avrebbero dovuto essere trasferite in sede di offerta pubblica e il valore che esse avevano sul mercato al momento dell’insorgenza dei presupposti dell’obbligo stesso 42: si tratterà, in buona 34 Così MORELLO, op. cit., 412; conf. CARBONETTI, OPA obbligatoria, cit., 640. In realtà, come bene è stato messo in luce, nella vicenda in questione la situazione che aveva condotto comunque all’acquisto del controllo (ossia la fusione) era stata raggiunta anche senza il voto determinante dei mancati offerenti; nondimeno, gli azionisti pregiudicati potrebbero pur sempre lamentare la circostanza che, ove avessero conosciuto il reale assetto proprietario determinatosi, avrebbero esercitato il loro voto in maniera diversa: in questi termini GATTI, op. cit., 794-795, il quale però prospetta per tale ipotesi una responsabilità non tanto da mancata OPA quanto per commissione di un illecito informativo. 35 Come osserva ROLFI, Quando l’O.P.A., cit., 998-999, questo è l’esito cui condurrebbe la limitazione dei rimedi applicabili a quelli previsti dal solo art. 110 T.U.F. 36 Per tale conclusione si vedano anche DE GIOIA-CARABELLESE, op. cit., 1144. 37 E’ quindi fuorviante parlare di “obbligo a contrarre” per poi escluderne la sussistenza, sul presupposto che esso non avrebbe un contenuto “interamente predeterminato”: così MARICONDA, op. cit., 971-972; l’obbligo di cui si discute, giova ripeterlo, è infatti propriamente quello di formulare un’offerta pubblica secondo il procedimento stabilito dalla legge. 38 In tale pronuncia, come si è detto, il Tribunale ha parlato di un “diritto di put” che sorgerebbe in capo agli azionisti al verificarsi di tutti i presupposti dell’OPA obbligatoria. Sembra però più convincente l’impostazione di chi ha notato che la posizione soggettiva dei potenziali destinatari dell’offerta non può risolversi in un’opzione di vendita, perché ciò che l’ordinamento vuole garantire attraverso l’imposizione dell’obbligo di offerta non è puramente e semplicemente “la realizzazione immediata del valore di scambio del titolo”, bensì (prima ancora) la possibilità di valutare se mantenere o meno l’investimento in società sulla base delle informazioni fornite dagli obbligati: proprio in ciò consisterebbe la pretesa nascente in capo agli azionisti (così TUCCI, La violazione, cit., 101 ss., a 102 il virgolettato). 39 Su tale pronuncia v. il commento di TUCCI, Tribunale versus Corte d’Appello, cit., 652 ss. Il Tribunale ha in tale occasione precisato che gli azionisti “non fanno valere il ‘diritto a vendere’ comunque le loro azioni, ma il diritto ad ottenere ristoro del danno consistente nella diminuzione patrimoniale rappresentata dalla perdita di un’occasione di disinvestimento”. 40 Massimata in Società, 2010, 771 ss. Anche in tale occasione il Tribunale ha definito la posizione degli azionisti in termini (di dubbia condivisibilità) di “diritto di put”; per il resto, ha ribadito la propria posizione, dando anzi l’impressione di recepire il rilievo di quanti avevano criticato l’argomentazione a supporto della prima pronuncia per il suo oscillare tra l’affermazione della responsabilità contrattuale e i riferimenti alla responsabilità aquiliana: per tutti, GATTI, op. cit., 783. 41 Cass. n. 14400/2012, cit., 26 ss. 42 A questo tipo di danno possono aggiungersi, come si è spiegato e come si ripeterà, quello derivato dalla permanenza nella società in assenza di informazione circa l’avvenuto mutamento dell’assetto di controllo, nonché, eventualmente, quello consistente nell’ulteriore ribasso dei titoli rispetto al valore di mercato che essi avevano al momento dell’inadempimento: una voce di danno, quest’ultima, che come si è detto pare però più corretto ascrivere ad una responsabilità da omessa informazione e, dunque, ad un illecito di natura extracontrattuale (cfr. anche infra, § 7). 145 sostanza, di un danno da lucro cessante43. La legittimazione ad agire spetterà tanto ai soci che abbiano conservato le rispettive azioni, quanto a quelli che le abbiano alienate, in seguito al verificarsi dei presupposti dell’obbligo di offerta, per un corrispettivo inferiore a quello che avrebbero dovuto ottenere nell’ambito di questa.44 In proposito, è tuttavia da riferire la tesi di chi ritiene che la posizione di queste due categorie di azionisti vada in linea di massima differenziata e che, più a monte, il danno risarcibile non coincida necessariamente con il valore di cui si è detto, dovendosi procedere “a un’analisi caso per caso”.45 Il sostenitore di tale opinione argomenta in particolare che la misura del risarcimento pari alla differenza tra il prezzo di cui all’art. 106 T.U.F. e il valore di mercato dei titoli al momento dell’insorgenza dell’obbligo 43 Il Tribunale di Milano, nella sua ultima pronuncia del 15 marzo 2010, l’ha però definito “danno emergente per perdita di opportunità”; si tratterebbe, come il Tribunale aveva già sostenuto nella pronuncia del 9 giugno 2007 coerentemente all’affermazione dell’esistenza di un diritto di put, dell’opportunità “di cedere le azioni ad un certo prezzo”, cosicché il risarcimento deve essere “equivalente al costo che sul mercato quell’opzione avrebbe avuto, ed è quindi pari alla differenza tra il prezzo d’esercizio del diritto ed il valore del titolo sul mercato”. Conf., in dottrina, GATTI, op. cit., 785. Sebbene in uno scenario differente, può essere utile osservare che le Corti americane hanno affermato, tra i possibili rimedi a disposizione del danneggiato da una negoziazione avvenuta in assenza di una corretta disclosure, il c.d. “benefit of the bargain”, sostanzialmente coincidente con la risarcibilità del mancato guadagno che sarebbe derivato da un’esatta e completa informazione e che il soggetto pregiudicato aveva motivo di attenendersi con ragionevole certezza: in particolare, esso “is generally understood as the difference between the represented value of the security purchased or sold and the fair value of the security on the date of the trade”: con queste parole KAUFMAN, No Foul, no Harm: the Real Measure of Damages under Rule 10b-5, in Catholic University Law Review, 1989, 29 ss. Nelle Corti, v. ad es. DCD Programs, Ltd. v. Leighton, 90 F.rd 1442, 1449 (9th Cir. 1996); e soprattutto, per l’applicabilità del rimedio nei casi di tender offer misprepresentations (mancata informazione circa un’imminente offerta pubblica), Osovsky v. Zipf, 645 F.2d 107, 114 (2d. Cir. 1981), ove si stabilì anche che lo strumento può essere però applicato soltanto a fronte di una ragionevole certezza dell’ammontare del danno (giacché esso potrebbe prestarsi a manovre di tipo speculativo); nonché più di recente, McMahan & Co. v. Wherehouse Entm’t Inc., 65 F.3d 1044, 1049 (2d Cir. 1995): “we held that benefit-of-the-bargain damages, under Rule 10b-5, were particularly appropriate in the context of tender offers”. Ma il punto non è pacifico e l’utilizzabilità del rimedio è stata negata da un altro filone giurisprudenziale: v. ad es. Astor Chauffered Limousine Co. v. Rumfield Inv. Corp., 910 F.2d 1540, 1551-1552 (7h Cir. 1990). Sulla natura di questa misura, v. in particolare WANG, Measuring Insider Trading Damages for a Private Plaintiff, in UC Davis Business Law Journal, 2009, v. 10, 27 ss., per il rilievo che il rimedio è in qualche modo speculare alla c.d. out-of-pocket-measure, di cui si dirà oltre; LOWENFELS - BROMBERG, Compensatory Damages in Rule 10b-5 Actions: Pragmatic Justice or Chaos?, in Seton Hall Law Review, 2000, v. 30, 1096 ss.; meno recentemente, LEE, The Measure of Damages Under Section 10(b) and Rule 10b-5, in Maryland Law Review, 1987, v. 46, 1274 ss. E v., nella giurisprudenza, Janigan v. Taylor, 344 F.2d 871, 786-787 (1st Cir. 1965). 44 Esula invece dalla presente indagine il problema del risarcimento “a quegli investitori che abbiano acquistato i titoli facendo affidamento su un futuro lancio dell’OPA e che li abbiano rivenduti a prezzo inferiore subendo, in conseguenza di ciò, una perdita determinata dall’abbassamento del prezzo dopo il mancato lancio nei termini ed eventualmente alla vendita forzosa dei titoli ex art. 110 Tuf”: così GAETA, Sub art. 110, in Commentario all’offerta pubblica di acquisto, a cura di G. Fauceglia, Torino, 2010, 212213. E’ evidente, infatti, che l’affidamento sul lancio dell’OPA è ipotesi diversa dalla mancata conoscenza di un patto parasociale rilevante intervenuto tra azionisti che abbiano determinato il verificarsi dei presupposti dell’obbligo di offerta. 45 TUCCI, La violazione, cit., 128-129 (ove il virgolettato); nonché Cass. 14400/2012, cit., 29 ss., in base all’argomento che “un conto è la possibilità di stipulare un contratto altro conto è l’averlo effettivamente stipulato”. Quest’ultima osservazione non riesce però ad essere del tutto convincente, perché sembra confondere il profilo della prova dell’esistenza del danno e del nesso casuale con quello della sua quantificazione: non vi è dubbio che spetta a coloro che si proclamano danneggiati provare che, a fronte di un’offerta pubblica, vi avrebbero effettivamente aderito; una volta fornita tale prova, tuttavia, come si dirà anche oltre nel testo, risulta difficile discostarsi dal parametro di riferimento indicato per la liquidazione del danno risarcibile. 146 vada di pari passo con l’idea (a suo avviso discutibile) secondo cui la ragion d’essere dell’OPA obbligatoria risieda (soltanto) nel riconoscimento del premio di controllo a tutti gli azionisti, anziché (come dovrebbe essere più corretto dire) nella tutela dell’interesse a valutare l’opportunità di disinvestire o meno, alienando le partecipazioni detenute nella società.46 In effetti, nel prendere compiutamente in esame il problema del quantum risarcibile, non si può non fare riferimento al tema dell’autentica ragion d’essere del meccanismo dell’OPA obbligatoria e degli interessi che esso intende soddisfare. A questo riguardo, si possono delineare essenzialmente due impostazioni. Da una parte, quella che ritiene che la ratio dell’istituto risieda unicamente nel riconoscere a tutti gli azionisti il diritto di alienare i propri titoli a chi abbia raggiunto la soglia del 30%, per un corrispettivo pari al più alto prezzo pagato (rispetto al valore di mercato delle azioni) da coloro che hanno acquisito la partecipazione rilevante. Questa prima spiegazione, accolta espressamente dall’ultima giurisprudenza della Cassazione47, appare però parziale: come si è ampiamente illustrato nel capitolo precedente, sono numerosi gli indici normativi e sistematici dai quali è possibile ricavare che l’obbligo di lancio dell’offerta pubblica riposi sull’avvenuto mutamento (effettivo, per di più) degli assetti di controllo della società. Se questo presupposto è imprescindibile, occorre semmai domandarsi se sia altresì sufficiente: l’obbligo di offerta - ci si deve chiedere - sussiste semplicemente in forza dell’avvenuta sostituzione della compagine di controllo oppure è necessario (anche) che sia stato corrisposto un prezzo maggiore del valore di mercato delle azioni al fine di arrivare a detenere una partecipazione superiore al 30%? La medesima decisione della Suprema Corte ha sostenuto che “ove non vi sia stata alcuna remunerazione del prezzo di controllo da parte dell’acquirente, com’è evidente, il promuovimento di un’offerta pubblica di acquisto non avrebbe alcun significato, perché il prezzo d’offerta non sarebbe superiore a quello corrente di mercato, ed a quel prezzo gli azionisti di minoranza potrebbero comunque già vendere le loro azioni in borsa”. Tale asserto disvela però una posizione particolarmente radicale e difficilmente condivisibile, in quanto risulta priva di un solido fondamento normativo e trascura l’eventualità che proprio in seguito alla scoperta del mutamento del controllo il trasferimento delle azioni (anche in borsa) risulti maggiormente difficoltoso o meno remunerativo48; inoltre, esso finisce per attribuire erroneamente alla “regola del prezzo più alto” il rango di presupposto dell’obbligo di offerta anziché - come risulta, invece, dal dato legislativo (cfr. art. 106, commi 1 e 2, T.U.F.) - il ruolo di (semplice) valore di riferimento per la determinazione del prezzo d’OPA. Nulla impedisce, dunque, che l’offerta debba essere promossa per ottenere azioni al prezzo di mercato, se a questo era commisurato il corrispettivo precedentemente pagato per il raggiungimento della soglia rilevante. Del resto, è bene ribadire che non può passare inosservato l’interesse alla 46 Cass. n. 14400/2012, cit., ha in proposito affermato a chiare lettere che la ratio dell’OPA obbligatoria deve essere individuata (unicamente) nel riconoscimento a tutti gli azionisti del diritto di beneficiare del prezzo più alto pagato per il raggiungimento delle soglie rilevanti (ibidem, 16 e 25). 47 Cfr. di nuovo Cass. n. 14400/2012, cit., 25. 48 Il risarcimento del danno che potrebbe, in tal modo, manifestarsi in seguito, risulterebbe però irragionevolmente precluso se si negasse, a monte, l’esistenza stessa dell’obbligo di OPA nelle ipotesi in cui il prezzo più alto pagato per gli acquisti coincida con quello di mercato. 147 piena trasparenza degli assetti di controllo, del quale - in presenza della stipula di un patto (occulto) tra soggetti che vengono a detenere il 30% del capitale - gli altri azionisti sono portatori. Dunque, è possibile affermare che l’istituto dell’OPA obbligatoria tuteli sia l’interesse ad uscire dalla società in un dato momento (in seguito, cioè, al mutamento del gruppo di controllo), sia quello ad ottenere un determinato corrispettivo per la cessione delle azioni all’offerente (superiore o anche pari al prezzo di mercato). Tale constatazione consente a questo punto di tirare le conclusioni in ordine alla problematica dell’esatta individuazione del danno (da mancata OPA) risarcibile. Come si è visto, il primo di questi due interessi risulterà definitivamente frustrato in seguito alla mancata tempestiva promozione dell’OPA e, pertanto, sarà senz’altro meritevole di essere ristorato per il tramite di un risarcimento liquidato equitativamente (o, comunque, sulla base del pregiudizio - debitamente provato concretamente determinato dalla permanenza in società in seguito all’insorgenza dei presupposti dell’obbligo di offerta). Tale pretesa risarcitoria sarà avanzata da quei soci che, in seguito alla scoperta di un patto occulto “di controllo”, lamentino un danno derivante (semplicemente) dal non aver potuto valutare tempestivamente la possibilità di uscire dalla società (e, quindi, dall’essere rimasti al suo interno) in seguito al mutamento degli assetti proprietari (inizialmente occultato)49. Diversamente, l’interesse (rectius: il diritto) ad ottenere un determinato corrispettivo per l’alienazione delle azioni in sede di offerta (quello, cioè, pari al prezzo più alto pagato per gli acquisti precedentemente effettuati dai pattisti) potrebbe, come si è accennato sopra, essere riparato vuoi dall’alienazione dell’eccedenza ex art. 110 T.U.F. - qualora essa avvenga in un momento in cui il valore di mercato delle azioni non sia inferiore al prezzo che avrebbe dovuto essere riconosciuto in sede di OPA - vuoi dall’offerta tardiva imposta dalla Consob (il cui prezzo, in particolare, venga ad essere determinato in misura corrispondente a quello che avrebbe dovuto essere oggetto dell’offerta non promossa tempestivamente)50: in presenza, cioè, di presupposti comunque tali da consentire l’uscita dalla società a quelle medesime condizioni alle quali essa sarebbe avvenuta se l’OPA fosse stata tempestivamente promossa. Qualora i due strumenti contemplati dall’art. 110 T.U.F. non siano messi in atto o non contribuiscano a cancellare il danno in questione, occorrerà distinguere fra le diverse ipotesi. Nel caso in cui la “scalata” fosse stata compiuta pagando un prezzo corrispondente al valore di mercato delle azioni, è probabile che il danno risarcibile vada determinato (anche equitativamente) in ragione delle peculiarità del caso concreto, 49 Analog., nella dottrina tedesca, WEISS, op. cit., 35, il quale afferma che l’informativa sui patti parasociali (cui è collegata, come si è visto, la disciplina dell’OPA obbligatoria) rileva non solo per la decisione di acquisto o vendita dei titoli, ma anche per una consapevole decisione di permanere o meno nella società (“nicht nur der Entschluss, ein Wertpapier zu kaufen oder zu verkaufen, sondern auch die bewusste Entscheidung für den Verbleib in der Gesellschaft”). 50 Come si è già detto, non è peraltro da escludere che l’offerta tardiva prescritta dall’Autorità sia congegnata con modalità tali da consentire, attraverso un’adeguata determinazione del corrispettivo dovuto, la riparazione di ogni danno patito dagli azionisti in seguito alla mancata promozione tempestiva dell’OPA. 148 purché, si intende, gli azionisti provino (si tratta nientemeno che del nesso di causalità) che avrebbero effettivamente alienato le proprie azioni qualora fosse stata promossa l’offerta.51 Nella diversa ipotesi - che sarà peraltro la più frequente - in cui la “scalata” occulta sia stata portata avanti corrispondendo agli alienanti un prezzo maggiore di quello di mercato (che, dunque, avrebbe dovuto essere altresì corrisposto in sede di offerta), il danno risarcibile tornerà ad essere pari alla differenza tra il suddetto maggior prezzo e il valore di mercato che i titoli avevano al momento dell’inadempimento. Ciò è di immediata evidenza rispetto a quanti abbiano alienato le proprie azioni nel periodo di tempo rilevante - ossia, in seguito al verificarsi dei presupposti per il lancio dell’offerta52 - per un prezzo inferiore a quello che avrebbero dovuto ricevere in sede di offerta pubblica53; ma è altrettanto vero con riferimento a coloro che abbiano conservato le azioni della società54, purché provino il nesso causale, ossia che in presenza dell’informazione rilevante e a fronte della promozione dell’offerta avrebbero effettivamente optato per la dismissione della loro partecipazione.55 L’ipotesi più problematica, d’altra parte, sembra essere quella in cui taluno ha alienato le proprie azioni ad un prezzo pari o superiore a quello che avrebbe dovuto costituire oggetto dell’offerta; si è rilevato che (solo) l’accoglimento dell’impostazione in base alla quale 51 E’ probabile, si noti, che tale danno finisca in pratica per coincidere con il successivo ribasso delle azioni rispetto al valore che esse avevano sul mercato al tempo dell’inadempimento (a sua volta corrispondente, nel caso in esame, al prezzo d’OPA): in base a quanto si è detto in precedenza, tale danno corrisponderà pertanto sia a quello provocato dalla mancata OPA, sia a quello determinato dalla condotta illecita da omessa informazione del patto parasociale rilevante. Se così è, si verificherà un’ipotesi di concorso tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, tra cui i danneggiati avranno la possibilità di scegliere liberamente. Qualora, viceversa, il successivo valore di mercato delle azioni sia in linea con quello originario (dell’epoca, cioè, in cui erano sorti i presupposti dell’OPA obbligatoria) e gli azionisti conservino la possibilità di alienare le rispettive partecipazioni sul mercato ottenendo quel prezzo, il danno - come si è visto - dovrà considerarsi rimosso. Resterà invece salva la possibilità di pretendere il ristoro del pregiudizio subito dall’essere rimasti in società senza una corretta conoscenza del nuovo assetto di comando (ad esempio: depressione del valore intrinseco del voto o di altri diritti sociali). 52 La situazione di coloro che abbiano, viceversa, alienato le proprie azioni ai pattisti nella fase del “rastrellamento” e, pertanto, prima che fossero integrati tutti i presupposti dell’obbligo di offerta, sembra doversi ricondurre - ove ne ricorrano gli estremi - (soltanto) ad una responsabilità da insider trading, come si dirà nei paragrafi successivi. 53 Proprio in ragione del fatto che quella dell’alienazione rappresenta solo una delle possibili ipotesi di pregiudizio giuridicamente rilevante (e dunque risarcibile), non si può richiedere, come ha fatto invece qualche sostenitore della tesi della responsabilità extracontrattuale (cfr. GUIZZI, op. cit., 261-262), che si verifichi sempre e in ogni caso la cessione delle azioni ad un prezzo inferiore, così “realizzando a condizioni deteriori il valore dell’investimento”: sul punto anche TUCCI, Obbligo di offerta, cit., 1060 (ove il virgolettato). Si noti, poi, che anche quando ciò accada, il modo di operare del principio della compensatio lucri cum damno esige che il pregiudizio vada calcolato con riferimento al momento dell’inadempimento (e il risarcimento commisurato al valore differenziale di cui si è detto), sebbene sia possibile che il prezzo di (successiva) alienazione sia compreso tra il valore delle azioni al momento dell’inadempimento e il corrispettivo che avrebbe dovuto essere oggetto dell’OPA: come si è detto e si dirà, infatti, i successivi incrementi di valore del titolo indipendenti dal comportamento dei soggetti inadempienti non devono incidere sulla quantificazione del danno e sull’ammontare del risarcimento. 54 Sul fatto che la responsabilità da mancata OPA possa essere predicata anche nei confronti di chi si sia limitato a conservare le proprie azioni, v. GIUDICI, La responsabilità, cit., 308-309, il quale osserva che a diversa conclusione condurrebbe l’impostazione fatta propria dalla Corte d’Appello di Milano, cioè al riconoscimento del risarcimento solo in capo a chi ha venduto le azioni all’epoca in cui l’offerta avrebbe dovuto essere promossa. 55 E v., in tal senso, CASTRONOVO, Vaga culpa, cit., 42; ROLFI, Quando l’O.P.A., cit., 1000; MERUZZI, Responsabilità, cit., 2605. In termini non molto dissimili Cass. n. 14400/2012, cit., 31. 149 la disciplina dell’OPA obbligatoria tenderebbe a riconoscere ad ogni azionista la partecipazione al c.d. premio di controllo dovrebbe portare a escludere il risarcimento del danno in questo caso56. Anticipando l’analisi che verrà condotta in seguito (v. in particolare infra, § 4), la soluzione più plausibile sembra tuttavia quella di ammettere la riparazione del pregiudizio in tale ipotesi (unicamente) qualora l’alienazione di cui si è detto sia avvenuta per un corrispettivo (bensì superiore al prezzo d’offerta, ma comunque) inferiore al valore di mercato che le azioni avrebbero acquisito in presenza di una corretta informazione, secondo lo schema - come si vedrà - della responsabilità da insider trading. Altrimenti, ove gli alienanti sostengano che avrebbero deciso di non dismettere la propria partecipazione (e quindi di rimanere in società) se avessero conosciuto l’esistenza del patto parasociale tra coloro che erano giunti a detenere una partecipazione superiore al 30%, si verserebbe a ben vedere al di fuori dell’ambito di operatività della responsabilità da mancata OPA e si ricadrebbe in quello - di cui pure si dirà (v. in particolare infra, § 7) - della responsabilità da omessa disclosure di un’informazione rilevante per le decisioni di investimento. 57 Come precedentemente 56 TUCCI, La violazione, cit., 129, il quale (senza tuttavia approfondire il punto) afferma che ove invece si ritenga che l’interesse protetto dalla normativa sia (anche) quello di garantire la possibilità di valutare se disinvestire o meno a seguito del mutamento del controllo, non potrebbe escludersi la risarcibilità del danno anche in tale ipotesi, da determinarsi in via equitativa. Salvo quanto segue immediatamente nel testo, è senz’altro vero che, come è emerso dall’analisi che precede, i due diversi interessi tutelati dall’istituto dell’OPA obbligatoria finiscano per corrispondere a due differenti voci di danno in caso di inosservanza della disciplina normativa. 57 Se, come si ripete diffusamente e come anche qui si è ricordato, la disciplina dell’OPA obbligatoria mira eminentemente ad attribuire agli azionisti della società bersaglio la possibilità di optare per un disinvestimento a fronte del mutamento della compagine di controllo, occorre chiedersi se una forma analoga di tutela possa essere ravvisata anche nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio ma non quotate. A tal fine, sembra poter venire in rilievo il diritto di recesso di cui all’art. 2497quater c.c., esercitabile tra l’altro “all’inizio ed alla cessazione dell’attività di direzione e coordinamento, quando non si tratta di una società con azioni quotate in mercati regolamentati e ne deriva un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento e non venga promossa un’offerta pubblica di acquisto”. Se si considera che il controllo congiunto da patti parasociali è senz’altro rilevante anche ai fini della disciplina contenuta negli artt. 2497 ss. c.c. (in tal senso e con analitica argomentazione CARIELLO, Dal controllo congiunto, cit., 43 ss.) è da ammettere che la scoperta di un patto occulto di controllo possa consentire agli azionisti estranei di recedere dalla società (per uno spunto in tal senso cfr. anche Cass. n. 14400/2012, cit., 21). In tale direzione militano due ulteriori ordini di considerazioni: da un lato, la lettera della norma poc’anzi citata - con il suo riferimento alle società quotate e alla promozione di un’OPA quali presupposti negativi della fattispecie - pare proprio voler approntare un diritto di exit del socio allorché - in presenza di un ricambio della compagine di controllo - queste due circostanze non ricorrano; dall’altro lato, bisogna ricordare e aggiungere che un patto occulto concluso in una società non quotata non è colpito dalla nullità e, pertanto, non pone i problemi di cui si è discusso precedentemente (supra, cap. II) in punto di disponibilità del controllo in capo ai soggetti ad esso vincolati (ma nel senso che la nozione di controllo congiunto postuli comunque l’effettivo esercizio oltre alla disponibilità dello stesso, cfr. ancora CARIELLO, op. ult. cit., 49-50; per l’opinione che nell’individuazione dell’inizio e della fine dell’esercizio della direzione e coordinamento debba contare “il fatto dell’esercizio dell’attività”, ID., Sub art. 2497-quater, in Società di capitali, Commentario a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, ***, 1892; nonché, più in generale, sul fatto che l’intera disciplina dei gruppi sia dominata dal principio di effettività, per tutti, VALZER, Il potere di direzione e coordinamento di società tra fatto e contratto, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G. F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G. B. Portale, Torino, 2007, 3, 834; TOMBARI, Riforma del diritto societario e gruppo di imprese, in Giur. comm., 2004, I, 66). L’esercizio del recesso dovrebbe in linea di massima escludere la responsabilità del soggetto controllante (ma non necessariamente vale la reciproca): cfr. VALZER, Le responsabilità da direzione e coordinamento di società, Torino, 2011, 79-80. Sul fatto che il diritto di recesso in parola sia applicabile anche in caso di passaggio da una soggezione ad un’altra, ossia quando si verifica (semplicemente) il ricambio della compagine di controllo, purché ne risultino alterate le 150 rilevato, non si può invece dare spazio alla compensatio lucri cum damno in ragione dell’eventuale incremento di valore di mercato di cui le azioni dovessero beneficiare in seguito al verificarsi dei presupposti dell’OPA obbligatoria. 58 3. Il patto parasociale occulto come ipotesi di informazione privilegiata non rivelata al mercato. Una volta individuato il modo di operare della responsabilità risarcitoria che grava sui pattisti occulti in caso di mancata promozione dell’OPA obbligatoria, è ora necessario procedere nell’indagine al fine di verificare se la violazione degli obblighi di trasparenza dei patti parasociali possa dare luogo a qualche ulteriore forma di responsabilità, che possa operare anche in assenza dei presupposti dell’obbligo di offerta o, eventualmente, in aggiunta alle tutele attivabili in caso di mancata OPA. Utilizzando come punto di partenza proprio quest’ultima ipotesi, è agevole ricordare come il relativo obbligo presupponga un acquisto di azioni - anche da parte di uno solo dei concertisti - in grado di determinare il superamento, anche congiunto, della soglia rilevante, cui si aggiunga, per quanto qui interessa, l’avvenuta stipulazione di un patto parasociale occulto rientrante nei tipi indicati dall’art. 122 T.U.F. Il fatto che ci si trovi di fronte ad acquisti di azioni collegati alla mancata disclosure di un’informazione - la stipula del patto, appunto - che avrebbe dovuto essere resa nota, induce a chiedersi se sia ravvisabile (anche) un’ipotesi di insider trading o abuso di informazioni privilegiate (art. 184, comma 1, lett. a), T.U.F.), su cui possa essere innestata una responsabilità risarcitoria degli autori del reato.59 condizioni di rischio dell’investimento v. PENNISI, Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e coordinamento: alcune considerazioni, in RDS, 2009, 41-42; ID., La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G. F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G. B. Portale, Torino, 2007, 3, 943; VENTORUZZO, Brevi note sul diritto di recesso in caso di direzione e coordinamento di società (art. 2497-quater, c.c.), in Riv. soc., 2008, 1187. Ciò significa che può rilevare anche la modifica occulta ad un patto di controllo regolarmente pubblicato in precedenza, secondo i criteri delineati nel capitolo precedente (§ 10). Il nesso tra patti parasociali, controllo congiunto e applicabilità dell’art. 2497-quater c.c. è stato colto anche da SAMBUCCI, Durata dei patti parasociali, cit., 924 ss.; ID., Patti parasociali, in Riv. dir. impr., 2009, 29. 58 Il principio è stato ribadito più di recente da Trib. Milano, 15 marzo 2010, cit., 771-772. Così anche GIUDICI, La responsabilità, cit., 309-310; CACCHI PESSANI, op. cit., 521. Contra MERUZZI, Responsabilità, cit., 2605-2606, il quale ritiene infatti (pur sposando la tesi della natura contrattuale della responsabilità da mancata OPA) che il danno risarcibile consista nella “differenza tra il valore attuale della partecipazione (se non alienata) o il valore di alienazione (se alienata al di fuori dell’Opa), da un lato, e il valore di lancio dell’offerta, dall’altro”, rifacendosi espressamente all’operatività in tali casi del principio della compensatio lucri cum damno; nonché, pare, MOSCA, Acquisti di concerto, cit., 1336. 59 Si veda l’interessante considerazione di CERRAI-MAZZONI, op. cit., 19, i quali già evidenziavano che se la violazione di norme di disclosure viene valutata come illecito civile, “l’inevitabile conseguenza è che la disciplina della disclosure, anziché erodere, finisce per aumentare l’arsenale degli strumenti di autotutela giuridico-formale concretamente utilizzabili dagli investitori-azionisti esterni all’azionariato di controllo.” Come taluno ha osservato proprio a proposito dell’insider trading, peraltro, vi potrebbe essere illecito civile ma non anche commissione del reato, sul presupposto che i requisiti di quest’ultimo (ed in specie l’elemento soggettivo) siano più stringenti: il rinvio è a GALLI, La disciplina italiana in tema di abusi di mercato, Milano, 2010, 373 ss.; GIAVAZZI, Insider trading: la prima condanna civile, nota a Trib. Milano, 14 febbraio 2004, in Società, 2005, 116. Su questa linea si è mossa, del resto, proprio tale 151 Posto che l’astratta configurabilità di una responsabilità civile dell’insider, pur essendo stata per lungo tempo sottoposta ad attento vaglio critico (specialmente da parte della dottrina), pare un elemento ormai acquisito al dibattito in argomento 60, una risposta affermativa al predetto interrogativo non sembra incontrare particolari ostacoli nella nozione di informazione privilegiata sì come tratteggiata dall’art. 181 T.U.F.: non pare cioè potersi escludere, in linea generale, che la mancata pubblicazione di un patto parasociale ne integri gli elementi, venendo a configurare un’informazione “di carattere preciso, che non è stata resa pubblica”, concernente uno o più emittenti strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari e che, “se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari”.61 Dubbi non sembrano esservi quanto alla precisione dell’informazione circa l’esistenza di un patto parasociale rilevante che avrebbe dovuto essere diffusa (rectius: resa pubblica); né sembra fondatamente contestabile l’inerenza di tale notizia all’emittente e in particolare al suo assetto di controllo, con conseguente idoneità ad influire sul valore di mercato dei titoli. Alcuni indici ostativi alla riconducibilità del fenomeno oggetto del presente studio alla fattispecie dell’insider trading e alla relativa responsabilità risarcitoria sono tuttavia stati rinvenuti proprio in alcuni particolari caratteri che l’informazione privilegiata dovrebbe (asseritamente) presentare, i quali peraltro - va subito notato sentenza, che ha individuato una responsabilità risarcitoria degli insiders pur a fronte di un provvedimento di archiviazione in sede penale. Sul reato di insider trading a seguito della nuova formulazione v. di recente, tra gli altri, SEMINARA, Disposizioni comuni agli illeciti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, in Dir pen. e proc., 2006, 9 ss.; F. MUCCIARELLI, L’abuso di informazioni privilegiate: delitto e illecito amministrativo, in Dir. pen. e proc., 2005, 1465 ss. Come noto, le attuali disposizioni sono il frutto dell’attuazione della Direttiva n. 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato (integrata a sua volta dalla Direttiva n. 2004/72/CE), che ha sostituito la Direttiva n. 1989/592/CEE. Per un’approfondita panoramica sulla storia della disciplina europea degli abusi di mercato, cfr. DI NOIA - GARGANTINI, The Market Abuse Directive Disclosure Regime in Practice: Some Margins for Future Actions, in Riv. soc., 2009, 782 ss. Le recenti Direttive sono state commentate nella nostra dottrina, ex aliis, da F. MUCCIARELLI, L’abuso di informazioni privilegiate e manipolazioni del mercato: le norme della Comunitaria 2004 (II), in Diritto pen. e proc., 2005, 1465 ss.; COMPORTI, La nuova disciplina sugli abusi di mercato: una prima ricognizione, in Dir. banca e merc. fin., 2005, II, 62 ss.; FERRARINI, La nuova disciplina europea dell’abuso di mercato, in Riv. soc., 2004, 43 ss. 60 Invero, non sono mancate approfondite discussioni circa l’opportunità di affiancare alla sanzione penale il rimedio civilistico della responsabilità, risoltesi ormai in senso positivo: non è questa la sede per ripercorrere le tappe del dibattito e, per tale ragione, si rinvia da ultimo a MACRI’, Informazioni privilegiate e disclosure, Torino, 2010, 141 ss.; nonché, in precedenza, a FERRARINI, Informazione societaria: quale riforma dopo gli scandali?, in Banca impresa società, 2004, 411 ss. 61 Tale assunto pare accettabile anche in considerazione della “insanabile indeterminatezza” della definizione di informazione privilegiata: v. SEMINARA, Disclose or abstain? La nozione di informazione privilegiata tra obblighi di comunicazione al pubblico e divieti di insider trading: riflessioni sulla determinatezza delle fattispecie sanzionatorie, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, 334 ss. Il carattere preciso dell’informazione è ulteriormente specificato dal comma terzo dell’art. 181 T.U.F. e consiste nel fatto che essa: “a) si riferisce ad un complesso di circostanze esistente o che si possa ragionevolmente prevedere che verrà ad esistenza o ad un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente prevedere che si verificherà; b) è sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze o dell’evento di cui alla lett. a) sui prezzi degli strumenti finanziari.” Sul fatto che la riservatezza sui patti di cui all’art. 122 T.U.F. possa dare vita ad asimmetrie informative, “possibili cause di speculazione sui titoli”, v. RESCIO, La disciplina, cit., 843. 152 introdurrebbero una divaricazione rispetto alla disciplina degli altri principali ordinamenti.62 62 Gli elementi che compongono la nozione di informazione privilegiata rilevante ai sensi dell’art. 181 T.U.F. sono infatti pressoché coincidenti con quelli scaturiti dalla decennale riflessione dottrinale e giurisprudenziale condotta negli Stati Uniti: v. BAINBRIDGE, An Overview of US Insider Trading Law: Lessons for the EU?, in University of California, Los Angeles School of Law, Law & Economics Research Paper Series, 2004, e in www.ssrn.com, da cui si cita, e spec. 6 ss. (ed ivi una sintetica ma esauriente panoramica dell’evoluzione normativa dell’insider trading nell’ordinamento americano); ENGLE, Insider Trading in U.S. and E.U Law: a Comparison, in European Business Law Review, 2010, 465 ss. e in www.ssrn.com, da cui si cita, 28, ove però si precisa che il sistema europeo non ruota attorno alla violazione di un fiduciary duty, ma piuttosto al semplice possesso di una “non-public information”. Sul punto, anche le Corti americane hanno affermato che “to establish a violation of Section 10(b), the plaintiff must prove by a preponderance of evidence that the defendant made: (1) a misstatement or omission; (2) of a material fact; (3) with scienter; (4) in connection with the purchase or sale of a security; (5) upon which the plaintiff reasonably relied; and (6) that reliance was the proximate cause of plaintiff’s injury.”: così Tracinda Corp. v. DaimlerChrysler AG, 364 F. Supp. 2d 362 (D. Del. 2005), confermata da F.3d 212 (3d Cir. 2007); nonché Dura Pharm., Inc. v. Broudo, 544 U.S. 336, 341-342 (2005), la quale ha specificato che occorre anche la presenza di un danno patrimoniale (economic loss): sul punto v. anche VELIOTIS, Rule 10b5-1 Trading Plans and Insiders’ Incentive to Misrepresent, in American Business Law Journal, 2010, v. 47, 316; FRANCIS, Meet Two-Face: the Dualistic Rule 10b-5 and the Quandary of Offsetting Losses by Gains, in Fordham Law Review, 2009, v. 77, 3052. Come è noto, la disciplina statunitense è basata sulla Section 10(b) del SEA e soprattutto sulla Rule 10b-5 emanata dalla SEC nel 1942, la quale, senza menzionare espressamente l’insider trading, prevede: “It shall be unlawful for any person, directly or indirectly, by the use of any means or instrumentality of interstate commerce, or of the mails or of any facility of any national securities exchange, (a) to employ any device, scheme, or artifice to defraud, (b) to make any untrue statement of a material fact or to omit to state a material fact necessary in order to make the statements made, in the light of the circumstances under which they were made, not misleading, or (c) to engage in any act, practice, or course of business which operates or would operate as a fraud or deceit upon any person, in connection with the purchase or sale of any security.” Tuttavia sono stati alcuni noti casi giudiziari ad aver posto le basi dell’architettura concettuale che oggi regola il fenomeno dell’insider trading. Per un’analitica ricostruzione delle tappe di questo percorso giurisprudenziale, v. da ultimo SABINO A. M. - SABINO M. A., From Chiarella to Cuban; the Continuing Evolution of the Law of Insider Trading, in Fordham Journal of Corporate & Financial Law, 2011, v. XVI, 673 ss; ma anche CHOI-PRITCHARD, op. cit., 351 ss. I primi passi di tale percorso erano stati esaminati anche nella letteratura italiana: cfr. ad es. CASELLA, Alcune osservazioni in tema di insider trading, in Giur. comm., 1989, I, 796 ss.; BALLARINI, Insider trading: problemi attuali e profili di comparazione, in Contr. e impr., 1990, II, 1160 ss. Dapprima, in SEC v. Texas Gulf Sulphur Co., 401 F.2d 833 (2d Cir. 1968), la Corte [riprendendo l’opinione espressa dalla SEC in Cady, Roberts & Co., 40 S.E.C. 907, 912 (1961)] affermò il noto principio della c.d. disclose or abstain rule, in forza del quale il mercato deve garantire a tutti gli investitori parità di accesso a tutte le informazioni; di conseguenza, chiunque sia in possesso di una material nonpublic information deve renderla nota prima della contrattazione o astenersi dal porla in essere. Tale impostazione subì una decisa evoluzione in Chiarella v. US, 445 U.S. 222 (1980), allorché la Corte Suprema respinse l’idea della parità di accesso all’informazione e ritenne che non ci può essere insider trading in mancanza di un dovere di parlare, il quale però non nasce semplicemente in forza della disponibilità della material nonpublic information, bensì (semmai) in forza del fatto che gli investitori hanno riposto la loro fiducia e il loro affidamento sul corretto comportamento dell’insider [tesi ribadita dalla Corte Suprema nel successivo caso Dirks v. SEC, 463 U.S. 646 (1983), ove la chiara affermazione che tale dovere “arises rather from the existence of a fiduciary relation”]. A tale concezione venne poi ad affiancarsi in via complementare la c.d. misappropriation theory, secondo la quale può sorgere responsabilità per insider trading in capo a chi ponga in essere delle negoziazioni sfruttando un’informazione riservata appartenente ad un diverso soggetto, senza comunicare a quest’ultimo l’utilizzo della notizia stessa; in pratica, entra in gioco una sorta di fiduciary duty nei confronti della fonte dell’informazione, anziché verso coloro (gli shareholders) con i quali viene posta in essere la contrattazione: v. US v. O’Hagan, 521 U.S. 642 (1997), commentato favorevolmente, tra gli altri, da QUINN, The misappropriation theory of insider trading in the Supreme Court: a (brief) response to the (many) critics of United States v. O’Hagan, in Fordham Journal of Corporate & Financial Law, 2003, v. VIII, 865 ss. (ove diversi ulteriori riferimenti: ibidem, 866-867); nonché, nella nostra letteratura, da GALLI, Insider trading: l’accoglimento da parte della Supreme Court 153 In primo luogo, il dato normativo potrebbe indurre a pensare che l’informazione privilegiata non possa essere un’informazione che debba essere resa nota già in forza di una specifica previsione di legge: in tale direzione parrebbe orientare il primo comma dell’art. 114 T.U.F., il quale prevede che siano comunicate senza indugio al pubblico le informazioni privilegiate di cui all’art. 181 T.U.F., ma esordisce dichiarando “fermi gli obblighi di pubblicità previsti da specifiche disposizioni di legge”, tra i quali sembra senz’altro rientrare quello di cui all’art. 122 T.U.F. 63 Ciò detto, è tuttavia possibile tentare una prima breve riflessione in grado di togliere incisività all’obiezione poc’anzi riportata. federale statunitense della misappropriation theory. Alcune conseguenti riflessioni sulla condotta di “trading” vietata, come definita nel cosiddetto “Testo Unico Draghi”, in Giur. comm., 1998, II, 712 ss. Il caso più recente in questo percorso è quello che ha visto ben due pronunce giudiziali: SEC v. Cuban, 634 F. Supp. 2d 713 (N.D. Texas 2009), riformata da 620 F.3d 551 (5th Cir. 2010). La Corte distrettuale del Texas affermò che un dovere analogo a quello fiduciario può sorgere tramite un accordo che imponga sia la riservatezza dell’informazione, sia l’astensione dalla negoziazione dei titoli che potrebbe essere compiuta sfruttando la notizia; il 5th Circuit, invece, dichiarò che dovesse ritenersi riscontrabile in concreto (e sufficiente) anche un’implicita pattuizione in tal senso, addossando sul convenuto l’onere di una prova sostanzialmente negativa circa l’inesistenza dell’accordo. Per una disamina di tale vicenda (peraltro critica nei confronti della pronuncia d’appello) v. in particolare SABINO A. M. - SABINO M. A., op. cit., 711 ss.; nonché BAILEY Jr., SEC v. CUBAN: the Misappropriation Theory and its Application to Confidentiality Agreements under Section 10(b) and Rule 10b5-2 of the Securities Exchange Act of 1934, in Delaware Journal of Corporate Law, 2010, v. 35, 539 ss., (commento precedente la pronuncia d’appello, ma comunque) critico verso la sentenza della Corte distrettuale per aver arbitrariamente aggiunto un ulteriore requisito della responsabilità per insider trading (ibidem, spec. 541-542) e per aver ignorato la Rule 10b5-2 emanata nel 2000 dalla SEC, che individua alcuni casi di responsabilità sulla base della misappropriation theory, tra cui la (semplice) esistenza di un accordo per mantenere riservata la notizia; perplesso, ma in base ad una diversa motivazione (secondo cui la comunicazione di informazioni riservate fa sorgere un implicito dovere di riservatezza e di astensione dalle negoziazioni: c.d. “temporary insider theory”), anche PRENTICE, Permanently Reviving the Temporary Insider, in The Journal of Corporation Law, 2011, 343 ss. e spec. 369 e 374. Per l’opinione avversa all’idea che la semplice esistenza (e violazione) di un confidentiality agreement (in assenza di un’ulteriore relazione qualificata tra le parti) possa fondare la responsabilità per insider trading, v. DAVIS, Trimming the “Judicial Oak”: Rule 10b5-2(b)(1), Confidentiality Agreements, and the Proper Scope of Insider Trading Liability, in Vanderbilt Law Review, 2010, 1469 ss. e spec. 1493 ss., il quale avanza la tesi che la responsabilità per insider trading possa essere predicata in presenza della violazione di un dovere di astenersi dal profittare dell’informazione privilegiata, il quale può sorgere sia per contratto che in base ad un “fiduciary duty”; BEXLEY, Reining in Maverick Traders: Rule 10b5-2 and Confidentiality Agreements, in Texas Law Review, 2009, v. 88:195, 195 ss. Il più recente sviluppo delle teorie d’oltre oceano riguardanti l’insider trading tende a ridimensionare (se non addirittura a rimuovere) la rilevanza del requisito del fiduciary duty: nel caso SEC v. Dorozhko, 574 F.3d 42, 50 (2d Cir. 2009), la Corte ha ravvisato (in base alla distinzione tra mancata disclosure e “misrepresentation” al fine di ottenere l’accesso a un’informazione riservata, presente nel caso di specie) un’ipotesi di insider trading nella condotta (diversa dai casi di mancata disclosure) di hacking che aveva consentito al suo autore di appropriarsi indebitamente di informazioni riservate, poi seguita dal trading dei titoli (un’analisi del caso è offerta da JONES II, Outsider Hacking and Insider Trading: The Expansion of Liability Absent a Fiduciary Duty, in Washington Journal of Law, Technology & Arts, 2010, v. 6, 111 ss., da cui si cita, e in www.ssrn.com, il quale rileva un contrasto tra le corti sul punto). Su questa base, è stata proposta in dottrina la c.d. “fraud on the investors theory”, secondo la quale sarebbe proibita ogni negoziazione “based on nonpublic information obtained through illegal means”: così ODIAN, SEC v. Dorozhko’s Affirmative Misrepresentation Theory of Insider Trading: an Improper Means to a Proper End, in Marquette Law Review, 2011, 1347, secondo cui ogni indebita appropriazione di informazioni, in qualunque forma, “defrauds marketplace traders”. 63 Per l’atipicità degli eventi da rendere noti ai sensi dell’art. 114 T.U.F. si è espresso, infatti, RORDORF, Ruolo e poteri della Consob nella nuova disciplina del market abuse, in Società, 2005, 816. 154 Proprio l’obbligo di comunicare le informazioni privilegiate, sancito dall’attuale testo dell’art. 114 T.U.F. - come riscritto ad opera della l. n. 62/200564 - può bastare a smentire l’idea, talora affiorata in dottrina, che l’informazione privilegiata, in via generale, non possa (rectius: non debba) essere divulgata, pena la commissione del reato ai sensi della lett. b) dell’art. 184, comma 1, T.U.F., nella forma della comunicazione di “tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio”.65 Tale ipotesi, infatti, si riferisce unicamente alla diffusione della notizia a beneficio di altri soggetti, attraverso canali del tutto informali ed in via riservata; ben diversa è, naturalmente, l’informazione al pubblico (obbligatoria) secondo le modalità previste dalla legge e dalla Consob. Pertanto, non sembra si possa ragionare nel senso che l’informazione privilegiata, non potendo (anzi, non dovendo) mai essere divulgata, non possa coincidere con quella fatta oggetto di un obbligo di disclosure da una specifica previsione normativa66; proprio il disposto dell’art. 114 T.U.F., infatti, smentisce la premessa, sancendo il principio per cui la notizia in questione debba avere generale diffusione, coerentemente all’esigenza di fare in modo che ogni informazione rilevante per il mercato sia resa conoscibile e, dunque, siano eliminate le asimmetrie informative.67 Come si è osservato, “nel caso dell’insider trading [...] l’informazione è destinata ad essere portata prima o poi a conoscenza del pubblico degli investitori” 68. D’altro canto, va detto che l’inciso iniziale dell’art. 114 T.U.F. non sembra poter determinare in via automatica l’espulsione della notizia dell’esistenza di un patto parasociale rilevante dalla nozione di informazione privilegiata: anzi, l’imposizione dell’obbligo di comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate, accanto alle specifiche ipotesi di disclosure già previste, può suggerire, oltre all’idea di un avvicinamento dei due regimi, la riconducibilità delle seconde alla categoria generale incarnata dalle prime e costituente proprio l’asse portante della disciplina dell’insider 64 E’ da notare che tale normativa ha modificato anche l’art. 116, comma 1, T.U.F., il quale ora estende l’applicazione dell’art. 114 T.U.F. (ad eccezione del comma 7) anche “agli emittenti strumenti finanziari che, ancorché non quotati in mercati regolamentati italiani, siano diffusi tra il pubblico in misura rilevante”. 65 Per tale tesi, ma con riferimento alla disciplina previgente, G. SANTORO, Insider trading: profili civilistici, in Contr. e impr., 1992, 674 ss., secondo il quale l’essenza dell’insider trading avrebbe dovuto essere individuata nella “violazione di un divieto di fare, non di un dovere di dire” (ibidem, 675): in pratica, il possessore di un’informazione privilegiata dovrebbe, secondo quest’idea, limitarsi ad astenersi da eventuali negoziazioni, senza porsi il problema di diffondere l’informazione stessa. 66 Conf. LENER, La diffusione delle informazioni “price sensitive” fra informazione societaria e informazione riservata, in Società, 1999, 144 (nt. 8). 67 Del resto, già i principi generali del diritto penale che presiedono all’operatività delle cause di giustificazione escludono, come è noto, che possa farsi luogo ad un’incriminazione in presenza di una diversa norma dell’ordinamento che imponga o autorizzi la condotta astrattamente vietata. Per di più, nel caso di specie anche tale ipotetico contrasto tra norme sembra venire meno ove si consideri che comunque la condotta vietata dalla fattispecie che incrimina l’insider trading non è tanto la diffusione dell’informazione (a meno che, come si è visto, avvenga ai sensi dell’art. 184, comma 1, lett. b) T.U.F. anziché a beneficio del mercato), bensì lo sfruttamento a proprio vantaggio della medesima. 68 BARTALENA, Insider trading, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, Torino, 1993 (ristampa 2000), 10, *, 321. Per considerazioni analoghe a quelle proposte nel testo v., nella dottrina tedesca, MENNICKE, Sub § 14, in Wertpapierhandelsgesetz (Kommentar), herausgegeben von A. Fuchs, München, 2009, 548-549. 155 trading (purché, naturalmente, sussistano i requisiti elencati e illustrati dalla norma definitoria di cui all’art. 181 T.U.F.) 69 Un diverso (all’apparenza più consistente) ostacolo alla riconducibilità dell’esistenza di un patto occulto alla nozione di informazione privilegiata sembra posto da quanti hanno affermato che questa non può consistere in una notizia relativa alla sfera personale dell’insider70: accogliendo questa impostazione, i pattisti occulti che hanno compravenduto azioni in forza della loro condizione non potrebbero essere ritenuti insiders. Lo sarebbero, semmai, coloro i quali (amministratori, azionisti esterni al patto, ecc.) siano eventualmente venuti a conoscenza di quell’informazione e abbiano poi provveduto a compiere operazioni sulle azioni (o su altri strumenti finanziari dell’emittente), oppure abbiano ulteriormente divulgato la notizia a termini dell’art. 184, comma 1, lett. b), T.U.F.71 Tuttavia, non è facile individuare indici normativi univocamente orientati nel senso proposto da detta tesi.72 In ogni caso, anche ove la si volesse accogliere nelle sue linee generali, bisognerebbe riconoscere che la circostanza 69 Nell’ordinamento statunitense, un primo collegamento normativo tra la disclosure ai sensi della Section 13(d) del SEA (che comprende, come si è visto, la pubblicizzazione degli accordi tra azionisti) e la disciplina dell’insider trading è stato rintracciato nel caso Kamerman v. Steinberg, 123 F.R.D. 66 (S.D.N.Y. 1988): la Corte ha rilevato, in particolare, che anche la comunicazione di una variazione delle circostanze rilevanti ai sensi della Section 13(d) che pur soddisfi il requisito della tempestività (“promptly”) introdotto dalla SEC, non esclude necessariamente una responsabilità per insider trading ai sensi della Rule 10b-5. Ma soprattutto, la giurisprudenza americana ha anche ammesso che la mancata disclosure imposta dalla Section 13(d) può dare origine ad un’azione per insider trading ai sensi della Rule 10b-5: Levie v. Sears Roebuck & Co., 2006 U. S. Dist., LEXIS 12725 (N. D. Ill. 2006). Sul punto LEVY, op. cit., 5-45. 70 GALGANO, Gruppi di società, insider trading, OPA obbligatoria, in Contr. e impr., 1992, 638; BARTALENA, op. cit., 328, il quale ne ricavava l’esonero dall’applicazione della disciplina proprio del “soggetto che si appresta a lanciare un’o.p.a.”. Peraltro, merita notare che gli artt. 181 e 184 T.U.F. non fanno più riferimento alle informazioni “ottenute”, togliendo spazio al principale argomento utilizzato dal primo dei due Autori testé citati. Anzi, la seconda di tali norme dà ora rilievo al “possesso di informazioni privilegiate”, impiegando una terminologia che sul piano lessicale non può escludere la possibilità di comprendere informazioni concernenti la sfera giuridica dell’insider purché, naturalmente, rilevanti per l’emittente. Negli Stati Uniti, non sembrano esservi dubbi sul fatto che l’informazione possa essere “selfcreated” da parte dell’insider: v. di recente VELIOTIS, op. cit., 349. 71 E. v in tal senso BARTALENA, op. cit., 328. Sul fatto che anche chi partecipa al capitale dell’emittente - in particolar modo gli azionisti di comando - possa rivestire la posizione di insider, non dovrebbero, in linea generale, esservi dubbi: v. NAPOLEONI, Insider trading (voce), in Dig. disc. pen., Agg., ****, A-I, Torino, 2008, 593; ancor prima, MIGNOLI A., Insider trading: considerazioni e perplessità, in La società per azioni. Problemi - Letture - Testimonianze, Milano, 2002, I, 451; nella dottrina americana, COFFEE Jr., Reforming the Securities Class Action: an Essay on Deterrence and its Implementation, in Columbia Law Review, 2006, v. 106, 1552. Per l’idea che anche gli azionisti di controllo uniti da un patto di sindacato possano essere considerati insiders si veda, sebbene con riferimento alla disciplina previgente, BARTALENA, op. cit., 302 ss. 72 La respinge, infatti, NAPOLEONI, op. cit., 583, sulla base dell’ineccepibile rilievo che essa “ritaglierebbe significativi spazi di liceità alle transazioni compiute in posizione di superiorità conoscitiva”; l’A. tuttavia sembra riconoscere, senza peraltro argomentare adeguatamente, la validità dell’impostazione qui criticata con riferimento ai casi “in cui l’intento proprio, fonte del vantaggio conoscitivo, consista nella stessa decisione di intervenire sul mercato finanziario o in una decisione cui tale intervento è strumentale”, tra cui “il rastrellamento di titoli della società bersaglio da parte di chi intende lanciare un’o.p.a.” Peraltro, anche chi volesse condividere quest’ultimo passaggio dovrebbe riconoscere che altro è la decisione individuale di lanciare un’OPA, altro è l’esistenza di un patto tra azionisti in tal senso, che può sin da subito produrre effetti rilevanti sulla società ed incidere sugli assetti proprietari della stessa, oltre che sul prezzo di mercato dei relativi titoli. E’ probabilmente per questo che lo stesso A. giunge infatti ad ammettere che possa costituire notizia rilevante riferita all’emittente l’esistenza di un “progetto di scalata” (ibidem, 588). 156 secondo cui l’informazione privilegiata debba riferirsi all’emittente o a strumenti finanziari da questo emessi non pare in sé idonea ad escludere la rilevanza della notizia circa l’esistenza di un patto parasociale occulto, giacché questa, pur riguardando certamente la posizione giuridica soggettiva di ogni membro dell’accordo (detto altrimenti: i potenziali insiders), può indubbiamente fornire un esatto quadro proprio in ordine alla situazione proprietaria dell’emittente, nonché al controllo e all’indirizzo gestionale del medesimo.73 Pare allora preferibile accogliere l’impostazione, adombrata anche da qualche voce nella dottrina civilistica, secondo cui i patti parasociali possono essere “considerati informazioni rilevanti (o ‘privilegiate’), ai sensi degli artt. 114 e 116 T.U.F.” 74; dunque, 73 Un cenno in tal senso anche in SAMBUCCI, Patti parasociali, cit., 37. Da questo punto di vista, sembra qui perdere peso l’osservazione secondo cui le informazioni privilegiate di cui all’art. 181 T.U.F. potrebbero comprendere, a differenza di quelle rilevanti per l’art. 114 T.U.F., anche le notizie che riguardano indirettamente l’emittente e quelle “che ancora non si sono verificate ma rispetto alle quali si possa ragionevolmente reputare che verranno ad esistenza”: MACRI’, Informazioni privilegiate, cit., 6970. In senso contrario alla piena coincidenza delle informazioni privilegiate nel contesto delle due norme, cfr. anche GALLI, La disciplina, cit., 84 ss.; F. BRUNO - RAVASIO, Ambito soggettivo ed oggettivo dell’informazione privilegiata post Market Abuse Directive, nota a Cass. Pen., Sez. IV, 10 luglio 2006, n. 2871, in Società, 2007, 1029; nonché la Comunicazione Consob n. DEM/6027054 del 28 marzo 2006, in www.consob.it (su cui v. anche RACUGNO, Internal dealing: le persone giuridiche controllate da un soggetto rilevante, in Giur. comm., 2008, I, 397 ss.). Nel senso dell’equivalenza della nozione di informazioni privilegiate nell’art. 114 e nell’art. 181 T.U.F. è infatti orientata ormai l’opinione prevalente: si vedano DENOZZA, La nozione di informazione privilegiata tra “Shareholder Value” e “Socially Responsible Investing”, in Giur. comm., 2005, I, 594; RORDORF, Ruolo e poteri, cit., 816; NAPOLEONI, op. cit., 579; MAGRO, Manipolazioni di mercato e strumenti derivati, in Dir banca e merc. fin., 2007, 53; FIECCONI, La nuova disciplina del market abuse. L’insiders list: i suoi obiettivi e la valutazione dei suoi contenuti, in Corr. giur., 2006, 1769, rilevando anche la funzione di prevenzione svolta dall’art. 114 T.U.F. rispetto all’insider trading; RUGGERI, Gli obblighi di disclosure delle società quotate: alcuni problemi interpretativi, in Riv. dir. comm., 2009, I, 523, sulla base dell’argomento, difficilmente eccepibile, dell’avvenuta riscrittura dell’art. 114 T.U.F., che ha espunto il riferimento ai “fatti rilevanti” e ha introdotto quello alle “informazioni privilegiate”, addirittura con espresso rinvio all’art. 181 T.U.F.; l’A. nota che ciò comunque non elimina alcune problematiche interpretative, perché l’informazione rilevante per l’art. 114 T.U.F. richiede un apprezzamento ex ante, mentre ai fini dell’insider trading la valutazione (del giudice ed ex post) può basarsi sull’effetto che la diffusione dell’informazione ha poi prodotto sui prezzi. E’ ovvio, peraltro, che una simile questione non si pone nel caso in cui si qualifichi come informazione privilegiata il patto occulto, perché non possono esservi dubbi nemmeno ex ante circa la sua soggezione all’obbligo di pubblicazione. Prima della modifica dell’art. 114 T.U.F., si erano espressi, con vari accenti, nel senso della (soltanto) parziale sovrapponibilità degli ambiti applicativi delle due norme PICONE, Trattative, due diligence ed obblighi informativi delle società quotate, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, I, 245 ss. e spec. 247-248; F. MUCCIARELLI, L’informazione societaria: destinatari e limiti posti dalla normativa in materia di insider trading, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, 745 ss. e spec. 759. Per una sintetica panoramica europea in argomento, v. DI NOIA GARGANTINI, op. cit., 801 ss., i quali rilevano che anche in Germania i §§ 13 e 15 WpHG contemplano un’unica nozione di informazione rilevante per la disclosure e ai fini del divieto di insider trading (ibidem, 804). La nozione di “Insiderinformation”, contemplata dallo stesso § 13 WpHG è del tutto analoga a quella vigente nel nostro ordinamento. Per un commento, v. di recente MENNICKEJAKOVOU, Sub § 13, in Wertpapierhandelsgesetz (Kommentar), herausgegeben von A. Fuchs, München, 2009, 354 ss. 74 BADINI CONFALONIERI, op. cit., 297. Come si è osservato in dottrina, del resto, è “‘privilegiata’ qualunque informazione il cui contenuto sia comunque (anche lontanamente) collegato all’emittente o agli strumenti finanziari, nella misura tale da poter incidere sull’andamento dei prezzi”: così SEPE, La repressione degli abusi di mercato in L’ordinamento finanziario italiano, a cura di F. Capriglione, Padova, 2010, 1107; inoltre, si è constatato che “la fonte di provenienza dell’informazione od il suo contenuto intrinseco perdono rilevanza e solo conta la prospettica modificazione dei corsi che verisimilmente potrà seguire alla divulgazione dell’informazione stessa”: così BARTALENA, op. cit., 157 anche ai sensi degli artt. 181 e 184 T.U.F. 75 Ciò è tanto più vero se si accoglie l’idea che debbano comunque costituire oggetto di disclosure ai sensi dell’art. 114 T.U.F. anche le attività preparatorie di un’offerta pubblica di acquisto, purché si sia già raggiunta una ragionevole certezza sulla sua futura promozione.76 322 (per quanto, come si è visto, tale A. respingesse la rilevanza della “self-created information”). Il possibile intreccio tra OPA obbligatoria e insider trading è stato ravvisato anche nella letteratura tedesca, sebbene con particolare riferimento alle informazioni che gli acquirenti possono acquisire, nel corso di una scalata, per mezzo di una due-diligence: cfr. ad es. MENNICKE, op. cit., 517 ss.; VON BÜLOW, op. cit., 1067 ss. Con riguardo all’ordinamento statunitense, è interessante osservare che la Rule 14e-3 approntata dalla SEC prevede che, se è iniziato un procedimento di offerta (“tender offer”) o se sono stati compiuti passi per iniziarlo, non si possano acquisire o alienare partecipazioni da parte di chi “is in possession of material information relating to such tender offer which information he knows or has reason to know is nonpublic and which he knows or has reason to know has been acquired directly or indirectly” dall’offerente o dalla società o da soggetti ad essi collegati (e la regola si applica anche alle persone che in accordo con l’offerente lanciano l’offerta su incarico del medesimo); inoltre, “the SEC considers a person to have taken a substantial step to commence a tender offer […] if the bidder has formed a plan to make an offer”: così BROWN et al., op cit., § 2.03, 2-9) . Come si è osservato, questa regola “serves as an adjunct to rule 10b-5” (così SODERQUIST-GABALDON, op. cit., 145; conf. BROWN et al., op. ult. cit., § 2.03, 2-7). In argomento v. anche THOMPSON Jr., op. cit., 8-124 ss.; nonché QUINN, op. cit., 871, per il rilievo che in base a questa norma (e a differenza di quanto statuito in via generale dalle Corti) non occorre la violazione di un fiduciary duty; così come ai sensi della Section 16(b) non serve la prova della condotta decettiva o dell’utilizzo di una material nonpublic information. Analog. PRENTICE, op. cit., 372, proponendo appunto che le teorie che governano la materia dell’insider trading si stacchino dal radicamento alla violazione di fiduciary duties per abbracciare approcci più ampi, come quello della “fraud on investors theory”. Dato che le informazioni sull’offerta possono riguardare anche l’identità degli offerenti e l’eventuale esistenza di un concerto tra di essi, emerge allora un collegamento tra la disclosure degli accordi rilevanti, le tender offers e la disciplina dell’insider trading, con tutte le possibili conseguenze. Una conferma in tal senso si è avuta nel caso Ansin v. River Oaks Furniture, Inc., 105 F.3d 745 (1st Cir. 1997), ove l’informazione tenuta nascosta consisteva proprio nel progetto di lanciare un’offerta pubblica: coloro che avevano alienato le azioni prima che la notizia venisse resa nota, domandarono un risarcimento pari alla differenza tra il prezzo che avevano ottenuto nella negoziazione e quello più alto dell’offerta pubblica stessa. Una norma analoga è presente nel Regno Unito, ove la rule 4.1. del Code stabilisce che “no dealings of any kind in securities of the offeree company by any person, not being the offeror, who is privy to confidential price-sensistive information concerning an offer or contemplated offer may take place between the time when there is reason to suppose that an approach or an offer is contemplated and the announcement of the approach or offer or of the termination of the discussion”. Sul legame tra insider trading e offerte pubbliche d’acquisto (specie negli Stati Uniti), v. nella nostra dottrina CASELLA, op. cit., 809 ss. 75 Pare incontestabile, in altre parole, che si tratti di “un’informazione asimmetrica, ovvero della conoscenza del progetto di coalizione del quale il mercato è ancora all’oscuro”: così MOSCA, Comportamenti, cit., 453, la quale ne ricava perciò che “l’oggetto della trattativa, ovvero l’acquisizione, il rafforzamento o consolidamento del controllo, programmati ancorché non attuati, potrebbero rappresentare un’informazione della quale non abusare ai sensi degli artt. 184 e 187-bis T.U.F.” (ibidem, nt. 6); e v. anche ibidem, 477-478. 76 Per questa impostazione v. PICONE, Trattative, cit., 234 ss.; analog. FERRARINI, La nuova disciplina, cit., 52, il quale osserva che proprio il lancio di un’offerta pubblica di acquisto “può costituire un’informazione privilegiata” (così nella dottrina francese VIANDIER, op. cit., 149): se così è, deve certamente ritenersi che tale possa essere anche il patto parasociale ad essa prodromico, che nasca cioè con l’obiettivo dell’acquisto del controllo. Esso, del resto, pur potendo essere in qualche modo considerato evento preparatorio dell’offerta pubblica, si configura come evento (negoziale) completo in tutti i suoi elementi. Sul punto anche BARTALENA, op. cit., 327; MAGRO, op. cit., 57; GALLI, La disciplina, cit., 14-15; nonché F. BRUNO - RAVASIO, op. cit., 1029, secondo i quali, oltre alla notizia relativa alla scalata della società o al lancio di un’OPA, potrebbero venire in rilievo anche le modifiche dei patti di sindacato. Per una posizione più prudente, secondo cui cioè “it is questionable whether an integral disclosure of all facts reasonably leading to a material event is always the best regulatory choice”, si vedano DI NOIA - GARGANTINI, op. cit., 794 (ove il virgolettato). Come si è appena detto, però, il patto parasociale perfezionato sembra pienamente considerabile alla stregua di un vero e proprio material fact; diversa questione può invece emergere allorché si tratti eventualmente di comprendere se 158 In definitiva, il tratto caratterizzante dell’informazione privilegiata sembra rappresentato dall’idoneità della stessa ad influire in modo sensibile sul prezzo degli strumenti finanziari, requisito meglio specificato dal quarto comma dell’art. 181 T.U.F. attraverso il riferimento a quell’informazione “che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento”: tale può ben essere la notizia circa l’esistenza di un patto parasociale, specialmente se in grado di riunire una percentuale consistente del capitale sociale. 77 Come si è ulteriormente precisato in dottrina, ciò significa che “l’informazione costituisce uno degli elementi impiegati per giungere alla scelta di compiere l’operazione: nel processo formativo della decisione la conoscenza della notizia assume un ruolo determinante e risolutivo, sicché possa appunto dirsi che si è utilizzata anche quella informazione per decidere di effettuare quella operazione”.78 gli stadi della trattativa abbiano già condotto ad un vero e proprio accordo tra gli azionisti: i profili che si vanno esaminando (riguardanti le conseguenze dell’omessa comunicazione del patto) suggeriscono, tuttavia, di concentrare l’attenzione proprio sull’ipotesi in cui il patto sia stato sì stipulato, ma sia stato al contempo mantenuto segreto. 77 La potenziale idoneità dell’informazione concernente l’esistenza di un patto parasociale ad influire sul prezzo delle azioni è evidenziata anche da SAMBUCCI, Patti parasociali, cit., 37. Sul fatto che si tratti di una valutazione ex ante e sull’interpretazione della nozione di “investitore ragionevole”, cfr. in particolare DENOZZA, La nozione di informazione privilegiata, cit., 591 ss.: l’A. afferma che il riferimento al comportamento dell’investitore medio può fornire una prima utile indicazione, ma saranno al contempo rilevanti anche quelle informazioni prese in considerazione da un numero di investitori “tale da poter avere con i loro comportamenti una significativa incidenza sui prezzi”, giacché occorre non perdere di vista “il criterio principale che è rimane il criterio dell’incidenza sui prezzi”. Analog., nella dottrina americana, ENGLE, op. cit., 11, per il rilievo che gli investitori hanno opinioni diverse e differenti propensioni al rischio. La difficoltà della valutazione di tale criterio (c.d. materiality) è stata rilevata anche dalla Corte Suprema degli Stati Uniti [v. Basic, Inc. v. Levinson, 485 U.S. 224 (1988)], la quale ha altresì affermato nella stessa occasione (sebbene con specifico riferimento ad una merger negotiation e non ad una tender offer) che l’informazione diviene rilevante soltanto in presenza di un accordo di massima (“agreement-in-principle”) tra le parti coinvolte (e non già a fronte di semplici discussioni preliminari): solo a partire da questo momento, quindi, verrebbe soddisfatto il requisito della c.d. materiality (v. più ampiamente THOMPSON Jr., op. cit., 6-43 ss.). 78 Sono parole di MUCCIARELLI, L’insider trading nella nuova disciplina del d. lgs. 58/1998, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2000, 950. Analog., più di recente, AMATI, L’abuso di informazioni privilegiate: il reato, in Le nuove leggi civ. comm., 2007, 1053, ove si nota che il verbo “utilizzare” “parrebbe denotare un collegamento motivazionale tra informazione privilegiata e la scelta operativa più forte”. Alla stessa conclusione raggiunta nel testo porta la constatazione che “il ruolo dell’informazione [...] è connesso alla concentrazione proprietaria, alla nascita di un mercato per il controllo del capitale e al conseguente fenomeno della contendibilità del controllo. La contendibilità del controllo e il contesto competitivo che essa genera hanno importanti riflessi sulle performance dell’impresa”: così SCARPA, Asimmetrie informative interorganiche nelle società quotate, in Giur. comm., 2009, I, 516. Non è certo il caso di ribadire l’influenza che la stipula di un patto parasociale (specie se di controllo) può spiegare sotto questi profili. Ancora, la soluzione proposta nel testo sembra risultare coerente anche alla luce della riflessione, ispirata ai paradigmi dell’analisi economica, secondo cui il divieto di insider trading deve colpire coloro i quali sfruttano un’informazione riservata ed acquisita (lecitamente o illecitamente, ma in ogni caso) senza sostenere dei costi che giustifichino la posizione di superiorità informativa raggiunta: così MACCABRUNI, Insider trading e analisi economica del diritto, in Giur. comm., 1995, I, 604 ss. e spec. 609; BALLARINI, op. cit., 1202-1203; nonché, più di recente, ROLFI, L’investitore, le banche e l’insider trading: quale spazio per la tutela aquiliana, nota a Trib. Milano, 14 febbraio 2004, in Corr. giur., 2004, 1652, il quale aggiunge che “l’operazione di insider si traduce nella realtà in un trasferimento indiretto di ricchezza dagli investitori all’insider ottenuto tramite l’occultamento e sfruttamento di informazioni privilegiate” (ibidem, 1653). Per un analogo rilievo nella dottrina americana, v. di recente ODIAN, op. cit., 1332: “insider trading involves the nondisclosure of material nonpublic information, gained not by skill or effort, but rather through the investor’s relationship to the issuing company, its shareholders, or the source of his non public information”. Non è chi non veda come la presenza di un 159 4. Il rapporto tra la responsabilità da mancata opa e la responsabilità civile da insider trading a fronte della scoperta di un patto occulto. Il fatto che l’informazione inerente all’esistenza di un patto parasociale intercetti l’interesse di quanti vogliano conoscere la struttura proprietaria della società è senz’altro facilmente comprensibile nel caso in cui si siano altresì verificati i presupposti dell’OPA obbligatoria da patto occulto, tra i quali spicca l’acquisto di azioni dell’emittente in un arco temporale di dodici mesi che abbia portato alla disponibilità anche congiunta di una partecipazione almeno pari al trenta per cento del capitale sociale; è anche vero, però, che questa pare al contempo l’ipotesi più problematica, perché impone una verifica circa la compatibilità della responsabilità da insider trading con quella nascente in caso di mancata promozione dell’offerta obbligatoria; operazione che, qualora dovesse avere esito positivo, richiederebbe la messa a fuoco dei possibili rapporti tra le due forme di responsabilità. Un punto di partenza di ordine sistematico consiste nella semplice osservazione che non può essere ammessa una duplicazione del risarcimento, allorché venga in considerazione un’unica voce di danno. Pertanto, è appena il caso di rilevare che un cumulo delle due responsabilità potrebbe eventualmente essere ravvisato soltanto in presenza di danni di diversa tipologia (rectius: a fronte di diverse voci di danno). A prima vista, nei confronti degli azionisti che avrebbero dovuto ricevere l’offerta pubblica, la responsabilità (di natura contrattuale) dei pattisti occulti sembra risolversi unicamente in quella precedentemente descritta, volta (e funzionale) a risarcire il danno consistente nella differenza tra il prezzo d’offerta (o meglio, che avrebbe dovuto essere corrisposto in seno all’offerta) e il valore di mercato dei titoli al momento dell’inadempimento.79 Atteso, però, che detto prezzo d’offerta deve essere almeno pari a quello più alto corrisposto dall’offerente (o meglio, dai concertisti offerenti) per i loro precedenti acquisti80, ci si dovrebbe chiedere se l’omessa disclosure del patto parasociale, cui si patto parasociale (occulto) rilevante assuma i connotati di un’ipotesi di superiorità informativa illecitamente acquisita dai suoi membri (e dagli eventuali soggetti al corrente della stipulazione), proprio perché sussiste un obbligo di tempestiva disclosure dell’intervenuto accordo. 79 Salve, naturalmente, le eventuali ulteriori voci di danno di cui si è dato conto (supra, § 2). 80 La regola (art. 106, comma 2, T.U.F.), conosciuta come “best price rule”, è prevista anche nell’ordinamento americano ed è stata esplicitata dalla SEC sulla base della Section 14(d)(7) e in stretta connessione con la c.d. “all holders rule”. La Rule 14d-10(a)(1) e la Rule 14d-10(a)(2) prevedono infatti che: “(a) No bidder shall make a tender offer unless: (1) the tender offer is open to all security holders of the class of securities subject to the tender offer; (2) and the consideration paid to any security holder for securities tendered in the tender offer is the highest consideration paid to any other security holder for securities tendered in the tender offer”. Sul punto, cfr. LOSS-SELIGMAN-PAREDES, Fundamentals of Securities Regulation, Fifth Edition, 2011 Supplement, Austin-Boston-Chicago-New York-The Netherlands, 2011, 338 ss.; BASTOS, op. cit., 140-141, il quale rileva che nel caso in cui il prezzo cresca nel corso dell’offerta, esso deve essere corrisposto anche in relazione agli acquisti già effettuati. Sull’origine e l’evoluzione di tali regole, ritoccate nel 2006, v. anche THOMPSON Jr., op. cit., 8-91 ss.; EBERT, op. cit., 677 ss. Prima della novella, nella giurisprudenza si era già rilevato che l’applicazione della regola non dipende dal momento in cui il più alto corrispettivo è stato pagato, bensì (solo) dal fatto che esso sia strettamente connesso all’offerta e contribuisca al suo successo: v. Padilla v. Medpartners, Inc., No. CV98-1092-RSWL (SHX), 1998 WL 34073629 (C.D. Cal., July 27, 1998); Katt v. Titan Acquisitions, Ltd., 133 F. Supp. 2d 632 (M.D. Tenn. 2000); ma v. per una diversa opinione, che limita l’operatività della regola all’arco di tempo durante il quale ha effettivamente luogo l’offerta, Walker v. 160 siano accompagnati gli acquisti stessi, abbia determinato un abbassamento del valore delle azioni o, per meglio dire, abbia impedito un loro innalzamento (anche, si intende, di quelle azioni per le quali è stato pagato il corrispettivo più alto). In tal caso, infatti (non solo coloro che hanno venduto, ma), anche gli azionisti che hanno semplicemente conservato le loro partecipazioni (e che perciò avevano il diritto di esaminare un’offerta pubblica) potrebbero far valere un’ulteriore voce di danno, questa volta a titolo di responsabilità da insider trading: essa sarebbe appunto pari alla differenza tra il maggior prezzo delle azioni che il mercato avrebbe fissato se l’informazione circa l’esistenza del patto parasociale fosse stata resa nota81 e quello effettivamente corrisposto nelle negoziazioni precedenti l’insorgenza dei presupposti dell’offerta pubblica.82 Il punto va meglio precisato. E’ vero che, in linea di principio, la responsabilità da insider trading è predicabile (in capo a e) nei confronti di chi ha operato attivamente sul mercato nell’intervallo di tempo rilevante83: dunque, in base a ciò essa dovrebbe essere esclusa nei confronti di chi si sia limitato a conservare le proprie azioni 84; è anche vero, però, che la responsabilità da insider trading nei riguardi di chi ha ceduto le proprie azioni (ai pattisti e non, come tra breve si dirà) nel suddetto arco temporale fa sì che il prezzo dell’OPA avrebbe dovuto attestarsi proprio su quel più alto valore che i titoli avrebbero raggiunto in presenza di una regolare disclosure. Dunque, è forse più corretto dire (ma il risultato pratico non muta) che la responsabilità da mancata OPA nei confronti degli azionisti che si siano limitati a conservare la propria partecipazione senza compiere negoziazioni possa essere parametrata a quel maggior valore (maggiore, cioè, del più alto corrispettivo pagato) determinato secondo i criteri della responsabilità da insider Shield Acquisition Corp., 145 F. Supp. 2d 1360 (N.D. Ga. 2001); tutti riportati da DAVIS, op. cit., 183 ss. L’attuale formulazione della Rule 14d-10(a)(2), che ha sostituito l’espressione “during such tender offer” con quella di “securities tendered in the tender offer” sembra aver risolto il dibattito in favore della prima interpretazione. 81 Sulla modalità con cui il mercato, specialmente attraverso l’attività degli investitori professionali, provvede a determinare “prezzi che tendono a riflettere tutte le informazioni pubblicamente disponibili” cfr. PERRONE, Informazione al mercato e tutele dell’investitore, Milano, 2003, 62 (cui appartiene il virgolettato); nonché S. BRUNO, op. cit., 1330. 82 Per un cenno in tal senso si veda, in passato, BALLARINI, op. cit., 1182. In Francia, in un caso in cui un certo numero di soci aveva alienato azioni della società alcuni giorni prima dell’annuncio di un progetto per l’acquisto del controllo, la Corte ha riconosciuto loro il risarcimento del danno corrispondente alla differenza tra il prezzo offerto per l’acquisto del controllo e quello a suo tempo ricevuto in sede di alienazione: CA Paris 26 sept. 2003, RJDA 2/04 n. 181, su cui v. anche VIANDIER, op. cit., 148. 83 Si tratta, naturalmente, dell’intervallo compreso tra il momento della venuta ad esistenza dei fatti (nel nostro caso: la stipula del patto) che avrebbero dovuto essere resi noti e quello (successivo) della generale conoscenza della relativa informazione. 84 In base a tale rilievo, certa dottrina aveva in passato escluso in linea generale la possibilità di prospettare una responsabilità civile degli insiders nei confronti degli operatori ignari, argomentando che la decisione di questi ultimi potrebbe pur sempre essere il frutto di un’autonoma determinazione e che, comunque, essi subirebbero il pregiudizio in parola anche in assenza della condotta attiva dell’insider: BARTALENA, op. cit., 230 ss. e 340 ss., il quale finiva per ammettere unicamente una possibile responsabilità della società (ed eventualmente dei suoi amministratori) per l’omessa diffusione delle informazioni privilegiate. Ma poiché l’evento dannoso (come lo stesso Autore riconosceva) “è ravvisabile nel compimento, da parte dell’operatore ignaro, di un’operazione che avrebbe concluso a condizioni diverse, qualora fosse stato a conoscenza dei dati non divulgati” (ibidem, 340), non è certo escluso che il pregiudizio in questione vada in ogni caso risarcito, al limite a titolo di responsabilità per omessa disclosure di un’informazione che avrebbe dovuto essere resa nota (v. anche infra, § 7). 161 trading.85 Come si è efficacemente messo in luce nella letteratura americana (con specifico riferimento all’ipotesi in cui la progressiva acquisizione del controllo sia tenuta nascosta a mezzo dell’acquisto di strumenti finanziari derivati che celino la sostanziale titolarità di partecipazioni), “it is implicitly assumed [nella c.d. best price rule, n.d.r.] that the share price reflects the increased probability of a control contest. This assumption is no longer valid if the market is unable to anticipate a control contest because the acquirer silently built his stake through derivatives. Thus, derivatives enable acquirers to effectively reduce the price to be paid in the mandatory bid.”86 Naturalmente, come si è detto, tale danno può essere in primo luogo lamentato proprio dalle controparti dei pattisti-insiders, ossia da coloro che abbiano venduto le loro azioni a questi ultimi per un prezzo inferiore a quello che si sarebbe venuto a determinare in presenza di una regolare disclosure. Un importante corollario è che, ove vi fossero azionisti che abbiano in parte alienato il loro originario pacchetto azionario e in parte l’abbiano conservato (dopo aver maturato il diritto a ricevere un’OPA), questi potranno pretendere il ristoro della voce di danno di cui si è riferito con riguardo ad entrambi i gruppi di titoli. L’ipotesi descritta è tutt’altro che difficile da immaginare: basti pensare, infatti, all’esistenza di un accordo tra soci (cui, appunto, faccia seguito l’acquisto di azioni in misura rilevante) volto ad ottenere il controllo della società e nel contempo a sviluppare uno specifico progetto imprenditoriale o di mercato, oppure a risollevare le sorti della stessa società o ad irrobustirla dal punto di vista patrimoniale.87 E’ evidente che simili notizie, se diffuse sul mercato, potrebbero determinare un incremento del valore delle azioni dell’emittente e che, in pari tempo, i pattisti potrebbero avere interesse a mantenere segreto (magari anche soltanto temporaneamente) il loro accordo proprio al fine di tentare di ridurre i costi della complessiva operazione di acquisizione del dominio sulla società.88 Inoltre, se si considera che il patto occulto avente come 85 Si noti che, sul fronte della responsabilità, tale soluzione è del tutto coerente con la possibilità riconosciuta alla Consob dall’art. 106, comma 3, lett. d), n. 4), T.U.F., in caso di OPA regolarmente promossa, di determinare il prezzo dell’offerta in misura superiore a quello più elevato pagato ove “vi sia il fondato sospetto che i prezzi di mercato siano stati oggetto di manipolazione” (corsivo aggiunto). Similmente, nella letteratura tedesca si è osservato che quando l’obbligo di OPA incrocia i presupposti della disciplina dell’insider trading, il prezzo dell’OPA dovrebbe essere ragguagliato al valore che le azioni assumerebbero ove tutte le circostanze rilevanti (o informazioni privilegiate) fossero rese note: VON BÜLOW, op. cit., 1070. 86 SCHOUTEN, op. cit., 38. 87 Almeno in un caso deciso dalle Corti americane si era posto il problema della responsabilità da insider trading di un soggetto che, avendo avuto notizia che la società sarebbe stata soggetta ad un’imminente tender offer, decise di acquistare un ingente quantitativo di titoli al fine di rivenderli ad un prezzo maggiore in seguito all’annuncio dell’offerta stessa: cfr. United States v. Chestman, 947 F.2d 551 (2d Cir. 1991), commentata da BEXLEY, op. cit., 201 ss. Condannato in primo grado, Chestman fu mandato esente da responsabilità in appello per la mancanza di un fiduciary duty nei confronti della fonte dell’informazione (per tale ragione, come rileva l’A. da ultimo citato, questa decisione ha rappresentato il primo passo della conclusione poi raggiunta dalla Corte Suprema in “O’Hagan”). 88 Sul fatto che ciò sia confermato anche da analisi empiriche si veda, nella dottrina americana, SCHOUTEN, op. cit., 10. E’ assai interessante notare che una simile conclusione è stata raggiunta anche in un importante caso deciso negli Stati Uniti, ove la Corte ha osservato che “section 13(d) is a crucial requirement in the congressional scheme, and a violator, it is legislatevly assumed, improperly benefits by purchasing stocks at an artificially low price because of a breach of the duty Congress imposed to disclose his investment position. The disclosure of that position - a holding in excess of 5 percent of 162 obiettivo la corsa al controllo comprenderà normalmente intese di carattere imprenditoriale o finanziario concernenti la società emittente, risulterà più facile (anche da un punto di vista pratico) intuire (ed avere una conferma di) come la notizia sull’esistenza di un accordo parasociale abbia tutte le carte in regola per poter rientrare nella nozione di informazione privilegiata, proprio in quanto riguardante (anche) l’emittente e destinata a ripercuotersi sulle sue vicende in misura rilevante. Certo, non può essere eliminata la difficoltà di prova del danno da insider trading come sopra descritto89, né quella, ben nota, di individuare, nel caso di another company’s stock - suggests to the rest of the market a likely takeover and therefore may increase the price of the stock [...] the circumventions caused injury to other market participants who sold stock without knowledge of First City’s holdings. We therefore see no relevant distinction between disgorgement of insider trading profits and disgorgement of post-section 13(d) violation profits”: così la Corte nel già citato caso SEC v. First City Financial Corp. Ltd., 890 F.2d 1215, 1230 (D C. Cir. 1989). Dunque, si è qui riconosciuto che la mancata disclosure di una partecipazione rilevante può causare un danno al mercato e agli investitori, impedendo l’innalzamento dei prezzi che altrimenti ne deriverebbe, giusta la probabilità di un’imminente offerta pubblica: pertanto, tale condotta reticente dovrebbe essere sanzionata alla stessa stregua di una condotta di insider trading. Inoltre, diverse volte le Corti americane hanno riconosciuto agli investitori danneggiati la disponibilità di un’azione di danni per la violazione della c.d. best price rule [Section 14(d)(7) SEA e Rule 14d-10], che potrebbe coesistere con i rimedi di natura pubblicistica attivati dalla SEC: v. Katt v. Titan Acquisitions, Ltd., cit.; Epstein v. MCA, Inc., 50 F.3d 644 (9th Cir. 1995); Alidina v. Penton Media, Inc., 2000 WL 98025 (S.D.N.Y. 2000); Perera v. Chiron Corp., 1996 WL 251936 (N.D. Cal. 1996); Gerber v. Computer Assocs. Intern. Inc., 812 F. Supp. 361 (E.D.N.Y. 1993). Mettendo a sistema queste due conclusioni, ne deriva una possibile responsabilità in caso di mancata comunicazione di un’informazione rilevante inerente all’offerta, la quale può consistere nell’esistenza di un patto a ciò finalizzato: può infatti accadere che i concertisti paghino un determinato prezzo per un pacchetto di partecipazioni a trattativa privata e continuino ad acquistare azioni sul mercato ad un prezzo inferiore a quello che si formerebbe in seguito ad una corretta disclosure. Nella prospettiva delineata, la mancata disclosure di un patto parasociale che impedisca un incremento del valore di mercato dei titoli della società potrebbe consentire di prospettare una responsabilità dei pattistiinsiders anche nei confronti della stessa società: sul punto v. in particolare MACRI’, Informazioni privilegiate, cit., 109 ss., il quale ipotizza un danno all’immagine sul mercato della società, che proprio in caso di insider trading sarebbe maggiore rispetto a quello subito nel (semplice) caso di mancata disclosure di informazioni privilegiate (su cui v. infra). Ma v. anche, in passato, ABBADESSA, L’insider trading nel diritto privato italiano: prima e dopo la legge n. 157/1991, in Banca, borsa, tit. cred., 1992, I, 749 ss.; MACCABRUNI, op. cit., 611 (ma anche 614 ss.), per il rilievo che “se l’informazione privilegiata incide, distorcendolo (almeno temporaneamente) sul corso dei titoli di un determinato emittente, l’investimento nei titoli stessi diviene più rischioso e dunque, più costoso per l’emittente stesso, il quale, quindi, subisce un danno economico rilevante.” 89 Sui problemi della quantificazione del danno da insider trading nel nostro ordinamento, emersi da tempo, v. ABBADESSA, L’insider trading, cit., 762 ss.; MACCABRUNI, op. cit., 614 ss. Negli Stati Uniti, il tema ha costituito oggetto di una ben più estesa riflessione, sia in dottrina che in giurisprudenza: per una completa panoramica si veda, da ultimo e di recente, WANG, op. cit., 1 ss., il quale osserva che il tetto massimo del risarcimento che è possibile pretendere dall’insider coincide con il suo profitto e, dunque, ogni investitore danneggiato potrebbe ottenere un ristoro per il proprio pregiudizio solo proporzionalmente e in misura limitata (ibidem, 3). Il principio del limite alla risarcibilità dei danni è riscontrabile nella Section 20A del SEA, ove si stabilisce che (a) “any person who violates any provision of this title or the rules or regulations thereunder by purchasing or selling a security while in possession of material, non-public information shall be liable in an action in any court of competent jurisdiction to any person who, contemporaneously with the purchase or sale of securities that is the subject of such violation, has purchased (where such violation is based on a sale of securities) or sold (where such violation is based on a purchase of securities) securities of the same class”; e che (b) “the total amount of damages imposed under subsection (a) shall not exceed the profit gained or loss avoided in the transaction or transactions that are the subject of the violation”. Ad ogni modo, i criteri riguardanti l’esatta determinazione dei danni da insider trading sono eminentemente il frutto dell’elaborazione giurisprudenziale, che ha tentato di fornire appigli sicuri a fronte di una situazione di incertezza non ancora dissipata; come si è rilevato, infatti, “no coherent doctrinal statement exists for calculating open- 163 compravendite avvenute sul mercato regolamentato, le controparti degli insiders legittimate ad agire per il risarcimento del pregiudizio subito.90 A ciò si accompagnano problemi di non poco conto in punto di prova del nesso causale tra la condotta dell’insider e il danno lamentato: sotto questo aspetto, però, si può accogliere l’idea secondo cui “la circostanza per la quale l’operatore di mercato ignaro ha compravenduto il titolo in questione essendo all’oscuro di notizie note all’insider idonee a determinare (sulla base di uno standard market model) una variazione del valore reale del titolo sembra rappresentare sufficiente prova dell’esistenza di un nesso eziologico fra il danno ed il comportamento del danneggiante”91, a motivo dell’affidamento riposto nella completezza e correttezza delle informazioni disponibili. market damages in Rule 10b-5 securities fraud class action”: così CHAMBLEE BURCH, Reassessing Damages in Securities Fraud Class Actions, in Maryland Law Review, 2007, 349; analog. in precedenza LOWENFELS - BROMBERG, op. cit., 1084. Peraltro, molte azioni civili per insider trading (per quanto alcuni Stati ammettano azioni individuali) sono state iniziate dalla SEC ai sensi della Section 21(d), generalmente con successivo intervento dei soggetti danneggiati: BAINBRIDGE, An Overwiew, cit., 9. Per un’analisi del rapporto tra sanzioni pubbliche e private nell’ordinamento americano, v. tra gli altri SHEN, A Comparative Study of Insider Trading Regulation Enforcement in the U.S. and China, in Journal of Business & Securities Law, 2008, v. 9, 41 ss. e spec. 68 ss. Per le difficoltà di prova di una condotta di insider trading, in particolare alla luce della necessità di dimostrazione dell’elemento soggettivo, v. VELIOTIS, op. cit., 313 ss. e spec. 351 ss. 90 A ciò si aggiungono le difficoltà di ordine procedurale concernenti l’esperimento dell’azione. Pur non essendo questa la sede per approfondire oltremisura il tema, vale la pena segnalare che negli Stati Uniti la responsabilità in questione è fatta valere attraverso le c.d. Securities class actions, peraltro promosse generalmente nei confronti della società e non nei confronti degli autori della condotta fraudolenta (per lo più i suoi amministratori): sul punto CHAMBLEE BURCH, op. cit., 350 (nt. 4). Ciò rappresenta un aspetto problematico, che la dottrina sta cercando di superare ammettendo un’azione diretta nei confronti delle persone fisiche responsabili, anche in considerazione del fatto che l’attuale meccanismo finisce per far ricadere indirettamente i costi dell’azione sugli stessi shareholders: cfr. ad es. COFFEE Jr., Reforming, cit., 1534 ss. e spec. 1538, 1566 e 1583 ss. (ma ritenendo la società eventualmente responsabile in via sussidiaria allorché la stessa abbia negoziato propri titoli nel periodo rilevante); ID., Causation by Presumption? Why the Supreme Court Should Reject Phantom Losses and Reverse Broudo, in The Business Lawyer, 2005, v. 60, 542-543, per il rilievo che l’azione promossa nei confronti della società perde la sua funzione deterrente. La stessa intenzione è stata espressa dalla SEC (Press Release, U.S. Sec & Exch. Commission, Statement of the Securities and Exchange Commission Concerning Financial Penalties, Jan. 4, 2006, disponibile su www.sec.gov). Nel nostro ordinamento, l’ipotesi qui allo studio consentirebbe la proposizione dell’azione nei confronti dei pattisti-insiders, ma rimarrebbero i ben noti problemi legati all’esperimento di una class action: v. in argomento FAUCEGLIA, La class action nel diritto degli strumenti finanziari e delle società: è possibile una via italiana alla tutela collettiva degli investitori?, in Riv. dir. impr., 2009, 261 ss.; VIGORITI, Class action e azione collettiva risarcitoria. La legittimazione ad agire ed altro, in Contr. e impr., 2008, 729 ss. Per analoghe considerazioni nella letteratura francese v. LAPRADE, Concert et côntrole, cit., 260, ove si osserva che è complicato far valere la responsabilità civile da omessa informazione ai sensi dell’art. 1382 Code Civil, perché ogni azionista dovrebbe intentare un’azione individuale e la prova del pregiudizio è difficile da fornire. 91 Così, da ultimo, MACRI’, Informazioni privilegiate, cit., 172; ma già PERRONE, op. cit., 187, sebbene con specifico riferimento alla responsabilità per omessa informazione (su cui v. infra, § 7) e non all’ipotesi dell’insider trading: osservava pertanto l’A. che la prova del nesso eziologico si risolve “nella semplice prova che il prezzo si è artificiosamente formato in conseguenza della falsa od omessa informazione”. Sul problema del nesso di causalità, accreditata dottrina aveva in passato osservato che l’insider convenuto per il risarcimento dei danni non potrebbe eccepire che “l’attore, dando egualmente corso alla propria operazione, avrebbe comunque subito il danno [...] in quanto è principio ricevuto che il nesso eziologico non si interrompe per il semplice fatto che un evento analogo potrebbe verificarsi in forza di una serie causale distinta (diverso contratto concluso con soggetto non insider)”: con queste parole ABBADESSA, L’insider trading, cit., 756. Proprio di tale principio ha fatto applicazione il Tribunale di Milano nella ormai celebre sentenza del 14 febbraio 2004 in tema di risarcimento del danno da insider trading; del resto, come si è correttamente rilevato, “la ‘depurazione’ degli altri fattori causali è 164 Tale conclusione coincide sostanzialmente con la c.d. fraud-on-the-markettheory, sviluppata da tempo negli Stati Uniti e accolta anche dalla Corte Suprema nel celebre caso Basic Inc. v. Levinson del 1988, il quale (pur non avendo ad oggetto specificamente un’offerta pubblica) riguardava la (simile) vicenda di investitori che vendettero le loro azioni nel periodo compreso tra il diniego da parte di Basic dell’esistenza di trattative volte ad una merger acquisition e l’annuncio che tale operazione era in realtà stata avviata: ebbene, gli investitori affermarono di aver alienato i loro titoli ad un prezzo artificiosamente ridotto proprio dalla mancanza di una corretta disclosure.92 Ma anche di recente la stessa Corte Suprema americana ha riconosciuto operazione che, semmai, può rilevare nel momento, successivo, del calcolo della corretta quantificazione del danno” (così GIAVAZZI, op. cit., 123). 92 Cfr. Basic, Inc. v. Levinson, cit. (1988), ove si affermava che la teoria in questione “is based on the hyphotesis that, in an open and developed Securities market, the price of a company’s stock is determined by the available material information regarding the company and its business […] The causal connection between the defendants’ fraud and the plaintiffs’ purchase of stock in such a case is no less significant than in a case of direct reliance on misrepresentations [ibidem, 241-242 e riprendendo Peil v. Speiser, 806 F.2d 1154, 1160-61 (3d Cir. 1986)]; pertanto, “an investor who buys or sells stocks at the price set by the market does so in reliance on the integrity of that price” (ibidem, 247). La tesi era peraltro già stata prospettata in dottrina: per tutti, FISCHEL, Use of Modern Finance Theory in Securities Fraud Cases Involving Actively Traded Securities, in The Business Lawyer, 1982, v. 38, 1 ss. V. anche, dopo “Basic”, tra le altre, Gebhardt v. ConAgra Foods, Inc., 335 F.3d 824 (8th Cir. 2003); Knapp v. Ernst & Whinney, 90 F.3d 1431 (9th Cir. 1996); Gray v. First Winthrop Corp., 82 F.3d 877 (9th Cir. 1996). Come la dottrina ha rilevato, il fatto che tale elemento sia divenuto nella giurisprudenza un tratto caratteristico anche delle azioni di insider trading ai sensi della Section 10(b) del SEA e della Rule 10b-5, implica il venir meno della necessità di prova individuale dell’affidamento nella corretta informazione, proprio perché la c.d. materiality viene valutata su un piano, per così dire, generale: BROWN et al., op. cit., § 2.03, 2-17. Tale impostazione non è però accettata unanimemente e la stessa Corte Suprema in un’altra famosa pronuncia - che ha innescato negli ultimi anni una forte contesa dottrinale e giurisprudenziale - ha statuito che l’attore deve provare specificamente che la condotta del convenuto “caused the loss for which the plaintiff seeks to recover” [v. Dura Pharmaceuticals, Inc. v. Broudo, 544 U.S. 336 (2005)]. In altre parole, non sarebbe sufficiente ai fini della prova del nesso causale dimostrare la falsa od omessa informazione da parte dell’autore dell’illecito e nemmeno l’alterazione del prezzo dei titoli in seguito a tale condotta, dovendosi riscontrare una perdita economica ex post. La sentenza in parola è stata commentata adesivamente, da ultimo, da AVDEEV, Proving Causation in Federal Securities Litigation Cases: Dura Pharmaceuticals, Inc. vs. Broudo, in International Journal of Business and Social Science, 2012, v. 3, 46 ss. (e v. spec. 50). Sulla necessità di prova specifica della “loss causation”, v. anche, successivamente, Teachers’ Retirement Sys. of La. v. Hunter, 477 F.3d 162, 186 (4th Cir. 2007); Oscar Private Equity Inv. v. Allegiance Telecom, Inc., 487 F.3d 261, 265 (5th Cir. 2007); Merrill Lynch & Co., Inc. v. Allegheny Energy, Inc., 500 F.3d 171, 184 (2d Cir. 2007); Williams Sec. Litig. - WCG Subclass, 558 F.3d 1130 (10th Cir. 2009), rilevando la necessità della prova “that ... losses were attributable to the revelation of the fraud and not the myriad other factors that affect a company’s stock price”. Ma di nuovo in adesione a Basic, Inc. v. Levinson, v. Lapin v. Goldman Sachs & Co., 2008 Fed. Sec. L. Rep. (CCH) §94,842 a 95,516-95,517 (S.D.N.Y. 2008). La posizione assunta dalla Corte Suprema in “Dura” è stata criticata, con argomentazione alquanto accurata, da FOX, After Dura: Causation in Fraud-on-the-Market Actions, in Journal of Corporation Law, 2006, 829 ss.: l’A. ha sostenuto che la Corte abbia erroneamente applicato a negoziazioni avvenute sul mercato categorie tradizionalmente modellate sulle “face-to-face transactions”, vale a dire la c.d. transaction causation (in base alla quale l’attore deve provare che senza l’errata od omessa informazione non avrebbe concluso l’operazione, in ragione dell’affidamento riposto nel comportamento della controparte) e la c.d. loss causation (che richiede la prova di una successiva variazione del prezzo ricevuto o corrisposto nella transazione e del fatto che essa sia eziologicamente riconducibile al “misstatement”): la fondazione giurisprudenziale di tale apparato concettuale risale a Schlick v. Penn Dixie Cement Corp., 507 F.2d 374 (2d Cir. 1974); e a Huddleston v. Herman & MacLean, 640 F.2d 534, 549 (5th Cir. 1981); ma v. anche, più di recente, Suez Equity Investors v. TorontoDominion Bank, 250 F.3d 87, 95 (2d Cir. 2001). La Corte in “Dura”, in altri termini, poggiando il suo ragionamento su detta distinzione, ha concluso nel senso che la c.d. loss causation non può essere provata semplicemente mostrando che il prezzo dei titoli era stato inizialmente alterato dalla falsa o mancata 165 l’applicabilità della c.d. presumption of reliance (ossia la presunzione di affidamento nell’integrità del mercato e nella completezza e correttezza delle informazioni disponibili) nell’ipotesi di occultamento di un “material fact” in ordine al quale sussiste un dovere di comunicazione.93 Con riferimento alle ipotesi di mancata disclosure, “the justification for this presumption of reliance is that it is generally impossibile for a plaintiff to prove that he relied on what was not disclosed”.94 Dunque, a parte il rilievo che i richiamati ostacoli di ordine pratico non incidono sulla ricostruzione sistematica che ammette la praticabilità del rimedio civilistico in parola95, atteso che nell’ipotesi in esame si sono verificati anche i presupposti dell’obbligo di promozione dell’offerta pubblica e dunque i pattisti-insiders hanno dato luogo ad acquisti di azioni nella fase di occultamento dell’informazione, in base a quanto si è detto si può sostenere l’idea che tutti coloro che hanno alienato (ai pattisti e non) azioni della società nell’arco temporale che va dall’omissione dell’informazione a quello della sua (comunque avvenuta) scoperta, possano domandare agli insiders il risarcimento, nella misura di cui si è detto, per aver alienato a un prezzo ridotto: disclosure; ma l’A. da ultimo citato mette correttamente in evidenza che nell’ipotesi di negoziazioni avvenute sul mercato non si può richiedere la prova che l’attore non avrebbe contrattato in assenza della condotta illecita: dato che le negoziazioni sono condotte in modo “impersonale”, ciò che conta è semmai l’affidamento (di natura diversa) riposto nell’integrità del mercato e nella correttezza dei prezzi da questo espressi (ibidem, 832-833 e 838-839). Sull’impossibilità di trasferire i tradizionali principi di tort law alle azioni di danni per condotte fraudolente sui mercati regolamentati v. anche FISCH, Cause for Concern: Causation and Federal Securities Fraud, in Iowa Law Review, 2009, v. 94, 829 ss. e spec. 841. Per l’opinione contraria alla sostenibilità della c.d. fraud on the market theory v. invece di recente ENGLE, op. cit., 21 ss.; LANGEVOORT, Basic at Twenty: Rethinking Fraud on the Market, in Wisconsin Law Review, 2009, 151 ss. e spec. 178 (“there is no good reason for any investor simply to assume the absence of fraud”, ma, si badi, l’A. specifica che tale affermazione non vale in presenza di uno specifico “duty to disclose”: ibidem, 194). Anche più di recente la Corte Suprema, pur occupandosi eminentemente di una questione processuale collegata all’onere di provare il nesso di causalità, ha ribadito sostanzialmente la posizione espressa in “Dura” circa la necessità di una prova specifica della c.d. loss causation, ancora distinguendo quest’ultima dalla c.d. transaction causation: v. Erica P. John Fund, Inc. v. Halliburton Co., 2011 U. S. LEXIS 4181, No. 09-1403 (U. S. S. Ct., June 6, 2011). Per un commento, v. in particolare ERDLEN, Time is everything: Markets, Loss, and Proof of Causation in Fraud on the Market Actions, in Fordham Law Review, 2011, v. 80, 877 ss. E’ opportuno sottolineare che sebbene il dibattito americano in argomento si concentri pressoché interamente sull’ipotesi in cui il soggetto danneggiato abbia acquistato azioni ad un prezzo gonfiato dalla condotta fraudolenta, l’analisi che si va conducendo e le problematiche di cui si dà conto possono senz’altro riferirsi, mutatis mutandis, anche al caso che qui più interessa, ossia quello di chi abbia alienato le azioni della società ad un prezzo inferiore a quello che avrebbe dovuto riflettere la piena conoscenza delle informazioni rilevanti, come del resto riconosce espressamente la già riportata previsione della Section 20A del SEA (e come è accaduto nel caso Basic v. Levinson). E’ quanto afferma anche FOX, After Dura, cit., 863: “fraud-on-the-market suits are also available to sellers who sell at a price that has been depressed due to a negative misstatement [...] This hypothetical concerning a plaintiff seller and a negative misstatement is completely symmetrical to one involving a plaintiff purchaser and a positive misstatement, and there is no apparent rationale for treating them differently”. Analog., in precedenza, LOWENFELS - BROMBERG, op. cit., 1086. 93 V. Stoneridge Investment Partners, LLC v. Scientific-Atlanta, 128 S. Ct. 761, 769 (2008); sul punto FRANCIS, op. cit., 3056. Peraltro la giurisprudenza, anche prima di “Basic”, aveva riconosciuto l’utilizzabilità della c.d. presumption of reliance proprio nell’ipotesi di omessa disclosure (sebbene il caso riguardasse una c.d. face-to-face-transaction): v. Affiliated Ute Citizens of Utah v. United States, 406 U.S. 128, 153-154 (1972). La presunzione può essere paralizzata dai convenuti, provando che chi agisce in giudizio non ha in realtà fatto alcun affidamento sulla pretesa omissione: cfr. Sharp v. Coopers & Lybrand, 649 F.2d 175, 186 (3d Cir. 1981). 94 Così LEVY, op. cit., 17-22. 95 E v. per un simile rilievo MACRI’, Informazioni privilegiate, cit., 146. 166 inferiore, cioè, a quello che avrebbe dovuto riflettere in maniera completa le corrette informazioni riguardanti l’emittente.96 Tale danno sarà però diminuito in ragione degli acquisti che i medesimi soggetti abbiano contemporaneamente (o meglio: nel medesimo intervallo di tempo) effettuato a un prezzo più basso del dovuto. 97 Quest’ultima osservazione vale ovviamente anche riguardo ai soggetti che, avendo conservato azioni della società (avendone o meno, anche in parte, alienate) avrebbero avuto diritto a ricevere un’offerta pubblica di acquisto: qualora, cioè, essi abbiano proceduto anche ad acquisti nell’arco di tempo rilevante e per un valore sottostimato a causa dell’omessa informazione, il loro danno risulterà ridotto in misura corrispondente.98 96 Quello riportato è tradizionalmente il criterio di determinazione del danno da insider trading applicato in via principale dalle Corti americane, noto con la denominazione di “out of pocket measure” (o anche “out of pocket loss”) e accolto anche dalla Corte Suprema sin dal noto caso Affiliated Ute Citizens of Utah v. United States, cit., che concerneva tra l’altro un’ipotesi di frode ai danni dell’alienante dei titoli negoziati sul mercato. Ma si vedano anche, ex multis, Mathews v. Kidder, Peabody & Co., 260 F.3d 239, 249 (3d Cir. 2001); Ambassador Hotel Co. v. Wei-Chuan Inv, 189 F.3d 1017, 1030 (9th Cir. 1999); Robbins v. Koger Properties, Inc., 116 F.3d, 1141, 1147 n. 5 (11th Cir. 1997), che individuava il danno nella “difference between the price paid and the ‘real’ value of the security, i.e., the fair market value absent the misrepresentations, at the time of the initial purchase”; Edward J. DeBartolo Corp. v. Coopers & Lybrand, 928 F. Supp. 557, 565 (W. D. Pa. 1996); Astor Chauffeured Limousine Co v. Rumfield Inv Corp., 910 F.2d 1540, 1551 (7th Cir. 1990); Wool v. Tandem Computers Inc., 818 F.2d 1433, 1437 (9th Cir. 1987); Hackbart v. Holmes, 675 F.2d 1114, 1121 (10th Cir. 1982), per l’affermazione che “the customary measure of damages in a Rule 10b-5 case is the out-of-pocket loss”; Glick v. Compagna, 613 F.2d 31, 36 (3d Cir. 1979), ove il rilievo che “the traditional measure of damages is the difference between the fair value of what the seller receives for his stock and what he would have received had there been no fraudulent conduct”. In dottrina, per tutti, SODERQUISTGABALDON, op. cit., 165; WANG, op. cit., 5; FOX, After Dura, cit., 839 e 845. Sul fatto che non siano solo le dirette controparti dell’insider a subire un danno, si vedano in particolare, nella nostra dottrina, MACCABRUNI, op. cit., 617-618; G. SANTORO, op. cit., 679. In passato, aveva escluso la responsabilità risarcitoria dell’insider “a vantaggio di tutti coloro che nel periodo critico hanno compiuto operazioni di segno inverso”, invece, ABBADESSA, L’insider trading, cit., 758; l’A. argomentava in base all’assenza di una norma dalla quale potesse desumersi un “dovere di informazione erga omnes” dell’insider, possibile fonte di responsabilità aquiliana: tale norma può però oggi essere ravvisata nell’art. 114 T.U.F. (e, con specifico riferimento ai patti parasociali, anche nell’art. 122 T.U.F.). Si può notare inoltre che a fronte del danno subito da ogni investitore pregiudicato, vi sarà chi “dall’operazione riceve un guadagno inaspettato”: PERRONE, op. cit., 63; nella letteratura americana, tra i tanti, CHOIPRITCHARD, op. cit., 342. Non sembra però il caso di ammettere l’esperibilità di un’azione di arricchimento ingiustificato nei confronti degli investitori che hanno (inconsapevolmente) tratto profitto dalla condotta dell’insider, anche perché nella specie è individuabile il responsabile di un illecito, ed è su costui che dovrà gravare il costo del danno subito dagli altri operatori. Ma v. anche GIUDICI, La responsabilità, cit., 292, per il rilievo che l’insider con le sue operazioni tende ad avvicinare il prezzo di mercato al “livello su cui si posizionerà con la scoperta dell’informazione segreta”; analog. BARUCCIFARALLI, Una metodologia per l’individuazione di fenomeni di market abuse nei mercati finanziari, in Banca impresa società, 2004, 524. 97 Per un’osservazione simile nella dottrina statunitense (anche se nella prospettiva di un originario acquisto e non di un’originaria alienazione), v. FOX, After Dura, cit., 844 e 845, ove acutamente si rileva che nel caso in cui venga compiuta un’operazione di segno contrario prima dell’acquisizione della notizia da parte del mercato, si è di fronte ad una situazione di assenza (o diminuzione) del danno. 98 L’assunto può essere meglio precisato accogliendo la tesi, prospettata nella dottrina e nella giurisprudenza statunitensi, secondo cui in presenza di operazioni di segno opposto, la compensazione tra perdite e guadagni dovrebbe operare (soltanto) qualora le diverse negoziazioni siano parte di una medesima strategia o progetto di investimento (c.d. “ongoing trading strategy”): cfr. FRANCIS, op. cit., 3085 ss. (“when the criteria of an ongoing trading strategy are met, however, the chain of individual investment decisions can rationally be regarded as one large investment decision merely broken up over time into smaller units”; e dunque “the investor’s losses on certain investment transactions should not be offset by gains on other transactions that are completely unrelated to his claim for damages”); nelle Corti, v. Rocker Management, LLC v. Lernout & Hauspie Speech Products N. V., 2007 WL 2814653, 14- 167 Proprio con riferimento alla posizione di tali soggetti che hanno conservato una parte di azioni della società, è opportuno sottolineare che il principio secondo cui la c.d. compensatio lucri cum damno può operare soltanto nel caso in cui i due eventi di segno opposto trovino le loro radici nel medesimo fatto (illecito), impedisce di tenere conto di eventuali successive oscillazioni in positivo del valore di mercato delle azioni non dipendenti dal comportamento dell’insider.99 Ciò significa che il pregiudizio va “fotografato” per come si delinea al momento della condotta antigiuridica, anche qualora le azioni (di cui appunto l’attore in giudizio continui a disporre) dovessero godere di un successivo aumento di valore (prima, o, più verosimilmente) a seguito della (successiva) diffusione dell’informazione rilevante (rectius: privilegiata).100 15 (D.N.J. Sept. 24, 2007), ove si è anche ritenuto che si debba valutare caso per caso e in base alle circostanze concrete. Tale impostazione consentirebbe di superare la contrapposizione che si riscontra nella giurisprudenza americana e che investe anche gli obiettivi primari della tutela civilistica, operando un adeguato bilanciamento tra gli stessi: secondo un primo, tradizionale, indirizzo (c.d. netting approach), i guadagni ottenuti da operazioni di segno inverso determinerebbero sempre una diminuzione del danno risarcibile [v. Abrahamson v. Fleschner, 568 F.2d 862, 878-879 (2d Cir. 1977); Blackie v. Barrack, 524 F.2d 891, 908-911 (9th Cir. 1975); Wolf v. Frank, 477 F.2d 467, 478-479 (5th Cir. 1973); Richardson v. MacArthur, 451 F.2d 35, 43-44 (10th Cir. 1971)]; secondo altro orientamento (c.d. transactional approach, che ha riguardo cioè ad ogni singola operazione compiuta) dovrebbe sempre consentirsi al danneggiato di recuperare le perdite subite in ogni singola negoziazione, senza considerare gli eventuali profitti eventualmente derivanti da quelle di segno contrario [v. Argent Classic Convertible Arbitrage Fund L.P. v. Rite Aid Corp., 315 F. Supp. 2d 666, 680 (E. D. Pa. 2004), argomentando principalmente dal tenore letterale degli Statutes, che parrebbe accordare un’azione di danni per ogni separata transaction; Kane v. Shearson Loeb Rhoades, Inc., No. 86-551-CIV-MARCUS, 1989 U.S. Dist. LEXIS 19022 (S. D. Fla. May 3, 1989), sulla base invece del rilievo che il principale obiettivo delle federal securities laws è quello di incrementare un effetto di deterrenza; Merchant v. Oppenheimer & Co., 568 F. Supp. 639 (E. D. Va. 1983)]. Come si è osservato, il primo approccio sottende l’idea che l’azione di danni in questo ambito abbia eminentemente una funzione compensativa e riparatoria del pregiudizio sofferto dai danneggiati; il secondo, viceversa, considera prioritario l’obiettivo della deterrenza: v. di nuovo FRANCIS, op. cit., 3071. Per un auspicio circa l’incremento della funzione deterrente della responsabilità civile anche nel nostro ordinamento, si veda DI MAJO, La responsabilità civile nella prospettiva dei rimedi: la funzione deterrente, in Europa e dir. priv., 2008, I, 289 ss. e spec. 306 ss.; ma in senso diverso CASTRONOVO, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Europa e dir. priv., 2008, I, 315 ss. e spec. 326 ss., secondo il quale “è indubbio che il risarcimento abbia l’esclusiva funzione di ristorare una perdita patrimoniale” (ibidem, 332). 99 Ciò invece non vale, come si è detto, nel caso in cui i soggetti inizialmente danneggiati compiano operazioni di segno opposto prima che l’informazione divenga nota, elidendo così (quantomeno in linea di massima) il danno inizialmente patito. E’ interessante in tal senso l’affermazione di uno dei principali studiosi americani ad essersi occupati del tema, che sembra riecheggiare proprio la modalità operativa del “nostro” principio della compensatio lucri cum damno, corroborando quanto si è appena sostenuto nel testo: “the reason for not granting damages [qualora si compiano negoziazioni di segno contrario, n.d.r.] is that the purchaser has received a benefit arising from the same wrong in an amount equal to the injury he suffered earlier” (FOX, After Dura, cit., 863); o in altri termini, “[...] courts should net the benefit against the harm if the defendant's conduct proximately caused the plaintiff’s benefit” (FISCH, op. cit., 859). Così anche Abrahamson v. Fleschner, cit., 878. Ancora più restrittivo in tal senso il punto di vista espresso, sempre nella giurisprudenza americana, da Clinton Oil Co. Securities Litigation, M. D. L. No. 137, 1977 U. S. Dist. LEXIS 16787 (D. Kan. Mar. 22, 1977), ove la compensazione era stata ritenuta ammissibile soltanto per “profits and losses realized on sales of stock acquired in a single purchase transaction”. 100 Anche questo aspetto è stato (ed è tuttora) al centro del contrasto tra le Corti americane e in particolare della sentenza “Dura”, con conseguenti ripercussioni nel panorama dottrinale. Il punto incarna una divergenza che nasce sulla pur generale accettazione del fondamentale criterio della c.d. out of pocket loss. Secondo alcuni, infatti, su questa base la economic loss (ossia il danno) va sempre identificata nella differenza tra il prezzo pagato (nel nostro caso: ricevuto) e quello che il mercato avrebbe fissato in 168 Peraltro, tale successivo aumento di valore che si verifichi proprio in connessione all’emersione del patto parasociale originariamente tenuto nascosto potrà senz’altro apprezzarsi come elemento indiziario particolarmente incisivo nella prova del danno subito da chi aveva alienato (ai pattisti e non) per un corrispettivo (indebitamente) ridotto, nonché da chi aveva diritto a ricevere un’OPA e abbia conservato azioni della presenza di una piena disclosure, con esclusivo riferimento al momento della negoziazione stessa: v. FOX, After Dura, cit., 832, per il rilievo che “the defendant’s misstatement injures the plaintiff not because it caused her to make to make a purchase that later, ex post, turned out to be a losing transaction. Rather, it injures her because, ex ante, it caused her to pay a purchase price that is higher than it would have been but for the misstatement […] Thus, the injury is the inflation price at the time of purchase”; e ancora: “the claimed loss - that plaintiff paid too much - flows directly from the misstatement” (ibidem, 840). Altri invece, muovendosi sulla scia di “Dura”, escludono la risarcibilità di tale perdita qualora il prezzo del titolo acquistato sia soggetto a successive variazioni che ne consentano in qualche misura il recupero (specialmente in ragione del prezzo emerso in seguito alla diffusione dell’informazione); inoltre e conseguentemente, negano che possa essere lamentato un danno nel caso in cui si affermi che il valore delle azioni non è cresciuto nella misura che sarebbe stata riscontrata a fronte di una corretta e tempestiva informazione (una sorta di mancato guadagno, che si avvicina molto all’ipotesi che qui più interessa): per questa seconda posizione, v. CHAMBLEE BURCH, op. cit., 351 ss. e spec. 364 (“Under the out-of-pocket-theory, an investor with net monetary gains has no loss and cannot recover”), argomentando anche in base alla nozione di “actual damages” che rappresenta il tetto del danno risarcibile secondo quanto previsto dal 15 U.S.C. §78bb(a), intervenuto sulla Section 28(a) del SEA (ma sul fatto che tale nozione non abbia un significato univoco v. LOWENFELS - BROMBERG, op. cit., 1086); nonché FERRELL - SAHA, The Loss Causation Requirement for Rule 10b-5 Causes of Action: The Implications of Dura Pharmaceuticals, Inc. v. Broudo, in The Business Lawyer, 2007, v. 63, 163 ss. e spec. 172 ss. La voce di danno consistente nella mancata crescita del valore dei titoli (sebbene la Corte Suprema in “Dura” abbia espressamente dichiarato di non volersi occupare di questo profilo) è stata però talora ritenuta risarcibile dalle Corti: v. Gebhardt v. ConAgra Foods, Inc., cit., 831-32. In tal senso in dottrina FOX, After Dura, cit., 848. E’ da notare anche che la seconda tesi riportata è stata sostenuta (finanche dalla stessa Corte Suprema in “Dura”) principalmente sulla scorta di un argomento che appare tuttavia errato, ossia sulla base della constatazione che l’investitore danneggiato (dall’acquisto) potrebbe rivendere velocemente le azioni acquistate a prezzo gonfiato (prima, cioè, che l’informazione in questione sia resa pubblica) e quindi evitare di subire il danno, che inizialmente sarebbe solo ipotetico (cfr. di nuovo CHAMBLEE BURCH, op. cit., 359, nt. 53). In primo luogo, va rilevato che in tal modo la perdita economica sarebbe semplicemente traslata in capo al nuovo acquirente e dunque il ragionamento finisce per risolversi in un problema di individuazione dei soggetti pregiudicati dalla condotta illecita (v. FOX, op. ult. cit., 858 e 864). Inoltre, la tesi in parola confonde il caso richiamato (che senz’altro può consentire, come si è detto, di elidere il danno inizialmente subito attraverso operazioni di segno contrario) con l’ipotesi, del tutto diversa, in cui i titoli subiscano variazioni per cause non dipendenti dal comportamento dei soggetti interessati. Un altro argomento non condivisibile adoperato dalla Corte Suprema americana è quello secondo cui al momento della negoziazione non si materializzerebbe alcun danno giacché i titoli oggetto della stessa hanno proprio il valore corrispondente al prezzo corrisposto: è facile ribattere, infatti, che essi tuttavia non hanno il valore che dovrebbero avere, ossia quello in grado di riflettere le informazioni che rappresentino il reale status quo. Va anche segnalato che una posizione intermedia è forse quella espressa in una decisione presa nelle more del pronunciamento della Corte Suprema nel caso “Dura”, la quale ha ritenuto che gli attori debbano provare che la variazione del prezzo dei titoli seguita alla disclosure correttiva rappresenta la “materialization of the concealed risk”: Lentell v. Merrill Lynch & Co., Inc.396 F.3d 161 (2d Cir. 2005); più di recente, McAdams v. McCord, 584 F.3d 1111, 1114 (8th Cir. 2009). In letteratura, un tentativo di conciliazione delle diverse posizioni è stato compiuto da KARMEL, When Should Investor Reliance Be Presumed in Securities Class Actions, in The Business Lawyer, 2007, v. 63, 25 ss. e spec. 27, ove l’A. propone, quale parziale correttivo della “fraud on the market theory”, che gli attori provino che la presunzione di affidamento (nell’integrità delle informazioni disponibili) si configuri come ragionevole; pertanto, essa non dovrebbe operare a carico di coloro che, essendo estranei alla società, “do not owe a duty to public investors or shareholders”. Ad ogni modo, il dibattito è ancora assai vivo, come dimostra il fatto che anche in seguito al caso “Dura”, le Corti, lungi dall’assumere un orientamento uniforme, hanno continuato ad abbracciare posizioni diverse: v. per alcuni riferimenti OLAZÁBAL, Loss Causation in Fraud-on-the-Market Cases Post-Dura Pharmaceuticals, in Berkeley Business Law Journal, 2006, 377. 169 società.101 Ciò non implica, tuttavia, che questo sia l’unico modo per provare il danno, che, come si è visto, va individuato con riferimento al momento della negoziazione (o della mancata OPA) 102; né, pertanto, ad esso potrà essere attribuito un valore assoluto e 101 NAPOLEONI, op. cit., 588, sebbene con specifico riferimento all’individuazione del requisito della price sensitivity dell’informazione piuttosto che in rapporto diretto alla determinazione del danno da insider trading; allo stesso modo FERRARINI, La nuova disciplina, cit., 54. Con riguardo, invece, proprio alla quantificazione del danno da insider trading, ABBADESSA, L’insider trading, cit., 762-763. Anche tale criterio è stato talvolta applicato dalle Corti statunitensi a supporto del principale schema della “out of pocket loss”, soprattutto in ragione della difficoltà di determinare il corretto valore dei titoli compravenduti al tempo della negoziazione (su questo punto OLAZÁBAL, op. cit., 346): v. ad es. Microstrategy Inc. Sec. Litig., 115 F. Supp. 2d 620, 664-665 (E. D. Va 2000), ove con riferimento al parametro enunciato dalla Section 20A si è statuito che il danno consiste nella “difference between the price the insider realizes and the market price of the securities after the news is released”; conf. Bellevue Shoe Mfg. Co., 908 F.2d 1385, 1392 (7th Cir. 1990); Elkind v. Liggett & Myers, Inc., 472 F. Supp. 123, 129 (1978), riformata da 635 F.2d 156 (2d Cir. 1980); nonché, in precedenza, Harris v. Am. Inv. Co., 523 F.2d 220, 226-227 (8th Cir. 1975); Richardson v. MacArthur, 451 F.2d 35, 43-44 (10th Cir. 1971); Esplin v. Hirschi, 402 F.2d 94, 104-105 (10th Cir. 1968). Analogamente, alcune pronunce (con ragionamento simmetrico) hanno ritenuto assente il requisito della c.d. materiality in mancanza di una significativa reazione del mercato in seguito alla corrective disclosure: Merck & Co. Sec. Litig., 432 F.3d 261, 269 (3d Cir. 2005); Oran v. Stafford, 226 F.3d 275, 283 (3d Cir. 2000); ma in senso contrario v. ad es. Grennhouse v. MCG Capital Corp., 392 F.3d 650, 660-661 (4th Cir. 2004). In dottrina, WANG, op. cit., spec. 9 ss.: l’A. parla di “‘expedient’ out of pocket measure” e rileva i limiti che tale impostazione presenterebbe qualora il relativo criterio venisse adottato in via generalizzata, tra i quali spicca il fatto che il prezzo che emerge successivamente riflette verosimilmente altri fattori diversi dalla disclosure e nel frattempo intervenuti; nella giurisprudenza, il punto è stato colto ad es. da Warner Commc’ns Sec. Litig., 618 F. Supp. 735, 744 (S.D.N.Y. 1985); Bonime v. Doyle, 416 F. Supp. 1372, 1384 (S.D.N.Y. 1976); e, in un caso diverso dall’insider trading, Crazy Eddie Sec. Litig., 948 F. Supp. 1154, 1165 (E.D.N.Y. 1997). Nella letteratura, di nuovo OLAZÁBAL, op. cit., 361; e in precedenza, LEV - DE VILLIERS, Stock Price Crashes and 10b-5 Damages: A Legal, Economic, and Policy Analysis, in Stanford Law Review, 1994, v. 47, 7 ss. e spec. 10, 22 e 30 ss.; FINKELSTEIN, Rule 10b-5 Damage Computation: Application of Financial Theory to Determine Net Economic Loss, in Fordham Law Review, 1983, v. 51, 839, ove ulteriori e più risalenti riferimenti giurisprudenziali. Talvolta è stata applicata una variante di tale criterio, che consiste nel commisurare il danno alla variazione di prezzo che si riscontra in seguito alla diffusione dell’informazione: Goldberg v. Household Bank FSB, 890 F.2d 965, 966-967 (7th Cir. 1989). Peraltro, anche tale variante non è esente da problemi analoghi, dovuti principalmente al fatto che nell’arco di tempo in cui l’omissione della disclosure è proseguita possono essere intervenuti anche altri fattori, idonei a determinare la stessa variazione del prezzo: v. WANG, op. cit., 13 ss., ove ulteriori riferimenti. In argomento, in PolyMedica Corp. Securities Litigation, 432 F.3d 16 (1st Cir. 2005), la Corte d’Appello respinse le pretese degli attori in base al fatto che non si era verificata una variazione sufficientemente rapida del prezzo dei titoli (più di un giorno): sul punto LANGEVOORT, op. cit., 168 ss. Per tali ragioni, il Private Securities Litigation Reform Act del 1995 ha aggiunto una nuova Section 21D(e) al SEA, la quale stabilisce ora che ai fini della commisurazione del danno di cui si è detto si tenga conto della media dei prezzi di chiusura del titolo nei 90 giorni successivi alla diffusione dell’informazione (o, in alternativa, fino al momento in cui l’investitore danneggiato aliena o riacquista le azioni precedentemente compravendute). 102 Questa era la posizione espressa dalla Corte d’Appello nel caso “Dura”, poi riformata dalla Corte Suprema americana: “loss causation does not require pleading a stock price drop following a corrective disclosure or otherwise. It merely requires pleading that the price at the time of purchase was overstated and sufficient identification of the cause”: così Broudo v. Dura Pharmaceuticals, Inc., 339 F.3d 933 (9th Cir. 2003); successivamente anche Bearingpoint, Inc. Sec. Litig., 232 FR.D. 534, 544 (E.D. Va. 2006) (“Moreover, it is also conceivable that the inflationary effect of a misrepresentation might well diminish over time, even without a corrective disclosure, and thus in-and-out traders in this circumstance would be able to prove loss causation”); e in precedenza Gebhardt v. ConAgra Foods, Inc., cit., 831; nonché Knapp v. Ernst & Whinney, cit., 1431, 1438; in dottrina, v. in particolare FOX, After Dura, cit., 867, per la posizione che un valore dei titoli superiore a quello iniziale non esclude a rigore che un danno si sia originariamente prodotto e sia pertanto risarcibile; ma in senso contrario, ossia anticipatorio della posizione poi assunta dalla Corte Suprema in “Dura”, v. Robbins v. Koger Props., Inc., cit., 1448, ove si richiedeva la “proof of a causal connection between the misrepresentation and the investment’s 170 decisivo103: del resto, la crescita del valore del titolo in seguito alla diffusione dell’informazione potrebbe essere inferiore a quella che si sarebbe verificata in precedenza sulla base di una tempestiva disclosure e, quindi, potrebbe risultare inidonea a consentire il pieno recupero dello scarto tra il prezzo della negoziazione (o, per le azioni che siano state conservate, tra il valore di mercato al tempo della mancata OPA) e subsequent decline in value”; seguita da Semerenko v. Cendant Corp., 223 F.3d 165, 185 (3rd Cir. 2000), la quale aggiungeva però che una volta provato il nesso causale tra la condotta del danneggiante e la doppia anomala variazione del prezzo dei titoli, un eventuale concorso di cause non esclude il risarcimento (ibidem, 186-187). In seguito a “Dura”, la correttive disclosure e la successiva variazione dei prezzi sono state ritenute imprescindibili ai fini della prova del danno in Glaser v. Enzo Biochem, Inc., 464 F.3d 474, 479 (4th Cir. 2006); e ancor più di recente in McAdams v. McCord, cit., 1111 (8th Cir. 2009); in dottrina, v. da ultimo ERDLEN, op. cit., 881, 886 e 888; FISCH, op. cit., 847. In Italia, tale impostazione era stata prospettata da CASELLA, op. cit., 837. Come si può notare, la contrapposizione appena riportata ricalca ancora una volta il contrasto esistente in merito alla validità e all’applicabilità della c.d. fraud on the market theory, e ne rappresenta un’ulteriore propaggine. Gli autori che hanno sostenuto l’assoluta necessità di una valutazione ex-post del danno e che perciò hanno abbracciato l’opinione che ritiene necessaria una successiva caduta del valore di scambio dei titoli (nel nostro caso si tratterebbe invece di un successivo aumento rispetto al prezzo di alienazione; e v. per questa opinione nella nostra dottrina, espressamente, GUIZZI, op. cit., 261-262) lo hanno fatto sulla base di un altro argomento poco convincente, ossia ritenendo che l’azione di danni da insider trading non possa assumere una funzione “assicurativa” di tutti coloro che acquistano azioni in un dato periodo: cfr. COFFEE Jr., Causation, cit., 535 (e v. anche ibidem, 544 ss. e spec. 546 per l’espressa enunciazione della tesi in parola); CHAMBLEE BURCH, op. cit., 373 (ma in tal senso anche la stessa Corte Suprema in “Dura”, 345, la quale peraltro ha mostrato di ritenere la successiva variazione del valore dei titoli un requisito necessario ma non sempre sufficiente per la prova del danno, perché su di esso potrebbero aver influito altri fattori). In realtà, l’accoglimento della c.d. fraud on the market theory e l’ammissibilità della conseguente presunzione di affidamento sull’integrità del mercato e sulla completezza delle informazioni non eliminano affatto la necessità di prova del nesso causale tra la condotta e il danno, ma semplicemente la agevolano, senza togliere al convenuto la possibilità di una prova contraria, come aveva affermato anche la Corte Suprema in “Basic” (ivi, 248-249): cfr. OLAZÁBAL, op. cit., 348-349 e 366; e in precedenza THOMPSON, “Simplicity and Certainty” in the Measure of Recovery Under Rule 10b-5, in The Business Lawyer, 1996, v. 51, 1201, il quale già suggeriva che le Corti riducano l’ammontare del risarcimento nella misura corrispondente alla parte di perdita che il convenuto dimostri essere dovuta a variabili di mercato. Quindi, la tesi non sembra in contrasto con la Section 21D(b)(4) del SEA, che espressamente impone all’attore di provare la c.d. loss causation, ossia che l’atto o l’omissione del convenuto ha causato la perdita di cui si chiede la riparazione (al contrario di quanto pare ritenere COFFEE Jr., Causation, cit., 545). Come si è osservato, del resto, “in the PLSRA, Congress did not eliminate the fraud-on-the-market (FOTM) presumption of reliance created by the Supreme Court in Basic Inc. v. Levinson”: così BLACK, Reputational Damages in Securities Litigation, in The Journal of Corporation Law, 2009, 170. 103 Analog., seppur con riferimento all’aggiotaggio c.d. manipolativo, Trib. Milano, 28 ottobre 2011, massimata in Società, 2012, 338. Anche il criterio in parola può infatti presentare inconvenienti: da un lato, ci potrebbe essere una reazione eccessiva del mercato alla disclosure correttiva; dall’altro, quest’ultima potrebbe contenere più informazioni di quelle che avrebbero dovuto essere originariamente fornite e dunque presentare un impatto maggiore sul mercato: per questi aspetti v., nella letteratura americana, BLACK, op. cit., 172-173. La previsione dell’ordinamento americano che limita il risarcimento alla differenza tra il prezzo della negoziazione e quello medio espresso dal mercato nei 90 giorni successivi alla disclosure mira proprio ad arginare i fenomeni di over-reaction del mercato: v. THOMPSON, op. cit., 1193, il quale peraltro si è espresso criticamente sulla capacità della previsione normativa di separare le variazioni riconducibili alla condotta fraudolenta da quelle dovute ad altri fattori di mercato (ibidem, 1194). Come si è osservato, inoltre, il mercato potrebbe realizzare la reale situazione e quindi assorbire la notizia anche prima della pubblica disclosure (FERRELL - SAHA, op. cit., 168); in ogni caso, dovrebbero poter essere utilizzati criteri alternativi quali il fatto che “the misstatement was selfevidently important in the sense that if it were considered reliable, it would significantly affect investors’ expectations”: FOX, After Dura, cit., 850 ss. (a 852 il virgolettato), ove anche un’analisi circa le possibili differenti situazioni che potrebbero verificarsi a fronte della tardiva diffusione della corretta informazione. 171 quello (più alto) che sarebbe stato espresso proprio in quel momento del passato dal mercato qualora si fosse potuto tenere conto della notizia inizialmente occultata. 104 Di nuovo con riguardo a coloro che hanno conservato azioni della società, (avendone o meno, anche in parte, alienate) si potranno invece tenere in considerazione, ai fini del computo del danno risarcibile, i successivi ribassi dei titoli rispetto al prezzo di mercato che avevano all’epoca dell’inosservanza dell’obbligo di offerta: come si è accennato trattando della responsabilità da mancata OPA, tali oscillazioni in negativo possono essere ritenute (in forza, beninteso, della prova del nesso causale) conseguenza immediata e diretta della decisione di rimanere azionisti della società, determinata dalla situazione di incompleta e inesatta informazione, giusta il principio sancito dall’art. 1223 c.c.105 Per inciso, ciò non varrebbe invece per i successivi ribassi dei titoli (rispetto al giusto valore che il mercato avrebbe dovuto originariamente determinare) che venissero in considerazione con riferimento a pregressi acquisti a prezzo gonfiato, ove tali cadute di valore siano indipendenti dalla condotta illecita inizialmente posta in essere dagli insiders: in altre parole, il danno risarcibile in tal caso va pur sempre determinato in misura pari alla differenza tra il prezzo (gonfiato) corrisposto per l’acquisto e quello (più basso) che a quel tempo avrebbe dovuto essere pagato sulla scorta di una corretta informazione. Come un autore statunitense ha efficacemente rilevato, infatti, “a defendant found liable for fraud should pay for the fraud but is not responsible for any change in value due to change in the market”.106 Ad ogni modo, 104 Per un simile (o meglio, simmetrico, perché riferito a casi di acquisto a prezzo gonfiato) approccio si veda, nella letteratura americana, BLACK, op. cit., 172 ss., la quale ammette la risarcibilità dell’ulteriore danno (c.d. reputational damage) che risulta dalla maggiore perdita del valore del titolo dovuta ed imputabile alla riduzione di fiducia del mercato nella credibilità e nell’affidabilità della società e del suo management: “if the market had understood that management was corrupt or the controls seriously deficient, it would have discounted the stock price” (ibidem, 178); ma diversamente FERRELL - SAHA, op. cit., 181 ss. 105 E’ vero che, come si è osservato in dottrina, il principio di cui all’art. 1223 c.c. implica “l’irrisarcibilità delle conseguenze che pur essendo ricollegabili all’inadempimento o al fatto illecito e quindi non ad altri fattori causali, non possono essere imputate al soggetto responsabile perché il fatto dannoso costituisce soltanto l’occasione del verificarsi del danno”: così PINORI, Il criterio legislativo delle conseguenze immediate e dirette, in Il risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di G. Visintini, Milano, 1999, 77; in precedenza, VISINTINI, Il criterio legislativo delle conseguenze dirette ed immediate, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di G. Visintini, Milano, 1984, 11. Tuttavia, l’illecito da omessa informazione di cui si è detto non può considerarsi semplicemente un fattore occasionale del verificarsi dell’evento dannoso, per lo meno allorquando coloro che lamentano il suddetto pregiudizio dimostrino (si tratta del nesso causale) che, a fronte di una corretta e completa disclosure, avrebbero ceduto la loro partecipazione e dunque evitato il successivo decremento del valore dei titoli. 106 THOMPSON, op. cit., 1180; contra però FISCH, op. cit., 842 e 851. Per un ulteriore approfondimento delle problematiche concernenti la prova del nesso causale (o meglio, della c.d. loss causation) nelle Securities class actions statunitensi, anche alla luce di aspetti processuali, si vedano in particolare: HAYCOCK, Pleading a Loss Cause: Resolving the Pleading Standard For the Element of Loss Causation in a Private Securities Fraud Claim and a Plaintiff’s Heavy Burden Pleading it Under Iqbal, in American University Law Review, 2010, v. 60, 173 ss.; HILL, The Rule 10b-5 Suit: Loss Causation Pleading Standards in Private Securities Fraud Claims after Dura Pharmaceuticals, Inc. v. Broudo, in Fordham Law Review, 2010, v. 78, 2659 ss. e spec. 2677 ss. In particolare, come i due autori testé citati hanno messo in luce, in seguito alla sentenza “Dura” (che ha lasciato la questione inevasa), le Corti si sono divise sullo specifico standard probatorio necessario a dimostrare il nesso eziologico: alcune pronunce hanno richiesto che questo venga evidenziato secondo il parametro della “plausibility” (coerente con la Rule 8(a)(2) del FRCP); altre, preferendo un approccio più restrittivo, hanno richiesto la 172 sembra corretto che la prova del fatto che detti ulteriori ribassi siano da ricondurre a cause diverse dal comportamento illecito venga addossata agli insiders (ossia ai convenuti in giudizio), onde evitare di rendere oltremodo gravosa la posizione di quanti esperiscono l’azione per ottenere il risarcimento dei danni subiti.107 E’ intuitivo, poi, che nel diverso caso in cui l’OPA obbligatoria sia invece stata regolarmente promossa, potrebbe comunque residuare una responsabilità da insider trading dovuta, appunto, all’avvenuta alterazione del prezzo della medesima in seguito al nascondimento dell’accordo parasociale, il quale abbia avuto ripercussioni sul valore dei titoli al momento degli acquisti rilevanti108: si pensi all’ipotesi in cui un soggetto venga a detenere individualmente una quota di capitale pari o superiore al trenta per cento e promuova l’offerta, ma abbia omesso di svelare l’esistenza di un accordo con altri azionisti in grado di irrobustire il grado di influenza dei concertisti sulla società. In un simile caso, potranno quindi pretendere il risarcimento - oltre eventualmente a coloro che hanno alienato le azioni della società nell’intervallo di tempo da tenere in considerazione - anche i destinatari dell’offerta pubblica di acquisto, naturalmente nei limiti della quota di corrispettivo per azione che nessuno degli aderenti ha percepito a causa dell’alterazione del prezzo - dovuta alla mancata informazione, appunto determinatasi all’epoca dell’effettuazione degli acquisti precedenti. E’ invece più difficile immaginare, da un punto di vista prettamente pratico, l’occultamento di un patto parasociale che, se svelato, determinerebbe un decremento del valore di mercato delle azioni dell’emittente: mancherebbe infatti l’interesse dei pattisti a mantenerlo segreto (per lo meno quando il loro obiettivo sia l’acquisizione del controllo), perché tale nascondimento rischierebbe di elevare i costi del lancio dell’offerta pubblica di acquisto; inoltre, i danneggiati dalla condotta di insider trading sarebbero paradossalmente i medesimi autori della stessa, almeno nell’ipotesi, sin qui presa in considerazione, in cui i pattisti occulti acquistino azioni dell’emittente. Qualora, viceversa, gli azionisti membri dell’accordo parasociale non pubblicato si limitino ad acquistare titoli della società in misura tale da non determinare il raggiungimento della soglia del 30% del capitale, oppure se ne liberino o ancora, secondo l’ulteriore ipotesi contemplata dall’art. 184 T.U.F., rendano partecipi dell’esistenza dell’accordo - in via informale e riservata - ulteriori soggetti, verranno “particularity” evocata dalla Rule 9(b) del FRCP, che si traduce nella necessità di rendere conto di un rapporto di causalità contraddistinto da una “sufficient specificity”. 107 Nella letteratura americana, v. in particolare CHRISTENSEN, In Re Williams Securities LitigationWCG Subclass: Publicly Traded Corporations Win Leniency in Their Representations After The Tenth Circuit Redefines Loss Causation in Private Actions For Securities Fraud, in Creighton Law Review, 2010, v. 43, 563 ss., il quale rileva essere eccessiva la pretesa che gli attori provino che il danno sia stato causato soltanto dalla condotta fraudolenta e non sia riconducibile a nessun altro fattore, come invece richiesto dalla Corte d’Appello in Williams Sec. Litig. - WCG Subclass, cit., 1137. Questa recente pronuncia si è posta invero in controtendenza rispetto ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, che ha messo in evidenza come sia irrealistico imporre ai danneggiati la prova (negativa) dell’assenza di ulteriori fattori causativi del danno: cfr. ad es. Caremark, Inc. v. Coram Healthcare Corp., 113 F.3d 649 (7th Cir. 1997). 108 Ciò è vero non solo e non tanto nel caso di OPA promossa tardivamente, ma soprattutto in caso di promozione tempestiva, come si dirà subito nel testo. Nel caso di OPA tardiva, come già si è rilevato, la Consob conserva infatti un opportuno margine di discrezionalità in merito alla determinazione del prezzo dell’offerta, che potrebbe consentire di porre rimedio ad ogni tipo di danno originariamente patito dagli azionisti pretermessi. 173 certamente a mancare i presupposti dell’obbligo di lancio di un’OPA, ma rimarranno gli elementi propri della condotta di insider trading. In questo caso, è probabile che la sensibile influenza sul prezzo delle azioni dell’emittente vi sia (soltanto) se l’accordo coinvolga i titolari di una percentuale consistente del capitale sociale, anche inferiore al 30%, ma comunque non determinabile, per ovvie ragioni, in via generale ed astratta. In simili situazioni, in cui il problema del rapporto tra la responsabilità da mancata OPA e quella da insider trading non si pone, quest’ultima può operare secondo i criteri generali individuati dalla dottrina e dalla (scarna) giurisprudenza in argomento. In particolare, nel caso in cui si verifichi l’alienazione delle azioni da parte degli insiders, il danno subito da coloro che hanno operato sul mercato in maniera inversa (: acquistando azioni) potrà consistere - come si è già peraltro visto - nella parte di prezzo che non sarebbe stata corrisposta in un contesto di piena trasparenza, nel quale cioè i prezzi di mercato dei titoli si sarebbero collocati su valori più bassi. 109 E’ proprio in questa prospettiva che può venire in aiuto quella che è stata favorevolmente salutata come la prima pronuncia giurisprudenziale in materia di responsabilità civile da insider trading nel nostro ordinamento, nella quale peraltro il Tribunale di Milano, a motivo della complessità delle operazioni di calcolo (nonché, come si è detto, di prova) del danno risarcibile, ha ritenuto opportuno - pur senza astenersi dall’indicazione di alcuni criteri orientativi - fare appello alla valutazione equitativa ammessa dall’art. 1226 c.c. 110 5. L’insider trading da patto occulto tra responsabilità risarcitoria e applicabilità di rimedi contrattuali. Si è parlato sin qui di una possibile responsabilità civile da insider trading per occultamento di un patto parasociale, la quale può ben affiancarsi alla responsabilità da mancata OPA. Occorre chiedersi, però, se il risarcimento del danno per la condotta di abuso di informazione privilegiata possa essere a sua volta accompagnato da rimedi contrattuali che elidano gli effetti pregiudizievoli della condotta dei pattisti-insiders, quantomeno rispetto alle loro controparti.111 109 E’ proprio con riferimento a questa ipotesi, come si è detto, che la teoria della c.d. out of pocket loss è stata tradizionalmente sviluppata (soprattutto dalla giurisprudenza) negli Stati Uniti, e rispetto alla quale possono ripetersi le riflessioni sin qui sviluppate. 110 Il Tribunale ha escluso perciò sia che il danno possa “qualificarsi equivalente a una perdita di chance di investire su altri titoli con le stesse caratteristiche e margini di rischio”; sia, come si è anche qui sostenuto ed argomentato, che equivalga “automaticamente all’evento lesivo corrispondente alla perdita di valore dei propri investimenti (che porterebbe al calcolo della differenza tra valore di acquisto e prezzo di realizzo)”. Per un commento si vedano GIAVAZZI, op. cit., 116 ss.; ROLFI, L’investitore, cit., 1642 ss. 111 L’interrogativo acquisisce una portata ancor più rilevante se si aderisce all’idea che anche in questo settore la disciplina del mercato non può non interagire con quella del contratto al fine di ottenere soluzioni dogmaticamente fondate e al contempo efficienti: sul punto, efficacemente, NERVI, La nozione giuridica di informazione e la disciplina di mercato. Argomenti di discussione, in Riv. dir. comm., I, 1998, 862. Peraltro, i valori dell’ordinamento giuridico tutelati dal sistema dovrebbero costituire sempre lo schema di riferimento entro il quale si muova eventualmente un’ulteriore analisi in merito al rapporto costi-benefici degli strumenti di tutela apprestati dall’ordinamento: cfr. in argomento DENOZZA, La trasparenza garantita nei mercati finanziari: “prolegomeni” ad un’analisi costi/benefici, in Banca impresa società, 2007, 181. 174 Premesso che non si potrà invocare la nullità del contratto - trattandosi di effetto che opera soltanto nel caso in cui sia l’intero regolamento negoziale a porsi in contrasto con l’ordinamento e non anche qualora il comportamento vietato sia quello di una sola delle parti112 - il problema che si pone è quello dell’esperibilità di un’azione di annullamento sub specie di dolo omissivo, individuabile nella condotta reticente dell’insider. Si può aderire alla conclusione cui sono pervenuti quanti hanno rilevato che nel caso di contrattazioni avvenute nel mercato regolamentato, l’impossibilità pratica di risalire alla reale controparte dell’insider esclude l’operatività del principio della buona fede contrattuale e precontrattuale.113 L’approdo ultimo di questa linea di pensiero risulta condivisibile, ma qualche precisazione si impone sotto il profilo dell’argomentazione che vi è sottesa. Il punto centrale non sembra consistere nel fatto che il principio di buona fede contrattuale venga messo fuori gioco: è vero che non è predicabile un obbligo informativo ad personam, ma sussiste pur sempre quello di informare adeguatamente il mercato (ossia: ogni potenziale controparte contrattuale). 114 Piuttosto, l’effettiva difficoltà di individuare la controparte dell’insider suggerisce di evitare una disparità di trattamento tra i diversi investitori danneggiati, che si verificherebbe qualora solo alcuni tra essi potessero attivare il rimedio contrattuale (in alternativa alla responsabilità per danni di cui si è già detto). Nel mercato borsistico, in cui non si può dire che qualcuno abbia scelto di contrattare proprio e specificamente con l’insider, non pare ammissibile differenziare le forme di tutela a disposizione dei danneggiati sulla base di un criterio che (oltre ad essere difficilmente praticabile in concreto) finirebbe per riposare sulla mera casualità. Anche con riferimento alle contrattazioni fuori borsa si è esclusa in via generale l’azione di annullamento, sulla base del rilievo che l’art. 184, comma 1, lett. b), T.U.F. impone all’insider di non divulgare la notizia: tale precetto, si osserva, si porrebbe in contraddizione logica con l’obbligo di informare la controparte.115 Tale conclusione, però, può probabilmente essere messa in dubbio e comunque offre il destro per meglio precisare il rapporto tra la norma poc’anzi citata e l’art. 114 T.U.F. 112 Sul punto, specificamente, MACRI’, Informazioni privilegiate, cit., 150-151; meno recentemente, BARTALENA, op. cit., 333; ABBADESSA, L’insider trading, cit., 761; e, ancor più diffusamente, G. SANTORO, op. cit., 664 ss. 113 MACRI’, op. ult. cit., 156 ss.; GIAVAZZI, op. cit., 121; analog., in precedenza, BARTALENA, op. cit., 336-337; G. SANTORO, op. cit., 672, il quale osservava che nel caso di contratto concluso in borsa con l’insider nessun inganno può lamentare la controparte di questo, non potendo sapere se sta negoziando o meno proprio con l’insider. Anche il Trib. Milano, 14 febbraio 2004, ha escluso l’annullamento del contratto stipulato dagli investitori danneggiati, sull’assunto che essi “non hanno comprato i titoli direttamente dalle banche che li dismettevano”. 114 Per un’idea non dissimile v. ABBADESSA, L’insider trading, cit., 757, il quale precisava che il dovere precontrattuale di buona fede di cui all’art. 1337 c.c. “non si rivolge soltanto alle parti in senso formale del futuro contratto, bensì a tutti coloro che in qualche modo partecipano al suo processo formativo” (quindi - sembra di poter dire - anche agli insiders che si servano di un intermediario per compiere operazioni di negoziazione dei titoli). Sul punto anche NAPOLEONI, op. cit., 578: l’A. esclude tale prospettiva di tutela contrattuale ma giustamente rileva che “il ‘malum’ dell’insider trading [...] non sta nel ‘trading’, ma nel ‘trading without disclosing’”. 115 MACRI’, op. ult. cit., 152 ss., secondo il quale sarebbe così da escludere anche l’ipotesi del dolo incidente (su cui v. infra). 175 E’ vero che quest’ultima disposizione colloca principalmente in capo all’emittente l’obbligo di disclosure delle informazioni privilegiate116 e, in una con l’art. 184 T.U.F., costruisce una sorta di microsistema in forza del quale, corrispondentemente, chi viene a conoscenza di quell’informazione non può divulgarla se non nell’ambito “del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio” e deve astenersi dallo sfruttamento della stessa a proprio vantaggio. Tuttavia, non va dimenticato che l’art. 114 T.U.F. impone l’obbligo di trasparenza anche ai “soggetti” che controllano la società quotata e questi ben potrebbero essere i pattisti occulti che hanno raggiunto (o stanno per raggiungere, in virtù degli acquisti coordinati di azioni) la soglia del trenta per cento del capitale. Ma soprattutto, vi sono buoni motivi per ritenere che la società debba in ogni caso rendere noto, ex art. 114 T.U.F., il patto parasociale che le venga comunicato ai sensi dell’art. 122 T.U.F. 117 Se così è, e se si condivide quanto osservato in precedenza circa la possibilità che una simile notizia non ancora divulgata possa costituire una vera e propria informazione privilegiata, in quanto riguardante (non solo la sfera soggettiva dei paciscenti, ma anche) l’emittente, non può che derivarne l’obbligo per i pattisti-insiders di informare tempestivamente (il mercato e contemporaneamente) le loro controparti contrattuali nel caso di trasferimenti di azioni fuori borsa.118 116 Per un analogo rilievo nel vigore della precedente disciplina v. BARTALENA, op. cit., 337-338. Uno spunto in tal senso anche in SAMBUCCI, Patti parasociali, cit., 36. 118 Di recente GIAVAZZI, op. cit., 120-121; e uno spunto in tale direzione anche in MACCABRUNI, op. cit., 618 (testo e nt. 94). Ancor prima, avevano ammesso l’annullabilità del contratto per dolo “fin tanto che lo scambio avviene in forma diretta”, ABBADESSA, L’insider trading, cit., 755 (ove il virgolettato); nonché G. SANTORO, op. cit., 676. E’ interessante notare che anche negli Stati Uniti il rimedio della “rescissory” è stato ammesso dalle Corti in presenza di una relationship tra l’autore della violazione (l’insider) e il danneggiato, ossia a fronte di una contrattazione privata: v. ad es. Randall v. Loftsgaarden, 478 U.S. 647 (1986) (commentata da LOWENFELS - BROMBERG, op. cit., 1089 ss.; e da KAUFMAN, op. cit., 45 ss.; ma v. anche OLAZÁBAL, op. cit., 359); Huddleston v. Herman & MacLean, 640 F.2d 534, 554 (5th Cir. 1981). Esso, come la giurisprudenza americana ha più volte osservato, mira appunto a ripristinare la situazione in cui il danneggiato si trovava prima del contratto di compravendita dei titoli e presuppone che quest’ultimo non avrebbe concluso l’operazione in presenza di una corretta informazione. Hanno escluso l’utilizzabilità dello strumento per le controversie ex Section 10(b) Mathews v. Kidder, Peabody & Co., cit., 250 (2001); Hoxworth v. Blinder, Robinson & Co., 903 F.2d 186, 203 n. 25 (3d Cir. 1990). Sul punto, CHAMBLEE BURCH, op. cit., 363. Non sono mancate peraltro pronunce che hanno ipotizzato un’applicazione del rimedio anche per danni verificatisi nell’ambito di un c.d. open market: v. Robertson v. White, 81 F.3d 752, 756 (8th Cir. 1996); Arthur Young & Co. v. Reves, 937 F.2d 1310, 1337 (8th Cir. 1991). Per altri casi in cui questa forma di tutela è stata applicata, v. tra i tanti Ambassador Hotel Co., Ltd v. Wei-Chuan Inv., cit., 1031, ove si rinviene una chiara illustrazione delle modalità operative del rimedio: “Rescission reverses the fraudulent transaction and returns the parties to the position they occupied prior to the fraud. It restores the status quo ante. Under true rescission, the plaintiff returns to the defendant the subject of the transaction, plus any other benefit received under the contract, and the defendant returns to the plaintiff the consideration furnished, plus interest [...] If true rescission is no longer possible (perhaps because the plaintiff no longer owns the subject of the sale ), the court may order its monetary equivalent”; DCD Programs Ltd. v. Leighton, 90 F.3d 1442, 1447 (9th Cir. 1996); Blackie v. Barrack, cit., 909, ove si affermava che se il rimedio standard è rappresentato dall’out of pocket loss, in appropriate circostanze potrebbe essere applicabile la misura della rescissory. Altre volte, invece, questa è stata negata sulla base dell’argomento che essa garantirebbe il ristoro per perdite non direttamente causate dal convenuto: Green v. Occidental Petroleum Corp., 541 F.2d 1335, 1342 (9th Cir. 1976). Anche CHAMBLEE BURCH, op. cit., 366, rileva che la rescissory farebbe gravare sul convenuto il “risk of market decline” (v. anche ibidem, 386); in precedenza LEE, op. cit., 1283. Sul punto v. però FOX, Demistifying Causation in Fraud-on-the-Market Actions, in The Business Lawyer, 2005, v. 60, 512513, il quale, ipotizzando tra l’altro l’applicabilità della misura anche in un “open market”, sostiene che il 117 176 Per tale ragione, può tornare ad operare il principio di buona fede precontrattuale di cui all’art. 1337 c.c.119 Ciò detto, la tutela dell’annullamento per dolo potrebbe risultare praticabile in questa ipotesi anche per una diversa ragione, ossia a motivo della coerenza teleologica del rimedio con l’obbligo di alienazione delle azioni imposto dall’art. 110 T.U.F. a coloro che si trovino nella condizione di dover lanciare un’OPA obbligatoria: invero, avendo riguardo ai contratti di acquisto stipulati dall’insider (che qui più interessano), entrambi i meccanismi contribuirebbero al ripristino dello status quo ante (ripristino che sarebbe ancora più preciso, si noti, qualora si agisca con l’azione invalidatoria, la quale avrebbe l’effetto di ricondurre le azioni nella disponibilità degli originari alienanti, che avevano venduto ad un prezzo inferiore al dovuto). L’annullamento, pertanto, potrebbe in linea teorica esimere gli obbligati dall’alienazione delle azioni ex art. 110 T.U.F., se non vi si opponesse quantomeno un ostacolo di ordine pratico concretamente non superabile: i tempi per lo svolgimento del giudizio ordinario, cioè, si estenderebbero certamente oltre il termine di dodici mesi imposto dalla norma da ultimo richiamata affinché i pattisti si riposizionino al di sotto della soglia rilevante di partecipazione. Naturalmente, la regolare alienazione delle azioni ai sensi dell’art. 110 T.U.F. non esclude invece il rimedio contrattuale di cui si è detto, anche perché i due strumenti ripristinatori (pur trovandosi a condividere, come si è accennato, una comune direzionalità nell’ottica della restaurazione del precedente assetto proprietario della società) operano ed incidono su piani diversi: il primo attiene all’ambito propriamente corporativo e societario, il secondo al rapporto sinallagmatico instaurato tra i contraenti sulla base del negozio. Va osservato anche che l’annullamento del contratto di trasferimento fuori borsa delle azioni potrebbe finire per escludere la responsabilità da mancata OPA dell’insider nei confronti degli altri investitori originariamente pregiudicati, quantomeno nei casi in cui, come si è visto, il ripristino dello status quo ante (cui è preordinato, in linea di principio, il meccanismo di alienazione delle azioni ai sensi dell’art. 110 T.U.F.) determini il venir meno dei presupposti di un’azione per il ripristino della situazione pregressa andrebbe comunque corretto per la parte di perdita non correlata alla condotta illecita (come rileva l’A., si tratterebbe quindi di una verifica ex post, a differenza della canonica “out-of-pocket-measure” che dovrebbe essere basata su di una verifica ex ante). Anche il rimedio di cui si è riferito presenta una variante (c.d. “cover”), che si basa sul medesimo presupposto secondo il quale il soggetto danneggiato non avrebbe affatto contrattato in presenza di una corretta e completa informazione, ma impone in base alle circostanze alla parte attrice “to mitigate damages by reversing her trade within a ‘reasonable’ time after curative disclosure”: così WANG, op. cit., 21, il quale ha aggiunto che proprio il detto presupposto differenzia questo strumento dall’“expedient” out of pocket measure (ibidem, 24). Per l’osservazione che il tempo ragionevole di riferimento possa mutare a seconda delle circostanze, v. Nye v. Blyth, Eastman, Dillon & Co., 588 F.2d 1189, 1198 (8th Cir. 1978). Il principale caso di riferimento è stato Mitchell v. Texas Gulf Sulphur Co., 446 F.2d 90 (10th Cir. 1971); ma v. in seguito SEC v. MacDonald, 669 F.2d 47, 48, 53-54 (1st Cir. 1983); American Gen. Ins. Co. v. Equitable Gen. Corp., 493 F. Supp. 721, 764-766 (E.D. Va. 1980). Anche molto di recente le Corti hanno respinto un’azione privata (relativa ad una close corporation) per mancanza di prova che l’attore avrebbe operato diversamente se fosse stato adeguatamente informato: Ledford v. Peeples, 605 F.3d 871, 905-912 (11th Cir. 2010). 119 L’annullabilità del contratto per dolo era stata ammessa anche da BARTALENA, op. cit., 226 ss., proprio in base all’applicabilità dell’art. 1337 c.c. La necessità di differenziare la forma di tutela a fronte di una condotta di insider trading, a seconda del fatto che ci si trovi di fronte a negoziazioni intervenute in borsa o fuori borsa, è stata messa in evidenza, nella letteratura tedesca, da MENNICKE, op. cit., 545, la quale nota come non siano espressamente previsti dall’ordinamento tedesco rimedi di carattere civilistico, con la conseguenza che diviene necessario richiamarsi ai principi generali. 177 risarcimento dei danni. Ciò non varrebbe, naturalmente, nell’ipotesi in cui la restituzione delle azioni in seguito all’annullamento dei contratti conclusi fuori borsa non basti a ricondurre al di sotto della soglia rilevante la partecipazione complessivamente detenuta dai pattisti soccombenti in giudizio. Il ripristino della situazione antecedente (in virtù dell’annullamento dei contratti di trasferimento oppure dell’alienazione ex art. 110 T.U.F.) non rimuove invece la responsabilità risarcitoria degli insiders (per la condotta di insider trading, appunto) nei confronti di quanti avevano alienato la propria partecipazione - nel mercato borsistico ad un prezzo più basso del dovuto.120 Peraltro, una responsabilità per danni potrà ovviamente essere fatta valere, secondo i principi generali, anche da quanti ottengano l’annullamento del loro contratto (stipulato con gli insiders) di trasferimento fuori borsa delle azioni.121 Inoltre, chi risulta essere stato vittima del dolo omissivo dei pattisti in una “faceto-face transaction” può avvalersi di un rimedio alternativo all’annullamento qualora dimostri che, in presenza di una corretta informazione, avrebbe comunque contrattato ma a condizioni differenti, ossia al prezzo più alto che il mercato avrebbe fissato nel caso in cui la notizia fosse stata resa nota: si tratta, come è intuibile, della responsabilità per danni da dolo incidente ai sensi dell’art. 1440 c.c. A differenza delle ipotesi di annullamento del contratto, il danno risarcibile coinciderà anche in questo caso, come già osservato in via generale, con la differenza tra il valore che le azioni avrebbero 120 Sicuramente più difficile sarebbe invece ipotizzare una responsabilità degli insiders nei confronti di quanti abbiano eventualmente alienato la propria partecipazione fuori borsa a soggetti diversi dagli stessi insiders, perché è probabile che nel contesto di una trattativa privata il prezzo venga concordato a prescindere dalla quotazione di borsa dei titoli e dunque in base a parametri diversi; inoltre, potrebbe in tal caso essere fondatamente contestata l’esistenza di un nesso causale tra la condotta di insider trading e il danno subito da soggetti (nell’ambito di una trattativa privata, appunto) che non sono mai entrati in contatto con gli insiders. 121 Sull’intreccio tra tutela contrattuale e responsabilità in tale ipotesi cfr. NERVI, op. cit., 869. In tempi ormai non più recenti si era osservato che nel caso di annullamento del contratto stipulato con l’insider, il risarcimento non si limiterebbe alla differenza “tra prezzo praticato e ‘valore reale’ al momento dell’operazione”, ma dovrebbe tener conto anche delle “successive variazioni di corso” (in positivo e in negativo) che il risparmiatore avrebbe evitato se non avesse concluso la contrattazione, con la conseguenza che il riferimento sarà offerto dalla “quotazione raggiunta dal titolo dopo la divulgazione della notizia”: così ABBADESSA, L’insider trading, cit., 763 (ove i virgolettati); e per analogo rilievo nella letteratura statunitense, v. di recente LANGEVOORT, op. cit., 183 (“[...] there will be some instances where it is fair to say that but for the fraud, the investor would not have purchased the stock at all - rather than simply purchased it at a distorted price - and so would not have suffered the later loss whatever its cause”. Tale impostazione richiama il tipico modo di operare del rimedio della “rescissory”, di cui si è dato conto: v. sul punto THOMPSON, op. cit., 1180. Tuttavia, anche in base a quanto si è detto in precedenza a proposito delle successive oscillazioni del valore delle azioni, sembra preferibile ritenere che il risarcimento, qualora si cumuli all’annullamento del contratto per dolo omissivo dell’insider, coincida con il c.d. interesse negativo, tipico parametro di riferimento della responsabilità precontrattuale: nella dottrina civilistica, per tutti, ROPPO, op. cit., 821. Il valore assunto dal titolo in seguito alla diffusione della notizia, piuttosto, costituirà il principale (anche se non necessariamente l’unico) parametro di riferimento in tutte le altre ipotesi di responsabilità risarcitoria da insider trading, diverse cioè da quella che dà luogo all’annullamento del contratto concluso con l’insider (v. ancora oltre nel testo). La prospettiva poc’anzi richiamata potrebbe invece astrattamente riacquistare valore qualora gli originari acquirenti non siano in grado di reintegrare le controparti dei titoli oggetto delle negoziazioni (per averli a loro volta ceduti) e sia quindi necessario dare spazio al rimedio per equivalente: nondimeno, difficilmente tale ipotesi si verificherà nel caso in cui ad avere acquistato le azioni siano i pattisti aventi di mira il controllo della società (giacché questo viene garantito proprio dalla disponibilità di partecipazioni in misura rilevante). 178 assunto in presenza di una corretta diffusione delle informazioni e il prezzo concretamente praticato.122 Proprio con riferimento all’ipotesi in cui i pattisti abbiano corrisposto un prezzo più basso del dovuto in ragione dell’omessa pubblicazione dell’accordo, non è anzi da escludere che sia questa la strada più appetibile per i danneggiati, anche perché presenterà minori difficoltà in punto di prova rispetto all’azione di annullamento.123 Quanto appena detto sollecita un’ulteriore precisazione, preceduta dall’avvertenza che in questa materia non risulta sempre agevole operare una netta distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale nella prospettiva della tutela degli azionisti-investitori124: mentre la responsabilità da insider trading è da qualificare in linea generale come extracontrattuale 125, anche in considerazione del fatto 122 Sul fatto che il risarcimento ex art. 1440 c.c. sia volto ad attribuire alla vittima dell’illecito proprio le migliori condizioni che questa avrebbe ottenuto in assenza della condotta scorretta perpetrata ai suoi danni, v. tra gli altri SCODITTI, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale, nota a Cass. 29 settembre 2005, n. 19024, in Foro it., 2006, I, 1111; GALLO, Responsabilità precontrattuale: il quantum, in Riv. dir. civ., 2004, I, 505; SCARPELLO, Il dolo incidente: una fattispecie ‘determinante’ per i criteri di separazione degli illeciti, nota a Coll. Arb. 26 gennaio 1996, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 654; in giurisprudenza, v. peraltro Cass. 29 marzo 1999, n. 2956, in Giur. it., 2000, II, 1192 ss., con nota di DALLA MASSARA, Dolo incidente: quantum risarcitorio e natura della responsabilità, ibidem, 1192 ss.: tale pronuncia già affermava che la misura indicata non esaurisce necessariamente il danno risarcibile, il quale piuttosto “deve estendersi agli altri effetti, purché collegati da un rapporto rigorosamente conseguenziale e diretto tra condotta ed evento” (ibidem, 1194). 123 Si noti per inciso che, ove gli alienanti che facciano valere la tutela ex art. 1440 c.c. per aver contrattato direttamente con gli insiders abbiano altresì conservato una parte del loro originario pacchetto azionario e perciò avrebbero dovuto comunque ricevere un’offerta pubblica di acquisto, potranno far valere anche questa diversa forma di responsabilità con riferimento alla partecipazione tuttora detenuta. 124 Sul punto GIUDICI, La responsabilità, cit., 306, il quale osserva che la scelta può dipendere dall’ottica in cui ci si pone, a seconda cioè che si dia maggior peso alla dimensione contrattuale o si metta l’accento sulla qualifica di investitore (attuale o potenziale) del soggetto danneggiato; sulla necessità di tutela degli azionisti, tanto nella veste di soci quanto in qualità di investitori, un cenno anche in STAGNO D’ALCONTRES, Informazione dei soci e tutela degli azionisti di minoranza nelle società quotate, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, 320. Si veda, sotto questo profilo, l’acuta osservazione di DENOZZA, La nozione di informazione privilegiata, cit., 597, il quale nota che “in questa prospettiva l’azionista, inteso come un socio che partecipa con altri ad un’impresa di cui vuol condividere i successi, scompare. Questa immagine viene sostituita da un’altra, quella dell’investitore che ha comprato azioni di una certa società, ma non ha ancora deciso di venderle. Quella di azionista diventa qui la transeunte qualità che l’investitore viene a ricoprire nel periodo intercorrente tra la decisione di acquistare e quella di vendere determinate azioni.” L’A. precisa che ciò non elimina in radice la possibilità di conflitti tra azionisti interessati alla diffusione di informazioni ed altri che vorrebbero mantenerle riservate: ma quest’ultimo è evidentemente un profilo che esula dall’indagine imperniata sull’informazione circa l’esistenza di un patto parasociale, data l’esistenza in questo caso di norme che impongono specificamente la disclosure. L’avvicinamento tra le due specie di responsabilità era stata già notata, con riferimento alla responsabilità da informazioni inesatte, da BUSNELLI, Itinerari europei nella “terra di nessuno tra contratto e fatto illecito”: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contr. e impr., 1991, 539 ss. 125 E’ da notare per inciso che il fatto di prospettare questo genere di responsabilità accanto a quella da mancata OPA, che si è detto avere natura contrattuale, non involge un problema di concorso tra responsabilità aquiliana e responsabilità da inadempimento (sui cui contorni cfr. ad es. CASTRONOVO, Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso, in Europa e dir. priv., 2004, 69 ss.; DE MATTEIS, Il cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: una regola di formazione giurisprudenziale, in Il risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di G. Visintini, Milano, 1999, 399 ss.; SACCO, Concorso delle azioni contrattuale ed extracontrattuale, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di G. Visintini, Milano, 1984, 155 ss.). A ben guardare, nella situazione descritta sono invero ravvisabili due diversi illeciti: la mancata promozione dell’OPA obbligatoria e, in aggiunta (o meglio, ancor prima), l’omessa comunicazione di un patto 179 che, come si è rilevato, l’avvenuta stipulazione di contratti in borsa funziona (anziché come elemento generatore di una vera e propria relazione negoziale, piuttosto) “come meccanismo identificativo ex post del soggetto danneggiato”126, diverso discorso deve valere per l’acquisto fuori borsa delle azioni da parte dei pattisti-insiders. Come si è visto, l’omissione dell’informazione rilevante a beneficio della controparte contrattuale può dare luogo all’annullamento del contratto ed al risarcimento degli eventuali danni, nonché ad un’ipotesi di dolo incidente: tipici casi, questi, di responsabilità precontrattuale.127 E’ noto che la giurisprudenza prevalente riconduce questa categoria parasociale rilevante. E’ evidente, infatti, che le due fattispecie non debbono necessariamente accompagnarsi e che, dunque, ciascuna di essere può sussistere in via del tutto autonoma. 126 Così MACRI’, Informazioni privilegiate, cit., 166; aggiunge l’A. che tale responsabilità deriva “da violazione di norme poste in generale a tutela del mercato, in cui il contratto costituisce soltanto il meccanismo di individuazione del legittimato all’azione risarcitoria di tipo aquiliano”. Per la natura extracontrattuale della responsabilità civile dell’insider v. anche ROLFI, L’investitore, cit., 1650; GIAVAZZI, op. cit., 121, la quale avverte che, in presenza dei relativi presupposti, si potrà agire per far valere la specifica responsabilità civile da reato; nonché, in passato, MACCABRUNI, op. cit., 618 ss., il quale avanzava anche l’idea della possibilità di operare una valutazione equitativa del danno; G. SANTORO, op. cit., 677 ss., che individuava il fondamento della pretesa nel “combinato disposto degli art. 185 c.p. e 2043 c.c.”. La tutela di un interesse giuridicamente rilevante degli operatori del mercato, protetto dalle norme in questione, pare escludere che si versi in un’ipotesi di danno meramente patrimoniale. Peraltro, si è osservato che a seguito della nota sentenza della Suprema Corte S. U. n. 500/1999, che ha affidato al giudice la “selezione degli interessi giuridicamente rilevanti” (parole della Corte) ai fini della valutazione dell’ingiustizia del danno, “l’obiezione derivante dalla mera patrimonialità del pregiudizio lamentato pare destinata a perdere gran parte del proprio mordente”: parole, queste, di PERRONE, op. cit., 82-83. Né dovrebbero sorgere preoccupazioni di ordine sistematico per il fatto che in tal modo si finirebbe per risarcire a titolo di responsabilità aquiliana quello che si presenta come un mancato guadagno: si è evidenziato infatti che la “sempre maggiore attitudine dei beni a essere resi funzionali oltre il puro godimento da parte del proprietario, e perciò capaci di incrementare il patrimonio stesso” ha avuto come conseguenza che “il lucro cessante appunto non poteva non entrare nel fuoco della risarcibilità anche della responsabilità extracontrattuale”: così CASTRONOVO, Le due specie, cit., 110. Ciò è tanto più vero proprio nel caso in cui i beni in questione siano azioni di società. Ma in senso diverso v. MAZZAMUTO, Spunti in tema di danno ingiusto e di danno meramente patrimoniale, in Europa e dir. priv., 2008, I, 375-376. L’azione civile da insider trading assume i contorni di “tort claim” anche negli Stati Uniti, giacché a tale categoria viene tradizionalmente ricondotta la tutela derivante dalla violazione di un fiduciary duty: sul punto, per tutti e di recente, PRENTICE, op. cit., 373; nonché OLAZÁBAL, op. cit., 339. Ma in ordine alle differenze che le due tipologie di azione conservano, specie in punto di prova del nesso causale, cfr. in particolare FISCH, op. cit., 829 ss. 127 Per il rilievo che l’omissione dell’informazione da parte dell’insider costituisca negli scambi diretti “violazione di un obbligo precontrattuale”, v. GIUDICI, La responsabilità, cit., 293, il quale tuttavia ne trae l’ulteriore conclusione (non condivisibile) secondo cui, per converso, negli scambi in borsa l’attività dell’insider non potrebbe dirsi “causalmente correlata alla decisione di chi ha inconsapevolmente compravenduto all’insider”; pertanto, l’A. esclude che vi possa essere responsabilità civile dell’insider nei confronti degli investitori pregiudicati (ibidem, 298). Non è difficile scorgere in questa impostazione l’elevazione degli ostacoli di ordine pratico all’operatività del rimedio risarcitorio (di cui si è dato conto in precedenza nel testo) al rango di elementi idonei a paralizzare, finanche sul piano sistematico, la praticabilità di questa forma di tutela: con il risultato che rimarrebbero applicabili unicamente le sanzioni di carattere pubblicistico. Sulla riconducibilità (anche) dell’ipotesi di cui all’art. 1440 c.c. alla categoria della responsabilità precontrattuale v. CASTRONOVO, Vaga culpa, cit., 10; GALLO, Responsabilità precontrattuale: la fattispecie, in Riv. dir. civ., 2004, I, 314 e 318; ID., Asimmetrie informative e doveri di informazione, in Riv. dir. civ., 2007, 673; SCODITTI, op. cit., 1109, argomentando a partire dal “principio di non interferenza fra regole di comportamento e regole di validità”. Anche la giurisprudenza ammette ormai esplicitamente che un’ipotesi di responsabilità precontrattuale possa darsi anche a fronte della conclusione di un contratto valido, qualificando l’art. 1337 c.c. alla stregua di una clausola generale: v. in particolare Cass. 29 settembre 2005, n. 19024, pubblicata in Danno e resp., 2006, 25 ss.; in Contratti, 2006, 446 ss.; in Corr. giur., 2006, 669 ss.; in Foro it., 2006, I, 1105 ss., con nota di SCODITTI, cit., 1107 ss.; App. Venezia, 31 maggio 2001, n. 724, in Corr. giur., 2001, 1199 ss., 180 alle regole operative della responsabilità aquiliana128, contrariamente all’opinione dominante in dottrina129; quale che sia la soluzione che si preferisca in generale, ad ogni modo, pare arduo predicare la natura extracontrattuale della responsabilità che sorge nello specifico caso del dolo incidente: qualora esista un contratto valido (come appunto commentata adesivamente da DALLA MASSARA, Sul risarcimento del danno da dolo incidente, ibidem, 1202 ss. Conf. MERUZZI, La responsabilità precontrattuale tra regola di validità e regola di condotta, in Contr. e impr., 2006, 946, per la constatazione che la violazione dell’art. 1337 c.c. “assume rilievo non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative (e, quindi, di mancata conclusione del contratto) o di conclusione di un contratto invalido o comunque inefficace (art. 1338, 1398 c.c.), ma anche quando il contratto posto in essere sia valido, e tuttavia pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto (1440 c.c.).” Per l’opinione contraria v. D’AMICO, Regole di validità e di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, I, 41. Qualche dubbio in proposito è stato espresso anche da SCARPELLO, op. cit., 654-655, sebbene partendo dall’osservazione che la misura del risarcimento coincide con quella propria della responsabilità contrattuale: la perplessità dell’A., peraltro, può essere dissipata ove si accolga l’idea secondo cui il regime operativo della responsabilità precontrattuale deve essere, appunto, quello della responsabilità da inadempimento. Né dovrebbero residuare dubbi in merito alla risarcibilità anche del lucro cessante nelle varie figure di responsabilità precontrattuale: in giurisprudenza, Cass. 30 luglio 2004, n. 14539, in Foro it., 2004, I, 3009 ss., con nota di PARDOLESI, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale: di paradossi e diacronie, ibidem, 3010 ss.; App. Venezia, 31 maggio 2001, cit., 1201; in dottrina, per tutti, TURCO, L’interesse negativo nella culpa in contrahendo, in Riv. dir. civ., 2007, 175.; GALLO, Responsabilità precontrattuale: il quantum, cit., 492 ss., il quale ritiene inoltre che in tal modo il risarcimento finisca per inglobare anche l’interesse positivo (che dunque viene fatto coincidere dall’A. con il lucro cessante: ibidem, 495). In realtà, è forse più corretto dire che il lucro cessante rappresenti una voce di danno ulteriore rispetto alla prestazione contrattuale venuta meno, corrispondente cioè “alle utilità che da essa si sarebbero ricavate”: così DI MAJO, Discorso generale sulla responsabilità civile, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, vol. IV, t. 3, Attuazione e tutela dei diritti. La responsabilità e il danno, coordinato da A. Zoppini, Milano, 2009, 47. 128 Cfr. ad es. Cass. 7 febbraio 2006, n. 2525, in Giust. civ. Mass., 2006, 2; Cass. 5 agosto 2004, n. 15040, in Giust. civ., 2005, I, 669 ss.; Cass., Sez. Un., 26 giugno 2003, n. 10160, in Foro it.., 2004, I, 2206 ss. Ma in senso diverso, da ultimo e con riferimento ad un caso di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, cfr. Cass. 20 dicembre 2011, n. 27648, in Contratti, 2012, 235 ss. con commento di DELLA NEGRA, Culpa in contrahendo, contatto sociale e modelli di responsabilità, ibidem, 238 ss. 129 Per tutti, CASTRONOVO, Vaga culpa, cit., 20; ID., La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 584-585, ove il rilievo che la violazione dell’obbligo di buona fede “è già di per sé contrarietà a una regola di condotta, che non ha bisogno della colpa per qualificare come antigiuridica la condotta stessa”; MERUZZI, Responsabilità, cit., 2602, ove ulteriori riferimenti; ID., La responsabilità, cit., 973-974, per l’argomento che l’instaurazione di una trattativa dà vita ad un’obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico secondo quanto dispone l’art. 1173 c.c., avente come contenuto “il dovere giuridico di comportarsi secondo buona fede”; TURCO, L’interesse, cit., 193, il quale aggiunge l’osservazione che l’art. 1337 c.c. non avrebbe ragione di esistere quale norma dotata di autonomia se il suo contenuto precettivo fosse già ricompreso in quello dell’art. 2043 c.c. Proprio per tale motivo non è condivisibile la contraria opinione di GALLO, Responsabilità precontrattuale: la fattispecie, cit., 299, che opina nel senso della natura extracontrattuale della responsabilità in discorso; analog. DELLA NEGRA, op. cit., 244. Ma v., per una posizione intermedia, TUCCI, La violazione, cit., 122, secondo cui “la responsabilità precontrattuale può avere natura aquiliana o contrattuale, a seconda del tipo di interesse, di volta in volta, leso dall’altrui condotta; interesse che, a sua volta, orienta l’interprete nella valutazione del danno risarcibile”. E’ anche vero, però, che quest’ultimo A. fa questa affermazione nello studio delle conseguenze della violazione dell’obbligo di OPA, sostenendo che anche ove si volesse qualificare la responsabilità dei mancati offerenti come precontrattuale non verrebbe meno la possibilità di ritenere risarcibile anche il c.d. interesse positivo: in realtà, con la nozione di “responsabilità precontrattuale” ci si dovrebbe riferire unicamente alle ipotesi in cui mancano obblighi inerenti alla conclusione del futuro (ed eventuale) contratto; nella disciplina dell’OPA obbligatoria, invece, la legge impone l’obbligo di formulare l’offerta a determinate condizioni, sicché viene meno la piena libertà negoziale di coloro che, appunto, sono tenuti al lancio dell’offerta. In caso di violazione, come già si è detto, sorgerà perciò una responsabilità di tipo contrattuale. 181 accade nell’ipotesi in esame), sembra corretto ammettere che il risarcimento debba commisurarsi alle migliori condizioni contrattuali che la vittima del raggiro avrebbe ottenuto in assenza della condotta decettiva della controparte.130 Se così è, il tipo di danno risarcibile nel caso di responsabilità da dolo incidente finirà per coincidere con quello che possono lamentare coloro i quali hanno alienato sul mercato regolamentato azioni della società nell’intervallo di tempo rilevante: esso, lo si ribadisce, sarà pari alla differenza tra il prezzo che avrebbe dovuto essere pagato per quelle azioni in una 130 In questo senso anche MERUZZI, Responsabilità, cit., 2603-2604. La conclusione proposta nel testo può essere argomentata in due diversi modi. Innanzitutto, a chi ritiene che quello così descritto rappresenti il risarcimento del c.d. interesse positivo (anziché, come dovrebbe avvenire in caso di responsabilità precontrattuale, del c.d. interesse negativo), si può ribattere che la categoria dell’interesse negativo venne forgiata già dal suo “scopritore” tedesco Jhering con riferimento (solamente) a quella che è la tradizionale ipotesi di responsabilità precontrattuale, ossia la conclusione di un contratto invalido (cui si aggiunse poi nell’elaborazione dottrinale la rottura ingiustificata e contraria a buona fede delle trattative negoziali): v. sul punto TURCO, L’interesse, cit., 170; GALLO, Responsabilità precontrattuale: il quantum, cit., 487; nonché, espressamente, App. Venezia, 31 maggio 2001, cit., 1201, ove si legge che il criterio dell’interesse negativo è “correttamente utilizzabile solo per le evenienze in cui il contratto non sia stato concluso, ovvero, pur perfezionato, risulti invalido.” Soltanto in seguito il nostro codice civile ha contemplato, in aggiunta, la diversa ipotesi della responsabilità da dolo incidente (art. 1440 c.c.), ricondotta ormai senza troppe esitazioni - come si è visto - alla responsabilità precontrattuale: essa, però, sembra richiedere un trattamento parzialmente differente rispetto agli altri due casi menzionati. E’ opportuno ed interessante richiamare nuovamente, in proposito, Cass. n. 19024/2005, la quale ha affermato che nell’ipotesi di cui all’art. 1440 c.c. “il risarcimento, pur non potendo essere commisurato al pregiudizio derivante dalla mancata esecuzione del contratto posto in essere (il c.d. interesse positivo), non può neppure essere determinato [...] avendo riguardo all’interesse della parte vittima del comportamento doloso (o, comunque, non conforme a buona fede) a non essere coinvolta nelle trattative, per la decisiva ragione che, in questo caso, il contratto è stato validamente concluso [...] Il risarcimento, in detta ipotesi, deve essere ragguagliato al ‘minor vantaggio o al maggior aggravio economico’ determinato dal contegno sleale di una delle parti (Cass. 11 luglio 1976, n. 2840; 16 agosto 1990, n. 8318), salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto [...]”. Come si è osservato, da queste parole traspare la difficoltà della Corte nel muoversi tra le strettoie delle categorie concettuali tradizionali, ossia tra l’esigenza di riconoscere la risarcibilità del danno nella misura di cui si è detto lasciandosi alle spalle il limite posto dall’interesse negativo, da un lato, e quella di evitare un espresso ricorso alla nozione di interesse positivo, dall’altro: MERUZZI, La responsabilità, cit., 963. Il passo riportato può essere d’aiuto per illustrare pure il secondo dei due possibili percorsi argomentativi cui si è accennato poc’anzi: anche ove si volesse continuare, cioè, ad accogliere l’impostazione che proclama (in via forse tralatizia) la risarcibilità del solo interesse negativo in tutti i casi di responsabilità precontrattuale (per tale opinione v. CASTRONOVO, Vaga culpa, cit., 30 ss.), è possibile osservare che tale formula dovrebbe per la verità assumere un valore puramente descrittivo (traducibile cioè nell’interesse a non intraprendere una trattativa che ha condotto ad un esito variamente pregiudizievole), senza che da essa sia possibile trarre, sul piano dogmatico, conclusioni automatiche ed univoche circa la commisurazione del danno risarcibile (pur generalmente individuato, come è noto, nelle spese sostenute per la conduzione della trattativa e nel lucro cessante consistente nella perdita di opportunità contrattuali alternative): in tal senso v. di nuovo GALLO, Responsabilità precontrattuale: il quantum, cit., 489, e TURCO, L’interesse, cit., 170, per l’ammonimento che il concetto di interesse negativo non deve essere inteso quale sinonimo di danno; DE MAURO FORTINGUERRA, La responsabilità precontrattuale, Padova, 2002, 298; MERUZZI, op. ult. cit., 966 ss., il quale rileva anche che se la condotta decettiva porta “a concludere non un contratto diverso da quello che si sarebbe altrimenti stipulato, ma lo stesso contratto, sebbene a condizioni diverse ed economicamente peggiorative, l’interesse negativo è dato dalla differenza tra l’interesse positivo realizzato e l’interesse positivo che si sarebbe ragionevolmente realizzato in assenza della scorrettezza” (ibidem, 969). In ordine alla circostanza che nell’ipotesi in esame interesse positivo e interesse negativo finiscano per coincidere v. TURCO, L’interesse, cit., 195; e già ID., Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Milano, 1990, spec. 700 ss.; BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1998, 628 (“il risarcimento del danno si adegua ad un criterio analogo a quello valevole per l’inadempimento”). Secondo DALLA MASSARA, Dolo incidente, cit., 1193, la responsabilità da dolo incidente finisce per reclamare proprio il risarcimento dell’interesse positivo. 182 situazione di piena e corretta informazione e quello effettivamente corrisposto dagli autori della condotta decettiva (o anche da altri, ignari, acquirenti sul mercato).131 Un’ulteriore possibilità di far valere il rimedio dell’annullamento per dolo potrebbe prospettarsi con riguardo alla diversa situazione di chi, dopo aver acquistato azioni di una società, venga a conoscenza dell’esistenza di un patto parasociale rilevante in precedenza mantenuto nascosto.132 Naturalmente, la questione va posta con riferimento a casi diversi da quello in cui ad aver alienato le azioni sia un soggetto che fosse parte dell’accordo parasociale, perché in tale situazione non vi sarebbero dubbi sull’applicabilità della tutela invalidatoria (salvo, in base a quanto si è detto, che la compravendita sia avvenuta in maniera “anonima” all’interno del mercato regolamentato). L’interrogativo deve, allora, essere qui apprezzato in una prospettiva diversa, allorché cioè l’alienante non sia parte dell’accordo parasociale. Anche in questa ipotesi va esclusa la tutela contrattuale se l’acquisto è avvenuto in borsa, salvo eventualmente il risarcimento dei danni; in caso contrario, verrà in gioco la regola che disciplina il raggiro perpetrato dal terzo (art. 1439, comma 2, c.c.), la quale, come è noto, stabilisce che il contratto può essere annullato se il contraente che ne ha tratto vantaggio era a conoscenza della condotta decettiva del terzo stesso (nel nostro caso, dell’esistenza di patti occulti).133 6. I patti parasociali occulti come ipotesi di aggiotaggio. Posto che, come si è cercato di dimostrare, l’omessa informativa sulla stipula di un patto parasociale può ritenersi riconducibile alla condotta di insider trading e alla relativa responsabilità (non soltanto penale, ma anche) civile, la mancata disclosure di tali accordi è stata invece espressamente considerata, da qualche autore e dalla giurisprudenza, integrativa del reato di aggiotaggio, disciplinato oggi da due diverse disposizioni, l’art. 2367 c.c. e l’art. 185 T.U.F. (quest’ultimo rubricato “manipolazione del mercato”).134 Entrambe le norme hanno riguardo alla “sensibile alterazione del 131 Diverso è, lo si ripete, il danno risarcibile nel caso in cui il soggetto pregiudicato ottenga l’annullamento del contratto di alienazione delle azioni stipulato fuori borsa: dal momento che l’operazione negoziale viene meno con effetto retroattivo e l’originario alienante torna in possesso delle azioni (ove possibile, naturalmente), il risarcimento sarà commisurato - secondo le regole generali - al c.d. interesse negativo. 132 Uno spunto interessante in tale direzione era offerto, sebbene implicitamente, da COTTINO, Il D. L. 24 febbraio 1998, n. 58, cit., 1297, ove affermava che il vantaggio offerto dalla disciplina del T.U.F. è “per il risparmiatore e per chi non è ancora socio, di sapere, allorché acquista azioni di una società quotata, in qual misura essa sia avvolta e condizionata da patti parasociali accettandone con l’acquisto i corollari.” 133 Sul fatto che l’annullamento del contratto può condurre altresì alla responsabilità aquiliana del terzo v. PERRONE, op. cit., 171 (nt. 48, ove qualche ulteriore riferimento). E’ bene forse aggiungere che, in base a quanto detto nel testo, difficilmente potrebbe prospettarsi un’ipotesi di annullamento del contratto per errore dell’acquirente riconoscibile dall’alienante: se la condotta di quest’ultimo è colorata da dolo, essa varrà ad assorbire la rilevanza dell’errore; in caso contrario (ove, cioè, anche l’alienante non sia a conoscenza del patto parasociale) è probabile che l’errore non possa considerarsi riconoscibile. 134 Per la giurisprudenza, il riferimento è ad App. Milano, 13 giugno 2012, cit., 104 ss.; ma anche alla distinta pronuncia della stessa Corte d’Appello di Milano dell’11 giugno 2012 sul “caso Antonveneta”, 17 ss. e 185; nonché a Trib. Milano, 28 ottobre 2011, cit. Sul reato di aggiotaggio e di manipolazione del 183 prezzo di strumenti finanziari” determinata da chiunque “diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici”; la disposizione del T.U.F., però, opera soltanto con riferimento agli strumenti finanziari quotati. Ebbene, si è ritenuto che l’omissione dell’informativa riguardante l’esistenza dei patti parasociali possa costituire uno degli “altri artifici”, contemplati dalle due norme in via residuale e tali da disegnare la fattispecie criminosa come reato a forma libera.135 Si è detto infatti che devono ritenersi artifici tutti “gli espedienti operativi diversi dalla diffusione di informazioni fallaci”, essendo sufficiente che si tratti di “mezzi di induzione di altrui comportamenti sul mercato”136. Questa tesi fa leva sostanzialmente su due percorsi argomentativi 137: in prima battuta, si osserva che il bene giuridico tutelato dalle norme in materia di aggiotaggio e dagli obblighi di cui agli artt. 106 e 122 T.U.F. è il medesimo, ossia la trasparenza e il corretto andamento del mercato finanziario138; secondariamente, si evidenzia che la giurisprudenza di legittimità si è espressa in generale nel senso che l’artifizio ed il raggiro possono consistere anche in un comportamento reticente, ossia nel silenzio serbato a fronte di un obbligo di informazione previsto anche in una norma extrapenale139. Se ne inferisce, dunque, che la condotta posta in essere in violazione mercato si vedano, senza pretesa di completezza, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, I, a cura di C. F. Grosso, Milano, 2007, 501 ss.; MUSCO, I nuovi reati societari, Milano, 2007; MELCHIONDA, Aggiotaggio e manipolazione del mercato, in I reati societari, a cura di A. Lanzi e A. Cadoppi, Padova, 2007, 240 ss.; A. ROSSI, Le fattispecie penali di aggiotaggio e manipolazione del mercato (artt. 2367 c.c e 185 d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58): problemi e prospettive, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini e C. E. Paliero, Milano, 2006, III, 2637 ss.; F. MUCCIARELLI, Aggiotaggio, in Il nuovo diritto penale delle società. D. lgs. 11 aprile 2002, n. 61, a cura di A. Alessandri, Milano, 2002, 421 ss.; SEMINARA, L’aggiotaggio, in I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di A. Giarda e S. Seminara, Padova, 2002, 543 ss. 135 La tesi è stata propugnata espressamente da ACCINNI, Opa obbligatoria e condotta “artificiosa” nel reato di aggiotaggio c.d. “manipolativo”, in Riv. soc., 2006, 70 ss.; da MELILLO, op. cit., 150 ss.; nonché da MAGRO, op. cit., 63 ss. In giurisprudenza, nello stesso senso si è espressa la già citata sentenza emessa dal Tribunale di Milano nel caso relativo alla scalata di Banca Antonveneta (pagg. 1415), la quale ha fatto rientrare la mancata comunicazione di patti ex art. 122 T.U.F. nella fattispecie dell’aggiotaggio (“altri artifici”), rilevando che tale informativa è “determinante per orientare le scelte degli investitori” e di impatto immediato “sulle modalità e sui prezzi in cui possono avvenire gli scambi dei titoli”. Più cauto sul punto, invece, MACRI’, Informazioni privilegiate, cit., 128 (nt. 127). Sulla natura a forma libera del reato di aggiotaggio, v. in particolare A. ROSSI, op. cit., 2663. 136 MUCCIARELLI, Aggiotaggio, cit., 429. Occorre osservare anche che il CESR (Committee of European Securities Regulators) ha elaborato delle linee guida di applicazione inerenti alle possibili ipotesi di manipolazione del mercato (v. sul punto ROMOLOTTI, Recepimento della direttiva “Market abuse” e nuove linee guida del CESR, in Società, 2005, 1309 ss.); in proposito, v. anche la Comunicazione della Consob n. 5078692 del 29 novembre 2005, in www.consob.it. Si è escluso invece che possano rilevare come operazioni simulate le omesse pubblicazioni dei patti parasociali: cfr. A. ROSSI, op. cit., 2663, secondo la quale “è imprescindibile la ‘pubblicità’ dell’operazione secondo le regole del mercato, posto che soltanto così tali operazioni possono essere in concreto idonee ad incidere sull’andamento delle quotazioni”. Tale conclusione è in linea con quanto si è detto nel capitolo precedente circa la difficoltà di pensare al fenomeno simulatorio senza la creazione di una situazione di apparenza. E’ anche vero peraltro che, nel momento in cui l’omessa informativa circa l’esistenza di un patto parasociale viene considerata rilevante nella forma di ulteriore artificio, la questione assume qui una portata meramente classificatoria e nominalistica. 137 Per i quali v. nuovamente ACCINNI, op. cit., 70 ss. 138 Di interesse alla “stabilità del mercato” ha parlato anche A. ROSSI, op. cit., 2653. 139 E. v, in tal senso, Cass. pen., 13 novembre 1997, n. 870, in Cass. pen., 1999, 1140. 184 degli artt. 106, 109 e 122 T.U.F sia idonea ad incidere in maniera patologica sul prezzo degli strumenti finanziari140. A ben guardare, per la verità, l’ipotesi più piana di integrazione del delitto di aggiotaggio (manipolativo) dovrebbe ritenersi proprio quella della semplice violazione della norma sulla pubblicità, che si verifica cioè allorché sia riscontrabile (in presenza, naturalmente, degli altri elementi contemplati dalla norma penale) l’omessa comunicazione ai sensi dell’art. 122 T.U.F. (e forse anche dell’art. 2341-ter c.c.); dunque, anche qualora non ricorrano i presupposti per il lancio dell’OPA obbligatoria.141 In effetti, è stata ipotizzata in dottrina la possibilità dell’autonoma rilevanza della violazione della disposizione in tema di trasparenza.142 Non è da escludere, in quest’ottica, che anche un patto parasociale “di minoranza” non comunicato possa in concreto, in ragione del particolare contesto in cui si situa la condotta, determinare un’alterazione del prezzo di strumenti finanziari; già si è rilevato, del resto, che l’omessa comunicazione di un patto parasociale sembra certamente idonea a determinare scelte di investimento nella società da parte dei terzi, proprio in ragione di quelli che sono gli assetti di potere in essa esistenti; sembra pertanto soddisfatto il requisito della rilevanza generale della notizia non diffusa.143 Data la struttura a forma libera dell’illecito, ad ogni modo, pare opportuno non eccedere in categorizzazioni che rischierebbero di estromettere ingiustificatamente dall’alveo della disposizione condotte in grado di ledere i beni giuridici tutelati dalle norme144. Quanto al patto parasociale occulto che conduca altresì alla realizzazione dei presupposti dell’obbligo di promozione di un’OPA, se quanto detto in precedenza è corretto bisognerebbe desumerne l’applicabilità dell’art. 184 T.U.F. in tema di abuso di informazioni privilegiate piuttosto che dell’art. 185 T.U.F.; in quest’ultima disposizione, come si è visto, la condotta reticente in grado di determinare un’alterazione dei prezzi è di per sé sufficiente ad integrare l’elemento oggettivo della condotta illecita (cui deve affiancarsi, naturalmente, l’elemento soggettivo), mentre l’acquisto di azioni che si accompagni ad un accordo tra soci mantenuto segreto sembra 140 Ancora ACCINNI, op. cit., 74. Contra SCOLETTA, Osservatorio di giurisprudenza penale dell’impresa, in Società, 2012, 339, il quale dubita del fatto che l’artificio meramente omissivo possa integrare la fattispecie penale, sulla base del rilievo che anch’esso “si colloca in un ben più ampio contesto operativo che costituisce il fatto unitario di aggiotaggio penalmente rilevante”. 142 Di nuovo ACCINNI, op. cit., 73. Più in generale, ha adombrato la possibilità che la violazione di norme di trasparenza nel mercato secondario integri la fattispecie dell’aggiotaggio PERRONE, op. cit., 156 (testo e nt. 6). 143 Come un illustre autore ha osservato, ai fini della configurabilità del delitto di aggiotaggio, è necessario che vengano in considerazione operazioni rivolte al mercato, non bastando un’informazione distorta concernente lo specifico rapporto con una controparte contrattuale: CRESPI, Manipolazione del mercato e manipolazione di norme incriminatrici, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, I, 117 ss.; analog. ID., Le difficili intese sull’aggiotaggio informativo, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, 253, ove l’A. nega la configurabilità di condotte manipolative “se non si dimostra che l’andamento di quel titolo altro non è che il previsto risultato di un intenzionale turbamento del mercato o di un altrettanto intenzionale suo uso asservito alla realizzazione dei propri scopi”; l’A. nega altresì che il mendacio o la reticenza a fronte di una richiesta di informazione avanzata dalla Consob ex art. 114 T.U.F. possa costituire di per sé una manipolazione del mercato, specialmente se perpetrati per un interesse prettamente individuale ed in assenza dell’intento di operare una turbativa del mercato. 144 A. ROSSI, op. cit., 2662, ha evidenziato “l’impossibilità concreta di una precisa catalogazione astratta delle operazioni sospette”. 141 185 avvicinarsi maggiormente, come si è cercato di dimostrare, ai connotati tipici dell’insider trading.145 Se così è, a poco serve affermare che “l’informazione idonea ad integrare la condotta manipolativa è necessariamente diversa da quella rilevante ai fini dell’insider trading”146: non sembra sia questo il discrimine tra le due fattispecie, posto che l’esistenza di un patto non comunicato è un’informazione privilegiata di cui sono in possesso - in linea di principio e in assenza di pubblicazione - i soli aderenti.147 Peraltro, proprio nel caso in cui siano riscontrabili i presupposti dell’OPA obbligatoria, non è da escludere che sul terreno prettamente civilistico la distinzione tra le due figure di reato perda gran parte della sua importanza, atteso che anche con riferimento alla fattispecie della manipolazione del mercato il pregiudizio patito dalle vittime della condotta illecita tende a risolversi, come la norma stessa suggerisce, in una “sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari”. Se così è, non pare che il problema del danno risarcibile, eventualmente in aggiunta a quello determinato dalla mancata promozione dell’offerta pubblica di acquisto obbligatoria, venga a configurarsi in termini differenti da quelli in precedenza descritti (in particolare allorquando, appunto, i pattisti occulti abbiano proceduto ad acquisti di azioni della società tali da determinare il superamento, anche congiunto, della soglia rilevante).148 Da ultimo, può essere opportuno rilevare che secondo l’art. 184 T.U.F. la compravendita di azioni rilevante ai fini dell’insider trading può essere posta in essere anche “indirettamente”, cioè per interposta persona o tramite una società controllata. L’osservazione consente di applicare l’analisi testé svolta alle ipotesi, esaminate nel 145 Questo pare essere il criterio più sicuro per sceverare in concreto i casi in cui la condotta debba essere ricondotta nell’alveo dell’art. 184 piuttosto che dell’art. 185 T.U.F.: sul punto ANTOLISEI, op. cit., 594, il quale osserva che l’insider trading costituisce un “reato istantaneo”, che richiede il compimento delle condotte tipiche indicate dal primo comma dell’art. 184 T.U.F.; analog. NAPOLEONI, op. cit., 596, per il rilievo che il principio di materialità del reato esige una vera e propria condotta attiva dell’insider che si aggiunga all’omessa disclosure, essendo “irrilevante il cosiddetto insider non trading”. Vale forse la pena notare che, secondo l’A. che più diffusamente ha argomentato la correlazione tra patti parasociali occulti e aggiotaggio, se si verificano i presupposti dell’OPA obbligatoria non sarà possibile sostenere che “l’eventuale ‘concerto’ non sarebbe inteso ad incidere sui prezzi delle azioni” (ACCINNI, op. cit., 75): conclusione, questa, in linea con quanto sostenuto nel capitolo precedente riguardo all’obbligo di promozione dell’OPA, là dove si è detto che non può ritenersi necessaria la prova dell’intenzione di agire di concerto, bastando la prova della sussistenza del patto parasociale e dell’effettuazione di acquisti di azioni tali da determinare il superamento delle soglie rilevanti. Sulla distinzione tra insider trading e manipolazione del mercato si era soffermato, in passato, anche CRESPI, Insider trading e frode sul mercato dei valori mobiliari, in Riv. soc., 1991, 1673 ss. e spec. 1676 ss. 146 Sono le parole di LUNGHINI, Manipolazione del mercato come difesa dell’impresa?, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, 241. 147 Questa impostazione sembra confortata dall’osservazione che “nel caso degli azionisti, avrà rilievo solo ed esclusivamente l’utilizzo di corporate informations (vale a dire le informazioni specificamente attinenti la società della quale l’insider è azionista), mentre rimarranno fuori dall’ambito punitivo le c.d market informations (informazioni di mercato più in generale): ciò è deducibile dal testo della legge, laddove limita la punibilità all’ipotesi in cui la partecipazione sia quella al ‘capitale dell’emittente’”: così ANTOLISEI, op. cit., 589. 148 Si veda in proposito quanto rilevato da App. Milano, 13 giugno 2012, cit., a pag. 104, ove la Corte, qualificando la mancata OPA da concerto occulto quale ipotesi di aggiotaggio, osserva (coerentemente a quanto già rilevato nel corso della trattazione che precede) che la comunicazione del patto occulto “avrebbe obbligato i paciscenti a lanciare un’OPA, la cui elusione aveva appunto lasciato i prezzi ad un livello più basso di quello che l’OPA stessa avrebbe determinato” (corsivo aggiunto). 186 capitolo precedente, in cui il patto parasociale occulto coinvolga una pluralità di fiducianti o, appunto, i soci di una holding che controlla una società quotata.149 7. Patti parasociali occulti e (semplice) responsabilità per omessa informazione. Se in presenza dei presupposti dell’OPA obbligatoria la riconducibilità della condotta reticente dei pattisti alla fattispecie dell’insider trading piuttosto che a quella dell’aggiotaggio non dovrebbe comportare, sotto il profilo civilistico, significative divergenze applicative, l’aver adombrato poc’anzi una possibile responsabilità civile dei pattisti anche in mancanza di acquisti di azioni rilevanti per l’art. 109 T.U.F. dischiude un’ulteriore prospettiva civilistica: si tratta, appunto, della configurabilità di una responsabilità per mancata disclosure di informazioni, concepita come ipotesi distinta da quella per insider trading o che comunque determini altresì l’integrazione dei requisiti dell’obbligo di lancio di un’offerta pubblica. Sin qui, del resto, si sono presi in esame i casi di responsabilità risarcitoria che potrebbero affiancarsi o comunque interferire con la responsabilità da mancata OPA; non può escludersi, tuttavia, che taluni soggetti subiscano un pregiudizio per il solo fatto di non aver potuto avere contezza dell’esistenza di un patto parasociale che avrebbe dovuto essere pubblicato. Il discorso, così impostato, si può a questo punto riferire anche alle società aperte al mercato ma non quotate e, dunque, all’inadempimento degli obblighi pubblicitari previsti dall’art. 2341-ter c.c., oltre che di quelli di cui all’art. 122 T.U.F. Il richiamo alla disciplina codicistica introduce però nuovamente la distinzione di cui si è detto nel primo capitolo. Mentre per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio occorrerà che si tratti di patti parasociali idonei a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società, ogni patto rientrante nelle tipologie descritte dall’art. 122 T.U.F. dovrebbe, come si è detto, costituire oggetto di comunicazione e di pubblicazione (se raccoglie una partecipazione almeno pari al due per cento del capitale) nei modi normativamente stabiliti. L’idoneità dell’omessa comunicazione di un accordo parasociale rilevante per il T.U.F. ad essere fonte di danno per alcuni soggetti operanti sul mercato dipenderà probabilmente dalla percentuale di capitale in esso coinvolta, ma si tratta di una valutazione che dovrà essere effettuata in concreto e che impone di evitare ogni ulteriore considerazione generalizzante sul punto. Più in particolare, si è ritenuto in dottrina che l’omessa comunicazione di informazioni privilegiate di cui all’art. 114 T.U.F. dia luogo ad una responsabilità di natura extracontrattuale nei confronti degli investitori danneggiati per aver contrattato 149 Un cenno in NAPOLEONI, op. cit., 596; nonché in RACUGNO, Internal dealing, cit., 396. Un indice normativo nel senso indicato nel testo si rinviene del resto nel comma 7 dell’art. 114 T.U.F., il quale prevede che “chiunque detenga azioni in misura almeno pari al 10 per cento del capitale sociale, nonché ogni altro soggetto che controlla l’emittente quotato, devono comunicare alla Consob e al pubblico le operazioni, aventi ad oggetto azioni emesse dall’emittente o altri strumenti finanziari ad esse collegati, da loro effettuate, anche per interposta persona” (corsivo ovviamente aggiunto). 187 “sulla scorta di un quadro informativo insufficiente”.150 Il fondamento di una responsabilità così configurata sarebbe la violazione di una norma volta a proteggere l’interesse giuridicamente rilevante di soggetti non previamente determinabili 151, circostanza, quest’ultima, che impedirebbe di rintracciare l’esistenza di una vera e propria obbligazione, possibile fonte di responsabilità contrattuale. Se è vero, come si è visto, che l’omessa pubblicizzazione di un patto parasociale rilevante è assimilabile alla mancata comunicazione di un’informazione privilegiata sì come individuata dagli artt. 114 e 181 T.U.F., allora la predetta ricostruzione può essere estesa altresì a tale ipotesi (nella quale, cioè, non vi sia anche un trading di azioni), sebbene in questo caso i soggetti responsabili della violazione debbano considerarsi in 150 MACRI’, Informazioni privilegiate, cit., 115 ss. (a pag. 119 il virgolettato). Per la ricostruzione in termini di responsabilità extracontrattuale si erano già espressi in precedenza PERRONE, op. cit., 162 ss.; PINARDI, La responsabilità per danni da informazione nel mercato finanziario, in Nuova giur. civ. comm., 2002, II, 362. Negli Stati Uniti, la giurisprudenza tende ad escludere un’azione di danni da parte di singoli investitori danneggiati semplicemente sulla base della mancata disclosure di fatti rilevanti ai sensi della Section 13(d): per un verso, si è affermato che un risarcimento sarebbe ammissibile (solo) ai sensi della Section 18(a) del SEA, che richiede altresì la prova dell’affidamento [cfr. in tal senso, tra le altre, Motient Corp. v. Dondero, 529 F.3d 532 (5th Circ. 2008); Kamerman v. Steinberg, 891 F.2d 424 (2d Cir. 1989); Rubin v. Posner, 701 F. Supp. 1041 (D. Del. 1988)]; in dottrina CHOI-PRITCHARD, op. cit., 765; HAZEN, op. cit., 88; ma il punto non è pacifico: v. Edelson v. Ch’ien, 405 F.3d 620 (7h Cir. 2005), secondo cui esiste un’azione privata ai sensi della Section 13(d), ma “only in the context of a tender offer or other contest for control”; Deneau v. Amtel, (1980 Transfer Binder) Fed. Sec. L. Rep. (CCH) § 97,645 (S.D.N.Y. 1980). Per altro verso, si preferisce ammettere che i singoli investitori abbiano il diritto di pretendere unicamente un’informazione correttiva: v. BROWN et al., op. cit., § 2.04[D], 2-44; LEVY, op. cit., 5-44. Una posizione diversa è stata però assunta dalla Corte Suprema nel caso Rondeau v. Mosinee Paper Corp., 422 U.S. 49 (1975), allorché essa ebbe a respingere, in base alle circostanze concrete, la domanda della società di inibire l’esercizio del voto o ulteriori acquisti da parte dell’autore della violazione, ma affermò che un’azione di danni dovrebbe essere riconosciuta agli shareholders qualora vendessero ad un prezzo depresso a causa della mancata disclosure di cui alla Section 13(d). Anche in Standard Financial Inc. v. La Salle/Kross Partners, L.P., cit., la Corte affermò che la mancata disclosure ai sensi della Section 13(d) può causare un “irreparable harm to shareholders and investing public”, ma si limitò in tal caso ad imporre una disclosure correttiva e l’astensione da ulteriori acquisti o alienazioni di titoli per un breve arco di tempo, proprio in base all’argomento che ciò sarebbe stato sufficiente ad evitare in concreto un “irreparable harm”. Si vedano anche, più di recente, Bender v. Jordan, 439 F. Supp. 2d 139, 160 (D. D. C. 2006); Dow Chemical Securities Bhopal Litigation, [20002001 Transfer Binder] Fed. Sec. L. Rep. (CCH), § 95,586 [S.D.N.Y.] ed ivi l’affermazione che la Section 13(d) non offre viceversa alcun rimedio agli azionisti della società acquirente (offerente). Comunque, è pacifico che vi sia un’azione di danni a disposizione degli investitori qualora essi abbiano negoziato azioni nel periodo in cui la mancata disclosure è perdurata: la pretesa si fonderà non solo e non tanto sulla violazione della Section 13(d), ma anche e soprattutto sulla violazione della Rule 10b-5: sul punto COFFEE Jr. et al., op. cit., 751; HAZEN, op. cit., 89; in giurisprudenza Phillips Petroleum Securities Litigation, 881 F.2d 1236 (3d Cir. 1989). Inoltre, vale la pena fare cenno al fatto che le Corti americane si sono mostrate più liberali nel riconoscere un’azione di danni per violazione della Section 14(d), ossia nell’ambito di una tender offer: cfr. ad es. Field v. Trump, 850 F.2d 938 (2d Cir. 1988); più di recente Katt v. Titan Acquisitions, Ltd., 133 F. Supp.2d 632 (M. D. Tenn. 2000). 151 Tale interesse viene individuato in quello all’integrità del patrimonio degli investitori e si afferma, operando un parallelo con la responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c., che la lesione dell’affidamento riposto nella completezza e correttezza delle informazioni divulgate escluda la configurabilità di un danno meramente patrimoniale: MACRI’, op. ult. cit., 119. Pur concorde, come si è visto, in termini generali, PERRONE, op. cit., 168, respinge tuttavia l’idea che si sia in presenza di un vero e proprio affidamento, che sarebbe immaginabile soltanto con riferimento agli investitori professionali e non già in capo ad ogni possibile danneggiato. In tal senso anche S. BRUNO, op. cit., 1296-1297, la quale esclude altresì la mera patrimonialità del danno in quanto è possibile ravvisare la “violazione delle disposizioni in materia di trasparenza previste nel codice civile e nel testo unico della finanza” (ibidem, 1293). 188 prima battuta i pattisti e non già la società (con riguardo alla quale la configurazione come extracontrattuale della responsabilità da omessa informazione è stata, in dottrina, principalmente prospettata). Questa circostanza non muta infatti la natura della responsabilità in questione, come si potrebbe essere portati a pensare facendo leva sull’esistenza del contratto sociale che lega gli azionisti dell’emittente. A parte il fatto che in questo ambito la qualità di azionista assume contorni più sfumati e finisce per rappresentare una semplice declinazione contingente di quella di investitore 152, si può osservare che a differenza dell’obbligo di lancio di un’offerta pubblica di acquisto - i cui beneficiari sono determinati o determinabili, essendo individuabili negli azionisti attuali153 - quello avente ad oggetto la disclosure è volto a soddisfare gli interessi del mercato o, in altri termini, di un insieme di soggetti non previamente identificabili. 154 Allo stesso modo, può indubbiamente rilevare altresì la modifica di un patto parasociale, che, pur essendo soggetta - come si è detto nei capitoli precedenti - agli obblighi pubblicitari corrispondenti, potrebbe non accompagnarsi alla realizzazione dei presupposti per il lancio di un’OPA. 155 Peraltro, non può essere escluso in radice che alla responsabilità dei principali obbligati possa aggiungersi, a beneficio dei danneggiati, quella della società stessa e dei suoi amministratori. Ciò può accadere quando l’esistenza del patto sia sì comunicata dai relativi membri agli organi della società, ma venga poi omessa la pubblicazione della notizia nei modi previsti dalla legge. Per quanto riguarda, innanzitutto, le società assoggettate alla disposizione dell’art. 2341-ter c.c., è ipotizzabile che i soci comunichino l’esistenza del patto alla società, ma in seguito non provvedano alla dichiarazione in assemblea o comunque non si proceda poi alla trascrizione nel verbale o al suo deposito nel registro delle imprese. In caso di omessa dichiarazione potrebbero rimanere responsabili la società e i suoi amministratori ove si accolga l’idea, proposta in precedenza, secondo cui la presunzione di persistente vigenza dell’accordo imporrebbe agli organi sociali di effettuare comunque la trascrizione nel verbale. Ove invece i paciscenti effettuino regolarmente la dichiarazione in assemblea ma gli organi sociali non adempiano ai successivi obblighi pubblicitari, saranno senz’altro questi ultimi ad andare soggetti a responsabilità risarcitoria nei confronti dei danneggiati. 156 Una responsabilità solidale dei pattisti e degli organi sociali può essere ipotizzata anche nelle 152 Come già si è visto, risulta cioè condivisibile l’idea che “nelle società quotate e ad azionariato diffuso, i piccoli azionisti sono assimilabili a puri investitori finanziari, la cui tutela è rimessa fondamentalmente all’informazione resa cogente dal disposto di legge e dal mercato”: parole, queste, che si prendono a prestito da SCARPA, op. cit., 508. 153 Sul punto anche CACCHI PESSANI, op. cit., 510. 154 Sul punto anche S. BRUNO, op. cit., 1294-1295. 155 Anche la modifica di un patto di sindacato potrebbe costituire un esempio di informazione privilegiata da comunicare al mercato: lo sostengono, come già si è visto, F. BRUNO - RAVASIO, op. cit., 1029. 156 In tal senso, espressamente, FIORIO, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 160. Sulla responsabilità aquiliana da omessa comunicazione di patti parasociali, v. anche DONATIVI, Sub art. 2341-ter, cit., 189190. Perplessità sulla praticabilità del rimedio risarcitorio sono invece state avanzate da PICCIAU, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 373-374. Data l’assenza di disposizioni che impongono la pubblicità dei patti parasociali nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ci si può chiedere a questo punto se anche nelle società c.d. chiuse la mancata disclosure di un’informazione in concreto rilevante possa essere fonte di danno e quindi di responsabilità (con riferimento all’informazione non corretta, ha dato una risposta affermativa S. BRUNO, op. cit., 1312). Sul punto v. infra, § 8. 189 società quotate, qualora i primi provvedano (soltanto) ad effettuare la comunicazione alla società e nessun’altra informativa venga in seguito diffusa (ai sensi, tra l’altro, dell’art. 114 T.U.F.). In tali casi, i danneggiati - soci o terzi - potranno quindi far valere non solo la responsabilità dei membri del patto, ma anche (o soltanto) quella della società o dei suoi amministratori ex art. 2395 c.c.157: quest’ultima, per opinione ormai assolutamente prevalente, costituisce un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale. 158 Peraltro, la stessa società potrebbe subire un danno dalla mancata disclosure di cui si è detto, consistente nel pregiudizio arrecato alla sua immagine sul mercato, in forza del quale risulterebbe legittimata a far valere una responsabilità sia dei soci che degli amministratori nei propri confronti.159 Non costituisce un problema di ordine sistematico il fatto che gli amministratori possano venire chiamati a rispondere verso singoli soci o terzi ex art. 157 Per la natura solidale della responsabilità di questi soggetti per omesse informazioni, v, PERRONE, op. cit., 217 ss. 158 Per tutti, V. PINTO, La responsabilità degli amministratori per “danno diretto” agli azionisti, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G. F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G. B. Portale, Torino, 2006, 2, 897 ss., ove ulteriori riferimenti. 159 Per questa impostazione cfr. SEMINO, Il problema, cit., 293-295, ove si rileva tra l’altro che “la piena trasparenza degli accordi parasociali, nelle società quotate, s’impone non solo nell’interesse del mercato, ma anche nell’interesse della stessa società”, giacché “una società rispetto alla quale l’informazione è reticente sarà considerata poco appetibile e ciò porterà nel lungo periodo ad un’uscita degli investitori dalla società con il conseguente depauperamento dello Shareholder Value”; MACRI’, Informazioni privilegiate, cit., 124 ss.; LENER, La diffusione, cit., 144. Nell’ordinamento americano, l’azione della società nei confronti dei responsabili della non corretta disclosure ai sensi della Section 13(d) del SEA è diffusamente ammessa, ma soprattutto (come avviene per i singoli shareholders) ai fini di ottenere un’esatta informazione: v. ad esempio Chevron Corp. v. Pennzoil Co., 974 F.2d 1156, 1158 (9th Cir. 1992); Gearhart Industries Inc. v. Smith Intern Inc., 741 F.2d 707 (5th Cir. 1984); Florida Commercial Banks v. Culverhouse, 772 F.2d 1513 (11th Cir. 1985), in cui la Corte ha rilevato che l’azione della società consente di rimediare sia alle difficoltà degli investitori di munirsi dei necessari elementi (specie di carattere informativo) per l’attivazione della tutela, sia a quelle in cui potrebbe incorrere la SEC, che non ha i mezzi idonei a monitorare l’intero mercato; per questa ragione, tale strumento a disposizione della società svolgerebbe anche una funzione di enforcement. Anche la Corte Suprema (Rondeau v. Mosinee Paper Corp., cit.) non ha negato il diritto di azione dell’emittente, seguita dal caso Indiana National Corp. v. Rich, 712 F.2d 1180 (7th Cir. 1983). Non sono mancati peraltro casi in cui l’azionabilità di tale rimedio da parte della società è stata posta in discussione, sulla base dell’argomento che le disposizioni in questione proteggono in maniera preponderante proprio gli shareholders: cfr. ad es. Liberty National Insurance Holding Co. v. Charter Co., 734 F.2d 545, 555-559 (11th Cir. 1984); Leff. v. CIP Corp., 540 F. Supp. 857 (S.D. Ohio 1982); First Alabama Bancshares, Inc. v. Lowder, [1981 Transfer Binder] Fed. Sec. L. Rep. (CCH), § 98,015 (N.D. Ala. May 1, 1981). In sostanza, la giurisprudenza tende a preferire rimedi di natura diversa dal risarcimento dei danni agli investitori o alla società (a meno che ricorrano anche i presupposti di cui alla Section 18(a) del SEA o di cui alla Rule 10b5, come si è detto): v. ad es. anche Hallwood Realty Partners , L.P. v. Gotham Partners, L.P., 286 F.3d 613 (2d Cir. 2002), commentata da CHOI-PRITCHARD, op. cit., 761 ss. In alcuni casi, le Corti hanno proibito agli autori della falsa o mancata disclosure di effettuare nuovi acquisti di partecipazioni sino alla completa e corretta informativa: v. ad es. Dan River, Inc. v. Unitex, Ltd., 624 F.2d 1216 (4th Cir. 1980); Saunders Leasing Sys., Inc. v. Societe Holding Gray D’Albion, 507 F. Supp. 627 (N.D. Ala. 1981); Kirsch Co. v. Bliss & Laughling Indus., Inc., 495 F. Supp. 488 (W.D. Mich. 1980). In altre occasioni, si è intimato di non procedere ad ulteriori acquisti o a sollecitazioni di deleghe (proxies) sino all’alienazione delle partecipazioni acquistate nel periodo della non corretta informativa al mercato: cfr. ad es. General Steels Indus., Inc. v. Walco Nat’l Corp., [1981-1982 Transfer Binder] Fed. Sec. L. Rep. (CCH), § 98,402 (E.D. Mo. Nov. 24, 1981). Inoltre, le Corti hanno a volte sterilizzato il diritto di voto relativo alle azioni acquistate a seguito dell’omessa o errata informazione: Hanna Mining Co. v. Norcen Energy Res. Ltd, 574 F. Supp. 1172, 1202-03 (N.D. Ohio 1982). Si noti comunque che anche la SEC può comminare sanzioni amministrative. Non esiste invece un’azione esperibile dai privati per le violazioni della Section 16(a) del SEA: Scientex Corp. v. Kay, 689 F.2d 879 (9th Cir. 1982); in letteratura LEVY, op. cit., 6-21. 190 2395 c.c. e contemporaneamente nei confronti della società, anche perché l’obbligo risarcitorio loro imposto è destinato nei due casi a ristorare pregiudizi di diversa tipologia (e diversa sarebbe la natura della responsabilità: extracontrattuale nel primo caso e contrattuale nel secondo). Semmai, occorrerà verificare se la condotta degli amministratori che si trovino ad essere responsabili verso singoli soci o terzi si traduca in un illecito imputabile soltanto a loro stessi o se, viceversa, ci si trovi di fronte ad un illecito commesso dalla società per il tramite dei gestori persone fisiche attraverso i quali essa necessariamente agisce. Dato che il caso in esame involgerebbe una responsabilità aquiliana (degli amministratori ex art. 2395 c.c. e) della società, il problema non è quello (da lungo tempo discusso) di ravvisare in un inadempimento contrattuale della società anche un illecito degli amministratori 160, bensì, all’opposto, quello di stabilire se a partire da quest’ultimo si possa ritenere esistente (anche) un illecito imputabile alla società. Accogliendo la dominante tesi “che consente senza limiti la propagazione institoria della responsabilità alla società”, la risposta dovrebbe essere senz’altro affermativa.161 Quanto al nesso di causalità, si è sostenuto che esso costituisce oggetto di una presunzione a favore di tutti gli investitori “che hanno operato sul mercato in un periodo critico (ossia nel lasso temporale che va dal momento in cui ha inizio la reticenza o il silenzio dell’emittente fino al momento della pubblicazione della notizia)”, giacché il danno sarebbe rappresentato proprio dal pregiudizio patito per aver posto in essere operazioni a condizioni diverse da quelle che avrebbero dovuto discendere da una situazione di piena trasparenza162; non è da escludere, peraltro, che possano risultare danneggiati anche coloro che non hanno negoziato strumenti finanziari (mancata vendita o mancato acquisto) a causa della non corretta formazione del prezzo163, sebbene in tale ipotesi la presunzione di cui si è detto dovrebbe cessare di operare 164. A 160 Sul punto e per i termini del dibattito si rinvia a PERRONE, op. cit., 130 ss. (nt. 174); sul problema v. anche REGOLI, Offerte pubbliche di acquisto e comunicato agli azionisti, Torino, 1996, 202 ss. 161 PERRONE, op. cit., 172 (ove il virgolettato); ma v. anche ibidem, 127 (nt. 166) per ulteriori riferimenti; PINARDI, op. cit., 358, il quale aggiunge che la soluzione vale tanto nel caso in cui soggetto passivo dell’obbligo di trasparenza sia la società, quanto nel caso in cui lo siano gli amministratori. 162 Così MACRI’, op. ult. cit., 129 ss., ove il virgolettato riportato. L’A. aggiunge che la prova del fatto che il prezzo di negoziazione sarebbe stato diverso in presenza dell’informazione può essere fornita anche con modelli statistici; ancor meno problematica sarebbe la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, in quanto “dalla prova della mancata disclosure può desumersi quantomeno la colpa per negligenza da parte dell’emittente” (ibidem, 132). In senso parzialmente diverso, su quest’ultimo punto, PERRONE, op. cit., 177, il quale osserva “l’impossibilità di desumere la sussistenza della colpa dal mero fatto della violazione dei precetti sull’informazione societaria”, dovendosi tenere conto anche della percepibilità in concreto del dovere di informazione; peraltro, nel caso specifico della mancata pubblicità dei patti parasociali, è senz’altro possibile affermare che la colpa, in presenza della violazione della norma di trasparenza, vada considerata in re ipsa. 163 PERRONE, op. cit., 185-186, il quale aggiunge che in tal caso si complica inevitabilmente l’identificazione dei legittimati a pretendere il risarcimento e non si potrà che fare “un uso accorto e rigoroso delle presunzioni semplici”. L’A. evidenzia inoltre la necessità di fornire al convenuto l’appiglio per una possibile prova liberatoria, che consista nella presenza di un ulteriore fattore di mercato che avrebbe comunque prodotto il danno o nella scelta operata dall’investitore nella piena consapevolezza della falsa od omessa informazione. Sul danno subito da chi non ha posto in essere contrattazioni (investitori attuali nel caso di mancato disinvestimento; investitori sia attuali che potenziali nel caso di mancato investimento), cfr. anche S. BRUNO, op. cit., 1287 ss. 164 S. BRUNO, op. cit., 1330 ss., la quale correttamente precisa che la presunzione sul nesso eziologico non può operare, da un lato, per strumenti finanziari non quotati e, dall’altro, per “danni diversi 191 quest’ultimo si avvicina, fra l’altro, il caso di coloro che hanno conservato azioni di una società a seguito di una mancata OPA obbligatoria165, rispetto alla (sola) voce di danno consistente nel deprezzamento del titolo rispetto al valore di mercato che esso aveva al tempo dell’inadempimento: come si è visto (supra, § 2) pare corretto ascrivere tale pregiudizio patrimoniale (ove il nesso di causalità risulti provato) all’illecito omissivo derivato dalla mancata diffusione dell’informazione circa il nuovo assetto proprietario della società. Al di fuori di quest’ultima ipotesi, analogamente a quanto si è visto con riferimento alla responsabilità da insider trading, il danno risarcibile da (semplice) omessa informazione dovrebbe consistere nella differenza tra il prezzo che il mercato avrebbe determinato in presenza di una regolare informativa (nel caso che qui interessa, sull’esistenza di un patto parasociale rilevante) e quello dell’avvenuta contrattazione.166 Va detto che potrebbero lamentare un danno sia coloro i quali abbiano alienato ad un prezzo più basso del dovuto, sia coloro che abbiano acquistato ad un prezzo “gonfiato”. Secondo alcuni autori, un riferimento utile per quantificare siffatto danno può essere offerto dal prezzo che viene a formarsi una volta che la notizia sia stata resa nota, eventualmente depurato “dall’influenza che hanno avuto gli altri fattori price sensitive”167: se è indubbio (come già si è illustrato a proposito della responsabilità da insider trading) che tale valore possa rappresentare un utile criterio orientativo di massima per la determinazione del quantum del risarcimento, è probabilmente più corretto adottare, sulla scorta di un’opzione normativa recentemente accolta negli Stati Uniti, il riferimento alla “media del trading price in un determinato intervallo di tempo successivo” alla piena diffusione dell’informazione168, avendo comunque cura di espungere dal calcolo quelle oscillazioni che si sappia - con alto grado di probabilità essere dovute ad eventi successivi e indipendenti. Come si è già visto con riguardo al danno da insider trading, è da escludere infatti che, nel caso di acquisto ad un prezzo maggiore del dovuto, le successive oscillazioni in negativo (rispetto al prezzo che avrebbe dovuto essere originariamente pagato) non dipendenti dal comportamento dei responsabili possano venire in rilievo nella determinazione del pregiudizio (originariamente) patito e come tale risarcibile. Se la responsabilità risarcitoria per insider trading o più semplicemente per omessa informazione può configurarsi nei termini di cui si è detto, qualche perplessità dall’investimento o dal disinvestimento (e quindi nel caso di mancato investimento o mancato disinvestimento)” (ibidem, 1333). 165 Naturalmente, mentre il caso finora in esame prescindeva dall’acquisto di azioni da parte dei membri del patto non comunicato, il riscontro dei requisiti dell’OPA obbligatoria presuppone che siano state acquistate azioni in misura rilevante: tuttavia, l’ipotesi che qui si prende in considerazione quale figura di danno da (semplice) omessa informazione, si noti, è quella che si riferisce unicamente al tipo di pregiudizio descritto subito oltre nel testo. 166 PERRONE, op. cit., 211, sebbene la particolarità dei singoli casi concreti non esclude che si possano delineare ulteriori voci di danno. Sulle voci di danno risarcibile per informazione non corretta v. anche PINARDI, op. cit., 363. 167 Così MACRI’, Informazioni privilegiate, cit., 134, il quale aggiunge peraltro che se i soggetti danneggiati provino che in presenza di una corretta informazione non avrebbero concluso il contratto, a loro dovrebbe spettare un risarcimento pari al valore dell’intera operazione conclusa. 168 Per questa diversa impostazione si rinvia a PERRONE, op. cit., 214. Ma v. anche quanto precedentemente osservato nel corso dell’analisi sulla responsabilità da insider trading. 192 ha destato la previsione dell’art. 187-undecies T.U.F., il cui secondo comma ha attribuito come noto alla Consob la facoltà di costituirsi parte civile nel processo penale per i reati di cui agli artt. 184 e 185 T.U.F., al fine di richiedere “a titolo di riparazione dei danni cagionati dal reato all’integrità del mercato, una somma determinata dal giudice anche in via equitativa [...]”. E’ probabile che la norma abbia voluto introdurre un ulteriore strumento di enforcement - a metà strada, peraltro, tra la tutela privatistica e quella pubblicistica - in una prospettiva di deterrenza; ma, a parte il fatto che esso, come è stato osservato, richiama i danni punitivi dell’ordinamento statunitense 169, non vi sono certamente ragioni per affermare che questo meccanismo possa in qualche modo escludere la tutela privatistica di cui ci si è sin qui occupati. 8. La responsabilità da mancata disclosure dei patti parasociali nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Come noto, nessuna norma in tema di pubblicità dei patti parasociali è prevista con riguardo alle s.p.a. chiuse: pertanto, gran parte della dottrina ha osservato come essi possano rimanere all’oscuro, venendo meno in tali società le esigenze di trasparenza connesse all’attività delle società con vocazione di apertura al pubblico risparmio. 170 Tale impostazione poggia su due ordini di considerazioni: in primis, ci si riporta al dato normativo che, appunto, pare del tutto inequivocabile; inoltre, si osserva che le società “chiuse” si collocano al di fuori di quel mercato dell’investimento (e, corrispondentemente, del disinvestimento) che impone la massima trasparenza di quei fatti e circostanze che possono incidere sulle scelte di coloro che agiscono all’interno di esso.171 Tuttavia, non sono mancate voci che hanno voluto sottolineare come, nonostante l’assenza di una vocazione al mercato, anche in tali società la conoscenza dell’esistenza di patti parasociali possa essere un elemento importante “non solo per le minoranze, ma anche e soprattutto per chi finanzia la società con capitale di debito e per i potenziali acquirenti delle partecipazioni”172. Si è affermato che “è forse possibile evincere dal sistema una regola generale, espressione del principio di correttezza, valevole nell’ordinamento societario, secondo la quale i soci aderenti ad un sindacato, stante il collegamento che intercorre tra il contratto sociale e quello parasociale, hanno l’obbligo (discendente appunto dal dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto sociale) di informare gli altri soci e la società dell’esistenza di accordi parasociali nelle ipotesi in cui la presenza di un accordo 169 RORDORF, Ruolo e poteri, cit., 818. Sul punto, v. ad es. BADINI CONFALONIERI, op. cit., 275; CHIONNA, op. cit., 141 e 155; RUBINO-SAMMARTANO, op. cit., 185, per l’idea che siano rimaste “totalmente scoperte le società non quotate”. Sostiene con convinzione tale posizione SBISA’, La disciplina, cit., 496, il quale esclude che possano applicarsi sanzioni nell’ipotesi di segretezza di patti parasociali nelle società “chiuse”. Conf. KUSTERMANN, Considerazioni, cit., 170. 171 V. CHIONNA, op. cit., 224 ss., il quale si riporta alle indicazioni offerte dal “diritto positivo”, che rivelerebbe in modo evidente la scelta di attribuire la prevalenza - nell’ambito, appunto, delle società “chiuse” - all’interesse dei pattisti a mantenere il segreto sull’accordo (ibidem, 227). 172 In questi termini FIORIO, Sub artt. 2341-bis - 2341-ter, cit., 161. 170 193 parasociale possa coinvolgere l’interesse della società determinandone un possibile pregiudizio”.173 Secondo, poi, un particolare punto di vista, l’esigenza di addivenire ad una piena disclosure dei patti parasociali nelle società chiuse emergerebbe specialmente qualora la posizione di conflitto d’interessi di uno dei membri del patto venga a coinvolgere anche gli altri: la delibera sarà dunque annullabile per conflitto d’interessi e, dunque, impugnabile ex art. 2377 c.c., sempreché sia raggiunta la c.d. prova di resistenza.174 Ma forse, anche a prescindere da tale ultimo profilo, non è azzardato sostenere che il dovere di correttezza imporrebbe sempre di dare notizia agli altri soci della stipulazione del patto175: naturalmente, mancando una disciplina normativa sul punto ed essendo necessario il riferimento al principio di buona fede oggettiva, risulta impedita un’operazione ermeneutica che miri a stabilire a priori ed in astratto i tipi di patti parasociali potenzialmente rilevanti a tal fine e non rimane che affermare la necessità di una valutazione in concreto. Ne deriva inoltre che, in casi simili, può avere ingresso una tutela di tipo risarcitorio a beneficio dei soci estranei al patto qualora gli obblighi di disclosure non siano stati adempiuti.176 Sempre a proposito della tutela risarcitoria, la si è ipotizzata rilevando l’inadeguatezza della sanzione dell’impugnabilità della delibera, che finirebbe per ripercuotersi sulla stessa società.177 173 Così MACRI’, Patti parasociali, cit., 133, il quale precisa che tale obbligo di comunicazione potrebbe valere “per i soli patti per i quali la mancata informazione intrasociale può incidere sulla validità della delibera assembleare”. 174 Di nuovo MACRI’, op. ult. cit., 139-140. 175 Così GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., 91 ss.: l’illustre Autore osservava infatti essere inesistente un interesse alla riservatezza meritevole di tutela o comunque prevalente rispetto all’esigenza di una piena disclosure, per poi giungere alla conclusione che anche nelle s.p.a. “chiuse” i patti non comunicati debbono ritenersi nulli, in quanto “diretti ad occultare le situazioni di controllo azionario”. Tale percorso argomentativo è seguito anche da MEOLI-SICA, op. cit., 615 ss.; da PANUCCIO, op. cit., 198; e da GRIECO, op. cit., 533, che esclude la liceità dei patti segreti nonostante l’assenza di obblighi pubblicitari. 176 MACRI’, op. ult. cit., 139. Così anche MEOLI-SICA, op. cit., 618, secondo i quali la sanzione risarcitoria sarebbe l’unica possibile, in quanto “non sussistono nella specie quelle esigenze di tutela del mercato e delle libertà economiche dei risparmiatori, che legittimano le inefficienti sanzioni previste dall’art. 122 t.u.i.f. e dall’art. 2341-ter.” Il diritto al risarcimento dei danni, secondo una dottrina, sorgerebbe anche qualora non si sia tempestivamente provveduto all’effettuazione della comunicazione alla società dei patti ai sensi dell’art. 2341-ter c.c.: di nuovo MACRI’, op. ult. cit., 145. Secondo la giurisprudenza americana, la mancata disclosure nell’ambito delle closed corporations può dare luogo ad un rimedio che va oltre il danno patito dai soggetti pregiudicati in quanto è commisurato ai profitti conseguiti dall’autore della violazione: si tratta del c.d. “disgorgement of windfalls profits”, che quindi consentirebbe di superare il generale limite al risarcimento dei danni fissato dalla Section 28(a) del SEA. Cfr. in particolare Pidcock v. Sunnyland Am., Inc., 854 F.2d 443 (11th Cir. 1988); Rochez Bros., Inc. v. Rhoades, 491 F.2d 402, 405, 411-413 (3d Cir. 1974); ma ancor prima Janigan v. Taylor, 344 F.2d, cit., 781, cit., per l’affermazione che “it is more appropriate to give the defrauded party the benefit, even of windfalls, than to let the fraudulent party to keep them” (ibidem, 786); analog. Pittsburgh Terminal Corp. v. Baltimore & O.R.R., 824 F.2d 249, 255 (3d Cir. 1987). La dottrina ha osservato poi che “the measure is usually applied when the plaintiff sells shares that greatly increase in value after the sale, if the plaintiff can prove that the defendant acquired the stock by fraud”: così WANG, op. cit., 26-27. Come si è detto, la misura non risulta però applicata alle publicly traded securities: così anche SEC v. MacDonald, 699 F.2d 47 (1st Cir. 1983); nonché, in dottrina, CHAMBLEE BURCH, op. cit., 368-369 e 387. 177 MACRI’, Patti parasociali, cit., 183 (nt. 212). 194 Nel caso in cui i paciscenti abbiano stipulato un reciproco obbligo di segretezza, dunque, questo non sarà esigibile per la prevalenza del dovere di esecuzione del contratto sociale secondo correttezza e buona fede, capace di imporre la piena e tempestiva pubblicità degli accordi parasociali anche nell’ambito delle società “chiuse”.178 Più corretto pare però sostenere che tale ultima soluzione valga anche per le società aperte di cui all’art. 2341-ter c.c., nel senso che il patto di riservatezza sarà nullo per contrasto con quest’ultima norma (ferma la validità del patto parasociale), con la conseguenza che troveranno piena applicazione gli obblighi di pubblicità in essa previsti nonché, eventualmente, le relative sanzioni.179 178 In tal senso MACRI’, Patti parasociali, cit., 142; in precedenza, anche RESCIO, La disciplina, cit., 848-849, il quale precisava che nelle società quotate l’inesigibilità dell’obbligo di riservatezza deriva dall’inderogabilità dell’art. 122 T.U.F. e dall’interesse generale da esso tutelato, mentre con riferimento alle altre società verrebbe in considerazione proprio l’obbligo di buona fede, inteso quale “obbligo sociale (quindi: soltanto verso la società e verso gli altri soci) di informazione circa i rapporti parasociali intrecciati.” 179 Così SBISA’, La disciplina, cit., 495. 195 Indice delle opere citate ABBADESSA P., La gestione dell’impresa nella società per azioni. 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