QUANTO E` ATTENDIBILE IL PIL?

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QUANTO E’ATTENDIBILE IL PIL?
Relazione a cura di
Federica Conti
Guido Gambarini
Matteo Ferrari
INDICE
1. COS’E’IL PIL?
1.1. Un po’ di storia
1.2. Come si calcola
1.3. PIL, PNL, PNN, Reddito Nazionale
pag. 3
pag. 3
pag. 4
2. COSA NON VA NEL PIL?
2.1.
2.2.
2.3.
2.4.
2.5.
Costi sociali e ambientali
Economia sommersa
Difficoltà di confronto intertemporale
Difficoltà di confronto internazionale
Sperequazione
pag. 4
pag. 5
pag. 5
pag. 6
pag. 6
3. MISURE ALTERNATIVE
3.1. Impatto su altri indicatori economici
3.2. Altri indici
pag. 6
pag. 7
4. UN PO’DI NUMERI…
4.1.
4.2.
4.3.
4.4.
Dati e tabelle
Evidenza empirica
Conclusioni
Bibliografia
pag. 8
pag. 11
pag. 13
pag. 13
2
1. COS’E’IL PIL?
1.1. UN PO’DI STORIA
• Il concetto di sviluppo non ha avuto e non ha tutt’ora un significato univoco. Nel corso del
tempo è stato infatti interpretato in modo diverso e di volta in volta identificato con il progresso,
con la crescita, con la modernizzazione e anche, se pur impropriamente con l’industrializzazione.
• Nell’antichità classica si parlava di sviluppo in termini di progresso, inteso come progresso
spirituale, senza far riferimento al miglioramento delle condizioni materiali della società.
• Con l’avvento del Mercantilismo (politica di espansione e sviluppo sviluppatasi in Europa a
metà del XVII sec.) e ancor prima in epoca rinascimentale, matura la convinzione che la
crescita (intesa come progresso materiale) determini lo sviluppo dell’uomo che viene quindi
concepito come fine per l’affermazione della potenza militare di uno stato e quindi della sua
egemonia territoriale. La scienza diviene in questo periodo il mezzo per favorire lo sviluppo e
quindi il “motore” della crescita.
• Con Calvino e la riforma protestante si ha poi un nuovo approccio dove vi è intima correlazione
tra fede, produzione e ricchezza e quindi secondo il quale la crescita economica segue il volere
divino.
• Nel XVII sec. Con la cultura illuminista (XVIII sec.) viene ad esaltarsi il ruolo dell’uomo e
quindi il rafforzarsi dell’antropocentrismo che costituiva il supporto filosofico della concezione
dello sviluppo inteso come modernizzazione, cioè come evoluzione delle attività umane. Nasce
così uno stretto legame tra sviluppo economico e progresso(inteso come dominio della
natura).
• Solo negli ultimi anni si è fatta strada una nuova concezione dello sviluppo, non più centrata
sulle sole condizioni materiali, ma anche sugli aspetti qualitativi della vita relazionale. Ecco
perché in questi ultimi anni nasce l’esigenza di nuovi(o la rilettura dei vecchi) indicatori
economici che possano formalizzare e confermare empiricamente i nuovi pensieri. Le misure
economiche hanno infatti rispecchiato nel tempo l’idea che si aveva dello sviluppo e soprattutto
il legame che si pensava avesse con la ricchezza di un paese.
• Ecco perché si considera che la prima misura della ricchezza di un paese fosse legata alla
ricchezza del suo Re, arricchita poi per economie prevalentemente agricole dalla terra e dalla
sua produzione, mentre nei paesi più industrializzati si aggiunse alla precedente anche l’apporto
della manifattura.
• Nel tempo le misure dello sviluppo sono divenute le misure della produzione non più in quanto
tale ma in quanto scambiabile sul mercato e “dotata” di un prezzo.
• Dal dopoguerra ad oggi la misura con cui si considera lo sviluppo di un paese è il PIL, ma noi,
visto la nuova idea di sviluppo che si sta diffondendo, ci dobbiamo chiedere quanto esso sia
affidabile.
1.2. COME VIENE CALCOLATO?
• Il PIL è il valore di tutti i beni e servizi finali prodotti all’interno dei confini del Paese in un
certo periodo di tempo. Non si considerano quindi le transazioni intermedie.
• Al PIL si perviene considerando i valori aggiunti nei vari stadi della produzione.
• Nel calcolo dei PIL rientra sia il valore dei beni materiali (case, pane) sia il valore dei servizi.
• Il valore di ogni bene o servizio è dato dal suo prezzo di mercato, e la somma di tutti i valori
genera il PIL.
• Ci sono tuttavia dei servizi non destinabili alla vendita che non hanno un prezzo di mercato.
Si tratta dei servizi collettivi forniti dalle istituzioni sociali (istruzione, difesa, giustizia) che
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vengono erogati a prezzi “politici” che sono inferiori ai prezzi di produzione. In questo caso si
suppone che il valore della produzione sia uguale alla somma dei costi sostenuti.
1.3. PIL E PNL; PIN E PNN; REDDITO NAZIONALE
• Il PNL si ottiene sommando al PIL i redditi percepiti all’estero dai fattori produttivi nostrani, ad
esempio:
- profitti di filiali di imprese italiane all’estero
- rimesse degli emigrati
- rendite da attività finanziarie acquistate all’estero
• Il PIN si calcola sottraendo al PIL il valore degli ammortamenti, ovvero gli accantonamenti per
la sostituzione del capitale consumato.
• Nel PNN invece si tiene conto del valore dell’accrescimento dello stock di capitale.
• Il Reddito Nazionale Y è dato dalla somma della remunerazione dei fattori produttivi e dei
profitti.
Y = (w x N) + (i x K) + π
• La somma di tali remunerazioni coincide col valore del Prodotto Nazionale Netto:
Y = PNN
2.COSA NON VA NEL PIL?
2.1. COSTI SOCIALI E AMBIENTALI
• Il PIL ignora ogni cosa che accade al di fuori del regno degli scambi monetari e quindi non
tiene conto dei costi sociali e ambientali.
• I costi del declino sociale (ad es. crimine) e dei disastri naturali vengono considerati come
guadagni economici in quanto sono transazioni monetarie positive che vanno ad aumentare il
PIL. Tuttavia essi, da un punto di vista non strettamente economico, hanno ripercussioni
negative sullo stato emotivo, psicologico e fisico degli individui.
• Ad esempio, il crimine accresce negli USA il PIL di diversi miliardi di $, utilizzati per le
misure di sicurezza, la protezione del territorio, la detenzione, il risarcimento danni, le spese
mediche e i funerali. E’ evidente che esulando dal contesto economico queste cose non sono
indice di benessere di un Paese.
• Al contrario del capitale fisso, la cui svalutazione nel tempo viene considerata nel PNL,
l’esaurimento delle risorse naturali (petrolio, legname… ) non viene contabilizzato.
• Esternalità negative come l’inquinamento danno luogo ad un duplice effetto: da un lato non
vengono contabilizzati né come mali in sé né come perdite di benessere, dall’altro il costo del
disinquinamento va ad aumentare il PIL.
• Vengono invece ignorate l’economie non di mercato ovvero tutti quegli scambi che non
danno luogo a flussi finanziari come ciò che riguarda la cura dei bambini e degli anziani tra le
mura di casa oppure il volontariato.
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2.2. ECONOMIA SOMMERSA
• Una notevole parte dell’attività economica non è computata nel PIL.
• Alcune stime indicano che il 30% del PIL Italiano e il 10% di quello Statunitense non è
misurato dalla contabilità ufficiale.
• Le transazioni che non rientrano nel PIL possono essere di diverso genere: un primo tipo è
rappresentato da transazioni che, pur non essendo strettamente illegali, violano la legislazione
legale, ad esempio: lavori retribuiti in contanti, mance, lavoro svolto da immigrati irregolari,
riparazioni domestiche, etc.; un secondo genere è rappresentato da transazioni illegali quali
spaccio di droga, prostituzione, estorsioni, etc.
• Le transazioni illegali sono escluse in linea di principio dal calcolo del PIL; tuttavia alcuni
economisti sostengono che potrebbero comunque essere computate se fosse possibile stabilirne
il valore preciso.
• Altre attività sommerse sono correlate all’elusione ed evasione delle imposte.
• Secondo alcuni economisti una stima dell’economia sommersa può essere data dal rapporto fra
circolante e depositi: poiché le transazioni irregolari vengono di norma pagate in contanti, si
suppone che tale rapporto sia tanto maggiore quanto più grande sia la quota di economia
sommersa.
• Il problema principale nel calcolo del valore dell’economia sommersa è che questa non rimane
costante nel tempo: se ad esempio fosse una % costante del PIL, non ci sarebbero grossi
problemi nel determinarne l’entità.
• Secondo alcuni studiosi, ad esempio, la lenta crescita dell’economia “ufficiale” italiana negli
anni ’70 è stata in qualche modo controbilanciata dall’esplosione dell’economia sommersa.
• Un altro problema è che il PIL è spesso calcolato partendo da dati provvisori (es. sul
“Bollettino mensile di statistica”), e quindi le stime vengono progressivamente rivedute dagli
istituti di statistica.
• “Di punto in bianco [nel 1980] la dimensione dell’economia, il PIL, aumentò del 20%…
L’economia italiana restava esattamente tale e quale al giorno prima. L’unica cosa che era
cambiata era la contabilità nazionale” (cit. da I limiti della scienza economica, di Paul
Ormerod, Edizioni di Comunità, Milano 1998).
2.3. DIFFICOLTÀ DI CONFRONTO INTERTEMPORALE
• Poiché per definizione il PIL è la somma dei valori di n prodotti e/o servizi (PIL = Σ pi qi), è
possibile che esso vari nel tempo: possono infatti variare le quantità prodotte di ogni bene,
oppure il loro prezzo, oppure ancora alcuni degli n beni escono di produzione, rimpiazzati da
altri.
• Per sapere quanta parte della variazione del PIL è dovuta alle quantità (PIL in termini reali) e
quanta ai prezzi (PIL nominale) bisogna fare riferimento al numero indice dei prezzi oppure
al numero indice delle quantità prodotte. Nella realtà tuttavia non è possibile determinare in
modo preciso questi numeri indice. Si utilizzano invece dei numeri indice che danno una
soluzione approssimata del problema.
• La valutazione del PIL viene fatta a prezzi correnti (quelli dell’anno in corso) o a prezzi costanti
(quelli di un anno-base preso a riferimento). Moltiplicando il rapporto fra il PIL dell’anno in
corso e quello dell’anno-base, valutati entrambi a prezzi costanti, si ottiene il numero indice %
delle quantità.
• Il numero indice dei prezzi è invece dato dal rapporto % tra la valutazione del PIL a prezzi
correnti e quella a prezzi costanti, e viene chiamato deflatore implicito del PIL.
5
Deflatore implicito = PIL (p correnti) / PIL (p costanti).
• Bisogna inoltre tener conto che il PIL fornisce misure qualitative di fenomeni essenzialmente
qualitativi, come l’innovazione tecnologica: un PIL costante non significa necessariamente che
l’economia sia ferma, ma può anzi indicare che sia progredita.
• Ad esempio la spesa per l’acquisto di computer può essere inferiore oggi rispetto a 10 anni fa,
eppure i PC odierni sono molto più veloci e potenti
• Un altro esempio può essere dato dai TV color: quando questi sono stati introdotti, la
produzione delle TV in bianco e nero è terminata, e non è detto che raggiunto un buon livello di
produzione la TV a colori costi di più (al netto dell’inflazione) di quanto costasse quella in
bianco e nero.
2.4. DIFFICOLTÀ DI CONFRONTO INTERNAZIONALE
• Anche per quanto concerne i confronti internazionali fra PIL sorgono alcuni problemi.
• Anzitutto ogni singolo Paese adotta particolari criteri per la valutazione di Prodotto.
• Inoltre non è possibile confrontare direttamente il Prodotto fra più Paesi, ma per isolare
l’influenza della popolazione sul confronto, bisogna calcolare il PIL pro capite.
• Un ulteriore problema è dato dal tasso di cambio da adottare per rendere omogenei i dati:
convertire tutti i dati in un'unica valuta (solitamente US $) secondo il tasso di cambio nominale
può essere fuorviante, in quanto esso solitamente riflette, oltre a quelli reali, aspetti speculativi
dell’economia. Ad esempio il tasso di cambio certo per incerto di un PVS può essere
artificialmente gonfiato da ondate speculative sul mercato internazionale delle valute.
Un
tasso di cambio come la Parità dei Poteri d’Acquisto (PPP) potrebbe essere più adeguata,
•
tuttavia il calcolo della stessa PPP è assai problematico.
• Inoltre in Italia, ad esempio, ci sono prodotti che non esistono in Cina e viceversa.
2.5. SPEREQUAZIONE
• Benché l’introduzione del PIL pro capite elimini l’influenza della numerosità della popolazione
sul PIL e dia in un certo modo una misura più accurata della ricchezza degli abitanti di una
nazione, nulla ci dice su come realmente il Prodotto Nazionale sia effettivamente suddiviso fra
di essi.
• Infatti il reddito mediano (che bipartisce la popolazione in 2 parti uguali) non coincide col
reddito medio.
• Ad esempio nei Paesi dell’UE la quota di reddito nazionale appartenente al 10% più povero
della popolazione si aggira attorno al 3%, mentre quella del 10% più ricco supera il 20%.
• Nei PVS queste differenze sono notevolmente più marcate.
3. MISURE ALTERNATIVE
3.1. IMPATTO SU ALTRI INDICI
• Pressione fiscale: come si è visto nel par. 2.2, nel 1980 il PIL italiano è improvvisamente
aumentato del 20% per meri motivi formali. La pressione fiscale, intesa come rapporto fra gli
introiti da imposte e PIL, è quindi diminuita, benché non vi sia stata alcuna riduzione reale delle
aliquote o delle imposte indirette.
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• Rapporto Debito/PIL: è uno dei parametri fissati dal trattato di Maastricht per l’adesione alla
moneta comune. Appare evidente che tanto maggiore è la % di economia sommersa, tanto più
sarà artificiosamente alto questo indice.
3.2. ALTRI INDICI
Se lo sviluppo economico è rappresentato da una crescita elevata e prolungata del prodotto procapite innescata dal progresso economico, accompagnata da importanti trasformazioni culturali,
sociali, strutturali e associata a un miglioramento nella distribuzione della ricchezza, nelle
condizioni lavorative, nelle condizioni sanitarie e assistenziali della popolazione allora abbiamo
bisogno di un complesso di indicatori per misurare il grado di sviluppo economico, che sono:
• PIL calcolato con riferimento all’intera economia
• PIL pro-capite inteso come dato medio per abitante
• Tasso di crescita della popolazione
• Tasso di disoccupazione lavorativa
• Tasso di utilizzazione degli impianti
• Variazione percentuale degli investimenti
• Tasso della concentrazione degli investimenti
• E altri ancora
Esempi di indicatori compositi sorti dell’esigenza di migliorare i dati legati all’analisi del PIL sono:
• Il Genuine Progress Indicator (GPI).
E’ una nuova misura del benessere della nazione utilizzato negli USA dal 1950. Questo
indicatore tiene conto di più di venti aspetti della vita economica che il PIL ignora, ad es.
della stima dei contributi economici di numerosi fattori sociali ed ambientali che il PIL
elimina come valori impliciti ed arbitrari pari a zero. Se negli USA il PIL è quasi duplicato
dagli anni 50 ad oggi, il GPI è cresciuto del 45% tra gli anni 50-60, mentre il tasso di
declino pro-capite è poi stato dell’1% negli anni 70, del 2% negli anni 80 e del 6% negli
anni 90. Questo perché vi è una diversa analisi non solo degli aspetti ma anche dal punto di
vista contabile infatti se il PIL annovera come incremento del benessere le spese per il
crimine il GPI le sottrae in quanto le reputa dei costi e lo stesso accade con le spese per la
difesa .
• Indice di sviluppo umano (ISU)
E’ un indicatore composito che fa riferimento a una situazione dello sviluppo umano sotto
un profilo non nettamente economico, ma umano, cioè in rapporto al benessere dell’uomo.
Questo indicatore, elaborato dall’organizzazione delle Nazioni Unite a partire del 1990,
tiene conto di tre soli fattori, che a loro volta si basano su ulteriori indicatori:
-livello di sanità, rappresentato dalla speranza di vita alla nascita;
-livello di istruzione, rappresentato dall’indice di analfabetismo della popolazione adulta e
della media del numero di anni di studi;
-il reddito, rappresentato dal PIL pro-capite dopo una doppia trasformazione che tiene conto
del reale potere di acquisto del paese.
Il grado di sviluppo dei vari paesi secondo l’ISU appare notevolmente diverso da quello
secondo l’indicatore tradizionale, il PIL. Casi più eclatanti sono Sri Lanka e Cina che
risalgono la classifica di ben 44 e 44 posti, mentre paesi come l’Arabia Saudita e il Gabon
scendono di 53 e 65 posti (dati del 1990).
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• Indice della libertà economica (Index of Economic Freedom)
Si basa su 50 differenti variabili, raggruppate in 10 categorie:
1. politiche di commercio estero,
2. politiche fiscali,
3. interventi pubblici nell’economia,
4. politiche monetarie,
5. flussi internazionali di capitale,
6. politiche bancarie,
7. controlli di prezzi e salari,
8. diritti di proprietà,
9. regolamentazioni pubbliche,
10. economia sommersa.
Le suddette variabili portano un punteggio da 1 a 5 che misura il grado di vincolismo, ci
troveremo quindi con 10 indici di vincolismo ( mancanza di libertà economica). Non resta
quindi che calcolarne la media aritmetica ponderata (alcuni capitoli sono ritenutisoggettivamente- più o meno importanti). All’inizio del 1998 i paesi in vetta alla classifica
con un indice dello 1.25 e 1.75 erano Hong Kong e la Nuova Zelanda. Per quanto riguarda
Eurolandia spiccava l’Irlanda con un valore di 1,95, seguita a ruota da Lussemburgo e
Regno Unito. L’Italia aveva un valore del 2.5 ed è curioso in quanto risulta meno liberista di
una Repubblica Ceca (2.05). Nessuna sorpresa invece dal fatto che i paesi più vincolasti
siano quelli comunisti come Cuba e Corea del Nord con un indice di 5, caratteristica in parte
condivisa con i paesi come Iraq e Libia. Nel complesso il mondo risulta ancora orientato
verso il liberismo, ma con varie eccezioni in cui il vincoliamo sembra riprendere forza e allo
stesso tempo sopravvivono i “paradisi fiscali” come le Bahamas e il Bahrain.
4. UN PO’DI NUMERI
4.1. DATI E TABELLE
Ai fini della nostra ricerca abbiamo selezionato 14 Paesi, analizzandone alcuni indicatori economici
e sociali rilevanti.
P I L e A ltri In d i c a t o r i
PAESE
Stati Uniti
Giappone
Germania
Cina
Italia
Russia
India
Brasile
S vezia
Indonesia
Sud Africa
Nigeria
Malesia
Mozambico
PIL
(2001)
mld US$
10.516,22
4.172,97
2.430,80
1.776,26
1.273,85
1.103,67
823,02
789,36
309,23
270,25
174,90
145,90
135,99
4,84
POPOLAZ. PIL PROCAP. %ANALFABETISMO
(2001)
(2001)
(2000)
in milioni
US$
Uomini
Donne
278,1
37.815
nd
nd
127,2
32.806
nd
nd
82,3
29.536
nd
nd
1.289,5
1.377
8,3
23,7
57,5
22.154
1,1
2,0
144,0
7.664
0,3
0,6
1.028,1
501
31,5
54,6
168,4
4.689
14,9
14,6
8,9
34.745
nd
nd
213,9
1.263
8,1
17,8
43,3
4.040
14
15,4
132,0
1.100
27,6
44,2
23,5
5.757
8,6
16,5
18,1
267
39,9
71,3
8
ASPETTATIVA DI
VITA (2000-05)
Uomini
Donne
74,6
80,4
77,8
85,0
75,0
81,1
69,1
73,5
75,5
81,9
60
72,5
63,6
64,9
64,7
72,6
77,6
82,6
65,3
69,3
46,5
48,3
52
52,2
70,6
75,5
37,3
38,6
TASSO MORTALITA'
(2000-05)
%
7
3
5
37
5
17
65
38
3
40
59
79
10
128
140
120
100
80
60
40
20
0
TASSO MORTALITA' (2000-05) %
40.000,00
35.000,00
30.000,00
25.000,00
20.000,00
15.000,00
10.000,00
5.000,00
-
PIL
(2001) mld US$
9
PIL PROCAP. (2001) US$
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