Università di Torino Scuola specializzazione per le professioni legali “Bruno Caccia e Fulvio Croce” Dr. Sandrelli I reati fallimentari. Parte I° 1) Premessa. Per tradizione al fenomeno dell’insolvenza, il legislatore penale ha ricondotto fattispecie specifiche, giustificate dall’amplificazione del rischio economico che la diffusa inadempienza alle obbligazioni mostra, rispetto al singolo fatto di inadempimento (i fatti di PARMALAT, CIRIO e ancor prima, BANCA PRIVATA, ecc, lo dimostrano). Inoltre, l’assunzione in Italia di una forma concorsuale (così come in molti altri paesi) per l’esecuzione delle pretese discendenti dalla dichiarazione di insolvenza e, dunque, una partecipazione collettiva dei creditori – promossa con poteri ed impulso di ufficio - alla soddisfazione sul patrimonio del debitore, impone la garanzia dal rischio di alterazione e di squilibrio, nel suo svolgimento. Quanto ai soggetti, la norma penale ha di mira non soltanto il protagonista della vicenda concorsuale, il debitore, ma anche altri soggetti, quali i creditori, gli organi della procedura, i terzi che possano aver pregiudicato l’oggetto principale ed essenziale i questa vicenda: patrimonio, posto a garanzia della soddisfazione delle obbligazioni. Caratteristica di queste fattispecie è la natura qualificata dei soggetti: si tratta di reati cd. “propri”. Oggetto che, talora, può anche mancare, imponendo una rapida chiusura del recesso fallimentare (per inesistenza di attivo, art 118 n. 4 l. fall.) ma che, ciononostante, non esclude interesse penale alle condotte. Infatti, non è necessaria la permanenza della procedura concorsuale per l’esistenza dei delitti di cui si tratta. Ma, invece premessa giuridica indispensabile per legittimare la proposizione dell’accusa è che vi sia stata una dichiarazione di insolvenza, premessa indefettibile per queste fattispecie. Al contempo, non è dato l’inverso: per l’affermazione dei delitti i discorso (e salvo per quanto attiene al ricorso abusivo al credito) è necessaria la dichiarazione di insolvenza. Giova, quindi, qualche accenno rapido al possibile avvìo del processo fallimentare ed ai reati diversi dalla bancarotta, la quale, nelle sue varie forme, resta – per frequentazione giudiziale – la fattispecie di gran lunga più importante. 1a) La nozione di fallito in seno al processo penale. Gli art. 3 e 479 c.p.p. Piuttosto discusso è il potere del giudice penale nel valutare il ruolo ed il contenuto della Sentenza dichiarativa di fallimento (o equipollenti): dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, ed in particolare degli artt. 3 e 479 1 Cpp., è stata esclusa - con riguardo alla qualità di “fallito” - natura di pregiudiziale, sottratta alla competenza valutativa del giudice penale. L’art. 2 Cpp. dispone, come regola generale, che la decisione incidentale da cui dipende la decisione, non estenda la sua efficacia oltre i confini del processo in cui è emessa. In merito all’art. 479 cpp. si ricorda che l’onere della prova dell’esistenza della controversia e della sua serietà spetta a chi richiede la sospensione (cfr. Cass., Sez. V, 9.8.2001, Crudo, n. 41074); il giudice, decorso l’anno di sospensione, può disporre autonomamente la risoluzione della controversia, cfr. Cass. Sez. V, 7.7.1998, Spinelli, Cass. pen., 2001, 184, in tema di suscettibilità del fallimento delle soc. cooperative); che la decisione di sospendere presuppone una adeguata motivazione sulla particolare complessità della questione e che siffatto giudizio non può essere assunto in fase pre-dibattimentale (Cass., Sez. V, 2.7.1993, PM/Bortoloso, n. 1305). 1 1 La giurisprudenza, soprattutto facendo leva sul fatto che, la qualità di “fallito” e di “società dichiarata fallita” discendono da una pronuncia giudiziale, storicamente avvenuta e, come tale, concretante il requisito oggettivo richiesto dalla norma, ritennero in un primo momento, impedito al giudice ogni ulteriore indagine al riguardo 2. Più esattamente si è detto che, mentre per la qualità di fallito, la pronuncia del giudice fallimentare doveva ritenersi storicamente introdotta nell’ambito giuridico, quella di “imprenditore”, impingendo nella disamina della ricorrenza dei profili di soggettività (essendo la bancarotta reato “proprio” soltanto dell’imprenditore), lasciava indenne la valutazione del giudice penale sulla effettiva attività gestoria del soggetto inquisito. 3 Recentemente, invece, la SC. sembra aver devoluto alla cognizione del giudice penale l’intero capitolo del requisito obiettivo sotteso dalla sentenza di fallimento. 4 In questa prospettiva dovrebbe ritenersi suscettibile di nuova discussione in sede penale, anche il requisito dell’insolvenza. 5 Altro discorso attiene alla efficacia di decisione opposta in sede fallimentare e non ancora divenuta irrevocabile (ancorchè già esecutiva, per la nota proprietà di questo tipo di pronuncia): non vi è dubbio che, in questo caso, il procedimento ed il processo penale possano avviarsi, essendo assegnato al giudice del dibattimento (art. 479 cpp.) la possibilità (non l’obbligo) di sospendere la vicenda penale in attesa della definizione di quella fallimentare. Ovviamente la sospensione dovrà ubbidire ai criteri della complessità della questione fallimentare 6 e della serietà della opposizione 7. Ma occorre soffermarsi un attimo su questi approdi giurisprudenziali: in quasi tutte queste decisioni si è considerata intangibile la pronuncia giudiziale, riservando al giudice penale (sent. Milazzo) la verifica della qualità di “imprenditore” o meno. Ma ogni discorso è stato formulato all’interno del medesimo contesto normativo, sicché ove la decisione abbia rispettato la norma vigente, nessun dubbio vi era per la coincidenza delle nozioni di fallito e di imprenditore. Il quesito che oggi si pone è diverso: attiene ad una discrasia di vigenza normativa, potendo accadere che il giudice fallimentare abbia dichiarato l’imprenditore fallito, ed il giudice penale si trovi di fronte la nuova normativa che non consente questa dichiarazione. Sicché il quesito si pone in seno al fenomeno penalistico della successione delle leggi nel tempo. b) La successione delle leggi nel tempo sulla qualità di fallito. 2 Cfr. ad es. Cass, Sez. 5, 28.3.1993, Berzanti, Cass., Sez. V, 23.8.1993, Riv. trim. dir. pen. ec., 1996, 682; Cass., Sez. 5, 9.4.1991, Milazzo, Cass. Pen., 1991, 643, ed, ancora, Cas. Sez. V, 15.4.1998, Bertoni,, diretta ad affermare la definitività del dato derivante dalla decisione del giudice fallimentare (in tema di qualifica di “imprenditore” e non di ”artigiano”, del soggetto attivo, dichiarato fallito); Cass., Sez. V, 15.4.98, Calabro, Guida Diritto, 9/98, pag. 98; Cass., 31.5.2001, Barni, Guida Diritto, 31/01, pag. 66, ecc. In questa ottica si collocano Autorevoli opinioni: ANTOLISEI, Manuale, cit., 246; LANZI, Il nuovo processo penale e i reati fallimentari, Fallimento, 1991, 224; APRILE, Sentenza dichiarativa i fallimento nel giudizio per reati di bancarotta, Fallimento, 999, 1135; si è, soprattutto, sottolineato che occorre distinguere tra la funzione probatoria della sentenza e la sua natura di elemento costitutivo del reato, richiamando che quest’ultimo aspetto non è intaccato dalla disciplina processuale (cfr. ad es. DE AMICIS, La pregiudiziale fallimentare: essere o non essere, Cass. pen., 2001, 186) Da parte della Dottrina si è affermato (CARRERI, cit., 646) che il giudicato civile conterrebbe (come giudicato “implicito”) anche la ricognizione (immutabile da parte del giudice penale) dei presupposti che legittimano la decisione fallimentare, cioè la qualità di imprenditore e lo stato di insolvenza. 3 Cfr. Cass., Sez. 5, Milazzo, cit. Ovviamente e più semplicemente, l’argomento vale anche per le qualifiche proprie dell’art. 223 l. fall. (amministratore, direttore generale, sindaco, liquidatore) che non vengono dedotte in sè dalla pronuncia di fallimento e che sono sempre state riservate alla valutazione del giudice penale. 4 Cfr. ad es. Cass., sez. V, 11.4.1995, Bertoldo, Cass. pen. 1997, 805; Cass. Sez. 5, 7.7.98, Marcimino, che distingue nettamente la qualifica di “imprenditore”, assoggettata all’esame del giudice penale, da quella di “fallito”; Cass. pen, sez. V, 31 gennaio 2000, Roberti, n.9/2000, 1035, in Dir e Pratica Soc., 9/2000, 87; conf. Cass. pen., sez. V, 4.5.1993, Mass. Cass. Pen, 1993, 11, Sez. 5, 11.4.1996, Bertoldo, n. 394, Cass. pen., 1997, 805; Cass., Sez. V, 1.12.2000, Moroni, Dir. e pratica soc., 3/2001, 89. 5 La Dottrina ha sostenuto – soprattutto all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Cpp. - la perdita di ogni efficacia vincolante della sentenza nel processo penale: cfr. ad es. ALLEGRI, Processo penale e reati fallimentari, Riv. Pen., 1996, 817; LA MONICA, Sentenza dichiarativa di fallimento e processo penale per bancarotta, Fallimento, 1990, 1085. 6 Per essi cfr. Cass. Sez. 5, 2.7.1993, Bertoloso, n. 1305;. 7 Su quest’ultimo requisito cfr. Cass., Sez. 5, 31.1.1984, Caltagirone, n. 182, a seguito di giurisprudenza conforme. 2 - La riforma della legge fallimentare ha ridisegnato i connotati dei soggetti assoggettabili alla dichiarazione di fallimento ed alle altre procedure concorsuali, restringendo il novero rispetto al passato e delegando alla esecuzione individuale del debitore la soluzione dei crediti rimasti insoluti. Resta invariata la nozione: 1) di “imprenditore”, sempre collegata alla gestione di attività commerciale (non, quindi, agricoli ex art. 2135 cod. civ. , gli enti pubblici, i professionisti nonché esercente attività di mero godimento); e di stato di “insolvenza” (art. 5) 2) Negativamente è stata ridefinita la nozione di “piccolo imprenditore” (art. 1 comma 2) che può essere anche un soggetto societario (“impresa in forma collettiva” con eliminazione dell’art. 1 comma 2 l. fall.) Egli non è (con criteri complementari, ma nel senso che non è assoggettabile chi non sottostà ad entrambi i parametri) chi ha effettuato investimenti in conto capitale per oltre € 300.000 (in sostanza l’attivo dello stato patrimoniale). chi non ha realizzato ricavi lordi (ufficiali o “in nero”) per € 200.000 nel corso di tre anni chi si è indebitato per somma superiore a € 25.000 Imprenditore è anche l’ente collettivo e piccolo imprenditore è, parallelamente alla nozione principale, l’organismo descritto con i parametri dell’art. 1 comma 2 l. fall. Di qui la conclusione che la nozione di società soggetta a fallimento deve parametrarsi a queste indicazioni, sicché anche la fattispecie di cui all’art. 223 l. fall. può considerarsi coinvolta dal mutamento e, con essa, i soggetti attivi indicati da detta norma penale. Infatti, essendo rimaste invariate le disposizioni penali circa il soggetto “proprio” dei delitti e, dunque - art. 216 l. fall. “l’imprenditore … se è dichiarato fallito” (art. 216 l. fall. comma 1, 2; 217) - “il fallito” (216, 3° comma; 217 comma 1; 220) - esponenti di “società dichiarate fallite” (art. 223. 224, 225, 226 l. fall.) la riforma concorsuale incide immediatamente e direttamente sulla lettura della orma penale. Ed il quesito attiene ad accertare il riflesso penalistico della modifica della connotazione sostanziale. Modifiche che attengono alle procedure concorsuali disciplinate dall’art. 150 l. fall., cioè per quelle la cui istanza è successiva all’entrata in vigore del D. L.vo 9.2.2006 n. 5 (16.7.2006). Traendo spunto da quelle considerazioni potrebbe sostenersi che la nozione di fallito appartiene al fenomeno della successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale, con esclusione – quindi – dell’applicabilità dell'articolo 2, comma terzo, cod. pen., poichè la modifica della disciplina integratrice della fattispecie penale non incide sulla struttura essenziale del reato, ma comporta esclusivamente una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando (come si verifica – per esempio – in seno alla riforma della disciplina sugli stupefacenti). Assunto che ha a suo sostegno: - il soggetto proprio resta, pur sempre, sia l’imprenditore sia la società, nella rispettiva immutata connotazione giuridica: la mutazione attiene alla restrizione dell’area quantitativa della loro operatività, non nell’essenza definitoria; pertanto, non rileva l’affermazione della giurisprudenza che assume esser la qualità di imprenditore/fallito un connotato tipico dell’oggetto del reato e, quindi, naturale appannaggio del giudice penale: al riguardo non si instaura una effettiva modifica. - il fatto che la nozione di “fallito” è soltanto in parte un dato naturalistico, risposando, per lo più, sulla valutazione del giudice fallimentare e suscettibile della variazione propria dei gradi della procedura fallimentare; - non è possibile, della complessa vicenda fallimentare, concedere autonomia ad una componente della stessa, senza considerare l’itero compendio normativo a cui si connette inscindibilmente, come la nozione di “insolvenza”, di “obbligazione”, di “creditore”, di “privilegio”, ecc. - il fatto che intrinsecamente essa si allaccia non già ad un dato normativo fisso, bensì a possibili variabili connesse all’aggiornamento ISTAT. dati del tutto estranei alla figura di reato e, soprattutto, al governo del processo penale. La Suprema Corte, al riguardo, ha stabilito alcune regole importanti: - “La disciplina relativa alla successione delle leggi penali (art. 2 cod. pen.) si applica a) qualora la disposizione richiamata da una "norma penale in bianco" sia modificata o abrogata, b) b) ovvero nell'ipotesi in cui venga modificata una norma "definitoria" - ossia una disposizione attraverso la quale il legislatore chiarisce il significato di termini usati in una o più disposizioni incriminatrici, concorrendo a individuare il contenuto del precetto penale – c) oppure, infine, nel caso in cui una disposizione legislativa commini una sanzione penale per la violazione di un precetto contenuto in un'altra disposizione legislativa, che venga abrogata in tutto o in parte. Fattispecie in cui la Corte ha confermato l'affermazione di penale responsabilità di un sindaco in ordine al delitto di cui all'art. 323 e ha escluso l'applicabilità del'art. 2 cod. pen. alla luce dell'abrogazione, ad opera 3 dell'art. 136 del d.P.R. n. 380 del 2001, dell'art. 7 della legge n. 47 del 1985 e della previsione, contenuta nell'art. 31 del citato d.P.R. 380/2001, secondo la quale il soggetto titolare del potere-dovere di provvedere in merito alle ingiunzioni di demolizione, rimozione, ripristino non è il sindaco, ma il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale).” (Cass., Sez II, 2.12.2003, Stellaccio, CED Cass.228152. E più esattamente: “non si applica la disciplina dell’art. 2 quando le nuove norme “si limitano a precisare la fattispecie precettiva, delineando la portata del comando, che viene a modificarsi nei contenuti a far data dal provvedimento innovativo; in detta ipotesi, rimane fermo il disvalore ed il rilievo penale del fatto anteriormente commesso, sicché il relativo controllo sanzionatorio va effettuato sulla base dei divieti esistenti al momento del fatto (principio affermato in tema di responsabilità per la gestione di centri trasfusionali con riguardo al reato di cui all'art. 17 della legge 4 marzo 1990 n. 107, configurato per inosservanza di norme regolamentari contenute nel D.M. 27 dicembre 1990, poi sostituito dal D.M. 25 gennaio 2001)” (Cass. Sez. 3, 12.3.2002, Pata, CED Cass. 221943). Ciò che, invero, interessa all’interprete penale è la violazione degli interessi sottesi alla norma. Se si riscontra la lesione, alla luce della normativa vigente al momento del fatto e se tra detta lesione e la norma attualmente in vigore permane analogia nella violazione, senza – cioè – che la riforma abbia intaccato un aspetto proprio della disciplina penale, non può applicarsi la disciplina di cui all’art. 2 c.p. Orbene, tra la disciplina concorsuale e la norma penale esiste un sistema di rinvio che omogeneizza la tutela in guisa che quanto è pregiudizievole per i creditori risulta (normalmente) anche vietato dalla norma penale. E’ ovvio che la violazione si verifica nel contesto della normativa vigente, salvo diversa espressa volontà: tale è il caso, per es. dell’amministrazione controllata, della violazione agli obblighi del fallito, ecc. Ma la disciplina transitoria assegnata alla riforma impedisce la regressione della applicazione penale rispetto a quella fallimentare. Inoltre, sui rapporti tra norma penale e disciplina fallimentare rammento che “ai fini dell'applicabilità dell'art. 2, comma 2, cod. pen., sono norme extrapenali integratrici solo quelle che determinano, o concorrono a determinare, il contenuto del precetto penale. Tali non sono, con riguardo ai reati fallimentari, le norme civilistiche (art. 10 e 11 R.D. 16 marzo 1942, n.267 - Disciplina del fallimento, applicabili anche al socio illimitatamente responsabile di società fallita, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.66 del 1999), che disciplinano i limiti temporali entro cui deve intervenire la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che le vicende relative alle predette norme restano ininfluenti rispetto al fatto di reato anteriormente commesso “ (Cass. Sez. 5, 26.9.2002, Crescenzo, CED Cass. 222978), relativamente alla modifica sui termini di decadenza per la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile.8 In questa ottica possono leggersi anche le massime della SC. che hanno escluso l’applicazione dell’art. 2 comma 3 cp. nel caso in cui il oggetto, u na volta pubblico, sia stato per disposizione normativa “privatizzato”: es. In tema di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale o impiegato in atto pubblico (artt. 479 e 493 cod. pen.), non danno luogo a successioni di leggi penali i mutamenti di regime giuridico che hanno via via interessato l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, trasformandola dapprima in ente Ferrovie dello Stato (Legge n. 210/1985) e poi in società per azioni (delibera CIPE 12 agosto 1992, in esecuzione della Legge n. 35/1992 e legge n. 359/1992). L'applicazione del principio di retroattività della legge penale più favorevole, sancito dall'art. 2 comma terzo cod. pen., presuppone una modifica in via generale - e non in via particolare, riferita al caso concreto - della fattispecie incriminatrice, cioè di quelle norme che definiscono il reato nella sua struttura essenziale e circostanziata, comprese le norme extrapenali che la integrano. Esula quindi dall'istituto la successione di atti o fatti amministrativi che, pure influendo sulla punibilità o meno di determinate condotte, non implica una modifica della norma incriminatrice anche integrativa. Le trasformazioni che hanno interessato l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato non hanno modificato la fattispecie incriminatrice descritta negli artt. 479 e 493 cod. pen. (Cass., Sez-. 6, 10.7.1995, Caliciuri, CED Cass. 202873; nello stesso senso ha deciso in relazione ad ENEL, Cass., Sez. 3, 28.4.1993, PM/Azzarito, CED Cass. 194356) Così anhe è interessante, a proposito della nozione del soggetto “proprio” la decisione di Cass. Sez. Un. 27.3.1992, Delogu, CED Cass. 19171 per cui: Ai sensi dell'art. 357 cod. pen., come novellato dalle leggi n. 86 del 1990 e n. 181 del 1992, la qualifica di pubblico ufficiale deve essere riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o semplici privati, quale che sia la loro posizione soggettiva, possono e debbono, nell'ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, formare e manifestare la volontà della pubblica amministrazione oppure esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati. (Con riferimento al caso di specie, relativo a fatti risalenti ad epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 86 del 1990, la Cassazione ha altresì precisato che la sostituzione dell'art. 357 cod. pen. ad opera dell'art. 17 della suddetta legge non ha posto una questione di successione di leggi ne' di "ius novum" più favorevole all'imputato, in 8 4 In questa prospettiva non sarebbe ravvisabile la fattispecie di successione né si darebbe luogo all’applicazione retroattiva della norma fallimentare alle procedure penali in corso. Né giova il possibile richiamo alla vulnerazione del principio di cui all’art. 3 Cos. poiché la Corte Cost. ha costantemente dichiarato la manifesta infondatezza della relativa questione di legittimità costituzionale a fronte di un problema attinente al fenomeno della successione delle leggi nel tempo, poiché non vale invocare il principio di uguaglianza, atteso che il fluire del tempo costituisce elemento idoneo, di per se, a differenziare le situazioni soggettive, soprattutto in presenza di disciplina transitoria civilistica in relazione alle situazioni pregresse, inoltre poiché il legislatore ha ampia discrezionalità, con l'unico limite della ragionevolezza (che non mi sembra valicato nel caso in esame). Certamente opposta è la conclusione se si considera la qualità di fallito “norma penale in bianco”, variabile – quindi – al variare del suo contenuto sostanziale. In questo senso l’art. 3 c.p.p. consente al giudice di escludere la ricorrenza del soggetto “proprio” ed assolvere perché il fatto non sussiste l’inquisito. Ma questo a ben vedere è un problema che prescinde dalla successione delle norme nel tempo ed attiene alla lettura della norma processuale e dei limiti della pregiudizialità civile sul processo penale. 2) La dichiarazione di insolvenza. Si è detto che il reato di bancarotta (come tutte le altre figure di reato, eccezion fatta per il ricorso abusivo al credito) dipende nella sua struttura dalla dichiarazione di insolvenza. Si tratta di una pronuncia che consegue ad situazione economico/finanziaria irrimediabile, a seguito della quale il debitore non è in grado di assolvere regolarmente le proprie obbligazioni (art. 5 l. fall.) 9 Questa pronuncia dichiara l’insolvenza (è, pertanto, provvedimento a contenuto dichiarativo, nel senso che ha carattere ricognitivo dello stato di paralisi negli adempimenti), ma è portatore di conseguenze giuridiche verso il debitore e verso i terzi.10 Nasce in tal modo la procedura concorsuale, così denominata perché ad essa partecipano concorsualmente tutti i creditori che ne facciano istanza a differenza delle procedure esecutive singole. Questa concorsualità si riflette anche sull’oggetto, cioè sull’intero patrimonio dell’insolvente che – nella sua integralità (ed eventualmente anche oltre le pretese creditorie) è ad essa asservito, sino alla sua chiusura. Fenomeno a cui corrisponde la sottrazione dell’asse patrimoniale al suo titolare e la nomina di un amministratore che curi gli aspetti esecutivi sia dell’accertamento del passivo, sia della sua liquidazione (Curatore o Commissario). Si comprendono, pertanto, le ben più gravi conseguenze penali, in caso di condotte fraudolente, a fronte della previsione dell’art. 388 cod. pen. 11 La rilevanza penale del fatto – come si dirà meglio oltre – si riscontra sia che il fatto (come più frequentemente avviene) preceda la formale dichiarazione di insolvenza, sia che ad essa consegua (“all’imprenditore dichiarato fallito”). quanto tale ultima norma non ha introdotto sostanziali cambiamenti in relazione alla qualifica soggettiva di "pubblico ufficiale", ma ha soltanto precisato i requisiti contenuti "in nuce" nella precedente definizione datane dal cod. pen., e conseguentemente ha ritenuto che anche prima della sostituzione, nel testo dell'ultima parte del secondo comma dell'art. 357 cod. pen., delle congiunzioni copulative "e" con quelle disgiuntive "o" ad opera della legge n. 181 del 1992, doveva considerarsi sufficiente, ai fini della qualificazione di pubblico ufficiale, l'esercizio disgiunto del potere autoritativo o di quello certificativo). 9 Sulla nozione di insolvenza, argomento che ha trovato nuovi spunti di riflessione con la riforma dell’amministrazione straordinaria della grandi imprese in crisi: cfr. SCHIAVON, Insolvenza e risanamento dell’impresa nella nuova disciplina, Fallimento, 2000, 239; SCHIAVON, L’insolvenza nell’amministrazione straordinaria, Fallimento, 2000, 946; CORSI, Crisi, insolvenza, reversibilità, temporanea difficoltà, risanamento, ecc., Fallimento, 2000, 948; DE ANGELIS, Le nozioni di impresa e di insolvenza nella nuova legge 3270/99, Fallimento,2000, 275, CENSONI, Il presupposto oggettivo del fallimento: Lo stato di insolvenza, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, a cura di PANZANI, Vol. I, Torino, 2000, 82 e ss.; PELLEGRINO, Lo stato di insolvenza, Padova, 1980, TERRANOVA, Lo stato di insolvenza, in Le procedure concorsuali, a cura di RAGUSA MAGGIORE, Vol. I, Torino, 1997, ecc. 10 In dottrina ha prevalso la tesi dell’effetto costitutivo della pronuncia giudiziale, cfr. PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1995. 11 Su questi profili v. di recente, CAPOCCHI/PIANO, Il reato di bancarotta fraudolenta, nota a Cass., Sez. V, 26.1.2001, Cardinali, in Fallimento, 2002, 877. Sulla esclusione di concorrenza formale tra il delitto di sottrazione di cose pignorate e di bancarotta per distrazione, cfr. Cass. Sez. 5, 15.5.2001, Foscarini, n. 32604 (che ha disposto la revoca della condanna per il reato di cui all’art. 388 cp.). 5 La procedura di cui si tratta non è soltanto quella fallimentare (generata da sentenza) bensì (con parificazione ai fini penali, nei limiti formulati dall’art. 236 cpv. l. fall.) anche quelle sorte dal decreto che dà avvìo alle procedure minori: concordato preventivo essendo stata abrogata dalla riforma l’amministrazione controllata. Inoltre, con analoga equiparazione alla sentenza dichiarativa di fallimento, è l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza (art. 202 l. fall.) nel caso di liquidazione coatta amministrativa 12 e di altre procedure liquidatorie come quella della legge 95/79 cd. “Legge Prodi”, cfr. art. 203 l. fall. 13, come riformulato dal d. lg. 8.7.1999, n. 270, cd. “Prodi bis” 14, o della nuova “amministrazione straordinaria accelerata” di cui alla legge 18.2.2004 n. 39 (in conversione del DL. 347/03),cd. “Legge Parmalat” 15, norme recentissime che – attesa - la mera equiparazione terminologica tra le dichiarazioni giudiziali di insolvenza già esistenti, senza creazione di diverse e nuove disposizioni penali sul punto, valgono anche per fatti anteriori alla loro entrata in vigore.16 Il provvedimento giudiziale che accerta l’insolvenza e dà vita alle varie procedure attesta, per la giurisprudenza, il momento consumativo del reato commesso anteriormente ad esso. 17 Pertanto, per la bancarotta pre-fallimentare, la dichiarazione giudiziale determina il cd. “tempus commissi delicti”, cioè la data di consumazione del fatto e stabilisce anche il luogo di commissione 18 dello stesso, nel luogo del tribunale che ha emesso la dichiarazione di insolvenza 19. 12 Cfr. Cass., Sez. V, 23.11.1975, Taini, Giust. pen., 1977, III, 435. In Dottrina, GIULIANI BALESTRINO, La sentenza di accertamento dello stato di insolvenza, ecc., a commento della citata decisione, Dir. fall., 1978, II, pag. 202; ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, 1993, 224. La liquidazione coatta amministrativa, così come tute le altre procedure liquidatorie di cui al testo, sono caratterizzate da un penetrante intervento amministrativo nella gestione della liquidazione, con nomina del commissario ad opera del Ministro. Ma tutte richiedono la pronuncia giudiziale, resa dal Tribunale, dell’insolvenza. 13 Decisione assunta con Cass. 19.11.1982, Genghini, , Foro It., 1983, II, 5; Cass. Sez. 5, 11.1.1984, Maiocco, Giur. It., 1985, II, 126. 14 Su cui v. tra gli altri, AA.VV., La riforma dell’amministrazione straordinaria, a cura di BONFATTI e FALCONE, PALUCHOWSKY, Nuova disciplina dell’amm.ne straordinaria, in Codice del fallimento, a cura di PAJARDI e COLESANTI, Milano 2001; GUGLIELMUCCI, L’amministrazione straordinaria per le grandi imprese insolventi, Studium oec., 2000, 742; MAFFEI ALBERTI, La liquidazione nell’amministrazione straordinaria, Dir. fall., 2003, 1,1724; DI CARLO, La riforma delle procedure concorsuali, PQM., 2001, 2, 115; BOZZA, Conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento, in Fallimento, 2000, 1102; COLASANTI, Amministrazione straordinaria e giurisdizione nella nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria, Riv. dir. proc., 2001, 23; VIGO/BARIATTI, La nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria, Studium oec., 2000, 27, ABATE, La responsabilità del Commissario straordinario, Il fallimento, 2000, 9, 975, ecc. In sede penale, LA MONICA, Aspetti penali della nuova amministrazione straordinaria, Fallimento, 2000, 283; SANDRELLI, Il Titolo VI (Disposizioni penali) e l'art. 99 del d. lg. 8 luglio 1999 n. 270, In Il fallimento e le altre procedure concorsuali, a cura di PANZANI, Vol. I, Torino, 2000, ABATE, La responsabilità del Commissario, cit, 977, ecc. 15 Sulla quale v. ALESSI, Amministrazione straordinaria accelerata, in Dir. Fall., 2004, 1, 18; FABIANI /FERRO,Dai tribunali ai ministeri: prove generali, ecc., Fallimento, 2004, 2, 132 per i quali si tratta di nuova procedura concorsuale. Procedura che, seppur significativamente sottoposta ad iniziativa e vaglio del Ministro delle attività produttive, dipende pur sempre dalla dichiarazione giudiziale di insolvenza, con sentenza resa dal tribunale (art. 2), anche se (come si ricava dagli artt. 3 e 4) detta sentenza deve necessariamente seguire al decreto ministeriale. La nomina del Commissario (straordinario che svolge anche funzioni di commissario giudiziale) è di competenza ministeriale. Agli effetti penali la riforma in nulla modifica la disciplina a suo tempo dettata dal D. L.vo270/99. 16 Cass. Sez. V, 3.2.2004, Della Valle, 27513. 17 Cass., Sez. V, 23.2.2000, Tuttolomondo, Cass. pen., 2001, 1340, che esclude – al riguardo – rilievo al decreto di apertura delle procedure liquidatorie. 18 Cfr. Cass. Mezzo e Grespan, cit., e, più recentemente, Cass., Sez. V, 21.2.2000, Auriemma, Cass. pen., 2001, 3532; Cass., Sez. 1, 17.1.1995, Ferrari, n. 4859, Sez. 1, 2.6.1996, Magnini, Cass. pen., 1997, 2233, ecc. Nel caso di pluralità di persone, il referente è quello della singola sentenza dichiarativa di fallimento: cfr. Cass., Sez. V, Piromallo, Cass. Pen., 1988, 1951. Nel caso di dichiarazione di fallimento in estensione il referente è quello della sentenza relativa al singolo socio, non quella che dichiara il fallimento della società: cfr. Cass., Sez. V, 19.3.1999, Ballerini, Cass. Pen., 2001, 298. 6 In sostanza, ogni pregressa condotta penalmente rilevante, antecedente alla sentenza, viene ricondotta e fissata alla pronuncia giudiziale 20. Ma la Sentenza stabilisce anche il luogo della competenza territoriale del giudice penale. La giurisprudenza ha manifestato costante e ripetuto orientamento per cui la decisione del tribunale fallimentare abbia un ruolo (interno alla struttura) essenziale ai delitti di bancarotta propria pre-fallimentare e dell’ipotesi di cui all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall.( e dell’art. 232 comma 3 n. 1 l. fall.). Per la bancarotta prefallimentare di “condizione di esistenza del reato” o, comunque, di elemento costitutivo dello stesso. 21 Mentre la dottrina qualifica la sentenza come condizione obiettiva di punibilità, a mente dell’art. 44 cod. pen. 22 , anche perché – nel solco della lettura giurisprudenziale – appare difficile giustificare come questo momento essenziale della fattispecie non debba essere oggetto dell’elemento soggettivo: obiezione che ha indotto la SC. ad invocare una disciplina peculiare per il diritto penale fallimentare, derogativa da quella ordinaria.23 19 Giurisprudenza costante, cfr. di recente Cass., Sez. I, 1.2.2001, Agostani, Cass. pen., 2001, 1533; Cass. Sez. V, 6.11.1996, Gennai, Cass. pen., 1998, 648 (che distingue la commissione materiale del fatto rispetto alla consumazione del delitto di bancarotta, in coincidenza con la dichiarazione di insolvenza). 20 Giurisprudenza assolutamente prevalente, da ultimo, Cass., Sez. V, 16.6.1999, Di Maio, Cass. pen., 2001, 297. 21 Orientamento ormai stabilizzato, dopo Cass. SS. UU., 25.1.1958, Mezzo, Giust. Pen., II, 513 che, fra l’altro, osservava: “la dichiarazione di fallimento pur costituendo elemento imprescindibile per la punibilità dei reati di bancarotta, si differenzia concettualmente dalle condizioni obiettive di punibilità vere e proprie perché, mentre queste presuppongono un reato già strutturalmente perfetto, sotto l’aspetto oggettivo e soggettivo essa, invece, costituisce addirittura una condizione di esistenza del reato o, per meglio dire, un elemento al cui concorso è collegata l’esistenza del reato, relativamente a quei fati commissivi ed omissivi anteriori alla sua pronuncia, e ciò in quanto attiene così strettamente all’integrazione giuridica della fattispecie penale, da qualificare i fatti medesimi, i quali – fuori dal fallimento – sarebbero, come fatti di bancarotta, penalmente irrilevanti. Non si può dire che la lesione o il pericolo del bene protetto con l’incriminazione si verifichi, in sostanza per effetto solamente della commissione dei fatti di bancarotta di guisa che la funzione della sentenza dichiarativa di fallimento sia semplicemente quella di rendere punibile un fatto già di per se stesso costituente reato e, comunque, illecito … i fatti dell’imprenditore, come i fatti di bancarotta, sono irrilevanti per il diritto penale prima della dichiarazione di fallimento e soltanto per effetto di questa importano violazione delle relative norme incriminatrici. In altre parole, la dichiarazione di fallimento inerisce all’attività antecedente dell’imprenditore, trasformandola in attività trasgressiva della norma penale”.; analogamente Cass. SS.UU., 29.11.1958, Amantini, Giust. pen., 1959, III, 624 e Cass., Sez. 5, 15.12.1988, Grespan, Giust. pen., 1990, II, 279. In questo ordine di lettura interpretativa Cass. pen. sez. V, 20.1.1970, Gaino, in Giur. it. 1972, II, p. 28; Cass. pen. sez. V, 30.1.1968, Scarinzi, in Riv. pen. 1969, II, p. 1033, Cass. pen. sez. un., 25.1.1958, Castagno, in Giust. pen. 1958, II, p. 513; sino alle decisioni più recenti Cass. pen. sez. V, 17.8.2001. Mercuri, in Guida dir. 2001, 38\2001, p. 89; Cass. pen. sez. V, 25.3.1999, Liso, Guida dir., 7\1999, p. 88; Cass. pen. sez. V, 15.12.1988, Grespan, in Giust. pen. 1990, II, p. 279; ecc. 22 ANTOLISEI, Manuale dir. pen., Leggi complementari, I reati fallimentari, 1998, pag. 157, che la qualifica come condizione “intrinseca” di punibilità, non dissimilmente NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, 1955, 291; CRESPI, I trent’anni della legge fallimentare, bilancio e prospettive di riforma, Riv. It. dir. proc. pen., 1973, 125; GROSSO C.F., Osservazioni in tema di struttura, tempo, e luogo del commesso reato nella bancarotta prefallimentare, in Riv.it. dir. proc. pen. 1970, p. 570; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 25 e ss., ecc. 23 Cass., Sez. V, 26.2.1986, Gesnelli, Cass. Pen., 1987, 1827. L’anomalia ha anche determinato l’interessamento della Corte Costituzionale la quale – a proposito dell’irrilevanza penale del fatto prima della declaratoria di fallimento – ha concluso che non contrasta con i principi della personalità della pena e (anche con riguardo alla facoltà rimessa al privato di sollecitare la dichiarazione di fallimento) di uguaglianza – ed ha convalidato l’indirizzo della Cassazione affermando che “il legislatore avrebbe potuto considerare la dichiarazione di fallimento come semplice condizione di procedibilità o di punibilità, ma ha invece voluto … richiedere l’emissione della sentenza per l’esistenza stessa del reato. E ciò perché, intervenendo la sentenza dichiarativa di fallimento, la messa in pericolo di lesione al bene protetto si presenta come effettiva e reale” (C. Cost., 27.6.1972, n. 110, Giust. Pen., 1972, I, 459). Sull’argomento cfr. anche C. Cost. Ord. 30.12.1987 n. 636, Riv. Trim. dir. 7 Per le condotte post-fallimentare, invece, vi è assenso nel qualificare la Sentenza dichiarativa di fallimento quale presupposto del reato, esigendo, quindi, la sua inclusione nella rappresentazione dell’elemento soggettivo.24 Pertanto, il delitto si perfeziona nel tempo e nel luogo della sua effettiva commissione e non al momento della pronuncia giudiziale 25. Come dirò meglio oltre, per la bancarotta impropria da reato societario, cd. “bancarotta societaria” 26 (come modificato dal D. L.vo 61/02) o nella forma dell’art. 223 comma 2 n. 2, ovvero – per la bancarotta semplice – art. 224 comma 2 l. fall., la dichiarazione di fallimento si qualifica come evento. Il risultato, quindi, del comportamento pregiudizievole per i creditori, nella sua formalizzazione giudiziale. Infatti, dette norme puniscono, al titolo rispettivamente di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice, i soggetti che abbiano cagionato (nella seconda ipotesi anche “aggravato”) il dissesto della società. - (art. 223 comma 2 n. 1, bancarotta da reato societario) commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile - (art. 223 comma 2 n. 2) con dolo o “per effetto di operazioni dolose” - (art. 224 comma 2, bancarotta semplice impropria) “con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge”. Nella bancarotta pre-fallimentare la revoca della dichiarazione di fallimento determina l’inesistenza del reato (e l’assoluzione dell’imputato). Revoca non è equipollente nè dell’eventuale dichiarazione di “nullità” della Sentenza nè, tantomeno, del decreto di chiusura (per qualsiasi motivo dell’art. 118 l. fall.) del fallimento, situazioni che non interferiscono con la sussistenza della fattispecie di reato. E’ discusso il potere del giudice penale nel valutare il ruolo ed il contenuto della Sentenza dichiarativa di fallimento (o equipollenti): dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (che, a differenza del codice di rito abrogato, non conosce nella dichiarazione di fallimento, una pregiudiziale assolutamente devolutiva), ed in particolare degli artt. 3 e 479 Cpp. 27, è stata esclusa - con riguardo alla qualità di “fallito” natura di pregiudiziale, sottratta alla competenza valutativa del giudice penale. L’art. 2 Cpp. dispone, come regola generale, che la decisione incidentale da cui dipende la decisione, non estenda la sua efficacia oltre i confini del processo in cui è emessa. La giurisprudenza, soprattutto facendo leva sul fatto che, la qualità di “fallito” e di “società dichiarata fallita” discendono da una pronuncia giudiziale, storicamente avvenuta e, come tale, concretante il requisito oggettivo richiesto dalla norma, ritennero in un primo momento, impedito al giudice ogni ulteriore indagine al riguardo 28. pen. ec., 1988, 879. Ma per la dottrina la soluzione riesce ancora controversa: cfr. ad es. CARRERI, I reati di bancarotta, Milano, 1993, pag. 851, PAGLIARO, Problemi attuali di diritto penale fallimentare, Riv. trim. dir. pen. ec., 1988, 522, ecc. Minoritarie, in dottrina, sono le posizioni di chi annette la sentenza dichiarativa di fallimento alla categoria dell’evento giuridico (SCALERA, La bancarotta fallimentare, Milano, 2001, 121) o come condizioni di procedibilità (GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 1999, 67), o come fonte produttiva dello “status” di fallito, assegnando così all’imprenditore la qualifica “propria” richiesta dalla norma (PAGLIARO, cit., pag. 522, MANGANO, Disciplina penale del fallimento, Milano, 1993), così venendo a separare la qualifica soggettiva dalla condotta (già consumata, al momento dell’assunzione dello “status”). 24 Cfr. ANTOLISEI, cit., pag. 33; PEDRAZZI, cit., pag. 75; CONTI, Diritto pen. commerciale, Vol. II, I reati fallimentari, Torino, 1991,20, ecc.); in giurisprudenza, Cass. Sez. 5, 15.12.1988, Grespan, Giust. Pen., 1990, II, 279, ecc. 25 ANTOLISEI, cit., 157; Cass., Sez. V, 15.2.1989, Grespan, Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 1989, 927. 26 In sostanza la bancarotta impropria, con esclusione delle condotte dell’institore, cfr. PEDRAZZI, in PEDRAZZI - SGUBBI, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, in Commentario Scialoja - Branca, La legge fallimentare. a cura di F. Galgano: articoli 216 - 227, Bologna - Roma 1995, p. 256. 27 In merito all’art. 479 cpp. si ricorda che l’onere della prova dell’esistenza della controversia e della sua serietà spetta a chi richiede la sospensione (cfr. Cass., Sez. V, 9.8.2001, Crudo, n. 41074); il giudice, decorso l’anno di sospensione, può disporre autonomamente la risoluzione della controversia, cfr. Cass. Sez. V, 7.7.1998, Spinelli, Cass. pen., 2001, 184, in tema di suscettibilità del fallimento delle soc. cooperative); che la decisione di sospendere presuppone una adeguata motivazione sulla particolare complessità della questione e che siffatto giudizio non può essere assunto in fase predibattimentale (Cass., Sez. V, 2.7.1993, PM/Bortoloso, n. 1305). 28 Cfr. ad es. Cass, Sez. 5, 28.3.1993, Berzanti, Cass., Sez. V, 23.8.1993, Riv. trim. dir. pen. ec., 1996, 682; Cass., Sez. 5, 9.4.1991, Milazzo, Cass. Pen., 1991, 643, ed, ancora, Cas. Sez. V, 15.4.1998, 8 Più esattamente si è detto che, mentre per la qualità di fallito, la pronuncia del giudice fallimentare doveva ritenersi storicamente introdotta nell’ambito giuridico, quella di “imprenditore”, impingendo nella disamina della ricorrenza dei profili di soggettività (essendo la bancarotta reato “proprio” soltanto dell’imprenditore), lasciava indenne la valutazione del giudice penale sulla effettiva attività gestoria del soggetto inquisito. 29 Recentemente, invece, la SC. sembra aver devoluto alla cognizione del giudice penale l’intero capitolo del requisito obiettivo sotteso dalla sentenza di fallimento. 30 In questa prospettiva dovrebbe ritenersi suscettibile di nuova discussione in sede penale, anche il requisito dell’insolvenza. 31 Altro discorso attiene alla efficacia di decisione opposta in sede fallimentare e non ancora divenuta irrevocabile (ancorchè già esecutiva, per la nota proprietà di questo tipo di pronuncia): non vi è dubbio che, in questo caso, il procedimento ed il processo penale possano avviarsi, essendo assegnato al giudice del dibattimento (art. 479 cpp.) la possibilità (non l’obbligo) di sospendere la vicenda penale in attesa della definizione di quella fallimentare. Ovviamente la sospensione dovrà ubbidire ai criteri della complessità della questione fallimentare 32 e della serietà della opposizione33. Mette subito conti osservare che – per il fatto di rilievo penale, antecedenti alla pronuncia giudiziale – le figure di reato descrivono una situazione davvero anomala nel nostro ordinamento: alcuni atti leciti possono palesarsi delittuosi alla luce dell’insolvenza. Mutamento ruotante sulla lesione dell’interesse prevalente nel reato, la tutela della garanzia dei creditori, cioè del patrimonio a mente degli artt. 2740, 2741 cod. civ. Tutela davvero singolare per una certa indeterminatezza temporale: invero, la pronuncia giudiziale illumina a ritroso l’intero percorso di gestione dell’organismo fallito e si propone quale referente per giudicare gli atti di Bertoni, in Cass. pen., 2000, pag. 1787, diretta ad affermare la definitività del dato derivante dalla decisione del giudice fallimentare (in tema di qualifica di “imprenditore” e non di ”artigiano”, del soggetto attivo, dichiarato fallito); Cass., Sez. V, 15.4.98, Calabro, Guida Diritto, 9/98, pag. 98; Cass., 31.5.2001, Barni, Guida Diritto, 31/01, pag. 66, ecc. In questa ottica si collocano Autorevoli opinioni: ANTOLISEI, Manuale, cit., 246; LANZI, Il nuovo processo penale e i reati fallimentari, Fallimento, 1991, 224; APRILE, Sentenza dichiarativa di fallimento nel giudizio per reati di bancarotta, Fallimento, 1999, 1135; si è, soprattutto, sottolineato che occorre distinguere tra la funzione probatoria della sentenza e la sua natura di elemento costitutivo del reato, richiamando che quest’ultimo aspetto non è intaccato dalla disciplina processuale (cfr. ad es. DE AMICIS, La pregiudiziale fallimentare: essere o non essere, Cass. pen., 2001, 186) Da parte della Dottrina si è affermato (CARRERI, I reati di bancarotta, Milano, 1993, pag.. 646) che il giudicato civile conterrebbe (come giudicato “implicito”) anche la ricognizione (immutabile da parte del giudice penale) dei presupposti che legittimano la decisione fallimentare, cioè la qualità di imprenditore e lo stato di insolvenza. 29 Così in dottrina, CARACCIOLI, Fallimento, bancarotta, reati tributari, in Impresa, 1990, 793; GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Giuffré, 1999, 71. In giurisprudenza cfr. Cass., Sez. V, 27.4.2001, Martini, Cass. pen., 2002, 3872 che ha esaminato la sussistenza del requisito di “impresa artigiana” (negandone la ricorrenza) di soggetto dichiarato fallito; Cass., Sez. 5, Milazzo, cit.; Cass., Sez. V, 3.5.1999, Leo, in Cass. pen., 2000, 1786; Cass. Sez. V, 7.7.1998, Marcimino, Cass. pen., 1999, 2355; . Ovviamente e più semplicemente, l’argomento vale anche per le qualifiche proprie dell’art. 223 l. fall. (amministratore, direttore generale, sindaco, liquidatore) che non vengono dedotte in sè dalla pronuncia di fallimento e che sono sempre state riservate alla valutazione del giudice penale. 30 Cfr. ad es. Cass., sez. V, 11.4.1995, Bertoldo, Cass. pen. 1997, 805; Cass. Sez. 5, 7.7.98, Marcimino, che distingue nettamente la qualifica di “imprenditore”, assoggettata all’esame del giudice penale, da quella di “fallito”; Cass. pen, sez. V, 31 gennaio 2000, Roberti, n.9/2000, 1035, in Dir e Pratica Soc., 9/2000, 87; conf. Cass. pen., sez. V, 4.5.1993, Mass. Cass. Pen, 1993, 11, Sez. 5, 11.4.1996, Bertoldo, n. 394, Cass. pen., 1997, 805; Cass., Sez. V, 1.12.2000, Moroni, Dir. e pratica soc., 3/2001, 89. 31 La Dottrina ha sostenuto – soprattutto all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Cpp. - la perdita di ogni efficacia vincolante della sentenza nel processo penale: cfr. ad es. ALLEGRI, Processo penale e reati fallimentari, Riv. Pen., 1996, 817; LA MONICA, Sentenza dichiarativa di fallimento e processo penale per bancarotta, Fallimento, 1990, 1085. Giustamente SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 41 segnala che una piena indagine del giudice penale risulta necessaria nei casi di dichiarazioni estere di insolvenza. 32 Per essi cfr. Cass. Sez. 5, 2.7.1993, Bertoloso, n. 1305;. 33 Su quest’ultimo requisito cfr. Cass., Sez. 5, 31.1.1984, Caltagirone, n. 182, a seguito di giurisprudenza conforme. 9 amministrazione del patrimonio alla luce dell’interesse creditorio. Un referente che, non assumendo – prima dell’accertamento giudiziale dell’insolvenza – interesse penale, non descrive ed evidenzia l’illecito che ne cagioni la lesione e che, al contrario, si profila come costitutivo del bene giuridico protetto soltanto dopo detta pronuncia. Di qui la possibilità – tutt’altro che infrequente – che, al momento in cui è posto in essere la condotta nessun indicatore la indichi come integrativa della fattispecie concorsuale. 34 Una labilità cronologica che può sfiorare – nella rigida lettura della prevalente giurisprudenza (su cui v. infra) - la lesione di principi costituzionali della personalità della responsabilità penale e della legalità della fattispecie penale, soprattutto quando, prima dell’avvìo del procedimento concorsuale, si siano alternati altri imprenditori o gestori della società di poi risultata insolvente e quando – al momento in cui venne realizzato l’atto incriminato – l’organismo non manifestasse alcun tratto di insolvenza 35: di qui il senso della riforma dell’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. a seguito della modifica portata dal D. L.vo 61/02 e la ricerca i un nesso economico patrimoniale tra l’attività censurata ed il dissesto 36. Parte II°. 1) Il Curatore ed il Commissario: suo ruolo e sue responsabilità penali. Questa figura – per la funzione, i poteri affidati ed il ruolo concretamente svolto - costituisce un “quid unicum” nel nostro ordinamento. Tant’è che, proprio in forza di queste considerazioni, la Corte Costituzionale, con Ordinanza del 18.3.1999 n. 68 37, ha ritenuto non irragionevole che verso il Curatore (ma le norme di rinvio la estendono anche al Commissario) permanesse (e con sanzioni edittali di grande pesantezza) una responsabilità penale per interesse privato in atto del suo ufficio (art. 228 l. fall.), quando siffatta fattispecie (art. 324 cod. pen.) è stata da tempo abrogata dal Codice penale. Il Curatore è organo della procedura concorsuale ed è assegnato al raggiungimento di interessi pubblicisti, poichè non rappresenta né sostituisce il fallito, bensì opera nell’interesse della giustizia 38. Tutto ciò spiega il perché egli è rivestito, espressamente. dalla qualifica di pubblico ufficiale (art. 30 l. fall.) 39, qualifica che può affermarsi anche alla luce dell’art. 357 cod. pen., come novellato dalla legge 86/90 (integrato anche dall’art. 4 legge 181/92). 40 Infatti, egli è partecipe della funzione giudiziaria connessa ai compiti della procedura concorsuale, 41 e la sua qualità non viene meno – cfr. art. 360 cod. pen. - con la revoca della sentenza dichiarativa di fallimento o con la chiusura dello stesso (in relazione, ovviamente, alle attività svolte in seno alla detta procedura). 42 34 Fuori delle figure criminose descritte dalla legge fallimentare, ancorate ad una pronuncia giudiziale di insolvenza, non si rinviene una disciplina penale organica della difficoltà di impresa. Si consideri che l’”insolvenza fraudolenta” dell’art. 641 cod. pen. ha per oggetto il singolo inadempimento (come si evince dal capoverso della norma) e che i fatti di truffa o di frode patrimoniale prescindono dallo stato di crisi dell’imprenditore e richiedono il presupposto dell’inganno, e che l’usura - la più prossima alla figura fallimentare dell’art. 232 cpv. n. 2 l. fall. - non necessariamente postula la crisi dell’imprenditore, essendo sufficiente la stipula dell’interesse esorbitante (la difficoltà è, casomai, un elemento costitutivo della circostanza aggravante dell’art. 644 comma 5 n. 3 cod. pen.). È tipica, al contrario, della situazione di insolvenza la debolezza contrattuale dell’imprenditore: certamente essa rileva per il penalista, e ci si riferisce ai casi di usura, di estorsione, ecc. Ma preme sottolineare che l’imprenditore non è l’autore del fatto, bensì la persona offesa. 35 Cfr. anche quanto sarà detto a proposito della bancarotta impropria e societaria. 36 Analogo tentativo venne espresso dalla Commissione per la riforma del diritto fallimentare nel delimitare l’area di interesse penal/fallimentare nel periodo di insolvenza o di concreto pericolo dell’insolvenza, recuperando una intuizione già risalente nella dottrina italiana (NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, Milano, 1955). 37 In Il Fallimento, 1999, pag. 258; cfr. nello stesso senso anche Ord. C. Cost. 7.12.1994 n. 414, Cass. pen., 21995, 2767; Cass. pen., Sez. 5°, 13.4.1994, n. 4173 Rep. Foro It., art. 228 n. 5. 38 Cfr. tra i molti, CASELLI, Commentario Scialoja Branca alla Legge fallimentare, pag. 145/146. 39 Sono previsti requisiti per la sua nomina (art. 28 l. fall.), una sua accettazione (art. 29 l. fall.), una potestà amministrativa, sotto la vigilanza del Giudice Delegato (art. 31 l. fall.), agisce personalmente (o con delega preventivamente autorizzata dal GD.) Egli ha ampia autonomia negli atti di ordinaria amministrazione; abbisogna, invece, di decreto di autorizzazione per quelli di straordinaria amm.ne o per incombenti specificamente previsti (art. 25 n. 6 l., art. 35 fall.) 40 Detta qualifica è ribadita dalla legge 270/99 (che regola la liquidazione delle grandi imprese in crisi) agli artt 15, 1° comma e 40 d. lg. 8.7.1999, n. 270 i quali assegnano rispettivamente al commissario giudiziale ed al commissario straordinario la qualità di pubblico ufficiale. 10 Se la qualifica pubblica attiene all’importanza formale del ruolo di questo organo, per un riguardo sostanziale, non devono sfuggire i riflessi pratici della sua effettiva importanza e – per quel che qui interessa – anche al contesto del procedimento penale. Innanzitutto, si tratta di un ruolo svolto sovente in sostanziale e considerevole libertà discrezionale anche se egli agisce previa autorizzazione del magistrato, nella innumerevole serie di atti ed operazioni che la sua funzione richiede. Un ruolo decisivo, poi, per il versante penale. L’apertura dell’inchiesta deriva – nella massima parte dei casi – dalla segnalazione (a mezzo relazione o per vie informali) dal curatore che informa il PM. di possibili profili di responsabilità penale sia a carico del fallito sia dei terzi. Ed anche nel corso del procedimento/processo, quando non il PM. o il Giudice non sia affiancato da consulente contabile/perito, la voce del curatore ha un “peso” indubbiamente superiore ad altri protagonisti della ricostruzione probatoria della vicenda. 2) Gli altri soggetti. Il Commissario La disciplina penale accomuna al Curatore altri soggetti che operano, a vario titolo nella sfera della procedura penale. In primo luogo il Commissario, categoria composita, in cui annovero: il Commissario giudiziale nel concordato preventivo: egli, per quel che qui interessa, è pubblico ufficiale (art. 165 l. fall.) 43 è tenuto alla redazione di una relazione analoga, ma non identica a quella del Curatore (art. 172 l. fall.) ed ha legittimazione alla costituzione di parte civile (art. 240 comma 1 l. fall.) il Commissario liquidatore nella liquidazione coatta amministrativa: pubblico ufficiale (art. 199 comma 1 l. fall.), con responsabilità analoghe a quelle del Curatore (art. 199 uc. in rel. art. 38 l. fall.); è preposto alla liquidazione con ampi poteri (art. 204, 206 l. fall.); è tenuto ad una relazione analoga a quella del Curatore (art. 203 comma 3 l. fall. che precisa dover essere in conformità a quella dell’art. 33 l. fall. 44); nonché ad una relazione periodica sulla gestione (art. 205 l. fall.); può valersi di coadiutori (art. 199 uc. in rel. art. 32 l. fall.); ha legittimazione alla costituzione di parte civile (art. 240 comma 1 l. fall.) - il Commissario 45 della “nuova” (a sostituzione dell’abrogata “legge Prodi” legge 95/79) procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (D. L.vo 270/99). In realtà si tratta di due distinte figure: il Commissario Giudiziale (nella forma monocratica o plurima), previsto nella fase iniziale della procedura, appena dichiarato lo stato di insolvenza (cfr. art. 8 lett. b), pubblico ufficiale (per espressa previsione dell’art. 15 comma 1 D. L.vo cit.). Il Commissario Straordinario: (nella forma monocratico o plurima), previsto dall’art. 37/38 D. L.vo 270/99, per la (eventuale) fase successiva di tipo liquidatorio, ma anche fortemente amministrativo. Entrambi dotati della qualifica di pubblico ufficiale (art. 40 D. L.vo cit.) obbligati a relazione; preposti all’accertamento della risanabilità ed alla gestione. 46. 2) I Coadiutori Infatti, la nozione di funzione giudiziaria, dell’art. 357 comma 1 cod. pen. (come novellato), è stata intesa non soltanto come “funzione giurisdizionale” (anche con riguardo alla legge 181/92), bensì anche come cooperazione alle funzioni di altri organi (quali , per es., il PM. ovvero il giudice nell’atto di esercitare attività non strettamente connessa allo “jus dicere”). Sul punto, cfr. Cass. Sez. 6, 14..9.1994, Calamai. 42 Cfr. Cass. Sez. 6, 30.8.1993, Necchi. 43 l’organo è vincolato ad obblighi analoghi a quelli del curatore (cfr. art. 165 comma 2° che richiama l’art. 39 l. fall.), è anche tenuto a vigilare sull’adempimento del concordato (art. 185 l. fall.), ha la vigilanza della gestione dell’impresa (cfr. art. 167 l. fall.) 44 E’ l’unico caso (non modificato dall’art. 99 D. L.vo 270/99) nella legge fall. in cui è previsto un diretto contatto tra l’organo esecutivo della procedura ed il PM., stabilendosi che la relazione sia direttamente trasmessa al Procuratore della Repubblica. 45 A cui è estesa, la responsabilità penale propria del curatore (artt. 228, 229, 230 l. fall.) per via dell’espressa indicazione dell’art. 96 comma 1 D. L.vo cit. 46 Con sapiente opera di razionalizzazione (rispetto alle contorte indicazioni dell’abrogata formulazione della legge 95/79, cd. “legge Prodi”), l’art. 95 D. L.vo cit. ha completamente equiparato la dichiarazione di insolvenza alla dichiarazione di fallimento, anche per quanto attiene ai reati fallimentari dell’imprenditore o di terzi (arrt. 95 D. L.vo cit.), riformulando (con l’art. 99 D. L.vo cit.) in guisa chiara anche l’infelice disposizione dell’art. 203 comma 1, parte 2° l. fall. 41 11 A questi organi della procedura sono accomunati i coadiutori del Curatore 47, di cui egli può avvalersi, previa autorizzazione (art. 32 l. fall.): coloro, cioè, che lo coadiuvano nella amministrazione, disciplinati dall’art. 32 l. fall. Anche costoro sono soggetti attivi dei reati propri del Curatore (art. 231 l. fall.) 48 e sono ritenuti dalla prevalente Dottrina pubblici ufficiali. La nomina dei coadiutori deve essere preceduta dall’autorizzazione giudiziale ed, in seno, alla cd. “Prodi bis” per il commissario straordinario, dall'autorizzazione del ministro dell'industria 49. Accanto ai coadiutori sono stati collocati i “delegati”, quelli – cioè – che sono indicati dall’art., 31 comma 1 l. fall. e che operano in quanto mandatari per singoli atti.50 Figura interessata dall'art. 19, 3° comma, d. lg. 270/99, che disciplina i poteri del commissario giudiziale e che rinvia - "in quanto compatibili" - all’art. 32 l. fall. Al tempo stesso l'art. 41 d. lg. 270/99 distingue tra funzioni inerenti alla gestione corrente dell'impresa e, con espressa previsione dell'autorizzazione ministeriale, ad altre singole operazioni. Secondo prevalente Dottrina 51 anche i delegati rientrano nella nozione di coadiutori e sono pubblici ufficiali. A sé stanno gli “stimatori” che la dottrina ritiene compresi nella categoria dei coadiutori, accedendo alla nozione lata di "amministrazione" sottesa da queste norme: anche per costoro la nuova procedura del D. L.vo 270/99 contempla gli esperti stimatori, i quali coadiuvano il commissario straordinario, nella valutazione dei beni suscettibili di alienazione (art. 62, 3° comma D. L.vo 270/99).52 3) La responsabilità penale del Curatore. a) reati previsti per il Curatore dalla legge fallimentare. Si tratta del novero descritto dalla legge fallimentare agli artt. 228/230: ambito rare volte conosciuto dalla giurisprudenza se non del tutto desueto, come per l’art. 229 l. fall. ed a cui la riforma della legge Prodi (D. L.vo 270/99, cd. “Prodi bis”) non ha portato sostanziali modifiche, attuando un invio meramente formale. Art. 228 (interesse privato del curatore negli atti del 47 Sulla qualifica pubblicistica dei coadiutori cfr. Cass. Sez. VI, 16.11.2000, Puma. Accanto ai coadiutori si annoverato i “delegati”, quanti, cioè, sono espressamente incaricati di singole attività: cfr. art. 32 comma 1 l.fall. Secondo prevalente Dottrina (LA MONICA, I reati fallimentari, Milano, 1972, 520), anche i delegati rientrano nella nozione di coadiutori e sono pubblici ufficiali. 48 Di qualche interesse è l'art. 19, 3° comma, D. L.vo 270/99 che rinvia all'art. 32 l. fall. nella sua interezza (e, quindi, anche ad art. 32, 2° comma, l. fall. ): esso consente la nomina di coadiutore nella persona dello stesso imprenditore dichiarato insolvente (ed il tribunale può esercitare la diretta delega a costui a mente dell'art. 8 lett. f), D. L.vo 270/99, a somiglianza dell'art. 191, 1° comma, l. fall. ); la genericità dell'art. 41, 1° comma, D. L.vo 270/99 non esclude possibilità di deleghe verso l'imprenditore insolvente e, con certezza, l'ammette ove questi sia anche esperto nel settore d'impresa. In tal senso l'imprenditore dichiarato insolvente potrebbe divenire soggetto proprio dei reati di cui all'art. 96, 2° comma, D. L.vo 270/99. Ma l'ipotesi appare più teorica che effettiva: la qualità di soggetto del reato di bancarotta (derivata dalla dichiarazione di insolvenza) conduce, nella maggior parte de casi (quelli di imprenditore individuale, soggetto alla bancarotta propria), a ravvisare questa più grave fattispecie, o perchè l'imprenditore insolvente non ha dichiarato alla procedura un compenso percepito o una interessenza personale lucrata (ove essa possa quantificarsi economicamente), ovvero perchè ha sottratto, trattenendo documenti o cespiti destinati alla procedura. 49 Tuttavia, la giurisprudenza (in relazione all'art. 231 l. fall. ) ha stabilito che l'assenza di detta autorizzazione, non esclude la qualità di pubblico ufficiale di questi soggetti cfr. con riguardo all'art. 324 cod. pen, Cass. pen., Sez. V, 22.2.1994, Riv. trim. pen. ec., 1995, 1020. 50 Indubbiamente il loro inserimento tra i soggetti “propri” delle fattispecie in esame può destare delle perplessità, per il divieto di analogia “in malam partem” proprio della disciplina penale. Tuttavia seguendo la prevalente dottrina – si ritiene che non si tratti di una categoria del tutto difforme da quella dei coadiutori ma che, seppure con peculiarità a sé proprie, rappresenti una specie di collaboratore omogenea a quanti sono indicati dagli artt. 32/231 l. fall. 51 Cfr. ad es. LA MONICA, I reati fallimentari, Milano, 1972, 520. 52 Non sembra che possano rientrare in questa ultima categoria gli esperti o i responsabili di società specializzate di cui all'art. 37, 2° comma, (e 39, 2° comma) d. lg. 270/99, nè - tantomeno - i membri del Comitato di sorveglianza di cui agli artt. 45, 1° e 4° comma, 47 d. lg. cit. (anche se scelti in quanto esperti nel settore). Si tratta, infatti, di coadiutori del Ministro e non del commissario e, per i membri del Comitato di sorveglianza, di delegati all'espressione di un'attività consultiva (cfr. artt. 43, 57, 60, 61, 66, 67, 68, 75, 78 D. L.vo 270/99) ed estranea alla funzione di amministrazione". 12 fallimento). E’ portatore di una formulazione che ha ormai suscitato forti dubbi di equità e di ragionevolezza, avuto riguardo alla abrogazione del corrispondente art. 324 cod. pen. (a seguito della l. 26 aprile 1990 n. 86) e dell'art. 2637 cod. civ. (a seguito del D. L.vo 61/02), resta una sopravvivenza isolata nel nostro ordinamento 53, con un palese squilibrio del sistema complessivo. Ma anche se deve dirsi che il dubbio di illegittimità costituzionale è stato dalla giurisprudenza ritenuto infondato 54, permane il segno di una iniquità nel trattamento punitivo più severo (rispetto al “vecchio” art. 324 cod. pen. - sia quanto a reclusione sia per la multa), norma, d'altra parte, dalla faticosa lettura (soprattutto con riferimento alla clausola di riserva, pressochè ermetica a seguito delle modifiche della citata l. 86/90). Per un riguardo applicativo, inopportuna alla luce delle procedure di novello conio, contrassegnate da forte libertà discrezionale dell’organo esecutivo: infatti con riguardo alla cd. “Prodi bis”, proprio per i compiti affidati al commissario (soprattutto al commissario straordinario), un pubblico ufficiale, obbligato (a differenza che nel regime della l. 3.4.1979, n. 95) alla continuazione dell'esercizio dell'impresa, delegato, pertanto, ad operare in ambiti di forte e più dinamica discrezionalità operativa e valutativa 55, La difficoltà applicativa è propria dell’abrogato art. 324 cod. pen., cioè, la prospettazione di un reato di mero pericolo senza previsione di danno e di intenzionalità qualificante. 56 Di qui l’orientamento della giurisprudenza che, con tratto fortemente manipolativo 57, è portata a leggere l’art. 228 l. fall. nell’ottica dell’attuale art. 323 cod. pen. (norma non sovrapponibile nell’applicazione, per il carattere di maggiore specialità della disposizione penal/fallimentare 58). In particolare, sottolineando la differenza tra l’”avere interesse privato” ed il “prendere interesse privato”, cioè tra un consapevole ed ingiustificabile persecuzione di un vantaggio, un vero approfittamento strumentale, non ricollegabile in via esclusiva alle finalità dell’amministrazione fallimentare.59 In tal modo, ha preteso che l’interesse privatistico perseguito sia l’unico movente che sorregge la volontà dell’autore. Del che è testuale riscontro nel richiamo, in seno alla clausola di riserva, dell’art. 315 cod. pen., ormai abrogato. 54 Rigettato da Corte cost. 18.3.1999, n. 69, fa, 1999, 258; Corte cost. 7.12.1994 n. 414, Cass. Pen., 1995, 2767; Cass. pen., Sez. V, 13.4.1994, n. 4173, Fa (Rep.), art. 228 n. 5. 55 Poteri ben più ampi rispetto alle opzioni liquidatorie (cfr. per es. art. 40 D. L.vo 270/99), nonchè sulla prognosi nella risanabilità di imprese del gruppo (art. 81 D. L.vo cit.), ed al contempo vincolato (nei termini dell'art. 54 D. L.vo 270/99) alla previa redazione di un programma di conservazione/risanamento, a cui deve tenere fede, redatto secondo i canoni già previsti dagli artt. 55 e 56. D. L.vo 270/99. Al riguardo cfr. anche le osservazioni di CERQUA, Il reato di interesse privato del curatore negli atti del fallimento, Dir. e pratica delle società, 1999, 22, 7. 56 Per es. il rinvenimento di un acquirente, amico del curatore, che offra un miglior prezzo rende astrattamente applicabile la norma, anche se, accanto alla volontà di rendere un favore al conoscente, l’organo concorsuale si prospetta l’indubbio vantaggio della procedura. 57 E’ interessante sottolineare la stretta colleganza tra questa ipotesi incriminatrice e la vicenda applicativa dell’art. 2631 cod. civ. in ambito di gruppi societari: alla scarsa applicazione giudiziale, fece riscontro, pure per la norma penal/societaria, una interpretazione fortemente restrittiva, non autorizzata dal testo (cfr. Cass. pen., Sez. III°, 25.2.1959, Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 939) note critiche alla decisione sono rinvenibili in ACCINNI, Profili penali del conflitto di interessi nei gruppi di società, Riv. soc., 1991, 1032 e ss. ed in ABBADESSA, I gruppi di società nel diritto italiano, il Mulino, 1982, 121 n. 39; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 185 e ss.;. Difficoltà che hanno portato all’attuale (a seguito del D. L.vo 61/02) formulazione dell’art. 2634 comma 3 cod. civ. 58 Il meccanismo – ormai arrugginito e sconclusionato – della clausola di riserva dell’art. 228 l. fall. renderebbe soccombente la disposizione penal/fallimentare a favore dell’art. 323 cod. pen., norma che è stata – dall’epoca della redazione dell’art. 228l. fall. – radicalmente modificata e delimitata in funzione di maggiore selettività punitiva Purtuttavia, l’art.323 cod. pen. contiene in sè altra clausola di soccombenza verso ipotesi più grave e non vi è dubbio che l’art. 228 l. fall. sia punito in maniera più severa dell’abuso in atto di ufficio. 59 Cfr. Cass. 12.4.1984, Marzola, Riv. trim. dir. pen. ec., 1995, 1020; Cass. 22.2.1980, Levi, Riv. pen., 1980, 586 53 13 In sostanza in guisa non dissimile dalla lettera del “nuovo” art. 2634 cod. civ.60 (a sua volta ipotesi più ristretta per i caratteri oggettivi 61 incompatibili con il ruolo del curatore), in cui l’elemento oggettivo diviene reale momento di selezione della fattispecie 62. Ricordo che la lata formulazione prescrittiva dell’art. 228 l. fall. include anche i comportamenti omissivi: tipico esempio quello del mancato recupero del credito verso persona conflittualmente legata al curatore, ovvero l’omessa proposizione di azione di responsabilità sulla base di prospettazione (rivolte all’AG.) speciose e consapevolmente lesive dell’interesse concorsuale art. 229 l. fall. (accettazione di retribuzione non dovuta) Rappresenta la protezione penale dell'art. 39 l. fall., norma che assegna al tribunale la liquidazione del compenso al curatore e lo strumento diretto ad allontanare il rischio che collegamenti finanziari estranei al controllo formale della procedura, possano ledere l’autonomia del curatore e portarlo alla parzialità nelle scelte. In sostanza si tratta di una protezione “anticipata”, propria della disciplina sulla corruzione, nella presunzione (tipica del reato di pericolo) che una fonte di guadagno non palesata e non erogata nelle forme tipicizzate, determini un arbitrio nella condotta gestoria dell’organo esecutivo. In questo senso la norma trova un suo parallelo nella disciplina sulla revisione, art. 178 del D. L.vo 58/98 (punito con sola pena pecuniaria): anche in quel caso, al fine di fugare possibili prezzolamenti del revisore e senza alcuna verifica al caso concreto, sanziona la percezione di compensi indebiti. E’ ovvio – per la natura di reato di mero pericolo dell’art. 229 - che la prova della voluta finalità corruttiva (sia per un atto del proprio ufficio, sia per atto contrario ad esso) determina il prevalere degli art. 318/321 cod. pen.63 Deve, infine, soggiungersi che la legislazione recente ha previsto nuove tipologie di compenso 64 a cui il contenuto della norma penale deve adattarsi.65 art. 230 l. fall. (omessa consegna o deposito di cose del fallimento) 60 Norma che, a mio parere, non sembra applicabile né al curatore né al commissario, proprio per la qualifica e funzione pubblicistica che non li rende assimilabili a persona che, in un contesto meramente privatistico, svolga funzioni di amministrazione, anche se – indubbiamente – nelle più recenti esperienze di amministrazione straordinaria (soprattutto se frammentata in singole procedure per ogni società del gruppo, attesa la mancata previsione della concentrazione in seno ad un’unica procedura avente ad oggetto un gruppo di imprese, lascia adito a possibili conflitti di interesse nella conduzione di interessi difformi tra uno ed un altro ente del gruppo: l'omessa volontaria (e consapevole delle conseguenze dannose per un'economia o indebitamente vantaggiose per un'altra) segnalazione da parte del commissario straordinario della situazione conflittuale al giudice delegato per l'adozione di possibili rimedi (non previsti testualmente dal D. L.vo 270/99, ma rintracciabili nella legge fallimentare, ad es. mediante la nomina di un "delegato" ex art. 32 l. fall. ). Dunque, se non si ravvisa l’applicazione dell’art. 228 l. fall., si potrebbe ritenere integrata la violazione degli artt. 323 cod. pen. 61 La norma, a differenza dell’art. 228, presuppone un atto di disposizione ed il verificarsi dell’evento del danno. 62 Il dolo non soltanto è connotato da intenzionalità nel cagionare il danno alla società, ma ulteriormente qualificato dallo specifico scopo di procurare ingiusto profitto o altro vantaggio. 63 Non sfugge che questa tecnica repressiva porta a generalizzazioni formalistiche della tutela penale e, stranamente, alla disapplicazione pratica: viene annoverata un’unica decisione: Cass., Sez. VI, 10.3.1995, Ovigo, Riv. trim. dir. pen. ec., 1995 1430. 64 come l’art. 199 l. fall., silente sulle modalità di liquidazione al commissario della liquidazione coatta amministrativa, ovvero l'art. 47 del D. L.vo 270/99 (ed, in via transitoria, dall'art. 104 D. L.vo 270/99) che, con rinvio ad apposito regolamento ministeriale, precisa la definizione dei criteri per il compenso che sarà liquidato dall'autorità amministrativa (art. 75, 1° comma, D. L.vo 270/99). 65 Adattamento che non si risolve in lettura analogica, non riferendosi al precetto penale, e ad un elemento sotteso dalla fattispecie, ma ad esso sostanzialmente esterno (la condotta vietata è la recezione di denaro o altra forma compensativa delle prestazioni dispiegate nella procedura, oltre quella ufficialmente liquidata, irrilevante essendo - per la definizione del precetto penale l'esatta identità del soggetto liquidatore della retribuzione) e tenendo conto che la materia è stata trattata direttamente (e non per via analogica) dalla legge, che si è espressa, con testuale rinvio, proprio per disciplinare il trattamento sanzionatorio delle condotte del commissario dell'amministrazione straordinario. 14 La norma sottesa alla fattispecie penale è l'art. 34 l. fall. (deposito delle somme riscosse da parte del curatore, norma espressamente richiamata anche dal d. lg. 270/99 all'art. 38, 4° comma,), ma il precetto penale risulta di più ampia e non pedissequa previsione. Alle "somme" si aggiunge qualsiasi "altra cosa" (e, dunque, per es. i documenti); alla scadenza di legge si sostituisce, nella norma penale, l'inottemperanza ad un "ordine del giudice". La riforma della legge fallimentare ha modificato gli obblighi del curatore nella conservazione e gestione delle somme rinvenienti dalla procedura. Essa non è richiamata dall’art. 236 n. 3 l. fall.: risulta, dunque, inapplicabile al commissario delle procedure “minori” (mentre lo è per il “nuovo” art. 237 a proposito del commissario della liquidazione coatta amministrativa). Si colloca immediatamente a fianco della grave ipotesi dell’art. 314 cod. pen., ma se ne discosta (mantenendo la sua vitalità per le caratteristiche speciali) escludendo dalla sua sfera applicativa il connotato strettamente patrimoniale e pregiudizievole del peculato. 66 Reato di pericolo che include in sé anche una tutela della corretta attuazione delle disposizioni giudiziali e qualificato da forte formalismo. 67 Norma sicuramente poco coordinata con le recenti produzioni legislative: per la nuova procedura di amministrazione straordinaria si presentano situazioni dianzi sconosciute. 68 Invero, l'interlocutore principale del commissario è l'Autorità amministrativa, da cui deriva la designazione vincolante del commissario giudiziale o la nomina del commissario straordinario, e che il referente per condotte gestorie, è il Ministro. Ed, allora, il quesito che si pone è se il mancato adempimento dell'ordine proveniente dall'autorità amministrativa, rientri nella figura di reato. La risposta deve essere positiva, per i medesimi argomenti svolti a proposito dell'art. 229 l. fall. : non vi è lettura analogica nella trasposizione, essendo precisamente individuato il contenuto della fattispecie e la sostanza dell'omissione ascrivibile al commissario. Responsabilità penale del commissario e dei coadiutori quali pubblici ufficiali. Gli artt. 30 l. fall., 165 fall.; 15, 1° comma, e 40 D. L.vo 270/99 assegnano la qualità di pubblico ufficiale rispettivamente al Curatore, al Commissario del concordato preventivo, al commissario giudiziale ed al commissario straordinario e, quindi, la nozione dettata per il diritto penale dall'art. 357 cod. pen. Sono, pertanto, applicabili a detti organi le fattispecie che il codice penale attribuisce a questo "soggetto proprio" ed, al riguardo, si rinvia alla trattazione di dottrina e giurisprudenza a proposito del curatore e dei coadiutori. Qui preme soltanto esemplificare i reati di sottesi dagli ambiti operativi dell'organo delle procedure concursuali. E, dunque: i delitti di falso (anche ideologico ex art. 479 cod. pen., con riferimento ai numerosi atti attestativi – certamente atti qualificabili come pubblici – degli organi di cui è discorso (a partire dalla relazione ex art. 33 l. fall.), tenendo conto che – tuttavia – esulano dalla fattispecie incriminatrice gli aspetti (propri delle procedure risanatorie), le parti non strettamente dichiarative di scienza, ma connotate da tensione programmatica. 66 Esiste una abbondante giurisprudenza sui rapporti tra questa figura criminosa ed il reato di malversazione (art. 315 cp., abrogato) ed ora di peculato (art. 314 cod. pen.): di regola è sottolineata la funzione di difesa anticipata, ancor prima che possa configurarsi un definitivo distacco del cespite dal patrimonio concorsuale (per es. con irredimibile interversione del possesso per il prolungamento del tempo di indebita detenzione ovvero per cessione a terzi del bene da parte del curatore). Cfr. Cass. Sez. III, 2.7.66, Amendola, Cass., Sez. VI, 17.3.67, Tufari; Cass. Sez. VI, 29.4.67, Serpico; Cass. Sez. VI, 23.6.67, Crosta; Cass., Sez. VI, 2.7.82, Frascolla; Cass. Sez. VI, 26.2.1993, Marcheschi; Cass. Sez. VI, 12.4.2000, Biasizzo. 67 Cfr. Cass., Sez. VI, 23.2.1970, Cucari, Sulla necessità di un espresso ordine del giudice la SC. ha reso contrastanti decisioni: in senso negativo cfr. Cass. Sez. V, 13.4.71, Albertini; nel senso della sua necessità: Cass.,Sez. V, 22.2.1980, Ippolito; 68 L'Autorità Giudiziaria risulta titolare di possibili ordini di deposito, essendo autorità sicuramente preminente nella sorveglianza e gestione della fase iniziale della dichiarazione di insolvenza, sino all'avvìo dell'amministrazione straordinaria o di altra procedura concorsuale; ma anche nella fase dell'amministrazione straordinaria, i poteri descritti dagli artt. 67 e 68 D. L.vo 270/99 conferiscono al giudice la potestà di ordinare il deposito delle somme riscosse ed eventualmente non assegnate dal commissario straordinario; tutto ciò per tacere della necessità di deposito della documentazione o di altre pertinenze acquisite dal commissario e da questi non rilasciate. 15 Di regola il falso è strumentale alla commissione del peculato: l’alterazione della rappresentazione contabile risulta necessaria nell’ottica di nascondere gli indebiti prelievi effettuati. Gli atti del curatore sono atti pubblici: non è richiesto alcuna specifica volontà né la necessità che dell’atto venga fatto uso. - la concussione (art. 317 cod. pen.) quando, valendosi della sua indubbia posizione di primazia e di immediato rapporto verso l’organo giudiziale, il curatore esplichi minaccia o violenza o fraudolenta induzione verso il fallito o qualsiasi altro terzo, al fine di raggiungere un interesse del tutto estraneo alla procedura: ipotesi più frequente di quanto si creda, sia per la cospicua dotazione di ricchezza che l’economia concorsuale può generare sia per le occasioni di discrezionale potestà decisoria (si pensi ai pareri favorevoli sull’ammissione ad una procedura “minore”, ecc.), di assegnazione di beni (assegnazione di sussidio al fallito, cessione di attività in sede di liquidazione dell’attivo) o di capacità di omettere un detrimento (dovuto) ai terzi (segnalazione di condotte irregolari in ambito di relazione fallimentare, esperimento di azione di responsabilità, riscossione di credito, conclusione di transazione, esperimento di azione revocatoria, di simulazione, ecc.). 69 - la corruzione nelle sue varie forme (art. 318/321 cod. pen.) in relazione all’atto di ufficio o contrario ai doveri di ufficio, segnalando che non soltanto il denaro è veicolo del delitto, ma qualsiasi utilità e che la consumazione dell’illecito si riscontra non già alla consegna o procacciamento del beneficio, ma anche alla semplice promessa. - il peculato (art. 314 cod. pen.) per l'appropriazione di cose o beni (aventi rilevanza economica: per es. per prelievi da cespiti concorsuali, privi di giustificabilità per l’interesse della procedura 70) di cui ha disponibilità per il suo incarico: figura che si pone come successiva (e di gran lunga più severa) della violazione dell’art. 230 l. fall., riscontrabile nei casi di trattenimento breve e non venato da diretto tornaconto patrimoniale. Non deve trascurarsi che l’art. 314 cod. pen. punisce anche il cd. peculato d'uso: di qui il forte rischio di incriminazione per il curatore che utilizzi, per uno scopo esclusivamente personale, beni e strumenti dell’impresa fallita. 71 - il delitto di rifiuto di atti di ufficio, soprattutto nella forma del compimento in ritardo degli stessi e nella ipotesi più semplificata dell’art. 328 cod. pen., quella contemplata al 1° comma, poiché – salvo sporadiche eccezioni - le incombenze delegate al curatore sono connotate da "ragioni di giustizia". 72 Un’ipotesi tipica di questa responsabilità è la mancata o tardiva redazione della Relazione ex art. 33 l. fall. 73 (o gli equipollenti di cui all'art. 28 D. L.vo 270/99 e, per il commissario straordinario 74, dal richiamo generale della disciplina della liquidazione coatta amministrativa l’art. 36 D. L.vo cit. in relazione all'art. 203 l. 69 Cfr. sui rapporti tra questa ipotesi e le norme penal/fallimentari, Cass. 10.3.95, Ovigo, cit. Cfr. Cass. Sez. VI, 28.4.97, Ferri, la quale esclude l’esistenza di un pregiudiziale giudizio di rendiconto. 71 In questo ambito si assiste a letture di estremo rigore formalistico della SC. che, recentemente, ha rammentato come anche l’uso del telefono del pubblico ufficio da parte del pubblico ufficiale può rappresentare una condotta peculativa. 72 E tanto è possibile affermare in seno alle procedure di amministrazione, anche per quelle non strettamente ancorate alla vigilanza giurisdizionale, bensì amministrativa. Invero, non è possibile scindere - nel contesto della funzione esecutiva del commissario - i profili dell'uno o dell'altro versante in seno all'amministrazione straordinaria, dipendendo le ragione della tutela dei diritti soggettivi dal corretto adempimento anche di mansioni di ordine amministrativo. 73 La relazione è lo strumento tradizionale di interlocuzione con il procedimento. Nulla vieta, tuttavia, che il Curatore, già prima della scadenza dell'art. 33 l. fall. o successivamente al deposito della relazione, trasmetta al PM. ulteriori annotazioni derivati dai suoi accertamenti. Sono assimilabili alla Relazione ex art. 33 l. fall. le Relazioni proprie delle procedure “minori” o liquidatorie: cfr. artt. 172, 192, 203 (quest’ultima destinata direttamente al PM.), 205, ecc. 74 E’ da segnalare che questa relazione è modellata come atto avente diretto interlocutore nel Pubblico Ministero e non il giudice delegato, come - invece – le relazioni assimilabili a quella del curatore. Altri incombenti di tutto rilievo – la cui omissione può assumere coloritura penale - sono la redazione del programma portante le linee a cui attenersi nella fase del risanamento o conservazione (con specificazione delle modalità di copertura del fabbisogni finanziario, art. 56, lett. d), D. L.vo 270/99, o liquidazione/dismissione), di cui agli artt. 55/56 D. L.vo 270/99, per cui gravano pressanti termini dell'art. 54 D. L.vo 270/99. Ed, infine, la presentazione di nuovo programma in caso di diniego o mancata concessione dell'autorizzazione da parte della Commissione europea (art. 58, 2° e 3° comma, D. L.vo 270/99). 70 16 fall. ) 75 La comune lettura dell'art. 33 l. fall. intende il termine di deposito (gg. 30) come ordinatorio, scadenza certamente troppo breve per consentire una completa e motivata disamina di cause e responsabilità nel dissesto. Al contempo, l’applicazione dell’art. 328 cod. pen. non può dispiegarsi in guisa meccanicistica e sanzionatoria della disposizione fallimentare, bensì deve riallacciarsi all'indebito ed ingiustificato ritardo, giudizio che presuppone una valutazione concreta e dipendenti da parecchie circostanze di fatto. la violazione dell’art. 323 cod. pen., in un’area sicuramente risicata, per la presenza dello specifico art. 228 l. fall., residua – purtuttavia – l’ipotesi di questa generale fattispecie di abuso. Tutte le volte in cui la condotta non sfoci in un’utilità di tipo personale e si risolva, per es. in una mera vessazione dell’interesse altrui, può intravedersi l’applicabilità della norma penale. la violazione dell’art. 361 cod. pen. Sempre per la sua qualità di pubblico ufficiale il curatore ha il dovere di informativa verso l’AG. penale per ogni illecito riscontrato. La specifica ipotesi criminosa, quindi, concorre con quella dell’art. 328 cod. pen., quando all’omissione della relazione si accompagni la doverosa notizia di reati dal curatore accertati ma da questi non portati a conoscenza dell’AG. (sia il giudice fallimentare sia direttamente al PM.) 76 4) Il ruolo del Curatore/Commissario nel procedimento /processo penale. La funzione istruttoria. Ho già detto che la prassi vede l’indagine sui reati fallimentari 77 originata dalle segnalazioni della Relazione del Curatore, disciplinata dall’art. 33 l. fall. E’ assai raro che la PG. avvii autonomamente un procedimento per questi reati: tanto può accadere per violazioni di tipo tributario, ovvero per reati patrimoniali a cui segua o sia, comunque, nota la pendenza di procedura concorsuale. Quindi, la relazione rappresenta – per lo più – il primo atto procedimentale che lega il ruolo del Curatore alla vicenda penale (art. 33 l. fall.), anche se essa è istituzionalmente indirizzata al Giudice Delegato e non al PM. (a cui è trasmesso in copia però tramite la Cancelleria del Tribunale). Dunque, sul Curatore grava l’obbligo di assumere informazioni sulle cause del dissesto, sulla responsabilità dei suoi protagonisti, interni ed esterni all’impresa e su quant’altro può interessare alla prova di illeciti penali. Questo “quant’altro” può essere qualsiasi altro illecito di natura penale ascrivibile non soltanto ai soggetti dell’organismo caduto in fallimento, ma a qualsiasi terzo. La collocazione istituzionale e la potestà cognitiva. La qualifica pubblicistica non influisce sul peso della prova proveniente dal Curatore in sede dibattimentale. Pur richiamata la decisiva importanza del ruolo del curatore in seno all’inizio del procedimento penale, occorre chiaramente precisare che (secondo orientamento del tutto prevalente) egli non è organo di Polizia Giudiziaria. Quindi: non esiste rapporto gerarchico tra PM. e Curatore nella fase antecedente o contemporanea al dibattimento non è possibile delega di indagine ex art. 370 Cpp. Conseguentemente non è possibile una “delega” di indagine o di assunzione di mezzi di prova (es. sequestro documentale presso banche o altri uffici). All’obbligo di assumere informazioni e di riferire in relazione, documento che secondo giurisprudenza consolidata può acquisirsi al cd. “fascicolo per il dibattimento” ex art. 431 cpp. 78 corrisponde una forte ed inconsueta dotazione di potestà cognitive in capo al Curatore. 75 La legge fallimentare ha circondato questa informazione di connotazioni dettagliate nel contenuto descrivendola come comunicazione “particolareggiata sulle cause e circostanze del fallimento, sulla diligenza spiegata dal fallito nell’esercizio dell’impresa, sul tenore della vita privata di lui e della famiglia, sulla responsabilità del fallito e di altri e su quanto può interessare anche ai fini dell’istruttoria penale” (art. 33 comma 1 l. fall.) Per i casi di fallimento di società, l’ambito della relazione si estende “ai fatti accertati e le informazioni raccolte intorno alla responsabilità degli amministratori, dei sindaci, dei soci ed eventualmente di estranei alla società” (art. 33 comma 3 l. fall.) 76 Non deve sfuggire che ad alcune fattispecie, descritte dagli artt. 24, 25, 25 bis e 25 ter del D. Lvo 366/01, è connessa la responsabilità amministrativa dell’ente. 77 Lo stesso può dirsi anche per le ipotesi di bancarotta propria, ovvero – in ambito di bancarotta impropria - in relazione alla violazione degli art. 2621/2622 cod. civ. (o di qualsiasi ltra fattispecie richiamata dall’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall.,) 17 Il Curatore risulta dotato dalla legislazione fallimentare, di incomparabili poteri di accertamento della verità. Invero: 1) nei rapporti con il fallito (o soggetti equiparati): Il Curatore - prima dell'avvio del procedimento verso un soggetto di indagine determinato - agisce in una fase pre-procedimentale. Libero, dunque, dalle regole di garanzia proprie del procedimento/processo penale 79 senza necessità di informazione di garanzia; nè ha l'obbligo di facoltizzare il soggetto di indagato dall'astenersi dal rispondere. Le dichiarazioni così assunte hanno piena valenza processuale. Non si applica, infatti, l'art. 62 Cpp. poichè, come ho già osservato, al momento della dichiarazione, il soggetto non era ancora inquisito. 80 Dunque: l’esame testimoniale del Curatore può vertere su quanto riferitogli dal fallito o da altro soggetto imputato, prima dell’avvio della fase procedimentale. 81 - Ex art. 49/146 l. fall. (come il GD.) ha diritto alla citazione del fallito ogni qual volta necessaria, per interpello dello stesso, ed ha pretesa di comparizione penalmente sanzionata ex art. 220/226 l. fall., senza obbligo di previa contestazione. Sul punto la riforma ha apportato qualche modifica, che tuttavia non altera il senso del discorso. 82 - Ex art. 216 comma 1 n. 1 l. fall. ha diritto di verità sulla consistenza del patrimonio (in sede di inventario), sulla destinazione dei beni, sui movimenti che hanno contrassegnato la perdita della ricchezza, diversamente il fallito (o soggetto equiparato) commetterebbe il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. La norma processuale di riferimento è l’art. 234 cpp. Cfr. Cass., Sez. V, 7.7.1998, Marcimino, Cass. pen., 1999, 2890; Cass., Sez. V, 193.1997, Zoia, Cass. pen., 1998, 2998; Cass., Sez. V, 21.9.1992, Bolamperti, Cass. pen., 1993, 391 79 Conclusione asseverata dalla giurisprudenza della C. Cost. 27.4.1995, Marani, Dir pen. e proc. pen., 1995, 712. Sul punto cfr. BARTOLO, La relazione e la testimonianza del curatore, ecc., in Giur. Cost. 1995, 4473; Di Co’, Utilizzabilità delle dichiarazioni “contra se” rese dal fallito, in Il Fallimento, 1996, 14 e ss. SCAPARONE, Obbligo di autoincriminazione del fallito, Giur. cost. 1995, 2182 e ss. 80 Circostanza attestata da Corte Cost. 27.4.1995 n. 1\36 che, fra l’altro così motiva: ”è sicuramente da escludersi che le dichiarazioni destinate al curatore possano considerarsi rese nel corso del procedimento penale, non potendo certo sostenersi che la procedura fallimentare sia preordinata alla verifica di una “notitia criminis”. Il rilievo è importante anche per la sua estensione processuale: sicuramente le annotazioni redatte e firmate dal fallito e dirette al Curatore (prima dell’avvìo del procedimento) non possono essere considerate atti richiesti all’inquisito, bensì documenti provenienti dall’imputato, sempre utilizzabili ex art. 237 cpp. 81 Anche se questa situazione del rapporto Curatore/fallito (o terzo, di poi inquisito) non è regolamentata nel nostro sistema, risulta assai delicata la situazione che viene a crearsi dopo l’inizio del procedimento (ovviamente per quell’addebito e verso quel determinato inquisito). Ho, in altri termini, qualche dubbio che siano valutabili come rese al di fuori del procedimento (condizione che legittima la deroga all’art. 62 cpp.) confessioni ed ammissioni dell’imputato/indiziato, dopo quel momento, Invero, il dovere del Curatore di riferire all’AG. su ogni illecito penale riscontrato rende costui uno implicito collegamento potenziale con l’attività di raccolta delle prove propria del PM. e la dinamica accusatoria. Tutto ciò non esclude la rilevanza probatoria di fatti commessi “in itinere” dal fallito e di cui il Curatore non ebbe iniziale contezza: si pensi al colpevole silenzio del fallito su beni di cui egli avrebbe dovuto fornire notizia a tempo debito, dando così vita alla fattispecie della bancarotta fraudolenta post-fallimentare (descritta dall’art. 216 comma 2 l. fall, ipotesi ben distinta da quella regolata dall’art. 216 comma 1 l.fall.) 82 Ecco il testo del nuovo art. 49 “Art. 49. Obblighi del fallito. L’imprenditore del quale sia stato dichiarato il fallimento, nonché gli amministratori o i liquidatori di società o enti soggetti alla procedura di fallimento sono tenuti a comunicare al curatore ogni cambiamento della propria residenza o del proprio domicilio. Se occorrono informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura, i soggetti di cui al primo comma devono presentarsi personalmente al giudice delegato, al curatore o al comitato dei creditori. In caso di legittimo impedimento o di altro giustificato motivo, il giudice può autorizzare l’imprenditore o il legale rappresentante della società o enti soggetti alla procedura di fallimento a comparire per mezzo di mandatario.” 78 18 - Ex art. 216 pp. n. 2 l. fall. ha diritto di verità sui movimenti finanziari espressi in contabilità (o occultati nella stessa) (cfr. anche art. 87 e 16 n. 3 l. fall.): diversamente il fallito (o soggetto equiparato) commetterebbe il delitto di bancarotta fraudolenta documentale. 19 2) nel contesto della ricerca di mezzi di prova: 83 a) Ex art. 84 84, 87 85, 88 l. fall. (come il GD.) ha un generico potere di "sequestrazione" uguale ad una perquisizione diffusa sia sui beni sia sulla documentazione: non necessità di motivazione ed ha estensione illimitata; b) Ex art. 48 l. fall. 86 egli è naturale destinatario, a ciò essendo obbligati il debitore o i rappresentanti della fallita società, a consegnare la corrispondenza. Oper questa via può ricevere notizia, senza necessità di sequestro o altro atto processuale, della corrispondenza: viene a conoscere, così, dell'esistenza di: 83 Seguendo la terminologia ormai acquisita dalle prassi anglosassoni, su queste figure cfr. CARPONI SCHITTAR, Modi dell’esame e del controesame, Giuffrè, 2001, pag. 187 e ss. può affermarsi che il Curatore/Commissario è testimone “esperto” e non testimone “laico”. Per il compendio di informazioni che egli può acquisire e per lo spessore del ruolo di tramite tra la vicenda concorsuale, il Curatore è testimone fondamentale nel processo. Ma la regola vuole che il Curatore – un professionista “prestato” all’ufficio pubblico – sia un esperto nel settore commercialistico e contabile e la sua dichiarazione non sia soltanto una attestazione di verità storica, ma contenga anche un giudizio tecnico. Vale a dire una persona a cui non chiedere soltanto su “quel che è” ma quel che si ritiene tecnicamente patologico, discosto dalla tecnica o dalla scienza “lato sensu” ragionieristica. La giurisprudenza si è occupata del “teste esperto”, figura che sta a cavallo del Consulente/Perito e del testimone. ed ha affermato: “il divieto di esprimere apprezzamenti personali, posto dall’art. 194 cpp. non vale qualora il testimone sia una persona particolarmente qualificata per speciale preparazione professionale e che sia interrogata su fatti caduti sotto la sua percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e particolare attività, giacchè – in tal caso – l’apprezzamento diventa inscindibile dal fatto” Cass. 12.12.1995, Vezzolo, Cass. pen., 1997, 2206). “il divieto non può dirsi violato quando la deposizione non investa soltanto i fatti materiali dal teste accertati ed inerente alla sua particolare attività, ma anche le considerazioni che da quei fatti direttamente scaturiscono, giacchè – in tal caso – l’apprezzamento diventa inscindibile dal fatto per l’ovvia riflessione che il fatto stesso è stato percepito dal teste sotto un particolare angolo visuale” Cass. Sez. 3 26.,1.1984, Del Vivo; Cass. Sez. 5, 29.11.1990, Nagae. 84 Questo il testo della norma portato dalla riforma della legge fallimentare: “84. Dei sigilli. Dichiarato il fallimento, il curatore procede, secondo le norme stabilite dal codice di procedura civile, all’apposizione dei sigilli sui beni che si trovano nella sede principale dell’impresa e sugli altri beni del debitore. Il curatore può richiedere l’assistenza della forza pubblica. Se i beni o le cose si trovano in più luoghi e non è agevole l’immediato completamento delle operazioni, l’apposizione dei sigilli può essere delegata a uno o più coadiutori designati dal giudice delegato. Per i beni e le cose sulle quali non è possibile apporre i sigilli si procede a norma dell’articolo 758 del codice di procedura civile.”. 85 Questo il testo della norma portato dalla riforma della legge fallimentare: “87. Inventario. Il curatore, rimossi i sigilli, redige l’inventario nel più breve termine possibile secondo le norme stabilite dal codice di procedura civile, presenti o avvisati il fallito e il comitato dei creditori, se nominato, formando, con l’assistenza del cancelliere, processo verbale delle attività compiute. Possono intervenire i creditori. Il curatore, quando occorre, nomina uno stimatore. Prima di chiudere l'inventario il curatore invita il fallito o, se si tratta di società, gli amministratori a dichiarare se hanno notizia che esistano altre attività da comprendere nell'inventario, avvertendoli delle pene stabilite dall'articolo 220 in caso di falsa o omessa dichiarazione. L'inventario è redatto in doppio originale e sottoscritto da tutti gli intervenuti. Uno degli originali deve essere depositato nella cancelleria del tribunale.”. Ad esso è stato aggiunto: “87 bis. Inventario su altri beni. - In deroga a quanto previsto dagli articoli 52 e 103, i beni mobili sui quali i terzi vantano diritti reali o personali chiaramente riconoscibili possono essere restituiti con decreto del giudice delegato su istanza della parte interessata e con il consenso del curatore e del comitato dei creditori, anche provvisoriamente nominato. I beni di cui al primo comma possono non essere inclusi nell’inventario. Sono inventariati i beni di proprietà del fallito per i quali il terzo detentore ha diritto di rimanere nel godimento in virtù di un titolo negoziale opponibile al curatore. Tali beni non sono soggetti alla presa in consegna a norma dell’articolo 88.”. 20 - rapporti bancari - utenze domestiche (spie di cespiti immobiliari o d'impresa - cartelle esattoriali, atti di contenzioso in atto (con indicazione di eventuali crediti in atto, di cespiti immobiliari, di convenzioni in atto) c) Ex art. 42 e 72 l. fall. il Curatore succede nei contratti in atto del fallito: ne prende conoscenza, con pretesa di acquisizione documentale (anche all'estero) 87. Norma modificata dalla riforma. Ecco il testo: “Art. 48. Corrispondenza diretta al fallito. L’imprenditore del quale sia stato dichiarato il fallimento, nonché gli amministratori o i liquidatori di società o enti soggetti alla procedura di fallimento sono tenuti a consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento.”. 87 La situazione determina una agevolazione notevole in tema di rapporto bancario: il Curatore può pretendere la documentazione del c/c intestata al fallito, senza necessità di provvedimento formale. Anche per i conti esteri non occorre richiesta con rogatoria estera. Vi è contestazione se egli possa ottenere la copia portante la girata di terzi sui titoli rilasciati dal fallito. Il comportamento delle banche non è univoco al riguardo. 86 21 Parte III°. La BANCAROTTA 1) Premessa: introduzione generale. Richiamando anche quanto detto all’inizio, la figura della bancarotta comprende diversi casi, tra loro molto diversi, accomunati dal fatto di connettersi ad una procedura concorsuale. Può schematicamente distinguersi: 1) rispetto alla dichiarazione di fallimento (o di altra procedura): pre-fallimentare: se l’atto precede la dichiarazione post-fallimentare: se l’atto la segue 88. 2) rispetto al tipo di condotta: fraudolenta : patrimoniale: i casi previsti dall’art. 216 pp. n. 1 l. fall. documentale: i casi previsti dall’art. 216 pp. n. 2 l. fall. preferenziale: art. 216 comma 4 l. fall. semplice: si tratta dei diversi casi dell’art. 217 l. fall. 3) rispetto al soggetto caduto in procedura: propria: se a fallire è l’imprenditore individuale (art. 216, ovvero i casi dell’art. 222 l. fall.) “fatti di bancarotta” e impropria se a fallire è una società (detta anche “bancarotta societaria”), ovvero un institore (art. 223, ed art. 227 l. fall.): figura che ingloba in sé le ipotesi di bancarotta propria, annoverando ulteriori fattispecie. 2) I soggetti attivi e l’amministratore (o altro organo) “di fatto”. La bancarotta è reato “proprio” descrivendo l’autore del fatto con specifiche condizioni soggettive: circostanza assai importante perché sovente (specialmente per la bancarotta propria) la gran parte delle condotte sarebbero lecite ove facesse difetto la qualità prevista. Si tratta, innanzitutto, dell’imprenditore commerciale. Inoltre, in seno alla bancarotta impropria, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci, i liquidatori e l’institore. Per la determinazione del contenuto delle categorie normative (imprenditore “non piccolo”, non agricolo,89 amministratore, ecc.) si rinvia alla disciplina commercialistica. 90 88 Come meglio dirò, a proposito della bancarotta fraudolenta documentale, non vi è perfetta parificazione tra la figura pre e post-fallimentare. Infatti, per quanto attiene la bancarotta fraudolenta documentale post-fallimentare, la lettera della norma art. 216 comma 4 l. fall.) precisa che rilevano soltanto le condotte di distruzione sottrazione e falsificazione del corredo contabile. Delimitazione ovvia, avendo l’impresa perso ogni attività effettiva in capo al suo gestore (casomai, per l’esercizio provvisorio provvederà il curatore, con gli obblighi documentativi suoi propri) e l’imprenditore perso ogni potestà annotativa. Cfr. sul punto anche Cass., Sez. VI, 13.1.1994, D’Episcopio, Cass. pen., 1996, 938. 89 Sulla nozione di imprenditore assoggettabile alla disciplina concorsuale e, dunque, soggetto attivo dei delitti qui esaminati, vi è ampia letteratura: cfr. tra gli altri, GALGANO, Diritto commerciale, l’imprenditore, Milano, 1982; FERRARA Jr., Gli imprenditori e le società, Milano, 1975, SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma, 1957; COTTINO, Diritto commerciale, I, Padova, 1976, 113; PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 38; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 47 e ss., ecc. 90 Sul punto è intervenuta la nuova definizione nella riforma del diritto fallimentare: Ecco iol nuovo testo dell’art. 1 della legge fall. 1. L’articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, è sostituito dal seguente: “Art. 1. Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo. Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori. Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un’attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente: a) hanno effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila; b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila. I limiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di riferimento.” 22 Chiaramente questa qualifica esiste ed è affermata ancorché non vi sia formale iscrizione al registro delle imprese (si tratta, in tal caso, di accertare in fatto gli profili gestorî) ed anche al di là della gestione patologica dell’impresa: così l’imprenditore che sistematicamente conduca la propria attività per finalità esterne a leciti interessi commerciali, non perde la detta qualità. 91 Sotto l’egida del concorso di persone può risolversi la considerazione dei comportamenti di collaborazione con l’imprenditore (o dell’organo societario). Interessa, in particolare, che uno dei compartecipi rivesta la qualità “propria” perché per tutti sia ipotizzabile (ricorrendo i presupposti di fatto) la responsabilità ex art. 110 cod. pen. (ricorrendo tutti i presupposti per poter affermare la sua applicazione). 92 La figura di reato non determina eccezioni alle normali regole del concorso: sì che la penale responsabillità può esser affermata anche quando per taluno degli artefici si rinvenga la partecipazione ad un solo segmento dell’azione.93 Diversa, invece, la disciplina relativa al cd. “amministratore di fatto” il quale non risponde in quanto concorrente con altro soggetto qualificato, ma “ex se” quale persona che acquisisce i requisiti descritti dal legislatore. 94 La relativa disciplina (sino ad ora oggetto di incertezza dottrinaria ed affidata alla lettura della giurisprudenza che riceveva la rilevanza in ambito penalistico 95) dovrebbe ispirarsi all’art. 2639 cod. civ., come novellato dal D. L.vo 61/02: il condizionale si giustifica per il fatto che la norma attiene alle fattispecie penal/societarie e potrebbe sostenersi l’inapplicabilità di letture analogiche, fuori dal contesto proprio.96 Tuttavia, tenendo presente, che la disposizione deriva da un’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza e che essa non statuisce momenti nuovi di incriminazione, essa mantiene la sua vigenza come criterio 91 Così CONTI, cit., pag. 21; Cass., Sez. V, 10.12.1985, Menzione, in Fallimento, 1986, 686; Cass., Sez. V, 12.2.1980, Ario, Giust. pen., 1980, II, 649, ecc.) 92 Cfr. Cass. Sez. V, 21.6.197, Calzamatta, Mass. Cass. Pen, 1972; Cass. Sez. V, 20.12.1996, Sessegolo, Cass. Pen., 1999, 650 (la quale ha ritenuto la responsabilità dell’impiegato che ebbe a predisporre un c/c bancario, non annotato nella contabilità ufficiale, sul quale erano versate le somme di poi distratte dall’imprenditore); Cass., Sez, V, 13.1.1994, D’Episcopo, Cass. Pen., 1996, 938 (in cui il concorrente era il Curatore), ecc. Sui rapporti tra la disciplina dell’art. 110 cod. pen. e quella dell’art. 117 cod. pen., cfr. Cass. Sez. V, 21.1.1998, Cusani, Guida al dir., 1998, 85 (l’art. 110 cp. trova applicazione quando in capo all’estraneo vi sia consapevolezza della qualifica “propria”; diversamente vale la disciplina dell’art. 117 cod. pen.). Sulla possibilità del concorso del professionista dell’imprenditore dichiarato fallito, cfr. Cass. Sez. V, 22.10.1986, Sonson, Cass. Pen., 1988, 927 ; Cass. Sez. V, 25.5.1987, Bevilacqua, Cass. Pen., 1988, 1539, ecc. Più delicata la posizione del legale del fallito il quale non è responsabile per non aver dissuaso il cliente dal commettere condotte illecite, ovvero che si sia limitato ad esporre in via astratta i tratti della illiceità della condotta, cfr. Cass., Sez. V, 17.10.1958, Ferro, Giust. Pen., 1959, II, 191; diversamente se egli assista il cliente nella esplicazione di atti strumento della illecita condotta (es. negozi simulati), cfr. Cass., Sez. V, 3.12.1998, Minieri, Fisco, 1999, 1537. 93 Cfr. Cass., Sez. V, 18.5.2000, Patrucco, 8984, che ha affermato la responsabilità per consapevole omesso (doveroso) controllo su operazioni distrattive da parte di chi aveva rivestito la carica sindacale nel corso dell’esercizio precedente alla conclusione della manovra. 94 Cass, Sez. V, 10.12.1999, Sgro, Guida Dir., 6/2000, 81; Cass. Sez. V, 28.11.1996, PM/Azzolini, Guida Dir., 8/98, 78; Cass. Sez. V, 14-487, Fioretto, Giust., pen., 1988, II, 158, ecc. 95 In dottrina ALESSANDRI, in AA. VV., Parte Generale, Manuale di diritto penale dell’impresa, 1998, 53; BONELLI, La responsabilità penale dell’amministratore di fatto, Giur. Comm., 1984, 107; ZAMBELLI, La responsabilità penale a titolo di bancarotta fraudolenta dell’amministratore di fatto, ecc, Riv. Trim. Dir. pen. ec., 1997, 941 e ss. ; ANTOLISEI, cit., 53; ROSSI VANNINI, La responsabilità di amministratori e di sindaci, Trattato dir. commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 1994, 317 e ss;; CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 233 e ss.; CONTI, I reati Fallimentari, Utet, 1991, 206 e ss., ecc. In giurisprudenza, Cass. Sez. V, 13.8.98, Cass. Pen., 2001, 1622; Cass., Sez. V, 22.4.98, Galimberti, Cass. Pen., 2000, pag. 3451; Cass. Sez. V, Ferrara, 10.10.1996, Guida Dir., 8/97, 78, ecc. 96 Il commento alla norma è in A. ROSSI VANNINI, L’estensione delle qualifiche soggettive, inedito; O. DI GIOVINE, L’estensione delle qualifiche soggettive, in I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di GIARDA e SEMINARA, Padova, 2002. Per la dottrina, prima della riforma penal/societaria, cfr. ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Giuffré, 1993, 39; CONTI, I reati fallimentari, Utet, 1991, p. 40 (nota); PEDRAZZI/ SGUBBI, Reaticommessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, pag. 40; CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 26 e ss., ecc. 23 ermeneutico, anche per ipotesi esterne alla riforma dei reati societari. 97 In sostanza, il referente è il novero delle disposizioni civilistiche che qualificano la figura dell’amministratore di società, nell’espressione dei suoi poteri direttivi ed organizzativi 98 ovvero colui verso il quale i terzi, per il principio di effettività (e di apparenza), ripongono affidamento.99 Ovviamente il soggetto non qualificato, sia esso estraneo all’impresa, sia amministratore di fatto, per essere ritenuto responsabile deve risultare artefice di un apporto causale verso il risultato della diminuzione della garanzia creditoria 100 e deve giovarsi di una completa rappresentazione del connotato illecito della condotta. Dunque, deve risultare informato dell’antigiuridicità dell’atto, ancorchè non formalmente titolare di potere di gestione. 101 Per converso, anche il formale titolare della gestione, ma privo di reali poteri e non esecutore materiale del fatto (il cd. “presta-nome” o “testa di legno”) può considerarsi còrreo dell’illecito posto in essere dal gestore non qualificato, ma senza alcuna presunzione di responsabilità, ed a patto della prova di una sua rappresentazione dell’atto o, almeno, del contesto che consente la realizzazione dell’atto anti-doveroso. In sostanza egli dovrebbe comunque rispondere per la rappresentazione dell’eventualità di illeciti, quando gli sia noto che, al di sotto dell’accordo di assegnazione del ruolo di fittizio gestore, vi sia un piano di violazione della norma penale: l’accettazione della carica è accettazione del rischio di cooperazione nel piano illecito. Egli dovrebbe attivarsi per l’interruzione o il mancato avvìo del programma criminoso: la inerzia si tramuta in responsabilità penale, al titolo di dolo eventuale. 102 Occorre - è ovvio – la prova non di una generale (e sostanzialmente supposta) prova sulla conoscenza degli atti specifici posti in essere dall’amministratore di fatto, ma una qualche rappresentazione o dell’illiceità del singolo atto, ovvero la rappresentazione che l’interposizione fittizia miri ad 97 Invero, sulla premessa che essa in nulla innova a quanto già ritenuto dalla giurisprudenza in tema di amministratore di fatto, Cass. Sez. V, 5.6.2003, Gori, n. 36630, ha segnalato l’autonomia della previsione rispetto alla materia penal/fallimentare. 98 Cfr. Cass., Sez. V, 26.7.2004, Boccaletti ed altro, n. 32465, in Guida al Diritto, 2004, n. 36, pag. 64, decisione che segnala come la valutazione in fatto, se correttamente motivata, è insindacabile dalla SC. 99 Cass., Sez. V, 13.8.1998, Platania, Cass. pen., 2001, 1622. 100 E’ questo aspetto oggettivo che è sotteso, anche se non chiaramente evidenziato, nelle massime della SC. che qualificano come correo nel delitto in discorso il terzo che riceva regalìe (non indifferenti) dall’imprenditore che egli sa dissestato. Cfr. ad es. Cass. Sez. V, 22.4.2004, Bertuccio, n. 23675, in Guida al Diritto, 2004, 26/75. Pare a chi scrive pur sempre necessario dimostrare una qualche istigazione alla erogazione del donativo, finendo – altrimenti – questa lettura con il confondere la bancarotta fraudolenta patrimoniale con la ricettazione di cui all’art. 648 cod.pen. 101 Occorre, cioè, che l’”extraneus”, secondo i canoni del diritto penale, abbia fornito un contributo causale alla produzione dell’evento, ed abbia agito con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore di poi fallito. In Dottrina cfr. ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Giuffré, 1993, 161 e ss. PEDRAZZI/SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 82 e ss.; CONTI, I reati fallimentari, Giuffé, 1993, 161 e ss., ecc. In Giurisprudenza, Cfr. Cass. Sez. V, 25.2.1999, Francina, Cass. pen., 2001, 290 e ss.; Cass., Sez. V, 25.5.1999, Bortoletti, Cass. pen., 2001, 1334; Cass. Sez. V, 27.2.1992, Capriolo, Cass. pen., 1993, 1560; Cass., Sez. V, 10.7.1984, Canepari, Cass. pen., 1986, 1389, ecc. Tra i requisiti dell’elemento soggettivo la giurisprudenza ha talora richiesto la consapevolezza della qualifica soggettiva dell’autore proprio del reato, cfr. Cass., Sez. V, 19.12.1988, Bevilacqua, Cass. pen., 1988, 1529; Cass., Sez. V, 18.4.1985, Brioschi, Giur. It. 1987, II,408. Circa la rappresentazione della destinazione delle somme per scopi esterni all’interesse di impresa (ancorché non sia esatta la raffigurazione dell’impiego ad esse dato) cfr. Cass., Sez. V 23.10.1998, Seessegolo, Cass. pen., 1999, 650. La giurisprudenza (Cass., Sez. V, 19.2.2003, Leoni) ha escluso che vi sia violazione ex art. 521 cpp. del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui sia affermata la responsabilità di un soggetto quale concorrente esterno, anzichè quale amministratore di fatto come originariamente contestatogli (purchè ovviamente non sia immutata l’azione distrattiva ascritta). 102 Cass. Sez. V, 14.6.2004, Soppracone, n. 26628, in Guida al Diritto, 2004, n. 35 pag. 7; Cass. pen., Sez. V, 1.9.1999, Murra, in Cass. pen., 2000, 1784; ecc.Cass. pen., Sez. V, 5.2.1998, Riccieri, Cass. pen., 1998, pag. 3415 (con motivazione); Cass. pen., Sez. V, 25.3.1997, Cass. pen., 1998, pag. 1781, ecc. 24 uno scopo illecito 103. Situazione che si ritiene presente nell’assecondare consapevolmente il generico disegno fraudolento da parte di chi non a avrebbe possibilità (es. perché notoriamente inaffidabile al credito) o legittimazione (perché colpito da sanzione penale accessoria) e che, grazie all’altrui interposizione fittizia, presenta un volto apparentemente rassicurante e potenzialmente foriero di raggiro.104. Al contrario, per quanto trae la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, il giudizio di responsabilità è più diretto e severo, posto l’immediato obbligo dell’amministratore di diritto alla tenuta e conservazione delle scritture di impresa. 105 3) Bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216 comma 1 n. 1, 223 comma 1 l. fall.) 3a) La condotta e l’interesse tutelato. La bancarotta è reato avente per oggetto la diminuzione delle garanzie dei creditori 106 ed è questo, secondo la prevalente opinione, il bene giuridico tutelato dalla norma penale. 107 Lesione che può realizzarsi con diverse modalità, articolatamente tipicizzate dal legislatore. 108 Secondo l’opinione diffusa questa diminuzione della garanzia patrimoniale può qualificarsi come evento della condotta criminosa. 109 Bancarotta fraudolenta pre-fallimentare (art. 216 comma 1 n. 1, 223 comma 1 l. fall.): "Ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti" E’ dato ribadito dalla dottrina e dalla giurisprudenza che la pluralità delle azioni descritte come distrazione, distruzione, dissimulazione, dissipazione, occultamento, avendo lo stessa modalità di tutela dell’interesse, determina una loro fungibilità 110. Si tratta, cioè, di forme penalmente equivalenti e riconducibili 103 Cfr. da ultimo Cass., Sez. 5, 4.6.2004, Squillante, n. 28007, in Guida al Diritto, 2004, n. 30 pag. 101; Cass., Sez. V., 29.12.1999, Dragomir, Cass. pen., 2000, 3124; Cass., Sez. V, 27.6.1997, D’Ambrosio,Cass. pen., 1998,, 3417, ecc.. 104 Fra le altre cfr. Cass., Sez. V, 1.7.2002, Arienti ed altri, Cass. pen., 2003, 2789; Cass., Sez. V, 12.5.2000, Ragogna, Cass. pen., 2001, 1622; Cass., Sez. 5, 23.5.1997, Baldi, Cass. pen., 1998, 1781; Cass., sez. 5, 17.3.1998, Riccieri, Cass. pen., 1998, 3415. 105 Cass., Sez. 5, 4.6.2004, Squillante, n. 28007, cit. 106 Cfr. tra le molte, Cass., Sez. III, 24.9.1999, Degni, Cass. pen., 2001, 1339 (la quale esclude ogni protezione i tema di fede pubblica); Cass., Sez. V, 6.10.1999, Tassan Din, Riv. trim. dir. pen. ec., 2000, 476; Cass., Sez. V, 18.5.1982, Fabbri, Giust. pen., 1983, II, 571; Cass. sez. V, 14.11.1993, Manco, Cass. Pen., 1995, 1635; Cass., Sez. V, 20.3.1987, Zampolli, Cass. Pen., 1988, 1542, Cass., Sez. V, 20.12.1996, Sessegolo, Cass. pen., 1999, 650, ecc. L’art. 240 l. fall. espressamente li indica quali destinatari della protezione, o per l’intervento del curatore (o del commissario), ovvero “uti singuli”, tant’è che Cass., Sez. V, 3.10.2003, Salvatori ed altro, n. 45713, in Guida al Diritto, 2004, 12, pag. 75, segnala la necessità che l’avviso del PM. che muova istanza di archiviazione ex art. 408 cpp. (qualora l’interessato ne abbia fatto richiesta) spetta ad ogni singolo creditore. 107 Opinione minoritaria, anche se autorevole, è che al delitto sia sotteso l’interesse processuale di una corretta procedura esecutiva, in tal senso NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, Milano, 1955, 18; TAGLIARINI, Disposizioni penali in tema di società e consorzi, Trattato di diritto privato a cura di RESCIGNO, Torino, 1985, 592; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 13 e ss. 108 In Dottrina, tra gli altri, CARRERI, I reati di bancarotta, Giufré, 1993, 1 e ss.; CONTI I reati fallimentari, Utet, 1991, 83 e ss.; PEDRAZZI/SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, pag. 3 e ss., ecc. 109 cfr. PEDRAZZI, reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 67, GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 1991, 177. In giurisprudenza un accenno in tal senso è in Cass., Sez. V, 26.6.1990, Bordoni, Giust. pen., 1991, II, 645; Cass. Sez. V, 20.12.1996, Sessegolo, Cass. Pen., 1999, 650. 110 In Dottrina, tra gli altri, CONTI, Diritto penale commerciale, II, Reati fallimentari, Torino, 1991, 155; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, , II, Milano, 1995, 61, segnalando che l’autore tiene a precisare che si tratta di modalità di una stessa tipologia di lesione all’interesse creditorio, contraddistinta per un risultato di effettivo e definitivo depauperamento (distrazione, occultamento, dissimulazione), ovvero di apparente compressione del patrimonio (distruzione, dissipazione); PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957, 100, BRICCHETTI, Riv. it. dir. proc. pen. 1994, 237, ecc. In giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. V, 6.7.2000, PG. in proc. Oggioni, Cass. pen., 2001, 3532; Cass., Sez. V, 22.4.1999, Cass. pen., 19999, 652; Cass. Sez. V, 15.5.1987, Pari, Cass. pen., 1988, 1541; Cass., Sez. V, 15.10.1979, Bonaffini, Giur. It., 1980, II, 486: 25 all'unico risultato di diminuire la garanzia dei creditori o, il che è lo stesso, sottrarre (in tutto o in parte) all’esecuzione concorsuale il patrimonio del fallito.111 Del resto, risulta assai difficile, talora, individuare elementi peculiarmente tipicizzanti di una piuttosto che di un’altra azione illecita: l’occultamento comporta una distrazione del bene, la dissimulazione è una forma di occultamento, ecc. La risultanza pratica, per la gran parte dei casi, è uguale in termini di sanzione, di lesione all’interesse protetto, di volontà. Tra queste condotte, viene tradizionalmente assegnata – e proprio in un’ottica pragmatica - ad una ipotesi residuale e di chiusura la condotta di distrazione. La bancarotta per distrazione, occultamento, esposizione passività fittizie, è reato di pericolo 112: pertanto, non si richiede - nell’azione del fallito - la dimostrazione di un danno reale ai creditori. Danno che, comunque, non coincide con l’ammontare del passivo 113, bensì con la risultanza della indebita diminuzione dello stesso (o del fittizio incremento del passivo). Danno che può anche appuntarsi ede essere fatto valere ad opera di un solo creditore, purchè – a mente dell’art. 240’ comma 2 l. fall. – si coordini con l’azione collettiva 114. È, comunque, per l’integrazione del delitto, sufficiente la messa in pericolo degli interessi creditorî, senza necessità di un pregiudizio emergente ed irrimediabile. 115 Da questa premessa deriva che non é rilevante, pertanto: - che il fallimento si chiuda (art. 118 n. 1 e 2 l. fall.) per inesistenza di creditori insinuati ovvero per pagamento integrale dei debiti e delle spese. 116 - che, in sede fallimentare, siano recuperati i beni oggetto della condotta illecita sia per l’effetto dell’azione revocatoria, sia per fortunate indagini di curatela che rinvengono cespiti sottratti, sia per condotta del terzo, o anche per la restituzione, in epoca successiva alla Sentenza di fallimento, da parte del fallito. 117 Anche per il versante processuale, qualora sia data sommaria indicazione del fatto concreto, l'inquadramento della contestazione in uno piuttosto che in un altro comportamento non viola la correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 cpp., cfr. Cass., Sez. V, 10.8.2000, PM/Oggioni, Guida Diritto, 35/2000, 58, ecc.). 111 In tal senso la commissione di più atti ricondotti a distinte condotte ex art. 216 pp. n. 1 l. fall. non assurge a pluralità di fatti a mente dell'art. 219 cpv. n. 1 l. fall. e risulta inapplicabile l'aggravante. 112 Per ANTOLISEI, cit., pag. 58, la bancarotta è reato di danno in relazione alle condotte che comportano una diminuzione effettiva del patrimonio (distruzione, dissipazione). Nei casi di diminuzione fittizia è responsabile anche chi pone in essere una condotta illecita, ancorchè non coronata da successo, tesi che per il vero indebitamente svaluta l’importanza di un’apparenza simulatoria, nei confronti degli interessi creditorî (chiaramente ove il bene protetto sia individuato anticipatamente nell’interesse dei creditori alla conservazione della integrità patrimoniale del debitore, anche il mero repentaglio della stessa, come nelle condotte di mera diminuzione fittizia, può essere qualificato di danno, cfr. ad es. Cass., Sez. V, 11.11.1999, Tassan Din, Riv. trim. dir. pen. ec., 2000, 476). La Giurisprudenza ritiene che la bancarotta sia reato di pericolo astratto, concretandosi anche nella mera esposizione al pericolo della lesione del bene protetto, cfr. tra le altre, Cass. Sez. V, 16.2.1994, Freato, Cass. Pen., 1996, 939; Cass. Sez. V, 8.4.1999, Grandi, Guida Diritto, 22/99, 128, ecc. Osserva esattamente BRICCHETTI, I reati Fallimentari, Convegno CSM. 14/16.2.2002, che quando il legislatore ha voluto sottolineare il pericolo della lesione dell’interesse protetto, ha costruito la fattispecie a dolo specifico, fornendo rilevanza soltanto ai comportamenti che siano connotati da una tensione volitiva diretta alla lesione illecita. 113 Cfr. Cass. Sez. V, 12.7.2004, Dal Cin, n. 30326, in Guida al Diritto, 33 p. 80. 114 Cass., Sez. V, 26.11.2003, Salvadori e altro, n. 45713, in Guida al diritto, 2004, 12, pag. 75. 115 Assunto che, tuttavia, non sembra comportare – in seno alla bancarotta pre-fallimentare - il prosieguo della lesione all’interesse protetto oltre la dichiarazione di insolvenza, come sembrerebbe affermare Cass. Sez. V, 26.10.2001, Cannerazzo, n. 44818, che legittima il sequestro preventivo su beni oggetto i distrazione, anche dopo la consumazione del reato. Invero, ogni attività successiva alla sottrazione del cespite all’apprensione della procedura conclusale si profila come “post-factum” penalmente irrilevante (salva la prova specifica che la carenza di possesso cagioni un ulteriore ed autonomo pregiudizio agli interessi creditorî). Sembra che l’assicurazione del bene al processo penale possa attuarsi con il semplice sequestro probatorio, risultando il bene oggetto di bancarotta fraudolenta un corpo del reato. 116 Cfr. da ultimo, Cass., Sez. V, 8.4.1999, Grandi, Guida al Diritto, 22/99, 128. 117 Cfr. Cass., Sez. V, 14.4.1999, Olivieri, in Cass. pen., 2000, pag. 1784; Cass., Sez. V, 1.6.1999, Iannacone, Cass. pen., 2000, pag. 1785; Cass., Sez. V, 17.5.1996, Gennari, Giust. pen., 1997, II, 686; Cass., Sez. V, 16.2.1994, Freato, Cass. pen., 1996, 939; Cass. Sez. V, 7.5.2004, Giacompolli, n. 26 Nella bancarotta pre-fallimentare la consumazione del delitto si assume (dall’opinione dottrinaria prevalente e dalla costante giurisprudenza) coeva alla dichiarazione giudiziale dell’insolvenza dell’imprenditore.118 Ma l’azione illecita precede siffatto momento, dipanandosi – per lo più – parallela alla gestione dell’impresa. Pertanto, si profila come normale nell’esperienza giudiziale la forte sfasatura tra la materiale attuazione dell’atto criminoso e la sua rilevanza penale. Discrasìa che riflette sia sulla qualificazione anti-doverosa del fatto, sia sulla consapevolezza della antigiuridicità da parte del suo autore. In altre parole, sovente quanto è del tutto lecito o – comunque – non vietato dall’ordinamento, si colora di connotazione delittuosa, al titolo di bancarotta (e con quali conseguenze penali!) all’atto della dichiarazione di insolvenza. Per es. la frequentazione di una Casa da Gioco, consentita all’imprenditore in quanto non espressamente vietata anche quando il suo patrimonio si è assottigliato ed il rischio che a pagare le sue perdite al tavolo verde siano, in realtà i suoi creditori, si tramuta nel momento oggettivo della bancarotta per dissipazione, una volta che sia dichiarato il fallimento (ma il fatto tornerebbe indifferente per il sistema penale se le sporti dell’impresa o l’inaspettata generosità di un terzo annullassero il rischio di insolvenza). 119 Di qui qualche delicato profilo di legittimità costituzionale sulla certezza del precetto penale, massimamente se il fatto di censurabile impoverimento dell’asse attivo si collochi molto tempo prima della dichiarazione di insolvenza, quando - per esempio – i prodromi delle difficoltà economiche non si siano ancora materializzati all’orizzonte. Di qui la ricerca da parte della dottrina di forme selettive del dolo che limitino la fattispecie all’effettiva lesione del bene protetto, ovvero alla richiesta di un rapporto causale tra azione e dissesto oppure all’enucleazione di aree temporali prossime al dissesto in seno alle quali, soltanto, può parlarsi di illecito.120 27522, in Guida al Diritto, 2004, n. 32, pag.85, ecc. E’, peraltro, controverso se la restituzione dei beni, prima della dichiarazione di fallimento, sani ed elida l’illiceità della condotta. Al quesito rispondono affermativamente quanti ritengono momento consumativo la dichiarazione di fallimento (CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 100 e ss.; ANTOLISEI, Manuale,. Leggi complementari, Vol. II, 1993, 54; PEDRAZZI/SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca alla legge fall., 1995, 68) Rispondono negativamente quanti considerano l’effettiva consumazione del reato al momento del fatto storico (CONTI, Diritto penale, Vol. II, Reati fallimentari, Utet, 1991, 158; LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, IPSOA, , 1993, 310 e ss.). Una posizione più articolata è in SANTORIELLO I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 86 e ss. che distingue trai casi di bancarotta impropria e di bancarotta propria e sul presupposto che, in ogni caso, vada considerata – caso per caso – l’effettiva diminuzione del patrimonio del debitore. 118 Per richiami dottrinari, v. nota che precede, per la giurisprudenza, da ultimo, cfr. Cass., Sez. V, 19.3.1999, Ballerini, Cass. pen. 2001, 298. 119 Esattamente, a questo proposito, si è rilevato che l’imprenditore è “soggetto a rischio”, nel senso che grava permanentemente sul medesimo l’obbligo della conservazione della garanzia patrimoniale, cfr. BRICCHETTI, Reati fallimentari, Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 261. 120 Per quanto attiene alla ricerca di forme qualificate dell’elemento soggettivo, escluse dalla lettura della SC., v. infra. La ricerca di una concreta offensività dell’atto viene individuata da PEDRAZZI, Reti commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 19954, 14, con l’esatta segnalazione che soltanto la continuità causale tra l’impoverimento dell’asse di impresa ed il riscontro di un effettivo danno alla massa dei creditori (a cui si connetta una adeguata rappresentazione della situazione in capo all’imprenditore) può fondare il giudizio di penale responsabilità (ma con lo svantaggio di affidare ad incerte ed opinabili ricostruzioni contabili detta valutazione). La delimitazione temporale della rilevanza della condotta è teoriche fu avanzata dall’autorevole opinione di NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, 66; ripresa da CASAROLI, Il dolo delle bancarotte fraudolente fra dubbi interpretativi e rigore giurisprudenziale, Studi in memoria di P. Nuvolone, II, Milano, 1991, 307. E’, invece, convincimento ribadito dalla SC. che non esista una “zona di rischio penale”, vale a dire una soglia temporale entro cui le condotte illecite debbano essere commesse, per rilevare in seno alla fattispecie dell’art. 216 l. fall. Problema che, appunto, si pone attesa la possibile distanza tra la commissione dell’atto. Cfr. tra le altre Cass., Sez. 5, 20.3.1981, Selli, n. 2427.; Cass., Sez. 5, 24.4.1987, Ventrella, n. 5073. Proprio nell’ottica di allineare la disciplina alle istanze di stretta legalità e personalità del diritto penale, il testo di riforma della legge fallimentare elaborato dalla Commissione governativa Trevisanato ha ristretto – con espressa previsione idonea a fugare dubbi in merito - il novero dei comportamenti di bancarotta all’epoca di crisi o di concreto pericolo di crisi dell’impresa. 27 Al contempo, al di là di rigide astrazioni 121, bisogna - a mio parere - pur sempre dar conto di un effettivo collegamento dannoso tra l’azione e le ragioni creditorie e dimostrare, dunque, che la perdita (illecita) del bene si sia effettivamente riverberata a loro danno. Tale situazione, a mio avviso, è difficilmente sostenibile per le situazioni in cui, tra l’atto distrattivo e la dichiarazione di fallimento, sia intervenuta una fase di gestione profittevole, tale da aver colmato anche gli eventuali disavanzi cagionati dalle pregresse operazioni foriere di perdita. Anche se è indubbio che, per l’attuale disciplina fallimentare, la situazione dell’imprenditore è certamente quella di un “soggetto a rischio” e, cioè, di persona la cui libertà d’azione è condizionata dal prevalente interesse delle ragioni creditorie sicchè – anche per quanto trae a condotte di scelta gestoria – valgono che vietano eccessi di repentaglio e possibilità di pregiudizio agli interessi di questi terzi. 122 4a) Le singole condotte di fraudolenza patrimoniale: Distruzione 123: É l'annullamento: - fisico del bene - del valore economico del bene. Può essere anche parziale (deterioramento). Può essere frutto di un comportamento: commissivo (es. appiccamento di fuoco alla cosa). Rientra nel concetto di distruzione anche il caso di perdita volontaria di un diritto (reale o personale) di godimento sulla cosa. In questa prospettiva può segnalarsi la perdita consapevole dell'uso di un bene: ad es. concedendolo gratuitamente in locazione, ovvero concedendolo (senza plausibile giustificazione) per periodo di tempo eccedente la ragionevolezza, sì da scemarne il valore commerciale, poichè la indisponibilità del cespite, per i vincoli normativi in materia di locazione, unita alla modestia del canone, privano di sostanziale valore il bene immobile.124 omissivo, in relazione al generico obbligo conservativo del patrimonio in capo all’imprenditore (es. la volontaria ed ingiustificata mancata attivazione nell’esercizio di azioni volte alla tutela del patrimonio d’impresa, come l’esperimento del recupero di crediti verso terzi; la volontaria perdita giuridica dell’esercizio di diritti ad es. per decadenza, ecc.) 125. Fattispecie non richiamabile nel caso in cui il soggetto possa godere di una mera aspettativa, ma il bene non sia entrato nella sua sfera patrimoniale. 126 Mentre il caso del mancato esercizio del diritto può assumere interesse penale soltanto se esso fosse riconducibile a qualche obbligo giuridicamente apprezzabile, diversamente la censura si tramuterebbe in una valutazione di stretto merito (che può assumere rilievo in seno a valutazioni di colpa gestoria). 127 121 Portate dalla costante Dottrina, cfr. CONTI, I reati fallimentari, Utet, 1991, 111; PEDRAZZI, in AA.VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, 1998, 76, ecc. In Giurisprudenza, cfr. ad es. Cass., Sez. V, 14.7.1998, Bagnasco, Cass. pen., 2001, 292; Cass. Sez. V, 7.7.1998, Ranzini, Cass. pen., 2001, 291; Cass. Sez. V, 22.4.1998, De Benedetti, Cass. pen., 1999, 651; Sez. V, 26.6.1990, Bordoni, Cass. pen., 1991, 829, ecc. 122 E’ vero che l’art. 2740 cod. civ. riguarda non tanto la tutela dell’obbligazione, quanto la situazione di inadempimento, a copertura del quale giovano le garanzie costituite dal patrimonio dell’imprenditore (sul punto cfr. le puntuali osservazioni di LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 192 e ss.; SANTORIELLO I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 8 e ss.), ma è certo che il fenomeno dell’insolvenza può prescindere dal deliberato e previsto proposito di non onorare l’impegno, dipendendo – sovente e salvo i casi di preordinazione dolosa del dissesto – da circostanze esterne alla volontà del debitore (come l’insoluto di suoi clienti, la variazione dei consumi di mercato, eventi naturali di distruzione patrimoniale, ecc.), dal momento che la perdita è una ipotesi fisiologica all’impresa, altrettanto che il profitto. Dal che consegue l’imprevedibilità dell’inadempimento ovvero dell’insufficienza della dotazione patrimoniale al sopraggiungere di eventi deficitari inaspettati o, comunque, imprevisti. 123 Cfr. in Dottrina, ANTOLISEI, cit., 63; CONTI, cit., 160; NUVOLONE, cit., 194. 124 Talora non è facile discernere la condotta di distruzione da quella di distrazione: per es. lo storno di tecnologia, rapporti giuridici con fornitori e clienti, ecc. può essere considerato come distrattivo (così Cass. Sez. V, 24.5.1983, Marcucci, Foto It., 1987, II, 234) ovvero, per gli effetti dell’impresa impoverita vera distruzione di ricchezza. 125 Cfr. ad es. Cass., Sez. V, 10.12.1999, Riccò, Dir. Pratica società, 9/2000, 82. 126 Come nel caso di rinuncia all’eredità, cfr. PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, pag. 61.. 127 Sul punto cfr. anche SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 64. 28 Nel concetto di bancarotta non interessa (salvo che non vi siano circostanze peculiari) l'integrità o l’identità del bene in sé, quanto la salvaguardia del suo valore. Non rappresenta, pertanto, distruzione la conversione di un bene nel suo controvalore in denaro (es. vendita), purché il prezzo richiesto sia congruo. Come è evidente, la definizione della condotta dipende, nella gran parte dei casi, nell'intenzione che l'assiste: soltanto l'atto mirato ad un pregiudizio per il patrimonio dell'impresa ricade nella nozione in esame. In tal senso la liquidazione a prezzo vile del magazzino se, obiettivamente, costituisce un annullamento economico della sua valenza, riesce indifferente la censura penale ove l'operazione sia assunta al fine di procacciare liquidità diretta al miglior funzionamento aziendale (riassortimento dello stesso, pagamento di creditori, ecc.) Risulta, pertanto, a mio parere necessario – in alcune situazioni (e ne segnalerò altre) – ricorrere al criterio selettivo di tipo soggettivo costituito dalla consapevolezza e volontà di ridurre la valenza attiva patrimoniale, accompagnata dalla rappresentazione dell’assenza di utilità nell’operazione. Sempre con l’occhio rivolto al dato soggettivo, segnalo che sono esterne alla definizione sono le condotte di negligenza e trascuratezza colposa che possano portare alla perdita o deterioramento del bene (si pensi all’omessa custodia delle cose; alla mancata manutenzione; alla condotta trascurata nella causa giuridica, ecc.) Occultamento. E’ il nascondimento materiale del bene onde impedire l’apprensione dello stesso da parte degli organi della procedura concorsuale.128 E’ condotta assai prossima alla dissimulazione, di cui tratterò oltre e che si qualifica per un occultamento attuato con modalità giuridiche.129 Il comportamento trova ragione e spiegazione nell'obbligo (descritto dall'art. 87 comma 3 l. fall.) del fallito di segnalare al Curatore l'esistenza di propri beni da sottoporre ad inventario. Pertanto anche il semplice silenzio può integrare il reato. Segnalo che l’art. 220 l. fall.130 ha una previsione assai vicina. Occorre, peraltro, fornire un criterio che distingua le due figure, cioè ricercare una connotazione di fraudolenza che si aggiunga al mero silenzio (anche in questo caso il richiamo all’elemento psicologico risulta necessario) .131 Ritengo - cioè - che, quantomeno sul piano probatorio, per concretare il grave art. 216 n. 1 l. fall., alla mera omissione dichiarativa si debba aggiungere la prova di una attività di nascondimento e che, pertanto, l’esame del momento soggettivo sia indispensabile per l’esatto inquadramento del fatto.132 In tal senso non costituisce bancarotta il collocare i beni in luoghi sconosciuti ai collaboratori e rimasti ignoti alle indagini del curatore, quando quella modalità risulta consueta e ragionevole per l’imprenditore (ad es. in un deposito fuori del centro abitato, ma vicino ad una residenza secondaria del fallito; la relazione bancaria all’estero, ecc.). La prassi giudiziale rimanda ancora una volta alla prova del dato soggettivo: ovviamente il fallito che, subitaneamente indichi l’esistenza dei beni allocati con modalità inconsuete o non apprensibili, palesa una volontà di ostensione incompatibile con la fraudolenza. Ed anche la causale dimenticanza nell’annoverare attività (soprattutto se marginali) può integrare la violazione dell’art. 220 l. fall., non quella più grave dell’art. 261 comma 1 n. 2 l. fall. se il fatto risulta ascrivibile a negligente amnesia. Dissimulazione. Da parte di taluno si è annesso – a mio avviso senza soverchia utilità concettuale - alla distrazione anche il comportamento di occultamento mediante asporto in ambito di non facile reperibilità di beni (per es. all’estero), cfr. GULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 1999, pag. 329. 129 Anche se di scarso rilievo, per la già menzionata fungibilità delle fattispecie normative, per la dottrina ed in giurisprudenza le due condotte no n sono nettamente distinte, includendo nella nozione anche condotte di simulazione negoziale che estranino apparentemente dal patrimonio il cespite, pur di proprietà del fallito. (cfr. ad es. CONTI, cit., 158; Cass. Sez. V, 12.12.1980, Casetta, Riv. Pen., 1981, 282). 130 Si tratta di norma meramente formale che impone adempimenti non suscettibili di equipollenza: cfr. Cass. Sez. V, 8.7.1999, Di Carlo, Cass. pen., 2001, 1623; Cass., Sez. V, 23.2.1995, Minervini, Cass. pen., 1996, 943. 131 Cfr. Cass. Sez. V, 10.5.1983, Calzolai, Giust. pen., 1984, II, 218. 132 Il reato deve affermarsi anche se l’originario intento di occultamento sia stato finalizzato da ragioni di frode fiscale: cfr. ad es. Cass. Sez. V, 1.6.1999, Francalacci, Dir. e prat. soc., 14-15/99, 102. 128 29 É il nascondimento giuridico, effettuato mediante atti simulati, diretti a creare un'apparenza di trasferimento (o di proprietà) a terzi di beni che, in realtà sono o debbono ritenersi appartenenti al patrimonio del debitore.133 Trattandosi di una modalità di occultamento valgono anche qui le osservazioni svolte a proposito di quel comportamento, anche se la simulazione presuppone un’attività positiva di falsificazione più assimilabile alla frode che alla negligenza. Il caso più frequente riguarda la simulazione di contratti di comodato 134 su beni, in realtà, propri ovvero di contratti di vendita con patto di riservato dominio di beni, in realtà, detenuti "pleno dominio".135 Ovvero il caso di intestazione fittizia a terzi estranei alla gestione di cespiti propri: es. un “dossier” di titoli, un c/c, la cui movimentazione e disponibilità reale sia - nella realtà - riferibile al fallito. Anche la simulazione di un pagamento o di una quietanza, laddove sia diretta ad assicurare a terzi la titolarità di un bene, rientra nel caso in esame. Frequente è il caso della simulazione di riscossione di un prezzo per somma inferiore al reale, nell’intesa negoziale di una restituzione (contemporanea o successiva) con modalità riservata. 136 Qualora la condotta si esplichi mediante una falsificazione ideologica ridondante nella contabilità deve ritenere realizzata anche l'ipotesi di cui all'art. 216 pp. n. 2 l. fall. (falsificazione). In dottrina si è discusso della rilevanza della dissimulazione nel senso di alterare la situazione effettiva richiamata dall’art. 70 e, così, “salvare” dall’azione muciana beni acquistati dal coniuge del debitore. L’opinione prevalente è che, anche in questo caso, possa intravedersi la condotta di rilevanza penale, ancorchè l’esperimento dell’azione posa far rientrare il cespite alla massa. 137 Dissipazione. Significa lo sperpero delle risorse patrimoniale senza alcuna utilità di impresa 138 e senza corrispettivo o ragionevole corrispettivo (alla luce delle finalità di impresa). 139 Generalmente il concetto é accompagnato da connotazione voluttuaria 140, proprio al fine di creare una demarcazione con i casi di bancarotta semplice (art. 217 n. 1 e 2 l. fall. 141) ove la perdita di ricchezza é obiettivamente correlata ad una esigenza economica (spese per sé e la famiglia, ragioni di sostentamento di impresa). Vi rientrano, tradizionalmente, le spese per avventure galanti, le perdite di gioco, ecc. Laddove, cioé, il profitto per l'impresa non esista o, anche quando possa in qualche misura ravvisarsi (speranza della vincita al gioco) sia così anomalo e così remoto (le probabilità di vincita, di regola, sono assai inferiori a quelle di perdita) da escludere senso all'operazione. 133 Cfr. BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1998, 39; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 61 e ss. 134 Cfr. ad es. Cass., Sez. V, 1.6.1999, Iannaccione, Cass. Pen., 2000, 1785. 135 Per il diritto penale ciò che conta è il risultato di sottrazione all’apprensione concorsuale del cespite, pertanto, risulta indifferente che la dissimulazione sia attuata a mezzo di interposizione fittizia ovvero per il tramite di negozio fiduciario. Cfr. Cass. Sez. V, 31.3.2000, Lentini, Dir. e Pratica Società, 13/2000, 83. 136 Cass., Sez. V, 15.12.1993, Lantieri, Cass. Pen., 1995, 1634. Diffusamente sul punto BRICCHETTI/TARGETTI, cit., 39 e ss. 137 SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 62, NESSI, La presunzione muciana, ecc., in La revocatoria fallimentare e la bancarotta preferenziale, Padova, 1992, 132. Contra ONDEI, In tema di reato impossibile in relazione alla bancarotta, Annali di diritto e procedura penale, 1937, 744. 138 Definizione accolta dalla giurisprudenza: cfr. Cass., Sez. I, 25.4.90, De Sena, Foro It., 1990, 601; Cass., Sez. V, Leorato, 12.12.1972, Cass. Pen., 1973, 170. 139 Così SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 64. 140 Contra NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, Milano, 1955, 199; Cass. Sez. I, 25.4.1990, De Sena, Foro It., 1990, 601.. 141 Si osserva in dottrina che le “operazioni di pura sorte” o “manifestamente imprudenti”, coinvolgendo un concetto tipico della gestione (“operazione”) non possono qualificarsi dissipative nozione che, per definizione, postula una estraneità dall’interesse aziendale (cfr. CONTI, cit., 237, NUVOLONE, cit., 201, ecc.) e che le spese di cui all’art. 217 comma 1 n. 1 rinvengono la demarcazione con la dissipazione per la loro utilità o destinazione famigliare. 30 In tal senso è stata qualificata dissipativa anche quella manovra che sia priva, anche per un profilo astratto, di utilità aziendale.142 Debbono anche annoverarsi tutti quei casi in cui la spesa, se anche può avere un qualche interesse in termini di ricavo di impresa, sia stata disposta, in realtà, per il successo e la carriera personale del soggetto (ad es. le spese pubblicitarie di una società erogate, in realtà, per la promozione dell'amministratore in seno al gruppo).143 É nozione assimilabile alla distruzione, quale annullamento della valenza patrimoniale dell'imprenditore. Si discute se sia un reato abituale 144, presupponendo una pluralità dei fatti (eventualmente irrilevante per l’aggravante dell’art. 219 cpv. n. 2 l. fall.), ovvero anche in un solo atto. Sotto un profilo soggettivo è ravvisabile la distinzione con la vicina fattispecie di bancarotta semplice di cui all’art. 217 comma 1 n. 1 e 2 l. fall.: quest’ultima, secondo prevalente opinione, connotata da colpa. Ma non sfugge anche un profilo oggettivo, richiedendo l’art. 217 comma 1 n. 1 l. fall. la destinazione dell’impiego, per quanto eccessivo, per la famiglia o per l’imprenditore. 145 Distrazione. É un concetto definito, nella pratica, in modo residuale146: tutto quanto non risulti definibile nelle categorie sopra elencate, purché consista nell'uscita (non necessariamente deve trattarsi di una fisica estromissione del cespite dal patrimonio, ben potendo includersi nella condotta anche il negozio da cui discenda l’insorgenza di obbligazioni foriere di cessioni di denaro o di beni o di diritti 147), non giustificabile in termini di logica di impresa, dal patrimonio di beni determinandone un impoverimento.148 Dunque, una nozione correlata ad altra: l’accertata finalità a cui il bene era stato (secondo legge) destinato. 149 Così, per es. il credito spettante alla società e personalmente riscosso dall’amministratore 150, ovvero il sovraprezzo concordato con il cliente (a fini di frode fiscale) e trattenuto dall’amministratore, ecc.151 Mentre la condotta non si rileva se, nel contesto dello stesso patrimonio Per es. di un imprenditore individuale), il bene sia trasferito con diversa funzione (anche se in un’articolazione avente denominazione o luogo operativo diversi). Ma si segnala anche che non si ravvisa violazione della norma penale nel caso in cui il bene da strumentale divenga oggetto di godimento, purchè resti in seno alla generica garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ.152 Cfr. Cass., Sez. V, 3.3.1999, Vichi, Cass. Pen., 2000, 3449, in relazione alla distinzione con l’art. 217 comma 1 n. 3 l. fall.: la perdita per le operazioni manifestamente imprudenti deve discendere da un errore di valutazione, non da un ineliminabile profilo pregiudizievole per le sorti dell’impresa. 143 Ovviamente quando la liberalità sia disposta nell’interesse preminente dell’impresa, come nella forme di promozione pubblicitaria ovvero in premi di produzione, non vi è spazio per una connotazione illecita, cfr. ad es. Cass., Sez. V, 11.2.1988, Ribaldi, Riv. Trim. dir. pen. ec., 1988, 933. 144 Così CONTI, cit., pag. 161. 145 Cfr. sul punto SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 65. 146 In tal senso afferma la natura residuale della distrazione ANTOLISEI, cit., 61; GIULIANI BALESTRINO, cit., 329; Cass. Sez. V, 14.4.1999, Olivieri, Cass. Pen., 2000, 1784. 147 Cfr. Cass., Sez. V, 4.4.2003, Maggenti, n. 37565, a proposito di preliminari di vendita. Analogamente Cass., Sez. V, 5.6.2003, Longo ed altri, n. 36629, a riguardo della emissione di cambiali di una società a favore di altra società collegata: decisione motivata con la natura di reati “di pericolo” propria della bancarotta, lettura che – per il vero – nel caso di specie rilevava soltanto in parte, dovendosi più che altro accertare se la causale (concessione di garanzia) che aveva portato alla emissione cambiaria potesse ritenersi compatibile con l’interesse dell’emittente (di poi dichiarata fallita). Sul che v. infra. 148 Cass. Sez. V, 3.4.2003, Lazzarini e altro, n. 30492 (in merito alla cessione di convenzioni di “leasing” che erano state concluse dall’imprenditore), ha precisato che occorre anche che la valutazione dell’illiceità della cessione del bene o del credito accerti l’insorgenza di un effettivo danno per il patrimonio (sicchè non può essere affermata la condotta penale se la prosecuzione delle convenzioni locative avrebbe cagionato alla Curatela un peso economico improduttivo). 149 Cfr. sul punto SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 57, LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 297. 150 Cfr. Cass., Sez. V, 25.5.1999, Bortoletti, Cass. pen., 2001, 1334. 151 Cfr. Cass., Sez. V, 3.2.2004, Della Valle, n. 27513. 152 cfr. PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja btanca, 1995, pag. 55 142 31 Non agevole, al contempo, è la nozione di diversione o distacco dalla finalità d’impresa. Invero, il diritto conosce modalità di temporanei allentamenti dall’uso e dal godimento dei beni, sì che – invariato il titolo di proprietà – può residuare una limitata potenzialità di sfruttamento del cespite. Tale è il caso delle locazioni o delle concessioni in uso (soprattutto nel periodo dell’insolvenza).153 E’ evidente, tuttavia, che la valutazione del comportamento dell’imprenditore risulta più semplice se si considera la ragione della concessione a terzi del godimento e, soprattutto, il corrispettivo che dal negozio deriva, chiaro essendo che nel caso di assegnazioni a titolo gratuito ben difficilmente potrà essere giustificata l’operazione. Ed anche la liberalità, in sé del tutto contrapposta allo spirito di impresa (annottato da lucro e profitto) può rinvenire giustificazione se, in realtà, sottende un “ritorno” non strettamente monetario: anche in questo caso soltanto l’accertamento concreto può dirimere le perplessità.154 Non sfugge – a quest’ultimo proposito - che la nozione di correlazione con le logiche aziendali lascia ampi margini di opinabilità: per esempio, se la determinazione dell’illecito debba o meno sottostare anche ad un ulteriore criterio selettivo, quello del rispetto della norma. E per fare una immediata esemplificazione se deve ritenersi censurabile a mente dell’art. 216 l. fall. la erogazione di denaro corruttiva (sia verso pubblico ufficiale, sia nei termini dell’art. 2635 cod. civ.), finalizzata a propiziare commesse e protezioni (come il finanziamento ai partiti), salva – ovviamente – l’autonoma responsabilità per la violazione degli art. 318 e ss. cod. pen. o delle norme penali speciali.155 Questione, per il vero, non propria soltanto della fattispecie penal/fallimentare, ma di ogni abuso di gestione, dunque, anche delle figure appropriative ovvero della nuova ipotesi disegnata dall’art. 2634 cod. civ. In sostanza, quando il “bene dell’impresa” oscura la possibilità di leggere la ricorrenza del dolo specifico del delitto, ancorchè le operazioni risultino decise al di fuori del controllo degli organi di vigilanza societaria. Indirizzo accolto dalla prevalente Cassazione (anche se con qualche importante contrasto 156 e con notevole maggior severità in seno ai contesti penal/fallimentari, rispetto a quelli di cui all’art. 646 cod. pen.), nella convinzione che il distacco dai poteri statutari e della retta gestione, non concreti in sè frattura del nesso organico con l’organismo 157, allontanando la proponibilità del reato appropriativo 158 e, dunque, “mutatis mutandis” per la fattispecie di bancarotta, purchè permanga sia la riconducibilità dell’atto ai poteri di gestione (e, pertanto, all’oggetto di impresa o allo statuto sociale nelle sue finalità, conclusione che esclude, quindi, i comportamenti di mera predazione, anche se favorevoli a terzi) e la finalità (quale motivo sottostante all’atto) di sovvenire agli interessi dell’impresa. 159 Si discute, infine, se le promesse di pagamento portatrici di effetti successivi alla dichiarazione di insolvenza possano realizzare bancarotta, se non giustificate da finalità di impresa 160. Taluno ritiene che le stesse realizzino soltanto una forma tentata del delitto. Ritengo, invece, che – quando esse siano idonee ad essere insinuate al passivo – attestino con la dichiarazione di insolvenza la realizzazione del pregiudizio ai creditori proscritto dalla norma. 153 Cfr. in dottrina NAPOLEONI, Locazioni di immobili in comunione e revocatoria fallimentare, in Fall., 1996, 951. In giurisprudenza, Cass. Sez. V, 29.10.1993, Locatelli, Giust. pen., 1995, 1036;Cass., Sez. V, 28.1.1998, Martinel, Cass. pen., 1999, 1145, ecc. 154 Cfr. sul punto SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 59. 155 Sembra supporre, invece, la fattispecie dell’art. 216 l. fall. Cass. Sez. V, 22.4.2004, Bertuccio, n. 23675, che addebita anche al donatario il concorso con l’imprenditore/corruttore. 156 Cass. Sez. 2, 31.5.1997, Bussei, n. 5136. 157 In ciò ricollegandosi con Cass. Sez. Un., 28.2.1989, Vita, Cass. pen. 1989, 1699, cit., a riguardo delle erogazioni del funzionario di banca a favore di un terzo, al di fuori dei limiti statutari. 158 Paradigmatica Cass. 21.1.1998, Cusani, Cass. pen., 1998, 2912, con articolata motivazione, seguita da Cass., Sez. 5,22.9.1998, Altissimo e altri n. 10041, decisione che sottolinea la non estraneità del finanziamento occulto dei partiti ai fini societari. 159 Cass., Sez. 5,22.9.1998, Altissimo e altri n. 10041, decisione che sottolinea la non estraneità del finanziamento occulto dei partiti ai fini societari. Affermazione che, a mio avviso, lascia qualche dubbio: non ogni attività svolta nel nome e nell’interesse della società può ricondursi al mandato amministrativo. Quando essa si dipani sottratta alla conoscenza degli altri organi sociali (e conoscibilità, per es. perchè al di fuori dell’impianto contabile ufficiale), al di fuori dell’oggetto sociale e contro le regole stabilite dal nostro sistema per la realizzazione del contratto societario, mi sembra che non sia atto della società, ma di un soggetto che deborda dai confini del suo ambito di legittimazione. 160 BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1998, 46; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 60. 32 L'indeterminatezza di questa categoria risulta ancor maggiore ove si consideri che – stando alla lettera della norma - a sorreggere il comportamento illecito non é richiesto che il "dolo generico" 161 (solo la condotta di esposizione di passività inesistenti prevede il dolo specifico) e, dunque, la rappresentazione, anche a titolo eventuale, dell'insolvenza e - conseguentemente - del danno alla massa dei creditori. Parallelamente la determinazione del "quantum" oggetto di distrazione é, nella maggior parte dei casi, affidata non già ad una prova positiva dell'operazione compiuta dal soggetto, bensì dall'accertamento residuale ed induttivo fondato sul disavanzo di gestione privo di giustificazione in termini e logica di impresa. Quando é stata fornita una definizione positiva del concetto di distrazione si é sottolineato: - ogni forma di diversa ed ingiusta destinazione volontariamente data al patrimonio rispetto ai fini che questo deve avere nell'impresa quale elemento necessario per la sua funzionalità e quale garanzia verso i terzi. 162 - ogni fatto di estromissione di un bene dal patrimonio (con o senza contropartita) finalizzato a sottrarre il cespite all’apprensione da parte degli organi concorsuali ed a diminuire la garanzia dei creditori 163 (senza che ciò, tuttavia, imponga la volontaria rappresentazione del pregiudizio ai creditori, al momento dell’atto distrattivo) 164. Per esempio a seguito di negozi fortemente squilibrati per il riguardo finanziario (prestiti gratuiti o senza garanzia di restituzione; vendite a prezzo vile o con pagamento simulato, cessione di immobile senza accollo al cessionario del mutuo gravante sullo stesso, ecc.) 165. Ovvero, tutti i casi in cui – fuori dalle fattispecie tipicizzate di riduzione – si depauperi il capitale di una società 166 ovvero si impoverisca il suo patrimonio. Il tema diviene particolarmente delicato nelle operazioni effettuate all’interno di un gruppo societario: il regime di autonomia delle società e le ragioni di sinergia derivanti dal gruppo, pongono spesso problemi di non facile soluzione nella lettura del fatto.167 161 Giurisprudenza costante, da ultimo, Cass., Sez. V, 18.6.2004, Giacompolli, n. 27522, in Guida al Diritto, 2004, 32, pag. 85; Cass., Sez. V, 20.8.2002, Arienti, Cass. pen., 2003, 2789; Cass. Sez. V, 8.4.1999, Spinelli, Cass. pen., Sez. V, 8.4.1999, Spinelli, Cass. pen., 2000, pag. 3445; Cass., Sez. V, 29.4.1998, Marcimino, Cass. pen., 1999, 2355; Cass., Sez. V, 27.2.1997, Paoletti, Cass. pen., 1998, pag. 1487, Cass., Sez. V, 6.11.1996, Gennari, Cass. pen., 1998, 648, ecc. La dottrina è diffusamente propensa ad una lettura che individui dei criteri selettivi per esaltare l’effettiva lesione dell’interesse protetto: proprio per il possibile meccanismo di una possibile retroazione nel tempo della condotta penalmente rilevante, rispetto alla dichiarazione di insolvenza, si è cercata una modalità che induca a ricercare un momento soggettivo che abbia per oggetto la rappresentazione del danno ai creditori. Quindi una forma di dolo specifico, inteso come volontà di danneggiare le ragioni creditorie (LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano 1993, 289; LANZI,Tutela penale del credito, Padova, 1979, 223), o –comunque – la contezza che l’azione si risolve nella sottrazione delle garanzie ai creditori e, dunque, con la previsione dell’insolvenza (ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Milano, 1995, 62 e ss.) o, sicuramente, nell’imminenza del dissesto (CONTI, Diritto penale commerciale, II, Utet, 1991, 172). 162 Nel presupposto che il vincolo di destinazione sia la funzione di garanzia ex art. 2740 cod. civ.. Nel senso del testo CONTI, cit., pag. 56; NUVOLONE, cit. 208, ecc. In giurisprudenza Cass., Sez. V, 14.12.1993, Manco, Cass. Pen., 1995, 1635, Cass., Sez. I, De Sena, Giust, Pen., 1990, II, 610; ecc. 163 Cass., Sez. V, 3.8.1993, PM/Raimondo, Cass. Pen., 1995, 1633; Cass., Sez. V, 26.11.1987, Serenelli, Riv. Pen., 1988, 458, ecc. 164 Come giustamente rileva BRICCHETTI/TARGETTI, cit., 43, non essendo la bancarotta per distrazione condotta a dolo specifico. 165 Cfr. Ad es. Cass., Sez. V, 28.5.1982, Ricci, Cass. Pen., 1983, 2097; Cass., Sez. V, 9.10.1995, Guerrini, Riv. Trim. dir. Pen. ec., 1996, 1398, Cass., Sez. V, 17.5.1996, Gennari, Cass. pen. 1998, 648; Cass., Sez. V, 20.1.1998, Martini, Cass. Pen., 2001, 296, ecc. 166 La giurisprudenza ha conosciuto sovente il caso della assegnazione ai soci di ricchezza sociale al di fuori della consentita distribuzione di utili o acconto/utili: ha sempre affermato la natura fraudolenta, escludendo ogni legittima pretesa creditoria del socio, se non all’esito della liquidazione. Così ha inquadrato la condotta nelle ipotesi di reato della restituzione di conferimenti (costitutiva della figura di bancarotta societaria di cui all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall., norma ovviamente speciale rispetto al richiamo dell’art. 216 pp. n. 1 l. fall. di cui all’art. 223 comma 1 l. fall.): cfr. da ultimo Cass. Sez. 5, 15.4.2004, Ribatti, n. 23672, in Guida al Diritto, 2004, 8, pag. 98. 167 La Giurisprudenza mostra una forte rigidità nel tollerare trasferimenti di ricchezza infra-gruppo, i quali non siano assistiti da uno stretto bilanciamento delle prestazioni o da un corrispettivo adeguato: cfr. Cass., Sez. V, 24.4.2003, Tavecchia, n. 23241, che ha fornito una lettura assai ristretta della 33 La nuova fattispecie di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 cod. civ. – con l’esimente soggettiva dei cd. “vantaggi compensativi” – propone per il profilo penal/fallimentare nuovi quesiti. Ma su ciò si tornerà oltre, in merito all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. ed alla possibilità che l’esimente in discorso sia richiamata nella fattispecie di bancarotta impropria. L’uscita del bene deve avvenire senza che vi sia una ragione giuridica e, dunque, a persona che non possa vantare alcuna legittimazione al pagamento o all’arricchimento: è questo il confine con la bancarotta preferenziale, di cui si dirà oltre. Altre volte, la perdita di disponibilità del bene, rinviene immediata giustificazione in una causa giuridicamente riconosciuta, ma non nell’interesse dell’impresa: è il caso della concessione di un immobile da sottoporre ad ipoteca o di un mobile da assoggettare a pegno, per garantire - senza controprestazione - il debito di un terzo (diverso il caso della fidejussione, ove non vi è vincolo specificato e determinato di una ricchezza: sul punto si tornerà oltre a proposito dell’art. 223 comma 2 n. 2 l. fall.). La distrazione come nozione residuale è oggetto dell’accertamento induttivo: tutto quanto non trova, in seno allo sbilancio fallimentare, una corrispondenza tra impieghi e attività, viene addebitato all’imprenditore come ricchezza distratta, salva sua spiegazione. Secondo Giurisprudenza costante, contrariamente alla regola che ogni dimostrazione a carico dell’accusato spetta all’Accusa, è onere dell’imprenditore fallito fornire delucidazioni sul perchè il disavanzo sia maturato e quale ne sia la genesi. 168 Si tratta di un apparente inversione: l’onere dell’accusa 169 è ragionevolmente assolto con l’indicazione che la risultanza attiva (a valori di costo) non pareggia con quella passiva, detratte le pendenze conseguenti alla normale gestione dell’impresa. Che esiste, cioè, un vuoto non nozione di “vantaggi compensativi”; Cass., Sez. V, 1.7.2002, Arienti ed altri, Cass. pen., 2003, 2789; Cass., Sez. V, 3.4.2001, Cardinali ed altri, Cass. pen., 2002, 1532 (che espressamente esclude rilievo all’intento di salvaguardare l’avviamento economico e la capacità occupazionale); Cass., Sez. V, 20.3.2000, PM/Messina, Cass. Pen., 2001. 1336: Cass., Sez. V, 14.12.1999, Tonduti, Cass. pen., 2001, pag. 661, Cass., Sez.V, 11.11.1999, Tassan Din, Riv. trim dir.pen. ec., 2000, 476, In tema di garanzie senza corrispettivo: Cass. Sez. V, 12.5.2000, Ragogna, Cass. Pen., 2001, 1622, ecc. Linea di lettura favorita dalla convinzione che il “gruppo” sia nozione “economica” e non giuridica (tesi che dovrà ridimensionarsi alla luce degli artt. 2387 e ss. cod. civ., nel disegno di riforma societaria), cfr. ad es. Cass., Sez. V, 1.2.2000, Tonduti, Cas. Pen., 2001, 661; Cass., Sez. V, 11.11.1999, Tassan Din, Riv. Trim. dir. Pen. ec., Cass., Sez. V, 18.1.1996, Cozzi, Cass. pen., 1997, 2234; ecc., e che non richiedendosi per la condotta un dolo qualificato, l’intenzione di riequilibrare le sorti di un organismo collegato non elide la portata illecita dell’atto sorretto da mero dolo generico (rappresentazione dell’impoverimento dell’organismo, di cui viene di poi dichiarato il fallimento). Cfr. Cass., Sez. V, 10.7.1985, Tedeschi, Cass. Pen., 1985, Cass. Pen., 1987, 824; Cass., Sez. V, 20.11.1987, Cartotto, Cass. Pen., 1989, 680; ecc. In dottrina, recentemente, MANGANO, Il gruppo di imprese ovvero del conflitto di interessi in seno alla bancarotta patrimoniale, Riv. trim. dir. pen. ec., 2000, 105. 168 La dottrina è piuttosto contraria a pervenire a risultati di semplicistica presunzione, invocando percorsi argomentativi completi, soprattutto nel caso in cui l’impossibilità di piena giustificazione del disavanzo derivi da fatto incolpevole dell’imprenditore (scomparsa del corredo documentale), e richiamando al contempo la possibile e più pertinente responsabilità di fraudolenza documentale, ove vi sia dimostrazione di una colpevole incapacità a dimostrare le ragioni del disavanzo. Cfr. ANTOLISEI,cit.,72; NUVOLONE, cit., 216, CONTI, cit., 161, ecc.); SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 80 e ss. segnala la correttezza della posizione giurisprudenziale quando sia mancante uno specifico cespite per il quale esiste prova di presenza in seno al patrimonio dell’imprenditore; diversamente per i casi di ricostruzione presuntiva della distrazione, dedotta dal disavanzo ingiustificato. L’Autore segnala che, nella pratica, l’assenza della traccia di impiego potrà concretare ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale e che, in ogni caso, l’accertamento della responsabilità resta monco nel caso in cui all’organismo insolvente si siano succeduti più amministrratori o responsabili di gestione. 169 Espressamente esclude natura di effettiva inversione, inammissibile nel nostro sistema processuale, Cass. Sez. V, 20.11.2000, Schiena, Dir. pratica soc., 3/2001, 85. E’, invece, da ricondursi all’art. 192 cpp. la prova indiziaria, il risultato induttivo della distrazione, sempre suscettibile di annullamento ove giunga una dimostrazione convincente (cfr. ad es. Cass. Sez. V, 19.6.2000, Grandi, Guida Dir., 27/00, 69). Nel senso dell’onere della prova sulla dimostrazione della destinazione della ricchezza di impresa (o societaria) non più rinvenuta o frutto di disavanzo non giustificato, cfr. Cass., Sez. V, 16.12.1997, Cimarelli, Cass. pen., 1999, 651; Cass. Sez. V, 17.5.12993, Brancaccio, Cass. pen., 1994, 2542; Cass., Sez. V, 29.5.1991, Nunziata, Cass. pen., 1992, 2467, ecc. 34 giustificabile in base alle conoscenze dedotte agli atti 170. Soltanto il titolare della gestione è in grado di fornire risposta giustificativa ed è suo onere darla nell’ottica della sua difesa. Esposizione o riconoscimento di passività inesistenti. L'interesse penalmente protetto è quello che la garanzia patrimoniale del debitore (dichiarato fallito) non venga corrosa e diminuita per via di simulazioni le quali, anziché scemare la valenza attiva, indebitamente gonfino il gravame passivo. Il risultato, per i veri creditori, é il medesimo: una assegnazione in sede di riparto dopo la liquidazione dell'attivo, indebitamente diminuita. La distinzione tra le due modalità di "esposizione" o di "riconoscimento" consiste nell'iniziativa della condotta: da parte del debitore si ha "esposizione" (con riguardo alle dichiarazioni – scritte o orali - rese in sede di inventario ovvero alla enunciazione in specifiche situazioni patrimoniali, ad es. quelle di cui all'art. 14 l. fall.) verso gli organi della procedura. Da parte dell'(inesistente) creditore quando sulla sua insinuazione di credito, segua il "riconoscimento" indebito del debitore. La esposizione può attuarsi anche mediante false scritture contrattuali o di negozi giuridici o di false comunicazioni ai creditori (reali o apparenti) dai quali discenda un credito altrui, in realtà inesistente (sia perchè mai esistito, sia perché già estinto).171 In tal caso, se il fatto ridonda nella contabilità, si viene a realizzare anche una falsificazione incidente nella sfera dell’art. 216 pp. n. 2 l. fall.172 Se la falsificazione attiene soltanto alla causa di privilegio, la fattispecie è quella dell’art. 216 comma 4 l. fall. 173 La condotta può consistere anche nella confezione di titoli di credito a cui non corrisponda alcuna effettiva relazione finanziaria sottostante.174 Ovvero con dichiarazioni rivolte agli organi fallimentari: in questo caso la condotta trova, di regola, consumazione in epoca post-fallimentare (quando ha luogo la dichiarazione del debitore e la viene fatta valere la pretesa del creditore simulato). Ma ove sia attuata in seno alla istanza in proprio di fallimento con esposizione ex art. 14 l. fall. infedele, il delitto si perfeziona in epoca precedente alla Sentenza. Il riconoscimento può avvenire anche con comportamento del tutto omissivo, rimanendo silente il fallito di fronte all’altrui inesistente o simulata pretesa, ricordando che il nostro ordinamento impone al debitore un obbligo di verità e di tutela della garanzia verso i creditori. La modalità del riconoscimento concreta fattispecie plurisoggettiva, che – di regola - rinviene ragione in un pregresso accordo collaterale. Il dolo, che viene preteso - unico caso in seno all'art. 216 pp. n. 1 l. fall. - ha connotato specifico e questa configurazione risulta discrimine essenziale per i contorni della fattispecie. 170 Giurisprudenza costante, cfr. tra le molte Cass., Sez. V, 2.2.2001, De Ponti, Guida Dir., 14/01, 90; Cass. Sez. V, 10.11.2000, Monaco, Dir. Prart. Società, 3/2001, 85; Cass., Sez. V, 11.6.1999, Jovino, Cass. Pen., 2000, 3448; Cass. Sez. V, 18.3.1999, Galli, Cass. Pen., 2001, 1337; Cass., Sez. V, 10.2.1998, Spataro, Cass. pen., 2000, pag. 3448 (decisione che segnala la diversità di situazione dell’amministratore del quale deve esser provata la effettiva gestione dei beni in seno alla società); Cass., Sez. V, 16.12.1997, Cimarelli, Cass. Pen., 1999, 651; Cass., Sez. 5, 24.4.1991, Mattia ed altri, Cass. Pen., 1992, 2467; Cass., Sez. V, 5.3.1998, Spataro, Cass. Pen., 2000, 3448, Cass., Sez. V, 3.3.1999, Vichi, Cass. pen., 3449, ecc. A volte, La SC. ha desunto la condotta di distrazione tra il forte divario tra attivo e passivo, la cui genesi – rapportata alla dinamica economica dell’organismo fallito – non trova spiegazione: cfr. ad es. Cass., Sez. V, 11.11.1999, Dir. Pratica società, 24/99, 88. 171 SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 68 segnala che la condotta implica una esternazione del dato finanziario, sicchè non risulta consumato il delitto se le cambiali o altre promesse di pagamento restino in un cassetto, senza attività di asseverazione da parte del debitore. 172 Ritiene, invece, un rapporto di alternatività LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 324. Una prassi consueta, nei casi di dissesto di società che raccolgono il risparmio (SIM) è quello della trasmissione di situazioni economiche ai clienti, relativi ai loro depositi, falsificate: esse fanno apparire la maturazione di utili, quando - invece - le dette disponibilità sono state da tempo distratte e la resa di esse (che obbliga la società finanziaria alla corresponsione del dividendo) è meramente fittizia (tanto che, in sede di insinuazione al passivo, si riscontreranno valori “gonfiati” ed eccedenti ogni attività dell’asse fallimentare, essendo frutto di questi riconoscimenti non ancorati all’esistenza di un effettivo attivo). 173 Cfr. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 66. 174 Cfr. BRICCHETTI/TARGETTI, cit., 49. 35 Debbono essere, pertanto, escluse le condotte di truffa (di regola, in pregiudizio del sistema bancario), dirette al procacciamento di credito senza supporto causale (si pensi agli effetti di comodo, alle ricevute bancarie prive di titolo, alla cessione di crediti inesistenti in ambito di operazioni di "factoring", ecc.) e non già alla esposizione di correlative passività in una futura procedura concorsuale. Al contempo la specificità del dolo costituisce un chiaro criterio discretivo verso la limitrofa figura dell'art. 220 l. fall. 5a) Oggetto materiale della bancarotta fraudolenta. Bancarotta propria: La condotta incriminata deve ricadere, nell'accezione normativa, sui beni dell'imprenditore ("suoi beni") e cioè quel patrimonio che, a mente dell’art. 2740 cod. civ., è garanzia dei creditori. Non occorre una stretta nozione di proprietà, essendo sufficiente poterli considerare rientranti nella effettiva disponibilità del fallito.175 Il nostro ordinamento non distingue tra beni propri dell’imprenditore e beni destinati alla sua attività di impresa. Quindi, esiste una confusione tra i beni aziendali ed il patrimonio personale del fallito. La logica del nostro sistema è quella di vincolare ogni cespite - proprio o aziendale - alla garanzia dei creditori (art. 2740 cod. civ.). Vi sono, tuttavia limitazioni e necessarie precisazioni: Rientrano nel novero: - i beni materiali suscettibili di utilizzazione o di trasformazione (ad es. giacenze di magazzino), i beni strumentali all'esercizio di impresa (macchinari ed arredi), il denaro a disposizione dell'impresa. - i beni immateriali, quali i diritti sulle cose (di proprietà, di servitù, di pegno, ecc.); i diritti di credito 176; i diritti sulle opere dell'ingegno 177, le invenzioni, i brevetti (ad es. i "cliché", il "know-how"), il diritto alla prestazione di terzi, l'avviamento 178, ecc. - i beni di cui é acquisito il diritto all'uso, come quelli - secondo la lettura più autorevole in Dottrina e costante in Giurisprudenza - oggetto di "leasing", ovvero con riserva di proprietà (previo riscatto), purché il rapporto non si risolva in una mera aspettativa di fatto. Più specificamente, si osserva che il tema di beni detenuti a titolo di locazione finanziaria ha fatto oggetto di specifica trattazione di dottrina e di giurisprudenza 179 : vi è chi ravvisa la distruzione del diritto di credito (o di godimento) connessi al contratto: il danno per i creditori viene apprezzato nel fatto di impedire il subentro del Curatore nel rapporto locativo, con acquisizione 175 In Dottrina, BRICCHETTI/TARGETTI Bancarotta e reati societari, Milano, 1998, con la precisazione che – nel caso di sottrazione di beni non di proprietà del debitore – oggetto della condotta è il diritto, e non il bene fisico; LA MONICA, Manuale di diritto poenale commerciale, Milano,1993, 259; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, leggi complementari, pag. 44, ec. In giurisprudenza, Cfr. Cass. Sez. V, 22.10.1986, Sonson, Cass. Pen., 1988, 927 ; Cass. Sez. V, 18.1.1967, Grosso, Giust. Pen., 1967, II, 806, ecc. Con riguardo a beni detenuti fiduciariamente da società finanziaria, ha affermato la riconducibilità alla fattispecie Cass., Sez. V, 16.6.1999, Di Maio, Cass. Pen., 2001, 297. Più attentamente Cass. Sez. V, 9.6.1997, Cass. pen., 1998, 3413, esclude dal novero dei “suoi beni” quelli che giuridicamente non sono stati trasferiti: si trattava del caso di immobile acquistato dal fallito a seguito di convenzione notarile sottoscritta dalle parti, ma non trascritta a favore del fallito e non annotato a repertorio nei registri della conservatoria. 176 Per l’affermazione del reato nel caso di crediti sottratti dall’amministratore alla società cfr. di recente Cass. Sez. V, 12.10.2001, Ronzio, Cass. pen., 2003, 260; 177 Cfr. Cass., Sez. V, 23.3.1988, Fabbri, Riv. Trim. Dir.pen. ec., 1989, 397. 178 Sul punto v. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 71, il quale ritiene che l’invito ai dipendenti di cercare altra sistemazione, anche presso concorrenti o ai suoi clienti di rifornire di merce e servizi la concorrenza, non integra il delitto, non ravvisandosi nel fatto lo specifico comportamento fraudolento. Tesi che riesce scarsamente convincente quando, richiamata la connotazione del dolo meramente generico che colora la bancarotta in discorso, si segnali un impoverimento aziendali per un comportamento non assunto nell’interesse dell’impresa e senza che da esso derivi corrispettivo di sorta. Nel senso del testo cfr. Cass., Sez. V, 24.5.1986, Marcucci, Foro It. , 1987, II, 234. 179 In Dottrina, cfr. ad es. ALIBRANDI, Cessione di beni acquistati con patto di riservato dominio e bancarotta per distrazione, Riv. trim. dir. pen. ec.,1989, 397; CARRERI, I reati di bancarotta, Milano, 1993, pag. 33, PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, artt. 216/227, Bologna, 1995,47; BRICCHETTI TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1998, 34, SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 74, ecc. 36 del bene alla massa mediante l’esercizio del riscatto che è un diritto appartenente al patrimonio del locatario 180. Si osserva, invero, che anche se il regime di proprietà non assegna i cespiti all’imprenditore, mancando il completo pagamento delle rate, purtuttavia, determina nel curatore il diritto al subentro nella convenzione, previa autorizzazione giudiziale. Con la distrazione del bene si evidenzia, dunque, una lesione all’integrità patrimoniale, quantomeno in rapporto ai ratei già pagati ed il rapporto che si instaura tra possessore e bene è produttivo di effetti giuridici sin dal momento della sua stipula. Altri, invece, invece, è contrario a questa lettura sottolineando che la qualifica “suoi beni” indica soltanto quelli qualificati dalla piena proprietà.181 Connesso al tema della rilevanza penale della distrazione di beni in “leasing” è l’analisi dei rapporti con l’art. 646 cod. pen., talora ritenuto delitto necessariamente concorrente con questa modalità della distrazione, ma che - a mio avviso – può assumere un profilo di piena autonomia (con esclusione del delitto di bancarotta ed affermazione del solo reato di cui all’art. 646 cod. pen.) – quando al ricavo dell’ (illecita, perché frutto di appropriazione) vendita, si assegnato un impiego nell’interesse dell’impresa (es. pagamento dei creditori).182 - i beni di terzi, ma acquisiti al patrimonio essi si sono confusi nel patrimonio del debitore e la loro separazione potrà avvenire soltanto mediante azione di rivendica, ma anche nel caso di società fiduciaria, deputata, cioè alla gestione di beni per conto altrui, è sicuramente possibile ravvisare una ricchezza suscettibile di distrazione o di impiego fraudolento183 - i beni futuri su cui l’imprenditore vanti un diritto effettivo, ed è questo che appartiene attualmente al suo patrimonio, tenendo conto che l’art. 42 annovera alla massa concorsuale anche i beni che pervengano al fallimento nel corso della procedura; 184 - la giurisprudenza è costante nell’includere nel novero anche i beni pervenuti all’imprenditore per via illecita e, dunque, anche di provenienza illecita (ad es. per il tramite di truffe 185 ed appropriazioni indebite, ecc.) 186 La soluzione può contrastare con il convincimento che il tramite illecito non consente l’acquisizione patrimoniale del cespite. Ma si afferma, per un verso, che non interessa la modalità formativa del patrimonio, quanto la consistenza oggettiva suscettibile di immettersi nella procedura concorsuale, per altro verso, che 180 BRICCHETTI TARGETTI, cit., 34, ed in Giurisprudenza, cfr. ad es. Cass. Sez. 1, 14.1.1993, Conflitto comp. Terrinoni, Cass. pen., 1994, 1652; Cass. pen., Sez. V, 13.3.2001, Moglialanetti, Guida Diritto, 20/01, 96; Cass. V sez., 9.8.2000, Faliva, Guida al Diritto, 35/00, 59; Cass., Sez. V, 1.6.1999, Trifiletti, Cass. pen., 2000, 1054; Cass., Sez. V, 13.10.1967, Belli, Giust. pen., 1968, II, 373; Cass., Sez. V, 30.6.86, Quaglino, Riv. Pen.,, 1987, 376, Trib. pen. Bologna, Sez. II, 8.10.2004, n. 214, in Guida al Diritto, 2005, 2, pag. 98, ecc. 181 CONTI, cit., 62; LA MONICA, cit., pag. 21, ecc; CASAROLI, Qualche riflessione sull’oggetto materiale del delitto di bancarotta, Riv. Trim. dir. Pen. ec., 1991, 405, che richiama la necessità di valutare il momento soggettivo della condotta per ritenerla appartenente alla fattispecie dell’art. 216 n. 1 l. fall. ; GERMANO CORTESE, Diritto penale fallimentare, Leasinge bancarotta, in Impresa, 1990, 1204. Cass. Sz. V, 5.3.1997, Colombari, Cass. pen., 1998, 2482; Sez. I, 26.11.1992, Terrinoni, Cass. pen., 1994, 1652. 182 Altro profilo, afferente all’ipotesi di giudicato ceratosi sul delitto di appropriazione, e successiva imputazione di bancarotta per distrazione, è analizzato da Cass. Sez. V, 4.3.2003, Sivieri , n. 37567, decisione che ha ritenuto ammissibile l’assorbimento (previo scioglimento del giudicato ed applicazione della continuazione “in executivis”) del reato di appropriazione in quello di bancarotta fraudolenta. 183 Cass., Sez. V, 16.6.1999, Cass. pen., 2001, 297. 184 Cfr. in dottrina, al proposito, SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 71/72; CONTI, Diritto penale fallimentare, Utet, 1991, 66; PERINI DAWAN, La bancarotta fraudolenta, Padova, 2001, pag. 107. 185 Delitto che può concorrere con la bancarotta, quando l’acquisizione del bene sia occorsa in violazione dell’art. 640 cod. pen. ed il provento della manovra sia stato, di poi distratto dall’asse attivo di impresa, cfr. sul punto Cass. Sez. V, 16.12.1997, Romano, Cass. pen., 1999, 648 186 Dottrina prevalentemente contraria, salvo il caso di una confusione del bene fungibile in seno al patrimonio del debitore, cfr. ANTOLISEI, Manuale Leggi complementari,. pag. 48; MANGANO, Disciplina penale del fallimento, Milano, 1993, 38, ecc.; Cfr. Cass., Sez. V, 17.3.2004, Spartà ed altri, n. 23318; Cass. Sez. V, 16.3.2001, Cortesi, n. 31911; Cass., Sez. V, 8.10.1997, Romano, Cass. pen.,, 1999, 648; Cass., Sez..V, 31.1.1990, Lo Giusto, Giust. pen., 1991, II, 18: Cass. Sez. V, 15.12.1988, Grespan, Giust. Pen., 1990, II, 279; Cass. Sez. 5, 22.10.1986, Sonson, Cass. pen., 1988, pag. 927; Cass., Sez. III, 28.2.1992, Duval, Cass. pen., 1558; ecc. 37 soltanto la sentenza definitiva (attinente al reato sottostante al trasferimento del bene) può accertare l’illiceità del tramite187. La ragione dell’inclusione nell’ambito dell’oggetto materiale si spiega agevolmente con il fatto che, diversamente opinando, il provento di preordinate manovre dolose (contrassegnate, quindi, da maggiore spessore criminale e da indiscutibile maggior danno ai creditori), la cui trama è plasmata sulla truffa, riuscirebbero indenni dal delitto e, quindi, escluderebbero l’esistenza del delitto medesimo. Sono esclusi i beni estranei alla garanzia verso i creditori e, cioè, quelli tassativamente previsti dall'art. 46 l. fall. 188 In questa categoria rientrano (art. 46 n. 2 l. fall.) anche le somme rappresentanti gli assegni alimentari, gli stipendi, le pensioni, i salari destinate al mantenimento proprio e della famiglia, nonché il sussidio fissato dal giudice (si osservi: a spese dei creditori) per il mantenimento dell'imprenditore e della sua famiglia ex art. 47 l. fall.189 Tuttavia, si sostiene che detta qualità si perde se il bene sia venduto e sia tramutato in denaro: il ricavo della vendita ricade nell’asse fallimentare e la sua distrazione diviene penalmente rilevante.190 Lo stesso discorso vale per tutti i cespiti che – come dirò oltre a proposito della fattispecie dell’art. 216 comma 4 l. fall. - vengono estromessi dal patrimonio in forza di un obbligo giuridico o negoziale: potrà parlarsi di bancarotta preferenziale, ove si ravvisi una alterazione alla “par condicio”, ma non di fraudolenza.191 Con il richiamo ai “suoi beni” la norma non comprende il caso della sottrazione all’apprensione dei creditori dei beni del patrimonio del soggetto che ha fornito garanzia per il debitore. Sicchè la condotta, pur sicuramente pregiudizievole ai creditori, di diminuzione del valore dei beni del garante, ancorché attuata d’intesa con il fallito in un chiaro disegno di frode, non può considerarsi penalmente rilevante. Trattasi di un’evidente lacuna normativa, non colmabile se non per l’impossibile via dell’analogia. 6a) Il tentativo nella bancarotta fraudolenta patrimoniale. Esso è ammesso nella bancarotta pre-fallimentare, dalla prevalente dottrina, intendendo la mancata consumazione riferita alla condotta a cui, di poi, segua la dichiarazione di fallimento: l’esempio è quello di chi è sorpreso nel trafugare i beni dal suo magazzino, venendo successivamente dichiarato fallito.192 Così come 187 Cfr. Cass., Sez. V, 12.6.1986, Brunello, Riv. Pen., 1987, 376; Cass. Sez. V, 10.2.1983, Lipera, Cass. pen., 1984, 691, ecc. 188 La tassatività dei beni estranei alla garanzia dovrebbe escludere l’indennizzo assicurativo (cfr. Cass., Sez. V, 4.7.67, Cencini, Cass.pen., 1968, 1017), salvo che – a mio parere – attenga ad una causa strettamente personale e di natura non disponibile. 189 Purchè le somme di denaro siano destinate alle finalità di legge e non dissipate per scopi diversi con la conseguenza, per il dissestato, di ricorrere ad altri cespiti patrimoniali, così sottratti alla garanzia creditoria. sul punto cfr. LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, pag. 264. L’insuscettibilità all’apprensione fallimentare (e, dunque, la relativa non riconducibilità alla bancarotta dell’apprensione di questi cespiti) diviene importante poiché, se connessa all'art. 36 Cost. ed al rilievo che l'art. 217 n. 1 l. fall. punisce le spese eccessive, e non già quelle adeguate, determina l'esclusione dall'oggetto materiale del delitto della remunerazione che l'imprenditore individuale si sia assegnato (o, nei fatti, abbia consumato) per la conduzione propria e famigliare. Considerazione che consente di ritenere penalmente ininfluenti le condotte formalmente illecite ma a modesto pregiudizio (tale da rientrare nella soglia di un compenso ragionevole per l'opera effettivamente prestata in seno all'impresa, al di là delle formali cariche assegnate). Cfr. anche Cass., Sez. V, 24.6.1998, Catalano, Cass. Pen., 1988, 52. 190 PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, Legge fall., 1995, pag. 51; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 75. In giurisprudenza (civile) cfr. Cass Civ., Sez. I., 4.2.1992, n. 1210, in Dir. fall. soc., 1993, 955. 191 E così i compensi riscossi dagli amministratori di società (di società di capitali o di persone), anche se non regolarmente contabilizzati, non costituiscono una ingiustificata assegnazione di ricchezza sociale, purchè essi rispecchino con equità una effettiva prestazione resa all’organismo e la loro misura non ecceda ogni ragionevolezza. Cfr. sul punto Cass., Sez. V, 17.4.2003, Leonardi, n. 22866. 192 ANTOLISEI, cit., 162. Analogamente, CONTI, cit.,35; MACCAGNO BENESSIA, cit., 17; contra, nella convinzione che nei reati sottoposti a condizione di punibilità, non sia configurabile il tentativo, NUVOLONE, cit., 481, o nel convincimento che non sia configurabile nei reati di mero pericolo, PEDRAZZI/SGUBBI, cit., pag. 37. 38 deve ammettersi nei casi di colui che, dichiarato fallito, pone in essere gli atti idonei a distrarre, sottrarre, distruggere, ecc. suoi beni: sul punto concorde è l’opinione della proponibilità della forma tentata nella bancarotta post-fallimentare. Non è, invece, assegnabile all’area del delitto tentato la condotta di compimento di atti di impoverimento dell’asse attivo in epoca pre-fallimentare a cui segua – dopo la dichiarazione di insolvenza – la restituzione (volontaria o meno) del cespite sottratto: si richiama quanto già detto a riguardo della natura di delitto di pericolo di questo reato. 193 7a) Il dolo nella bancarotta fraudolenta patrimoniale. La bancarotta fraudolenta patrimoniale é reato sorretto dal dolo, rinviando sul punto quanto già osservato sul momento soggettivo del delitto, si osserva che la norma prevede soltanto per il caso di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti una forma specifica ("allo scopo di recare pregiudizio ai creditori") 194. Non è, per le altre forme, pertanto, richiesto - nelle altre e più frequenti ipotesi - intento specifico di arrecare pregiudizio ai creditori 195, essendo sufficiente, come si é detto la rappresentazione della mera possibilità del danno, o la probabilità, con l'accettazione del rischio 196, che il danno si verifichi. Dunque, - per affermare la responsabilità dell’autore – è bastevole il cd. dolo "generico" 197 e, cioé, la coscienza e volontà di compiere un atto tipicizzato dalla norma (distrazione, distruzione, occultamento, ecc.) da un patrimonio assoggettato alla garanzia dei creditori, senza che sia nemanco necessaria la consapevolezza di un dissesto prossimo o in atti (essendo esclusa – per costante giurisprudenza - la necessità di un nesso causale tra condotta di fraudolenza e fallimento).198 Poichè vi deve essere corretta rappresentazione di tutti gli elementi della fattispecie, non realizza il delitto l’erroneo convincimento della appartenenza (nei termini sopra indicati) del bene al patrimonio dell'imprenditore o della società). Ma la soluzione sembra troppo estesa: accanto alla rappresentazione dell’atto, occorre la volontà di un esito sfavorevole per la massa dei creditori, poiché – in sé – il distacco di un bene (o il suo occultamento apparente) dall’asse d’impresa non postula affatto danno ai creditori. Risultano, così, estranei alla fattispecie i casi in cui - l'intenzione del soggetto, pur obiettivamente rispondente alla descrizione normativa, non abbia di mira il distacco del bene o del suo controvalore (es. la spedizione di un bene a terzi per la sua vendita con l'intesa di poi non rispettata - di corresponsione del ricavato; - l'occultamento di un bene al fine di preservarlo dall'apprensione di ladri; la distruzione di una partita di merce infetta, al fine di salvaguardare il restante magazzino; la concessione di affidamenti, anche senza garanzia, ad un truffatore, palesatosi del tutto inaffidabile, ecc.) 193 Cfr. ad es. Cass. Sez. V, 7.5.2004, Giacompolli, 27522, relativa alla affermazione di reità per la sottrazione di assegno post-datato di pertinenza di società di poi dichiarata fallita, a cui sia seguita la restituzione alla Curatela del titolo, dopo la dichiarazione di fallimento. 194 Un dolo che ha il suo oggetto in un momento ulteriore rispetto al fatto materiale: un momento selettivo della fattispecie per evitare di includervi condotte dominate da difformi intenti come la creazione di riserve occulte o l’alterazione del riparto degli utili (CONTI, cit., 124). Secondo BRICCHETTI/TARGETTI, cit., pag. 60, il dolo delimita l’area della bancarotta fraudolenta dalla fattispecie dell’art. 220 l.fall. consistente nella denuncia di creditori inesistenti. 195 Contra ANTOLISEI, cit., 65 sul presupposto che la fraudolenza richieda una forma intensa di volontà di pregiudizio ai creditori. CONTI, cit., pag. 23, ritiene che la voluntas damni non possa mancare anche nelle forme del dolo eventuale. 196 Accettazione della conseguenza tipica della sottrazione dei beni o nella rappresentazione altamente probabile della perdita del bene, cfr. Cass. Sez. V, 5.3.1996, Filovia, Guida Dir., 21/96, 97; Cass., Sez. V, 29.11.1990, Bordoni, Cass. Pen., 1991, 828. Ovvero, conseguenza oggettivamente ineludibile: Cass. Sez. V, 1.6.1999, Trifiletti, Guida Dir., 29/99, 81. La dottrina ritiene che la proponibilità del dolo eventuale sia consentita soltanto dove non sia previsto alcuna forma di dolo specifico, cfr. NUVOLONE, cit., 71; MACCAGNO BENESSIA, Reati Fallimentari, Enciclopedia Giur., 1988, 8. 197 Cfr. Cass., Sez. V, 6.11.1996, Gennai, Cass. Pen., 1998, 648. 198 Sul punto, da ultimo, Cass. Sez. V, 27.4.2001, Martini, Cass. pen., 2001, 3872; Cass., Sez. V, 14.7.1998, De Benedetti, Cass. pen., 1999, 651 e ss.. Anche se si riscontra talora nella giurisprudenza la necessità di una qualche rappresentazione dello stato di difficoltà dell’impresa: cfr. ad es. Cass., Sez. V, 25.2.1977, Marzollo, Cass. Pen. 1978, 1493; Cass., Sez. V, 20.3.1987, Cass. Pen., 1988, Zampolli, 1542. 39 - l’erroneo convincimento della appartenenza (nei termini sopra indicati) del bene al patrimonio dell'imprenditore (o della società). 8a) La bancarotta patrimoniale post-fallimentare. Il reato, come si é detto, presuppone la dichiarazione giudiziale di fallimento (o di insolvenza) che si qualifica come presupposto della condotta 199, dunque è “post-fallimentare” quanto segue alla data della dichiarazione dell’insolvenza 200, e che rinviene il termine di rilievo penale nel decreto di chiusura della procedura (art. 119 l.fall.) 201. L'art. 216 comma 2 l. fall. fornisce una completa equiparazione di pena all'autore dei fatti descritti nel contesto pre-fallimentare. La situazione post-fallimentare semplifica molti dei temi affacciati nelle parti che precedono, palesandosi concreta la lesione all’interesse protetto, atteso l’avvenuto spossamento del patrimonio in capo al fallito e l’immanenza del vincolo in ogni bene alla soddisfazione dei creditori: quanto all’oggetto materiale, possono essere anche i beni pervenuti nel corso della procedura (art. 42 comma 2 l, fall.) É da comprendersi, dunque, il caso di provento da attività lavorativa del fallito, non autorizzata dal giudice (art. 47 l. fall.) o eccedenti i limiti dell'art. 46 n. 2 l. fall. e la soglia fissata giudizialmente (art. 46 uc. l. fall.), ma, al di fuori di un’ottica meramente formalistica, sempre nel rispetto dell'art. 36 Cost. (che salvaguardia la retribuzione proporzionata al lavoro svolto ed al mantenimento famigliare), accertamento affidato al giudice penale.202 Si ipotizzano i casi di beni pervenuti al fallito (o alla società fallita) dopo la dichiarazione di fallimento: es. eredità, indennizzi e risarcimenti assicurativi203, bonifici bancari, rimborsi, ecc. quanto alle modalità di commissione, è chiaro che lo spossessamento del patrimonio (art. 42 l. fall.), rispetto al fallito o agli organi della società fallita, impedisce - di regola - veri e propri fatti di distrazione/occultamento.204 199 Cfr. ANTOLISEI, cit., 33; CONTI, cit., 20, NUVOLONE, cit., 16. Cass., Sez. V, 15.12.1988, Grespan., Giust. Pen., 1990, II, 279. 200 Non, quindi, al compimento degli adempimenti di pubblicità della decisione, cfr. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 120, n. 2. 201 Qualora il fallimento sia riaperto, il rilievo penale è assegnato soltanto alle condotte commesse prima della chiusura e dopo la riapertura del fallimento, cfr. PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 105. 202 Cfr. Cass., Sez. V, 24.6.1986, Catalano, Cass. Pen., 1988, 52. 203 Vi è dibattito sulla titolarità del fallito del risarcimento di danni aventi natura personale (danni da reato e consimili). Il problema è duplice: se il Curatore possa sostituirsi al fallito nell’esperire l’azione risarcitoria e se il diritto al risarcimento possa assegnarsi alla procedura. La risposta è nel senso che più che alla tipologia del danno ed alla titolarità del rimedio contenzioso (il quale ultimo segue la natura sostanziale del diritto asseritamente vulnerato) se ad essere vulnerato sia, per esempio, il solo onore della persona, sia il diritto sia l’azione spettino esclusivamente al fallito, essendo bene di natura strettamente persona. Se, invece, la lesione, ancorché derivata da reato commesso in danno del fallito ed anche se l’azione lesiva pregiudichi la sfera personale di costui, ma abbia per oggetto anche indiretto il patrimonio (si faccia il caso che la lesione al diritto all’onore abbia determinato la perdita di un affare), l’azione potrà essere esercitata anche dal Curatore (oltre che dal fallito). Al contempo, si afferma che pur personalissima, la lesione all’integrità fisica, coinvolgente la diminuzione della capacità lavorativa (e, quindi, non intesa come “danno biologico”, ma come pregiudizio alla sua potenzialità di ricchezza), potendosi tradurre in una alterazione patrimoniale, spetta nella tutela al curatore. E’ evidente che dall’indennizzo assegnato alla massa concorsuale, debba sottrarsi la porzione riferibile all’art. 46 n. 2 l. fall. per il mantenimento proprio e della famiglia. Sul punto cfr. in Dottrina, PANZANI-COLOMBINI, Il fallimento, profili applicativi, Utet, 1999, pag. 119 e ss.; NAPOLEONI, Nuove prospettive in tema di risarcimento danni alla persona del fallito, Il fallimento, 1998, nota a Cass., 20.6.1997, n. 5539. 204 Tuttavia, sia nei casi di esercizio provvisorio dell’impresa (art. 90 l. fall.) o di protrazione dell’impiego della persona che già ricopriva cariche societarie, possono verificarsi atti concernenti il possesso dei beni. Così come è ipotizzabile l’occultamento dei beni acquisiti dal fallito nel corso della procedura. 40 Pertanto la maggiore frequenza ricorrerà nelle dichiarazioni in seno ai rapporti con gli organi della procedura (e, tipica, in questo caso la condotta di esposizione/riconoscimento di passività inesistenti, ma possono anche ipotizzarsi comportamenti di falsificazione nella spiegazione dei dati di contabilità). quanto al profilo soggettivo. Il fatto che la condotta si realizzi nel corso di una già avviata procedura concorsuale, consente di affermare una sicura rappresentazione del danno verso i creditori in capo all'autore dei comportamenti incriminati.205 Piuttosto si dà il caso di persona che abbia ignorato la decisione fallimentare206, anche per comportamento negligente (ad es. si é disinteressato dell'impresa, lasciata in cattive acque, emigrando all'estero): tuttavia, a prescindere dal fatto che la dichiarazione è, normalmente, preceduta da atti tipici (istanze, intimazioni, ecc.) che ad essa preludono inequivocabilmente, la medesima esistenza di una insolvenza necessariamente nota al soggetto - rende difficilmente credibile la difesa fondata sulla ignoranza della procedura fallimentare.207 Bancarotta fraudolenta documentale (art. 216 comma 1 n.2, 223 comma 1 l. fall.) b1) L’interesse tutelato. La norma descrive la condotta dell'imprenditore dichiarato fallito che "ha sottratto, distrutto, falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili, o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari". Anche per questo versante il nostro ordinamento impone all'imprenditore un comportamento attivo.208 La illustrazione, cioè, non soltanto della sua situazione economica attuale (dimostrazione imposta a chi chiede in proprio il fallimento, art. 14 l. fall.), ma anche la traccia documentale relativa alla propria gestione precedente, tanto che - contestualmente alla emissione della Sentenza dichiarativa di fallimento - é imposto il deposito delle scritture (art. 16 n. 3 autonomamente sanzionato con apposita fattispecie penale dall'art. 220 l. fall.) Ovviamente allo scopo di consentire la migliore ricostituzione dell'asse attivo (a mezzo di azioni revocatorie o di altri rimedi giudiziali e convenzionali) su cui la procedura potrà disporre la liquidazione. Ma anche per fornire il controllo sull’operato di gestione e sulle condotte di terzi 209. Ogni lesione al dovere di consentire la lettura della traccia che documenta la gestione di impresa é stata gradualmente punita dalla legge fallimentare, a seconda della gravita: dall'art. 220, all'art. 217 comma 2, ai più gravi casi di fraudolenza dell’art. 216 pp. n. 2 l. fall. La distinzione tra le varie figure passa, soprattutto, sulla valenza psicologica che le distingue. b2) La condotta della bancarotta fraudolenta documentale. Anche in questo caso vi è una reiterazione di indicazioni normative, più o meno fungibili, volte a reprimere il risultato di rendere impossibile agli organi della procedura un quadro attendibile del movimento di gestione. 205 Né giova invocare l'ignoranza della legge fallimentare, che priva il fallito della disponibilità dei beni, trattandosi ovviamente di errore ininfluente ex art. 5 cod. pen. attesa la rilevanza della normativa fallimentare nel nostro ordinamento. 206 Secondo ANTOLISEI, cit., 34, la sentenza è elemento che concorre a connotare la qualificazione “propria” dell’autore e di cui, quindi, non necessita la necessaria conoscenza. 207 Cass., Sez. V, 27.2.1974, Ganamone, Cass. Pen., 1976, 1201 afferma l’esistenza di una presunzione di conoscenza della sentenza, essendo resa pubblica mediante affissione. 208 Per questa fattispecie è più immediata la percezione dell’obbligo (sentito generalmente come naturalmente connesso ad ogni attività commerciale ed influente anche per i profili fiscali) gravante implicitamente sull’imprenditore che diviene, nel caso di violazione dello stesso, responsabile del delitto (o delle “minori” ipotesi descritte dalla legge fallimentare) anche se la dichiarazione di insolvenza sopraggiunge a distanza di tempo. Dunque, anche per questo riguardo, egli è “soggetto a rischio” nel senso dianzi specificato. 209 In questo senso l’onere documentativo dell’imprenditore non conosce esenzioni ed, in particolare, l’esimente del “nemo tenetur se detegere”, come ormai accolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza (anche in seno alle fattispecie di false comunicazioni sociali), cfr. PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 91; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 105, ecc.; Sent. C. Cost., 236/84, Cass. pen., 1985, 4 (per le fattoisèpecie dell’abrogato art. 2621 cod. civ. cfr. NAPOLEONI, Reati societari, III, Milano, 1996, 289). 41 Ma possono distinguersi due categorie: la prima costituita dai comportamenti di sottrazione, falsificazione, distruzione che rinvengono sanzione penale qualunque sia l’esito dell’atto; d’altro canto, la tenuta dei libri finalizzata alla non ricostruibilità della traccia degli affari. In quest’ultimo caso alla azione si deve riscontrare l’evento dell’inquinamento idoneo a non permettere la ricostruzione del movimento degli affari. Osservazione che dal piano oggettivo si riflette sul momento soggettivo dovendosi l’evento citato essere oggetto di rappresentazione e volontà. 210 L’impossibilità alla ricostruzione degli affari dvee esser affermata anche quando in pratica essa sia possibile ma soltanto grazie a documenti e tracce di pertinenza esterna all’organismo di impresa (per es. con il ricorso al sequestro della traccia bancaria o di altro soggetto che con il fallito corrispondesse). 211 Sottrazione. É la condotta diretta ad impedire che le scritture contabili cadano nella disponibilità degli organi della procedura. Vi si annovera, quindi, ogni forma di occultamento. Non certamente, però, la mera detenzione in un luogo diverso da quello consueto o indicato in sede tributaria (es. in materia IVA, art. 35 del DPR. 633/73) Ma una condotta che renda ragionevolmente impossibile il ritrovamento del corredo documentale. Per l'obbligo gravante sull'imprenditore dichiarato fallito, anche il volontario silenzio sul luogo della detenzione o del collocamento del corredo contabile, si risolve in un comportamento penalmente censurabile, specialmente dall'invito degli organi fallimentari. E’ equiparabile anche la condotta di chi non rivela la “chiave di accesso” al sistema informatico contabile. Distruzione. É l'annientamento fisico del documento (es. incendio) ovvero del suo contenuto (mediante cancellature, abrasioni, ecc.), tale da impedire la sua finalità probatoria. Dall’elemento soggettivo può trarre risposta se la distruzione di documentazione non attuale integri la violazione penale: è evidente che le scritture, per le quali non è prescritta conservazione (art. 2220 cod. civ.) hanno un rilievo assai meno pregnante per la ricostruzione delle vicende connesse al dissesto e che – pertanto - la volontà di sottrarre una reale traccia documentativa diviene, salvo prova specifica, difficilmente proponibile.212 Falsificazione. Attiene all'alterazione materiale o ideologica della scrittura. 213 Condotta che deve raggiungere l’esito di fornire una rappresentazione alterata della realtà economico/patrimoniale. 214 Comportamento che può essere di supporto (per giustificare il negozio fittizio) a condotte di fraudolenza patrimoniale: la esposizione/riconoscimento di passività inesistenti che può realizzarsi a mezzo di falsificazione ideologica, ovvero la dissimulazione. Comportamento, ancora, che può concretare anche la violazione degli art. 2621/2622 cod. civ. se dallo stesso i ravvisa nesso di causalità con il dissesto.215 Tenuta delle scritture in guisa da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari. 210 Cfr. Cass., Sez. V, 30.6.2003, Di Muni, n. 27897, in Guida al Diritto, 2003, 47, pag. 75; Cass. Sez. V, 15.4.1998, Guareschi, Cass. pen., 2001, 294. 211 Giurisprudenza costante: da ultimo cfr. Cass. Sez V, 29.11.1997, Boccia, Cass. pen. 1999, 649; Cass., Sez. V, 28.6.2989, Tocci, Riv. trim. dir. pen. ec., 1991, 274; Cass., Sez. V, 4.7.1991, Minuto, Riv. trim dir. pen. ec., 1992, 553. 212 Cfr. sul punto SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 109, per il quale la oggettiva liceità della distruzione esclude valenza penale alla condotta. 213 Così la redazione "ex novo" di parte o tutte le scritture (con contenuto diverso dall'originale) integra il reato. 214 Sì che non si rinviene la lesione dell’interesse protetto nella formale modifica del dato testuale o del senso ideologico del documento, quando l’intervento non si risolva nella immutazione del suo contenuto. 215 Nell’assenza del rapporto eziologico con il dissesto e nel ricorso degli altri elementi costitutivi del delitto di bancarotta fraudolenta documentale (soprattutto quanto al momento soggettivo) può – comunque – affermarsi la ricorrenza della fattispecie penal/fallimentare. 42 Si tratta dei casi in cui la redazione delle scritture sia così incompleta, frammentaria, da non consentire una ricostruzione della gestione di impresa. Occorre, dunque, una condotta di violazione al dovere di annotazione a cui consegua il risultato (sostanzialmente un evento) di ostacolo alla lettura della traccia documentale.216 La ricostruzione non deve riuscire del tutto impossibile, bastando una seria difficoltà al compimento della stessa. Un criterio diretto ad accertare la commissione del reato consiste nella necessità di dover richiamarsi a fonti esterne all'impresa per operare la ricostruzione, quale potrebbe essere l'archivio costituito dal sistema bancario. Anche perché la lettura della relativa documentazione può obiettivamente rivelarsi ardua, senza una spiegazione, con riferimenti a fatti non annotati documentalmente, del fallito o la cui lettura non è praticamente impossibile senza l’ausilio di ulteriori indicazioni (si pensi alla sottrazione dei partitari).217 E’ evidente che l'indagine non debba venire svolta sul corredo obbligatorio (a differenza che per la bancarotta semplice documentale) 218, potendosi ovviare alla lacuna mediante la tenuta di contabilità informale, purché sufficiente a chiarire i tratti della gestione di impresa. In questo senso realizza la condotta incriminata anche la distruzione della “prima nota”, dei brogliacci informi, della contabilità fiscalmente riservata possono rappresentare l'oggetto materiale, ove possa dimostrarsi che la loro disponibilità o integrità avrebbe permesso agli organi fallimentari l'indagine documentale o della contabilità “nera”, quando esse siano indispensabile modalità di lettura del fatto di gestione. Sulla base di queste premesse il delitto ricorrerebbe nella maggior parte dei casi: la mera (anche se seria) difficoltà alla ricostruzione può essere avvertita - oltretutto - anche per marginali e secondari profili di contabilità. Intensa deve, quindi, essere l’accertamento della volontarietà non già rispetto alla omissione, ma al raggiungimento del risultato di un inquinamento contabile diffuso o fondato su elementi nevralgici. In questa ottica certamente la delucidazione fornita dall'imprenditore, volta a sopperire le lacune documentali, tende ad escludere l'esistenza di una originaria volontà criminosa; ma tanto attiene alla lettura del profilo soggettivo (e vale soltanto per questi tra i vari còrrei). Così come, la difficoltà o l’impossibilità di lettura di un comparto contabile trascurabile per importanza nell’economia generale ovvero relativo ad ambiti verso cui non risultano momenti di comportamento fraudolento, difficilmente può far concludere per la responsabilità di una consapevole fraudolenza. La lettera della norma non contempla il caso di integrale omissione della contabilità e, per questo verso, si è affermato che esso non assurga ad elemento oggettivo del delitto in discorso, ma soltanto della “minore”ipotesi di cui all’art. 217 comma 2 l. fall. 219 Va osservato, tuttavia, che - salvo realtà marginali, connotate da rudimentale struttura organizzativa – riesce difficile ipotizzare l’assenza di ogni traccia contabile per l’impresa, a fronte degli obblighi amministrativi che su di essa gravano e suppongono atti attestativi di fatti economici e burocratici forieri di oneri e spese. Lo stesso può dirsi per l’utilizzo di servizi telefonici, di energia, di riscaldamento, ecc. La conclusione di negozi di locazione, di rapporti bancari, ecc. La mancanza di essi diviene prova di attivo comportamento sottrativo o distruttivo, una volta accertato l’adempimento iniziale prescritto da leggi e regolamenti. Ma va anche detto, seguendo una logica fondata sulla esperienza di impresa, che - oltre una certa dimensione operativa - qualsiasi organismo commerciale o economico non può prescindere dalla annotazione documentale (anche se non in linea con gli obblighi formali imposti dalla normativa civile o tributaria) a propri fini di controllo della gestione (la prassi conosce in medie imprese situazioni patrimoniali a frequente cadenza, 216 Anche per questo versante non è richiesto che il risultato di inquinamento contabile sia raggiunto, bastando la mera messa in pericolo dell’interesse tutelato. Così la ricostruzione “ex post” attuata dal fallito – se giova ad escludere una volontà di effettiva fraudolenza – non elide, tuttavia, la portata oggettiva della sua condotta illecita. Cfr. Cass. Sez. V, 22.1.1992, Zampini, Cass. pen., 1992, 2198; Cass., Sez. V, 28.6.1989, Tocci, Riv. trim. dir. pen. ec., 1991, 274. 217 Ma il reato non può esser affermato se, sia pur contabilità ufficiosa, purchè proveniente dall’imprenditore, consenta la ricostruzione del movimento degli affari, cfr. Cass., Sez. V 28.10.1997, Boccia, Cass. pen., 1999, 275; Si ribadisce che non già la natura del documento – obbligatorio, facoltativo o, addirittura illecito come la contabilità “nera – attesta 218 Cass., Sez. III, 2.9.2004, Aliberti e altri, in Guida al diritto, 2004, 38, pag. 79. 219 Nel senso che occorra la dimostrazione di una previa sottrazione od occultamento Cass., Sez. V, 14.4.1999, Ragadi, Guida al diritto, 1999, 38, 101. 43 onde consentire la conoscenza in tempo quasi "reale" dell'esatta condizione economica; ove vi sia un forte giro di carta cambiaria e regola difficilmente elusa la tenuta di uno "scadenziario", ecc.) 220 b3) Oggetto materiale. La documentazione é quella che attiene alla gestione ed al movimento degli affari (e, pertanto, i documenti di cui all'art. 2214 cod. civ. ) 221 Sono, quindi, esclusi dal novero i Libri sociali (art. 2421 e ss., 2464, 2490, 2516 cod. civ.), poiché non hanno contenuto contabile. Non integra - in sé - il delitto la mancata tenuta dei libri obbligatori a fini fiscali: a meno che, ovviamente, questo corredo fosse il solo che consentisse la ricostruzione del movimento degli affari. Invero l'accertamento prescinde dall'obbligo formale della tenuta delle scritture. Il contenuto della fattispecie, ruotando sull'effettiva e non formale (come può accadere per i casi degli artt. 217 comma 2 e 220 l. fall.) possibilità di conoscere i tratti della gestione di impresa, non prestabilisce una tipologia documentale la cui mancanza o alterazione violi la norma. Tiene conto, quindi, di qualsiasi strumento che avrebbe potuto, ove conservato o lasciato immune da falsificazione, l'esame del movimento gestorio. Ovviamente l'oggetto materiale può essere tanto la scrittura ed il libro, come la memoria magnetica, rientrando sicuramente nel contesto che qui si esamina ogni contabilizzazione automatica a mezzo di "computer" o di altro strumento in formatico o traccia magnetica. La violazione in esame ha per oggetto la traccia contabile, non riguarda, dunque, il documento di supporto che rappresenti soltanto un fatto negoziale (contratto, quietanza, disposizione bancaria, ecc.) Ma é evidente che, laddove quel fatto giuridico ed economico venga occultato, distrutto, falsificato in vista di una conseguente alterazione contabile, la condotta realizza la violazione documentale dell'art. 216 pp. n. 2 l. fall., collocandosi quale premessa materiale per il conseguente necessario intervento illecito sul quadro contabile.222 Non appartiene al corredo delle scritture il bilancio, inteso quale comunicazione diretta all’esterno dell’apparato di conduzione amministrativa. Sicchè, a rigore, non si palesa una concorsualità tra la violazione degli artt. 2621/2622 cod. civ. e la bancarotta fraudolenta documentale per falsificazione. Purtuttavia, non può sfuggire che la alterazione ideologica del bilancio comporta, nella normalità dei casi, la falsificazione delle scritture di supporto, d’onde la probabile violazione dell’art. 223 comma 1 in relazione all’art. 216 comma 1 n. 2 l. fall., anziché la sola violazione della norma penal/societaria, come richiamata dall’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall., con un quadro probatorio assai semplificato per l’accusa (e tutto ciò volendo tacere della giurisprudenza che inquadra il bilancio in seno alle scritture di impresa223). 220 Ovviamente la dimostrazione di aver delegato a terzi la tenuta della contabilità, con affidamento alla loro perizia tecnica, congiuntamente alla prova che le indicazione ed i supporti primari per la redazione della contabilità non sono mendaci o insufficienti (realizzandosi, in tal caso, un concorso dell’imprendotrecon il suo professionista o collaboratore, cfr. Cass., Sez. V, 19.4.1988, Ferlicca, Cass. pen., 1990, 337), esclude la volontarietà dell’eventuale inagibilità del dato documentale, ma non i profili di “culpa in eligendo” (o, se del caso “in vigilando”) per la scelta infelice (o non sufficientemente sorvegliata) in capo all’imprenditore (amministratore/liquidatore/direttore generale) sul quale si appunta l’obbligo sotteso dalla norma (cfr. da ultimo, Cass. Sez. V, 19.1.1999, Mollo, Cass. pen., 2001, 302; Cass., Sez. V, 15.12.1993, Decenvirale, Cass. pen., 1996, 1437). 221 Cass., Sez. V, 20.10.,1993, Virgili, Cass. pen., 1995, 1037. 222 Si deve, anzi, aggiungere che quando l'azione comporti la distruzione di un documento portante in sé un diritto (ad es. titolo di credito) o una situazione giuridicamente favorevole per il fallito (ad es. quietanza) può profilarsi la ricorrenza sia della bancarotta fraudolenta patrimoniale sia quella documentale. 223 Seguo una lettura che è accolta dalla migliore Dottrina (ZANOTTI, Nemo tenetur se detegere, Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 213 n.; Id. Osservazioni e riserve sulla riconducibilità del falso contabile all’ipotesi di falsa comunicazione sociale, Giur. Comm., 1989, I, 447; NAPOLEONI, Le falsità, pag. 149 e ss.), ma che talora - secondo me a torto - è stata talora avversata dalla Giurisprudenza (cfr. fra le altre, Cass. Sez. V, 27.4.1992, Bertolotti, Cass. pen., 1993, 2624; Cass. Sez. I, 14.3.1989, De Nile, Cass. pen., 1990, 2208, ecc.) che ravvisa il falso nel mendacio sui libri contabili, sulla ipotesi che anche la contabilità sia suscettibile di diffusa conoscenza verso i terzi, per es. i soci o il Collegio Sindacale. Ma l’opinione trascura che detto corredo non è suscettibile di ispezione da parte dei soci delle società di capitali e che verso il Collegio può dubitarsi di ipotesi di falso mendacio per chi non lo ravvisa nei rapporti inter-organici. Inoltre, nella pratica, le risultanze della contabilità sono sempre 44 b5) Elemento soggettivo. É richiesta una specifica intenzionalità (lo scopo di recare a sé o ad altri ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori) per il comportamenti di sottrazione, distruzione, falsificazione 224. Si tratta di una prospettazione alternativa (o l'ingiusto profitto a sé/altri o il pregiudizio ai creditori): la prova di una sola delle due ipotesi normativamente previste é sufficiente alla dimostrazione della penale responsabilità. D'altra parte ciascuna di esse ha una sua autonomia logica: la volontà di sottrarre il supporto documentale di un debito esistente al fine di danneggiare il creditore (dolo di danno 225) é cosa diversa dall'intenzione di occultare la prova documentale di condotte illecite proprie o altrui (dolo di ingiusto profitto 226). Nessuna particolare volontà (se non la rappresentazione delle conseguenze di inagibilità della traccia) é, invece, formalmente richiesta per la condotta attinente alla tenuta della contabilità in guisa da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari. 227 Tuttavia la pratica giudiziale e la giurisprudenza suppongono, anche per questo caso, la volontà specifica di raggiungimento dell’esito anche al fine di delimitare il fatto dalla mera negligenza dell’art. 217 comma 2 l. fall., segnalando che a questa volontà è implicitamente sottesa la consapevolezza del danno verso i creditori.228 La mancanza significativa di questa traccia o il disordine radicale della stessa rappresentano un serio indizio a carico del fallito o degli organi societari. b6) Bancarotta fraudolenta documentale post-fallimentare. Si richiama quanto detto all’inizio, sulla diversa prospettazione normativa tra la figura pre e postfallimentare documentale poiché la lettera della norma art. 216 comma 4 l. fall. fornisce rilievo penale soltanto alle condotte di distruzione sottrazione e falsificazione del corredo contabile. Infatti, l’impresa risulta priva di attività in capo al suo gestore con la conseguente perdita di ogni dovere e potere annotativi in capo al fallito. Inoltre è assente, per le condotte rilevanti, ogni connotazione specifica del momento soggettivo, attesa la immediata ed ineluttabile conseguenza lesiva degli interessi creditorî in comportamenti di alterazione documentale 229. C) La bancarotta preferenziale (art. 216 comma 4, art. 223 l. fall.) c1) L’interesse tutelato. Dispone la norma "E' punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione". La lesione consiste non nell'indebito depauperamento del patrimonio del debitore, bensì nell'alterazione dell'ordine (stabilito dalla legge) di soddisfazione dei creditori (cd. "par condicio"), principio basilare nel trasfuse nelle comunicazioni sociali, sì che il caso in esame potrebbe riguardare il solo comportamento di chi omette la redazione del bilancio di esercizio. 224 Cass. Sez. V, 12.10.1993, Trombetta, Cass. pen., 1995, 1629; Sez. V, 13.11.1980, Ripiani, Cass. pen., 1982, 1639; 225 Segnalando che danno può evidenziarsi non soltanto nel diretto pregiudizio per il creditore per il quale è distrutta/occultata la prova della propria pretesa, ma anche nella dispersione delle connotazioni che rendono suscettibile di azione revocatoria il pagamento di pendenze, con pregiudizio per la restante massa dei creditori. 226 Per quest’ultimo caso l’esperienza attesta che la prova dello scopo perseguito può induttivamente ottenersi soltanto se vi sia la ricorrenza di concorrenti illeciti, di natura fallimentare o meno, in relazione ai quali vi sia interesse del loro autore a coprire l’attestazione di reità. Concorda al riguardo (ma in tema di dolo teso al conseguimento di danno) anche SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 115. 227 In Dottrina, cfr. PEDRAZZI/SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 103, PEDRAZZI, in AA.VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, 1998, 111; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 115, ecc. In giurisprudenza cfr. Cass. Sez. V, 3.3.1987, Cass. pen., 1988, 1539; Cass., Sez. V, 8.10.1991, Geraci, Cass. pen., 1993, 673, ecc. 228 cfr. PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 103; Cass., Sez. V, 22.1.1992, Zampini, Cass. pen., 1992, 2198. 229 Sempre che, ovviamente, il comportamento rivesta caratteri di reale offensività, in termini di alterazione o di rilevanza della traccia documentale sottratta. 45 procedimento concorsuale: dunque, l'oggetto del reato sta nella violazione della scala di preferenza stabilito, per le procedure concorsuali, dal Legislatore e dall'art. 2741 cod. civ. e dalle leggi speciali (cfr. art. 111 legge fall.) Alterazione che, risolvendosi nell’impossibilità di soddisfare parte dei creditori, si riverbera in una forma di pregiudizio verso costoro, anche se ben diversa che nel caso di fraudolenza.230 Non sfugge l’assonanza con la disciplina fallimentare degli artt. 64 e ss. l. fall.: ma ivi le presunzioni stabilite per le revocabilità dei pagamenti o delle uscite di ricchezza dall’asse attivo fallimentare, non hanno alcun rilievo per la fattispecie penale, fondata sulla verifica delle specifica finalità di indebito privilegio verso il creditore a danno degli altri. La fattispecie suppone, come si dirà anche oltre, una forte tensione finanziaria dell’impresa e, verosimilmente, una situazione di dissesto o ad esso assai prossima: infatti, l’incapacità di soddisfare un creditore se non danneggiando gli altri, è incompatibile con la solvibilità dell’organismo. 231 Profilo che delimita temporalmente la rilevanza delle condotte e che si riflette significativamente sul momento soggettivo. Non è richiesto che in sede concorsuale il danno risulti irredimibile: invero, esso può essere revocato, disvelata la simulazione della apparente causa di prelazione, ciononostante affermata la penale responsabilità. In questo senso anche per questa fattispecie può affermarsi che si tratta di reato di pericolo. 232 Di qui l’affermazione che la messa in pericolo del bene deve qualificarsi come concreta ed effettiva. 230 Sottolineano lo sfondo pregiudizievole per i creditori PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 116; ANTOLISEI Manuale, Leggi complementari, Milano, 1993, 81; CONTI, Diritto penale commerciale, II, Torino, 1991, 186, ecc. Ritiene che, invece, il fatto si risolva nella lesione ai principi di correttezza ed efficienza della procedura SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Trino, 2000, 129. Una volta provato che il pagamento del creditore ha impedito la soddisfazione di un altro, si attesta che la condotta ebbe luogo in una situazione obiettiva di difficoltà: tanto basta per provare il profilo della preferenzialità, risultando abbastanza opinabile il grado di dissesto che deve connotare lo sfondo della condotta. Indubbiamente la situazione deve esser coeva al momento del pagamento (o dell’impegno ad esso), come risulta dalla necessità della rappresentazione del danno agli altri creditori, imposta dalla struttura del dolo specifico. 231 PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 117; ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, II, Milano, 1993, 86; CONTI, Diritto penale commerciale, II, Torino, 1993, 74, ecc. 232 PERAZZI, I reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 130; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 139. 46 c2) La condotta. a) Bancarotta preferenziale per il tramite di pagamenti (“esegue pagamenti”). E' il caso di gran lunga più frequente. "Pagamento" é qualsiasi forma di estinzione di un debito, attuato con denaro o in natura ("datio in solutum" 233), o a mezzo di compensazione, di novazione oggettiva, ecc. senza limitazione di tipologia. Oggetto può essere il denaro o un bene (ad es. la restituzione di titoli acquistati a credito e non pagati) 234. È riconducibile anche la vicenda estintiva derivata dalla compensazione 235. E’ importante precisare che non è pagamento rilevante ai fini della bancarotta preferenziale: quello effettuato con ricchezza non suscettibile di cadere nella massa fallimentare (art. 46 l. fall.) quello imposto da norma imperativa (ad es. imposte, oneri amm.vi, ecc. 236) ovvero da un ordine del giudice (es. decreto ingiuntivo) poichè in tal caso non è “pagamento” ma adempimento di un dovere 237; quel pagamento contestuale e diretto all’ottenimento di nuove e future prestazioni, poiché non vi é estinzione di una già esistente obbligazione e, dunque, lesione della "par condicio" (convertendosi il denaro nella prestazione): situazione assai frequente poiché il fornitore, conosciuta la precaria situazione economica del cliente, condiziona, di regola, la propria esecuzione del negozio al pagamento immediato (non condotta preferenziale, bensì forse altra ipotesi di bancarotta semplice o reato societario, far sorgere nuovi crediti, ma estinguere vecchi crediti).238 233 Cass., Sez. V, 5.7.94, Rapette, Cass. Pen, 1996, 566. Si discute se il rilascio di titoli di crediti costituisca "pagamento": lo negava una risalente giurisprudenza penale (Cass. 14.12.1982, Cass. pen., 1984, p. 1249). In realtà la giurisprudenza civilistica, aderendo alla pratica commerciale, ha - con indirizzo costante equiparato il titolo di credito al denaro, escludendo caratteri di anormalità al mezzo sia che sia emesso sia che venga girato. Valgono, poi, le regole dettate dall'art. 68 l. fall. per i casi di esenzione dall'azione revocatoria. Al riguardo PAGLIARO, cit., 529, segnala la possibilità che una cambiale è dotata di regime privilegiato ex art. 68 l. fall., sicchè potrebbe ipotizzarsi la simulazione di titolo di prelazione nel pagamento preferenziale attuato con detto mezzo. Pare, tuttavia, che ove non ricorrano condotte di speciale artificiosità, la simulazione non sia proponibile in un titolo che effettivamente porti un credito (dotato di astrattezza nella causa) a favore del beneficiario. 235 ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Milano, 1993, 83, PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 149, SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 133; in giurisprudenza, Cass., Sez. V, 15.4.80, Veronesi, Cass. pen., 1981, 1660. E, per quel che qui maggiormente interessa, la compensazione, disciplinata "ex professo" dall'art. 56 l. fall. (e, quindi, immune da censura penale purchè attuata nei limiti tracciati dalla norma fallimentare e salvo che non ricorra, come si dirà oltre nel testo, simulazione dei suoi presupposti). Dunque, la riduzione dello scoperto di un cliente con il saldo attivo di altro c/c dello stesso cliente non è operazione soggetta a revocatoria e non può, pertanto, considerarsi preferenziale sotto un riguardo penale. 236 Cfr. BRICCHETI/TARGETTI, cit., 78. 237 A mio avviso in questo caso non vi è riscontro di "pagamento", atto libero del debitore e non frutto di adempimento coatto La dottrina è divisa al riguardo, ritenendo che gravi sul debitore l’onere di eccepire al giudice dell’esecuzione la preferenzialità sottesa dalla pretesa coatta:ANTOLISEI, cit., pag. 86; LA MONICA, cit., 295, ecc. anche se, per il vero, è difficile ravvisare questo onere, penalmente sanzionato, in capo al debitore esecutato (cfr., PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 122). 238 Si è affermato (PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 117) che il consenso di tutti i creditori al pagamento di uno solo o alcuni di essi fungerebbe da scriminante alla condotta. Ritengo che tanto sia vero, più che altro per l’assenza del dolo richiesto, mancando la volontà del danno verso il ceto creditorio. Parimenti, quando realmente una banca concordi un piano di rientro nelle proprie pretese o la ristrutturazione del credito, sicuramente la volontà dominante è quella di consentire all’impresa in istato di insolvenza di superare l’”impasse” e di riprendere l’attività onde permettere l’appianamento. Ovviamente, quando in questo accordo non interloquisca un solo soggetto creditore, ma - attesa l’interdipendenza finanziaria, enfatizzata dalla crisi di liquidità - una pluralità di enti o persone, coinvolte nel tentativo di salvataggio, la sincerità degli intenti è più credibile. Ed, allora, non può intravedersi il dolo esclusivamente egoistico dell’art. 216 comma 4 l. fall. Anzi: il “salvataggio” quale scopo delle transazioni assunte è, di per se stesso, un fine incompatibile con lo sfondo del dolo specifico descritto dalla norma. 234 47 Occorre, ancora, precisare che il pagamento deve estinguere il credito effettivo ed esistente. 239 É il criterio oggettivo più semplice per distinguere i casi dell'art. 216 pp. n. 1 dalla bancarotta preferenziale, poiché non mai darsi fraudolenza se la ricchezza uscita dal patrimonio del debitore sia andata ad estinguere una obbligazione reale ed esistente.240 Quando, nell’accordo negoziale (per es. nel presentare altra posizione correlata, da porsi in compensazione, ma in realtà meramente simulata), si dia vita ad apparenti crediti da soddisfare, in realtà inesistenti, l’uscita di denaro non può che collocarsi nell’area della bancarotta fraudolenta patrimoniale, mancandone la giustificabilità. In tutti i casi, invece, in cui sia soddisfatta una pretesa giuridicamente riconosciuta, non vi è spazio che per la preferenzialità, anche se il pagamento risulta moralmente censurabile (es. pagamento di debiti marginali, anzichè gli arretrati di retribuzione ai dipendenti).241 Ed, allora, dovrà parlarsi di distrazione fraudolenta quando il pagamento ecceda la consistenza reale della pretesa, allo stesso modo, non dovrebbero esservi dubbi sulla responsabilità di fraudolenza nella riscossione di un credito prescritto 242. Il pagamento deve creare una alterazione nella "par condicio" e questo non si verifica 243: 239 ANTOLISEI, cit., 85; BRICCHETTI/TARGETTI, CIT., 77. Cas., Sez. V, 7.6.73, Defindati, Giur. Comm., 1975, II, 189. 240 Una situazione particolare è stata diversamente risolta dalla giurisprudenza: si tratta del pagamento di debiti sociali all’amministratore che è effettivo portatore di legittime pretese (e nei limiti della stessa, cfr. Cass. Sez. V, 15.3.99, Franzoni, Guida Dir., 29/99, 82). La SC. ha ricondotto la fattispecie nell’area della fraudolenza invocando il dovere di fedeltà gravante sull’amministratore (Cass., Sez. V, 22.8.2001, Plodari, Guida Dir., 40/2001, 83; Cass., Sez. V, 21.12.99, Patrucco, Riv. Trim. dir. pen. ec, 2000, 476; Cass., Sez. V, 24.4.87, Ritondale, Css. Pen., 1988, 1538, ecc. Più esattamente, nel solco della lettura che non ritiene sussistere distrazione per estinzione di passività esistenti, inquadrano il caso nella preferenzialità sia decisioni della SC. (Cass., Sez. V, 6.12.2000, Santucci, Dir. prat. Soc., 11/2001, 94;Css., Sez. V, 31.1.2000, Sigliano, Dir. prat. Soc, 9/2000, 82 ; Cass. Sez. V, 7.6.73, Defindati, Giur. Comm., 1975, II, 189), sia la gran parte della dottrina, PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, CommentarioScialoja Branca, 1995, 116, CONTI, Manuale di diritto commerciale, II, Torino, 1991, 207, PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957, 115, PERINI DAWAN, La bancarotta fraudolenta, Padova, 2001, pag. 273, ecc. 241 La S.C. che aveva seguito in passato l’orientamento del testo, in materia di soddisfacimento dei crediti dell’amministratore (cfr. ad es. Cass., Sez. V, 7.6.1973, Defindati, Giur. Comm., 1975, II, 189), ha di recente (cfr. Cass., Sez. V, 6.2.1998, Zannoni, Cass. pen., 2001, 295; Cass., Sez. V, 3.1.1987, Ritondale, Cass. pen., 1988, 1538, ecc.) mutato indirizzo, sulla scorta della (non molto convincente osservazione) che nella persona dell’amministratore si confondono la posizione dell’esponente societario, obbligato alla salvaguardia patrimoniale dell’asse attivo, ed il creditore, sicchè la soddisfazione del profilo privatistico dell’obbligazione nuocerebbe agli interessi sociali. Trascurando – così – la circostanza che l’amministratore, portatore di reale credito (chè se esso fosse inesistente o non esigibile, indubbia sarebbe la ricorrenza della fraudolenza), ha diritto all’insinuazione in sede concorsuale della sua pretesa. E che, inoltre, risulterebbero astrattamente parificate le condotte di chi ristora crediti reali da chi si soddisfa senza alcuna giuridica contropartita. La Dottrina è prevalentemente schierata per ravvisare la fattispecie dell’art. 216 comma 4 l. fall.: cfr. COCCO, La bancarotta preferenziale, 1987, pag. 168 e ss.; DE SIMONE, Brevi note a margine della cd. bancarotta preferenziale, Riv. trim. dir pen. ec., 1994, 165, ecc. 242 e, più genericamente, per le pretese assimilabili ad obbligazioni naturali: l'esenzione dettata dall'art. 64 l. fall. (per gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale), infatti, funge da mero limite cronologico alla valutazione di inefficacia. Ma il contesto in cui è collocata la categoria di pagamenti esenti da inefficacia è pur sempre, come titola la rubrica, di atti gratuiti. Come tali, dunque, insuscettibili di giustificare (salvo rigorosa prova contraria) un esborso di ricchezza in termini di interesse dell'impresa. 243 Secondo SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 140, quanto indicato nel testo sub a) e b) risulterebbe di rilievo penale, postochè la violazione della graduazione dei crediti sarebbe stata realizzata e, soltanto per evento esterno alla volontà del debitore ed in un momento successivo alla condotta, si esclude lo spessore lesivo dell’atto. Tesi che, tuttavia, sembra non dar peso al fatto che l’evento dannoso è sempre riferito alla situazione risultante dalla premessa alla procedura concorsuale. L’inesistenza del passivo o il pagamento di creditore privilegiato sono situazioni riflesse ad un periodo coevo all’apertura della procedura, sicchè il dubbio potrebbe soltanto sussistere per quei 48 a) se non vi é insinuazione di alcun creditore o se vi sia integrale soddisfacimento della massa passiva; b) se il pagamento é diretto verso creditore privilegiato (ad es. ipotecario, pignoratizio, privilegio sulla liquidazione di dipendenti, ecc.) senza che si siano insinuati creditori con maggior privilegio o l'attivo consenta il soddisfacimento anche degli altri. 244 c) se il pagamento determina un mero ritardo nella soddisfazione degli altri creditori, senza inadempimento verso costoro 245. Così come, ovviamente, l'estinzione di obbligazioni in epoca successiva al fallimento (ormai chiuso) non vede preferenzialità nel loro pagamento, non ledendosi la "par condicio" di quella massa. Il creditore potrà rivalersi verso il fallito tornato "in bonis" per la parte che non è riuscita a vedere estinta dalla liquidazione e riparto (cfr. art. 120 l. fall.). Per la stessa ragione (e sul punto si tornerà oltre) il pagamento effettuato dal terzo, a favore del debitore che sarà dichiarato fallito, non lede gli interessi della massa (ma anzi, li favorisce). La questione si porrà sull'esistenza di una causa che legittimi quel pagamento ove il pagatore sia, successivamente, dichiarato fallito. Il novero dei pagamenti, con effetti rilevanti per il delitto in esame, è stato decisivamente ridotto dalla riforma dell’istituto dell’azione revocatoria, come dirò subito oltre. b) Simula titoli di prelazione. É la condotta di chi vuol far apparire simulatamente un negozio di concessione di ipoteca o di pegno ovvero una causa negoziale che fruisca di speciale privilegi "ex lege" (cfr. art. 2741 cod. civ.) ovvero situazioni di obiettiva prelazione quale quella che la legge stabilisce al regime dei crediti cambiari 246 ovvero conseguenti alla vendita con riservato dominio 247, ecc. Un comportamento che in sé possiede un connotato di fraudolenza, che se anche focalizzato sul solo momento simulatorio, non può rappresentarsi e volere anche il danno che dall’alterazione possa derivare ai creditori.248 La simulazione deve cadere soltanto sulla garanzia e non sul credito, vertendosi, in tal caso, in fattispecie di bancarotta fraudolenta. La simulazione deve consistere in una attività idonea all'inganno e giuridicamente apprezzabile, tale non essendo la mera dichiarazione del debitore ove manchi qualsiasi riscontro negoziale e documentale. La simulazione esclude il caso della reale esistenza del titolo di prelazione: non rientra nella fattispecie, pertanto, il debitore che conceda reali garanzie o incrementi le stesse verso la pretesa di un creditore, anche se ciò può portare squilibrio per la restante massa. Per questo motivo si tratta di fattispecie di rara applicazione. Risultano – infatti - irrilevanti per la fattispecie penale comportamenti assai frequenti e forieri di altrettanto importanti scompensi del pari trattamento dei creditori. Volendo esemplificare, per il principio di stretta legalità 249, paiono estranei alla figura incriminatrice l'aggravamento di garanzie già prestate, la richiesta di garanzia reale per un credito nato come chirografo, ovvero la callida manovra di ritardo nel richiedere il fallimento del cliente, al fine di "consolidare" la garanzia pagamenti provenienti da fonte esterna al patrimonio del fallito e successivi all’apertura della procedura fallimentare. 244 Si pensi ad es. al privilegio INVIM, superiore alla garanzia ipotecaria e quelli indicati dall'art. 2748/2780 cod. civ. Sulla carenza di rilevanza penale per il pagamento di creditore privilegiato, cfr. Cass. Sez.- 5, 5.7.1991, Martelli, n. 7230. 245 Giustamente così SANTORIELLO, Reati di bancarotta, Torino, 2000, 130. 246 Cfr. PAGLIARO, cit., 529 247 PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 123. 248 cfr.BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1997, 81; 249 Principio che non sembra aver seguito Cass., Sez. V, 23.2.2000 n. 2126, in Dir. e pratica delle società, n.. 11/2000, pag. 91/92. Il ragionamento ruota su un dato pragmatico e di buon senso: il risultato fu quello di sostanzialmente favorire il creditore chirografario. Nessuna differenza, dunque, con chi avesse simulato (nella nozione giuridica), il titolo di prelazione L’accezione della nozione di “simulazione”, pertanto, deve ritenersi lata ed a-tecnica. Argomentazione quanto mai apprezzabile, se non che appare lontana dagli stretti e formali confini dell’interpretazione che deve essere applicata alla legge penale. Esattamente BRICCHETTI , che ha annotato la massima, segnala che, semmai, l’atto preferenziale poteva essere scorto nel pagamento del debito chirografario, più che sul rilascio della nuova garanzia ipotecaria. 49 (art. 67 n. 3 e 4 l. fall.) ovvero il giroconto da un conto non garantito ad altro conto, del medesimo correntista, assistito da garanzia in seno all'affidamento prestato in apertura di credito, ecc. Va, tuttavia, detto che la condotta relativa al rilascio di garanzie non è limitata al solo campo della preferenzialità. La garanzia è, infatti, profilo negoziale che accede ad un credito. Essa, innanzitutto, non ha una sua autonomia concettuale penalistica, ma - rivolgendosi al credito a cui si riferisce - ripete i caratteri di fraudolenza o di preferenzialità a seconda che il credito esista o meno e che la garanzia sia prestata dallo stesso soggetto o da soggetto giuridicamente legittimato a sovvenire il debitore. In tal senso, appare evidente che ove il credito sia simulato, anche la prestazione della garanzia risulta connotata di fraudolenza comportando, con l'avveramento dell'insoluto, un depauperamento privo di causa. Allo stesso modo se la garanzia è prestata per un atto di liberalità di un terzo, il fallimento di quest'ultimo la qualificherà come impoverimento indebito. E, dunque, attuativa di fraudolenza. c5) Il concorso del creditore preferito. Non si tratta di un concorso obiettivamente necessario dell'"extraneus" nel reato proprio, perché non è statuito che la condotta del debitore comporti ineluttabilmente la responsabilità del destinatario del pagamento e, per converso, che senza il concorso consapevole del creditore non sia proponibile l’azione di preferenzialità. Ma, sicuramente, la situazione pone il creditore favorito in un’area di forte sospetto preferenziale, attesa la prassi che raramente vede l’atto del debitore assunto in via assolutamente autonoma e senza alcuno stimolo del creditore.250 Non vi sono, ancora, soverchie perplessità nel tratteggiare il concorso del creditore nell’attività di simulazione dei titoli di prelazione realizzata dal debitore e di cui egli si giova, trattandosi di condotta nin sé connotata da piena consapevolezza di simulazione e di consenso al risultato proscritto dalla norma. 251 Il quesito è di problematica risposta in tema di pagamento, postoché é diritto di chiunque chiedere l'esazione dei propri crediti ed, anzi, l'art. 1186 cod. civ. consente al creditore di esigere immediatamente la sua pretesa ove conosca l'insolvenza. Si é, in presenza, quindi, di una antinomia: quello che la norma civile consente, la legge penale vieta 252. Si deve precisare, purtuttavia, che la norma penale non punisce il pagamento (o la simulazione della garanzia) ma soltanto quello che determini lesione della "par condicio" e che, quindi, per un profilo soggettivo può mancare la consapevolezza nel creditore circa la preferenzialità creatasi nei suoi confronti con la condotta del debitore. Infatti non é prova l'iniziativa del creditore nei confronti del debitore: un semplice ritardo nell'adempimento non significa insolvenza e rappresentazione del favoreggiamento che egli ottenga con quel pagamento. Parte della dottrina 253 e la giurisprudenza 254 hanno risolto la questione, anche avuto riguardo a problemi di economia della prova, nel censurare una condotta particolarmente qualificata di concorso e, cioé, una istigazione o induzione tale da aver determinato o rafforzato la volontà preferenziale del debitore, con la 250 In dottrina si inquadra la fattispecie nei reati naturalmente plurisoggettivi, anche se normativamente descritti come monosoggettivi, ANTOLISEI Manuale, Leggi complementari, Milano, 1993, 181; CRESPI, Il concorso del creditore nella bancarotta fraudolenta preferenziale, in Studi in memoria di Delitala, Milano, 1984, 273. Esclude profilo di necessarietà concorsuale Cass. Sez. II, 13.2.1969, Girombelli, Giust. pen., 1969, II, 1099. La tesi di un reato plurisoggettivo non è è accolta dalla dottrina che più frequentemente ritiene il reato monosoggettivo. Sull’argomento cfr. COLETTA, Bancarotta e responsabilità penale del funzionario di banca infedele per abuso del diritto di compensazione, Cass. pen., 2002, 2961 e ss.; CARRERI, I reati di bancarotta, Milano, 1993, pag. 318; SERIANNI, Il concorso del creditore nel delitto di bancarotta pereferenziale, Riv. it. dir. proc. pen., 1974, 204 e ss.; SANDRELLI, Responsabilità penale della banca nella gestione stragiudiziale dell’insolvenza, Il Fallimento, 1997, 558 e Il reato del banchiere nella formazione dell’insolvenza, IPSOA, 2001, 230 e ss.; STELLA, Insolvenza del debitore e responsabilità penale del banchiere, In Fallimento, 1995, 303 e ss. 251 BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1998, 83. 252 Cfr. SERIANNI, Il concorso del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale ecc., Riv. dir. proc. pen., 1974, 323. 253 PEDRAZZI/SGUBBI, cit. 134, BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1998,. 133. 254 Cfr. ad es. fra le molte, Cass., Sez. V, 22.4.1981, Bura, Cass.pen.1983, 428, Cass. Sez. V, 21.6.1989, De Nile, Cass.pen.1990, 228. É ovvio che i casi di esercizio arbitrario, pressione usuraria, ecc. siano quelli di possibile corresponsabilità nel reato fallimentare da parte del creditore (unitamente alla responsabilità per violazione della norma di diritto penale comune). 50 precisa rappresentazione del contributo fornito alla violazione della "par condicio" o, il che è lo stesso per un riguardo pratico, il ricorso a rimedi che l’ordinamento giuridico non prevede a tutela del credito. Altri autori hanno segnalato che la condivisione, da parte del creditore, del dolo specifico (con la conseguente rappresentazione della tensione finanziaria che domina l’impresa debitrice) che anima il debitore sia momento sufficiente per attestare la responsabilità del percipiente, anche senza la prova di una condotta di pressione qualificata.255 La riforma della revocatoria ed i pagamenti effettuati in periodo di crisi dell’impresa alla luce della bancarotta preferenziale. La par condicio e la sua tutela. E’ legittimo ravvisare una stretta correlazione tra azione revocatoria e fattispecie della bancarotta preferenziale. Per entrambi identico è l’epilogo: una procedura concorsuale. Il che non sta a significare soltanto una coincidenza formale ed esteriore, bensì il riscontro della medesima logica e considerazione giuridica al fenomeno della insolvenza e del concorso dei creditori. Secondo una convinzione assai risalente nel tempo, comune ad entrambi gli istituti è - come si è dianzi detto la tutela dei creditori, anche nella peculiare affermazione della cd. “par condicio creditorum” (con la precisazione che l’area della revocatoria è più estesa, potendo coprire anche aspetti valutati dal legislatore penale come forieri di fraudolenza, cfr. per es. art. 64 l. fall.). Comune, ancora, è l’incombere dello stato, quantomeno, di crisi, al momento del negozio solutorio, avuto riguardo alla meccanica temporale che fissa le soglie dell’azione revocatoria e, parallelamente, la naturale cornice dell’art. 216 comma 3 l. fall., nel cui contesto soltanto è possibile ipotizzare un pagamento di un debito da parte dell’imprenditore il quale quasi automaticamente sottragga effettive risorse per la soddisfazione di altro creditore. Esiste, cioè, una lineare continuità tra l’azione che dichiara la inefficacia dei pagamenti e la condotta che contempla il pagamento illecito perché preferenziale, anche se non esistente, ovviamente, stringente equazione tra presupposti dell’azione revocatoria e ed il privilegio indebito del creditore. A suggello dell’analogia stava, prima della riforma di cui è discorso, la coeva ideazione della normativa civilistica, e penalistica, sicchè quest’ultima era modellata in maniera compatibile e sovente complementare alla prima. A conferma dell’assunto qui esposto sta la più autorevole Dottrina che legge nella fattispecie penale il completamento della tutela che disciplina la revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori (cfr. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, Giuffrè, II, 82 e ss.; MANGANO, Disciplina penale del fallimento, 70; LA MONICA, Diritto penale commerciale, I, 290; ecc.). Orbene, se con il “vecchio” testo era possibile richiamarsi al profilo dell’art. 67 l. fall. per leggervi i tratti di pagamenti che, oggettivamente, pongono a repentaglio la soddisfazione concorsuale della massa creditoria, eppertanto, sono ridotti “ex lege” all’inefficacia, assonanza oggettiva che la norma penale selezionava a mezzo della peculiare e complessa struttura del dolo (prospettato come dolo specifico, con riguardo al privilegio procurato al creditore favorito e, tuttavia, anche comprensivo della rappresentazione del danno dei residui creditori), oggi è più difficile prospettare la stessa analogia. Ma il quadro che, a mio parere, si offre all’esame abbisogna di articolata considerazione. a) La riduzione del cd. “periodo sospetto” La modifica dell’art. 67 l. fall. contempla una riduzione del periodo di tempo cd. ”sospetto”, quell’area cronologica, cioè, entro la quale è possibile sancire l’inefficacia (a mezzo dell’apposita azione di revocazione) dei pagamenti effettuati dall’imprenditore (che poi si manifesterà) insolvente. Si tratta di una forte delimitazione cronologica che certamente riduce assai la potenzialità dell’azione revocatoria. Non ritengo tuttavia - che, al riguardo, possa affermarsi l’alterazione dell’area di potenzialità punitiva descritta dall’art. 216 comma 3 l. fall., bensì suppongo che determinerà un fenomeno piuttosto inconsueto per il nostro ordinamento: si accrescerà la sfera penale che punisce i pagamenti preferenziali, anziché allinearsi al più mite regime civilistico, come probabilmente avrebbe voluto l’intento legislativo. Infatti, la riforma ha forse reso di rarissima applicazione il rimedio civilistico, ma, la lettera della nuova norma non ha, contemporaneamente, ristretto l’oggettiva fattispecie della bancarotta preferenziale. L’autonomia concettuale della fattispecie incriminatrice esalta, quindi, la differenza delle situazioni oggettive (anche volendo prescindere dal peculiare elemento soggettivo). Per il penalista restano, infatti, immutati i parametri di riferimento per affermare la ricorrenza dell’art. 216 comma 3 (223 comma 1) l.fall., e, dunque: 255 Cfr. ad es. ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Milano, 1993, 85; CONTI, Diritto penale commerciale, II, Torino, 335; PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, 1957, 162. 51 - il pagamento che tende a favorire (a scapito della massa) il creditore, in qualunque momento esso intervenga; - la corretta rappresentazione e volontà del debitore/imprenditore; - la successiva dichiarazione di insolvenza. Potrà, quindi, darsi che l’azione del giudice penale – attesa la restrizione del periodo civilisticamente sospetto - si sviluppi debordando dalle presunzioni civilistiche e potranno essere penalmente sanzionati fatti che civilisticamente non sono, per espressa limitazione normativa, resi inefficaci quali sintomo o riscontro di preferenzialità civile. Sìcchè, per questa via, la sfera penalistica eccede, superandola, la protezione civile assegnata al fenomeno da nostro ordinamento. Non si tratta di osservazioni astratte. E’ del tutto logico presumere che nell’anno anteriore al fallimento (così essendo ridimensionato il periodo sospetto per alcune ipotesi del nuovo art. 67 pp. l. fall.), soprattutto se la dichiarazione di insolvenza segua una condotta dilatoria del debitore o una accorta strategia di ritardo nella istanza di fallimento (finalizzata al consolidamento di privilegi) da parte del creditore, sia già maturata la tensione finanziaria che contrassegna la preferenzialità l’atto estintivo di debito scaduto, con mezzo di pagamento inusuale (tutto ciò, per tacere della più severa lettura che rileva nella soddisfazione di debito sprovvisto di tutela giuridica, come quello scaduto, i tratti della fraudolenza). Allo stesso modo il lasso di sei mesi dal fallimento è ambito assolutamente compatibile con l’indebita preferenzialità verso il creditore soddisfatto nei pagamenti di atti a titolo oneroso (sempre che, in alcuni casi, sia materialmente possibile pervenire alla dichiarazione giudiziale dopo sei mesi dall’istanza del creditore e – quindi – concretarsi la possibilità di azione revocatoria). Ma questa maggior potenzialità dell’intervento penale non sembra in sé avvertita dal legislatore riformatore e pare piuttosto una causale conseguenza non del tutto soppesata, soprattutto da chi invoca la riduzione dell’intervento repressivo rispetto alla disciplina dei rapporti fra privati. Ed, invero, riesce francamente ostico immaginare la permanenza della punibilità di un imprenditore per fatti solutorî che non rappresentano alcuna patologia di ordine negoziale. L’esclusione della proponibilità dell’azione per alcune tipologie di pagamento o di concessione di garanzie. Ben diversa è la considerazione delle novità relative all’art. 67 comma 3° l. fall. Qui il legislatore ha disposto una testuale esenzione dall’azione revocatoria rispetto ad atti solutori (o a concessione di garanzie) effettuati dall’imprenditore che, successivamente si vedrà sottoposto a procedura concorsuale. In prima approssimazione, proprio per la richiamata autonomia dispositiva della norma penale dall’ordinamento civilistico, potrebbe rilevarsi la sostanziale indifferenza della nuova regolamentazione nei riguardi dell’art. 216 comma 3 l.fall. Pertanto a questo riguardo il discorso è difficile e le osservazioni che seguono vengono svolte con una qualche esitazione, per una meditazione non garantita da alcuna certezza. D’altra parte la disorganica attività normativa di questi tempi non permette una lineare riflessione dogmatica e non deve fare stupore che sia lecito desumere la modifica del contenuto di una disposizione incriminatrice (che, tuttavia è posta a tutela delle ragioni creditorie) dalla riforma dell’azione civilistica (a difesa delle medesime ragioni creditorie). Ritengo che questa parte della riforma - nel momento in cui esclude l’inefficacia degli adempimenti delle obbligazioni, elencati e tipicizzati in guisa oggettiva dal “nuovo” art. 67 comma 3° l. fall., sottraendoli alla revocazione - elimina questi atti dalla sfera della violazione giuridicamente rilevante, anche con riguardo alla tutela della “par condicio” dei creditori. Atti estromessi, conseguentemente, dalla sfera oggettiva della norma penale (che tradizionalmente, come ho detto, si identifica con la tutela della “par condicio creditorum”). Una obiezione a questa impostazione (chiaramente connotata da taglio pragmatico) potrebbe sottolineare la intrinseca illegittimità del pagamento preferenziale e che l’azione revocatoria non è l’unico presidio a tutela della “par condicio”, trovandosi censura allo stesso anche al di fuori di essa. La modifica del supporto fallimentare non farebbe decadere l’autonoma disciplina penale (che mai menziona a “par condicio” tra i suoi elementi costitutivi). Ribadito che il discorso attiene alla vicenda concorsuale, disciplinata dalla legge fallimentare sia per quanto attiene all’azione revocatoria sia, soprattutto, per la bancarotta preferenziale (che da essa è riempita di ogni contenuto e che, fuori da essa non rinviene alcun autonomo significato), è sicuramente vero che la compressione subita dall'azione revocatoria non incide in sé sulla liceità del comportamento del debitore che attui un pagamento preferenziale, quanto, piuttosto, nel sottrarre lo strumento a disposizione del creditore per sua la tutela. Ma è anche certo che se - come ho cercato di rammentare - la protezione penale dispiegata dall’art. 216 comma 3° è verso la cd. “par condicio creditorum”, la esclusione (e non la semplice riduzione) dell’unica azione prevista (in sede concorsuale) per i creditori in relazione a determinate e tipicizzate ipotesi solutorie, si traduce nell’assenza della potenzialità offensiva di siffatte condotte (da parte 52 dell’imprenditore assoggettato a procedura concorsuale), il rilevare una astratta possibile antigiuridicità non mi pare di effettiva utilità interpretativa. In altri termini, non mi riesce facile identificare altra normativa invocabile nel contesto della concorsualità a presidio del privilegio del creditore da parte dell’imprenditore dissestato e, più esattamente, trovare quel referente normativo che colori di illecito lo “scopo di favorire” il creditore, posto che ogni pagamento “in sé” favorisce il destinatario. Tale non è la revocatoria ordinaria di cui all’art. 66 l. fall. che – richiamandosi alla disciplina della revocatoria ordinaria – trova applicazione – secondo la più accreditata opinione alla concessione di garanzie, condotta esterna alla lettera dell’art. 216 comma 3 l. fall., o al pagamento del debito scaduto, comportamento che pare inquadrabile nell’area della fraudolenza piuttosto che in quella della preferenzialità. Soprattutto, non mi pare che l’eventuale nullità riconducibile alla generale previsione dell’art. 2741 cod. civ. possa permanere a presidio del pagamento dell’imprenditore dissestato e soggetto a procedura concorsuale, a fronte della specifica e peculiare normativa che è stata disposta, in chiave di inefficacia e non di nullità, dagli artt. 67 e ss. con riguardo specifico a detta procedura. Nè, infine, risulta applicabile una superiore disposizione di rango costituzionale (in termini di equitativa parità di trattamento? o di tutela economica?) immediatamente precettiva. Non è azzardato - allora - concludere (sia pure con le esitazioni che questo percorso ermeneutico, un po’ sbilenco, movendo dall’azione della revocatoria per definire il contenuto della norma incriminatrice) che sottraendo l’azione al curatore, il legislatore ha anche eliminato l’obiettiva antigiuridicità dei pagamenti tipicizzati all’art. 67 comma 3 l. fall. che, in quanto immuni da inefficacia e non più suscettibili di contestabile soddisfazione per il creditore, non possono più a nessun titolo rappresentare una patologia rilevante ex art. 216 comma 3 l. fall. In sostanza - pur in presenza di condotte che realizzano un privilegio per alcuni creditori e pur attuate in un contesto di tensione finanziaria del debitore – la riforma ha espressamente creato una deroga alla normativa che consentiva alla procedura concorsuale di ovviare agli effetti dannosi per la massa derivati dal pagamento ed al giudice penale di ritenere l’imprenditore responsabile del detto pagamento (con l’eventuale concorso del beneficiario, a condizione di una sua istigazione qualificata). Osservazioni che pesano anche nell’accertamento dell’elemento soggettivo sostanziato nell’intento di illecitamente favorire (fine specifico) il proprio creditore. Del resto, così come alla legge è affidata l’indicazione dei crediti muniti di privilegio la cui soddisfazione, per definizione, non implica né inefficacia nè, correlativamente, illecito penale, allo stesso modo non sembra così anomalo (anche se meglio sarebbe stato un espresso intervento limitativo sulla norma penale del tipo “non è punibile il fallito che esegue i pagamenti indicati dall’art. 67 comma 3°…”) la sottrazione, disposta dalla legge, di questi atti solutori dalle premesse della fattispecie criminosa. Il risultato a cui perviene la modifica dell’art. 67 comma 3° l. fall. si riflette non già in funzione di esimente della condotta del fallito, bensì sulla connotazione anti-doverosa del “pagamento” operato dall’imprenditore in difficoltà e che favorisce il destinatario, da lui eseguito. Un’area di illiceità che viene tipologicamente ristretta dalla esenzione dettata dalla nuova legge. Né, per il vero, questo risultato deve apparire così strano: in tutta la normativa penal/fallimentare gli elementi costitutivi delle figure di reato dipendono dalla nozione risultante dalla disciplina fallimentare (si pensi alla nozione di imprenditore, di fallito, dei suoi beni, di passività, di scritture contabili, di bilancio, di dissesto, di titoli di prelazione, ecc.) La modifica della relativa fisionomia altera necessariamente il profilo della previsione incriminatrice. Infine, opinare diversamente riesce sicuramente andare nel senso opposto alla intentio legis, esito che – per il vero – l’attuale scoordinamento legislativo giustificherebbe ma, soprattutto, determinerebbe una incomprensibile iniquità per l’imprenditore che, per esempio, abbia allestito un piano di risanamento, abbia concluso accordi di ristrutturazione, abbia cercato di seguire il presente “trend” normativo propiziatore del risanamento ed ostile alla drastica soluzione fallimentare e che poi si veda (egli soltanto e non i beneficiari dell’operazione) condannato per la preferenzialità (con la possibilità che il Curatore si costituisca nel processo parte civile ed ottenga quello che il giudice fallimentare non gli può riconoscere)! Ovviamente, quale deroga alla generale disciplina, si tratta di esenzione esattamente plasmata sui confini della lettera del “nuovo” art. 67 l. fall. Dunque la norma non potrà esser oggetto di interpretazione estensiva o analogica, nel rigido rispetto delle priorità esplicitamente statuite dal legislatore. Un’ultima osservazione: ove si acceda alla impostazione descritta ed in assenza di un espresso regime transitorio, la modifica normativa non risulta foriera di una abrogazione rilevante ex art. 2 cod. pen. per la condotte anteriori all’entrata in vigore della riforma. Infatti, non già la norma penale è stata variata, bensì una componente ad essa esterna, di natura extra-penale e non direttamente integrativa della fattispecie, sì che non mi pare davvero ipotizzabile la sua retroattiva efficacia liberatoria, per l’epoca anteriore all’entrata in vigore del decreto legge (di poi convertito, sul punto, senza modifica). Si tratta, cioè, di una successione di norme 53 integratrici del precetto penale le quali, pur influendo sulla punibilità della condotta, non sono espressamente richiamate dalla norma penale né risultano assumere in essa una funzione costitutiva o concorrente ad individuare la struttura essenziale della fattispecie astratta. c6) Elemento soggettivo della bancarotta preferenziale. La norma prevede la volontà di favorire taluno, quale dolo specifico (“a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi”), accompagnata dall'accettazione dell'eventualità del danno verso la restante massa creditoria: una forma composita di volontà 256. Il suo contenuto, come già si è detto, si presenta, all’indomani dlela riforma dell’azione revocatoria, sicuramente più nitido, venendo escluse espressamente le condotte connesse ai tentativi (ovviamente, non andati a buon fine, attesa l’insorgenza della procedura concorsuale) di risanamento dell’impresa e di ristrutturazione delle pendenze. La determinazione esatta dell'elemento soggettivo é essenziale per circoscrivere una fattispecie penale che ha una potenzialità, quanto all'ipotesi dei pagamenti preferenziali, di applicazione estesissima che, ove non corretta da logica lettura, porta a risultati assurdi. Infatti, la rappresentazione dell'alterazione della "par condicio" non può che comportare la prospettazione di una procedura concorsuale e, quindi, la consapevolezza di una prossima o inevitabile dichiarazione di fallimento. Invero, la rappresentazione che il pagamento di un creditore impedisca o limiti assai il soddisfacimento di altri, non sta a significare – implicitamente – la coscienza di una situazione di tensione finanziaria sostanzialmente prossima alla crisi irreversibile (salvo apporti esterni) e, dunque, la consapevolezza di un quadro certamente patologico. Sicchè, a ben vedere, il quadro di un possibile danno ai creditori è – in questa situazione – sostanzialmente immanente. Ciò che, invece, riesce più problematico e nient’affatto scontato è l’esistenza di un effettivo intento di favorire un solo (o pochi) creditore e non – indirettamente – anche gli altri. Invero, la prova sull'elemento soggettivo deve rigorosamente rappresentare una volontà di favoreggiamento del creditore (o di un piccolo novero), circostanza che - seguendo la più avvertita giurisprudenza 257 - non si verifica ove l'imprenditore agisca nell'intento di allontanare la procedura fallimentare, cercando respiro nella difficile crisi finanziaria, nell'ottica di provvedere al pagamento di tutti i creditori, una volta superata la difficoltà (purché questo convincimento sia rigorosamente dimostrato 258). Basti tenere presente la quotidiana prassi di preferenzialità insita nell'abbandono dell'istanza di fallimento (sovente davanti al tavolo del giudice che interpella il fallendo) da parte del creditore, per valutare la irragionevolezza di una incriminazione estesa che potrebbe paralizzare la ricerca della soluzione di ogni crisi aziendale. In realtà, nella prassi giudiziale, questa prova discende dalla dimostrazione di ragioni concomitanti, esterne alle logiche di impresa, che rendono il preferito persona co-interessata al debitore, per es. un parente, un amico, un socio in altro affare, un finanziatore del fallito ma in altre sue attività, ecc. 259 256 Dottrina prevalente: ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Milano, 1993, 88; CONTI, Diritto penale commerciale, II, Torino, 25; LA MONICA, cit, 324; COCCO, La bancarotta preferenziale, 1987, 223 e ss.; NUVOLONE, cit., 242, BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1997, 81; ecc. Giurisprudenza costante. Cfr. fra le molte, da ultimo, Cass., Sez. V, 22.8.2001, Apicella, Guida dir. 41/2001, 93, Cass. Sez.V, 15.4.1998, Calabro, Cass. pen., 1999, 1957 (fattispecie di vendita dell’unico immobile societario, al fine di soddisfare la pretesa di uno solo dei creditori), Cass., Sez. V, 15.4.1998, De Stasio, Cass. pen., 2001, 289; Cass. Sez. V, 10.9.1998, Bertoni, Cass. pen 2001, 289; Cass. Sez. V, 28.5.1991, Martelli, riv. trim. dir. pen. ec., 1991, 1235, ecc. Ritiene, al contrario, un dolo diretto di danno, PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 124 257 La Giurisprudenza della SC. ha, da ultimo, accolto la convinzione che la volontà di pagamento, tesa alla ripresa dell’attività d’impresa e con la seria convinzione di pervenire ad un soddisfacimento di tutte le pendenze debitorie, non realizzi il dolo specifico della preferenzialità, cfr. Cass., Sez. 5, 24.6.1992, Accardi, riv. trim. dir. pen. ec., 1993, 1182; Cass., Sez. V, 16.6.1985, Oddi, Cass. Sez. V, 19.3.1982, Zanca, Giust. pen., 1983, II, 358; Cass. pen., 1987, 322; Cass., Sez. V, 3.7.1973, Venditti, Cass. pen. 1974, 2081, ed innovando, invece, relativamente ad es. a Cass., Sez. 5, 30.5.1979, Brandinelli, Cass. pen. a pag. 1464 e, pur non escludendo in linea astratta la possibile ricorrenza, nel caso concreto di volontà di illecita preferenza, Cass. Sez V, 31.1.2000, Sigliano, Dir. prat. soc., 9/2000, 82, Cass. Sez.V, 27.9.1984, Massarutto, Giust. pen., 1985, II, 625 258 cfr. BRICCHETTI/TARGETTI, cit., 82; PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 122. 259 Si conoscono i casi del pagamento dei debiti garantiti da persona amica al fine di liberare questa dal gravame di garanzia. Si ipotizza, ancora, il caso dello stesso imprenditore che – per il tramite di 54 d) L’art. 222 l. fall.: il fallimento del socio illimitatamente responsabile. Nel caso di socio illimitatamente responsabile in seno alle società collettive o alle accomandite di persone 260 , la persona che viene dichiarata fallita a mente dell’art. 147 l. fall., anche se priva della qualità di imprenditore 261. Persona, dunque non propriamente collocabile nel novero dei soggetti della bancarotta propria ma non necessariamente inseribile nel novero degli “amministratori” di cui all’art. 223/224 l. fall., la appartenenza del bene determina la configurazione della bancarotta propria, ove i beni appartengano (“suoi beni”) al suo patrimonio (art. 222 l. fall.) o impropria, se essi siano della società, concorrendo la qualifica di amministratore (art. 223 l. fall.) 262 Di qui, secondo prevalente opinione, la funzione dell’art. 222 l. fall. di estensione della norma penale/fallimentare, operazione che – altrimenti –sarebbe stata resa impossibile dalla carenza del requisito di imprenditore. 263 Qualità, al tempo stesso, sancita dal giudice fallimentare in seno alla dichiarazione di insolvenza e che, tuttavia, nella recente lettura della giurisprudenza dell’art. 3 cpp. (v. retro quanto affermato al riguardo) dovrebbe ritenersi valutabile, anche in senso difforme dal giudice penale.264 Parimenti, seguendo questa lettura processuale, la sussistenza di residue obbligazioni in capo al socio receduto o escluso, al momento del suo allontanamento dall’organismo societario, momento fondante della responsabilità dell’imputato di bancarotta, potrà essere oggetto di autonoma valutazione del giudica penale, riguardando l’oggetto e la condotta dell’autore del fatto. Secondo altri, si avrà l’applicazione dell’art. 222 l. fall. quando il soggetto non abbia svolto effettivamente attività gestoria, diversamente egli risponderà dell’art. 223 l. fall. (per i beni sociali, ferma restando l’illimitata responsabilità per i beni personali). 265 Tesi che si impone per la fattispecie interposizione fittizia – sgravi l’interponente dalla responsabilità debitoria, per un diretto e personale tornaconto. 260 Sono escluse dalla norma le posizioni dei soci di soc. in accomandita per azioni, secondo la prevalente dottrina, cfr. ANTOLISEI, Manuale Leggi complementari, 1993, 137; LA MONICA, Manuale di diritto penqale commerciale, Milano, 1993, 439, CONTI, Diritto penale commerciale, II, Torino, 1991, 198, SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 282, ecc. Nel contesto dell’art. 222 l.fall., invece, è compreso anche il “socio di fatto” di una impresa (apparentemente) individuale, poiché la situazione dà vita ad una società irregolare disciplinata con le regole proprie delle soc. in nome collettivo. Cfr. PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 244; CARRERI, cit., 208 e ss.; sul punto la giurisprudenza è costante: Cass., Sez. V, 23.5.69, Giur. It., 1971, II, 72; Cass., Sez. V, 5.2.1968, Cass. Pen., 1968, II, 969, ecc. Altra ipotesi è quella dell’accomandante ingeritosi nella gestione sociale: la dichiarazione di fallimento in proprio estende a costjui la veste di socio illimitatamente responsabile; diversamente, opererà, con riguardo all’art. 223 l. fall., la figura di amministratore di fatto, cfr. Cass., Sez. V, 29.9.1983, Totano, Riv. pen., 1984, 648; Cass., Srez.V, 1.12.1994, Menabò, Cass. Pen., 1994, 2546, ecc. 261 Nei casi di procedure liquidatorie, la riforma dell’art. 203 l. fall. attuata dal d. lg. 8.7.1999, n. 270, ha semplificato assai la materia ed i dubbi che vi erano in tema di responsabilità dei soci ex art. 222 l. fall., estendendo ad essi la parificazione dell’imprenditore individuale. Essi, pertanto, rispondono anche in relazione alla distrazione dei beni personali. Sul punto, prima della riforma, v. per tutti la rassegna in CONTI, I reati fallimentari, 1981, 413 e ss. 262 E’ diffuso convincimento che l’art. 222 l. fall. serva a colmare una lacuna sistematica derivante dalla peculiare figura di questo fallito. Pertanto la disposizione attiene all’area della bancarotta propria, mentre le condotte lesive del patrimonio societario dovrebbero ricondursi all’area della bancarotta impropria. Così ANTOLISEI, cit., 140; PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 243, MANGANO, cit., 90, ecc. In giurisprudenza: Cass., Sez. V, 7.2.1994, Cumani, Cass. Pen., 1994, 2542; Cass., Sez. V, 1.2.1994, Santopietro, Cass. Pen., 1994. 263 PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 241; MANGANO, Disciplina penale del fallimento, Milano, 1993, 74, ecc. 264 Argomento che risulta di estremo rilievo nelle frequenti ipotesi di estensione del fallimento al “socio di fatto” dell’imprenditore apparentemente individuale. 265 cfr. CONTI, cit..210, fa dipendere dalla mansione amministrativa anche la responsabilità ex art. 223 l. fall., sia o meno esistente in capo al socio illimitatamente responsabile, salva, in ogni caso, la previsione dell’art. 222 l. fall. per il comparto afferente al patrimonio personale,. E’ opinione concorde, in ogni caso, che il socio illimitatamente responsabile è tenuto a rispondere penalmente per entrambi i pregiudizi, verso i creditori sociali e per i creditori personali: cfr. Cfr. CONTI Dir. pen. 55 dell’accomandita per azioni non espressamente considerata dalla norma (e che diversamente non rinverrebbe disciplina punitiva), poiché egli è di diritto amministratore dell’organismo e per il quale la responsabilità ha riferimento alla sola bancarotta impropria.266 E’ ritenuto che la penale responsabilità del socio illimitatamente responsabile possa affermarsi soltanto con riguardo ad alcune fattispecie di bancarotta: non potrebbe, per esempio, imporsi l’obbligo della tenuta della documentazione a chi, come il socio “non imprenditore” o “non amministratore”, non è tenuto al dovere documentale per il movimento degli affari del suo patrimonio.267 Richiamo quanto detto dianzi: la consumazione del delitto per il socio dipende dalla propria dichiarazione di fallimento, non da quella relativa alla società. 268 e) La bancarotta fraudolenta impropria (art. 223 l. fall.) e1) Premessa. I soggetti. All’inizio ho segnalato che la nozione di questa figura di reato – a fronte della bancarotta propria - ruota sulla diversa titolarità dei beni, oggetto materiale del reato, rispetto al soggetto attivo. Così i beni e la documentazione appartiene ad una società. 269 L’autore del delitto agisce quale delegato dell’organismo, sia egli amministratore sia institore. E, dunque, occorre innanzitutto indicare i soggetti. Essi sono indicati gli amministratori (ovviamente anche quelli “di fatto”), i direttori generali 270, i sindaci 271 , i liquidatori di società dichiarate fallite (o, per l’estensione dell’art. 236 comma 2 n. 1, ammesse a procedure comm., II, 46/48; LA MONICA, Dir. pen. comm., 420 ; ROVELLI, Disciplina penale dell’impresa, 234. In tal senso anche ROCCO DI TORREPADULA, cit. Cass. pen., 12.2.1968, Giust. pen. 1968, II, 694; Cass. pen., 18.12.1970, Giust. pen-., 1971 II, 826 e, soprattutto, Cass. 12.3.1987, Riv. trim. dir. pen. ec., 1988, 940. 266 Può essere interessante segnalare (anche se l’argomento ha ormai perso di attualità) che Cass., Sez. V, 7.11.2004, Pianelli, n. 44588, ha ritenuto che si abbia penale responsabilità in seno alla procedura della legge 95/79 (cd. Legge Prodi) anche nel caso che l’accomandatario distragga o occulti beni personali. Decisione che ritiene sottesa all’art. 203 l. fall. (a cui la norma speciale rinvia) la fattispecie di anche distrazione di beni del proprio patrimonio e non soltanto di quello societario. I dubbi interpretativi al proposito sono fugati dalla riformulazione portata dall’art. 95 del D. L.vo 270/99 (confermato dalle riforme successivamente intervenute nel settore della amministrazione straordinaria della grandi imprese in crisi). 267 ANTOLISEI, cit., 141; LA MONICA, cit., 383. Cass. Sez. V, 18.11.1980, Zibetti, Cass. Pen., 1982, 1070; Cass., Sez. V, 8.2.1978, Frascarelli, Riv. Pen., 1978, 426; ecc, 268 Cfr. da ultimo Cass., Sez. V, 19.3.99, Ballerini, Cass. Pen., 2001, 298. Dal che discende che l’amnistia potrà estinguere i delitti afferenti alla dichiarazione di fallimento della società, ma non quelli connessi alla dichiarazione individuale del socio, ove essa intervenga in un momento esterno e successivo al provvedimento di clemenza. La C. Cost. ha ripetutamente escluso profili di irragionevole disparità di trattamento nella previsione normativa che rende autonome le vicende fallimentari di soci e di società: cfr. C. Cost. 27.6.72, n. 110, Foro It., 1972, I, 1902; C. Cost. 27.7.82, n. 146, Foro It. 1982, I, 3006, ecc. In Dottrina, DI AMATO, Diritto penale dell’impresa, Giuffré, 1995, 183; PEDRAZZI/SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 253; CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 66; PADOVANI, Bancarotta semplice documentale del socio occulto ed amnistia, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, p. 686; CONTI, I reati fallimentari., Utet, 1991, 139; GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Giuffré, 1991, 17. 269 La premessa è, dunque, la dichiarazione di insolvenza di una società di capitali, non di altre forme associate, come fondazioni, associazioni, ecc. 270 Non vi è stata espressa estensione nella norma della riforma portata dalla legge 262/05 cd. “sul risparmio” che ha creato la nuova figura dei “dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari”: il divieto di analogia esclude che si possa ritenere compresa questa categoria nel novero soggettivo della bancarotta impropria. Tuttavia, avuto riguardo alla generale nozione di direttore generale l’espressione “preposto” consente di inquadrare nella detta categoria questo nuovo soggetto. In ogni caso può soccorrere lòa fattispecie dell’art. 110 cp. 271 Nulla è detto, per il succedersi delle riforme nel tempo, tra loro scoordinate, circa la responsabilità dei “dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari”, figura introdotta dalla legge 262/05; ma la disposta parificazione alla responsabilità degli amministratori, li inserisce nel naturale novero dei soggetti propri della fattispecie. 56 “minori” o speciali, a seguito delle dichiarazioni di insolvenza su cui si è dianzi discorso) nonché, in forza dell’art. 227 (e art. 236 comma 2 n. 2), l’institore.272 Non è contemplata l’indicazione del curatore o del Commissario, pur essendo egli potenziale concorrente del debitore (per lo più in condotte di bancarotta post-fallimentare). La responsabilità di questo organo (pubblico ufficiale) è disciplinata dagli artt. 228 e ss. l. fall. e dall’art. 96 D. Lvo 270/99.273 Ovviamente l’apporto al risultato illecito può variare di volta in volta: è, però, certo che esso si attaglia soprattutto alla funzione svolta da ciascun soggetto societario. Per es. i sindaci potranno più facilmente rendersi responsabili del delitto mediante una omissione rispetto ai loro doveri di vigilanza. 274 Così come è certo che la responsabilità si focalizza al soggetto che, al momento dell’azione, riveste la qualità “propria”, non alla data della dichiarazione di insolvenza: discorso che, tuttavia si appalesa astratto, per i più ricorrenti casi di prova della distrazione fraudolenta che, come dianzi detto, spesso ha carattere induttivo e sovente non riesce a collocare temporalmente il maturare del disavanzo ingiustificato. Al riguardo l’accertamento deve esser severo e non ancorato a presunzione di sorta (e per il quale l’onere dimostrativo a carico dell’inquisito - seguendo l’indirizzo giurisprudenziale sopra descritto - non ha vigenza) 275. Le dimissioni dalla carica non escludono responsabilità per pregressi illeciti. La presenza di organi collegiali fa sì che, per quanti non siano diretti artefici dell’azione illecita, sussista pur sempre la possibilità di penale responsabilità in forza dell’art. 40 cpv. cod. pen. (avente come parametro gli artt. 2392 per amministratori e direttori generali, art. 2407 cod. civ. per i sindaci) nei confronti dei colleghi autori del fatto.276 e2) La struttura dell’art. 223 l. fall. L’attuale testo della norma presenta la seguente ripartizione, una volta elencati i soggetti qualificati a cui si riferiscono le figure criminose, - comma 1: che dispone rinvio ai fatti penali descritti dall'art. 216 l. fall. (bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e bancarotta preferenziale); - comma 2 n. 1: La fattispecie è stata significativamente modificata dall’art. 4 del d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61 che ha tentato di creare un espresso collegamento eziologico tra condotta e fallimento. 272 Nel caso di fusione tra società per incorporazione, suscettibile di responsabilità penale è il soggetto della società incorporata entro un anno (cfr. art. 10 l. fall.) dalla cessazione delle relative attività di gestione, secondo Cass. Sez. V, 14.11.2002, Palatesi, n. 38230. Per il vero, attesa la consequenzialità causale nella lesione dell’interesse tutelato (la garanzia per i creditori) non pare del tutto corretto porre limitazioni cronologiche alla fraudolenta diminuzione dell’asse attivo, in assenza di espressa previsione penale, quando l’esito del comportamento illecito si rifletta quantitativamente nella insolvenza dell’organismo frutto di fusione. 273 Cfr. di recente Cass. Pen., Sez. V, 4.3.2003, IDEP SA., n. 20076. 274 Cfr. CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 244 e ss.; PEDRAZZI/SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Comm. Scialoja Branca, 1995, pag. 286 e ss.; STELLA/PULITANO’, La responsabilità penale dei sindaci nelle società per azioni, Riv. trim. dir. pen. ec., 1990, 569, ecc. In giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. V, 21.11.1989, Piras, Cass. pen., 1991, I, 2046; Cass. Sez. V, 26.6.1990, Bordoni, Riv. trim. dir. pen. proc., 1991, 262; Sez. Sez. V, 28.1.1991, Cultrera, Cass. pen., 1991, I, 1850. Cass., Sez. V, 14.7.12998, De Benedetti, Cass. pen., 1999, 651 e ss., ha affermato che l’obbligo i vigilanza non si esaurisce nel controllo formale del dato contabile o documentale ma, nei limti dell’art. 2407 cod. civ., deve estendersi anche al merito, nel senso del vaglio di legittimità; così anche Cass., Sez. V, 26.6.1990, Bordoni, Cass. pen., 1991, 828 e ss. Sul ruolo dei Sindaci ALESSANDRI, Voce Impresa, Dig. pen., Vol. VI, Utet, 1992, 193 e ss.; ROSSI VANNINI, La responsabilità degli amministratori e dei sindaci, Trattato di diritto commerciale a cura di Galgano, Cedam, 1994, 305 e ss., CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 244 e ss. 275 Cfr. al riguardo SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 153. 276 Importante è per gli organi collegiali la delega di funzioni ched riesce liberatoria per il delegante quando questi – oggettivamente impossibilitato a controllare l’intero comparto gestorio della società – abbia fornito il delegato (persona capace e competente) sia di strumenti cognitivi, sia di mezzi economici e giuridici per opporsi e rimediare alle eventuali condotte anti-doverose. Cfr. LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 158. 57 La norma punisce chi ha cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile 277. - comma 2 n. 2: che descrive una fattispecie connotata da dolo preordinato o da “operazioni dolose”. e3) Comma 1°. Il rinvio ai fatti descritti dall'art. 216 l. fall. Non vi sono seri problemi in merito al rinvio delle fattispecie obiettive, salvo che: - qualche difficoltà nella pratica può ravvisarsi nell'addebito ad alcune categorie di soggetti di quelle condotte, soprattutto con riferimento ai sindaci i quali non hanno potestà dispositiva e di gestione (salva l'eccezionale ipotesi dell'art. 2386 uc. cod. civ.), ma di vigilanza e di controllo, per cui ad essi sarà maggiormente ascrivibile (salva la prova di un concorso ex art. 110 cod. pen.) una responsabilità per omesso controllo ex art. 40 cpv. ovvero se siano attribuiti mansioni di amministratori di fatto.278 la notazione “suoi beni” deve intesa come beni della società o del preposto all’institore; analogamente può dirsi la documentazione contabile e per i crediti preferenzialmente soddisfatti. e4) Comma 2 n. 1 : la bancarotta da reato societario. Contiene un rinvio ad alcune figure di reato, in sé già perfette. Il fallimento ad esse nulla aggiunge, se non l’effetto di aggravamento della pena. Ma non già all’intera fattispecie di reato, bensì ai “fatti” in essa descritti (“…alcuno dei fatti previsti dagli articoli …”). Il rinvio é tassativo. L'inclusione in seno alla fattispecie di bancarotta di queste figure di reato determina - secondo il costante insegnamento della S.C. - il sorgere di una nuova fattispecie, autonoma dalle norme richiamate, in cui la dichiarazione del fallimento della società si palesa elemento costitutivo. In particolare é escluso che l'art. 223 n. 1 l. fall. rappresenti una ipotesi aggravata. L’aggiunta, frutto della recente riforma, di un evento di danno unifica in un solo contesto le plurime possibili condotte. Mentre la precedente disposizione incriminatrice non pretendeva, per l’integrazione del reato fallimentare, che il “fatto” di cui al reato societario cagionasse, ovvero concorresse a cagionare, il dissesto 279, oggi si impone: la consequenzialità tra il fatto costitutivo del reato societario e l’evento, mentre in passato – anche in conseguenza di una rigida lettura giurisprudenziale maggioritaria, si era esclusa la necessità della prova di un nesso causale tra il fatto e la dichiarazione di fallimento della società; la rappresentazione dell’evento come esito della illecita condotta (oltre che la rappresentazione del fatto causativo del dissesto). il rapporto di continuità con la precedente normativa e l’eventuale effetto abrogativo delle vecchie fattispecie discendente dall’art. 4 del D. L.vo 61/02. 277 Tra i primi commenti, v. BRICCHETTI, Bancarotta impropria: a rischio i fatti del passato, in Guida dir. 16\2002, p. 84; LANZI, La nuova bancarotta fraudolenta per precedente reato societario, in Dir. prat. e soc. 10\2002, p. 18 ss.; PUTINATI, La nuova bancarotta “societaria” imputazione oggettia e soggettiva, ivi, 11\2002, p. 12 ss.; BRICCHETTI, La riforma dei reati societari modifica la fisionomia della bancarotta societaria, in AA. VV., La riforma del falso in bilancio, ivi, Le monografie 2002, p. 34 ss.; PULITANO’, Commento a Cass. pen. sez. V, 21 maggio 2002, Fabbri, e ad altre decisioni di giudici di merito, in Dir. proc. pen. 2002, p. 1121; TROYER, La nuova fattispecie di bancarotta “da reato societario” , in Riv. dott. comm., 2000, p. 773 ss.; MANGIONE, La bancarotta fraudolenta impropria; in AA. VV., I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di GIARDA – SEMINARA, Padova 2002, p. 609 ss. CADOPPI, cit., p. p. 256 ss.; MUCCIARELLI, La bancarotta societaria impropria, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società, a cura di ALESSANDRI, Milano 2002, p. 443 ss.; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 8 e ss.), ecc. 278 Cfr. Cass. Sez. V, 14.6.2004, Soppracone, n. 26628, in Guida al Diritto, 2004, n. 35 pag. 73, a proposito della responsabilità dell’amministratore di diritto verso gli atti dell’amministratore di fatto. 279 La nozione di dissesto è propria della scienza commercialistica e riguarda le ragioni e le premesse logiche dell’insolvenza: uno squilibrio tra attività e passività ovvero una “impasse” nel possibile realizzo delle prime onde appianare le seconde. Per l’esperienza penalistica i termini “fallimento” e “dissesto” sono sostanzialmente equiparati, anche se risulta evidente che si tratti di nozioni ontologicamente difformi, non foss’altro che per la possibilità di graduare (cfr. art. 217 n. 4 e per lo stesso testo che si commenta) quantitativamente il dissesto (mediante aggravamento), ipotesi non praticabile per il fallimento che si profila come un fatto formale, cristallizzato in un provvedimento giurisdizionale. 58 Fermo restando che la possibilità di ravvisare la fattispecie di bancarotta esige non già il dato naturalistico del “dissesto”, bensì il provvedimento giudiziale della dichiarazione di fallimento (“società dichiarate fallite”). e5) Il rinvio ai fatti di reato. Le figure di reato richiamate 280 in seno all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. sono state scelte tra “i reati societari dolosi che, seppur con diversa oggettività giuridica, siano armonicamente riconducibili nella tipicità della bancarotta fraudolenta, in ragione di una parziale omogeneità di offesa …. nei quali la strumentalizzazione dei meccanismi societari sia rivolta contro le ragioni creditorie, per converso escludendo quei reati – già previsti nel codice civile del 42 – che, non presentando alcuna affinità offensiva con l’articolo 223, non meritano considerazione al fine di una tanto più severa previsione punitiva”. Operazione assunta al fine di ovviare alle critiche mosse all’abrogata disposizione che presentava – al riguardo – significativa discontinuità tra alcune fattispecie e l’oggetto della tutela penale fallimentare. Pertanto, la scelta è caduta sulle norme a tutela dell'integrità del capitale sociale (art. 2632, 2627 cod. civ.) o della indiretta protezione delle ragioni creditorie anche attraverso la tutela dell'integrità del capitale (art. 2626, 2628, 2629 e 2633 cod. civ.); ovvero le norme a protezione della corretta informazione sociale (art. 2621, 2622) per le quali esiste qualche dubbio su una immediata pertinenza al bene giuridico della bancarotta (v. infra); infine, i reati a presidio dell’integrità del patrimonio sociale (art. 2634 cod. civ.) 281 E’ interessante osservare che alcune figure (es. l’art. 2621) prescindono da risultato dannoso (chè, anzi, per questa via si distingue dall’art. 2622), ma che – a seguito dell’operazione normativa praticata in seno all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. – vengono ad acquistare una finalizzazione di sicuro pregiudizio per la categoria dei soggetti tutelati, cioè i creditori, tale essendo il dissesto per le conseguenze che da esso discendono (anche nell’ipotesi che, al termine della procedura taluno o anche tutti costoro risultino soddisfatti, in considerazione del ritardo rispetto alla soddisfazione discendente dal tempestivo adempimento). Si è già detto che la norma dell’art. 223 comma 2 n. 1 richiama “i fatti” sottesi alle norme penali societarie, con ciò allineandosi alla precedente tecnica normativa che qualificava il “vecchio” art. 223 comma 2 n. 1: dunque, un richiamo ai profili qualificanti, anche psicologici, come definiti dalle norme del codice civile 282 , in sostanza alla “tipicità” del reato, cioè al compendio elementi del fatto, inteso come l’offesa al bene protetto. Non un rinvio alla formale fattispecie penal/societaria ma, per così dire, al suo contenuto 283, il che comporta la necessità di attente verifiche interpretative. 284 Letture che, per la gran parte, dipendono da difformi 280 Il rinvio alle fattispecie del codice civile é rivolto non all'originaria formulazione normativa, ma al dato prescrittivo vigente al momento del fatto, qualora fossero eventualmente intervenute modifiche. 281 Come ogni scelta discrezionale, anche questa attuata dal D. L.vo 61/02 presenta aspetti lacunosi, come il mancato richiamo dell’art. 2635, omogeneo nella sua sfera protettiva all’art. 2624; oppure, le violazioni dell’art. 2623 anch’esso a tutela dell’informazione, ecc. Ma, come dirò oltre nel testo, per molti versi il dato di illiceità prescinde, nella pratica applicazione della complessiva fattispecie, dalle singole tipicizzazioni normative, potendosi agevolmente richiamare a condotte di più ampia portata, contenute nel testo dell’art. 223 l. fall. Così come mette conto segnalare che non è neppure richiamata la frode fiscale. 282 Cfr. PEDRAZZI in PEDRAZZI – SGUBBI, p. 311; analogamente, MEZZETTI, Il problema del rinvio nella bancarotta impropria commessa per mezzo dei reati societari, in Giust. pen. 1990, II, p. 291. 283 Per es. rettamente Cass., Sez. V, 27.3.2003, Bartolucci ed altro, n. 25510, Cass. pen., 2004, 2982, ha ritenuto al continuità normativa tra il “vecchio” art. 2623 cod. civ. e la nuova disposizione dell’art. 2625 cod. civ. nella parte in cui essa mantiene rilievo penale, cioè di comportamento foriero di danno per i soci. A tal segno è marcata la distinzione tra richiamo ai reati e richiamo ai fatti, con la configurazioni di due autonome e distinte figure criminose, che Cass. Sez. V, 21.1.1998, Dal Moro, in Cass. pen., 2001, 300 (prima della riforma penal/societaria), riteneva possibile il concorso tra la bancarotta da reato societario ed i singoli reati societari (contra, Cass. Sez. V, 28.5.96, Schillaci, Cass. pen., 2001, 1998, 650; in dottrina il parere contrario era prevalente, cfr. NAPOLEONI, I rati societari, Vol. III, Giuffrè, 1996, 451, nel senso dell’assorbimento della fattispecie “minore” in quella più grave, fallimentare) In Dottrina, nel senso del testo, IZZO, Quel che resta dei reati societari, in Il Fisco, 2002, 4208, contra, SANTORIELLO, Il nuovo diritto, cit., 300; SCIUMBATA, I reati societari, in La riforma del diritto societario a cura di Lo Cascio, Milano, 2002, 56; BERNAZZANI, I nuovi reati societari, a cura di LANZI-CADOPPI, Padova, 2002, 69.. 59 impostazioni giuridiche: per es. secondo alcuni esso non annovererebbe il momento soggettivo 285, mentre per altri – in una visione più condivisa - esso comprende tutti i segmenti descrittivi della fattispecie, incluso l’evento, il nesso causale 286, i profili della condotta, l’oggetto materiale (ivi incluse le soglie di rilevanza quantitativa, nelle fattispecie di false comunicazioni sociali, integrando esse la definizione dell’offesa penalmente rilevante 287). A ben vedere, il rinvio disposto dall’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. comporta che si vengano a sommare gli esiti della tutela del bene giuridico protetto dal reato societario con quelli (essenzialmente l’interesse patrimoniale dei creditori) propri dalla fattispecie fallimentare. Anche per ciò che attiene al momento soggettivo al dolo della disposizione societaria occorre presupporre il dolo del dissesto. 285 MARINUCCI – DOLCINI, Corso di diritto penale, Milano 1999, p. 477. 286 Cfr. sul rilievo del nesso causale GAMBARDELLA, Il nesso causale tra i reati societari ed il dissesto nella “nuova” bancarotta fraudolenta impropria, ecc., Cass. pen., 2003, 91,nota a Sent. Cass., Serz. V, 8.10.2002, Tosetti, Cass. pen., 2003, 82. 287 cfr. CADOPPI, cit., p. 280; PADOVANI, Il cammello, cit., pag. 1603, nega che le soglie in discorso siano assimilabili a cause speciali di esclusione dell’antigiuridicità (o cause di mera non punibilità) mancando il tipico conflitto tra un fatto illecito e la situazione esimente, poiché l’esposizione di un dato falso mantiene pur sempre i connotatati di infedeltà, tant’è che detta soglia di rilevanza non esplica alcun effetto al di fuori della norma penale (risultando censurabile civilisticamente il bilancio che è affetto da falsità in misura inferiore al limite degli artt. 2621/2622). Né le inquadra nella categoria delle cause di mera non punibilità, dettata da motivi eterogenei alla tutela penale, poiché esse rinvengono il loro omogeneo riferimento proprio nel fatto tipico descritto dal legislatore. Dunque, secondo l’A, esse descrivono il limite al di sotto del quale non si rinviene “il minimo quantitativo di rilevanza offensiva giudicato imprescindibile per la qualificazione dell’illecito come ‘penale’”. Quindi, un limite oggettivo delle figura criminosa ed attinente alla tipicità del fatto. Nel solco della tipicizzazione del fatto, si colloca DONINI, Abolitio, cit., 1248. Osservazioni certamente aderenti alla convinzione del legislatore, ma che dovrebbero pur confrontarsi con la (non facilmente spiegabile) circostanza per cui al di sotto di queste soglie non esiste l’assoluta indifferenza penale, ma – al contrario - il rilievo alla luce dell’art. 2624 con riguardo al medesimo strumento informativo che costituisce – si osservi – l’identico oggetto materiale del falso in bilancio. Pertanto, ritenendo che la curiosa distonìa normativa supponga un più severo trattamento per quanti siano stati posti a garanzia della verità societaria, va pur detto che il consapevole mendacio nei documenti di bilancio ed assimilati è un fatto ontologicamente illecito non soltanto per il versante civile, ma anche per quello penale. Dunque, la soglia si qualificherebbe come esterna al disvalore del fatto ed assimilabile maggiormente ad una causa esimente di responsabilità. In una posizione analoga a quanto qui sostenuto, cfr. PULITANO’, False comunicazioni, cit., pag. 162. ALESSANDRI, Il danno, cit., pag. 812, che le indica “quali elementi costitutivi del reato che devono normalmente essere investiti dal dolo” e che esclude il richiamo alle condizioni oggettive di punibilità (come sembrerebbe, invece, opinare SEMINARA I nuovi reati, cit. con allusione alle fattispecie penal/tributarie, analogamente a PISTORELLI, Quattro figure contro il contribuente infedele, Guida al Dir., 2000, 14, 60); DONINI, Abolitio, cit., pag. 1244, il quale distinguendo due momenti di giudizio sulla rilevanza, attribuisce alle soglie di cui si discorre nel testo escludendo la tipicità del fatto e la stessa antigiuridicità alle soglie (mentre causa di non punibilità, che non esclude la tipicità della figura criminosa, ma agisce esclusivamente sulla pena, si potrebbe leggere quando il mancato superamento delle soglie derivi da situazioni sopravvenuti alla originaria condotta); FOFFANI, La nuova disciplina, cit., pag. 292 e ss. E, più esattamente (pag. 1248), con l’eccezione dei bilanci (di natura straordinaria, a carattere infrannuale, connessi alla distribuzione per acconti del dividendo, ecc.) succedentisi nel tempo e con possibile condizionamento della soglia per eventi futuri ed incerti, per i quali il limite del 5% del risultato economico si qualificherebbe come condizione obiettiva di punibilità (cfr. anche FOFFANI, La nuova disciplina, cit., pag. 293); SANTORIELLO, op. cit., pag. 65. In Giurisprudenza non può trascurarsi quanto espressamente dichiarato da C. Cost. Sent. 26.5/1.6.2004, n.161 secondo cui, segnalando la impossibilità di disporre l’invocato intervento ablativo della norma, risolvendosi esso nella violazione dell’art. 25 Cost., così si esprime al riguardo (essendo stato devoluto come motivo di incostituzionalità anche questo profilo) “alla stregua dell’opinione largamente maggioritaria, le soglie di punibilità contemplate dall’art. 2621 cod. civ. integrano requisiti essenziali di tipicità del fatto … ma … neppure qualora si aderisse alla tesi minoritaria che assegna alle soglie il ruolo di condizioni di punibilità … si tratta, comunque, di un elemento che “delimita” l’area di intervento della sanzione prevista dalla norma incriminatrice …” 284 60 Concordemente sono escluse dal richiamo le condizioni di procedibilità, come la querela che caratterizza alcune importanti figure di reato societario, cosicchè non vi sono dubbi sulla perseguibilità – al titolo di bancarotta fraudolenta impropria – di condotte di infedeltà patrimoniale o di false comunicazioni sociali foriere di danno, ecc. causalmente connesse al dissesto.288 Ma quesiti e dubbi si evidenziano anche nella lettura delle singole fattispecie: l’art. 2634 comma 3 cod. civ., per esempio, concreta – nei caso di infedeltà infra-gruppo, una causa di non punibilità (stabilendo che non vi è ingiustizia del profitto se l’atto di disposizione dei beni sociali è compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo) che si pone in forte discrasia con il bene giuridico della bancarotta. Infatti, la bancarotta fraudolenta assicura protezione penale non al gruppo societario, bensì ad ogni singola massa passiva ammessa a procedura concorsuale (tutela - si badi correlata al pregiudizio patrimoniale e non al possibile vantaggio) e la giurisprudenza penale fallimentare qualifica - per lo più - gli atti dispositivi infra-gruppo come distrattivi, se non assistiti da garanzie idonee o da contestuale contropartita289. Ebbene, salvo ritenere che l’art. 223 c. 2 n. 1 implicitamente non coinvolga nel richiamo del “fatto” descritto dalla norma, il comma in esame (trattandosi di disposizione non pertinente al “fatto” strettamente tipico di reato, ma propria di un profilo “periferico”, quale la specificità dell’elemento soggettivo 290, la norma impone una diversa lettura 291. Circostanza che spiega l’interpretazione quasi abrogativa - in tema di prevedibilità del vantaggio perseguito resa dalla recente giurisprudenza 292. Per altro verso, non é sfuggito che alcune condotte dedotte nelle fattispecie societarie, costituiscono autonomi comportamenti fraudolenti, inclusi nell’art. 223 comma 1 l. fall., sì che il richiamo si qualifica come inutile: è il caso dagli articoli 2626 (indebita restituzione dei conferimenti293), 2627 (Illegale ripartizione degli utili e delle riserve), 288 Così Cass. Sez. V, 21.1.2003, PM. in proc. Piana Ardizzone, n. 21.1.2003, n. 2862 (anche se la decisione fonda sul presupposto che la procedibilità a querela è situazione eccezionale non estensibile in via interpretativa, in assenza di espressa menzione normativa). In ogni caso, non appartengono certamente al “fatto” le cause di esclusione della punibilità, come le “cause di estinzione del reato” previste dagli articoli 2627, comma 2, 2628, comma 3, 2629, comma 2 e 2633, comma 2, c.c. anche se realizzate in epoca anteriore di fallimento della società, non rilevando in seno alla punibilità della fattispecie fallimentare, cfr. BRICCHETTI, Le fattispecie di non punibilità conseguenti alle restituzioni od al risarcimento del danno, in I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di GIARDA – SEMINARA, cit., p. 757 ss., anche se l’A. precisa perspicuamente che – per esempio – il risarcimento del danno da reato societario prima del relativo giudizio (ove esso sia instaurato) determina, in concreto, una forte difficoltà di prova sulla ricorrenza del nesso causale tra la condotta ed il dissesto. Contra, ma senza soverchia motivazione Cass., Sez. V, 12.6.2003, Bartolucci, cit. 289 Cass. pen. sez. V, 20.3.2000, p.m. in c. Messina, in Cass. pen. 2001, p. 1336; Cass. pen. sez. V, 1.2.2000, Tonduti, Cass. pen., 2001, p. 661; Cass. pen. sez. V, 29.12.1999, Magliano, in Dir. prat. soc. 4\2000, p. 87; Cass. pen. sez. V, 11.11.1999, Tassan Din, Riv. trim. dir. pen. ec., 2000, 476 e nota di SPARANO, Autonomia delle procedure co0ncorsuali e consequenzialità (a ini penali) in Dir. fall., 1999, II, 1146; Cass. Pen, 14.12.1999, Cass. Pen., 2001, 661, con nota MADIA; Cass. pen. sez. V, 18.7.1999, Ceccherini, in Dir. prat. soc. 18\1999, p. 93; Cass. pen. sez. V, 8.4.1999, Spinelli, in Cass. pen. 2000, p. 3445 (con motivazione); Cass. pen. sez. V, 18.3.1996, Cozzi, Cass. pen., 1997, p. 2234; Cass. pen. sez. V, 10.1.1996, Napoleone, Cass. pen., 1997, p. 218; Cass. pen. sez. V, 4.5.1995, Degli Antoni, in Cass. pen. 1997, 218; Cass. pen. sez. V, 21.10.1985, Bedeschi, Cass. pen., 1987, p. 824, ecc. 290 cfr. ALDROVANDI, Infedeltà patrimoniale (art. 2634), in I nuovi reati societari, a cura di CADOPPI – LANZI, Padova, 2002, 144 291 anche se, per un verso, la labilità prescrittiva della fattispecie (a fronte dei forti rischi per i creditori) e, d’altro canto, la mancata modifica del sottostante referente concorsuale (che conserva questo profilo, anche nelle più recenti manifestazioni riformatrici, come il d. lgs. 270/99 o 18.2.2004 n. 39 (in conversione del DL. 347/03),cd. “Legge Parmalat”), ostacolano la formulazione di innovative linee interpretative in ambito penale. 292 cfr. Cass. pen., Sez. V, 23.6.2003, n. 38110, in Diritto e Giustizia, n. 40, 52 e ss. 293 E’ curioso notare che per es. Cass. Sez. V, 15.4.2004, n. 23672, qualifichi la restituzione dei conferimenti come bancarotta fraudolenta per distrazione – tuttavia con richiamo all’art. 223 comma 2 n. 1 – dovendola escludere e contrapporre all’area della preferenzialità. 61 e6) L’elemento soggettivo. La struttura complessa della norma dell’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. impone che la responsabilità riscontri sia la rappresentazione del fatto illecito, sia la volontà dell’evento a cui esso è connesso. Quanto al primo aspetto non vi è dubbio che l’autore deve essere consapevole dell’intero compendio del fatto quale descritto nella norma penal/societaria e portatore di volontà specifica ove essa sia richiesta da essa. Per es. nel caso di violazione dell’art.2622 cod. civ., il danno in pregiudizio di soci o creditori quale esito dell’infedeltà comunicativa. Non è mestieri sottolineare che l’eventuale errore sul precetto normativo non esime da penale responsabilità, poiché la norma extra-penale è integrativa della fattispecie penale ed esso si qualificherebbe come errore sullo stesso comando penale 294. Ma, al contempo, occorre dare dimostrazione di una volontà protesa al dissesto, intesa non già soltanto quale intenzionalità di insolvenza (chè, anzi, di essa è assai raro riscontro, se non in episodi di intenzionale causazione del fallimento), bensì quale consapevole rappresentazione della probabile – ma ciononostante perseguita - diminuzione della garanzia dei creditori. Giova segnalare che questo pregiudizio non sempre coincide con il dolo di danno supposto dalla norma penal/societaria, sicchè non necessariamente la dimostrazione del dolo specifico del reato societario esaurisce l’onere probatorio sul momento soggettivo della bancarotta di cui all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. e7) il nesso di causalità con il dissesto. “Cagionare” o, con insistenza che - atteso il principio di equipollenza eziologica stabilito dall’art. 40 cod. pen. - appare superflua “concorrere a cagionare”, sembra voler stabilire che dalla condotta deve derivare un evento prima non esistente. Ma, siffatto assioma, calato nel contesto del “dissesto”, riesce problematico: il fenomeno, infatti, presenta una sua inconfondibile gradualità, non potendosi astrattamente fissare il momento in cui dall’equilibrio patrimoniale ed economico, si sfocia nella sua perdita. Non solo: il percorso che termina nel dissesto vede confluire – nella massima parte dei casi – il concorso di cause determinative indipendenti tra loro (si pensi all’incremento dell’esposizione debitoria, all’assottigliamento patrimoniale dell’asse e delle garanzie, alle mutazioni del mercato, all’insolvenza di debitori, ad eventi di distruzione del patrimonio, come il furto o l’incendio, ovvero dell’avviamento. come la concorrenza sleale, ecc.) Ancora: la nozione del dissesto si attaglia ad una serie che storicamente contrassegna la dichiarazione di fallimento (o di insolvenza), la quale in sé ingloba ed unifica in termini di risultato il pur articolato processo causale, venendo a porre un solo referente (penalmente essenziale per la sussistenza della bancarotta) obiettivo del bene giuridicamente protetto. Risulta in altri termini spesso difficile e logicamente possibile appuntare in capo ad un fatto l’efficienza causale verso il dissesto, ed – al contempo – escludere da altro fatto, preesistente o contemporaneo, detta capacità. Di qui la conclusione che qualsiasi situazione astrattamente collegabile al dissesto possa considerarsi di esso causatrice, e che i termini “cagionare” ed “aggravare”, anche se chiaramente diversi, perdano la loro specificità. Approdo a cui è pervenuta parte della Dottrina 295 e la giurisprudenza.296 A ben vedere, siffatto argomento risulta più arduo per il caso in cui il fatto illecito sopravvenga ad una situazione di dissesto sostanzialmente irreversibile. Infatti potrebbe sostenersi l’impossibilità di una efficacia causale, non dissimilmente che una lesione su un cadavere non può più cagionarne la morte. Ma, ribadita la inutilità della ricerca della causa esclusiva nella causazione dell’evento (nell’ottica della cd. “democrazia delle cause” che contrassegna l’ordinamento penale italiano), va richiamata la concezione unitaria del dissesto, compendiata dalla successiva declaratoria giudiziale, senza possibilità di scindere a ritroso le cause efficienti: ciò che interessa, sotto altro riguardo, è il dissesto storicamente acclarato e dichiarato, e non la nozione astratta di dissesto avulsa dalla vicenda dell’organismo divenuto insolvente. e8) La successione della norma nel tempo dopo la riforma dell’art. 4 D. L.vo 61/02. 294 Cfr, a riguardo della bancarotta da reato societario, Cass. Sez. V, 11.1.2000, Di Pati ed altri, n. 2174. 295 CADOPPI, cit. p. 275. 296 Cfr. Cass. Sez. V, 28.3.2003, Negro ed altri, n. 19806, a proposito dell’art. 223 comma 2 n. 2 l. fall. ma con argomentazione riferibile anche alla fattispecie dell’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. 62 Manca alla riforma la normativa transitoria. Il quesito ricorrente, in questi primi tempi di applicazione, è stato quello di accertare se tra la vecchia e la nuova disposizione vi sia applicazione dell’art. 2 comma 3 cod. pen., oppure dell’art. 2, comma 2, cod. pen. per “abolitio criminis”. Sulla premessa che la Dottrina ha prevalentemente affermato la discontinuità nella successione delle norme sulle false comunicazioni sociali (parametro di quasi costante richiamo per la nuova fattispecie di bancarotta da reato societario) 297, la giurisprudenza 298, invece, richiama – per quanto attiene al rapporto tra il “vecchio” art. 2621 n. 1 cod. civ. e la contravvenzione di nuovo conio – la sostanziale identità della direzione di tutela (nel senso che, comunque, anche nella nuova disposizione prospetta comportamenti che erano già sanzionati nella più vasta norma abrogata), con modifiche che qualificano il rapporto tra le due norme in un'ottica di specialità. Tuttavia, trattando della “nuova” bancarotta impropria, la giurisprudenza 299 ha rilevato le sostanziali e strutturali differenze di fattispecie. Il “vecchio” art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. - norma per lo più qualificata a pericolo astratto - considerava presunta l’offesa del bene giuridico tutelato dalla commissione dei reati societari, non contenendo la previsione di un evento di danno né supponendo la sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta ed il dissesto della società. Oggi, al contrario, l’effetto lesivo è insito nella struttura ad evento, quest’ultimo individuato nel dissesto che, in sé, è foriero di pregiudizio per i creditori. D’altra parte, è intervenuta anche modifica del referente normativo costitutivo dei fatti causativi dell’evento: alcune fattispecie societarie non sono state più richiamate (art. “vecchio” 2622, 2621 n. 3, 2628 ecc. cod. civ.) con conseguente sicuro effetto abrogativo della norma penal/fallimentare , altre sono state fortemente modificate (art. 2621 e “nuovo” art. 2622 cod. civ.), altre sono del tutto nuove (art. 2633, 2634 cod. civ.) 300. La giurisprudenza, da ultimo, pervenendo alla necessità dell’accertamento in concreto (e non più nel raffronto tra fattispecie astratte) sulla ricorrenza di elementi del fatto che non riescano più a collocarsi nella 297 La dottrina rinviene in DONINI, Abolitio, cit. pag. 1273 e ss., un reciso assertore della discontinuità tra vecchio e nuovo regime, avuto riguardo alla eterogeneità dei beni protetti (anche con riguardo al nuovo art. 2621); in tal senso anche MUSCO, cit; LANZI, Ma la creazione di nuovi delitti nega l’elemento della continuità, in Guida al diritto, 2002, p. 86 e ss. che ravvisa la continiutà rispetto alla contravvenzione, non verso l’art. 2622. Sostiene, al contrario, la continuità con riguardo ad entrambe le nuove fattispecie T. PADOVANI, Il cammello e la cruna dell’ago. I problemi della successione di legge penali, ecc. Cass. Pen., 2002, 1598 e ss., con richiamo – per quanto riguarda l’eventualità dannosa - alla previsione del pre-vigente art. 2640 cod. civ (per il danno riguardante la stessa società) e dell’art. 61 n. 7 cod. pen. (per il danno a terzi)., elemento – dunque – già considerato nel vecchio sistema punitivo, nonché PULITANO’, Società, n. 9, 2002, 1116, con speciale riguardo al bene giuridico tutelato ed all’analogia dell’elemento soggettivo, secondo la consueta lettura della giurisprudenza a proposito dell’avverbio “fraudolentemente”. Diversamente FOFFANI, La nuova disciplina, cit., pag. 317. 298 Cass. Sez. V pen., 21.5.2002, n. 6921, Fabbri, in Guida al Diritto, n. 27, pag. 67 e ss., Cass. Sez. 5, 8.5.2002, Torrenti, Cass. pen., 2002, m. 642; decisione che segue ad analogo provvedimento, ma assai meno motivato ed articolato. La conferma a questo indirizzo si coglie, ancora, in Cass. Sez. V pen., 3.6.2002, Kunz, Guida al Diritto, 2002, n. 29, pag. 75, resa per il versante dell’art. 223 comma 2 nj. 1 l. fall., come novellato dall’art. 4 del D. L.vo 61/02, in seno alla cui motivazione si legge la scelta per la continuità normativa tra le norme in discorso (art. 2621 cod. civ., vecchia e nuova maniera). Ancora: Cass. Sez. V, 8.10.2002, Trebbi, Cass. pen., 79; Cass. Sez. V, 25.9.2002, Battacchi, Cass. pen., 76; Cass., Sez. V, 15.5.2002, Mazzei, Cass. pen., 73 e, da ultimo, Cass. pen., Sez. V, 27.5.2003, Ruocco, in Cass. pen., 2003, pag. 3747 (con motivazione), ecc. Cfr. il commento di BRICCHETTI, Bloccata la revoca delle sentenze di condanna, ecc., Guida al Diritto, 2002, pag. 70 e ss. 299 BRICCHETTI, La riforma dei reati societari modifica la fisionomia della bancarotta societaria, in AA. VV., La riforma del falso in bilancio, in Dir. prat. soc., Le monografie 2002, p. 34 ss.; LANZI, La nuova bancarotta fraudolenta per precedente reato societario, in Dir. prat. soc., 10\2002, p. 18 ss.; PUTINATI, La nuova bancarotta "societaria": imputazione oggettiva e soggettiva, ivi, 11\2002, p. 12 ss.; TRAVERSI, La vita dei nuovi reati societari tra pene più lievi e abolitio criminis, in Dir. e Giust. 41\2002, p. 8 ss.; CADOPPI, cit.; MUCCIARELLI, cit.; sembra essere su posizioni diverse, PULITANO’, Commento a Cass. pen. sez. V, 21 maggio 2002, Fabbri, e ad altre decisioni di giudici di merito, in Dir. proc. pen. 2002, p. 1121. 300 Cass., Sez. Un. 26.3.2003, Giordano ed altri, n. 25887; Cass. Sez. !, 25.10. Ubbiali, n. 41433, in Guida al Diritto, 2004, 47, pag. 91; ha limitato l’effetto abrogativo ai fatti di reato societario non più riconducibili alle nuove ipotesi dettate dall’art. 223 comma 2 n. 1, come riformato. 63 vecchia fattispecie, quale unico momento per attestare la discontinuità 301, ha affermato che la nuova fattispecie dell’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. è figura connotata da specialità “per aggiunzione” rispetto alla precedente, non perché il rapporto di causalità con il dissesto specifichi elementi della precedente disposizione, ma nel senso che esso rappresenta un elemento aggiuntivo rispetto alla medesima sicchè esso non immuta “funditus” la fisionomia del precetto. 302 Ma, nella pratica, lo sforzo ermeneutica volto a “salvare” i processi sorti sotto l’egida del vecchio sistema penale non giunge a soverchi risultati. Non è sfuggita, infatti, la necessità - onde garantire l’effettiva difesa dell’accusato - che nella formulazione dell’accusa risultino i momenti qualificanti dell’addebito, i quali siano presenti anche nell’attuale lettera della norma 303. In altre parole che già fossero all’imputato o condannato contesti i fatti di rilievo penale descritti dal nuovo testo di legge. In caso contrario, inevitabile la declaratoria di inesistenza della responsabilità perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato 304. Salva la soluzione di rimettere al giudice di merito l’accertamento della ricorrenza dei nuovi elementi di fatto richiesti dalla norma305, circostanza che – per un risvolto pratico – ha determinato una “abolitio” sostanziale, non essendovi ragione, prima dell’entrata in vigore della norma, di enunciare nel capo di imputazione, aspetti normativi non richiesti e non conosciuti dal “vecchio” art. 2621 cod. civ.306 Minoritaria è la soluzione di rimettere al giudice di merito l’accertamento della ricorrenza dei nuovi elementi di fatto richiesti dalla norma 307. Le sentenze passate in giudicato per violazione del (vecchio) art. 2621 cod. civ. non sono più revocabili, se non per gli aspetti che la nuova norma non considera oggettivamente integrativi della fattispecie. Ed anche in questo caso se la contestazione non esplicita gli elementi di continuità, deve essere adottata la soluzione liberatoria. 308 Si segnala, infine, la possibilità, evidenziata dalla SC. – ricorrendone i presupposti e con nuova ed apposita contestazione – di ri-considerare il “fatto” in seno alla fattispecie dell’art. 223 comma 2 n. 2 l. fall. 309 e8) L'art. 223 comma 2 n. 2 l. fall.310 301 Cass. pen. sez. V, 3.6.2002, Kunz, in Guida dir. 29\2002, p. 75 ss. Cass. pen., sez. V, 16.10.2002, Tosetti, in Guida dir. n. 43\2002, p. 69. 303 Tra le altre cfr. Cass. pen., Sez. V, 23.4.2003, Ruocco, in Cass. pen., 2003, pag. 3747, cit.; Cass., Sez. V, 26.1.2004, Parrinello, n. 2567, in Guida al Diritto, 2004, 8, pag. 99. 304 Per una recente e completa rassegna della giurisprudenza in tema (ed anche riguardo all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall.) cfr. BRUNO, Reati societari e nuovi orientamenti, Dir. e Giust., 43/2002, 30 e ss, da cui è tratta menzione delle seguenti massime: Cass. Sez. 5, 3.6.2002, Torrenti, n. 21532, seguita da Cass. Sez. V, 19.6.2002, Fabri, n. 23449; Cass., Sez. V, 11.7.2002, Esposito, n. 36633. Come “obiter dictum” conforme Cass. Sez. 5, 16.10.2002, Battacchi, n. 34621; con richiamo all’art. 2621 (e con indicazione di reale discontinuità soltanto per ciò che riguarda la qualifica soggettiva, attesa la mancata previsione per la nuova norma, dei soci fondatori e promotori), cfr. Cass. Sez. 5, 16.10.2002, Benzi, n. 34622. 305 Cass., Sez. V, n. 26641/02; Cass. Sez. 5, 16.10.2002, Battacchi, n. 34621; Sez. I, 27.11.2002, Bencivelli, n. 40159. 306 Salva la declaratoria di inesistenza della responsabilità perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, nei casi per i quali la nuova norma non attribuisca rilevanza penale al fatto (es. per i promotori/fondatori, per comunicazioni atipiche e, per chi li ritiene integrativi del fatto oggettivo tipico, le soglie di rilevanza, ecc. 307 Cass., Sez. V, n. 26641/02; Cass. Sez. 5, 16.10.2002, Battacchi, n. 34621. 308 Cfr. Cass. Sez. 5., 11.2002, Trebbi, n. 36859, per quanto attiene alla fase del giudizio della SC. 309 Cass. pen., Sez. I, 27.1.2002, Bencivelli, n. 40159, cit.: ma se si ritiene integrata un’ipotesi di operazione dolosa (o, addirittura, una preordinata causazione del dissesto), la contestazione in fase cognitiva ha per oggetto un fatto nuovo, postulando il consenso dell’imputato o, in difetto, nuovo avvìo dell’azione penale da parte del PM. 310 Su queste fattispecie cfr.ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, Milano, 1995, 141; CASAROLI, La causazione dolosa del fallimento dlele società ecc., Ind. pen., 1978, 423, PAGLIAROI, Problemi attuali del diritto penale fallimentare, Riv. trim. dir. pen. eco., 1988l, 542; LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 478; CONTI, Diritto penale commerciale, Reati fallimentari, Torino, 1991, 110; PEDRAZZI/SGUBBI, Commentario Scialoja Branca, 1995, 318; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 203 e ss.; GIULIANI 302 64 La norma punisce i soggetti della bancarotta impropria che "hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società" Sono previste due distinte fattispecie: a) hanno cagionato con dolo ... il fallimento. Si tratta della preordinazione dolosa del dissesto. Suoi elementi costitutivi sono: a) una condotta contrassegnata da dolo E’, nella pratica, il comportamento volutamente diretto non alla salvaguardia delle sorti sociali, ma di terzi (non necessariamente gli organi formali societari), fruendo del delicato strumento societario (che nelle società di capitali rende immune da responsabilità civile, oltre al conferimento, i soci e gli organi direttivi). La "dolosità" consiste proprio nella radicale situazione preordinata: secondo quanto maggiormente accade, diretta a creare uno squilibrio economico in seno alla società, come quello dell'accollo sistematico degli oneri in capo alla società, della privazione del magazzino, ecc. Si tratta di condotta a forma libera, finalizzata all’evento del dissesto. Secondo qualche lettura giurisprudenziale la violazione di norma penale, nella conduzione societaria, potrebbe integrare questa nozione. 311 Tipico é, l’asservimento di una società di capitali ad un disegno programmato di truffe: l'acquisto a credito di partite di merce, il trafugamento delle stesse con l'inevitabile dissesto. Non é, però, sufficiente una mera condotta di distrazione, essendo il comportamento già previsto dall'art. 223 pp. l. fall.: la figura richiede un disegno più ampio e sorretto dalla struttura dell'organismo (o da concorrenti sostegni organizzativi) del singolo atto di sottrazione di attività all'economia societaria. 312 Nella prassi questi “bidoni” hanno delle caratteristiche comuni: al fine di sfruttare al massimo il meccanismo della irresponsabilità dei soci, l’organismo prescelto risulta - di regola - una srl. con modestissimo capitale. A presiedere la società viene deputato un “prestanome”, normalmente senza protesti a carico. Questi fungerà da “cireneo” nella formale rappresentanza della società e nella scena giudiziale. Il tutto per coprire la reale responsabilità degli organizzatori. La documentazione risulterà sottratta o frammentaria. b) il nesso di causalità obiettivo tra il comportamento ed il fallimento. Esso é di regola rinvenibile nella stessa meccanica dell'operazione. Non occorre, perché non richiesto, che essa sia rinvenibile "ab origine" negli atti societari, potendo sopravvenire anche in una gestione non contrassegnata da fraudolenza. L'evento é il "fallimento", nozione intesa più come "dissesto" che come sentenza e procedura formale. c) Una volontà protesa al fallimento. Deve esserci, dunque, una rappresentazione del futuro dissesto ed una sua volizione: è l’unico caso, nella legge fallimentare, in cui si ammette la previsione e la volontà delle sentenza dichiarativa, come elemento costitutivo del reato (evento). Tanto, però, non significa che il piano criminoso abbia come risultato ricercato il fallimento (ché, anzi, forse una pubblicità ed una indagine da parte della Curatela sulle responsabilità dei suoi autori), quanto che anche a titolo di dolo eventuale - accetti la situazione di dissesto, pur di raggiungere l'obiettivo illecitamente prefisso. d) Hanno cagionato ... per effetto di operazioni dolose il fallimento. Gli elementi costitutivi di questa figura sono, innanzitutto, le "operazioni dolose". BALLESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 1991, 386; BRICCHETTI TARGETTI, bancarotta ed altri reati societari, Milano, 1997, 125; VENTURATI, Le operazioni dolse nella bancarotta societaria, Dir. pen. ec., 1990, 583, ecc., 311 Cfr. ad es., Cass., Sez. V, 14.1.2004, Iride ed altro, che ha ravvisato nel ricordo abusivo al credito il comportamento di cui si tratta. Certamente la sistematica reiterazione di violazioni di norme amministrative (ad es. sistemativa violazione della disciplina urbanistica), fiscali (es. omissione sistematica di redazione delle dichiarazioni a fini di imposta diretta o indiretta),. contributive (es. omissione sistematica di corresponsione del contributi previdenziali), ecc., dalle quali derivi un gravame passivo rilevante e tale da squilibrare l’asse economico (anche per via di penalità ed interessi passivi), ancorchè compiute nell’immediato interesse della società, integrano la fattispecie. 312 Naturalmente il reato può concorrere con quello di truffa e di associazione per delinquere. 65 Vi é grande imbarazzo alla definizione di "operazioni dolose" ritenendosi che esse siano quelle non rientranti tra le fattispecie già descritte al n. 1 dell'art. 2621 cpv. l. fall., né la commissione di illeciti genericamente "dolosi" 313. La traccia fondamentale della nozione di “operazione dolosa” è stata data da ANTOLISEI e ruota sull’accertata l'infedeltà delle funzioni o nella dimostrata violazione dei doveri discendenti dal rapporto organico con la società. Non é possibile - in via astratta - esaurire tutti i casi di "strumentalità" a cui si allude , ma é possibile una esemplificazione, sorretta dalla prassi. Circa la modalità l’operazione può essere attuata mediante: - commissione - con indebita inerzia. Per quest’ultima ipotesi si facciano i casi dell’amministratore che, violando gli obblighi dell’art. 2392 cod. civ. tollera l'altrui concorrenza sleale per volutamente favorire terzi; consente, al fine di giovare all’altrui interesse, la condotta di abusivo impoverimento dell'organismo nel cui interesse è concessa la garanzia, non dispone delle necessarie azioni per il recupero di pretese e crediti della propria società, ove questo comportamento non sia già inquadrabile in un contesto distrattivo; Nei casi commissivi la prassi conosce frequenti possibilità di applicazione e soprattutto in seno ai gruppi di società, ove il conflitto tra interesse di gruppo ed autonomia della sfera economica della società, secondo la prevalente giurisprudenza, non può risolversi nel “sacrificio” di ciascun organismo in vista di logiche superiori. Volendo esemplificare si indicano le seguenti situazioni: innanzitutto un abuso ed una infedeltà delle funzioni ricoperte rispetto agli interessi della società; la violazione sistematica e radicale dell'oggetto sociale: ad es. la condotta speculativa da parte della società cooperativa, con perdite per i negozi aleatori avviati (ad es. utilizzo delle somme dei cooperativisti, per operazioni di borsa o di speculazione sulle merci, al di fuori degli ambiti consentiti dal patto costitutivo). L’attività di sistematico prestito a terzi da società che non ha nello statuto questo oggetto; lo sviamento di clientela che, difficilmente inquadrabile in fatto distrattivo (anche se la giurisprudenza lo ritiene oggetto della distrazione, in una prospettiva pragmatica) sia foriero di dissesto; la scelta, pertanto, di “lasciar morire” una società del gruppo, per favorire il sorgere di un’altra, risulta, in questa ottica, non ammissibile, ove la società perenta venga a fallimento e la dismissione consapevolmente imposta dal vertice del gruppo sia una causa del suo dissesto. la violazione sistematica della normativa amministrativa/ finanziaria: ad. es. la raccolta e la gestione del risparmio al di fuori delle prescrizioni CONSOB o di altri organi di Vigilanza (D. L.vo 58/98), e della disciplina di cui alla legge sulle SIM (legge 1/92) con causazione delle perdite rapportabili a questa violazione (ad es. l'assunzione in proprio delle somme fiduciariamente ricevute, la loro contabilizzazione "in monte", l'accollo delle perdite di alcuni clienti anche alla restante parte dei fiducianti, il pagamento di profitti promessi e mai lucrati, ecc.); l'assunzione di impegni eccedenti il netto patrimoniale della società: come il rilascio di fidejussioni per rischi eccessivi rispetto alle capacità sociali ovvero eccedenti l'interesse sotteso dal patto di garanzia (ad es. il rilascio di fidejussioni "omnibus" per favorire l'accesso all'affidamento bancario di altre società, anche quando il tasso di esposizione di queste ecceda ogni ragionevole interesse per la fidejubente, ovvero superi il suo netto patrimoniale); l'utilizzo di una società per esclusivo interesse delle sorti del gruppo a cui appartiene o di altre società riferibili alle persone che la partecipano, con perdite cagionate per la gravosità degli impegni assunti e per le opportunità da essa perse per la scelta estranea ai suoi interessi (ad es. la volontaria rinuncia a lucrose commesse per favorire terze economie, senza diretto "ritorno", nella strategia complessiva della concorrenza) molto frequente e foriera di profili dubbiosi è la concessione gratuita di garanzie all’interno del gruppo oggetto di procedura concorsuale, poichè nel caso di disseto i creditori del garante subiscono un detrimento per un evento non imputabile a fatto diretto del loro debitore. Con restringimento ai casi in cui il garantito non sia entità insolvente, al momento della concessione; che il rischio a cui si sottopone la garante sia remunerato o che, in qualche seria misura, dimostri un suo interesse al negozio.Ma quand’è “gratuita” la concessione di fidejussione? E’ certamente onerosa quella concessione di garanzia che prevede un compenso: ovviamente la misura del compenso deve graduarsi al rischio che viene assunto. 313 Cfr. Cass., Sez. V, 8.4.1988, Grappone, Cass. pen., 1989, 1559 ; Cass., Sez.V, 3.7.1967, Ambrosio, Cass. pen., 1968, 836; Cass., Sez. V, 9.10.1984, Gerli, Cass. pen., 1986, 600. 66 Sulla gratuità si ricorda che l’art. 64 l. fall. conosce un proprio limite: la discrezionale comparazione tra l’atto gratuito ed il netto patrimoniale del donante. Così, per esempio andrebbe sempre considerata anche questa angolatura, rapportata al momento della concessione, tra la consistenza della garante il rischio assunto. Sovvengono anche i possibili “ritorni” da valutarsi di volta in volta, al di fuori di ogni presunzione di diritto. Fuori dal connotato di gratuità è certamente censurabile la situazione quando questa facoltà di garanzia non è prevista dallo statuto: quando la concessione avvenne all’insaputa del Consiglio di amministrazione, con abusiva arrogazione dell’amministratore delegato delle relativa potestà; quando le condizioni negoziali siano tali da sorpassare ogni ragionevole cautela della tutela patrimoniale della garante e tramutino la garanzia in una sicura perdita di ricchezza (anche se la formalmente la prestazione sia contemplata nell’oggetto sociale), ecc. Ma sono ammissibili le giustificazioni fondate sulle cd. “sinergie” tra garante e garantito: per esempio l’aiuto dato ad una società del gruppo la cui insolvenza comporterà anche quella della garante, è forse vantaggio sufficiente per elidere la connotazione “dolosa” (anche perchè è la banca - di regola - a pretendere la copertura fidejussoria per avviare o mantenere i rapporti di affidamento al gruppo) ? E le garanzie reciproche sono onerose? Le operazioni sono ravvisabili anche in tema di (sostanziale) violazione dei doveri dell’amministratore: l’assunzione della delibera conflittuale in capo ad una società del gruppo, al solo formale fine di eludere l’obbligo di astensione dell’art. 2391 cod. civ.; la decisione presa dall’amministratore unico, pregiudizievole e conflittuale; l’omessa sottoposizione al consiglio di amministrazione di una decisione che ha la sostanza della collidenza con gli interessi dell’amministratore; il debordamento dai confini statutari, di per sè, può connotare di “dolosità” la condotta e rilevare, ove causalmente collegato al dissesto, In tali casi, infatti, il potere conferito all’amministratore, si qualifica come inesistente e la violazione ai doveri di fedeltà si tramuta in abuso delle sue funzioni (beninteso: l’eccesso di potere deve avere uno “spessore” lontano da mere violazioni procedimentali, addebiti di scorrettezza formale, inadempienze burocratiche, ecc.; esso deve raggiungere quell’approfittamento dello strumento societario a fini ad esso esterno che, si ribadisce, fonda questa categoria di fatti delittuosi). e) Il nesso di causalità dell’operazione dolosa con il fallimento. Le “operazioni dolose”, in quanto collocate nell’area della bancarotta fraudolenta, rappresentano sempre una indebita diminuzione dell’attivo in sostanza un depauperamento non giustificabile, secondo le regole del nostro ordinamento, in termini di interesse per l'impresa, condotta che non rientri nelle già tipicizzate situazioni dell’art. 216 n. 1 l. fall.) In questa ottica esse trovano normale rapporto di continuità con il dissesto. Ma sul punto non vale alcuna presunzione: vi deve essere la prova oggettiva e rigorosa. Invero, si tratta, di un caso di responsabilità penale per un fatto non voluto: è sufficiente la prova del legame materiale di causalità tra l'"operazione" ed il dissesto, per poter ritenere il soggetto responsabile, anche se - quando viene da questi posto in atto il comportamento "doloso" - la probabilità di un fallimento non è rappresentabile come nè probabile, nè prossima, nè inevitabile. Poichè l'addebito a titolo di responsabilità oggettiva del fatto è eccezionale per il nostro sistema: si impone, quindi, una valutazione severa del profilo connettivo tra azione e fallimento. Per questo motivo, la questione è delicata. Per un approccio formalistico, nulla precisando la norma e dovendosi seguire il criterio che informa il nostro ordinamento ex art. 40 cod. pen. (equipollenza delle cause), potrebbe sostenersi il rapporto in qualsiasi passività o perdita nella gestione sociale. la dimostrazione risulta automatica, non apparendo necessaria una esclusiva causazione dell’evento, bastando anche la concorrenza, insieme ad altri, del dissesto. In una lettura più aderente alla tutela disposta dal Legislatore, occorre pur sempre distinguere tra una causazione accessoria ad altre situazioni esterne alla “dolosità”, e la forza efficiente rispetto all’equilibrio economico dell’operazione incriminata: appare ovvio che, se l’operazione “dolosa” abbia provocato un irrisorio contributo, mentre altre (soprattutto se esterne alla gestione dell’impresa, come il fallimento di un debitore), sia state la causa diretta e prevalente, difficilmente potrà ravvisarsi la penale e grave responsabilità. E’ certo, in ogni caso, che la diretta efficienza causale nella valutazione dell'azione "dolosa", non può significare nè esaurienza nè assoluta preponderanza. Problemi seri sorgono, ancora, quando tra l’”atto doloso” e l’evento sia intercorso parecchio tempo. Quando, cioè, il fatto non possa considerarsi “doloso” al momento del suo compimento, ma risulti tale nel prosieguo del tempo. Si consideri, ad es. il caso del debitore garantito da fidejussione e che, al momento del 67 rilascio della garanzia l’atto fosse non soltanto privo di rischi, ma proficuo per la società (es. società del gruppo solida e solvibile), ma che, poi, egli divenga insolvente. Certamente non vi è responsabilità per l’amministratore che perfezionò l’atto ed il problema si configura sul mancato adempimento tempestivo dell’obbligo di impedire l’evento (pernicicosità dell’atto) nei successivi amministratori. f) l'elemento soggettivo. Come si è detto è sufficiente uno spessore assai limitato della volontà. Infatti, non é richiesta una volontà del fallimento (ed é, anzi, il parametro che divide questa fattispecie dall'altra), ma il mero “dolo generico” rispetto all’operazione “dolosa” 314. Anzi, di regola, i soggetti fanno di tutto per allontanare il fallimento e, in questa ottica, compiono anche atti “dolosi”. É soltanto richiesta la "dolosità" e, dunque, la consapevole realizzazione dell'"operazione" (e, quindi, anche del suo connotato antidoveroso, elemento qualificante del comportamento e che contraddistingue questo fatto da quello più tenue dell’art. 224 cpv. n. l. fall.), ancorché il soggetto non preveda e non voglia l'esito fallimentare. Si ripete: un'ipotesi di mero dolo eventuale, se non – per alcuni aspetti – di sostanziale responsabilità oggettiva.315 La bancarotta semplice propria. L'art. 217 l. fall. annovera una serie di ipotesi, tra loro in parte sovrapponibili, connotate soprattutto da una imprudente diminuzione patrimoniale, anche se alcune condotte possono essere connotate da dolo 316. É punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se é dichiarato fallito, l'imprenditore che, fuori dai casi dell'art. 216 … 1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica. La premessa consiste nel fatto che anche il patrimonio personale dell’imprenditore é posto a garanzia dei crediti dell'impresa, non esistendo nel nostro sistema separazione, a questi fini, tra patrimonio dell'imprenditore e patrimonio aziendale. Di qui la necessità anche qualche le scelte private dell'imprenditore siano compatibili con gli interessi della sua impresa e dei relativi creditori. Nonostante l'uso del plurale, é sufficiente anche un solo atto. Può trattarsi di un esborso di denaro o anche un impegno al pagamento. Deve trattarsi di spese per sé o la famiglia, non per l'impresa: sono così escluse le uscite sostenute per eccessiva pubblicità, per sfarzo di arredi d'ufficio, ecc. Anche le spese per sé che, indirettamente, sono dirette a sostenere l'impresa (il buon nome, la buona introduzione in ambienti profittevoli per le sue sorti, ecc.) debbono annoverarsi tra impieghi di tipo aziendale e non personale. Le spese debbono essere "eccessive" con riferimento alla situazione economica dell'imprenditore al momento della loro erogazione: é ovvio che, più ci si avvicina al momento della dichiarazione di fallimento, é più rigoroso deve essere il parametro valutativo, risultando il patrimonio assottigliato dalle perdite. Non é richiesta prova tra l'impoverimento determinato dalle spese ed il fallimento. La differenza con la più grave fattispecie di dissipazione sta nella voluttuarie e nella non inerenza a ragionevoli ragioni famigliari delle stesse.317 314 Cass., Sez. V, 26.2.1998, De Bellis, Cass. pen., 1999, 1961. Sez. I, 25.4.1990, De Sena, Cass. pen., 1992, 164. 315 Alludono espressamente a questa eccezionale manifestazione dell’elemento soggettivo, ANTOLISEI, Manuale diritto penale, leggi complementari, Giuffré, 1998, 128; CONTI, Diritto penale commerciale, I reti fallimentari, Utet, 1991, 219; CASAROLI, La causazione dolosa del fallimento, ecc., Indice pen., 1978, 453; , Cass., Sez. V, 3.3.\1999, Carrino, Cass. pen., 2001, 301; Cass. Sedz. V, 17.12.1997, De Bellis, Cass. pen., 1999, 1961 ; . 316 Su questa fattispecie cfr. in dottrina, CONTI, Diritto penale commerciale, Reati fallimentari, Tirino, 1991,230; LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 12993, 230; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale commerciale, Leggi complementari, Milano, 1993, 90;PEDRAZZI SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 137; PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, 1957, 119;ANTONIONI, La bancarotta semplice, Napoli, 1962, 105; NUVOLONE, Il, diritto penale del fallimento, ecc., Milano, 1955, 99; GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 217 e ss., ecc. 68 2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti. Trattasi degli atti di gestione che, secondo la prassi commerciale o di impresa, eccedono le normali regole di prudenza o di perizia, ma pur sempre assunte con l'intento di giovare alle ragioni d'azienda. É ovvio che la valutazione dell'avventatezza o della rischiosità deve essere assunta con riguardo all'oggetto dell'impresa: l'operatore di borsa, per esempio, istituzionalmente mette a repentaglio la ricchezza in negozi aleatori. Quivi il tasso di valutazione sarà assai più largo della norma. Purtuttavia anche nell'ambito di questa alea non vige la causalità pura ed é possibile assumere giudizi con riguardo a tecniche, nozioni ed esperienze tali da censurare come manifestamente imprudente una operazione. Poiché l'operazione speculativa é normale mezzo della vita commerciale, occorre vedere se la scelta dell’imprenditore, contrassegnata dagli esiti rovinosi, fosse indispensabile alla realizzazione della sua attività, o non vi fossero canali più tranquilli per migliorare le sorti del suo bilancio economico. Operazioni di "pura sorte" sono quelle in cui manca la riconducibilità ad una razionale previsione degli esiti: é chiaro che il ricorso ad essa deve essere motivato da intenti profittevoli all'impresa e che il gioco d’azzardo, per esempio, non risulta strumento compatibile con l'attività, soprattutto se svolto in una Casa da Gioco ove la proporzione tra le possibilità di vincita e di perdita é istituzionalmente sfavorevole al giocatore privato. La differenza con l'ipotesi di dissipazione sta proprio nella mancanza di inerenza tra la scelta aleatoria e le ragioni impresa. Non é richiesta prova del nesso di causalità tra la perdita ed il fallimento, bensì con la perdita di "notevole" parte del suo patrimonio. 3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento. Si tratta di operazioni assunte con la finalità specifica di allontanare la dichiarazione di fallimento che si presume quasi inevitabile, ma ovviamente anche nella speranza che esso non venga dichiarato. Quindi sono atti assunti in epoca assai prossima alla dichiarazione del fallimento. La differenza con le ipotesi della fraudolenza (venendo nella maggior parte dei casi ad arricchire con eccessiva faciloneria terze persone) sta nell'intento che non é quello di avvantaggiare altri, né di danneggiare i creditori, ma di proseguire nell'esercizio di impresa. Così le svendite di magazzino, l'accettazione di tassi usurari, l'assunzione di contratti onerosi quali il "lease/back", la transazione di crediti incerti, ecc. sono espedienti tesi all'incetta di liquidità con perdita di patrimonio. Essi assumono valenza illecita soltanto nel periodo prossimo al fallimento ed ove non siano dettati da ragioni proprie di una gestione fisiologica (per es. la svendita per riassortimento del magazzino, lo smobilizzo di eccessivo investimento, ecc.) 318 Dagli atti deve derivare un impoverimento del patrimonio del debitore. Non é però richiesta prova del nesso di causalità tra questi atti ed il fallimento: anzi é a dirsi che le condizioni del dissesto debbono, nella formulazione della norma che allude ad un "ritardo", preesistere alla condotta illecita. 317 La dottrina sottolinea che esiste anche una distinzione sul piano oggettivo, poiché il termine “operazioni” sottende l’esito di condotte di stretta gestione, unitamente alla speranza di profitto o – comunque – utilità per l’impresa: FORNASARI, Diritto penale commerciale, Vol. I, Utet, 1990, 96 e ss.; LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Ipsoa, 1993, 368; PEDRAZZI, in AA. VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, 1998, 97. Contra, nel senso che il legislatore non ha posto alcuna connotazione oggettiva all’attività dissipativi oltre quanto risulta dalla lettera della norma (sì che rientrano le perdite al giuoco,scommesse e simili) CONTI, Reati fallimentari, Utet, 1991, 237; PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, 1957, 124; GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Giuffrè, 1991, 303. 318 La giurisprudenza ritiene che la sistematica attività di svendita di beni, preordinata a finalità esterne all’interesse aziendale, costituisca attività di fraudolenta dissipazione, e non già la mera ipotesi di bancarotta semplice ex art. 217 n. 2 l. fall., cfr. Cass., Sez. V, 3.3.1999, Vichi, Cass. pen., 2000, 3449; Cass., Sez. V, 21.3.1979, Gilli, Giust. pen., 1979, II, 690.. 69 4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa. L'esito richiesto é l'aggravamento del dissesto. Le modalità di condotta sono duplici: - la mancata tempestiva richiesta di fallimento (art. 6 l. fall.) Sta a significare che l'esercizio dell'impresa ha prolungato lo stato di perdita, con indebolimento dell'equilibrio economico. Lo stato di dissesto deve essere conoscibile e non sopravvenire per ragioni improvvise ed imprevedibili (es. insoluto di un cliente importante). Occorre la prova del nesso di causalità tra il ritardo e l'omissione. - grave colpa. E’ una norma a larghissima fattispecie e prescinde dal ritardo o dal rovinoso proseguimento della gestione. Occorre, però, che esista già un dissesto e che la colpa incida sul mancato apprestamento di efficaci rimedi. Anzi, proprio per le permesse che portarono allo squilibrio, si richiede che l’imprenditore assuma iniziative idonee.Ove vi sia, per esempio, notoria insolvenza da parte di un soggetto, non esporre ulteriormente l'impresa al credito verso lo stesso. Ma, per lo più, si tratta di una ridondanza rispetto alle previsioni di cui ai nn. 3 ed alla fattispecie dianzi esaminata. 5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare. Di scarsa applicazione nella pratica. È inapplicabile all'institore. Si ritiene che il concordato si riferisca ad autonoma e pregressa procedura non anche quello che ebbe a precedere la dichiarazione del fallimento. In ogni caso deve trattarsi di un concordato assunto in seno ad una procedura giudiziale e non stragiudiziale. 6) la bancarotta semplice documentale (art. 217 comma 2 l, fall.) La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta. La condotta parifica la omessa tenuta alla irregolare o incompleta tenuta della contabilità. Non é richiesta la prova che la condotta abbia cagionato un pregiudizio effettivo, trattandosi di un reato di mero pericolo.319 Né é richiesta la impossibilità alla ricostruzione, anche tramite altre tracce contabili tenute dall'imprenditore (ad es. il corredo fiscale, non trattandosi di reato ad evento, ma di violazione formale della disposizione sulla contabilità). Non è supposta la realizzazione di pregiudizio ai creditori, trattandosi di fattispecie di pericolo presunto 320. Quanto alla condotta é ovvio che la irregolarità sia concetto comprensivo anche della incompletezza: é sufficiente uno scostamento dal precetto normativo per realizzare la fattispecie, anche se la prescrizione é esterna al contenuto della scrittura, ovvero alle modalità di articolazione del dato contabile (art. 2217 cod. civ., sulle modalità di annotazione del libro inventario, 2219 cod. civ. sul divieto di abrasioni, spazi, ecc.) La bollatura non è più obbligatoria a seguito del DPR. 26.10.1972 n. 642: la sua mancanza non concreta il delitto. La condotta deve collocarsi entro il triennio antecedente al fallimento: nel caso di cessione dell'azienda, responsabile deve ritenersi l'autore del fatto, ove sia dichiarato di poi fallito. La cessazione dell'attività non esclude l'obbligo della tenuta della regolare contabilità ove permangano obbligazioni e rapporti in grado di portarlo al fallimento. Oggetto materiale sono soltanto le scritture prescritte dalla legge e, cioé (a differenza che per l'art. 216 pp. n. 2 l. fall) ogni scrittura obbligatoria ex art. 2214 cod. civ., corredo che non può essere supplito da eventuali scritture facoltative (come quelle con finalità fiscale, contributiva, ecc.) 321. Non sono, quindi, oggetto del reato (secondo giurisprudenza prevalente) le scritture obbligatorie per la normativa fiscale, per le quali provvede l’apposita normativa. La condotta può essere sorretta da dolo o da colpa salvo che sia provata una specifica intenzionalità ad impedire la ricostruzione del movimento degli affari, caso in cui ricorre la fattispecie dell'art. 216 pp. n. 2 l. fall. 319 Cass., Sez. V, 7.11.1997, Brillo, Cass. pen., 1999, 1960 (che contemplava la ricostruibilità della contabilità a mezzo del corredo documentale fiscale). 320 Giurisprudenza costante, cfr. da ultimo Cass., Sez. V27.10.1998, Sgarbi, Cass. pen., 2001, 298; Cass. Sez. V, 24.11.1993, Vornoli, Cass. pen., 2001, 1995, 1636, ecc. 321 Cfr. da ultimo Cass., Sez. III, 2.9.2004, Aliberti ed altro, n. 35825, Guida al Diritto, 2004, 38, pag. 79; Cass. Sez. V, 10.5.2000, Benetti, Cass. pen., 2001, 3533; Cass. Sez. V, 27.4.2001, Columbro, Cass. pen., 2003, 1314.; Cass., Sez, V, 12.8.1997, D’Ambrosio, Cass. pen., 1998, 3417 (che ha limitato ai libri dell’art. 2214 cod. civ. il corredo, in mancanza del quale può affermarsi l’esistenza del delitto). 70 Avendo anche un fondamento colposo, la delega a terzi (professionisti, contabili) della tenuta delle scritture non esime la responsabilità l’imprenditore che é soggetto diretto del dovere: il suo contenuto, tuttavia, muta nella idoneità della scelta della persona deputata alla tenuta e nella vigilanza sul suo operato. 322 La bancarotta semplice documentale impropria (art. 224 l. fall.) - art. 224 n. 1 l. fall. La norma consiste nel rinvio alle fattispecie dell'art. 217 l. fall. Il coordinamento non é tuttavia sempre possibile. Infatti, sotto un profilo oggettivo, l'art. 217 n. 1 l. fall. é insuscettibile di traslazione alla sfera sociale prevedendo spese personali o per la famiglia (lo stesso si osserva per l'institore che non é il soggetto fallito). Ogni erogazione al soggetto proprio dell'art. 224 l. fall. o risulta frutto di distrazione ovvero é autonomamente censurata penalmente ove non ritualmente deliberata (es. art. 2630/2359 cod. civ.) Il socio illimitatamente responsabile risponde delle spese eccessive ricadenti su propri cespiti patrimoniali e non sociali. 323 Sul piano della responsabilità soggettiva é necessario un coordinamento con le singole funzioni degli organi sociali: i sindaci, per esempio, non hanno poteri gestori. Ad essi potrà addebitarsi la casistica della prima parte dell'art. 217 l. fall. soltanto per il tramite dell'art. 40 cpv. cod. pen. 324 Ed anche in tema di violazione documentale deve sottolinearsi che l'obbligo della tenuta dei liberi ricade soltanto sugli amministratori e, per limitata competenza istituzionale (cfr. artt. 2276, 2277, 2457 cod. civ.), sui liquidatori. La competenza dei direttori generali sarà stabilita dalle mansioni in concreto assegnate. É ovvio che, spettando ai sindaci (o ai nuovi organi frutto della riforma societaria) il controllo della contabilità (2403 cod. civ.), la loro responsabilità sarà maggiormente per difetto di vigilanza. Delicata é, infine, la posizione dei soci illimitatamente responsabili: qualora essi non abbiano rivestito il ruolo di amministratori, non sembra che siano da considerare responsabili ex art. 224/217 cpv. l. fall., non essendo soggetti destinatari dell'obbligo relativo. Nessuna questione, invece, per l’institore obbligato al dovere contabile ex art. 2205 cod. civ. - L'art. 224 n. 2 l. fall. É punita la condotta dei soggetti della bancarotta impropria che hanno concorso a cagionare o ad aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi stabiliti dalla legge. É una fattispecie a natura colposa, ricadendo - altrimenti - la condotta nella vicina figura dell'art. 223 cpv. n. 2 l. fall.325 É anche norma assai prossima all'art. 217 n. 4 l. fall., differenziandosene, forse, per il grado della colpa (in quel caso trattandosi di colpa grave) e per la modalità esecutiva (qui occorre l'inosservanza della legge). La legge é qualsiasi tipo di prescrizione, soprattutto quella del codice civile, ma anche leggi speciali. Occorre la dimostrazione di un nesso di causalità tra la condotta ed il dissesto o il suo aggravamento: ma la casistica è ampia (e stupisce una così rara contestazione della fattispecie nella pratica). Per esempio: la violazione degli obblighi incombenti agli organi sociali: per l’amministratore che non compia o concorra a compiere condotte fraudolente, la mancata vigilanza sullo sleale componente del consiglio di amministrazione. 322 Cfr. da ultimo Cass., Sez. V, 19.1.1999, Mollo, Cass. pen., 2001, 302, anche sul rilievo che obbligo dell’imprenditore è quello della vigilanza nell’interesse dell’impresa, sì che la delega non esclude responsabilità (a titolo di colpa) per omessa sufficiente ed idonea vigilanza. Osservazione che non vale per le ipotesi di bancarotta documentale fraudolenta, ma che consente di “derubricare” quest’ultima, in caso di accertata “culpa in vigilando” senza profili di collaborazione volontaria all’inquinamento contabile, nella “minore”ipotesi del’art. 217 l. fall. 323 Operazione interpretativa ritenuta possibile: Cfr. Cass., Sez. V, 5.2.1997, Tonini, Cass. pen., 1998, 1781; CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 268; CONTI, Diritto penale commerciale, Reati fallimentari, Utet, 1991, 255, ecc. 324 Si ritiene, per es., che la fattispecie relativa alle operazioni di pura sorte, impingendo in un ambito di merito gestorio, siano sottratte al compito di vigilanza di legittimità dei sindaci, cfr. CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffrè, 1993, 255 e ss. In giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. V, 18.12.2001, Vaccaio, Cass. pen., 2003, 1314; Cass. Sez. V, 24.4.1990, Piras, n. 184140 ; 325 Cass., Sez. V, 14.6.2004, Fierro, n. 26647, in Guida al Diritto, 2004, 29/82. 71 Per il sindaco, la mancata verifica periodica, la lettura del bilancio, la presenza ai Collegi sindacali, quando non sia provata una sua consapevolezza sulle alterazioni documentali o su delibere illegittime (nel qual caso egli risponde a titolo di concorso nel reato più grave) e vi sia dimostrazione di un pregiudizio ed un impoverimento dell’asse attivo sociale a seguito dell’omessa ed obbligatoria vigilanza; la violazione degli artt. 2446 cod. civ, già sanzionato dall'art. 2630 cpv. cod. civ.; art. 2447 cod. civ., quando il capitale scenda al di sotto del minimo legale e non si provveda alla liquidazione; la violazione dell'art. 2626 cod. civ., non più di rilevo penale, quando essa sia tesa ad occultare ai terzi le perdite e consentire il protrarre la gestione; la violazione dell'art. 2631 cod. civ. già punita dall'art, 2630 cpv. n. 3 cod. civ., quando la modifica dell'oggetto abbia portato al dissesto; forse anche la violazione degli obblighi contributivi, assicurativi, ecc. connessi in qualche misura all'evento che squilibra l'economia sociale, ecc.) La bancarotta semplice post-fallimentare. La mancata gestione del patrimonio (per lo spossessamento cagionato dal fallimento) non rende praticamente attuale e pratica ipotesi di commissione, nel corso di procedura, delle condotte descritte dagli artt. 217 e 224 l. fall. 72 PARTE IV Il nuovo concordato preventivo e l’art. 236 l. fall. a) Il presupposto della nuova procedura. La riforma ha oggi dato vita ad un istituto assolutamente diverso da quello che era regolato dall’art. 160 e ss. l.fall. anche se ha conservato il vecchio “nomen juris”. Le diversità sono sostanziose. Innanzitutto con riguardo al presupposto per l’ammissione alla procedura (art. 160 l. fall.). Il vecchio testo consentiva al debitore di fruire di questa procedura “minore” se egli si trovasse in uno stato di insolvenza (e potesse godere di alcuni requisiti personali di tipo quasi etico, come la “meritevolezza”, art. 181 n. 4 l. fall., e di altre dal connotato oggettivo, condizioni che oggi non sono più previste) e, pertanto, nella analoga situazione prevista per il fallimento (con la sola differenza, ad essa estrinseca, di qualificarsi come anticipatoria degli esiti più gravi propri della procedura fallimentare: “fino a che il suo fallimento non dichiarato”). Questa continuità normativa tra il concordato preventivo ed il fallimento giustificava – per i riflessi penali – la disposizione dell’art. 236 comma 2° n. 1 e 2 l. fall. che, per quanto attiene alla bancarotta impropria, equipara per entrambe le procedure le conseguenze della dichiarazione giudiziale di insolvenza. Con la conseguente riferibilità della penale responsabilità all’esponente societario o all’institore di condotte tipicizzate dagli artt. 223, 224, 227 l. fall., anche se – si osservi – la procedura si concluda con sentenza di reiezione, di omologazione, di risoluzione o di annullamento del concordato. Oggi, invece, la procedura del concordato preventivo dipende da una situazione significativamente (anche, se come ho detto, dai contorni incerta) diversa: lo stato di crisi (art. 160: “l’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo…”). Purtuttavia, il tenore letterale dell’art. 236 comma 2° l. fall. resta immutato di fronte al “nuovo” concordato preventivo a cui si adatta perfettamente, senza alcuna tensione analogica, sicchè – in un’ottica rispettosa della volontà del legislatore - non vi è ragione ermeneutica per negare siffatta dilatazione della fattispecie incriminatrice. Se in sé il raccordo alla “crisi” non modifica l’efficacia dell’art. 236 comma 2 n. 1, permanendo valida – nella sua modalità formale di richiamo ad istituti concorsuali ed ad norme incriminatici già perfette – mi sembra che ben diversa, proprio per la lettera della norma richiamata, per l’ipotesi della bancarotta “societaria” (e per le figure di bancarotta semplice impropria di cui all’art. 217 n. 4 a cui rinvia l’art. 224 n. 1, e – soprattutto – l’art. 224 comma 2) en divrso sia il discorso: infatti il nesso di causalità è rapportato al “dissesto” e non già al presupposto di partenza. Orbene, come già ho detto, la nozione di “dissesto”, se poteva risultare compatibile (anche se idealmente diversa è la nozione commercialistica, cfr. al proposito le raffinate osservazioni di PERINI, Il “cagionamento del dissesto”: la nuova bancarotta da reato societario al banco di prova della causalità, Riv. trim. pen. economia, 2004, 721 e ss.) con quella di “insolvenza”, risulta difficilmente coerente con il “dissesto” che dipinge un quadro di squilibrio di impresa ben più accentuato. Pertanto, salvo ritenere di fatto non più coerente il nuovo istituto con la vigente disciplina penal/fallimentare, assunto difficilmente giustificabile in sede interpretativa non evidenziandosi una insormontabile confliggenza di concetti e previsioni normative, occorre ritenere che la fattispecie incriminatrice abbia vigenza soltanto quando la commissione dei fatti sottesi dalle norme penal/societarie ad opera del debitore concordatario abbia determinato non già la impalpabile (sia in termini economici, sia nel profilo giuridico) soglia della crisi, bensì il più “pesante” dissesto. Occorre, cioè, sceverare in seno al processo causativo tra “fatto” illecito ed evento dissesto, la potenzialità di squilibrio derivata dal primo. E, se si riscontrano nella serie temporale della gestione sfociata nell’ammissione del concordato, quale di essi possa collocarsi in rapporto di continuità con il dissesto, e non soltanto ad una crisi d’impresa. Dal che derivano due conseguenze: - che ove l’ammissione alla procedura minore segua ad una mera crisi (come la nuova normativa consente), non vi è spazio per intravedere condotta incriminabile ex art. 236 comma 2 n. 1 l. fall.; - che la responsabilità a mente dell’art. 236 comma 2 n. 1 l. fall. potrà ascriversi soltanto agli esponenti societari, autori dei fatti criminosi di bancarotta da reato societario che siano rapportabili al dissesto e non alla sola crisi. Soluzione indubbiamente, assai discosta dalla originaria e più semplice coincidenza tra presupposto per l’ammissione alla procedura “minore” e processo causativo dello stesso, venendo a separare il portato della decisione giudiziale che ammette al concordato, dal nucleo unitario che si identificava con la concreta (e non potenziale o parziale) lesione alle ragioni creditorie e dall’esito di fraudolenza a cui porta la condotta degli autori. In quale concreta misura, poi, sia possibile separare i “fatti” penal/societari portatori di mera crisi da quelli forieri di dissesto è argomento delicato: ma sicuramente, al riguardo, occorre che il legislatore fallimentare 73 fornisca un qualche parametro definitorio della più lieve patologia, situazione a cui – d’altra parte – è ancorata non soltanto l’esigenza probatoria penale a cui si è accennato, bensì la stessa disciplina concorsuale. La risultanza dell’accertamento del passivo in sede concorsuale Infine, il discorso diviene rilevante nel caso della trasformazione della procedura in fallimento nel caso di inadempimento, causa dell’automatica trasformazione nella procedura maggiore (art. 186 comma 3 l.fall.), la quale non necessariamente (pur se tanto risulta nella normalità dei casi) sottende la verifica che le difficoltà finanziarie si inquadrano nella nozione di insolvenza. Quando, cioè, l’estensione punitiva, portata dall’art. 236 comma 2 n. 1 l. fall., oltrepassi i presupposti strutturali della fattispecie incriminatrice e divenga poco omogenea con il richiamo alle norme sulla bancarotta. Profilo di interesse anche per il giudice penale, poiché è (anche) a costui devoluta (secondo prevalente orientamento che riscontra l’abolizione nel nuovo codice di rito della cd. pregiudiziale assolutamente devolutiva costituita dalla sentenza del giudice fallimentare) la valutazione circa la premessa economica che dà luogo alla procedura. Pertanto, nel contesto del processo penale si darà luogo alla valutazione della compatibilità della fattispecie di bancarotta scaturita dalla mera crisi dell’imprenditore e non dall’insolvenza. La conseguenza sostanziale è che, potendosi ipotizzare il delitto di bancarotta (fraudolenta o semplice) impropria per le fattispecie di concordato preventivo (ed a prescindere dalla concreta applicabilità delle norme, qualora non si ravvisi nei fatti il dissesto), si estende – anche per questo verso – la possibilità di azione penale: basta che il debitore (societario o institore) avanzi un ricorso nei termini del nuovo art. 161 e che il tribunale, a mente dell’art. 163 ammetta costui alla procedura che, automaticamente si apre la teorica applicabilità dell’art. 236 comma 2 l. fall. (norma che si impernia sul decreto di ammissione alla procedura, non dall’approvazione o dall’omologazione). Né si creda che l’”iter” si modelli su quello tratteggiato dall’abrogato art. 163, procedura che comportava – anche a mezzo di idonea e soddisfacente motivazione del giudice – penetrante controllo di merito sulla proposta, con la possibilità di una reiezione dell’istanza anteriore all’emissione del decreto di apertura della procedura. Infatti, il nuovo art. 163 sembra accontentarsi di una validazione meramente formale del ricorso (“il tribunale, verificata la completezza e regolarità della documentazione…”), sì che l’effettiva garanzia di serietà del ricorso riposa sulla attendibilità dei documenti attestanti la situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa debitrice e sulla serietà della certificazione della società di revisione. c) L’informazione ai creditori. A sé, e parecchio interessante, è il capitolo relativo alla tutela della correttezza delle informazioni sulla situazione economica patrimoniale e finanziaria da parte dell’organismo che chiede l’ammissione al concordato. Il meccanismo normativo contempla che il debitore fornisca ai creditori ed al giudice ragguagli sulla sua situazione patrimoniale ed economica, onde consentire una valutazione sulla sua proposta concordataria. Il testo di nuovo conio non prevede alcuna specifica protezione penale per il caso in cui i dati siano infedeli ed eccessivamente “ottimistici” (mentre, al proposito, il testo della Commissione Trevisanato conosceva espressa fattispecie punitiva sia per le false informazioni sia per condotte di slealtà fraudolenta nel corso della procedura, cfr. art. 16 comma 8 dello schema di legge delega). Occorre, quindi, fare i conti con la risultanza della vigente disciplina ed, in particolare c1) L’informazione resa da chi richiede l’ammissione e la figura del “professionista” di cui all’art. 161 comma 3 l. fall. la relazione da questi redatta. Al riguardo, nella legge fallimentare, esiste la fattispecie dell’art. 236 comma 1 l. fall. protesa (con struttura soggettiva di dolo specifico) a punire le infedeltà dichiarative finalizzate all’ammissione al concordato preventivo e, cioè, la condotta “dell’imprenditore che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo, si sia attribuito attività inesistenti ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti”. Non è difficile rapportare siffatta prescrizione punitiva alla relazione del debitore che accompagna il ricorso per l’ammissione, quando si riscontri mendacio (anche nel coordinamento con l’annotazione del professionista, di cui all’art. 161 comma 3): - sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa; con uno stato analitico ed estimativo delle attività; - nell'elenco nominativo dei creditori, sicchè la falsità può leggersi qualora parte di essi siano stati consapevolmente pretermessi ovvero quando l’importo della pretesa sia stato arbitrariamente ridotto o, infine, quando sia falsa o volutamente carente l’annotazione sulle cause di prelazione; - nell’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore, dove l’eventuale infedeltà non attiene tanto alla nominatività dei soggetti, quanto all’esistenza di questi diritti; ed, infine e soprattutto, mendacio nella indicazione del valore dei beni. 74 Anche se non espressamente indicato dalla nuova normativa è ragionevole ritenere che la domanda dia anche conto della genesi della crisi, fornendo dettaglio sulle sue cause, onde consentire la valutazione della sua rimediabilità, alla luce delle soluzioni proposte del debitore, la bontà del suo piano di risanamento, ecc., ma la falsificazione di questi dati difficilmente rientrano nella nozione di attribuzione di attività inesistenti, quanto di più generica fraudolenza, non richiamata dalla norma. L’art. 236 comma 1 l. fall. disegna una figura di reato assai libera nella indicazione dello strumento decettivo (che, può consistere in dichiarazioni, relazioni, documenti, produzioni, ecc., avuto riguardo alla genericità dell’indicazione “siasi attribuito”), ad evidente specificità del dolo (finalizzato “al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo” sicchè esulano dalla fattispecie i casi di finalità diverse da quella afferente alla procedura concorsuale), a consumazione immediata, connessa alla emissione/deposito della comunicazione infedele (il raggiungimento dell’ammissione alla procedura è indifferente alla fattispecie penale, concretandosi la responsabilità con le condotte di attribuzione del credito, atti che si concretano nella esposizione diretta ai creditori ed all’AG.), segnalando che la condotta di falso deve precedere il decreto con cui il Tribunale ammette il debitore alla procedura di concordato preventivo (art. 163 l. fall.), poiché l’azione è finalizzata a questo risultato. Tuttavia la lettera della norma restringe in guisa non del tutto ragionevole la punibilità dei soli comportamenti promananti dell’imprenditore individuale, con esclusione dei rappresentanti societari, con una conseguente ben limitata applicazione (tesi assunta dalla grande3 maggioranza della dottrina e dalla giurisprudenza prevalente: Cass., Sez. 5., 2.6.1989, Danesi, n.147279 e dichiarazione di manifesta infondatezza del rilievo di illegittimità costituzionale, Cass. pen, 7.12.1983, Riv. pen., 84, 648) ha ritenuto inestensibile agli esponenti societari la fattispecie). Si tratta di norme penali incriminatici e, dunque, insuscettibili di estensione analogica. Così come estremamente (e non facilmente giustificabile) è la delimitazione della condotta illecita, ravvisata soltanto nell’attribuzione di attività inesistenti e non anche la sottostima di passività esistenti. Il che limita assai il campo della punibilità (anche se - per il vero, restando al piano applicativo - è assai raro che la sottostima di un’attività non rinvenga in qualche misura esposizione enfatizzata di altra corrispondente posta). Il rilievo, peraltro, non è indifferente per i casi, che si segnalano non sporadici, di manovre tese alla sottostima di attività in un’ottica di successivo riacquisto dell’azienda da parte di terzi collusi con il debitore. La conclusione è, quindi, nel senso che per gli organismi societari (e per l’institore) la falsa attribuzione di attività al fine dell’ammissione alla procedura concordataria è immune da rilievo penale. E’ vero che il secondo comma dell’art. 236 l. fall., a mezzo del quale è estesa ad alcuni soggetti l’applicabilità delle previsioni penal/fallimentari nel caso di ammissione alla procedura “minore” (con un curioso pendant rispetto alla incongrua limitazione della disposizione che lo precede, non essendo tra costoro annoverato l’imprenditore individuale né, conseguentemente, il richiamo agli artt. 216/217) tra cui quella dell’art. 223 l. fall. ai soggetti qualificati, così ipotizzando la applicazione a costoro dell’art. 2621 comma 2 n. 1 l. fall. in relazione ai fatti descritti dagli artt. 2621/2622 cod. civ. (false comunicazioni sociali). E’, ancora, certamente vero che l’informazione di cui si tratta può rivestire la connotazione oggettiva dello strumento descritto dalle disposizioni dei detti reati societari. Ma non ritengo che la naturale destinazione della (mendace) informazione possa qualificarsi come diretta ”al pubblico” dal momento che il novero dei creditori (immediati destinatari) non é indeterminabile (se è questo, come sembra il parametro per definire il concetto di “pubblico”) ma, per quanto vasto, pur sempre definibile “a priori” . Ed, allora, per la tutela dell’informazione proveniente da debitore societario non resta che il richiamo alla truffa (art. 640 cod. pen., eventualmente suscettibile di persecuzione ufficiosa con il concorso di un’aggravante, come l’art. 61 n. 7 cod. pen.) o alla ipotesi dell’art. 483 cod. pen. (sanzione: reclusione sino a due anni), nella convinzione che la relazione del debitore sia “destinata a provare la verità” e sia, comunque, diretta anche all’AG. c2) L’informazione ed il ruolo del professionista. L’art. 161 comma 3 l. fall. prescrive che al ricorso del debitore sia allegata una relazione di un professionista. Si tratta di un adempimento del tutto nuovo (anche se consacra una diffusa prassi già esistente prima della riforma) che introduce un ingresso “ab inizio” garantito circa la serietà della proposta (restando immutato il compito analogo, ma predisposto in un momento successivo ed in funzione di controllo, del Commissario tenuto pur egli alla compilazione di una relazione, art. 172 l. fall.) La figura del professionista è qui richiamata - atteso il contesto sistematico - non per il rapporto fiduciario che lo lega al cliente, bensì per la sua competenza professionale: anche perché quale tecnico ed esperto è posto in un regime di indipendenza tra il versante degli interessi del debitore e quello proprio dei creditori (pertanto, il professionista dovrà sottoporre a vaglio l’informazione fornita dal debitore, non bastando sicuramente che 75 l’attestazione di veridicità si limiti al riscontro della provenienza dal ricorrente del dato). Egli assume, quindi, la funzione di garante nell’interesse non tanto del debitore/proponente quanto degli interessi dei terzi. Tanto è agevole evincere dai requisiti che espressamente la riforma richiede per rivestire questo ruolo sono sintomatici: egli è equiparato al riguardo (cfr. il richiamo all’art. 28 l. fall.) al curatore che, pur presiedendo agli interessi creditorî è “terzo” rispetto alla massa. Ma, soprattutto, è disciplinato il rapporto di estraneità del professionista rispetto al debitore proponente, essendo (seguendo gli attuali tratti dell’art. 28, in attesa della novella riformatrice): escluso che sia suo parente/affine o suo creditore; non deve avere prestato a suo favore attività professionale; mai deve essersi ingerito nella impresa durante i due anni anteriori alla presentazione della istanza. Si affaccia, quindi, il quesito se questo soggetto – essenziale per l’avvìo della procedura e previsto in una in equivoca posizione di garanzia – assuma una qualificazione pubblicistica. Non deve sfuggire che il controllo che il Commissario della procedura svolge, stando al testo letterale della riforma (art. 172), si risolve in una scarsa verifica di sostanza quanto alla tenuta ed all’attendibilità delle scritture contabili e che al professionista è assegnato un compito di tutela degli interessi sicuramente non formale. A favore di questa ipotesi milita, indubbiamente, il collegamento con il Commissario che è espressamente definito pubblico ufficiale (art. 165) e la – per il medesimo richiamo dell’art. 28 – la cennata estraneità dagli interessi del privato committente. Ancora: la funzione chiaramente certificativa della sua relazione quanto alla “veridicità” dei dati aziendali esposti dal ricorrente, la quale si atteggia a base delle valutazioni disponibili per i creditori e dell’AG. Infine, la disciplina derivante dalle norme di diritto pubblico, quali sono quelle contenute nella legge fallimentare protesa alla soluzione di plurimi e configgenti interessi concorsuali ed alla disciplina, anche penale, delle evidenziate patologie. Difetta, invece, al professionista la scelta e la nomina promanante da organo pubblico, momento assai importante - anche se non decisivo - per valutare la sua qualifica. Ma ritengo che se, il giudice riterrà necessario devolvere al professionista la nuova redazione della relazione o la specificazione di punti non ritenuti esaurientemente raccolti nel primo elaborato, prassi già conosciuta nel vigore della novella, si determinerà una relazione, assai più stretta e qualificata con l’AG. In tal caso il professionista potrebbe, in definitiva, finire per rivestire una funzione di consulenza a favore della procedura, con le possibili responsabilità descritte dall’art. 64 cpc. Tanto interessa indubbiamente anche per qualificare la natura della relazione resa dal professionista: anche nell’ipotesi in cui egli sia ritenuto soggetto provato, difficilmente potrà negarsi la fattispecie di cui all’art. 483 cod. pen., postochè la relazione è diretta anche all’organo giudiziale e destinata a provare la verità dei dati aziendali. Per altro verso, potrebbe richiamarsi la funzione di consulenza nell’interesse della procedura: discorso che non risulta inappropriato se si considera che, per quanto attiene alla limitrofa disciplina del piano di risanamento, l’art. 67 comma 2 lett. d) dispone un richiamo espresso all’art. 2501 bis cod. civ., il quale a sua volta rinvia alla figura dell’esperto suscettibile di sanzione penale (sia a titolo di consapevole falsità peritale sia a titolo di colpa grave nella sua redazione) ex art. 64 cpc., essendo parificato al consulente tecnico nominato nel processo civile dal giudice. Ma, anche per questo profilo, l’assenza di una diretta nomina da parte del giudice sia la non stretta affinità tra l’attuale materia e quella delle fusioni societarie, per le quali vige la disposizione (indirettamente) incriminatrice, lascia ambiti di perplessità su siffatti raccordi, in assenza di più esplicita indicazione normativa. Quanto al contenuto della relazione, il professionista è chiamato a rendere attestazioni sui “dati aziendali”. La tecnica con cui deve redigersi la comunicazione è, verosimilmente, quella dell’informazione di bilancio salvo che, per una migliore chiarezza, il professionista ritenga di decampare dai referenti del codice civile, segnalando la diversa modalità espositiva. La nozione di “dati aziendali” è un novero che il legislatore non ha meglio specificato, se non nella finalità a cui deve tendere la relazione: informare i destinatari della proposta del debitore sulla situazione economica e patrimoniale dell’impresa (ed anche dei patrimoni ad essa vincolati per garanzia o per illimitata responsabilità), al fine di enucleare le potenzialità di risanamento e di affidabilità. Dunque, un’informazione veritiera che deve superare il formalismo ed anche i possibili immediati tornaconti del debitore: per es. è obbligo di verità quello di rendere nota anche la gestione fiscalmente riservata alludendo anche alle scritture “nere” (non si tratta di violazione menzionata come ostativa all’ammissione alla procedura), ed eventuali introiti di profitti non giuridicamente commendevoli. Sicuramente egli deve svelare le alterazioni dal vero rilevate nelle informazioni date dal debitore ai terzi, ove tanto possa influire sullo sviluppo della procedura concordataria: il dovere di verità non è astratto ed onnicomprensivo, ma funzionale agli interessi alla cui tutela è disposta la relazione Diverso il discorso se, poi, la certificazione proviene da società di revisione 76 che abbia esplicato un’attività ad essa tipica (es. siano stati certificati i bilanci allegati): non dovrebbero esservi ostacoli all’applicazione dell’art. 2624 cod. civ., fattispecie che - secondo prevalente dottrina -annovera anche i casi di revisione facoltativa di ente o soggetto che la richieda. Norma che – pur non essendo integrativa della fattispecie dell’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. assume una fisionomia di una qualche gravità. La fattispecie è notoriamente svincolata dal meccanismo delle soglie di rilevanza quantitativa del falso e – qualora dalla condotta alterativa consegua danno ai creditori – contempla sanzioni non indifferenti (reclusione da uno a quattro anni). E’, infine, utile rammentare che è sempre possibile la rappresentazione del concorso del debitore nel reato del professionista, affinché questi rassegni una certificazione falsa. In tal caso il debitore risponderà delle falsità ascrivibili al professionista. Un’ultima osservazione circa la natura del mendacio. Infatti, l’informazione resa ha due peculiarità: - quanto all’attestato di veridicità, la relazione attiene a dati in gran parte valutativi, dunque ad un tipo di falsità che deve riguardarsi con particolare cautela, avendo per un verso dei parametri indicati da organismi tecnici internazionali, eppertanto un limite quasi oggettivato della discrezionalità, per altro aspetto, contrassegnata da possibile e lecita difformità di opinione e sensibilità, anche se rapportata alle ben diverse situazioni di paralisi operativa conseguenti alla crisi dell’organismo ed alle peculiarità dei singoli comparti di mercato; - quanto all’attestato di fattibilità, la relazione attiene a prognosi di risanamento o anche di sviluppo del “trend” attuale, quanto al giudizio di “fattibilità” del piano di concordato. Piano assai faticoso per affermare il distacco dal vero, dal momento che il mendacio – secondo prevalente dottrina – è dichiarazione (non vera) di scienza. Oggetto del falso è, tendenzialmente, il dato storico attuale. non quello futuro e possibile. Ma è chiaro che la falsità del dato di partenza determinerà il falso risultato del dato futuro estrapolato dalla risultanza presente. Di qui la rilevanza anche di questi giudizi, quando essi siano il portato di false informazioni di base. Questa seconda parte della relazione è non meno importante della prima, in quanto il professionista, proprio quale soggetto “esperto” ed “estraneo” alle vicende dell’imprenditore, partendo dalla veridicità dei dati aziendali riferiti, esprime un giudizio sulla concreta riuscita della proposta di concordato e in particolare sul raggiungimento degli scopi in esso previsti, venendo considerate idonee le soluzioni adottate sia sul piano giuridico che su quello economico. c2) La responsabilità penale dei diversi soggetti. La responsabilità del debitore ammesso alla procedura concordataria è regolata dalla già citata disposizione dell’art. 236 comma 2 l. fall., applicabile ai soli organismi societari (ed all’institore) che equipara l’ammissione alla dichiarazione di fallimento e, dunque, la responsabilità per i fatti descritti dagli artt. 223 e 224 l. fall. Pertanto, l’imprenditore individuale è esente dalle responsabilità descritte dalle norme sulla bancarotta per fatti commessi nella gestione di impresa, quando sia stato ammesso al concordato preventivo. Discorso che, ovviamente, muta se al suo fianco si rinvenga un socio di fatto e, conseguentemente, una società irregolare soggetta alla disciplina degli artt. 223 e ss. l. fall. Quanto alla bancarotta documentale giova segnalare che – se la inorganica e difettosa tenuta delle scritture non è ostativa all’ammissione al nuovo concordato – la stessa, invece, è costitutiva della fattispecie di bancarotta semplice (o fraudolenta documentale). A mente del medesimo art. 236 comma 2 n. 3 l. fall. la responsabilità penale del Commissario è parificata (parzialmente) a quella del Curatore e, pertanto, sono ascrivibili al medesimo i reati di cui gli artt. 228 (interesse privato negli atti del fallimento) e 229 (accettazione di retribuzione non dovuta). Non vi è menzione dei coadiutori (che, dunque, risultano esterni al richiamo ma che possono concorrere nel reato, nel caso di concerto, con il Commissario). La figura del Commissario è formalmente invariata, rispetto al previgente regime, poichè nessuna delle norme è stata modificata dall’intervento riformatore (egli è pubblico ufficiale). L’art. 236 comma 2 n. 4 l. fall. estende ai creditori le responsabilità per le condotte di ricettazione fallimentare (art. 232: sia per la presentazione di domanda per crediti simulati, sia per condotte di distrazione senza concorso del debitore) e art. 233 l. fall. (mercato di voto, reato pluri-soggettivo che presuppone il concerto con il debitore/proponente). PARTE V: concordato preventivo ed amministrazione controllata a) La riforma dell’art. 218 l. fall. (Ricorso abusivo al credito) 77 La novella non discende dall’intervento riformatore della legge fallimentare, bensì dal recente art. 32 della legge n. 262/2005 («Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari») che ha riformulato la fattispecie di ricorso abusivo al credito. Questo era il quadro previgente: - il primo comma dell’articolo 218 l. fall. puniva, con la reclusione fino a due anni, il fatto dell’imprenditore esercente un’attività commerciale che, dissimulando il proprio dissesto, ricorreva o continuava a ricorrere al credito. - la norma trovava il corrispondente nell’art. 225 l. fall. che applicava le pene stabilite dall’art. 218 l. fall. agli amministratori ed ai direttori generali di società dichiarate fallite i quali si fossero resi responsabili del fatto ivi previsto. - analoga estensione l’art. 227 l. fall. prevedeva per l’institore dell’imprenditore dichiarato fallito. - il generale richiamo dell’art. 222 l. fall. alle fattispecie descritte al capo I del Titolo VI della legge fallimentare, rendeva responsabili del delitto anche i soci illimitatamente responsabili purchè la società fosse assoggettata a procedura concorsuale. Il nuovo articolo 218, come sostituito dalla legge in esame, prevede ora che gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un’attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti, dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza siano puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. In pratica: a) per quanto attiene al novero soggettivo: - si è estesa a tutti i soggetti indicati dall’art. 225 l. fall. la fattispecie, privando di rilevanza quest’ultima norma, con la conseguenza (secondo quanto sarà detto oltre) la quale limitava la responsabilità a quanti fossero stati preposti a “società dichiarate fallite”, limitazione oggi non più prevista; - si è aggiunto al novero soggettivo la categoria dei liquidatori; - non si sono menzionati né l’institore né i soci illimitatamente responsabili, soggetti che – tuttavia – risultano pur sempre soggetti al comando penale in forza dei vigenti artt. 222 e 227 l. fall. b) per ciò che concerne il fatto, - è stato introdotto l’inciso “anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti”. Un riferimento ai fatti di bancarotta, fraudolenta e semplice, prefallimentare e, segnatamente, al caso indicato dall’art. 217 co. 1 n. 3 e 4 l. fall. (bancarotta semplice consistita nel compimento di operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento; o nell’aggravamento del dissesto per la tardiva richiesta del proprio fallimento) ovvero, all’ipotesi di bancarotta fraudolenta sia documentale (art. 216 pp. n. 2 l. fall.) sia societaria (con più porbabile riferimento al fatto di false comunicazioni sociali o al compimento di operazioni dolose: art. 223 co. 1 n. 2 e co. 2 l. fall.: cfr. sul punto Cass., sez. V, 14.1.2004, Iride, Riv. pen., 2004, 843). - l’inciso, al contempo, conferma quanto si opinava in ordine alla configurabilità del reato indipendentemente dalla dichiarazione di fallimento: cfr. ex plurimis Cass., sez. V, 04.5.2004, Narducci, Ced Cass., 228906; Cass. I, 22 luglio 1997, Zarri, in Cass. pen. 1998, p. 2482; Cass. I, 24 ottobre 1984, Moscatelli, ivi 1990, p. 331; in senso contrario la più recente giurisprudenza (“il reato di ricorso abusivo al credito richiede che il soggetto al quale esso viene addebitato sia, successivamente, dichiarato fallito”, Cass., sez. V, 4.5.2004, Narducci, Ced Cass., rv. 228906) autorevole dottrina (ANTOLISEI, Manuale, II, 173; CONTI, II, 352 e ss.; PEDRAZZI SGUBBI, p. 193 e ss., ecc.) - è stata eliminata la clausola di sussidiarietà: «salvo che il fatto costituisca più grave reato», che era riferita essenzialmente alla truffa, prima punita con pene più elevate, ma, con l’inasprimento portato dalla riforma, ormai collocata a livello sanzionatorio sostanzialmente uguale (per quanto attiene alla pena detentiva, non essendo prevista multa per il “nuovo” art. 218 l. fall.), fermo restando che il ricorso abusivo al credito presupponeva solo l’occultamento dello stato di insolvenza al fine di ottenere credito, mentre la truffa comportava – indipendentemente dall’impossibilità di adempiere alle obbligazioni – l’induzione in errore mediante artifici e/o raggiri; cfr. Cass. V, 16 marzo 2000, Motta, in Guida dir. 2000, n. 16, p. 84). - è stata estesa la nozione di oggetto materiale del delitto: la dissimulazione è penalmente rilevante anche se destinata ad occultare lo stato di insolvenza. Il legislatore sembra confermare che dissesto e insolvenza sono termini esprimenti concetti diversi (sulle due nozioni, si richiama il già ricordato lavoro di PERINI, Il “cagionamento del dissesto”: la nuova bancarotta da reato societario al banco di prova della causalità, Riv. trim. pen. economia, 2004, 721 e ss.) - invariata è la nozione di «credito» che indica «qualsiasi genere di prestazione data contro la promessa di prestazione futura» ovvero come richiesta di finanziamento attraverso gli ordinari canali bancari, e anche come utilizzo di un sistema che consenta il pagamento differito di un debito, mediante l’assoggettamento ad un costo qual è quello costituito da una fideiussione bancaria (ad es. prestito in denaro; acquisto di merci a pagamento differito; percezione di anticipi per forniture da eseguirsi; anticipazioni bancarie; sconti cambiari, 78 ecc.: cfr. Cass., sez. V, 14.1.2004, Iride, Riv. pen., 2004, 843; Cass. V, 3 marzo 1971, Caprari Santi, in Arch. pen. 1972, II, p. 23). Ovviamente lo stesso oggetto materiale rende contigua la fattispecie del “mendacio bancario”, verso cui la presente figura è connotata da specialità attesa la presenza di un dissesto e dalla peculiare condotta di mendacio costituita dalla relativa dissimulazione). - immutata la nozione di «Dissimulare lo stato di dissesto»: essa significa occultare, con reticenze o dichiarazioni inesatte ed anche con il mero silenzio, lo stato patrimoniale dissestato (che non deve essere riconoscibile o conosciuto da chi concede il « credito »: v. Cass. V, Marrone, 27 marzo 1979, in Riv. pen. 1979, p. 778). - non modificata la struttura del dolo richiesto, meramente generico (e non quello specifico, finalizzato al conseguimento di un ingiusto profitto), costituito dalla consapevolezza dell’insolvenza e dalla coscienza e volontà di fare ricorso al credito nonostante il pericolo che la situazione di dissesto costituiva per le ragioni del creditore (Cass., sez. V, 18.10.2002, Vignoli, Riv. pen., 2003, 241). - il trattamento sanzionatorio è stato inasprito: la reclusione prevista dall’abrogato art. 218 era sino a due anni, oggi è stato determinato il minimo in sei mesi di reclusione ed il massimo è stato portato a tre anni. L’attuale terzo comma ripropone, infine, le pene accessorie di cui al previgente secondo comma (oltre a quelle di cui agli articoli 28 ss. c.p., l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni). - è stata introdotta la circostanza aggravante (art. 218 co. 2 l.fall.), per il caso in cui ricorrano abusivamente al credito gli amministratori, i direttori generali ed i liquidatori di società quotate in mercati regolamentati. 79 b) La scomparsa dell’amministrazione controllata ed il reato di cui all’art. 236 comma 1 l. fall. L’art. 147 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 ha abrogato l’intero istituto dell’amministrazione controllata, disciplinata, in seno alla legge fallimentare, dall’art. 187 all’art. 193. Abrogazione destinata ad entrare in vigore dopo sei mesi dalla pubblicazione (e, quindi, al 16 luglio 2006).La procedura “minore” è letteralmente richiamata a supporto della fattispecie incriminatrice dell’art. 236 primo e secondo comma, l. fall. Per quanto attiene al primo comma, essa qualifica il fine specifico del dolo. (“al solo scopo di esser ammesso alla procedura … di amministrazione controllata”) Nel secondo comma richiama la procedura quale area in cui collocare e far dipendere l’intera previsione incriminatrice, “nel caso di … amministrazione, si applicano le disposizioni …” Il quesito che si pone è se l’abrogazione dell’istituto comporti l’abolitio della fattispecie penale (che in sé coinvolge anche l’applicazione delle maggiori ipotesi punitive della legge, bancarotta, reati del commissario, reati ascrivibili ai creditori). L’attenta lettura della norma incriminatrice esclude che la procedura concorsuale possa considerarsi un profilo esterno all’oggetto del reato. In sostanza un elemento non costitutivo della stessa. Infatti, secondo costante dottrina e giurisprudenza, la responsabilità penale fonda sulla procedura “minore” in via autonoma, non già quale riflesso del fallimento: essa può esser affermata anche se la procedura si chiuda e l’organismo un tempo dissestato riprenda ad operare. La giurisprudenza della Cassazione (ancorché l’indirizzo sia fortemente contrastato in dottrina e da giurisprudenza di merito) individua nell’apertura della procedura concorsuale l’elemento costitutivo della fattispecie e, dunque, momento centrale del fatto tipico. La storica decisione Cass. S.U., 25 gennaio 1958, Mezzo, in Giust. pen., II, p. 513 che ha avviato questo indirizzo ermeneutica, rare volte abbandonato, osservava: “la dichiarazione di fallimento pur costituendo elemento imprescindibile per la punibilità dei reati di bancarotta, si differenzia concettualmente dalle condizioni obiettive di punibilità vere e proprie …”. Un’analoga indicazione la Suprema Corte ha reso a proposito dell’amministrazione controllata affermando “nella struttura del reato in oggetto, il decreto di ammissione al concordato preventivo o all’amministrazione controllata viene ad assumere la stessa funzione e a svolgere la stessa efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento nelle ipotesi ordinarie di bancarotta” (Cass., sez. V, 7 luglio 1993, Po, in Difesa penale 1993, fasc. 40, p. 59). Ed, allora, se la procedura in discorso è elemento costituivo del reato, consegue che l’abrogazione dell’amministrazione controllata coinvolge la cancellazione dell’art. 236, secondo comma, nella parte in cui richiama l’istituto della amministrazione controllata e da questa fa dipendere la punibilità delle condotte. Conclusione aderente ai principi generali del nostro sistema penale, anche se con esiti non del tutto ragionevoli, quanto ad equità: pur foriera di apprezzabile pregiudizio ai creditori il comportamento già censurato dalla norma in discorso, perde oggi (anzi, a far data dal 6 luglio 2006) - e con effetto di retroazione - di qualsiasi rilevanza. Soluzione che, al contempo, potrebbe essere evitata se, come la più autorevole dottrina reclama, la decisione giudiziale venisse qualificata come condizione obiettiva di punibilità, superando la radicata e non convincente opinione della Suprema Corte, la stessa potrebbe considerarsi esterna alla fattispecie tipica e, come tale, non coinvolta dall’art. 2, secondo comma, c.p., quale elemento accidentale ed accessorio alla condotta. PARTE VII: Le circostanze del reato concorsuale a) Le ipotesi di continuazione e l'art. 219 cpv. n. 1 l. fall. La norma dell'art. 219 cpv. n. 1 é un'aggravante (speciale ma non ad effetto speciale) per chi ha commesso "più fatti tra quelli previsti in ciascuno degli" artt. 216, 217 e 218 l. fall. E’ l’espressione della concezione unitaria della bancarotta, tale da includere in sé un regime di continuazione più favorevole all’autore dell’illecito, rispetto all’art. 81 cpv. cod. pen. (la cui disciplina è, dunque, esclusa). 326 E’, quindi, contemplata (per impostazione tradizionale) una ipotesi di continuazione così articolata: occorrono più fatti tra loro distinti, non la reiterazione della lesione allo stesso interesse.327 In tal senso non vi rientrano le plurime condotte di uno stesso fatto (ad es. più atti di una continuata ed unitaria attività distrazione, occultamento, dissipazione, ecc.) 326 Cass. Sez. V, 31.1.2003, Mennino, n. 4710, in Guida al Diritto, 17/63; Cass., Sez. V, 15.4.1998, Calabro, Cass. pen., 1999, 1957. Cass. Sez. V, 26.1.1993, Vandini, Cass. pen., 1994, 2220; Cass. Sez. V, 24.6.1988, Riccielli, Cass. pen., 1990, 330, ecc.. ben potendosi,invece, applicare l’art. 81 cpv. cod. pen. tra il delitto di bancarotta fraudolenta ed altre fattispecie penal/fallimentari, come la bancarotta semplice, cfr. Cass., Sez..V, 16.8.1996, D’Angelo, Cass. pen., 1998, 3412. 327 In Dottrina, ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Giuffré, 1993, 144; CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 285, CONTI, I Reati fallimentari, Utet, 1991, 341, ecc. In giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. V, 14.7.1998, Bagnasco, Cass. pen., 2001, 292; Cass., Sez. V, 80 In questi casi non si ravvisa pluralità di condotte, ma un'unica condotta.328 i fatti debbono essere considerati in ciascuna delle norme, così la commissione di (una o più) ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di (una o più) ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale o anche di preferenzialità debbono essere considerati a mente dell'art. 219 cpv. n. 1 l. fall. Non così se una condotta é contemplato dall'art. 216 ed un'altra dall'art. 217 l. fall. In tal caso avrà luogo l’applicazione dell'art. 81 cpv. cod. pen. (che, tuttavia, non é compatibile con fatti connotati da sola colpa, come potrebbe, in concreto, accadere in seno alle condotte di bancarotta semplice). I fatti debbono attenere alla medesima vicenda fallimentare: ove si riferiscano a condotte commesse nell'ambito di pi fallimenti potrà trovare luogo l'art. 81 cpv. cod. pen. E tanto si osserva anche per le società collegate in un gruppo, mantenendo esse, anche in sede fallimentare, la loro autonomia. Pur nel silenzio della norma, risolvendosi in un trattamento più favorevole al reo, rispetto al concorso di reati, viene ritenuta applicabile, per estensione analogica, la disposizione dell'art. 219 cpv. n. 1 l. fall. anche ai fatti previsti in ciascuno degli art. 223 e 224 l. fall. Sempre per via analogica é stato ritenuto estensibile l'ambito dell'art. 219 cpv. n. 1 l. fall. anche alla pluralità delle figure descritte dal primo e dal secondo comma dell'art. 223 l. fall.329 b) Le circostanze relative al danno patrimoniale. L'art. 219 pp. e ultimo comma l. fall. prevede due circostanze speciali ed ad effetto speciale e di natura oggettiva 330 quando, rispettivamente, il danno cagionato dalla violazione degli art. 216, 217, 218 l. fall. sia di rilevante gravità (aumento sino alla metà della pena) oppure quando esso risulti di speciale tenuità (si osservi: diminuzione sino al terzo della pena edittale e non di un terzo). La loro presenza sostituisce ed esclude la ricorrenza dell'art. 61 n. 7 e 62 n. 4 cod. pen. La valutazione del danno, nella bancarotta fraudolenta patrimoniale, non va effettuata sulla base del passivo 331 o del disavanzo fallimentare, ma con riguardo al complesso dei fatti illeciti per cui vi é stata condanna (ad. es. il valore dei beni distratti, dissipati, del disavanzo ingiustificato, ecc.) con riferimento al pregiudizio non già ad un singolo creditore, ma alla massa. 332 Nella bancarotta fraudolenta documentale é assai più difficile accertare il pregiudizio cagionato dalle condotte illecite: il criterio del riferimento al disavanzo non giustificato riesce il più logico, quando non sia possibile accertare il danno derivato dal mancato esperimento da parte degli organi della procedura di azioni revocatorie per i rapporti occultati. Si é sostenuto che per la bancarotta documentale semplice, mancando una prova di un danno causalmente collegato alla condotta tenuta, dovrebbe applicarsi sempre l'attenuante dell'art. 219 uc. l. fall. Assai dubbia, infine, l'estensibilità dell'art. 219 cpv. n. 1 l. fall. ai fatti di bancarotta impropria di cui al cpv. dell'art. 223 o 224 n. 2 l. fall. Sia la diversità ontologica delle fattispecie rispetto a quelle descritte dagli artt. 216 e 217 l. fall., sia il pii severo trattamento che verrebbe inflitto per via di analogia, paiono elementi ostativi. Diverso discorso per l’art. 219 uc. cod. pen. ove, trattandosi di norma più favorevole (anche rispetto all’art. 62 n. 4 cod. pen.) non osta la applicazione analogica. 14.7.1998, De Benedetti, Cass. pen., 1999, 651 e ss.; Cass., Sez. V, 5.10.1981, Brandinelli, Cass. pen., 1982, 2105. 328 Cass., Sez. V, 5.10.1981, Brandinelli, Cass. pen., 192, 2105. 329 BRICCHETTI, I reati fallimentari, Convegno CSM. 14/16.2.2002, ha esattamente osservato l’esito iniquo della riforma di cui all’art. 4 del D. L.vo 61/02 nel senso che se, invero, la commissione del fatto integrante il reato societario non ha cagionato il dissesto della società, non è ipotizzabile la bancarotta impropria, ma il solo reato societario. Con il risultato che, qualora esso concorra con un fatto di bancarotta, sarà applicabile la più severa disciplina del concorso materiale di reati, seppur eventualmente sub specie di continuazione in caso di identità del disegno criminoso. 330 Esclude ogni profilo di soggettività di siffatte circostanze Cass. Sez. V, 17.4.2000, Albini, Dir e prat. soc., 2000, n. 13, p. 83. 331 Cfr. Cass. Sez. V, 12.7.2004, Dal Cin, n. 30326. in Guida al Diritto, 33 pag. 80; Cass., Sez. V, 23.11.2000, Di Muni, Cass. pen., 2001, 3533 (anche con riguardo alla ricorrenza dell’attenuante dell’uc. dell’art. 219 l. fall.); Cass., sez. V, 7.8.2997, Puycillo, Cass. pen., 1998, 3418, ecc.. 332 Orientamento che non è costante: talora il referente è anche il rapporto tra entità dei beni ed ammontare del passivo, sì che il danno viene commisurato sul pregiudizio di ciascun creditore, cfr. Cass., Sez. V, 7.7.1998, Cass. pen., 2001, 300. Altra volta si ha riguardo anche ai connotati della condotta delittuosa, come la vicinanza al dissesto, la natura delle operazioni, ecc., cfr. Cass., Sez. V, 18.6.1997, Pupillo, Cass. pe n., 1998, 3418. 81 Si segnala che esiste già, per le violazioni societarie, l'aggravante (speciale e ad effetti speciale) dell'art. 2640 cod. civ. e per le restante ipotesi l'art. 61 n. 7 cod. pen. L'art. 219 comma 2 n. 2 l. fall. Prevede aggravante non ad effetto speciale per chi ha commesso il fatto pur non potendo esercitare un'impresa commerciale. É fattispecie desueta nella pratica. Conosce una norma assai prossima, l'art. 234 l. fall. Proprio per questa figura limitrofa il dettato dell'art. 219 cpv. n. 2 l. fall. riguarda incompatibilità diverse dal divieto per condanna: ad es. per ragioni di impiego (es. dipendenti pubblici, avvocati, ecc.) Parte IX Cenni sulla condotta illecita del terzo senza collusione con l'imprenditore dissestato ed in particolare nei rapporti con la banca creditrice. Accanto alle ipotesi di coinvolgimento del concorrente nei fatti penali riferibili all’impresa in dissesto, è d’uopo un cenno alle autonome fattispecie di interesse penale scevre da collaborazione tra il terzo e la condotta d’impresa. La norma che viene invocata, in sede penal/fallimentare, per le fattispecie di impoverimento dell’impresa senza apporto da parte dell’imprenditore è quella dell'art. 232 cpv. l. fall., la cd. "ricettazione fallimentare" e, segnatamente (per quanto qui può interessare), la “ricettazione pre-fallimentare” dell’art. 232 cpv. n. 2 l. fall., per la quale è richiesta consapevolezza del dissesto da parte del soggetto agente. La condotta obiettiva incriminata è sia quella della "distrazione/ricettazione" ovvero l'acquisto a prezzo notevolmente inferiore al valore corrente. Mi soffermo anche qui su un ambito poco esplorato dall’esperienza penalistica: i rapporti dell’impresa dissestata con la banca o, in genere, con i finanziatori. La casistica può interessare tutte le situazioni proprie di un rapporto bancario: il trattenimento di un libretto al portatore o di altra ricchezza del cliente; la mancata restituzione di un libretto di assegni per operare su un c/c attivo; l'incameramento di titoli a "dossier", ecc., in vista di compensazioni improprie con posizioni in "rosso"; fino all’acquisizione di ricchezza (ad es. interessi eccedenti l’accordo concluso con il cliente) sicuramente non pertoccante, ecc.333 Anche in questo ambito è lecita la distinzione tra arricchimento indebito del terzo rispetto al ristoro del creditore, senza il consenso del fallito. Riproporre, quindi, in un contesto privo della volontà del fallito, la bipartizione dianzi affacciata tra bancarotta fraudolenta e preferenziale. E, dunque, se compia atto illecito di "distrazione" tanto chi raggiunga risultati di impoverimento ingiustificato (quando la perdita di ricchezza dall’impresa non rinviene alcuna motivazione in termini di interesse o economia per la stessa, come il pagamento dell’indebito o comunque di un debito che non è proprio) quanto quel creditore che ristori sè medesimo di una pretesa realmente esistente, dal momento che siffatta condotta - per il parallelo art. 216 l. fall. - è riservata al solo comportamento di chi indebitamente impoverisce l'asse dell'imprenditore dissestato e non a chi altera la "par condicio". La giurisprudenza della SC. ha fornito risposta affermativa 334, facendo leva sulla generica descrizione normativa ("chiunque") del soggetto. La tesi, in realtà, appare discutibile poichè le due situazioni (distrazione dell'indebito e ristoro di quanto spettante) risultano fortemente diversificate e difformemente trattate in seno alla figura della bancarotta. Ma, al contrario, è il caso di compensazioni di obbligazioni senza i presupposti indicati dal codice per la loro automaticità (cfr. art. 1252 cod. civ.): il mancato interpello del debitore esclude costui da ogni responsabilità penale e riconduce la stessa al solo creditore. Va, però, detto che alcune drammatiche situazioni di dissesto in cui lo stato di assoggettamento del debitore, indebolito nel rapporto negoziale dalle sue condizioni, verso le pretese del creditore, propone ipotesi delittuose esulanti dalla disciplina penal/fallimentare 335. 333 Le decisioni giurisprudenziali in tema di ricettazione fallimentare attribuita ad operatore bancario non sono rarissime. Cfr. ad es. Cass. 20.3.1987, Zampolli, Riv. Pen., 1988, 200. 334 Cass. 10.2.1967, Berto Alborea, Giust. pen., 1967, II, 1245 335 La pretesa vessatoria, per esempio, di nuove garanzie per crediti scaduti, può integrare l’illecita acquisizione di “vantaggi usurari”, a mente dell’art. 644 cod. pen., nella sua nuova formulazione della legge 108/96: la possibilità che una garanzia costituisca l’oggetto del delitto in esame è testualmente riscontrabile nello stesso art. 644 comma 5 n. 2 cod. pen., norma che è divenuta, per le connotazioni 82 Occorre rammentare che qui “ingiustizia” del profitto è sicuramente quella del creditore che intende raggiungere un risultato del tutto indebito, ma anche quella di chi intende realizzare il risultato con la vulnerazione dei parametri della “par condicio” ed in palese violazione dell’art. 216 comma 4 l. fall. 336 Pertanto, la minaccia di revoca dei fidi, la prospettazione di una istanza di fallimento per il soddisfacimento di proprie pretese (in guisa evidente da non consentire il ristoro in via concorsuale) può anche colorarsi di tratti estorsivi337. Allo stesso modo la prospettazione del male costituito dalla chiusura degli affidamenti, dal loro restringimento, dall’istanza di fallimento (o della richiesta di avvìo di altra procedura concorsuale) avanzata per il soddisfacimento degli interessi non conformi a giustizia, ma per scopi estranei, colora di strumentalità la minaccia e rende la medesima ingiusta e, quindi, estorsiva 338. Come quando l’istituto di credito pretenda, con questo mezzo, l’appianamento non già delle pendenze del debitore minacciato, ma di altri enti, anche prossimi a costui (ad es. altre società del gruppo, non collegate per via di responsabilità solidale o di garanzia al debito), per i quali non è giuridicamente riconoscibile alcuna pretesa del creditore 339. Torino, 12 febbraio 2007 Gian Giacomo Sandrelli attribuite dalla novella legislativa (cfr. l’aggravante propria dell’attività di banca, comma 5 n. 1) speciale rispetto all’art. 232 cpv. n. 2 l. fall. o, comunque, con essa suscettibile di concorso. 336 Per questa ragione difficilmente potrà essere proposta la “minore” (e perseguibile a querela) figura di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, disciplinato dall’art. 393 cod. pen.: essa presuppone che la pretesa possa essere fatta valere dinanzi al giudice. Ove essa realizzi un tentativo di preferenzialità (supponendo, quindi, l’esistenza del credito), il creditore non dispone dell’azione giudiziale ed il suo comportamento ricade in quello dell’estorsione. 337 allude, in tema di violazione dell'art. 629 cod. pen., alla minaccia di istanza di fallimento Cass. 18,7.1975, Di Costanzo, n. 8003; a minaccia di procedure esecutive: Cass. 15.4.1978, Cass. pen., 1979, 803, ecc. Vi è ipotesi estorsiva ove si consideri praticamente annullata, dalla prospettazione violenta o minatoria, la volontà negoziale del cliente. Ove, invece, vi sia spazio per un’autonoma capacità gestoria, ricorrerà il concorso nella bancarotta preferenziale. 338 Sull’integrazione dell’art. 629 cod. pen. tramite l’uso di mezzi giuridici per scopi diversi da quelli per cui sono stati apprestati dalla legge, la giurisprudenza è costante, anche con riguardo alla istanza di fallimento o all’esperimento di azioni esecutive: cfr. tra le tante Cass. 18.3.1986, Surace, Giust. pen., 1987, II, 171. 339 Anche per questo caso la esclusione della capacità negoziale del fallito determinerà la distinzione tra la figura dell’art. 629 cod. pen. ed il concorso nell’art. 216 pp. n. 1 l. fall. (o, per la bancarotta impropria, 223 l. fall.). Nel caso, al contrario, in cui non si ravvisi nella condotta del banchiere nè violenza nè minaccia è prospettabile l’ipotesi dell’art. 232 cpv. n. 2 l. fall. 83