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Lingua e lingua latina
scheda
II - ITA
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[03]
ITA
34.0 – 2015
Che cos’è una lingua ?
1. la parola
La lingua (detta anche favella, idioma, parlata; dal latino lingua;
probabilmente dalla radice indoeuropea *dang-va) è il modo
concreto e determinato storicamente in cui si manifesta la capacità
del linguaggio umano dal quale si distingue in senso proprio. I tratti
comuni che individuano una lingua sono il vocabolario, il sistema
fonematico comune, la grammatica e la sintassi, lo stile e la
pragmatica; nel caso vi siano sia una versione scritta che una
orale, anche un sistema di segni comune.
La linguistica è la disciplina che studia la lingua, intesa come
potenziale innato dell'uomo di produrre il linguaggio. Ferdinand de
Saussure è stato il primo studioso a rendere la linguistica una
scienza certa, grazie alle sue teorie raccolte sotto la
denominazione di strutturalismo.
Attualmente sono circa 6.900 le lingue in tutto il mondo.
2. convenzione o natura ?
3. naturali o no ?
Le lingue del mondo, esito ciascuna di uno sviluppo storico in una data regione del mondo, si chiamano lingue storico-naturali.
Storiche perché hanno una storia nella quale sono protagonisti i parlanti di tali lingue, naturali per contrapporle alle lingue artificiali
rispetto alle quali esse solitamente hanno maggiore complessità (esistono tuttavia delle lingue artificiali ben più complesse di alcune
lingue storico-naturali).
In questi ultimi anni gli studi sul linguaggio, inteso come facoltà umana di comunicare per mezzo di sistemi verbali, e sulla lingua,
manifestazione concreta con cui le potenzialità verbali di un individuo (o di un gruppo) si realizzano in un certo contesto storico,
geografico, sociale, si sono moltiplicati: studiosi con interessi scientifici molto diversi hanno esaminato il problema del linguaggio da punti
di vista differenti, a volte opposti.
Si parla di linguaggio verbale e di linguaggi alternativi, di linguaggio e di lingua, di linguaggio e di comunicazione in senso ampio.
Si può dire che esiste comunicazione ogni qual volta esista un passaggio di informazioni da un'emittente a un destinatario, in modo tale
che il messaggio, così come è stato concepito, coincida con l'informazione decodificata dal ricevente.
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L'uomo non è l'unico ad usare segnali convenzionali; negli animali esistono forme di scambio di informazioni, ma non forme di pensiero
verbale in cui parola ed azione interagiscono vicendevolmente.
La lingua è pertanto lo strumento più raffinato e potente di rappresentazione simbolica, cioè di quella capacità che è alla base di tutte le
funzioni concettuali.
Essa è inoltre il mezzo più economico, diversificato ed appropriato che l'individuo ha a disposizione per partecipare alla vita della sua
comunità, diventando un membro attivo, ricevendone il bagaglio culturale che può essere modificato secondo le proprie esigenze, in un
interscambio profondo fra sé e il gruppo di appartenenza.
Dal momento della sua comparsa e con la sua evoluzione il linguaggio è diventato il massimo organizzatore logico dell'esperienza e del
pensiero.
L'interesse per il linguaggio, specificità dell'uomo, è iniziato nell'antichità con Platone, Aristotele, Sant'Agostino, ma la linguistica come
scienza è abbastanza recente.
La sua nascita può essere fissata agli inizi del Novecento con Ferdinand de Saussure, in particolare con la pubblicazione nel 1916, da
parte di due suoi allievi, delle lezioni tenute a Ginevra tra il 1906 ed il 1911, nel "Corso di linguistica generale".
L'opera di Saussure ha il pregio di aver posto i fondamenti della linguistica, fondamenti a cui si sono riferiti, come accettazione o rifiuto,
studiosi appartenenti ad indirizzi diversi di ricerca.
4. significato, significante e referente
5. alfabeti e lingue
6. lingue verbali e non (?)
7. linguaggi
Il linguaggio è un sistema di comunicazione tra individui.
Grazie al linguaggio si trasmettono informazioni, veicolate mediante un sistema di simboli finiti arbitrari combinati in accordo alle regole
della grammatica.
Le informazioni trasmesse sono solo una parte del prodotto terminale di un processo che elabora la percezione sensoriale, i concetti, i
sentimenti e le emozioni, le idee e i pensieri, in un contenuto che implica la successione temporale.
La capacità di linguaggio si è sviluppata nell'uomo a seguito di mutamenti strutturali della cavità orale. In particolare l'arretramento
dell'ugola ha reso l'essere umano capace di esprimere una gamma sonora variegata, capace di garantire una non generica nomazione
del mondo.
8. la lingua
a. immobile ?
b. creazione
c. sparizione
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Il latino e il “suo” alfabeto
1. dall’orale allo scritto: problemi ?
2. leggere: grandi problemi “mentali”
Chiarita la natura di codice delle scritture, dovremmo poter tracciare una mappa dei tipi possibili di codifica usati nel linguaggio scritto.
Nella classificazione proposta da Geoffrey Sampson (studioso che abbiamo già avuto occasione di menzionare), che qui riproponiamo
nella tavola seguente, l'elemento discriminante è COSA viene ricodificato dalla LO alla LS (stante che la ricodifica è sempre, per
definizione, semplificata e quindi parziale).
Alfabeto (da alfa e beta, le prime due lettere dell’alfabeto greco), sistema di segni grafici, rappresentanti ciascuno uno o più suoni, che
possono essere variamente combinati per formare tutte le parole di una lingua. Un alfabeto tende idealmente a indicare ogni singolo
suono con un simbolo diverso, anche se difficilmente ciò è possibile (l’unico che risponda a queste esigenze è l’alfabeto coreano).
Gli alfabeti sono distinti dai sillabari, cioè gli insiemi di quei segni grafici propri dei sistemi di scrittura sillabici, e dai sistemi pittografici e
ideografici. Un sillabario rappresenta con un unico simbolo ogni sillaba, composta da uno a quattro suoni sentiti come unitari; un esempio
di sillabario è quello giapponese. Un sistema pittografico rappresenta gli oggetti attraverso disegni, al posto delle parole corrispondenti.
Un sistema ideografico combina vari pittogrammi per esprimere concetti astratti. In cinese, ad esempio, la parola “est” è rappresentata
dalla combinazione dei pittogrammi indicanti “sole” e “albero”.
Uno dei più importanti alfabeti indiani, la devanagari, utilizzata dal sanscrito e dalle lingue indiane moderne, combina ingegnosamente il
sistema sillabico e quello alfabetico puro. Dalla fonte dell’alfabeto devanagari sembrano essere derivati anche gli alfabeti bengalese,
tamil, telugu, cingalese, burmese e siamese, o thai.
La maggior parte degli alfabeti ha tra i venti e i trenta segni; l’alfabeto più esiguo è il rotokas delle isole Salomone (11 segni), il più esteso
è il khmer (74 segni).
I più antichi sistemi di scrittura sono di tipo pittografico-ideografico; fra questi il cuneiforme degli assiro-babilonesi, i geroglifici egizi, gli
attuali segni grafici del cinese e del giapponese e la scrittura pittorica dei maya (vedi Lingue indiane d’America). L’evoluzione del sistema
di scrittura in alfabeto o sillabario avviene quando un pittogramma o un ideogramma giunge a rappresentare non più un oggetto o un’idea,
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ma un suono, generalmente quello iniziale della parola indicata in origine. Perciò nelle antiche lingue semitiche un pittogramma che
rappresentava una casa (beth) finì col rappresentare il suono “b” e, dopo una serie di passaggi, diventò la “B” dell’alfabeto latino.
Si ritiene che il primo alfabeto conosciuto, noto come semitico settentrionale, sia nato tra Palestina e Siria, fra il 1700 e 1500 a.C., dalla
combinazione di caratteri cuneiformi e geroglifici, con la probabile aggiunta di segni derivati dagli alfabeti cretese e ittita. L’alfabeto aveva
solo 22 consonanti e il lettore o il parlante doveva aggiungere alle parole le vocali.
Ebraico, arabo e fenicio si basavano su questo alfabeto e ancora oggi gli alfabeti ebraico e arabo possiedono solo consonanti (22 l’uno,
28 l’altro), mentre la scrittura scorre da destra a sinistra. Nello scritto le vocali possono essere eventualmente indicate da puntini o
lineette usati come segni diacritici e posti sotto, sopra o accanto alla consonante. Alcuni segni consonantici vengono usati per indicare
le vocali lunghe.
Verso il I millennio a.C. dall’alfabeto semitico originario si svilupparono il semitico meridionale, il canaanita, l’aramaico e il greco (ma,
secondo alcuni studiosi, il semitico meridionale si sviluppò indipendentemente dal semitico settentrionale, ed entrambi derivarono da un
antenato comune). Il ramo semitico meridionale fu l’antenato di alfabeti di lingue estinte usate nella penisola arabica e delle moderne
lingue dell’Etiopia.
Il canaanita era suddiviso in antico ebraico e fenicio; l’importantissimo ramo aramaico divenne la base delle scritture semitiche e non
semitiche dell’Asia occidentale. Nell’ebraico, la cosiddetta scrittura “quadrata” si sostituì a quella antica, divenendo il modello sul quale
si sviluppò la scrittura ebraica moderna. Non è accertato se i vari alfabeti dell’India e dell’Asia sudorientale siano evoluzioni indipendenti
o derivazioni dell’antico semitico.
Alfabeti greco e latino
Verso il X-IX secolo a.C. i greci adottarono la variante fenicia dell’alfabeto semitico, portando a 24 (o più in alcuni dialetti) i 22 segni
consonantici e dando ad alcuni di essi valore vocalico e non più consonantico. Dopo il V secolo a.C. il greco venne regolarmente scritto
da sinistra a destra.
L’alfabeto greco si diffuse nel bacino del Mediterraneo e originò altri alfabeti, fra cui l’etrusco, l’osco, l’umbro e il latino (vedi Lingue
italiche). L’espansione dell’impero romano e la diffusione della lingua latina fecero poi sì che l’alfabeto latino venisse utilizzato per tutte
le lingue dell’Europa occidentale.
Alfabeto cirillico
Nel IX secolo d.C. missionari greci provenienti da Costantinopoli convertirono gli slavi al cristianesimo e tradussero per loro alcuni libri
della Bibbia. I santi Cirillo e Metodio, apostoli degli slavi meridionali, utilizzarono a questo scopo un alfabeto detto glagolitico. A san Cirillo
è attribuita l’invenzione di un alfabeto imparentato con quello glagolitico, e che da lui fu detto “cirillico”.
L’alfabeto cirillico, come quello romano, deriva dal greco, basandosi sulla scrittura onciale greca del IX secolo, cui furono aggiunti nuovi
caratteri per suoni assenti in greco. In forme diverse l’alfabeto cirillico è attualmente usato per le lingue russa, ucraina, serba e bulgara,
mentre altre lingue slave quali polacco, croato, ceco e slovacco sono scritte con alfabeti latini adattati.
Alfabeti artificiali
Esistono anche alfabeti creati artificiosamente per popoli precedentemente privi di produzione scritta (come avvenne per l’alfabeto
cirillico) o per culture che usavano alfabeti stranieri. Interessanti esempi sono l’armeno, inventato da san Mesrobio nel 405 e ancora in
uso, e la scrittura mongolica hP’ags-pa (scritta dall’alto in basso), inventata in Cina nel XIII secolo.
Adattamenti dell’alfabeto
Nell’adottare un tipo di scrittura, in ogni lingua si verificano aggiustamenti per rappresentare peculiarità fonetiche assenti o differenti nella
lingua da cui l’alfabeto viene mutuato. Talvolta questi consistono in modifiche del segno, come per i caratteri å, ø delle lingue dell’Europa
settentrionale, ß del tedesco, č o š delle lingue slave, ı del turco o ñ dello spagnolo.
Non sempre, inoltre, a una medesima lettera corrisponde lo stesso suono in tutte le lingue; ad esempio, la lettera v dell’italiano “vela” in
tedesco ha un suono f e in spagnolo ha un suono b. Inoltre, non tutte le lingue usano gli stessi caratteri e gli stessi segni diacritici. La ç,
ad esempio, compare regolarmente solo in portoghese, francese e turco; nelle prime due lingue rappresenta il suono s di “suono”; in
turco il suono c di “ciliegia”.
Anche se gli alfabeti tendono a far corrispondere un simbolo a ogni suono, questo non sempre accade: ad esempio, la c italiana indica
sia il suono duro di “casa”, sia il suono dolce di “città”, mentre la e indica tanto il suono aperto di “ècco”, quanto il suono chiuso di “ésso”.
In molte lingue, inoltre (tipici esempi sono l’inglese e il francese), ci sono grandi divergenze tra la forma scritta e quella parlata, perché
si mantengono grafie che riflettono antiche forme di pronuncia. Per questo motivo in molti paesi vengono avanzate proposte di riforme
ortografiche.
1. suoni e segni
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5.
lingue, alfabeti: corrispondenza biunivoca ?
passaggi e trasformazioni: perché ?
com’è nato ?
alfabeti
a. alfabeti europei
latino
Greco
Cirillico
Armeno
georgiano
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b. alfabeti africani: alfabeto ge'ez
c. alfabeti asiatici
i. alfabeto avestico
ii. alfabeto arabo
iii. devanagari
iv. alfabeto aramaico
v. Hangul
vi. Jawi
vii. alfabeto tibetano
viii. alfabeto turco ottomano
ix. Cinese e giapponese
x. alfabeto mandaico
xi. mongolo latino
xii. alfabeto ugaritico
xiii. alfabeto persiano
xiv. Bengali
xv. Coreano
xvi. Thai
Alfabeti speciali
Alfabeti fonetici
a. Alfabeto fonetico NATO o Alfabeto marittimo
b. Alfabeto fonetico internazionale
Braille
Alfabeto Morse
Alfabeto manuale
Nova Help-Alfabeto
Alfabeti artificiali
Aurebesh
Alfabeto Mandaloriano
Esperanto
Lingua Čantäreski
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17. Origine e forma dell’alfabeto latino
a. creare o adattare ?
b. quale modello ?
c. mancano suoni
i. creazioni
ii. soppressioni
d. senso di scrittura
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Sulla pronuncia del latino
Le pronunce del latino e il lor “albero genealogico”
*latina lingua
urbanitas
rusticitas
barbare loqui
peregrinitas
Erasmo
Chiesa
pronuncia
intellettuale
pronuncia
restituta
•
•
•
pronuncia del
Medioevo
pronuncia
scolastica
lingue volgari
pronunce
nazionali
testimonianze dirette
testimonianze indirette
trascrizioni e derivazioni
/kàisar/
/cèsar/
Italia: /cèsar/
Germania: /kàesar/
Inghilterra: /sìser/
Francia: /sesàr/
Spagna: /cèssar/
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Struttura e morfologia della lingua latina
Le regole dell’accentazione
Accento: fenomeno soprasegmentale
In latino ci sono sillabe lunghe e sillabe brevi.
a) In generale:
- una sillaba è breve se contiene una vocale breve: si riconosce da quel segno caratteristico, simile ad una piccola mezzaluna,
tracciato sopra di essa nei vocabolari e nelle grammatiche (ĕ);
- una sillaba è lunga se contiene una vocale lunga o un dittongo: una vocale lunga si riconosce da quel segno caratteristico,
simile ad un trattino, tracciato sopra di essa nei vocabolari e nelle grammatiche (ē).
b) In particolare:
una vocale breve, quando è seguita da due o più consonanti, viene considerata lunga (si dice "lunga per posizione"). Questo
vale anche per le consonanti "doppie", come la x (che si pronuncia cs e quindi conta per due) e anche se le due consonanti
fanno parte della parola successiva.
Per quantità di una vocale si intende la sua durata fonica. Nella lingua italiana il senso della quantità è un poco sfuggente, ma
possiamo riflettere sulla durata delle vocali riferendoci a quelle accentate, sicuramente più lunghe di quelle che non portano l’accento.
E’ ovvia, ad esempio nella parola indivisìbili, la maggiore quantità-durata, della ì accentata rispetto alle restanti vocali.
La vocale quindi si può dire breve ( col segno ˘ ) o lunga ( col segno ˉ ): la lunga ha durata doppia della breve.
E’ da notare che la quantità delle vocali in latino incide sul significato stesso delle parole.
Ad esempio vĕnit ( viene) e vēnit ( venne ). Similmente in italiano l’accento ed il suono aperto o chiuso variano i significati: io càpito,
ho capìto, egli capitò oppure la pèsca ( frutto) ed egli pesca
Ci sono alcune leggi riguardo all'accento:
1) legge del trisillabismo: l'accento in una parola latina non cade mai più dietro della terzultima sillaba. Niente parole bisdrucciole o
trisdrucciole quindi, come in italiano, con accento sulla prima o sulla seconda sillaba.
2) legge della baritonesi: l'accento non cade mai sull'ultima sillaba. Le parole infatti, anche di 2 sillabe, tipo homo, hanno l'accento
sulla prima. (hòmo)
3) legge della penultima: l'accento su parole di tre o più sillabe cade sulla penultima se è lunga o sulla terzultima se essa è breve.
Tipo: libértas, intérdum.
4) legge dell'enclisi: quando ad una parola si aggiunge un'enclitica tipo -que (in latino è frequente per fare congiunzione insieme a et)
l'accento va sulla penultima anche se è breve (nonostante la legge precedente) in quanto abbiamo, una volta aggiunta l'enclitica,
formato una nuova parola
[prima ancora]
MAI
Non esistono parole così strutturate
quartultima
MAI
legge
del
trisillabismo:
l'accento in una
parola latina non cade
mai più dietro della
terzultima sillaba
terzultima
SI
penultima
SI, solo se…
ultima
MAI
legge
della
penultima: l'accento
su parole di tre o più
sillabe cade sulla
penultima se è lunga
o sulla terzultima se
essa è breve
legge
della
baritonesi: l'accento
non
cade
mai
sull'ultima sillaba
1. struttura del lessico
2. epoca di diffusione della lingua
a. da quando ?
b. fino a quando ?
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c. ha senso una periodizzazione ?
3. La TIPOLOGIA LINGUISTICA
a. La tipologia linguistica è una particolare tipologia che classifica le lingue a partire dalle loro caratteristiche.
La tipologia linguistica include la tipologia morfologica, la tipologia sintattica (a volte chiamata morfosintassi)
e la tipologia fonologica.
b. Il posizionamento di S, V, O
i. L’ordine standard
ii. L’ordine variato: perché ?
1. Una frase di questo genere è "le spine, hanno le rose" che in italiano (una lingua con sintassi
prevalentemente Soggetto Verbo Oggetto) sarebbe più corretto tradurre con "le rose hanno
le spine", questo perché in italiano non sono presenti marcatori per i casi, per cui il significato
della frase si perde e diviene più arduo discernere il soggetto dal complemento oggetto (la
frase "Mario odia Marco" non ha lo stesso significato logico di "Marco odia Mario").Tuttavia
l'italiano e altre lingue SVO, come l'inglese, ricorrono spesso a frasi con sintassi OVS per
esprimere la forma passiva del verbo. In questo caso "Sam ha mangiato le arance" diviene
"le arance sono state mangiate da Sam".
c. Il posizionamento del genitivo
d. Il posizionamento del determinato
e. Il posizionamento dell’ausiliare
4. Come si possono descrivere le lingue dal punto di vista MORFOLOGICO
a. agglutinanti
i. Nelle lingue agglutinanti le parole (allo stato iniziale) sono costituite dalla sola radice, a cui vengono
poi aggiunti prefissi o suffissi per esprimere categorie grammaticali diverse (ad esempio genere,
numero, caso o tempo verbale) e i morfemi sono espressi da affissi (e non da cambiamenti interni
della radice della parola, o cambiamenti in forza o tono). Inoltre, e cosa ancor più importante, in una
lingua agglutinante gli affissi non vengono mai fusi con altri, e non cambiano forma in base alla
presenza di altri.
ii. I linguaggi agglutinanti tendono ad essere molto regolari e ad avere un alto numero di affissi/morfemi
per parola. Ad esempio il giapponese possiede solo tre verbi irregolari (e non molto irregolari), il
nahuatl solo due, e il turco solo uno. Le lingue sintetiche non agglutinanti sono invece dette lingue
fusive poiché combinano insieme affissi da "compressione" (in inglese: squeezing), modificandoli
drasticamente per giungere all'unione di parecchi significati in un solo affisso (per esempio in
italiano, un solo breve suffisso verbale può indicare il "tempo passato, modo indicativo, prima
persona singolare").
b. Isolanti
i. Sono chiamate lingue isolanti quelle lingue che non possiedono declinazioni o flessioni, in cui quindi
la morfologia sia poca o nulla. Indicando il morfema come la minima unità che definisca un significato
(come prefissi e desinenze), ne consegue che nelle lingue isolanti le parole non sono scomponibili
in unità morfologiche più piccole. Queste lingue non si esprimono tramite modificazione delle parole,
ma attraverso la posizione che esse occupano all'interno della frase.
ii. Prendiamo ad esempio l'inglese, lingua diventata, nel tempo, principalmente isolante: nei tempi
verbali è indispensabile assegnare la persona a cui detti tempi si riferiscono, per indicare
precisamente di cosa si sta parlando: I talk, I will talk (parlo, parlerò). In italiano, lingua flessiva, non
è necessario, poiché le desinenze (modificazioni terminali delle parole) definiscono senz'altro il
significato del verbo stesso. Per questo motivo (per la mancanza o la carenza di morfemi),
generalmente le lingue isolanti presentano un gran numero di parole monosillabiche.
Oltre all'inglese, una diffusa lingua isolante è il cinese.
c. Flessive
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6.
7.
8.
i. Le lingue flessive sono un tipo morfologico. Il tipo linguistico flessivo si caratterizza nell'esprimere le
diverse relazioni grammaticali mediante un solo suffisso. L'italiano, come la maggior parte delle
lingue indoeuropee appartiene a questo tipo morfologico. Esempio: gatte: la "e" è un suffisso che
indica sia il genere (femminile) che il numero (plurale) dell'entità a cui si riferisce
ii. Le lingue flessive possono anche operare la "flessione interna" (apofonia), cioè indicare le diverse
categorie grammaticali variando la vocale della radice della parola (quindi in posizione interna, e
non finale della parola). Questo è un fenomeno molto diffuso nelle lingue indoeuropee e semitiche,
che non opera solo nei verbi ma è molto produttivo, ragione per cui spesso ci si riferisce a quelle
lingue in cui è molto comune come "introflessive".
Articoli e preposizioni
Elementi della morfologia
a. Radice
b. Vocale tematica
c. Tema
d. Desinenza
e. Elementi di variazione
i. Pre-fissi
ii. In-fissi
iii. Suf-fissi
la questione dei casi
a. quanti erano
b. perché riduzione e fusione
c. nelle lingue romanze
la questione (scolastica) delle declinazioni e delle coniugazioni
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