I reati fallimentari - Scuola di specializzazione per le professioni legali

Università di Torino
Scuola specializzazione per le professioni legali
“Bruno Caccia e Fulvio Croce”
Dr. Sandrelli
I reati fallimentari.
Parte I°
1) Premessa.
Per tradizione al fenomeno dell’insolvenza, il legislatore penale ha ricondotto fattispecie specifiche,
giustificate dall’amplificazione del rischio economico che la diffusa inadempienza alle obbligazioni mostra,
rispetto al singolo fatto di inadempimento (i fatti di PARMALAT, CIRIO e ancor prima, BANCA PRIVATA,
ecc, lo dimostrano).
Inoltre, l’assunzione in Italia di una forma concorsuale (così come in molti altri paesi) per l’esecuzione delle
pretese discendenti dalla dichiarazione di insolvenza e, dunque, una partecipazione collettiva dei creditori –
promossa con poteri ed impulso di ufficio - alla soddisfazione sul patrimonio del debitore, impone la garanzia
dal rischio di alterazione e di squilibrio, nel suo svolgimento.
Quanto ai soggetti, la norma penale ha di mira non soltanto il protagonista della vicenda concorsuale, il
debitore, ma anche altri soggetti, quali i creditori, gli organi della procedura, i terzi che possano aver
pregiudicato l’oggetto principale ed essenziale i questa vicenda: patrimonio, posto a garanzia della
soddisfazione delle obbligazioni.
Caratteristica di queste fattispecie è la natura qualificata dei soggetti: si tratta di reati cd. “propri”.
Oggetto che, talora, può anche mancare, imponendo una rapida chiusura del recesso fallimentare (per
inesistenza di attivo, art 118 n. 4 l. fall.) ma che, ciononostante, non esclude interesse penale alle condotte.
Infatti, non è necessaria la permanenza della procedura concorsuale per l’esistenza dei delitti di cui si tratta.
Ma, invece premessa giuridica indispensabile per legittimare la proposizione dell’accusa è che vi sia stata
una dichiarazione di insolvenza, premessa indefettibile per queste fattispecie.
Al contempo, non è dato l’inverso: per l’affermazione dei delitti i discorso (e salvo per quanto attiene al
ricorso abusivo al credito) è necessaria la dichiarazione di insolvenza.
Giova, quindi, qualche accenno rapido al possibile avvìo del processo fallimentare ed ai reati diversi dalla
bancarotta, la quale, nelle sue varie forme, resta – per frequentazione giudiziale – la fattispecie di gran lunga
più importante.
1a) La nozione di fallito in seno al processo penale.
Gli art. 3 e 479 c.p.p.
Piuttosto discusso è il potere del giudice penale nel valutare il ruolo ed il contenuto della Sentenza
dichiarativa di fallimento (o equipollenti): dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, ed in
particolare degli artt. 3 e 479 1 Cpp., è stata esclusa - con riguardo alla qualità di “fallito” - natura di
pregiudiziale, sottratta alla competenza valutativa del giudice penale. L’art. 2 Cpp. dispone, come regola
generale, che la decisione incidentale da cui dipende la decisione, non estenda la sua efficacia oltre i confini del
processo in cui è emessa.
In merito all’art. 479 cpp. si ricorda che l’onere della prova dell’esistenza della controversia e della sua
serietà spetta a chi richiede la sospensione (cfr. Cass., Sez. V, 9.8.2001, Crudo, n. 41074); il giudice, decorso
l’anno di sospensione, può disporre autonomamente la risoluzione della controversia, cfr. Cass. Sez. V,
7.7.1998, Spinelli, Cass. pen., 2001, 184, in tema di suscettibilità del fallimento delle soc. cooperative); che la
decisione di sospendere presuppone una adeguata motivazione sulla particolare complessità della questione
e che siffatto giudizio non può essere assunto in fase pre-dibattimentale (Cass., Sez. V, 2.7.1993,
PM/Bortoloso, n. 1305).
1
1
La giurisprudenza, soprattutto facendo leva sul fatto che, la qualità di “fallito” e di “società dichiarata
fallita” discendono da una pronuncia giudiziale, storicamente avvenuta e, come tale, concretante il requisito
oggettivo richiesto dalla norma, ritennero in un primo momento, impedito al giudice ogni ulteriore indagine al
riguardo 2.
Più esattamente si è detto che, mentre per la qualità di fallito, la pronuncia del giudice fallimentare doveva
ritenersi storicamente introdotta nell’ambito giuridico, quella di “imprenditore”, impingendo nella disamina
della ricorrenza dei profili di soggettività (essendo la bancarotta reato “proprio” soltanto dell’imprenditore),
lasciava indenne la valutazione del giudice penale sulla effettiva attività gestoria del soggetto inquisito. 3
Recentemente, invece, la SC. sembra aver devoluto alla cognizione del giudice penale l’intero capitolo del
requisito obiettivo sotteso dalla sentenza di fallimento. 4 In questa prospettiva dovrebbe ritenersi suscettibile di
nuova discussione in sede penale, anche il requisito dell’insolvenza. 5
Altro discorso attiene alla efficacia di decisione opposta in sede fallimentare e non ancora divenuta
irrevocabile (ancorchè già esecutiva, per la nota proprietà di questo tipo di pronuncia): non vi è dubbio che, in
questo caso, il procedimento ed il processo penale possano avviarsi, essendo assegnato al giudice del
dibattimento (art. 479 cpp.) la possibilità (non l’obbligo) di sospendere la vicenda penale in attesa della
definizione di quella fallimentare. Ovviamente la sospensione dovrà ubbidire ai criteri della complessità della
questione fallimentare 6 e della serietà della opposizione 7.
Ma occorre soffermarsi un attimo su questi approdi giurisprudenziali: in quasi tutte queste decisioni
si è considerata intangibile la pronuncia giudiziale, riservando al giudice penale (sent. Milazzo) la verifica della
qualità di “imprenditore” o meno.
Ma ogni discorso è stato formulato all’interno del medesimo contesto normativo, sicché ove la decisione abbia
rispettato la norma vigente, nessun dubbio vi era per la coincidenza delle nozioni di fallito e di imprenditore.
Il quesito che oggi si pone è diverso: attiene ad una discrasia di vigenza normativa, potendo
accadere che il giudice fallimentare abbia dichiarato l’imprenditore fallito, ed il giudice penale si trovi di fronte
la nuova normativa che non consente questa dichiarazione.
Sicché il quesito si pone in seno al fenomeno penalistico della successione delle leggi nel tempo.
b) La successione delle leggi nel tempo sulla qualità di fallito.
2
Cfr. ad es. Cass, Sez. 5, 28.3.1993, Berzanti, Cass., Sez. V, 23.8.1993, Riv. trim. dir. pen. ec., 1996, 682;
Cass., Sez. 5, 9.4.1991, Milazzo, Cass. Pen., 1991, 643, ed, ancora, Cas. Sez. V, 15.4.1998, Bertoni,, diretta ad
affermare la definitività del dato derivante dalla decisione del giudice fallimentare (in tema di qualifica di
“imprenditore” e non di ”artigiano”, del soggetto attivo, dichiarato fallito); Cass., Sez. V, 15.4.98, Calabro,
Guida Diritto, 9/98, pag. 98; Cass., 31.5.2001, Barni, Guida Diritto, 31/01, pag. 66, ecc. In questa ottica si
collocano Autorevoli opinioni: ANTOLISEI, Manuale, cit., 246; LANZI, Il nuovo processo penale e i reati
fallimentari, Fallimento, 1991, 224; APRILE, Sentenza dichiarativa i fallimento nel giudizio per reati di
bancarotta, Fallimento, 999, 1135; si è, soprattutto, sottolineato che occorre distinguere tra la funzione
probatoria della sentenza e la sua natura di elemento costitutivo del reato, richiamando che quest’ultimo
aspetto non è intaccato dalla disciplina processuale (cfr. ad es. DE AMICIS, La pregiudiziale fallimentare:
essere o non essere, Cass. pen., 2001, 186)
Da parte della Dottrina si è affermato (CARRERI, cit., 646) che il giudicato civile conterrebbe (come
giudicato “implicito”) anche la ricognizione (immutabile da parte del giudice penale) dei presupposti che
legittimano la decisione fallimentare, cioè la qualità di imprenditore e lo stato di insolvenza.
3
Cfr. Cass., Sez. 5, Milazzo, cit. Ovviamente e più semplicemente, l’argomento vale anche per le qualifiche
proprie dell’art. 223 l. fall. (amministratore, direttore generale, sindaco, liquidatore) che non vengono
dedotte in sè dalla pronuncia di fallimento e che sono sempre state riservate alla valutazione del giudice
penale.
4
Cfr. ad es. Cass., sez. V, 11.4.1995, Bertoldo, Cass. pen. 1997, 805; Cass. Sez. 5, 7.7.98, Marcimino, che
distingue nettamente la qualifica di “imprenditore”, assoggettata all’esame del giudice penale, da quella di
“fallito”; Cass. pen, sez. V, 31 gennaio 2000, Roberti, n.9/2000, 1035, in Dir e Pratica Soc., 9/2000, 87; conf.
Cass. pen., sez. V, 4.5.1993, Mass. Cass. Pen, 1993, 11, Sez. 5, 11.4.1996, Bertoldo, n. 394, Cass. pen., 1997,
805; Cass., Sez. V, 1.12.2000, Moroni, Dir. e pratica soc., 3/2001, 89.
5
La Dottrina ha sostenuto – soprattutto all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Cpp. - la perdita di
ogni efficacia vincolante della sentenza nel processo penale: cfr. ad es. ALLEGRI, Processo penale e reati
fallimentari, Riv. Pen., 1996, 817; LA MONICA, Sentenza dichiarativa di fallimento e processo penale per
bancarotta, Fallimento, 1990, 1085.
6
Per essi cfr. Cass. Sez. 5, 2.7.1993, Bertoloso, n. 1305;.
7
Su quest’ultimo requisito cfr. Cass., Sez. 5, 31.1.1984, Caltagirone, n. 182, a seguito di giurisprudenza
conforme.
2
-
La riforma della legge fallimentare ha ridisegnato i connotati dei soggetti assoggettabili alla
dichiarazione di fallimento ed alle altre procedure concorsuali, restringendo il novero rispetto al passato e
delegando alla esecuzione individuale del debitore la soluzione dei crediti rimasti insoluti.
Resta invariata la nozione:
1) di “imprenditore”, sempre collegata alla gestione di attività commerciale (non, quindi, agricoli ex art. 2135
cod. civ. , gli enti pubblici, i professionisti nonché esercente attività di mero godimento);
e di stato di “insolvenza” (art. 5)
2) Negativamente è stata ridefinita la nozione di “piccolo imprenditore” (art. 1 comma 2) che può essere anche
un soggetto societario (“impresa in forma collettiva” con eliminazione dell’art. 1 comma 2 l. fall.)
Egli non è (con criteri complementari, ma nel senso che non è assoggettabile chi non sottostà ad entrambi i
parametri)
chi ha effettuato investimenti in conto capitale per oltre € 300.000 (in sostanza l’attivo dello stato patrimoniale).
chi non ha realizzato ricavi lordi (ufficiali o “in nero”) per € 200.000 nel corso di tre anni
chi si è indebitato per somma superiore a € 25.000
Imprenditore è anche l’ente collettivo e piccolo imprenditore è, parallelamente alla nozione principale,
l’organismo descritto con i parametri dell’art. 1 comma 2 l. fall.
Di qui la conclusione che la nozione di società soggetta a fallimento deve parametrarsi a queste indicazioni,
sicché anche la fattispecie di cui all’art. 223 l. fall. può considerarsi coinvolta dal mutamento e, con essa, i
soggetti attivi indicati da detta norma penale.
Infatti, essendo rimaste invariate le disposizioni penali circa il soggetto “proprio” dei delitti e, dunque
- art. 216 l. fall. “l’imprenditore … se è dichiarato fallito” (art. 216 l. fall. comma 1, 2; 217)
- “il fallito” (216, 3° comma; 217 comma 1; 220)
- esponenti di “società dichiarate fallite” (art. 223. 224, 225, 226 l. fall.)
la riforma concorsuale incide immediatamente e direttamente sulla lettura della orma penale. Ed il quesito
attiene ad accertare il riflesso penalistico della modifica della connotazione sostanziale.
Modifiche che attengono alle procedure concorsuali disciplinate dall’art. 150 l. fall., cioè per quelle la
cui istanza è successiva all’entrata in vigore del D. L.vo 9.2.2006 n. 5 (16.7.2006).
Traendo spunto da quelle considerazioni potrebbe sostenersi che la nozione di fallito appartiene al
fenomeno della successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale, con esclusione –
quindi – dell’applicabilità dell'articolo 2, comma terzo, cod. pen., poichè la modifica della disciplina
integratrice della fattispecie penale non incide sulla struttura essenziale del reato, ma comporta esclusivamente
una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando (come si verifica – per esempio –
in seno alla riforma della disciplina sugli stupefacenti). Assunto che ha a suo sostegno:
- il soggetto proprio resta, pur sempre, sia l’imprenditore sia la società, nella rispettiva immutata
connotazione giuridica: la mutazione attiene alla restrizione dell’area quantitativa della loro operatività,
non nell’essenza definitoria; pertanto, non rileva l’affermazione della giurisprudenza che assume esser
la qualità di imprenditore/fallito un connotato tipico dell’oggetto del reato e, quindi, naturale
appannaggio del giudice penale: al riguardo non si instaura una effettiva modifica.
- il fatto che la nozione di “fallito” è soltanto in parte un dato naturalistico, risposando, per lo più, sulla
valutazione del giudice fallimentare e suscettibile della variazione propria dei gradi della procedura
fallimentare;
- non è possibile, della complessa vicenda fallimentare, concedere autonomia ad una componente della
stessa, senza considerare l’itero compendio normativo a cui si connette inscindibilmente, come la
nozione di “insolvenza”, di “obbligazione”, di “creditore”, di “privilegio”, ecc.
- il fatto che intrinsecamente essa si allaccia non già ad un dato normativo fisso, bensì a possibili
variabili connesse all’aggiornamento ISTAT.
dati del tutto estranei alla figura di reato e, soprattutto, al governo del processo penale.
La Suprema Corte, al riguardo, ha stabilito alcune regole importanti:
- “La disciplina relativa alla successione delle leggi penali (art. 2 cod. pen.) si applica
a) qualora la disposizione richiamata da una "norma penale in bianco" sia modificata o abrogata,
b) b) ovvero nell'ipotesi in cui venga modificata una norma "definitoria" - ossia una disposizione
attraverso la quale il legislatore chiarisce il significato di termini usati in una o più disposizioni
incriminatrici, concorrendo a individuare il contenuto del precetto penale –
c) oppure, infine, nel caso in cui una disposizione legislativa commini una sanzione penale per la
violazione di un precetto contenuto in un'altra disposizione legislativa, che venga abrogata in tutto o in
parte.
Fattispecie in cui la Corte ha confermato l'affermazione di penale responsabilità di un sindaco in ordine al
delitto di cui all'art. 323 e ha escluso l'applicabilità del'art. 2 cod. pen. alla luce dell'abrogazione, ad opera
3
dell'art. 136 del d.P.R. n. 380 del 2001, dell'art. 7 della legge n. 47 del 1985 e della previsione, contenuta
nell'art. 31 del citato d.P.R. 380/2001, secondo la quale il soggetto titolare del potere-dovere di provvedere
in merito alle ingiunzioni di demolizione, rimozione, ripristino non è il sindaco, ma il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale).” (Cass., Sez II, 2.12.2003, Stellaccio, CED Cass.228152.
E più esattamente:
“non si applica la disciplina dell’art. 2 quando le nuove norme “si limitano a precisare la fattispecie
precettiva, delineando la portata del comando, che viene a modificarsi nei contenuti a far data dal
provvedimento innovativo; in detta ipotesi, rimane fermo il disvalore ed il rilievo penale del fatto anteriormente
commesso, sicché il relativo controllo sanzionatorio va effettuato sulla base dei divieti esistenti al momento del
fatto (principio affermato in tema di responsabilità per la gestione di centri trasfusionali con riguardo al reato di
cui all'art. 17 della legge 4 marzo 1990 n. 107, configurato per inosservanza di norme regolamentari contenute
nel D.M. 27 dicembre 1990, poi sostituito dal D.M. 25 gennaio 2001)” (Cass. Sez. 3, 12.3.2002, Pata, CED
Cass. 221943).
Ciò che, invero, interessa all’interprete penale è la violazione degli interessi sottesi alla norma. Se si riscontra
la lesione, alla luce della normativa vigente al momento del fatto e se tra detta lesione e la norma attualmente in
vigore permane analogia nella violazione, senza – cioè – che la riforma abbia intaccato un aspetto proprio della
disciplina penale, non può applicarsi la disciplina di cui all’art. 2 c.p.
Orbene, tra la disciplina concorsuale e la norma penale esiste un sistema di rinvio che omogeneizza la tutela in
guisa che quanto è pregiudizievole per i creditori risulta (normalmente) anche vietato dalla norma penale. E’
ovvio che la violazione si verifica nel contesto della normativa vigente, salvo diversa espressa volontà: tale è il
caso, per es. dell’amministrazione controllata, della violazione agli obblighi del fallito, ecc. Ma la disciplina
transitoria assegnata alla riforma impedisce la regressione della applicazione penale rispetto a quella
fallimentare.
Inoltre, sui rapporti tra norma penale e disciplina fallimentare rammento che
“ai fini dell'applicabilità dell'art. 2, comma 2, cod. pen., sono norme extrapenali integratrici solo quelle che
determinano, o concorrono a determinare, il contenuto del precetto penale. Tali non sono, con riguardo ai reati
fallimentari, le norme civilistiche (art. 10 e 11 R.D. 16 marzo 1942, n.267 - Disciplina del fallimento,
applicabili anche al socio illimitatamente responsabile di società fallita, a seguito della sentenza della Corte
costituzionale n.66 del 1999), che disciplinano i limiti temporali entro cui deve intervenire la pronuncia della
sentenza dichiarativa di fallimento, elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che le vicende relative
alle predette norme restano ininfluenti rispetto al fatto di reato anteriormente commesso “
(Cass. Sez. 5, 26.9.2002, Crescenzo, CED Cass. 222978), relativamente alla modifica sui termini di decadenza
per la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile.8
In questa ottica possono leggersi anche le massime della SC. che hanno escluso l’applicazione dell’art. 2
comma 3 cp. nel caso in cui il oggetto, u na volta pubblico, sia stato per disposizione normativa
“privatizzato”: es. In tema di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale o impiegato in atto pubblico
(artt. 479 e 493 cod. pen.), non danno luogo a successioni di leggi penali i mutamenti di regime giuridico che
hanno via via interessato l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, trasformandola dapprima in ente
Ferrovie dello Stato (Legge n. 210/1985) e poi in società per azioni (delibera CIPE 12 agosto 1992, in
esecuzione della Legge n. 35/1992 e legge n. 359/1992). L'applicazione del principio di retroattività della
legge penale più favorevole, sancito dall'art. 2 comma terzo cod. pen., presuppone una modifica in via
generale - e non in via particolare, riferita al caso concreto - della fattispecie incriminatrice, cioè di quelle
norme che definiscono il reato nella sua struttura essenziale e circostanziata, comprese le norme extrapenali
che la integrano. Esula quindi dall'istituto la successione di atti o fatti amministrativi che, pure influendo
sulla punibilità o meno di determinate condotte, non implica una modifica della norma incriminatrice anche
integrativa. Le trasformazioni che hanno interessato l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato non
hanno modificato la fattispecie incriminatrice descritta negli artt. 479 e 493 cod. pen. (Cass., Sez-. 6,
10.7.1995, Caliciuri, CED Cass. 202873; nello stesso senso ha deciso in relazione ad ENEL, Cass., Sez. 3,
28.4.1993, PM/Azzarito, CED Cass. 194356)
Così anhe è interessante, a proposito della nozione del soggetto “proprio” la decisione di Cass. Sez. Un.
27.3.1992, Delogu, CED Cass. 19171 per cui: Ai sensi dell'art. 357 cod. pen., come novellato dalle leggi n. 86
del 1990 e n. 181 del 1992, la qualifica di pubblico ufficiale deve essere riconosciuta a quei soggetti che,
pubblici dipendenti o semplici privati, quale che sia la loro posizione soggettiva, possono e debbono,
nell'ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, formare e manifestare la volontà della pubblica
amministrazione oppure esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi,
deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati. (Con riferimento al caso di
specie, relativo a fatti risalenti ad epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 86 del 1990, la
Cassazione ha altresì precisato che la sostituzione dell'art. 357 cod. pen. ad opera dell'art. 17 della suddetta
legge non ha posto una questione di successione di leggi ne' di "ius novum" più favorevole all'imputato, in
8
4
In questa prospettiva non sarebbe ravvisabile la fattispecie di successione né si darebbe luogo
all’applicazione retroattiva della norma fallimentare alle procedure penali in corso. Né giova il possibile
richiamo alla vulnerazione del principio di cui all’art. 3 Cos. poiché la Corte Cost. ha costantemente dichiarato
la manifesta infondatezza della relativa questione di legittimità costituzionale a fronte di un problema attinente
al fenomeno della successione delle leggi nel tempo, poiché non vale invocare il principio di uguaglianza,
atteso che il fluire del tempo costituisce elemento idoneo, di per se, a differenziare le situazioni soggettive,
soprattutto in presenza di disciplina transitoria civilistica in relazione alle situazioni pregresse, inoltre poiché il
legislatore ha ampia discrezionalità, con l'unico limite della ragionevolezza (che non mi sembra valicato nel
caso in esame).
Certamente opposta è la conclusione se si considera la qualità di fallito “norma penale in bianco”,
variabile – quindi – al variare del suo contenuto sostanziale.
In questo senso l’art. 3 c.p.p. consente al giudice di escludere la ricorrenza del soggetto “proprio” ed
assolvere perché il fatto non sussiste l’inquisito.
Ma questo a ben vedere è un problema che prescinde dalla successione delle norme nel tempo ed attiene alla
lettura della norma processuale e dei limiti della pregiudizialità civile sul processo penale.
2) La dichiarazione di insolvenza.
Si è detto che il reato di bancarotta (come tutte le altre figure di reato, eccezion fatta per il ricorso abusivo
al credito) dipende nella sua struttura dalla dichiarazione di insolvenza.
Si tratta di una pronuncia che consegue ad situazione economico/finanziaria irrimediabile, a seguito della quale
il debitore non è in grado di assolvere regolarmente le proprie obbligazioni (art. 5 l. fall.) 9
Questa pronuncia dichiara l’insolvenza (è, pertanto, provvedimento a contenuto dichiarativo, nel senso che ha
carattere ricognitivo dello stato di paralisi negli adempimenti), ma è portatore di conseguenze giuridiche verso
il debitore e verso i terzi.10
Nasce in tal modo la procedura concorsuale, così denominata perché ad essa partecipano
concorsualmente tutti i creditori che ne facciano istanza a differenza delle procedure esecutive singole. Questa
concorsualità si riflette anche sull’oggetto, cioè sull’intero patrimonio dell’insolvente che – nella sua integralità
(ed eventualmente anche oltre le pretese creditorie) è ad essa asservito, sino alla sua chiusura. Fenomeno a cui
corrisponde la sottrazione dell’asse patrimoniale al suo titolare e la nomina di un amministratore che curi gli
aspetti esecutivi sia dell’accertamento del passivo, sia della sua liquidazione (Curatore o Commissario).
Si comprendono, pertanto, le ben più gravi conseguenze penali, in caso di condotte fraudolente, a fronte della
previsione dell’art. 388 cod. pen. 11
La rilevanza penale del fatto – come si dirà meglio oltre – si riscontra sia che il fatto (come più
frequentemente avviene) preceda la formale dichiarazione di insolvenza, sia che ad essa consegua
(“all’imprenditore dichiarato fallito”).
quanto tale ultima norma non ha introdotto sostanziali cambiamenti in relazione alla qualifica soggettiva di
"pubblico ufficiale", ma ha soltanto precisato i requisiti contenuti "in nuce" nella precedente definizione
datane dal cod. pen., e conseguentemente ha ritenuto che anche prima della sostituzione, nel testo
dell'ultima parte del secondo comma dell'art. 357 cod. pen., delle congiunzioni copulative "e" con quelle
disgiuntive "o" ad opera della legge n. 181 del 1992, doveva considerarsi sufficiente, ai fini della
qualificazione di pubblico ufficiale, l'esercizio disgiunto del potere autoritativo o di quello certificativo).
9
Sulla nozione di insolvenza, argomento che ha trovato nuovi spunti di riflessione con la riforma
dell’amministrazione straordinaria della grandi imprese in crisi: cfr. SCHIAVON, Insolvenza e
risanamento dell’impresa nella nuova disciplina, Fallimento, 2000, 239; SCHIAVON, L’insolvenza
nell’amministrazione straordinaria, Fallimento, 2000, 946; CORSI, Crisi, insolvenza, reversibilità,
temporanea difficoltà, risanamento, ecc., Fallimento, 2000, 948; DE ANGELIS, Le nozioni di impresa
e di insolvenza nella nuova legge 3270/99, Fallimento,2000, 275, CENSONI, Il presupposto oggettivo
del fallimento: Lo stato di insolvenza, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, a cura di
PANZANI, Vol. I, Torino, 2000, 82 e ss.; PELLEGRINO, Lo stato di insolvenza, Padova, 1980,
TERRANOVA, Lo stato di insolvenza, in Le procedure concorsuali, a cura di RAGUSA
MAGGIORE, Vol. I, Torino, 1997, ecc.
10
In dottrina ha prevalso la tesi dell’effetto costitutivo della pronuncia giudiziale, cfr. PAJARDI,
Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1995.
11
Su questi profili v. di recente, CAPOCCHI/PIANO, Il reato di bancarotta fraudolenta, nota a Cass.,
Sez. V, 26.1.2001, Cardinali, in Fallimento, 2002, 877. Sulla esclusione di concorrenza formale tra il
delitto di sottrazione di cose pignorate e di bancarotta per distrazione, cfr. Cass. Sez. 5, 15.5.2001,
Foscarini, n. 32604 (che ha disposto la revoca della condanna per il reato di cui all’art. 388 cp.).
5
La procedura di cui si tratta non è soltanto quella fallimentare (generata da sentenza) bensì (con
parificazione ai fini penali, nei limiti formulati dall’art. 236 cpv. l. fall.) anche quelle sorte dal decreto che dà
avvìo alle procedure minori: concordato preventivo essendo stata abrogata dalla riforma l’amministrazione
controllata. Inoltre, con analoga equiparazione alla sentenza dichiarativa di fallimento, è l’accertamento
giudiziario dello stato di insolvenza (art. 202 l. fall.) nel caso di liquidazione coatta amministrativa 12 e di altre
procedure liquidatorie come quella della legge 95/79 cd. “Legge Prodi”, cfr. art. 203 l. fall. 13, come riformulato
dal d. lg. 8.7.1999, n. 270, cd. “Prodi bis” 14, o della nuova “amministrazione straordinaria accelerata” di cui
alla legge 18.2.2004 n. 39 (in conversione del DL. 347/03),cd. “Legge Parmalat” 15, norme recentissime che –
attesa - la mera equiparazione terminologica tra le dichiarazioni giudiziali di insolvenza già esistenti, senza
creazione di diverse e nuove disposizioni penali sul punto, valgono anche per fatti anteriori alla loro entrata in
vigore.16
Il provvedimento giudiziale che accerta l’insolvenza e dà vita alle varie procedure attesta, per la
giurisprudenza, il momento consumativo del reato commesso anteriormente ad esso. 17
Pertanto, per la bancarotta pre-fallimentare, la dichiarazione giudiziale determina il cd. “tempus commissi
delicti”, cioè la data di consumazione del fatto e stabilisce anche il luogo di commissione 18 dello stesso, nel
luogo del tribunale che ha emesso la dichiarazione di insolvenza 19.
12
Cfr. Cass., Sez. V, 23.11.1975, Taini, Giust. pen., 1977, III, 435. In Dottrina, GIULIANI
BALESTRINO, La sentenza di accertamento dello stato di insolvenza, ecc., a commento della citata
decisione, Dir. fall., 1978, II, pag. 202; ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, 1993, 224. La
liquidazione coatta amministrativa, così come tute le altre procedure liquidatorie di cui al testo, sono
caratterizzate da un penetrante intervento amministrativo nella gestione della liquidazione, con
nomina del commissario ad opera del Ministro. Ma tutte richiedono la pronuncia giudiziale, resa dal
Tribunale, dell’insolvenza.
13
Decisione assunta con Cass. 19.11.1982, Genghini, , Foro It., 1983, II, 5; Cass. Sez. 5, 11.1.1984,
Maiocco, Giur. It., 1985, II, 126.
14
Su cui v. tra gli altri, AA.VV., La riforma dell’amministrazione straordinaria, a cura di BONFATTI
e FALCONE, PALUCHOWSKY, Nuova disciplina dell’amm.ne straordinaria, in Codice del
fallimento, a cura di PAJARDI e COLESANTI, Milano 2001; GUGLIELMUCCI, L’amministrazione
straordinaria per le grandi imprese insolventi, Studium oec., 2000, 742; MAFFEI ALBERTI, La
liquidazione nell’amministrazione straordinaria, Dir. fall., 2003, 1,1724; DI CARLO, La riforma delle
procedure concorsuali, PQM., 2001, 2, 115; BOZZA, Conversione dell’amministrazione straordinaria
in fallimento, in Fallimento, 2000, 1102; COLASANTI, Amministrazione straordinaria e giurisdizione
nella nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria, Riv. dir. proc., 2001, 23;
VIGO/BARIATTI, La nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria, Studium oec., 2000, 27,
ABATE, La responsabilità del Commissario straordinario, Il fallimento, 2000, 9, 975, ecc. In sede
penale, LA MONICA, Aspetti penali della nuova amministrazione straordinaria, Fallimento, 2000,
283; SANDRELLI, Il Titolo VI (Disposizioni penali) e l'art. 99 del d. lg. 8 luglio 1999 n. 270, In Il
fallimento e le altre procedure concorsuali, a cura di PANZANI, Vol. I, Torino, 2000, ABATE, La
responsabilità del Commissario, cit, 977, ecc.
15
Sulla quale v. ALESSI, Amministrazione straordinaria accelerata, in Dir. Fall., 2004, 1, 18;
FABIANI /FERRO,Dai tribunali ai ministeri: prove generali, ecc., Fallimento, 2004, 2, 132 per i quali
si tratta di nuova procedura concorsuale. Procedura che, seppur significativamente sottoposta ad
iniziativa e vaglio del Ministro delle attività produttive, dipende pur sempre dalla dichiarazione
giudiziale di insolvenza, con sentenza resa dal tribunale (art. 2), anche se (come si ricava dagli artt. 3 e
4) detta sentenza deve necessariamente seguire al decreto ministeriale. La nomina del Commissario
(straordinario che svolge anche funzioni di commissario giudiziale) è di competenza ministeriale.
Agli effetti penali la riforma in nulla modifica la disciplina a suo tempo dettata dal D. L.vo270/99.
16
Cass. Sez. V, 3.2.2004, Della Valle, 27513.
17
Cass., Sez. V, 23.2.2000, Tuttolomondo, Cass. pen., 2001, 1340, che esclude – al riguardo – rilievo
al decreto di apertura delle procedure liquidatorie.
18
Cfr. Cass. Mezzo e Grespan, cit., e, più recentemente, Cass., Sez. V, 21.2.2000, Auriemma, Cass.
pen., 2001, 3532; Cass., Sez. 1, 17.1.1995, Ferrari, n. 4859, Sez. 1, 2.6.1996, Magnini, Cass. pen.,
1997, 2233, ecc. Nel caso di pluralità di persone, il referente è quello della singola sentenza
dichiarativa di fallimento: cfr. Cass., Sez. V, Piromallo, Cass. Pen., 1988, 1951. Nel caso di
dichiarazione di fallimento in estensione il referente è quello della sentenza relativa al singolo socio,
non quella che dichiara il fallimento della società: cfr. Cass., Sez. V, 19.3.1999, Ballerini, Cass. Pen.,
2001, 298.
6
In sostanza, ogni pregressa condotta penalmente rilevante, antecedente alla sentenza, viene ricondotta e fissata
alla pronuncia giudiziale 20.
Ma la Sentenza stabilisce anche il luogo della competenza territoriale del giudice penale.
La giurisprudenza ha manifestato costante e ripetuto orientamento per cui la decisione del tribunale
fallimentare abbia un ruolo (interno alla struttura) essenziale ai delitti di bancarotta propria pre-fallimentare e
dell’ipotesi di cui all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall.( e dell’art. 232 comma 3 n. 1 l. fall.). Per la bancarotta prefallimentare di “condizione di esistenza del reato” o, comunque, di elemento costitutivo dello stesso. 21
Mentre la dottrina qualifica la sentenza come condizione obiettiva di punibilità, a mente dell’art. 44 cod. pen.
22
, anche perché – nel solco della lettura giurisprudenziale – appare difficile giustificare come questo momento
essenziale della fattispecie non debba essere oggetto dell’elemento soggettivo: obiezione che ha indotto la SC.
ad invocare una disciplina peculiare per il diritto penale fallimentare, derogativa da quella ordinaria.23
19
Giurisprudenza costante, cfr. di recente Cass., Sez. I, 1.2.2001, Agostani, Cass. pen., 2001, 1533;
Cass. Sez. V, 6.11.1996, Gennai, Cass. pen., 1998, 648 (che distingue la commissione materiale del
fatto rispetto alla consumazione del delitto di bancarotta, in coincidenza con la dichiarazione di
insolvenza).
20
Giurisprudenza assolutamente prevalente, da ultimo, Cass., Sez. V, 16.6.1999, Di Maio, Cass. pen.,
2001, 297.
21
Orientamento ormai stabilizzato, dopo Cass. SS. UU., 25.1.1958, Mezzo, Giust. Pen., II, 513 che,
fra l’altro, osservava: “la dichiarazione di fallimento pur costituendo elemento imprescindibile per la
punibilità dei reati di bancarotta, si differenzia concettualmente dalle condizioni obiettive di punibilità
vere e proprie perché, mentre queste presuppongono un reato già strutturalmente perfetto, sotto
l’aspetto oggettivo e soggettivo essa, invece, costituisce addirittura una condizione di esistenza del
reato o, per meglio dire, un elemento al cui concorso è collegata l’esistenza del reato, relativamente a
quei fati commissivi ed omissivi anteriori alla sua pronuncia, e ciò in quanto attiene così strettamente
all’integrazione giuridica della fattispecie penale, da qualificare i fatti medesimi, i quali – fuori dal
fallimento – sarebbero, come fatti di bancarotta, penalmente irrilevanti. Non si può dire che la lesione
o il pericolo del bene protetto con l’incriminazione si verifichi, in sostanza per effetto solamente della
commissione dei fatti di bancarotta di guisa che la funzione della sentenza dichiarativa di fallimento
sia semplicemente quella di rendere punibile un fatto già di per se stesso costituente reato e,
comunque, illecito … i fatti dell’imprenditore, come i fatti di bancarotta, sono irrilevanti per il diritto
penale prima della dichiarazione di fallimento e soltanto per effetto di questa importano violazione
delle relative norme incriminatrici. In altre parole, la dichiarazione di fallimento inerisce all’attività
antecedente dell’imprenditore, trasformandola in attività trasgressiva della norma penale”.;
analogamente Cass. SS.UU., 29.11.1958, Amantini, Giust. pen., 1959, III, 624 e Cass., Sez. 5,
15.12.1988, Grespan, Giust. pen., 1990, II, 279. In questo ordine di lettura interpretativa Cass. pen.
sez. V, 20.1.1970, Gaino, in Giur. it. 1972, II, p. 28; Cass. pen. sez. V, 30.1.1968, Scarinzi, in Riv.
pen. 1969, II, p. 1033, Cass. pen. sez. un., 25.1.1958, Castagno, in Giust. pen. 1958, II, p. 513; sino
alle decisioni più recenti Cass. pen. sez. V, 17.8.2001. Mercuri, in Guida dir. 2001, 38\2001, p. 89;
Cass. pen. sez. V, 25.3.1999, Liso, Guida dir., 7\1999, p. 88; Cass. pen. sez. V, 15.12.1988, Grespan,
in Giust. pen. 1990, II, p. 279; ecc.
22
ANTOLISEI, Manuale dir. pen., Leggi complementari, I reati fallimentari, 1998, pag. 157, che la
qualifica come condizione “intrinseca” di punibilità, non dissimilmente NUVOLONE, Il diritto penale
del fallimento e delle altre procedure concorsuali, 1955, 291; CRESPI, I trent’anni della legge
fallimentare, bilancio e prospettive di riforma, Riv. It. dir. proc. pen., 1973, 125; GROSSO C.F.,
Osservazioni in tema di struttura, tempo, e luogo del commesso reato nella bancarotta prefallimentare, in Riv.it. dir. proc. pen. 1970, p. 570; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino,
2000, 25 e ss., ecc.
23
Cass., Sez. V, 26.2.1986, Gesnelli, Cass. Pen., 1987, 1827. L’anomalia ha anche determinato
l’interessamento della Corte Costituzionale la quale – a proposito dell’irrilevanza penale del fatto
prima della declaratoria di fallimento – ha concluso che non contrasta con i principi della personalità
della pena e (anche con riguardo alla facoltà rimessa al privato di sollecitare la dichiarazione di
fallimento) di uguaglianza – ed ha convalidato l’indirizzo della Cassazione affermando che “il
legislatore avrebbe potuto considerare la dichiarazione di fallimento come semplice condizione di
procedibilità o di punibilità, ma ha invece voluto … richiedere l’emissione della sentenza per
l’esistenza stessa del reato. E ciò perché, intervenendo la sentenza dichiarativa di fallimento, la messa
in pericolo di lesione al bene protetto si presenta come effettiva e reale” (C. Cost., 27.6.1972, n. 110,
Giust. Pen., 1972, I, 459). Sull’argomento cfr. anche C. Cost. Ord. 30.12.1987 n. 636, Riv. Trim. dir.
7
Per le condotte post-fallimentare, invece, vi è assenso nel qualificare la Sentenza dichiarativa di
fallimento quale presupposto del reato, esigendo, quindi, la sua inclusione nella rappresentazione dell’elemento
soggettivo.24 Pertanto, il delitto si perfeziona nel tempo e nel luogo della sua effettiva commissione e non al
momento della pronuncia giudiziale 25.
Come dirò meglio oltre, per la bancarotta impropria da reato societario, cd. “bancarotta societaria” 26 (come
modificato dal D. L.vo 61/02) o nella forma dell’art. 223 comma 2 n. 2, ovvero – per la bancarotta semplice –
art. 224 comma 2 l. fall., la dichiarazione di fallimento si qualifica come evento.
Il risultato, quindi, del comportamento pregiudizievole per i creditori, nella sua formalizzazione giudiziale.
Infatti, dette norme puniscono, al titolo rispettivamente di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice, i
soggetti che abbiano cagionato (nella seconda ipotesi anche “aggravato”) il dissesto della società.
- (art. 223 comma 2 n. 1, bancarotta da reato societario) commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli
2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile
- (art. 223 comma 2 n. 2) con dolo o “per effetto di operazioni dolose”
- (art. 224 comma 2, bancarotta semplice impropria) “con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla
legge”.
Nella bancarotta pre-fallimentare la revoca della dichiarazione di fallimento determina l’inesistenza del
reato (e l’assoluzione dell’imputato). Revoca non è equipollente nè dell’eventuale dichiarazione di “nullità”
della Sentenza nè, tantomeno, del decreto di chiusura (per qualsiasi motivo dell’art. 118 l. fall.) del fallimento,
situazioni che non interferiscono con la sussistenza della fattispecie di reato.
E’ discusso il potere del giudice penale nel valutare il ruolo ed il contenuto della Sentenza dichiarativa
di fallimento (o equipollenti): dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (che, a differenza
del codice di rito abrogato, non conosce nella dichiarazione di fallimento, una pregiudiziale assolutamente
devolutiva), ed in particolare degli artt. 3 e 479 Cpp. 27, è stata esclusa - con riguardo alla qualità di “fallito” natura di pregiudiziale, sottratta alla competenza valutativa del giudice penale. L’art. 2 Cpp. dispone, come
regola generale, che la decisione incidentale da cui dipende la decisione, non estenda la sua efficacia oltre i
confini del processo in cui è emessa.
La giurisprudenza, soprattutto facendo leva sul fatto che, la qualità di “fallito” e di “società dichiarata
fallita” discendono da una pronuncia giudiziale, storicamente avvenuta e, come tale, concretante il requisito
oggettivo richiesto dalla norma, ritennero in un primo momento, impedito al giudice ogni ulteriore indagine al
riguardo 28.
pen. ec., 1988, 879. Ma per la dottrina la soluzione riesce ancora controversa: cfr. ad es. CARRERI, I
reati di bancarotta, Milano, 1993, pag. 851, PAGLIARO, Problemi attuali di diritto penale
fallimentare, Riv. trim. dir. pen. ec., 1988, 522, ecc. Minoritarie, in dottrina, sono le posizioni di chi
annette la sentenza dichiarativa di fallimento alla categoria dell’evento giuridico (SCALERA, La
bancarotta fallimentare, Milano, 2001, 121) o come condizioni di procedibilità (GIULIANI
BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 1999, 67), o come fonte produttiva
dello “status” di fallito, assegnando così all’imprenditore la qualifica “propria” richiesta dalla norma
(PAGLIARO, cit., pag. 522, MANGANO, Disciplina penale del fallimento, Milano, 1993), così
venendo a separare la qualifica soggettiva dalla condotta (già consumata, al momento dell’assunzione
dello “status”).
24
Cfr. ANTOLISEI, cit., pag. 33; PEDRAZZI, cit., pag. 75; CONTI, Diritto pen. commerciale, Vol.
II, I reati fallimentari, Torino, 1991,20, ecc.); in giurisprudenza, Cass. Sez. 5, 15.12.1988, Grespan,
Giust. Pen., 1990, II, 279, ecc.
25
ANTOLISEI, cit., 157; Cass., Sez. V, 15.2.1989, Grespan, Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 1989, 927.
26
In sostanza la bancarotta impropria, con esclusione delle condotte dell’institore, cfr. PEDRAZZI,
in PEDRAZZI - SGUBBI, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito,
in Commentario Scialoja - Branca, La legge fallimentare. a cura di F. Galgano: articoli 216 - 227,
Bologna - Roma 1995, p. 256.
27
In merito all’art. 479 cpp. si ricorda che l’onere della prova dell’esistenza della controversia e della
sua serietà spetta a chi richiede la sospensione (cfr. Cass., Sez. V, 9.8.2001, Crudo, n. 41074); il
giudice, decorso l’anno di sospensione, può disporre autonomamente la risoluzione della controversia,
cfr. Cass. Sez. V, 7.7.1998, Spinelli, Cass. pen., 2001, 184, in tema di suscettibilità del fallimento
delle soc. cooperative); che la decisione di sospendere presuppone una adeguata motivazione sulla
particolare complessità della questione e che siffatto giudizio non può essere assunto in fase predibattimentale (Cass., Sez. V, 2.7.1993, PM/Bortoloso, n. 1305).
28
Cfr. ad es. Cass, Sez. 5, 28.3.1993, Berzanti, Cass., Sez. V, 23.8.1993, Riv. trim. dir. pen. ec., 1996,
682; Cass., Sez. 5, 9.4.1991, Milazzo, Cass. Pen., 1991, 643, ed, ancora, Cas. Sez. V, 15.4.1998,
8
Più esattamente si è detto che, mentre per la qualità di fallito, la pronuncia del giudice fallimentare doveva
ritenersi storicamente introdotta nell’ambito giuridico, quella di “imprenditore”, impingendo nella disamina
della ricorrenza dei profili di soggettività (essendo la bancarotta reato “proprio” soltanto dell’imprenditore),
lasciava indenne la valutazione del giudice penale sulla effettiva attività gestoria del soggetto inquisito. 29
Recentemente, invece, la SC. sembra aver devoluto alla cognizione del giudice penale l’intero capitolo del
requisito obiettivo sotteso dalla sentenza di fallimento. 30 In questa prospettiva dovrebbe ritenersi suscettibile
di nuova discussione in sede penale, anche il requisito dell’insolvenza. 31
Altro discorso attiene alla efficacia di decisione opposta in sede fallimentare e non ancora divenuta
irrevocabile (ancorchè già esecutiva, per la nota proprietà di questo tipo di pronuncia): non vi è dubbio che, in
questo caso, il procedimento ed il processo penale possano avviarsi, essendo assegnato al giudice del
dibattimento (art. 479 cpp.) la possibilità (non l’obbligo) di sospendere la vicenda penale in attesa della
definizione di quella fallimentare. Ovviamente la sospensione dovrà ubbidire ai criteri della complessità della
questione fallimentare 32 e della serietà della opposizione33.
Mette subito conti osservare che – per il fatto di rilievo penale, antecedenti alla pronuncia giudiziale – le
figure di reato descrivono una situazione davvero anomala nel nostro ordinamento: alcuni atti leciti possono
palesarsi delittuosi alla luce dell’insolvenza. Mutamento ruotante sulla lesione dell’interesse prevalente nel
reato, la tutela della garanzia dei creditori, cioè del patrimonio a mente degli artt. 2740, 2741 cod. civ. Tutela
davvero singolare per una certa indeterminatezza temporale: invero, la pronuncia giudiziale illumina a ritroso
l’intero percorso di gestione dell’organismo fallito e si propone quale referente per giudicare gli atti di
Bertoni, in Cass. pen., 2000, pag. 1787, diretta ad affermare la definitività del dato derivante dalla
decisione del giudice fallimentare (in tema di qualifica di “imprenditore” e non di ”artigiano”, del
soggetto attivo, dichiarato fallito); Cass., Sez. V, 15.4.98, Calabro, Guida Diritto, 9/98, pag. 98; Cass.,
31.5.2001, Barni, Guida Diritto, 31/01, pag. 66, ecc. In questa ottica si collocano Autorevoli opinioni:
ANTOLISEI, Manuale, cit., 246; LANZI, Il nuovo processo penale e i reati fallimentari, Fallimento,
1991, 224; APRILE, Sentenza dichiarativa di fallimento nel giudizio per reati di bancarotta,
Fallimento, 1999, 1135; si è, soprattutto, sottolineato che occorre distinguere tra la funzione
probatoria della sentenza e la sua natura di elemento costitutivo del reato, richiamando che
quest’ultimo aspetto non è intaccato dalla disciplina processuale (cfr. ad es. DE AMICIS, La
pregiudiziale fallimentare: essere o non essere, Cass. pen., 2001, 186)
Da parte della Dottrina si è affermato (CARRERI, I reati di bancarotta, Milano, 1993, pag.. 646) che il
giudicato civile conterrebbe (come giudicato “implicito”) anche la ricognizione (immutabile da parte
del giudice penale) dei presupposti che legittimano la decisione fallimentare, cioè la qualità di
imprenditore e lo stato di insolvenza.
29
Così in dottrina, CARACCIOLI, Fallimento, bancarotta, reati tributari, in Impresa, 1990, 793;
GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Giuffré, 1999, 71. In
giurisprudenza cfr. Cass., Sez. V, 27.4.2001, Martini, Cass. pen., 2002, 3872 che ha esaminato la
sussistenza del requisito di “impresa artigiana” (negandone la ricorrenza) di soggetto dichiarato fallito;
Cass., Sez. 5, Milazzo, cit.; Cass., Sez. V, 3.5.1999, Leo, in Cass. pen., 2000, 1786; Cass. Sez. V,
7.7.1998, Marcimino, Cass. pen., 1999, 2355; . Ovviamente e più semplicemente, l’argomento vale
anche per le qualifiche proprie dell’art. 223 l. fall. (amministratore, direttore generale, sindaco,
liquidatore) che non vengono dedotte in sè dalla pronuncia di fallimento e che sono sempre state
riservate alla valutazione del giudice penale.
30
Cfr. ad es. Cass., sez. V, 11.4.1995, Bertoldo, Cass. pen. 1997, 805; Cass. Sez. 5, 7.7.98,
Marcimino, che distingue nettamente la qualifica di “imprenditore”, assoggettata all’esame del giudice
penale, da quella di “fallito”; Cass. pen, sez. V, 31 gennaio 2000, Roberti, n.9/2000, 1035, in Dir e
Pratica Soc., 9/2000, 87; conf. Cass. pen., sez. V, 4.5.1993, Mass. Cass. Pen, 1993, 11, Sez. 5,
11.4.1996, Bertoldo, n. 394, Cass. pen., 1997, 805; Cass., Sez. V, 1.12.2000, Moroni, Dir. e pratica
soc., 3/2001, 89.
31
La Dottrina ha sostenuto – soprattutto all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Cpp. - la
perdita di ogni efficacia vincolante della sentenza nel processo penale: cfr. ad es. ALLEGRI, Processo
penale e reati fallimentari, Riv. Pen., 1996, 817; LA MONICA, Sentenza dichiarativa di fallimento e
processo penale per bancarotta, Fallimento, 1990, 1085. Giustamente SANTORIELLO, I reati di
bancarotta, Torino, 2000, pag. 41 segnala che una piena indagine del giudice penale risulta necessaria
nei casi di dichiarazioni estere di insolvenza.
32
Per essi cfr. Cass. Sez. 5, 2.7.1993, Bertoloso, n. 1305;.
33
Su quest’ultimo requisito cfr. Cass., Sez. 5, 31.1.1984, Caltagirone, n. 182, a seguito di
giurisprudenza conforme.
9
amministrazione del patrimonio alla luce dell’interesse creditorio. Un referente che, non assumendo – prima
dell’accertamento giudiziale dell’insolvenza – interesse penale, non descrive ed evidenzia l’illecito che ne
cagioni la lesione e che, al contrario, si profila come costitutivo del bene giuridico protetto soltanto dopo detta
pronuncia. Di qui la possibilità – tutt’altro che infrequente – che, al momento in cui è posto in essere la
condotta nessun indicatore la indichi come integrativa della fattispecie concorsuale. 34 Una labilità cronologica
che può sfiorare – nella rigida lettura della prevalente giurisprudenza (su cui v. infra) - la lesione di principi
costituzionali della personalità della responsabilità penale e della legalità della fattispecie penale, soprattutto
quando, prima dell’avvìo del procedimento concorsuale, si siano alternati altri imprenditori o gestori della
società di poi risultata insolvente e quando – al momento in cui venne realizzato l’atto incriminato –
l’organismo non manifestasse alcun tratto di insolvenza 35: di qui il senso della riforma dell’art. 223 comma 2 n.
1 l. fall. a seguito della modifica portata dal D. L.vo 61/02 e la ricerca i un nesso economico patrimoniale tra
l’attività censurata ed il dissesto 36.
Parte II°.
1) Il Curatore ed il Commissario: suo ruolo e sue responsabilità penali.
Questa figura – per la funzione, i poteri affidati ed il ruolo concretamente svolto - costituisce un “quid
unicum” nel nostro ordinamento. Tant’è che, proprio in forza di queste considerazioni, la Corte Costituzionale,
con Ordinanza del 18.3.1999 n. 68 37, ha ritenuto non irragionevole che verso il Curatore (ma le norme di rinvio
la estendono anche al Commissario) permanesse (e con sanzioni edittali di grande pesantezza) una
responsabilità penale per interesse privato in atto del suo ufficio (art. 228 l. fall.), quando siffatta fattispecie
(art. 324 cod. pen.) è stata da tempo abrogata dal Codice penale.
Il Curatore è organo della procedura concorsuale ed è assegnato al raggiungimento di interessi
pubblicisti, poichè non rappresenta né sostituisce il fallito, bensì opera nell’interesse della giustizia 38.
Tutto ciò spiega il perché egli è rivestito, espressamente. dalla qualifica di pubblico ufficiale (art. 30 l.
fall.) 39, qualifica che può affermarsi anche alla luce dell’art. 357 cod. pen., come novellato dalla legge 86/90
(integrato anche dall’art. 4 legge 181/92). 40
Infatti, egli è partecipe della funzione giudiziaria connessa ai compiti della procedura concorsuale, 41 e la sua
qualità non viene meno – cfr. art. 360 cod. pen. - con la revoca della sentenza dichiarativa di fallimento o con la
chiusura dello stesso (in relazione, ovviamente, alle attività svolte in seno alla detta procedura). 42
34
Fuori delle figure criminose descritte dalla legge fallimentare, ancorate ad una pronuncia giudiziale
di insolvenza, non si rinviene una disciplina penale organica della difficoltà di impresa. Si consideri
che l’”insolvenza fraudolenta” dell’art. 641 cod. pen. ha per oggetto il singolo inadempimento (come
si evince dal capoverso della norma) e che i fatti di truffa o di frode patrimoniale prescindono dallo
stato di crisi dell’imprenditore e richiedono il presupposto dell’inganno, e che l’usura - la più prossima
alla figura fallimentare dell’art. 232 cpv. n. 2 l. fall. - non necessariamente postula la crisi
dell’imprenditore, essendo sufficiente la stipula dell’interesse esorbitante (la difficoltà è, casomai, un
elemento costitutivo della circostanza aggravante dell’art. 644 comma 5 n. 3 cod. pen.).
È tipica, al contrario, della situazione di insolvenza la debolezza contrattuale dell’imprenditore:
certamente essa rileva per il penalista, e ci si riferisce ai casi di usura, di estorsione, ecc. Ma preme
sottolineare che l’imprenditore non è l’autore del fatto, bensì la persona offesa.
35
Cfr. anche quanto sarà detto a proposito della bancarotta impropria e societaria.
36
Analogo tentativo venne espresso dalla Commissione per la riforma del diritto fallimentare nel
delimitare l’area di interesse penal/fallimentare nel periodo di insolvenza o di concreto pericolo
dell’insolvenza, recuperando una intuizione già risalente nella dottrina italiana (NUVOLONE, Il
diritto penale del fallimento, Milano, 1955).
37
In Il Fallimento, 1999, pag. 258; cfr. nello stesso senso anche Ord. C. Cost. 7.12.1994 n. 414, Cass.
pen., 21995, 2767; Cass. pen., Sez. 5°, 13.4.1994, n. 4173 Rep. Foro It., art. 228 n. 5.
38
Cfr. tra i molti, CASELLI, Commentario Scialoja Branca alla Legge fallimentare, pag. 145/146.
39
Sono previsti requisiti per la sua nomina (art. 28 l. fall.), una sua accettazione (art. 29 l. fall.), una
potestà amministrativa, sotto la vigilanza del Giudice Delegato (art. 31 l. fall.), agisce personalmente
(o con delega preventivamente autorizzata dal GD.) Egli ha ampia autonomia negli atti di ordinaria
amministrazione; abbisogna, invece, di decreto di autorizzazione per quelli di straordinaria amm.ne o
per incombenti specificamente previsti (art. 25 n. 6 l., art. 35 fall.)
40
Detta qualifica è ribadita dalla legge 270/99 (che regola la liquidazione delle grandi imprese in crisi)
agli artt 15, 1° comma e 40 d. lg. 8.7.1999, n. 270 i quali assegnano rispettivamente al commissario
giudiziale ed al commissario straordinario la qualità di pubblico ufficiale.
10
Se la qualifica pubblica attiene all’importanza formale del ruolo di questo organo, per un riguardo
sostanziale, non devono sfuggire i riflessi pratici della sua effettiva importanza e – per quel che qui interessa –
anche al contesto del procedimento penale.
Innanzitutto, si tratta di un ruolo svolto sovente in sostanziale e considerevole libertà discrezionale anche
se egli agisce previa autorizzazione del magistrato, nella innumerevole serie di atti ed operazioni che la sua
funzione richiede.
Un ruolo decisivo, poi, per il versante penale.
L’apertura dell’inchiesta deriva – nella massima parte dei casi – dalla segnalazione (a mezzo relazione o per vie
informali) dal curatore che informa il PM. di possibili profili di responsabilità penale sia a carico del fallito sia
dei terzi.
Ed anche nel corso del procedimento/processo, quando non il PM. o il Giudice non sia affiancato da consulente
contabile/perito, la voce del curatore ha un “peso” indubbiamente superiore ad altri protagonisti della
ricostruzione probatoria della vicenda.
2) Gli altri soggetti.
Il Commissario
La disciplina penale accomuna al Curatore altri soggetti che operano, a vario titolo nella sfera della
procedura penale.
In primo luogo il Commissario, categoria composita, in cui annovero:
il Commissario giudiziale nel concordato preventivo: egli, per quel che qui interessa, è pubblico ufficiale
(art. 165 l. fall.) 43 è tenuto alla redazione di una relazione analoga, ma non identica a quella del Curatore (art.
172 l. fall.) ed ha legittimazione alla costituzione di parte civile (art. 240 comma 1 l. fall.)
il Commissario liquidatore nella liquidazione coatta amministrativa: pubblico ufficiale (art. 199 comma
1 l. fall.), con responsabilità analoghe a quelle del Curatore (art. 199 uc. in rel. art. 38 l. fall.); è preposto alla
liquidazione con ampi poteri (art. 204, 206 l. fall.); è tenuto ad una relazione analoga a quella del Curatore (art.
203 comma 3 l. fall. che precisa dover essere in conformità a quella dell’art. 33 l. fall. 44); nonché ad una
relazione periodica sulla gestione (art. 205 l. fall.); può valersi di coadiutori (art. 199 uc. in rel. art. 32 l. fall.);
ha legittimazione alla costituzione di parte civile (art. 240 comma 1 l. fall.)
- il Commissario 45 della “nuova” (a sostituzione dell’abrogata “legge Prodi” legge 95/79) procedura di
amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (D. L.vo 270/99). In realtà si tratta
di due distinte figure: il Commissario Giudiziale (nella forma monocratica o plurima), previsto nella fase
iniziale della procedura, appena dichiarato lo stato di insolvenza (cfr. art. 8 lett. b), pubblico ufficiale (per
espressa previsione dell’art. 15 comma 1 D. L.vo cit.).
Il Commissario Straordinario: (nella forma
monocratico o plurima), previsto dall’art. 37/38 D. L.vo 270/99, per la (eventuale) fase successiva di tipo
liquidatorio, ma anche fortemente amministrativo. Entrambi dotati della qualifica di pubblico ufficiale (art. 40
D. L.vo cit.) obbligati a relazione; preposti all’accertamento della risanabilità ed alla gestione. 46.
2) I Coadiutori
Infatti, la nozione di funzione giudiziaria, dell’art. 357 comma 1 cod. pen. (come novellato), è stata
intesa non soltanto come “funzione giurisdizionale” (anche con riguardo alla legge 181/92), bensì
anche come cooperazione alle funzioni di altri organi (quali , per es., il PM. ovvero il giudice nell’atto
di esercitare attività non strettamente connessa allo “jus dicere”). Sul punto, cfr. Cass. Sez. 6,
14..9.1994, Calamai.
42
Cfr. Cass. Sez. 6, 30.8.1993, Necchi.
43
l’organo è vincolato ad obblighi analoghi a quelli del curatore (cfr. art. 165 comma 2° che richiama
l’art. 39 l. fall.), è anche tenuto a vigilare sull’adempimento del concordato (art. 185 l. fall.), ha la
vigilanza della gestione dell’impresa (cfr. art. 167 l. fall.)
44
E’ l’unico caso (non modificato dall’art. 99 D. L.vo 270/99) nella legge fall. in cui è previsto un
diretto contatto tra l’organo esecutivo della procedura ed il PM., stabilendosi che la relazione sia
direttamente trasmessa al Procuratore della Repubblica.
45
A cui è estesa, la responsabilità penale propria del curatore (artt. 228, 229, 230 l. fall.) per via
dell’espressa indicazione dell’art. 96 comma 1 D. L.vo cit.
46
Con sapiente opera di razionalizzazione (rispetto alle contorte indicazioni dell’abrogata
formulazione della legge 95/79, cd. “legge Prodi”), l’art. 95 D. L.vo cit. ha completamente equiparato
la dichiarazione di insolvenza alla dichiarazione di fallimento, anche per quanto attiene ai reati
fallimentari dell’imprenditore o di terzi (arrt. 95 D. L.vo cit.), riformulando (con l’art. 99 D. L.vo cit.)
in guisa chiara anche l’infelice disposizione dell’art. 203 comma 1, parte 2° l. fall.
41
11
A questi organi della procedura sono accomunati i coadiutori del Curatore 47, di cui egli può avvalersi,
previa autorizzazione (art. 32 l. fall.): coloro, cioè, che lo coadiuvano nella amministrazione, disciplinati
dall’art. 32 l. fall.
Anche costoro sono soggetti attivi dei reati propri del Curatore (art. 231 l. fall.) 48 e sono ritenuti dalla
prevalente Dottrina pubblici ufficiali.
La nomina dei coadiutori deve essere preceduta dall’autorizzazione giudiziale ed, in seno, alla cd. “Prodi bis”
per il commissario straordinario, dall'autorizzazione del ministro dell'industria 49.
Accanto ai coadiutori sono stati collocati i “delegati”, quelli – cioè – che sono indicati dall’art., 31
comma 1 l. fall. e che operano in quanto mandatari per singoli atti.50 Figura interessata dall'art. 19, 3° comma,
d. lg. 270/99, che disciplina i poteri del commissario giudiziale e che rinvia - "in quanto compatibili" - all’art.
32 l. fall. Al tempo stesso l'art. 41 d. lg. 270/99 distingue tra funzioni inerenti alla gestione corrente
dell'impresa e, con espressa previsione dell'autorizzazione ministeriale, ad altre singole operazioni.
Secondo prevalente Dottrina 51 anche i delegati rientrano nella nozione di coadiutori e sono pubblici ufficiali.
A sé stanno gli “stimatori” che la dottrina ritiene compresi nella categoria dei coadiutori, accedendo alla
nozione lata di "amministrazione" sottesa da queste norme: anche per costoro la nuova procedura del D. L.vo
270/99 contempla gli esperti stimatori, i quali coadiuvano il commissario straordinario, nella valutazione dei
beni suscettibili di alienazione (art. 62, 3° comma D. L.vo 270/99).52
3) La responsabilità penale del Curatore.
a) reati previsti per il Curatore dalla legge fallimentare.
Si tratta del novero descritto dalla legge fallimentare agli artt. 228/230: ambito rare volte conosciuto dalla
giurisprudenza se non del tutto desueto, come per l’art. 229 l. fall. ed a cui la riforma della legge Prodi (D. L.vo
270/99, cd. “Prodi bis”) non ha portato sostanziali modifiche, attuando un invio meramente formale.
Art. 228 (interesse privato del curatore negli atti del
47
Sulla qualifica pubblicistica dei coadiutori cfr. Cass. Sez. VI, 16.11.2000, Puma. Accanto ai
coadiutori si annoverato i “delegati”, quanti, cioè, sono espressamente incaricati di singole attività:
cfr. art. 32 comma 1 l.fall. Secondo prevalente Dottrina (LA MONICA, I reati fallimentari, Milano,
1972, 520), anche i delegati rientrano nella nozione di coadiutori e sono pubblici ufficiali.
48
Di qualche interesse è l'art. 19, 3° comma, D. L.vo 270/99 che rinvia all'art. 32 l. fall. nella sua
interezza (e, quindi, anche ad art. 32, 2° comma, l. fall. ): esso consente la nomina di coadiutore nella
persona dello stesso imprenditore dichiarato insolvente (ed il tribunale può esercitare la diretta delega
a costui a mente dell'art. 8 lett. f), D. L.vo 270/99, a somiglianza dell'art. 191, 1° comma, l. fall. ); la
genericità dell'art. 41, 1° comma, D. L.vo 270/99 non esclude possibilità di deleghe verso
l'imprenditore insolvente e, con certezza, l'ammette ove questi sia anche esperto nel settore d'impresa.
In tal senso l'imprenditore dichiarato insolvente potrebbe divenire soggetto proprio dei reati di cui
all'art. 96, 2° comma, D. L.vo 270/99. Ma l'ipotesi appare più teorica che effettiva: la qualità di
soggetto del reato di bancarotta (derivata dalla dichiarazione di insolvenza) conduce, nella maggior
parte de casi (quelli di imprenditore individuale, soggetto alla bancarotta propria), a ravvisare questa
più grave fattispecie, o perchè l'imprenditore insolvente non ha dichiarato alla procedura un compenso
percepito o una interessenza personale lucrata (ove essa possa quantificarsi economicamente), ovvero
perchè ha sottratto, trattenendo documenti o cespiti destinati alla procedura.
49
Tuttavia, la giurisprudenza (in relazione all'art. 231 l. fall. ) ha stabilito che l'assenza di detta
autorizzazione, non esclude la qualità di pubblico ufficiale di questi soggetti cfr. con riguardo all'art.
324 cod. pen, Cass. pen., Sez. V, 22.2.1994, Riv. trim. pen. ec., 1995, 1020.
50
Indubbiamente il loro inserimento tra i soggetti “propri” delle fattispecie in esame può destare delle
perplessità, per il divieto di analogia “in malam partem” proprio della disciplina penale. Tuttavia seguendo la prevalente dottrina – si ritiene che non si tratti di una categoria del tutto difforme da
quella dei coadiutori ma che, seppure con peculiarità a sé proprie, rappresenti una specie di
collaboratore omogenea a quanti sono indicati dagli artt. 32/231 l. fall.
51
Cfr. ad es. LA MONICA, I reati fallimentari, Milano, 1972, 520.
52
Non sembra che possano rientrare in questa ultima categoria gli esperti o i responsabili di società
specializzate di cui all'art. 37, 2° comma, (e 39, 2° comma) d. lg. 270/99, nè - tantomeno - i membri
del Comitato di sorveglianza di cui agli artt. 45, 1° e 4° comma, 47 d. lg. cit. (anche se scelti in quanto
esperti nel settore). Si tratta, infatti, di coadiutori del Ministro e non del commissario e, per i membri
del Comitato di sorveglianza, di delegati all'espressione di un'attività consultiva (cfr. artt. 43, 57, 60,
61, 66, 67, 68, 75, 78 D. L.vo 270/99) ed estranea alla funzione di amministrazione".
12
fallimento).
E’ portatore di una formulazione che ha ormai suscitato forti dubbi di equità e di ragionevolezza, avuto
riguardo alla abrogazione del corrispondente art. 324 cod. pen. (a seguito della l. 26 aprile 1990 n. 86) e dell'art.
2637 cod. civ. (a seguito del D. L.vo 61/02), resta una sopravvivenza isolata nel nostro ordinamento 53, con un
palese squilibrio del sistema complessivo.
Ma anche se deve dirsi che il dubbio di illegittimità costituzionale è stato dalla giurisprudenza ritenuto
infondato 54, permane il segno di una iniquità nel trattamento punitivo più severo (rispetto al “vecchio” art. 324
cod. pen. - sia quanto a reclusione sia per la multa), norma, d'altra parte, dalla faticosa lettura (soprattutto con
riferimento alla clausola di riserva, pressochè ermetica a seguito delle modifiche della citata l. 86/90). Per un
riguardo applicativo, inopportuna alla luce delle procedure di novello conio, contrassegnate da forte libertà
discrezionale dell’organo esecutivo: infatti con riguardo alla cd. “Prodi bis”, proprio per i compiti affidati al
commissario (soprattutto al commissario straordinario), un pubblico ufficiale, obbligato (a differenza che nel
regime della l. 3.4.1979, n. 95) alla continuazione dell'esercizio dell'impresa, delegato, pertanto, ad operare in
ambiti di forte e più dinamica discrezionalità operativa e valutativa 55,
La difficoltà applicativa è propria dell’abrogato art. 324 cod. pen., cioè, la prospettazione di un reato di
mero pericolo senza previsione di danno e di intenzionalità qualificante. 56
Di qui l’orientamento della giurisprudenza che, con tratto fortemente manipolativo 57, è portata a leggere l’art.
228 l. fall. nell’ottica dell’attuale art. 323 cod. pen. (norma non sovrapponibile nell’applicazione, per il
carattere di maggiore specialità della disposizione penal/fallimentare 58). In particolare, sottolineando la
differenza tra l’”avere interesse privato” ed il “prendere interesse privato”, cioè tra un consapevole ed
ingiustificabile persecuzione di un vantaggio, un vero approfittamento strumentale, non ricollegabile in via
esclusiva alle finalità dell’amministrazione fallimentare.59
In tal modo, ha preteso che l’interesse privatistico perseguito sia l’unico movente che sorregge la volontà
dell’autore.
Del che è testuale riscontro nel richiamo, in seno alla clausola di riserva, dell’art. 315 cod. pen.,
ormai abrogato.
54
Rigettato da Corte cost. 18.3.1999, n. 69, fa, 1999, 258; Corte cost. 7.12.1994 n. 414, Cass. Pen.,
1995, 2767; Cass. pen., Sez. V, 13.4.1994, n. 4173, Fa (Rep.), art. 228 n. 5.
55
Poteri ben più ampi rispetto alle opzioni liquidatorie (cfr. per es. art. 40 D. L.vo 270/99), nonchè
sulla prognosi nella risanabilità di imprese del gruppo (art. 81 D. L.vo cit.), ed al contempo vincolato
(nei termini dell'art. 54 D. L.vo 270/99) alla previa redazione di un programma di
conservazione/risanamento, a cui deve tenere fede, redatto secondo i canoni già previsti dagli artt. 55 e
56. D. L.vo 270/99.
Al riguardo cfr. anche le osservazioni di CERQUA, Il reato di interesse
privato del curatore negli atti del fallimento, Dir. e pratica delle società, 1999, 22, 7.
56
Per es. il rinvenimento di un acquirente, amico del curatore, che offra un miglior prezzo rende
astrattamente applicabile la norma, anche se, accanto alla volontà di rendere un favore al conoscente,
l’organo concorsuale si prospetta l’indubbio vantaggio della procedura.
57
E’ interessante sottolineare la stretta colleganza tra questa ipotesi incriminatrice e la vicenda
applicativa dell’art. 2631 cod. civ. in ambito di gruppi societari: alla scarsa applicazione giudiziale,
fece riscontro, pure per la norma penal/societaria, una interpretazione fortemente restrittiva, non
autorizzata dal testo (cfr. Cass. pen., Sez. III°, 25.2.1959, Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 939) note
critiche alla decisione sono rinvenibili in ACCINNI, Profili penali del conflitto di interessi nei gruppi
di società, Riv. soc., 1991, 1032 e ss. ed in ABBADESSA, I gruppi di società nel diritto italiano, il
Mulino, 1982, 121 n. 39; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 185 e ss.;. Difficoltà
che hanno portato all’attuale (a seguito del D. L.vo 61/02) formulazione dell’art. 2634 comma 3 cod.
civ.
58
Il meccanismo – ormai arrugginito e sconclusionato – della clausola di riserva dell’art. 228 l. fall.
renderebbe soccombente la disposizione penal/fallimentare a favore dell’art. 323 cod. pen., norma che
è stata – dall’epoca della redazione dell’art. 228l. fall. – radicalmente modificata e delimitata in
funzione di maggiore selettività punitiva Purtuttavia, l’art.323 cod. pen. contiene in sè altra clausola
di soccombenza verso ipotesi più grave e non vi è dubbio che l’art. 228 l. fall. sia punito in maniera
più severa dell’abuso in atto di ufficio.
59
Cfr. Cass. 12.4.1984, Marzola, Riv. trim. dir. pen. ec., 1995, 1020; Cass. 22.2.1980, Levi, Riv.
pen., 1980, 586
53
13
In sostanza in guisa non dissimile dalla lettera del “nuovo” art. 2634 cod. civ.60 (a sua volta ipotesi più ristretta
per i caratteri oggettivi 61 incompatibili con il ruolo del curatore), in cui l’elemento oggettivo diviene reale
momento di selezione della fattispecie 62.
Ricordo che la lata formulazione prescrittiva dell’art. 228 l. fall. include anche i comportamenti omissivi:
tipico esempio quello del mancato recupero del credito verso persona conflittualmente legata al curatore,
ovvero l’omessa proposizione di azione di responsabilità sulla base di prospettazione (rivolte all’AG.) speciose
e consapevolmente lesive dell’interesse concorsuale
art. 229 l. fall. (accettazione di retribuzione non dovuta)
Rappresenta la protezione penale dell'art. 39 l. fall., norma che assegna al tribunale la liquidazione del
compenso al curatore e lo strumento diretto ad allontanare il rischio che collegamenti finanziari estranei al
controllo formale della procedura, possano ledere l’autonomia del curatore e portarlo alla parzialità nelle scelte.
In sostanza si tratta di una protezione “anticipata”, propria della disciplina sulla corruzione, nella
presunzione (tipica del reato di pericolo) che una fonte di guadagno non palesata e non erogata nelle forme
tipicizzate, determini un arbitrio nella condotta gestoria dell’organo esecutivo. In questo senso la norma trova
un suo parallelo nella disciplina sulla revisione, art. 178 del D. L.vo 58/98 (punito con sola pena pecuniaria):
anche in quel caso, al fine di fugare possibili prezzolamenti del revisore e senza alcuna verifica al caso
concreto, sanziona la percezione di compensi indebiti.
E’ ovvio – per la natura di reato di mero pericolo dell’art. 229 - che la prova della voluta finalità
corruttiva (sia per un atto del proprio ufficio, sia per atto contrario ad esso) determina il prevalere degli art.
318/321 cod. pen.63
Deve, infine, soggiungersi che la legislazione recente ha previsto nuove tipologie di compenso 64 a cui il
contenuto della norma penale deve adattarsi.65
art. 230 l. fall. (omessa consegna o deposito di cose del fallimento)
60
Norma che, a mio parere, non sembra applicabile né al curatore né al commissario, proprio per la
qualifica e funzione pubblicistica che non li rende assimilabili a persona che, in un contesto
meramente privatistico, svolga funzioni di amministrazione, anche se – indubbiamente – nelle più
recenti esperienze di amministrazione straordinaria (soprattutto se frammentata in singole procedure
per ogni società del gruppo, attesa la mancata previsione della concentrazione in seno ad un’unica
procedura avente ad oggetto un gruppo di imprese, lascia adito a possibili conflitti di interesse nella
conduzione di interessi difformi tra uno ed un altro ente del gruppo: l'omessa volontaria (e
consapevole delle conseguenze dannose per un'economia o indebitamente vantaggiose per un'altra)
segnalazione da parte del commissario straordinario della situazione conflittuale al giudice delegato
per l'adozione di possibili rimedi (non previsti testualmente dal D. L.vo 270/99, ma rintracciabili nella
legge fallimentare, ad es. mediante la nomina di un "delegato" ex art. 32 l. fall. ). Dunque, se non si
ravvisa l’applicazione dell’art. 228 l. fall., si potrebbe ritenere integrata la violazione degli artt. 323
cod. pen.
61
La norma, a differenza dell’art. 228, presuppone un atto di disposizione ed il verificarsi dell’evento
del danno.
62
Il dolo non soltanto è connotato da intenzionalità nel cagionare il danno alla società, ma
ulteriormente qualificato dallo specifico scopo di procurare ingiusto profitto o altro vantaggio.
63
Non sfugge che questa tecnica repressiva porta a generalizzazioni formalistiche della tutela penale
e, stranamente, alla disapplicazione pratica: viene annoverata un’unica decisione: Cass., Sez. VI,
10.3.1995, Ovigo, Riv. trim. dir. pen. ec., 1995 1430.
64
come l’art. 199 l. fall., silente sulle modalità di liquidazione al commissario della liquidazione
coatta amministrativa, ovvero l'art. 47 del D. L.vo 270/99 (ed, in via transitoria, dall'art. 104 D. L.vo
270/99) che, con rinvio ad apposito regolamento ministeriale, precisa la definizione dei criteri per il
compenso che sarà liquidato dall'autorità amministrativa (art. 75, 1° comma, D. L.vo 270/99).
65
Adattamento che non si risolve in lettura analogica, non riferendosi al precetto penale, e ad un
elemento sotteso dalla fattispecie, ma ad esso sostanzialmente esterno (la condotta vietata è la
recezione di denaro o altra forma compensativa delle prestazioni dispiegate nella procedura,
oltre quella ufficialmente liquidata, irrilevante essendo - per la definizione del precetto penale l'esatta identità del soggetto liquidatore della retribuzione) e tenendo conto che la materia è
stata trattata direttamente (e non per via analogica) dalla legge, che si è espressa, con testuale
rinvio, proprio per disciplinare il trattamento sanzionatorio delle condotte del commissario
dell'amministrazione straordinario.
14
La norma sottesa alla fattispecie penale è l'art. 34 l. fall. (deposito delle somme riscosse da parte del
curatore, norma espressamente richiamata anche dal d. lg. 270/99 all'art. 38, 4° comma,), ma il precetto penale
risulta di più ampia e non pedissequa previsione. Alle "somme" si aggiunge qualsiasi "altra cosa" (e, dunque,
per es. i documenti); alla scadenza di legge si sostituisce, nella norma penale, l'inottemperanza ad un "ordine
del giudice". La riforma della legge fallimentare ha modificato gli obblighi del curatore nella conservazione e
gestione delle somme rinvenienti dalla procedura.
Essa non è richiamata dall’art. 236 n. 3 l. fall.: risulta, dunque, inapplicabile al commissario delle
procedure “minori” (mentre lo è per il “nuovo” art. 237 a proposito del commissario della liquidazione coatta
amministrativa).
Si colloca immediatamente a fianco della grave ipotesi dell’art. 314 cod. pen., ma se ne discosta
(mantenendo la sua vitalità per le caratteristiche speciali) escludendo dalla sua sfera applicativa il connotato
strettamente patrimoniale e pregiudizievole del peculato. 66 Reato di pericolo che include in sé anche una tutela
della corretta attuazione delle disposizioni giudiziali e qualificato da forte formalismo. 67
Norma sicuramente poco coordinata con le recenti produzioni legislative: per la nuova procedura di
amministrazione straordinaria si presentano situazioni dianzi sconosciute. 68
Invero, l'interlocutore principale del commissario è l'Autorità amministrativa, da cui deriva la designazione
vincolante del commissario giudiziale o la nomina del commissario straordinario, e che il referente per
condotte gestorie, è il Ministro. Ed, allora, il quesito che si pone è se il mancato adempimento dell'ordine
proveniente dall'autorità amministrativa, rientri nella figura di reato. La risposta deve essere positiva, per i
medesimi argomenti svolti a proposito dell'art. 229 l. fall. : non vi è lettura analogica nella trasposizione,
essendo precisamente individuato il contenuto della fattispecie e la sostanza dell'omissione ascrivibile al
commissario.
Responsabilità penale del commissario e dei coadiutori quali pubblici ufficiali.
Gli artt. 30 l. fall., 165 fall.; 15, 1° comma, e 40 D. L.vo 270/99 assegnano la qualità di pubblico
ufficiale rispettivamente al Curatore, al Commissario del concordato preventivo, al commissario giudiziale ed
al commissario straordinario e, quindi, la nozione dettata per il diritto penale dall'art. 357 cod. pen.
Sono, pertanto, applicabili a detti organi le fattispecie che il codice penale attribuisce a questo "soggetto
proprio" ed, al riguardo, si rinvia alla trattazione di dottrina e giurisprudenza a proposito del curatore e dei
coadiutori.
Qui preme soltanto esemplificare i reati di sottesi dagli ambiti operativi dell'organo delle procedure
concursuali.
E, dunque:
i delitti di falso (anche ideologico ex art. 479 cod. pen., con riferimento ai numerosi atti attestativi –
certamente atti qualificabili come pubblici – degli organi di cui è discorso (a partire dalla relazione ex art. 33 l.
fall.), tenendo conto che – tuttavia – esulano dalla fattispecie incriminatrice gli aspetti (propri delle procedure
risanatorie), le parti non strettamente dichiarative di scienza, ma connotate da tensione programmatica.
66
Esiste una abbondante giurisprudenza sui rapporti tra questa figura criminosa ed il reato di
malversazione (art. 315 cp., abrogato) ed ora di peculato (art. 314 cod. pen.): di regola è sottolineata la
funzione di difesa anticipata, ancor prima che possa configurarsi un definitivo distacco del cespite dal
patrimonio concorsuale (per es. con irredimibile interversione del possesso per il prolungamento del
tempo di indebita detenzione ovvero per cessione a terzi del bene da parte del curatore). Cfr. Cass.
Sez. III, 2.7.66, Amendola, Cass., Sez. VI, 17.3.67, Tufari; Cass. Sez. VI, 29.4.67, Serpico; Cass. Sez.
VI, 23.6.67, Crosta; Cass., Sez. VI, 2.7.82, Frascolla; Cass. Sez. VI, 26.2.1993, Marcheschi; Cass.
Sez. VI, 12.4.2000, Biasizzo.
67
Cfr. Cass., Sez. VI, 23.2.1970, Cucari, Sulla necessità di un espresso ordine del giudice la SC. ha
reso contrastanti decisioni: in senso negativo cfr. Cass. Sez. V, 13.4.71, Albertini; nel senso della sua
necessità: Cass.,Sez. V, 22.2.1980, Ippolito;
68
L'Autorità Giudiziaria risulta titolare di possibili ordini di deposito, essendo autorità sicuramente
preminente nella sorveglianza e gestione della fase iniziale della dichiarazione di insolvenza, sino
all'avvìo dell'amministrazione straordinaria o di altra procedura concorsuale; ma anche nella fase
dell'amministrazione straordinaria, i poteri descritti dagli artt. 67 e 68 D. L.vo 270/99 conferiscono al
giudice la potestà di ordinare il deposito delle somme riscosse ed eventualmente non assegnate dal
commissario straordinario; tutto ciò per tacere della necessità di deposito della documentazione o di
altre pertinenze acquisite dal commissario e da questi non rilasciate.
15
Di regola il falso è strumentale alla commissione del peculato: l’alterazione della rappresentazione contabile
risulta necessaria nell’ottica di nascondere gli indebiti prelievi effettuati.
Gli atti del curatore sono atti pubblici: non è richiesto alcuna specifica volontà né la necessità che dell’atto
venga fatto uso.
- la concussione (art. 317 cod. pen.) quando, valendosi della sua indubbia posizione di primazia e di
immediato rapporto verso l’organo giudiziale, il curatore esplichi minaccia o violenza o fraudolenta induzione
verso il fallito o qualsiasi altro terzo, al fine di raggiungere un interesse del tutto estraneo alla procedura: ipotesi
più frequente di quanto si creda, sia per la cospicua dotazione di ricchezza che l’economia concorsuale può
generare sia per le occasioni di discrezionale potestà decisoria (si pensi ai pareri favorevoli sull’ammissione ad
una procedura “minore”, ecc.), di assegnazione di beni (assegnazione di sussidio al fallito, cessione di attività in
sede di liquidazione dell’attivo) o di capacità di omettere un detrimento (dovuto) ai terzi (segnalazione di
condotte irregolari in ambito di relazione fallimentare, esperimento di azione di responsabilità, riscossione di
credito, conclusione di transazione, esperimento di azione revocatoria, di simulazione, ecc.). 69
- la corruzione nelle sue varie forme (art. 318/321 cod. pen.) in relazione all’atto di ufficio o contrario
ai doveri di ufficio, segnalando che non soltanto il denaro è veicolo del delitto, ma qualsiasi utilità e che la
consumazione dell’illecito si riscontra non già alla consegna o procacciamento del beneficio, ma anche alla
semplice promessa.
- il peculato (art. 314 cod. pen.) per l'appropriazione di cose o beni (aventi rilevanza economica: per es.
per prelievi da cespiti concorsuali, privi di giustificabilità per l’interesse della procedura 70) di cui ha
disponibilità per il suo incarico: figura che si pone come successiva (e di gran lunga più severa) della violazione
dell’art. 230 l. fall., riscontrabile nei casi di trattenimento breve e non venato da diretto tornaconto
patrimoniale.
Non deve trascurarsi che l’art. 314 cod. pen. punisce anche il cd. peculato d'uso: di qui il forte rischio di
incriminazione per il curatore che utilizzi, per uno scopo esclusivamente personale, beni e strumenti
dell’impresa fallita. 71
- il delitto di rifiuto di atti di ufficio, soprattutto nella forma del compimento in ritardo degli stessi e nella
ipotesi più semplificata dell’art. 328 cod. pen., quella contemplata al 1° comma, poiché – salvo sporadiche
eccezioni - le incombenze delegate al curatore sono connotate da "ragioni di giustizia". 72
Un’ipotesi tipica di questa responsabilità è la mancata o tardiva redazione della Relazione ex art. 33 l.
fall. 73 (o gli equipollenti di cui all'art. 28 D. L.vo 270/99 e, per il commissario straordinario 74, dal richiamo
generale della disciplina della liquidazione coatta amministrativa l’art. 36 D. L.vo cit. in relazione all'art. 203 l.
69
Cfr. sui rapporti tra questa ipotesi e le norme penal/fallimentari, Cass. 10.3.95, Ovigo, cit.
Cfr. Cass. Sez. VI, 28.4.97, Ferri, la quale esclude l’esistenza di un pregiudiziale giudizio di
rendiconto.
71
In questo ambito si assiste a letture di estremo rigore formalistico della SC. che, recentemente, ha
rammentato come anche l’uso del telefono del pubblico ufficio da parte del pubblico ufficiale può
rappresentare una condotta peculativa.
72
E tanto è possibile affermare in seno alle procedure di amministrazione, anche per quelle non
strettamente ancorate alla vigilanza giurisdizionale, bensì amministrativa. Invero, non è possibile
scindere - nel contesto della funzione esecutiva del commissario - i profili dell'uno o dell'altro versante
in seno all'amministrazione straordinaria, dipendendo le ragione della tutela dei diritti soggettivi dal
corretto adempimento anche di mansioni di ordine amministrativo.
73
La relazione è lo strumento tradizionale di interlocuzione con il procedimento. Nulla vieta, tuttavia,
che il Curatore, già prima della scadenza dell'art. 33 l. fall. o successivamente al deposito della
relazione, trasmetta al PM. ulteriori annotazioni derivati dai suoi accertamenti. Sono assimilabili alla
Relazione ex art. 33 l. fall. le Relazioni proprie delle procedure “minori” o liquidatorie: cfr. artt. 172,
192, 203 (quest’ultima destinata direttamente al PM.), 205, ecc.
74
E’ da segnalare che questa relazione è modellata come atto avente diretto interlocutore nel Pubblico
Ministero e non il giudice delegato, come - invece – le relazioni assimilabili a quella del curatore.
Altri incombenti di tutto rilievo – la cui omissione può assumere coloritura penale - sono la redazione
del programma portante le linee a cui attenersi nella fase del risanamento o conservazione (con
specificazione delle modalità di copertura del fabbisogni finanziario, art. 56, lett. d), D. L.vo 270/99, o
liquidazione/dismissione), di cui agli artt. 55/56 D. L.vo 270/99, per cui gravano pressanti termini
dell'art. 54 D. L.vo 270/99. Ed, infine, la presentazione di nuovo programma in caso di diniego o
mancata concessione dell'autorizzazione da parte della Commissione europea (art. 58, 2° e 3° comma,
D. L.vo 270/99).
70
16
fall. ) 75 La comune lettura dell'art. 33 l. fall. intende il termine di deposito (gg. 30) come ordinatorio,
scadenza certamente troppo breve per consentire una completa e motivata disamina di cause e responsabilità
nel dissesto. Al contempo, l’applicazione dell’art. 328 cod. pen. non può dispiegarsi in guisa meccanicistica e
sanzionatoria della disposizione fallimentare, bensì deve riallacciarsi all'indebito ed ingiustificato ritardo,
giudizio che presuppone una valutazione concreta e dipendenti da parecchie circostanze di fatto.
la violazione dell’art. 323 cod. pen., in un’area sicuramente risicata, per la presenza dello specifico art.
228 l. fall., residua – purtuttavia – l’ipotesi di questa generale fattispecie di abuso.
Tutte le volte in cui la condotta non sfoci in un’utilità di tipo personale e si risolva, per es. in una mera
vessazione dell’interesse altrui, può intravedersi l’applicabilità della norma penale.
la violazione dell’art. 361 cod. pen.
Sempre per la sua qualità di pubblico ufficiale il curatore ha il dovere di informativa verso l’AG. penale
per ogni illecito riscontrato. La specifica ipotesi criminosa, quindi, concorre con quella dell’art. 328 cod. pen.,
quando all’omissione della relazione si accompagni la doverosa notizia di reati dal curatore accertati ma da
questi non portati a conoscenza dell’AG. (sia il giudice fallimentare sia direttamente al PM.) 76
4) Il ruolo del Curatore/Commissario nel procedimento
/processo penale.
La funzione istruttoria.
Ho già detto che la prassi vede l’indagine sui reati fallimentari 77 originata dalle segnalazioni della
Relazione del Curatore, disciplinata dall’art. 33 l. fall.
E’ assai raro che la PG. avvii autonomamente un procedimento per questi reati: tanto può accadere per
violazioni di tipo tributario, ovvero per reati patrimoniali a cui segua o sia, comunque, nota la pendenza di
procedura concorsuale.
Quindi, la relazione rappresenta – per lo più – il primo atto procedimentale che lega il ruolo del Curatore alla
vicenda penale (art. 33 l. fall.), anche se essa è istituzionalmente indirizzata al Giudice Delegato e non al PM. (a
cui è trasmesso in copia però tramite la Cancelleria del Tribunale).
Dunque, sul Curatore grava l’obbligo di assumere informazioni sulle cause del dissesto, sulla
responsabilità dei suoi protagonisti, interni ed esterni all’impresa e su quant’altro può interessare alla prova di
illeciti penali. Questo “quant’altro” può essere qualsiasi altro illecito di natura penale ascrivibile non soltanto
ai soggetti dell’organismo caduto in fallimento, ma a qualsiasi terzo.
La collocazione istituzionale e la potestà cognitiva.
La qualifica pubblicistica non influisce sul peso della prova proveniente dal Curatore in sede
dibattimentale. Pur richiamata la decisiva importanza del ruolo del curatore in seno all’inizio del procedimento
penale, occorre chiaramente precisare che (secondo orientamento del tutto prevalente) egli non è organo di
Polizia Giudiziaria.
Quindi:
non esiste rapporto gerarchico tra PM. e Curatore nella fase antecedente o contemporanea al dibattimento
non è possibile delega di indagine ex art. 370 Cpp.
Conseguentemente non è possibile una “delega” di indagine o di assunzione di mezzi di prova (es. sequestro
documentale presso banche o altri uffici).
All’obbligo di assumere informazioni e di riferire in relazione, documento che secondo giurisprudenza
consolidata può acquisirsi al cd. “fascicolo per il dibattimento” ex art. 431 cpp. 78 corrisponde una forte ed
inconsueta dotazione di potestà cognitive in capo al Curatore.
75
La legge fallimentare ha circondato questa informazione di connotazioni dettagliate nel contenuto
descrivendola come comunicazione “particolareggiata sulle cause e circostanze del fallimento, sulla
diligenza spiegata dal fallito nell’esercizio dell’impresa, sul tenore della vita privata di lui e della
famiglia, sulla responsabilità del fallito e di altri e su quanto può interessare anche ai fini
dell’istruttoria penale” (art. 33 comma 1 l. fall.) Per i casi di fallimento di società, l’ambito della
relazione si estende “ai fatti accertati e le informazioni raccolte intorno alla responsabilità degli
amministratori, dei sindaci, dei soci ed eventualmente di estranei alla società” (art. 33 comma 3 l.
fall.)
76
Non deve sfuggire che ad alcune fattispecie, descritte dagli artt. 24, 25, 25 bis e 25 ter del D. Lvo
366/01, è connessa la responsabilità amministrativa dell’ente.
77
Lo stesso può dirsi anche per le ipotesi di bancarotta propria, ovvero – in ambito di bancarotta
impropria - in relazione alla violazione degli art. 2621/2622 cod. civ. (o di qualsiasi ltra fattispecie
richiamata dall’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall.,)
17
Il Curatore risulta dotato dalla legislazione fallimentare, di incomparabili poteri di accertamento della
verità.
Invero:
1) nei rapporti con il fallito (o soggetti equiparati):
Il Curatore - prima dell'avvio del procedimento verso un soggetto di indagine determinato - agisce in
una fase pre-procedimentale. Libero, dunque, dalle regole di garanzia proprie del procedimento/processo
penale 79 senza necessità di informazione di garanzia; nè ha l'obbligo di facoltizzare il soggetto di indagato
dall'astenersi dal rispondere.
Le dichiarazioni così assunte hanno piena valenza processuale. Non si applica, infatti, l'art. 62 Cpp. poichè,
come ho già osservato, al momento della dichiarazione, il soggetto non era ancora inquisito. 80 Dunque:
l’esame testimoniale del Curatore può vertere su quanto riferitogli dal fallito o da altro soggetto imputato,
prima dell’avvio della fase procedimentale. 81
- Ex art. 49/146 l. fall. (come il GD.) ha diritto alla citazione del fallito ogni qual volta necessaria, per
interpello dello stesso, ed ha pretesa di comparizione penalmente sanzionata ex art. 220/226 l. fall., senza
obbligo di previa contestazione. Sul punto la riforma ha apportato qualche modifica, che tuttavia non altera il
senso del discorso. 82
- Ex art. 216 comma 1 n. 1 l. fall. ha diritto di verità sulla consistenza del patrimonio (in sede di
inventario), sulla destinazione dei beni, sui movimenti che hanno contrassegnato la perdita della ricchezza,
diversamente il fallito (o soggetto equiparato) commetterebbe il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
La norma processuale di riferimento è l’art. 234 cpp. Cfr. Cass., Sez. V, 7.7.1998, Marcimino,
Cass. pen., 1999, 2890; Cass., Sez. V, 193.1997, Zoia, Cass. pen., 1998, 2998; Cass., Sez. V,
21.9.1992, Bolamperti, Cass. pen., 1993, 391
79
Conclusione asseverata dalla giurisprudenza della C. Cost. 27.4.1995, Marani, Dir pen. e proc.
pen., 1995, 712. Sul punto cfr. BARTOLO, La relazione e la testimonianza del curatore, ecc., in
Giur. Cost. 1995, 4473; Di Co’, Utilizzabilità delle dichiarazioni “contra se” rese dal fallito, in Il
Fallimento, 1996, 14 e ss. SCAPARONE, Obbligo di autoincriminazione del fallito, Giur. cost. 1995,
2182 e ss.
80
Circostanza attestata da Corte Cost. 27.4.1995 n. 1\36 che, fra l’altro così motiva: ”è sicuramente
da escludersi che le dichiarazioni destinate al curatore possano considerarsi rese nel corso del
procedimento penale, non potendo certo sostenersi che la procedura fallimentare sia preordinata alla
verifica di una “notitia criminis”. Il rilievo è importante anche per la sua estensione processuale:
sicuramente le annotazioni redatte e firmate dal fallito e dirette al Curatore (prima dell’avvìo del
procedimento) non possono essere considerate atti richiesti all’inquisito, bensì documenti provenienti
dall’imputato, sempre utilizzabili ex art. 237 cpp.
81
Anche se questa situazione del rapporto Curatore/fallito (o terzo, di poi inquisito) non è
regolamentata nel nostro sistema, risulta assai delicata la situazione che viene a crearsi dopo l’inizio
del procedimento (ovviamente per quell’addebito e verso quel determinato inquisito). Ho, in altri
termini, qualche dubbio che siano valutabili come rese al di fuori del procedimento (condizione che
legittima la deroga all’art. 62 cpp.) confessioni ed ammissioni dell’imputato/indiziato, dopo quel
momento, Invero, il dovere del Curatore di riferire all’AG. su ogni illecito penale riscontrato rende
costui uno implicito collegamento potenziale con l’attività di raccolta delle prove propria del PM. e la
dinamica accusatoria. Tutto ciò non esclude la rilevanza probatoria di fatti commessi “in itinere” dal
fallito e di cui il Curatore non ebbe iniziale contezza: si pensi al colpevole silenzio del fallito su beni
di cui egli avrebbe dovuto fornire notizia a tempo debito, dando così vita alla fattispecie della
bancarotta fraudolenta post-fallimentare (descritta dall’art. 216 comma 2 l. fall, ipotesi ben distinta da
quella regolata dall’art. 216 comma 1 l.fall.)
82
Ecco il testo del nuovo art. 49 “Art. 49. Obblighi del fallito. L’imprenditore del quale sia stato
dichiarato il fallimento, nonché gli amministratori o i liquidatori di società o enti soggetti alla
procedura di fallimento sono tenuti a comunicare al curatore ogni cambiamento della propria
residenza o del proprio domicilio.
Se occorrono informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura, i soggetti di cui al
primo comma devono presentarsi personalmente al giudice delegato, al curatore o al comitato dei
creditori.
In caso di legittimo impedimento o di altro giustificato motivo, il giudice può autorizzare
l’imprenditore o il legale rappresentante della società o enti soggetti alla procedura di fallimento a
comparire per mezzo di mandatario.”
78
18
- Ex art. 216 pp. n. 2 l. fall. ha diritto di verità sui movimenti finanziari espressi in contabilità (o occultati
nella stessa) (cfr. anche art. 87 e 16 n. 3 l. fall.): diversamente il fallito (o soggetto equiparato) commetterebbe
il delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
19
2) nel contesto della ricerca di mezzi di prova: 83
a) Ex art. 84 84, 87 85, 88 l. fall. (come il GD.) ha un generico potere di "sequestrazione" uguale ad una
perquisizione diffusa sia sui beni sia sulla documentazione: non necessità di motivazione ed ha estensione
illimitata;
b) Ex art. 48 l. fall. 86 egli è naturale destinatario, a ciò essendo obbligati il debitore o i rappresentanti
della fallita società, a consegnare la corrispondenza. Oper questa via può ricevere notizia, senza necessità di
sequestro o altro atto processuale, della corrispondenza: viene a conoscere, così, dell'esistenza di:
83
Seguendo la terminologia ormai acquisita dalle prassi anglosassoni, su queste figure cfr. CARPONI
SCHITTAR, Modi dell’esame e del controesame, Giuffrè, 2001, pag. 187 e ss. può affermarsi che il
Curatore/Commissario è testimone “esperto” e non testimone “laico”. Per il compendio di
informazioni che egli può acquisire e per lo spessore del ruolo di tramite tra la vicenda concorsuale, il
Curatore è testimone fondamentale nel processo. Ma la regola vuole che il Curatore – un
professionista “prestato” all’ufficio pubblico – sia un esperto nel settore commercialistico e contabile
e la sua dichiarazione non sia soltanto una attestazione di verità storica, ma contenga anche un
giudizio tecnico. Vale a dire una persona a cui non chiedere soltanto su “quel che è” ma quel che si
ritiene tecnicamente patologico, discosto dalla tecnica o dalla scienza “lato sensu” ragionieristica. La
giurisprudenza si è occupata del “teste esperto”, figura che sta a cavallo del Consulente/Perito e del
testimone. ed ha affermato: “il divieto di esprimere apprezzamenti personali, posto dall’art. 194 cpp.
non vale qualora il testimone sia una persona particolarmente qualificata per speciale preparazione
professionale e che sia interrogata su fatti caduti sotto la sua percezione sensoriale ed inerenti alla sua
abituale e particolare attività, giacchè – in tal caso – l’apprezzamento diventa inscindibile dal fatto”
Cass. 12.12.1995, Vezzolo, Cass. pen., 1997, 2206). “il divieto non può dirsi violato quando la
deposizione non investa soltanto i fatti materiali dal teste accertati ed inerente alla sua particolare
attività, ma anche le considerazioni che da quei fatti direttamente scaturiscono, giacchè – in tal caso –
l’apprezzamento diventa inscindibile dal fatto per l’ovvia riflessione che il fatto stesso è stato
percepito dal teste sotto un particolare angolo visuale” Cass. Sez. 3 26.,1.1984, Del Vivo; Cass. Sez.
5, 29.11.1990, Nagae.
84
Questo il testo della norma portato dalla riforma della legge fallimentare: “84. Dei sigilli. Dichiarato
il fallimento, il curatore procede, secondo le norme stabilite dal codice di procedura civile,
all’apposizione dei sigilli sui beni che si trovano nella sede principale dell’impresa e sugli altri beni
del debitore.
Il curatore può richiedere l’assistenza della forza pubblica.
Se i beni o le cose si trovano in più luoghi e non è agevole l’immediato completamento delle
operazioni, l’apposizione dei sigilli può essere delegata a uno o più coadiutori designati dal giudice
delegato.
Per i beni e le cose sulle quali non è possibile apporre i sigilli si procede a norma dell’articolo 758 del
codice di procedura civile.”.
85
Questo il testo della norma portato dalla riforma della legge fallimentare: “87. Inventario. Il
curatore, rimossi i sigilli, redige l’inventario nel più breve termine possibile secondo le norme stabilite
dal codice di procedura civile, presenti o avvisati il fallito e il comitato dei creditori, se nominato,
formando, con l’assistenza del cancelliere, processo verbale delle attività compiute. Possono
intervenire i creditori.
Il curatore, quando occorre, nomina uno stimatore.
Prima di chiudere l'inventario il curatore invita il fallito o, se si tratta di società, gli amministratori a
dichiarare se hanno notizia che esistano altre attività da comprendere nell'inventario, avvertendoli
delle pene stabilite dall'articolo 220 in caso di falsa o omessa dichiarazione.
L'inventario è redatto in doppio originale e sottoscritto da tutti gli intervenuti. Uno degli originali deve
essere depositato nella cancelleria del tribunale.”.
Ad esso è stato aggiunto: “87 bis. Inventario su altri beni. - In deroga a quanto previsto dagli articoli
52 e 103, i beni mobili sui quali i terzi vantano diritti reali o personali chiaramente riconoscibili
possono essere restituiti con decreto del giudice delegato su istanza della parte interessata e con il
consenso del curatore e del comitato dei creditori, anche provvisoriamente nominato.
I beni di cui al primo comma possono non essere inclusi nell’inventario.
Sono inventariati i beni di proprietà del fallito per i quali il terzo detentore ha diritto di rimanere nel
godimento in virtù di un titolo negoziale opponibile al curatore. Tali beni non sono soggetti alla presa
in consegna a norma dell’articolo 88.”.
20
- rapporti bancari
- utenze domestiche (spie di cespiti immobiliari o d'impresa
- cartelle esattoriali, atti di contenzioso in atto (con indicazione di eventuali crediti in atto, di cespiti
immobiliari, di convenzioni in atto)
c) Ex art. 42 e 72 l. fall. il Curatore succede nei contratti in atto del fallito: ne prende conoscenza, con
pretesa di acquisizione documentale (anche all'estero) 87.
Norma modificata dalla riforma. Ecco il testo: “Art. 48. Corrispondenza diretta al fallito.
L’imprenditore del quale sia stato dichiarato il fallimento, nonché gli amministratori o i liquidatori di
società o enti soggetti alla procedura di fallimento sono tenuti a consegnare al curatore la propria
corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel
fallimento.”.
87
La situazione determina una agevolazione notevole in tema di rapporto bancario: il Curatore può
pretendere la documentazione del c/c intestata al fallito, senza necessità di provvedimento formale.
Anche per i conti esteri non occorre richiesta con rogatoria estera.
Vi è contestazione se egli possa ottenere la copia portante la girata di terzi sui titoli rilasciati dal
fallito. Il comportamento delle banche non è univoco al riguardo.
86
21
Parte III°. La BANCAROTTA
1) Premessa: introduzione generale.
Richiamando anche quanto detto all’inizio, la figura della bancarotta comprende diversi casi, tra loro
molto diversi, accomunati dal fatto di connettersi ad una procedura concorsuale. Può schematicamente
distinguersi:
1) rispetto alla dichiarazione di fallimento (o di altra procedura):
pre-fallimentare: se l’atto precede la dichiarazione
post-fallimentare: se l’atto la segue 88.
2) rispetto al tipo di condotta:
fraudolenta :
patrimoniale: i casi previsti dall’art. 216 pp. n. 1 l. fall.
documentale: i casi previsti dall’art. 216 pp. n. 2 l. fall.
preferenziale: art. 216 comma 4 l. fall.
semplice: si tratta dei diversi casi dell’art. 217 l. fall.
3) rispetto al soggetto caduto in procedura:
propria: se a fallire è l’imprenditore individuale (art. 216, ovvero i casi dell’art. 222 l. fall.)
“fatti di bancarotta” e impropria se a fallire è una società (detta anche “bancarotta societaria”), ovvero un
institore (art. 223, ed art. 227 l. fall.): figura che ingloba in sé le ipotesi di bancarotta propria, annoverando
ulteriori fattispecie.
2) I soggetti attivi e l’amministratore (o altro organo) “di fatto”.
La bancarotta è reato “proprio” descrivendo l’autore del fatto con specifiche condizioni soggettive:
circostanza assai importante perché sovente (specialmente per la bancarotta propria) la gran parte delle condotte
sarebbero lecite ove facesse difetto la qualità prevista.
Si tratta, innanzitutto, dell’imprenditore commerciale. Inoltre, in seno alla bancarotta impropria, gli
amministratori, i direttori generali, i sindaci, i liquidatori e l’institore.
Per la determinazione del contenuto delle categorie normative (imprenditore “non piccolo”, non
agricolo,89 amministratore, ecc.) si rinvia alla disciplina commercialistica. 90
88
Come meglio dirò, a proposito della bancarotta fraudolenta documentale, non vi è perfetta
parificazione tra la figura pre e post-fallimentare. Infatti, per quanto attiene la bancarotta fraudolenta
documentale post-fallimentare, la lettera della norma art. 216 comma 4 l. fall.) precisa che rilevano
soltanto le condotte di distruzione sottrazione e falsificazione del corredo contabile. Delimitazione
ovvia, avendo l’impresa perso ogni attività effettiva in capo al suo gestore (casomai, per l’esercizio
provvisorio provvederà il curatore, con gli obblighi documentativi suoi propri) e l’imprenditore perso
ogni potestà annotativa. Cfr. sul punto anche Cass., Sez. VI, 13.1.1994, D’Episcopio, Cass. pen.,
1996, 938.
89
Sulla nozione di imprenditore assoggettabile alla disciplina concorsuale e, dunque, soggetto attivo
dei delitti qui esaminati, vi è ampia letteratura: cfr. tra gli altri, GALGANO, Diritto commerciale,
l’imprenditore, Milano, 1982; FERRARA Jr., Gli imprenditori e le società, Milano, 1975, SATTA,
Istituzioni di diritto fallimentare, Roma, 1957; COTTINO, Diritto commerciale, I, Padova, 1976, 113;
PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 38; SANTORIELLO, I
reati di bancarotta, Torino, 2000, 47 e ss., ecc.
90
Sul punto è intervenuta la nuova definizione nella riforma del diritto fallimentare: Ecco iol nuovo
testo dell’art. 1 della legge fall. 1. L’articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, è sostituito dal
seguente: “Art. 1. Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo. Sono soggetti alle
disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un’attività
commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori.
Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un’attività commerciale in forma
individuale o collettiva che, anche alternativamente:
a) hanno effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila;
b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o
dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro
duecentomila.
I limiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con
decreto del Ministro della giustizia sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei
prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di riferimento.”
22
Chiaramente questa qualifica esiste ed è affermata ancorché non vi sia formale iscrizione al registro delle
imprese (si tratta, in tal caso, di accertare in fatto gli profili gestorî) ed anche al di là della gestione patologica
dell’impresa: così l’imprenditore che sistematicamente conduca la propria attività per finalità esterne a leciti
interessi commerciali, non perde la detta qualità. 91
Sotto l’egida del concorso di persone può risolversi la considerazione dei comportamenti di
collaborazione con l’imprenditore (o dell’organo societario).
Interessa, in particolare, che uno dei
compartecipi rivesta la qualità “propria” perché per tutti sia ipotizzabile (ricorrendo i presupposti di fatto) la
responsabilità ex art. 110 cod. pen. (ricorrendo tutti i presupposti per poter affermare la sua applicazione). 92 La
figura di reato non determina eccezioni alle normali regole del concorso: sì che la penale responsabillità può
esser affermata anche quando per taluno degli artefici si rinvenga la partecipazione ad un solo segmento
dell’azione.93
Diversa, invece, la disciplina relativa al cd. “amministratore di fatto” il quale non risponde in quanto
concorrente con altro soggetto qualificato, ma “ex se” quale persona che acquisisce i requisiti descritti dal
legislatore. 94 La relativa disciplina (sino ad ora oggetto di incertezza dottrinaria ed affidata alla lettura della
giurisprudenza che riceveva la rilevanza in ambito penalistico 95) dovrebbe ispirarsi all’art. 2639 cod. civ.,
come novellato dal D. L.vo 61/02: il condizionale si giustifica per il fatto che la norma attiene alle fattispecie
penal/societarie e potrebbe sostenersi l’inapplicabilità di letture analogiche, fuori dal contesto proprio.96
Tuttavia, tenendo presente, che la disposizione deriva da un’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza e
che essa non statuisce momenti nuovi di incriminazione, essa mantiene la sua vigenza come criterio
91
Così CONTI, cit., pag. 21; Cass., Sez. V, 10.12.1985, Menzione, in Fallimento, 1986, 686; Cass.,
Sez. V, 12.2.1980, Ario, Giust. pen., 1980, II, 649, ecc.)
92
Cfr. Cass. Sez. V, 21.6.197, Calzamatta, Mass. Cass. Pen, 1972; Cass. Sez. V, 20.12.1996,
Sessegolo, Cass. Pen., 1999, 650 (la quale ha ritenuto la responsabilità dell’impiegato che ebbe a
predisporre un c/c bancario, non annotato nella contabilità ufficiale, sul quale erano versate le somme
di poi distratte dall’imprenditore); Cass., Sez, V, 13.1.1994, D’Episcopo, Cass. Pen., 1996, 938 (in cui
il concorrente era il Curatore), ecc.
Sui rapporti tra la disciplina dell’art. 110 cod. pen. e quella dell’art. 117 cod. pen., cfr. Cass. Sez. V,
21.1.1998, Cusani, Guida al dir., 1998, 85 (l’art. 110 cp. trova applicazione quando in capo
all’estraneo vi sia consapevolezza della qualifica “propria”; diversamente vale la disciplina dell’art.
117 cod. pen.). Sulla possibilità del concorso del professionista dell’imprenditore dichiarato fallito,
cfr. Cass. Sez. V, 22.10.1986, Sonson, Cass. Pen., 1988, 927 ; Cass. Sez. V, 25.5.1987, Bevilacqua,
Cass. Pen., 1988, 1539, ecc. Più delicata la posizione del legale del fallito il quale non è responsabile
per non aver dissuaso il cliente dal commettere condotte illecite, ovvero che si sia limitato ad esporre
in via astratta i tratti della illiceità della condotta, cfr. Cass., Sez. V, 17.10.1958, Ferro, Giust. Pen.,
1959, II, 191; diversamente se egli assista il cliente nella esplicazione di atti strumento della illecita
condotta (es. negozi simulati), cfr. Cass., Sez. V, 3.12.1998, Minieri, Fisco, 1999, 1537.
93
Cfr. Cass., Sez. V, 18.5.2000, Patrucco, 8984, che ha affermato la responsabilità per consapevole
omesso (doveroso) controllo su operazioni distrattive da parte di chi aveva rivestito la carica sindacale
nel corso dell’esercizio precedente alla conclusione della manovra.
94
Cass, Sez. V, 10.12.1999, Sgro, Guida Dir., 6/2000, 81; Cass. Sez. V, 28.11.1996, PM/Azzolini,
Guida Dir., 8/98, 78; Cass. Sez. V, 14-487, Fioretto, Giust., pen., 1988, II, 158, ecc.
95
In dottrina ALESSANDRI, in AA. VV., Parte Generale, Manuale di diritto penale dell’impresa,
1998, 53; BONELLI, La responsabilità penale dell’amministratore di fatto, Giur. Comm., 1984, 107;
ZAMBELLI, La responsabilità penale a titolo di bancarotta fraudolenta dell’amministratore di fatto,
ecc, Riv. Trim. Dir. pen. ec., 1997, 941 e ss. ; ANTOLISEI, cit., 53; ROSSI VANNINI, La
responsabilità di amministratori e di sindaci, Trattato dir. commerciale e di diritto pubblico
dell’economia, Padova, 1994, 317 e ss;; CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 233 e ss.;
CONTI, I reati Fallimentari, Utet, 1991, 206 e ss., ecc. In giurisprudenza, Cass. Sez. V, 13.8.98, Cass.
Pen., 2001, 1622; Cass., Sez. V, 22.4.98, Galimberti, Cass. Pen., 2000, pag. 3451; Cass. Sez. V,
Ferrara, 10.10.1996, Guida Dir., 8/97, 78, ecc.
96
Il commento alla norma è in A. ROSSI VANNINI, L’estensione delle qualifiche soggettive,
inedito; O. DI GIOVINE, L’estensione delle qualifiche soggettive, in I nuovi reati societari: diritto e
processo, a cura di GIARDA e SEMINARA, Padova, 2002. Per la dottrina, prima della riforma
penal/societaria, cfr. ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Giuffré, 1993, 39; CONTI, I reati
fallimentari, Utet, 1991, p. 40 (nota); PEDRAZZI/ SGUBBI, Reaticommessi dal fallito, Commentario
Scialoja Branca, 1995, pag. 40; CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 26 e ss., ecc.
23
ermeneutico, anche per ipotesi esterne alla riforma dei reati societari. 97 In sostanza, il referente è il novero delle
disposizioni civilistiche che qualificano la figura dell’amministratore di società, nell’espressione dei suoi poteri
direttivi ed organizzativi 98 ovvero colui verso il quale i terzi, per il principio di effettività (e di apparenza),
ripongono affidamento.99
Ovviamente il soggetto non qualificato, sia esso estraneo all’impresa, sia amministratore di fatto, per
essere ritenuto responsabile deve risultare artefice di un apporto causale verso il risultato della diminuzione
della garanzia creditoria 100 e deve giovarsi di una completa rappresentazione del connotato illecito della
condotta. Dunque, deve risultare informato dell’antigiuridicità dell’atto, ancorchè non formalmente titolare di
potere di gestione. 101
Per converso, anche il formale titolare della gestione, ma privo di reali poteri e non esecutore materiale del fatto
(il cd. “presta-nome” o “testa di legno”) può considerarsi còrreo dell’illecito posto in essere dal gestore non
qualificato, ma senza alcuna presunzione di responsabilità, ed a patto della prova di una sua rappresentazione
dell’atto o, almeno, del contesto che consente la realizzazione dell’atto anti-doveroso.
In sostanza egli
dovrebbe comunque rispondere per la rappresentazione dell’eventualità di illeciti, quando gli sia noto che, al di
sotto dell’accordo di assegnazione del ruolo di fittizio gestore, vi sia un piano di violazione della norma penale:
l’accettazione della carica è accettazione del rischio di cooperazione nel piano illecito. Egli dovrebbe attivarsi
per l’interruzione o il mancato avvìo del programma criminoso: la inerzia si tramuta in responsabilità penale, al
titolo di dolo eventuale. 102 Occorre - è ovvio – la prova non di una generale (e sostanzialmente supposta) prova
sulla conoscenza degli atti specifici posti in essere dall’amministratore di fatto, ma una qualche
rappresentazione o dell’illiceità del singolo atto, ovvero la rappresentazione che l’interposizione fittizia miri ad
97
Invero, sulla premessa che essa in nulla innova a quanto già ritenuto dalla giurisprudenza in tema di
amministratore di fatto, Cass. Sez. V, 5.6.2003, Gori, n. 36630, ha segnalato l’autonomia della
previsione rispetto alla materia penal/fallimentare.
98
Cfr. Cass., Sez. V, 26.7.2004, Boccaletti ed altro, n. 32465, in Guida al Diritto, 2004, n. 36, pag.
64, decisione che segnala come la valutazione in fatto, se correttamente motivata, è insindacabile dalla
SC.
99
Cass., Sez. V, 13.8.1998, Platania, Cass. pen., 2001, 1622.
100
E’ questo aspetto oggettivo che è sotteso, anche se non chiaramente evidenziato, nelle massime
della SC. che qualificano come correo nel delitto in discorso il terzo che riceva regalìe (non
indifferenti) dall’imprenditore che egli sa dissestato. Cfr. ad es. Cass. Sez. V, 22.4.2004, Bertuccio, n.
23675, in Guida al Diritto, 2004, 26/75. Pare a chi scrive pur sempre necessario dimostrare una
qualche istigazione alla erogazione del donativo, finendo – altrimenti – questa lettura con il
confondere la bancarotta fraudolenta patrimoniale con la ricettazione di cui all’art. 648 cod.pen.
101
Occorre, cioè, che l’”extraneus”, secondo i canoni del diritto penale, abbia fornito un contributo
causale alla produzione dell’evento, ed abbia agito con la consapevolezza e la volontà di aiutare
l’imprenditore di poi fallito. In Dottrina cfr. ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Giuffré,
1993, 161 e ss. PEDRAZZI/SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca,
1995, 82 e ss.; CONTI, I reati fallimentari, Giuffé, 1993, 161 e ss., ecc. In Giurisprudenza, Cfr. Cass.
Sez. V, 25.2.1999, Francina, Cass. pen., 2001, 290 e ss.; Cass., Sez. V, 25.5.1999, Bortoletti, Cass.
pen., 2001, 1334; Cass. Sez. V, 27.2.1992, Capriolo, Cass. pen., 1993, 1560; Cass., Sez. V,
10.7.1984, Canepari, Cass. pen., 1986, 1389, ecc. Tra i requisiti dell’elemento soggettivo la
giurisprudenza ha talora richiesto la consapevolezza della qualifica soggettiva dell’autore proprio del
reato, cfr. Cass., Sez. V, 19.12.1988, Bevilacqua, Cass. pen., 1988, 1529; Cass., Sez. V, 18.4.1985,
Brioschi, Giur. It. 1987, II,408. Circa la rappresentazione della destinazione delle somme per scopi
esterni all’interesse di impresa (ancorché non sia esatta la raffigurazione dell’impiego ad esse dato)
cfr. Cass., Sez. V 23.10.1998, Seessegolo, Cass. pen., 1999, 650. La giurisprudenza (Cass., Sez. V,
19.2.2003, Leoni) ha escluso che vi sia violazione ex art. 521 cpp. del principio di correlazione tra
accusa e sentenza nel caso in cui sia affermata la responsabilità di un soggetto quale concorrente
esterno, anzichè quale amministratore di fatto come originariamente contestatogli (purchè ovviamente
non sia immutata l’azione distrattiva ascritta).
102
Cass. Sez. V, 14.6.2004, Soppracone, n. 26628, in Guida al Diritto, 2004, n. 35 pag. 7; Cass. pen.,
Sez. V, 1.9.1999, Murra, in Cass. pen., 2000, 1784; ecc.Cass. pen., Sez. V, 5.2.1998, Riccieri, Cass.
pen., 1998, pag. 3415 (con motivazione); Cass. pen., Sez. V, 25.3.1997, Cass. pen., 1998, pag. 1781,
ecc.
24
uno scopo illecito 103. Situazione che si ritiene presente nell’assecondare consapevolmente il generico disegno
fraudolento da parte di chi non a avrebbe possibilità (es. perché notoriamente inaffidabile al credito) o
legittimazione (perché colpito da sanzione penale accessoria) e che, grazie all’altrui interposizione fittizia,
presenta un volto apparentemente rassicurante e potenzialmente foriero di raggiro.104.
Al contrario, per quanto trae la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, il giudizio di responsabilità è
più diretto e severo, posto l’immediato obbligo dell’amministratore di diritto alla tenuta e conservazione delle
scritture di impresa. 105
3) Bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216 comma 1 n. 1, 223 comma 1 l. fall.)
3a) La condotta e l’interesse tutelato.
La bancarotta è reato avente per oggetto la diminuzione delle garanzie dei creditori 106 ed è questo,
secondo la prevalente opinione, il bene giuridico tutelato dalla norma penale. 107 Lesione che può realizzarsi
con diverse modalità, articolatamente tipicizzate dal legislatore. 108
Secondo l’opinione diffusa questa diminuzione della garanzia patrimoniale può qualificarsi come evento
della condotta criminosa. 109
Bancarotta fraudolenta pre-fallimentare (art. 216 comma 1 n. 1, 223 comma 1 l. fall.):
"Ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di
recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti"
E’ dato ribadito dalla dottrina e dalla giurisprudenza che la pluralità delle azioni descritte come
distrazione, distruzione, dissimulazione, dissipazione, occultamento, avendo lo stessa modalità di tutela
dell’interesse, determina una loro fungibilità 110. Si tratta, cioè, di forme penalmente equivalenti e riconducibili
103
Cfr. da ultimo Cass., Sez. 5, 4.6.2004, Squillante, n. 28007, in Guida al Diritto, 2004, n. 30 pag.
101; Cass., Sez. V., 29.12.1999, Dragomir, Cass. pen., 2000, 3124; Cass., Sez. V, 27.6.1997,
D’Ambrosio,Cass. pen., 1998,, 3417, ecc..
104
Fra le altre cfr. Cass., Sez. V, 1.7.2002, Arienti ed altri, Cass. pen., 2003, 2789; Cass., Sez. V,
12.5.2000, Ragogna, Cass. pen., 2001, 1622; Cass., Sez. 5, 23.5.1997, Baldi, Cass. pen., 1998, 1781;
Cass., sez. 5, 17.3.1998, Riccieri, Cass. pen., 1998, 3415.
105
Cass., Sez. 5, 4.6.2004, Squillante, n. 28007, cit.
106
Cfr. tra le molte, Cass., Sez. III, 24.9.1999, Degni, Cass. pen., 2001, 1339 (la quale esclude ogni
protezione i tema di fede pubblica); Cass., Sez. V, 6.10.1999, Tassan Din, Riv. trim. dir. pen. ec.,
2000, 476; Cass., Sez. V, 18.5.1982, Fabbri, Giust. pen., 1983, II, 571; Cass. sez. V, 14.11.1993,
Manco, Cass. Pen., 1995, 1635; Cass., Sez. V, 20.3.1987, Zampolli, Cass. Pen., 1988, 1542, Cass.,
Sez. V, 20.12.1996, Sessegolo, Cass. pen., 1999, 650, ecc. L’art. 240 l. fall. espressamente li indica
quali destinatari della protezione, o per l’intervento del curatore (o del commissario), ovvero “uti
singuli”, tant’è che Cass., Sez. V, 3.10.2003, Salvatori ed altro, n. 45713, in Guida al Diritto, 2004,
12, pag. 75, segnala la necessità che l’avviso del PM. che muova istanza di archiviazione ex art. 408
cpp. (qualora l’interessato ne abbia fatto richiesta) spetta ad ogni singolo creditore.
107
Opinione minoritaria, anche se autorevole, è che al delitto sia sotteso l’interesse processuale di una
corretta procedura esecutiva, in tal senso NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, Milano, 1955,
18; TAGLIARINI, Disposizioni penali in tema di società e consorzi, Trattato di diritto privato a cura
di RESCIGNO, Torino, 1985, 592; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 13 e ss.
108
In Dottrina, tra gli altri, CARRERI, I reati di bancarotta, Giufré, 1993, 1 e ss.; CONTI I reati
fallimentari, Utet, 1991, 83 e ss.; PEDRAZZI/SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario
Scialoja Branca, 1995, pag. 3 e ss., ecc.
109
cfr. PEDRAZZI, reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 67, GIULIANI
BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 1991, 177. In giurisprudenza un
accenno in tal senso è in Cass., Sez. V, 26.6.1990, Bordoni, Giust. pen., 1991, II, 645; Cass. Sez. V,
20.12.1996, Sessegolo, Cass. Pen., 1999, 650.
110
In Dottrina, tra gli altri, CONTI, Diritto penale commerciale, II, Reati fallimentari, Torino, 1991,
155; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, , II, Milano, 1995, 61,
segnalando che l’autore tiene a precisare che si tratta di modalità di una stessa tipologia di lesione
all’interesse creditorio, contraddistinta per un risultato di effettivo e definitivo depauperamento
(distrazione, occultamento, dissimulazione), ovvero di apparente compressione del patrimonio
(distruzione, dissipazione); PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957, 100, BRICCHETTI,
Riv. it. dir. proc. pen. 1994, 237, ecc. In giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. V, 6.7.2000, PG. in proc.
Oggioni, Cass. pen., 2001, 3532; Cass., Sez. V, 22.4.1999, Cass. pen., 19999, 652; Cass. Sez. V,
15.5.1987, Pari, Cass. pen., 1988, 1541; Cass., Sez. V, 15.10.1979, Bonaffini, Giur. It., 1980, II, 486:
25
all'unico risultato di diminuire la garanzia dei creditori o, il che è lo stesso, sottrarre (in tutto o in parte)
all’esecuzione concorsuale il patrimonio del fallito.111
Del resto, risulta assai difficile, talora, individuare elementi peculiarmente tipicizzanti di una piuttosto che di
un’altra azione illecita: l’occultamento comporta una distrazione del bene, la dissimulazione è una forma di
occultamento, ecc. La risultanza pratica, per la gran parte dei casi, è uguale in termini di sanzione, di lesione
all’interesse protetto, di volontà.
Tra queste condotte, viene tradizionalmente assegnata – e proprio in un’ottica pragmatica - ad una
ipotesi residuale e di chiusura la condotta di distrazione.
La bancarotta per distrazione, occultamento, esposizione passività fittizie, è reato di pericolo 112: pertanto,
non si richiede - nell’azione del fallito - la dimostrazione di un danno reale ai creditori. Danno che, comunque,
non coincide con l’ammontare del passivo 113, bensì con la risultanza della indebita diminuzione dello stesso (o
del fittizio incremento del passivo). Danno che può anche appuntarsi ede essere fatto valere ad opera di un solo
creditore, purchè – a mente dell’art. 240’ comma 2 l. fall. – si coordini con l’azione collettiva 114. È, comunque,
per l’integrazione del delitto, sufficiente la messa in pericolo degli interessi creditorî, senza necessità di un
pregiudizio emergente ed irrimediabile. 115
Da questa premessa deriva che non é rilevante, pertanto:
- che il fallimento si chiuda (art. 118 n. 1 e 2 l. fall.) per inesistenza di creditori insinuati ovvero per
pagamento integrale dei debiti e delle spese. 116
- che, in sede fallimentare, siano recuperati i beni oggetto della condotta illecita sia per l’effetto
dell’azione revocatoria, sia per fortunate indagini di curatela che rinvengono cespiti sottratti, sia per condotta
del terzo, o anche per la restituzione, in epoca successiva alla Sentenza di fallimento, da parte del fallito. 117
Anche per il versante processuale, qualora sia data sommaria indicazione del fatto concreto,
l'inquadramento della contestazione in uno piuttosto che in un altro comportamento non viola la
correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 cpp., cfr. Cass., Sez. V, 10.8.2000, PM/Oggioni, Guida
Diritto, 35/2000, 58, ecc.).
111
In tal senso la commissione di più atti ricondotti a distinte condotte ex art. 216 pp. n. 1 l. fall. non
assurge a pluralità di fatti a mente dell'art. 219 cpv. n. 1 l. fall. e risulta inapplicabile l'aggravante.
112
Per ANTOLISEI, cit., pag. 58, la bancarotta è reato di danno in relazione alle condotte che
comportano una diminuzione effettiva del patrimonio (distruzione, dissipazione). Nei casi di
diminuzione fittizia è responsabile anche chi pone in essere una condotta illecita, ancorchè non
coronata da successo, tesi che per il vero indebitamente svaluta l’importanza di un’apparenza
simulatoria, nei confronti degli interessi creditorî (chiaramente ove il bene protetto sia individuato
anticipatamente nell’interesse dei creditori alla conservazione della integrità patrimoniale del debitore,
anche il mero repentaglio della stessa, come nelle condotte di mera diminuzione fittizia, può essere
qualificato di danno, cfr. ad es. Cass., Sez. V, 11.11.1999, Tassan Din, Riv. trim. dir. pen. ec., 2000,
476). La Giurisprudenza ritiene che la bancarotta sia reato di pericolo astratto, concretandosi anche
nella mera esposizione al pericolo della lesione del bene protetto, cfr. tra le altre, Cass. Sez. V,
16.2.1994, Freato, Cass. Pen., 1996, 939; Cass. Sez. V, 8.4.1999, Grandi, Guida Diritto, 22/99, 128,
ecc. Osserva esattamente BRICCHETTI, I reati Fallimentari, Convegno CSM. 14/16.2.2002, che
quando il legislatore ha voluto sottolineare il pericolo della lesione dell’interesse protetto, ha costruito
la fattispecie a dolo specifico, fornendo rilevanza soltanto ai comportamenti che siano connotati da
una tensione volitiva diretta alla lesione illecita.
113
Cfr. Cass. Sez. V, 12.7.2004, Dal Cin, n. 30326, in Guida al Diritto, 33 p. 80.
114
Cass., Sez. V, 26.11.2003, Salvadori e altro, n. 45713, in Guida al diritto, 2004, 12, pag. 75.
115
Assunto che, tuttavia, non sembra comportare – in seno alla bancarotta pre-fallimentare - il
prosieguo della lesione all’interesse protetto oltre la dichiarazione di insolvenza, come sembrerebbe
affermare Cass. Sez. V, 26.10.2001, Cannerazzo, n. 44818, che legittima il sequestro preventivo su
beni oggetto i distrazione, anche dopo la consumazione del reato. Invero, ogni attività successiva alla
sottrazione del cespite all’apprensione della procedura conclusale si profila come “post-factum”
penalmente irrilevante (salva la prova specifica che la carenza di possesso cagioni un ulteriore ed
autonomo pregiudizio agli interessi creditorî). Sembra che l’assicurazione del bene al processo penale
possa attuarsi con il semplice sequestro probatorio, risultando il bene oggetto di bancarotta fraudolenta
un corpo del reato.
116
Cfr. da ultimo, Cass., Sez. V, 8.4.1999, Grandi, Guida al Diritto, 22/99, 128.
117
Cfr. Cass., Sez. V, 14.4.1999, Olivieri, in Cass. pen., 2000, pag. 1784; Cass., Sez. V, 1.6.1999,
Iannacone, Cass. pen., 2000, pag. 1785; Cass., Sez. V, 17.5.1996, Gennari, Giust. pen., 1997, II, 686;
Cass., Sez. V, 16.2.1994, Freato, Cass. pen., 1996, 939; Cass. Sez. V, 7.5.2004, Giacompolli, n.
26
Nella bancarotta pre-fallimentare la consumazione del delitto si assume (dall’opinione dottrinaria
prevalente e dalla costante giurisprudenza) coeva alla dichiarazione giudiziale dell’insolvenza
dell’imprenditore.118 Ma l’azione illecita precede siffatto momento, dipanandosi – per lo più – parallela alla
gestione dell’impresa. Pertanto, si profila come normale nell’esperienza giudiziale la forte sfasatura tra la
materiale attuazione dell’atto criminoso e la sua rilevanza penale. Discrasìa che riflette sia sulla qualificazione
anti-doverosa del fatto, sia sulla consapevolezza della antigiuridicità da parte del suo autore.
In altre parole, sovente quanto è del tutto lecito o – comunque – non vietato dall’ordinamento, si colora di
connotazione delittuosa, al titolo di bancarotta (e con quali conseguenze penali!) all’atto della dichiarazione di
insolvenza. Per es. la frequentazione di una Casa da Gioco, consentita all’imprenditore in quanto non
espressamente vietata anche quando il suo patrimonio si è assottigliato ed il rischio che a pagare le sue perdite
al tavolo verde siano, in realtà i suoi creditori, si tramuta nel momento oggettivo della bancarotta per
dissipazione, una volta che sia dichiarato il fallimento (ma il fatto tornerebbe indifferente per il sistema penale
se le sporti dell’impresa o l’inaspettata generosità di un terzo annullassero il rischio di insolvenza). 119
Di qui qualche delicato profilo di legittimità costituzionale sulla certezza del precetto penale, massimamente se
il fatto di censurabile impoverimento dell’asse attivo si collochi molto tempo prima della dichiarazione di
insolvenza, quando - per esempio – i prodromi delle difficoltà economiche non si siano ancora materializzati
all’orizzonte. Di qui la ricerca da parte della dottrina di forme selettive del dolo che limitino la fattispecie
all’effettiva lesione del bene protetto, ovvero alla richiesta di un rapporto causale tra azione e dissesto oppure
all’enucleazione di aree temporali prossime al dissesto in seno alle quali, soltanto, può parlarsi di illecito.120
27522, in Guida al Diritto, 2004, n. 32, pag.85, ecc. E’, peraltro, controverso se la restituzione dei
beni, prima della dichiarazione di fallimento, sani ed elida l’illiceità della condotta. Al quesito
rispondono affermativamente quanti ritengono momento consumativo la dichiarazione di fallimento
(CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 100 e ss.; ANTOLISEI, Manuale,. Leggi
complementari, Vol. II, 1993, 54; PEDRAZZI/SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario
Scialoja Branca alla legge fall., 1995, 68) Rispondono negativamente quanti considerano l’effettiva
consumazione del reato al momento del fatto storico (CONTI, Diritto penale, Vol. II, Reati
fallimentari, Utet, 1991, 158; LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, IPSOA, , 1993,
310 e ss.). Una posizione più articolata è in SANTORIELLO I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag.
86 e ss. che distingue trai casi di bancarotta impropria e di bancarotta propria e sul presupposto che, in
ogni caso, vada considerata – caso per caso – l’effettiva diminuzione del patrimonio del debitore.
118
Per richiami dottrinari, v. nota che precede, per la giurisprudenza, da ultimo, cfr. Cass., Sez. V,
19.3.1999, Ballerini, Cass. pen. 2001, 298.
119
Esattamente, a questo proposito, si è rilevato che l’imprenditore è “soggetto a rischio”, nel senso
che grava permanentemente sul medesimo l’obbligo della conservazione della garanzia patrimoniale,
cfr. BRICCHETTI, Reati fallimentari, Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 261.
120
Per quanto attiene alla ricerca di forme qualificate dell’elemento soggettivo, escluse dalla lettura
della SC., v. infra. La ricerca di una concreta offensività dell’atto viene individuata da PEDRAZZI,
Reti commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 19954, 14, con l’esatta segnalazione che
soltanto la continuità causale tra l’impoverimento dell’asse di impresa ed il riscontro di un effettivo
danno alla massa dei creditori (a cui si connetta una adeguata rappresentazione della situazione in
capo all’imprenditore) può fondare il giudizio di penale responsabilità (ma con lo svantaggio di
affidare ad incerte ed opinabili ricostruzioni contabili detta valutazione). La delimitazione temporale
della rilevanza della condotta è teoriche fu avanzata dall’autorevole opinione di NUVOLONE, Il
diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, 66; ripresa da
CASAROLI, Il dolo delle bancarotte fraudolente fra dubbi interpretativi e rigore giurisprudenziale,
Studi in memoria di P. Nuvolone, II, Milano, 1991, 307.
E’, invece, convincimento ribadito dalla SC. che non esista una “zona di rischio penale”, vale a dire
una soglia temporale entro cui le condotte illecite debbano essere commesse, per rilevare in seno alla
fattispecie dell’art. 216 l. fall. Problema che, appunto, si pone attesa la possibile distanza tra la
commissione dell’atto. Cfr. tra le altre Cass., Sez. 5, 20.3.1981, Selli, n. 2427.; Cass., Sez. 5,
24.4.1987, Ventrella, n. 5073. Proprio nell’ottica di allineare la disciplina alle istanze di stretta legalità
e personalità del diritto penale, il testo di riforma della legge fallimentare elaborato dalla
Commissione governativa Trevisanato ha ristretto – con espressa previsione idonea a fugare dubbi in
merito - il novero dei comportamenti di bancarotta all’epoca di crisi o di concreto pericolo di crisi
dell’impresa.
27
Al contempo, al di là di rigide astrazioni 121, bisogna - a mio parere - pur sempre dar conto di un effettivo
collegamento dannoso tra l’azione e le ragioni creditorie e dimostrare, dunque, che la perdita (illecita) del bene
si sia effettivamente riverberata a loro danno. Tale situazione, a mio avviso, è difficilmente sostenibile per le
situazioni in cui, tra l’atto distrattivo e la dichiarazione di fallimento, sia intervenuta una fase di gestione
profittevole, tale da aver colmato anche gli eventuali disavanzi cagionati dalle pregresse operazioni foriere di
perdita. Anche se è indubbio che, per l’attuale disciplina fallimentare, la situazione dell’imprenditore è
certamente quella di un “soggetto a rischio” e, cioè, di persona la cui libertà d’azione è condizionata dal
prevalente interesse delle ragioni creditorie sicchè – anche per quanto trae a condotte di scelta gestoria –
valgono che vietano eccessi di repentaglio e possibilità di pregiudizio agli interessi di questi terzi. 122
4a) Le singole condotte di fraudolenza patrimoniale:
Distruzione 123:
É l'annullamento:
- fisico del bene
- del valore economico del bene.
Può essere anche parziale (deterioramento).
Può essere frutto di un comportamento:
commissivo (es. appiccamento di fuoco alla cosa). Rientra nel concetto di distruzione anche il caso di
perdita volontaria di un diritto (reale o personale) di godimento sulla cosa.
In questa prospettiva può segnalarsi la perdita consapevole dell'uso di un bene: ad es. concedendolo
gratuitamente in locazione, ovvero concedendolo (senza plausibile giustificazione) per periodo di tempo
eccedente la ragionevolezza, sì da scemarne il valore commerciale, poichè la indisponibilità del cespite, per i
vincoli normativi in materia di locazione, unita alla modestia del canone, privano di sostanziale valore il bene
immobile.124
omissivo, in relazione al generico obbligo conservativo del patrimonio in capo all’imprenditore (es. la
volontaria ed ingiustificata mancata attivazione nell’esercizio di azioni volte alla tutela del patrimonio
d’impresa, come l’esperimento del recupero di crediti verso terzi; la volontaria perdita giuridica dell’esercizio
di diritti ad es. per decadenza, ecc.) 125. Fattispecie non richiamabile nel caso in cui il soggetto possa godere di
una mera aspettativa, ma il bene non sia entrato nella sua sfera patrimoniale. 126 Mentre il caso del mancato
esercizio del diritto può assumere interesse penale soltanto se esso fosse riconducibile a qualche obbligo
giuridicamente apprezzabile, diversamente la censura si tramuterebbe in una valutazione di stretto merito (che
può assumere rilievo in seno a valutazioni di colpa gestoria). 127
121
Portate dalla costante Dottrina, cfr. CONTI, I reati fallimentari, Utet, 1991, 111; PEDRAZZI, in
AA.VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, 1998, 76, ecc. In Giurisprudenza, cfr. ad es. Cass.,
Sez. V, 14.7.1998, Bagnasco, Cass. pen., 2001, 292; Cass. Sez. V, 7.7.1998, Ranzini, Cass. pen.,
2001, 291; Cass. Sez. V, 22.4.1998, De Benedetti, Cass. pen., 1999, 651; Sez. V, 26.6.1990, Bordoni,
Cass. pen., 1991, 829, ecc.
122
E’ vero che l’art. 2740 cod. civ. riguarda non tanto la tutela dell’obbligazione, quanto la situazione
di inadempimento, a copertura del quale giovano le garanzie costituite dal patrimonio
dell’imprenditore (sul punto cfr. le puntuali osservazioni di LA MONICA, Manuale di diritto penale
commerciale, Milano, 1993, 192 e ss.; SANTORIELLO I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 8 e
ss.), ma è certo che il fenomeno dell’insolvenza può prescindere dal deliberato e previsto proposito di
non onorare l’impegno, dipendendo – sovente e salvo i casi di preordinazione dolosa del dissesto – da
circostanze esterne alla volontà del debitore (come l’insoluto di suoi clienti, la variazione dei consumi
di mercato, eventi naturali di distruzione patrimoniale, ecc.), dal momento che la perdita è una ipotesi
fisiologica all’impresa, altrettanto che il profitto.
Dal che consegue l’imprevedibilità
dell’inadempimento ovvero dell’insufficienza della dotazione patrimoniale al sopraggiungere di eventi
deficitari inaspettati o, comunque, imprevisti.
123
Cfr. in Dottrina, ANTOLISEI, cit., 63; CONTI, cit., 160; NUVOLONE, cit., 194.
124
Talora non è facile discernere la condotta di distruzione da quella di distrazione: per es. lo storno
di tecnologia, rapporti giuridici con fornitori e clienti, ecc. può essere considerato come distrattivo
(così Cass. Sez. V, 24.5.1983, Marcucci, Foto It., 1987, II, 234) ovvero, per gli effetti dell’impresa
impoverita vera distruzione di ricchezza.
125
Cfr. ad es. Cass., Sez. V, 10.12.1999, Riccò, Dir. Pratica società, 9/2000, 82.
126
Come nel caso di rinuncia all’eredità, cfr. PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario
Scialoja Branca, 1995, pag. 61..
127
Sul punto cfr. anche SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 64.
28
Nel concetto di bancarotta non interessa (salvo che non vi siano circostanze peculiari) l'integrità o
l’identità del bene in sé, quanto la salvaguardia del suo valore. Non rappresenta, pertanto, distruzione la
conversione di un bene nel suo controvalore in denaro (es. vendita), purché il prezzo richiesto sia congruo.
Come è evidente, la definizione della condotta dipende, nella gran parte dei casi, nell'intenzione che
l'assiste: soltanto l'atto mirato ad un pregiudizio per il patrimonio dell'impresa ricade nella nozione in esame.
In tal senso la liquidazione a prezzo vile del magazzino se, obiettivamente, costituisce un annullamento
economico della sua valenza, riesce indifferente la censura penale ove l'operazione sia assunta al fine di
procacciare liquidità diretta al miglior funzionamento aziendale (riassortimento dello stesso, pagamento di
creditori, ecc.)
Risulta, pertanto, a mio parere necessario – in alcune situazioni (e ne segnalerò altre) – ricorrere al
criterio selettivo di tipo soggettivo costituito dalla consapevolezza e volontà di ridurre la valenza attiva
patrimoniale, accompagnata dalla rappresentazione dell’assenza di utilità nell’operazione.
Sempre con l’occhio rivolto al dato soggettivo, segnalo che sono esterne alla definizione sono le
condotte di negligenza e trascuratezza colposa che possano portare alla perdita o deterioramento del bene (si
pensi all’omessa custodia delle cose; alla mancata manutenzione; alla condotta trascurata nella causa giuridica,
ecc.)
Occultamento.
E’ il nascondimento materiale del bene onde impedire l’apprensione dello stesso da parte degli organi
della procedura concorsuale.128
E’ condotta assai prossima alla dissimulazione, di cui tratterò oltre e che si qualifica per un occultamento
attuato con modalità giuridiche.129
Il comportamento trova ragione e spiegazione nell'obbligo (descritto dall'art. 87 comma 3 l. fall.) del
fallito di segnalare al Curatore l'esistenza di propri beni da sottoporre ad inventario.
Pertanto anche il semplice silenzio può integrare il reato.
Segnalo che l’art. 220 l. fall.130 ha una previsione assai vicina. Occorre, peraltro, fornire un criterio che
distingua le due figure, cioè ricercare una connotazione di fraudolenza che si aggiunga al mero silenzio (anche
in questo caso il richiamo all’elemento psicologico risulta necessario) .131
Ritengo - cioè - che, quantomeno sul piano probatorio, per concretare il grave art. 216 n. 1 l. fall., alla mera
omissione dichiarativa si debba aggiungere la prova di una attività di nascondimento e che, pertanto, l’esame
del momento soggettivo sia indispensabile per l’esatto inquadramento del fatto.132
In tal senso non costituisce bancarotta il collocare i beni in luoghi sconosciuti ai collaboratori e rimasti ignoti
alle indagini del curatore, quando quella modalità risulta consueta e ragionevole per l’imprenditore (ad es. in un
deposito fuori del centro abitato, ma vicino ad una residenza secondaria del fallito; la relazione bancaria
all’estero, ecc.).
La prassi giudiziale rimanda ancora una volta alla prova del dato soggettivo: ovviamente il fallito che,
subitaneamente indichi l’esistenza dei beni allocati con modalità inconsuete o non apprensibili, palesa una
volontà di ostensione incompatibile con la fraudolenza. Ed anche la causale dimenticanza nell’annoverare
attività (soprattutto se marginali) può integrare la violazione dell’art. 220 l. fall., non quella più grave dell’art.
261 comma 1 n. 2 l. fall. se il fatto risulta ascrivibile a negligente amnesia.
Dissimulazione.
Da parte di taluno si è annesso – a mio avviso senza soverchia utilità concettuale - alla distrazione
anche il comportamento di occultamento mediante asporto in ambito di non facile reperibilità di beni
(per es. all’estero), cfr. GULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano,
1999, pag. 329.
129
Anche se di scarso rilievo, per la già menzionata fungibilità delle fattispecie normative, per la
dottrina ed in giurisprudenza le due condotte no n sono nettamente distinte, includendo nella nozione
anche condotte di simulazione negoziale che estranino apparentemente dal patrimonio il cespite, pur
di proprietà del fallito. (cfr. ad es. CONTI, cit., 158; Cass. Sez. V, 12.12.1980, Casetta, Riv. Pen.,
1981, 282).
130
Si tratta di norma meramente formale che impone adempimenti non suscettibili di equipollenza:
cfr. Cass. Sez. V, 8.7.1999, Di Carlo, Cass. pen., 2001, 1623; Cass., Sez. V, 23.2.1995, Minervini,
Cass. pen., 1996, 943.
131
Cfr. Cass. Sez. V, 10.5.1983, Calzolai, Giust. pen., 1984, II, 218.
132
Il reato deve affermarsi anche se l’originario intento di occultamento sia stato finalizzato da
ragioni di frode fiscale: cfr. ad es. Cass. Sez. V, 1.6.1999, Francalacci, Dir. e prat. soc., 14-15/99, 102.
128
29
É il nascondimento giuridico, effettuato mediante atti simulati, diretti a creare un'apparenza di
trasferimento (o di proprietà) a terzi di beni che, in realtà sono o debbono ritenersi appartenenti al patrimonio
del debitore.133
Trattandosi di una modalità di occultamento valgono anche qui le osservazioni svolte a proposito di quel
comportamento, anche se la simulazione presuppone un’attività positiva di falsificazione più assimilabile alla
frode che alla negligenza.
Il caso più frequente riguarda la simulazione di contratti di comodato 134 su beni, in realtà, propri ovvero
di contratti di vendita con patto di riservato dominio di beni, in realtà, detenuti "pleno dominio".135
Ovvero il caso di intestazione fittizia a terzi estranei alla gestione di cespiti propri: es. un “dossier” di titoli, un
c/c, la cui movimentazione e disponibilità reale sia - nella realtà - riferibile al fallito.
Anche la simulazione di un pagamento o di una quietanza, laddove sia diretta ad assicurare a terzi la titolarità di
un bene, rientra nel caso in esame. Frequente è il caso della simulazione di riscossione di un prezzo per somma
inferiore al reale, nell’intesa negoziale di una restituzione (contemporanea o successiva) con modalità riservata.
136
Qualora la condotta si esplichi mediante una falsificazione ideologica ridondante nella contabilità deve
ritenere realizzata anche l'ipotesi di cui all'art. 216 pp. n. 2 l. fall. (falsificazione).
In dottrina si è discusso della rilevanza della dissimulazione nel senso di alterare la situazione effettiva
richiamata dall’art. 70 e, così, “salvare” dall’azione muciana beni acquistati dal coniuge del debitore.
L’opinione prevalente è che, anche in questo caso, possa intravedersi la condotta di rilevanza penale, ancorchè
l’esperimento dell’azione posa far rientrare il cespite alla massa. 137
Dissipazione.
Significa lo sperpero delle risorse patrimoniale senza alcuna utilità di impresa 138 e senza corrispettivo o
ragionevole corrispettivo (alla luce delle finalità di impresa). 139
Generalmente il concetto é accompagnato da connotazione voluttuaria 140, proprio al fine di creare una
demarcazione con i casi di bancarotta semplice (art. 217 n. 1 e 2 l. fall. 141) ove la perdita di ricchezza é
obiettivamente correlata ad una esigenza economica (spese per sé e la famiglia, ragioni di sostentamento di
impresa).
Vi rientrano, tradizionalmente, le spese per avventure galanti, le perdite di gioco, ecc.
Laddove, cioé, il profitto per l'impresa non esista o, anche quando possa in qualche misura ravvisarsi
(speranza della vincita al gioco) sia così anomalo e così remoto (le probabilità di vincita, di regola, sono assai
inferiori a quelle di perdita) da escludere senso all'operazione.
133
Cfr. BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1998, 39; SANTORIELLO,
I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 61 e ss.
134
Cfr. ad es. Cass., Sez. V, 1.6.1999, Iannaccione, Cass. Pen., 2000, 1785.
135
Per il diritto penale ciò che conta è il risultato di sottrazione all’apprensione concorsuale del
cespite, pertanto, risulta indifferente che la dissimulazione sia attuata a mezzo di interposizione fittizia
ovvero per il tramite di negozio fiduciario. Cfr. Cass. Sez. V, 31.3.2000, Lentini, Dir. e Pratica
Società, 13/2000, 83.
136
Cass., Sez. V, 15.12.1993, Lantieri, Cass. Pen., 1995, 1634. Diffusamente sul punto
BRICCHETTI/TARGETTI, cit., 39 e ss.
137
SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 62, NESSI, La presunzione muciana,
ecc., in La revocatoria fallimentare e la bancarotta preferenziale, Padova, 1992, 132. Contra ONDEI,
In tema di reato impossibile in relazione alla bancarotta, Annali di diritto e procedura penale, 1937,
744.
138
Definizione accolta dalla giurisprudenza: cfr. Cass., Sez. I, 25.4.90, De Sena, Foro It., 1990, 601;
Cass., Sez. V, Leorato, 12.12.1972, Cass. Pen., 1973, 170.
139
Così SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 64.
140
Contra NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, Milano, 1955, 199; Cass. Sez. I, 25.4.1990,
De Sena, Foro It., 1990, 601..
141
Si osserva in dottrina che le “operazioni di pura sorte” o “manifestamente imprudenti”,
coinvolgendo un concetto tipico della gestione (“operazione”) non possono qualificarsi dissipative
nozione che, per definizione, postula una estraneità dall’interesse aziendale (cfr. CONTI, cit., 237,
NUVOLONE, cit., 201, ecc.) e che le spese di cui all’art. 217 comma 1 n. 1 rinvengono la
demarcazione con la dissipazione per la loro utilità o destinazione famigliare.
30
In tal senso è stata qualificata dissipativa anche quella manovra che sia priva, anche per un profilo astratto, di
utilità aziendale.142
Debbono anche annoverarsi tutti quei casi in cui la spesa, se anche può avere un qualche interesse in
termini di ricavo di impresa, sia stata disposta, in realtà, per il successo e la carriera personale del soggetto (ad
es. le spese pubblicitarie di una società erogate, in realtà, per la promozione dell'amministratore in seno al
gruppo).143
É nozione assimilabile alla distruzione, quale annullamento della valenza patrimoniale dell'imprenditore.
Si discute se sia un reato abituale 144, presupponendo una pluralità dei fatti (eventualmente irrilevante per
l’aggravante dell’art. 219 cpv. n. 2 l. fall.), ovvero anche in un solo atto.
Sotto un profilo soggettivo è ravvisabile la distinzione con la vicina fattispecie di bancarotta semplice di
cui all’art. 217 comma 1 n. 1 e 2 l. fall.: quest’ultima, secondo prevalente opinione, connotata da colpa. Ma
non sfugge anche un profilo oggettivo, richiedendo l’art. 217 comma 1 n. 1 l. fall. la destinazione dell’impiego,
per quanto eccessivo, per la famiglia o per l’imprenditore. 145
Distrazione.
É un concetto definito, nella pratica, in modo residuale146: tutto quanto non risulti definibile nelle
categorie sopra elencate, purché consista nell'uscita (non necessariamente deve trattarsi di una fisica
estromissione del cespite dal patrimonio, ben potendo includersi nella condotta anche il negozio da cui discenda
l’insorgenza di obbligazioni foriere di cessioni di denaro o di beni o di diritti 147), non giustificabile in termini di
logica di impresa, dal patrimonio di beni determinandone un impoverimento.148
Dunque, una nozione correlata ad altra: l’accertata finalità a cui il bene era stato (secondo legge)
destinato. 149
Così, per es. il credito spettante alla società e personalmente riscosso dall’amministratore 150, ovvero il sovraprezzo concordato con il cliente (a fini di frode fiscale) e trattenuto dall’amministratore, ecc.151
Mentre la condotta non si rileva se, nel contesto dello stesso patrimonio Per es. di un imprenditore individuale),
il bene sia trasferito con diversa funzione (anche se in un’articolazione avente denominazione o luogo operativo
diversi). Ma si segnala anche che non si ravvisa violazione della norma penale nel caso in cui il bene da
strumentale divenga oggetto di godimento, purchè resti in seno alla generica garanzia patrimoniale di cui
all’art. 2740 cod. civ.152
Cfr. Cass., Sez. V, 3.3.1999, Vichi, Cass. Pen., 2000, 3449, in relazione alla distinzione con l’art.
217 comma 1 n. 3 l. fall.: la perdita per le operazioni manifestamente imprudenti deve discendere da
un errore di valutazione, non da un ineliminabile profilo pregiudizievole per le sorti dell’impresa.
143
Ovviamente quando la liberalità sia disposta nell’interesse preminente dell’impresa, come nella
forme di promozione pubblicitaria ovvero in premi di produzione, non vi è spazio per una
connotazione illecita, cfr. ad es. Cass., Sez. V, 11.2.1988, Ribaldi, Riv. Trim. dir. pen. ec., 1988, 933.
144
Così CONTI, cit., pag. 161.
145
Cfr. sul punto SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 65.
146
In tal senso afferma la natura residuale della distrazione ANTOLISEI, cit., 61; GIULIANI
BALESTRINO, cit., 329; Cass. Sez. V, 14.4.1999, Olivieri, Cass. Pen., 2000, 1784.
147
Cfr. Cass., Sez. V, 4.4.2003, Maggenti, n. 37565, a proposito di preliminari di vendita.
Analogamente Cass., Sez. V, 5.6.2003, Longo ed altri, n. 36629, a riguardo della emissione di
cambiali di una società a favore di altra società collegata: decisione motivata con la natura di reati “di
pericolo” propria della bancarotta, lettura che – per il vero – nel caso di specie rilevava soltanto in
parte, dovendosi più che altro accertare se la causale (concessione di garanzia) che aveva portato alla
emissione cambiaria potesse ritenersi compatibile con l’interesse dell’emittente (di poi dichiarata
fallita). Sul che v. infra.
148
Cass. Sez. V, 3.4.2003, Lazzarini e altro, n. 30492 (in merito alla cessione di convenzioni di
“leasing” che erano state concluse dall’imprenditore), ha precisato che occorre anche che la
valutazione dell’illiceità della cessione del bene o del credito accerti l’insorgenza di un effettivo danno
per il patrimonio (sicchè non può essere affermata la condotta penale se la prosecuzione delle
convenzioni locative avrebbe cagionato alla Curatela un peso economico improduttivo).
149
Cfr. sul punto SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 57, LA MONICA,
Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 297.
150
Cfr. Cass., Sez. V, 25.5.1999, Bortoletti, Cass. pen., 2001, 1334.
151
Cfr. Cass., Sez. V, 3.2.2004, Della Valle, n. 27513.
152
cfr. PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja btanca, 1995, pag. 55
142
31
Non agevole, al contempo, è la nozione di diversione o distacco dalla finalità d’impresa. Invero, il
diritto conosce modalità di temporanei allentamenti dall’uso e dal godimento dei beni, sì che – invariato il titolo
di proprietà – può residuare una limitata potenzialità di sfruttamento del cespite. Tale è il caso delle locazioni o
delle concessioni in uso (soprattutto nel periodo dell’insolvenza).153
E’ evidente, tuttavia, che la valutazione del comportamento dell’imprenditore risulta più semplice se si
considera la ragione della concessione a terzi del godimento e, soprattutto, il corrispettivo che dal negozio
deriva, chiaro essendo che nel caso di assegnazioni a titolo gratuito ben difficilmente potrà essere giustificata
l’operazione.
Ed anche la liberalità, in sé del tutto contrapposta allo spirito di impresa (annottato da lucro e profitto)
può rinvenire giustificazione se, in realtà, sottende un “ritorno” non strettamente monetario: anche in questo
caso soltanto l’accertamento concreto può dirimere le perplessità.154
Non sfugge – a quest’ultimo proposito - che la nozione di correlazione con le logiche aziendali lascia
ampi margini di opinabilità: per esempio, se la determinazione dell’illecito debba o meno sottostare anche ad
un ulteriore criterio selettivo, quello del rispetto della norma. E per fare una immediata esemplificazione se
deve ritenersi censurabile a mente dell’art. 216 l. fall. la erogazione di denaro corruttiva (sia verso pubblico
ufficiale, sia nei termini dell’art. 2635 cod. civ.), finalizzata a propiziare commesse e protezioni (come il
finanziamento ai partiti), salva – ovviamente – l’autonoma responsabilità per la violazione degli art. 318 e ss.
cod. pen. o delle norme penali speciali.155
Questione, per il vero, non propria soltanto della fattispecie penal/fallimentare, ma di ogni abuso di
gestione, dunque, anche delle figure appropriative ovvero della nuova ipotesi disegnata dall’art. 2634 cod. civ.
In sostanza, quando il “bene dell’impresa” oscura la possibilità di leggere la ricorrenza del dolo specifico del
delitto, ancorchè le operazioni risultino decise al di fuori del controllo degli organi di vigilanza societaria.
Indirizzo accolto dalla prevalente Cassazione (anche se con qualche importante contrasto 156 e con notevole
maggior severità in seno ai contesti penal/fallimentari, rispetto a quelli di cui all’art. 646 cod. pen.), nella
convinzione che il distacco dai poteri statutari e della retta gestione, non concreti in sè frattura del nesso
organico con l’organismo 157, allontanando la proponibilità del reato appropriativo 158 e, dunque, “mutatis
mutandis” per la fattispecie di bancarotta, purchè permanga sia la riconducibilità dell’atto ai poteri di gestione
(e, pertanto, all’oggetto di impresa o allo statuto sociale nelle sue finalità, conclusione che esclude, quindi, i
comportamenti di mera predazione, anche se favorevoli a terzi) e la finalità (quale motivo sottostante all’atto)
di sovvenire agli interessi dell’impresa. 159
Si discute, infine, se le promesse di pagamento portatrici di effetti successivi alla dichiarazione di
insolvenza possano realizzare bancarotta, se non giustificate da finalità di impresa 160. Taluno ritiene che le
stesse realizzino soltanto una forma tentata del delitto. Ritengo, invece, che – quando esse siano idonee ad
essere insinuate al passivo – attestino con la dichiarazione di insolvenza la realizzazione del pregiudizio ai
creditori proscritto dalla norma.
153
Cfr. in dottrina NAPOLEONI, Locazioni di immobili in comunione e revocatoria fallimentare, in
Fall., 1996, 951. In giurisprudenza, Cass. Sez. V, 29.10.1993, Locatelli, Giust. pen., 1995, 1036;Cass.,
Sez. V, 28.1.1998, Martinel, Cass. pen., 1999, 1145, ecc.
154
Cfr. sul punto SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 59.
155
Sembra supporre, invece, la fattispecie dell’art. 216 l. fall. Cass. Sez. V, 22.4.2004, Bertuccio, n.
23675, che addebita anche al donatario il concorso con l’imprenditore/corruttore.
156
Cass. Sez. 2, 31.5.1997, Bussei, n. 5136.
157
In ciò ricollegandosi con Cass. Sez. Un., 28.2.1989, Vita, Cass. pen. 1989, 1699, cit., a riguardo
delle erogazioni del funzionario di banca a favore di un terzo, al di fuori dei limiti statutari.
158
Paradigmatica Cass. 21.1.1998, Cusani, Cass. pen., 1998, 2912, con articolata motivazione, seguita
da Cass., Sez. 5,22.9.1998, Altissimo e altri n. 10041, decisione che sottolinea la non estraneità del
finanziamento occulto dei partiti ai fini societari.
159
Cass., Sez. 5,22.9.1998, Altissimo e altri n. 10041, decisione che sottolinea la non estraneità del
finanziamento occulto dei partiti ai fini societari.
Affermazione che, a mio avviso, lascia qualche dubbio: non ogni attività svolta nel nome e
nell’interesse della società può ricondursi al mandato amministrativo. Quando essa si dipani sottratta
alla conoscenza degli altri organi sociali (e conoscibilità, per es. perchè al di fuori dell’impianto
contabile ufficiale), al di fuori dell’oggetto sociale e contro le regole stabilite dal nostro sistema per la
realizzazione del contratto societario, mi sembra che non sia atto della società, ma di un soggetto che
deborda dai confini del suo ambito di legittimazione.
160
BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1998, 46; SANTORIELLO, I
reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 60.
32
L'indeterminatezza di questa categoria risulta ancor maggiore ove si consideri che – stando alla lettera
della norma - a sorreggere il comportamento illecito non é richiesto che il "dolo generico" 161 (solo la condotta
di esposizione di passività inesistenti prevede il dolo specifico) e, dunque, la rappresentazione, anche a titolo
eventuale, dell'insolvenza e - conseguentemente - del danno alla massa dei creditori.
Parallelamente la determinazione del "quantum" oggetto di distrazione é, nella maggior parte dei casi,
affidata non già ad una prova positiva dell'operazione compiuta dal soggetto, bensì dall'accertamento residuale
ed induttivo fondato sul disavanzo di gestione privo di giustificazione in termini e logica di impresa.
Quando é stata fornita una definizione positiva del concetto di distrazione si é sottolineato:
- ogni forma di diversa ed ingiusta destinazione volontariamente data al patrimonio rispetto ai fini che
questo deve avere nell'impresa quale elemento necessario per la sua funzionalità e quale garanzia verso i terzi.
162
- ogni fatto di estromissione di un bene dal patrimonio (con o senza contropartita) finalizzato a sottrarre il
cespite all’apprensione da parte degli organi concorsuali ed a diminuire la garanzia dei creditori 163 (senza che
ciò, tuttavia, imponga la volontaria rappresentazione del pregiudizio ai creditori, al momento dell’atto
distrattivo) 164. Per esempio a seguito di negozi fortemente squilibrati per il riguardo finanziario (prestiti
gratuiti o senza garanzia di restituzione; vendite a prezzo vile o con pagamento simulato, cessione di immobile
senza accollo al cessionario del mutuo gravante sullo stesso, ecc.) 165. Ovvero, tutti i casi in cui – fuori dalle
fattispecie tipicizzate di riduzione – si depauperi il capitale di una società 166 ovvero si impoverisca il suo
patrimonio.
Il tema diviene particolarmente delicato nelle operazioni effettuate all’interno di un gruppo societario: il
regime di autonomia delle società e le ragioni di sinergia derivanti dal gruppo, pongono spesso problemi di non
facile soluzione nella lettura del fatto.167
161
Giurisprudenza costante, da ultimo, Cass., Sez. V, 18.6.2004, Giacompolli, n. 27522, in Guida al
Diritto, 2004, 32, pag. 85; Cass., Sez. V, 20.8.2002, Arienti, Cass. pen., 2003, 2789; Cass. Sez. V,
8.4.1999, Spinelli, Cass. pen., Sez. V, 8.4.1999, Spinelli, Cass. pen., 2000, pag. 3445; Cass., Sez. V,
29.4.1998, Marcimino, Cass. pen., 1999, 2355; Cass., Sez. V, 27.2.1997, Paoletti, Cass. pen., 1998,
pag. 1487, Cass., Sez. V, 6.11.1996, Gennari, Cass. pen., 1998, 648, ecc. La dottrina è diffusamente
propensa ad una lettura che individui dei criteri selettivi per esaltare l’effettiva lesione dell’interesse
protetto: proprio per il possibile meccanismo di una possibile retroazione nel tempo della condotta
penalmente rilevante, rispetto alla dichiarazione di insolvenza, si è cercata una modalità che induca a
ricercare un momento soggettivo che abbia per oggetto la rappresentazione del danno ai creditori.
Quindi una forma di dolo specifico, inteso come volontà di danneggiare le ragioni creditorie (LA
MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano 1993, 289; LANZI,Tutela penale del
credito, Padova, 1979, 223), o –comunque – la contezza che l’azione si risolve nella sottrazione delle
garanzie ai creditori e, dunque, con la previsione dell’insolvenza (ANTOLISEI, Manuale, Leggi
complementari, Milano, 1995, 62 e ss.) o, sicuramente, nell’imminenza del dissesto (CONTI, Diritto
penale commerciale, II, Utet, 1991, 172).
162
Nel presupposto che il vincolo di destinazione sia la funzione di garanzia ex art. 2740 cod. civ.. Nel
senso del testo CONTI, cit., pag. 56; NUVOLONE, cit. 208, ecc. In giurisprudenza Cass., Sez. V,
14.12.1993, Manco, Cass. Pen., 1995, 1635, Cass., Sez. I, De Sena, Giust, Pen., 1990, II, 610; ecc.
163
Cass., Sez. V, 3.8.1993, PM/Raimondo, Cass. Pen., 1995, 1633; Cass., Sez. V, 26.11.1987,
Serenelli, Riv. Pen., 1988, 458, ecc.
164
Come giustamente rileva BRICCHETTI/TARGETTI, cit., 43, non essendo la bancarotta per
distrazione condotta a dolo specifico.
165
Cfr. Ad es. Cass., Sez. V, 28.5.1982, Ricci, Cass. Pen., 1983, 2097; Cass., Sez. V, 9.10.1995,
Guerrini, Riv. Trim. dir. Pen. ec., 1996, 1398, Cass., Sez. V, 17.5.1996, Gennari, Cass. pen. 1998,
648; Cass., Sez. V, 20.1.1998, Martini, Cass. Pen., 2001, 296, ecc.
166
La giurisprudenza ha conosciuto sovente il caso della assegnazione ai soci di ricchezza sociale al
di fuori della consentita distribuzione di utili o acconto/utili: ha sempre affermato la natura
fraudolenta, escludendo ogni legittima pretesa creditoria del socio, se non all’esito della liquidazione.
Così ha inquadrato la condotta nelle ipotesi di reato della restituzione di conferimenti (costitutiva della
figura di bancarotta societaria di cui all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall., norma ovviamente speciale
rispetto al richiamo dell’art. 216 pp. n. 1 l. fall. di cui all’art. 223 comma 1 l. fall.): cfr. da ultimo
Cass. Sez. 5, 15.4.2004, Ribatti, n. 23672, in Guida al Diritto, 2004, 8, pag. 98.
167
La Giurisprudenza mostra una forte rigidità nel tollerare trasferimenti di ricchezza infra-gruppo, i
quali non siano assistiti da uno stretto bilanciamento delle prestazioni o da un corrispettivo adeguato:
cfr. Cass., Sez. V, 24.4.2003, Tavecchia, n. 23241, che ha fornito una lettura assai ristretta della
33
La nuova fattispecie di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 cod. civ. – con l’esimente soggettiva dei cd.
“vantaggi compensativi” – propone per il profilo penal/fallimentare nuovi quesiti. Ma su ciò si tornerà oltre, in
merito all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. ed alla possibilità che l’esimente in discorso sia richiamata nella
fattispecie di bancarotta impropria.
L’uscita del bene deve avvenire senza che vi sia una ragione giuridica e, dunque, a persona che non possa
vantare alcuna legittimazione al pagamento o all’arricchimento: è questo il confine con la bancarotta
preferenziale, di cui si dirà oltre.
Altre volte, la perdita di disponibilità del bene, rinviene immediata giustificazione in una causa
giuridicamente riconosciuta, ma non nell’interesse dell’impresa: è il caso della concessione di un immobile da
sottoporre ad ipoteca o di un mobile da assoggettare a pegno, per garantire - senza controprestazione - il debito
di un terzo (diverso il caso della fidejussione, ove non vi è vincolo specificato e determinato di una ricchezza:
sul punto si tornerà oltre a proposito dell’art. 223 comma 2 n. 2 l. fall.).
La distrazione come nozione residuale è oggetto dell’accertamento induttivo: tutto quanto non trova, in
seno allo sbilancio fallimentare, una corrispondenza tra impieghi e attività, viene addebitato all’imprenditore
come ricchezza distratta, salva sua spiegazione.
Secondo Giurisprudenza costante, contrariamente alla regola che ogni dimostrazione a carico
dell’accusato spetta all’Accusa, è onere dell’imprenditore fallito fornire delucidazioni sul perchè il disavanzo
sia maturato e quale ne sia la genesi. 168 Si tratta di un apparente inversione: l’onere dell’accusa 169 è
ragionevolmente assolto con l’indicazione che la risultanza attiva (a valori di costo) non pareggia con quella
passiva, detratte le pendenze conseguenti alla normale gestione dell’impresa. Che esiste, cioè, un vuoto non
nozione di “vantaggi compensativi”; Cass., Sez. V, 1.7.2002, Arienti ed altri, Cass. pen., 2003, 2789;
Cass., Sez. V, 3.4.2001, Cardinali ed altri, Cass. pen., 2002, 1532 (che espressamente esclude rilievo
all’intento di salvaguardare l’avviamento economico e la capacità occupazionale); Cass., Sez. V,
20.3.2000, PM/Messina, Cass. Pen., 2001. 1336: Cass., Sez. V, 14.12.1999, Tonduti, Cass. pen., 2001,
pag. 661, Cass., Sez.V, 11.11.1999, Tassan Din, Riv. trim dir.pen. ec., 2000, 476, In tema di garanzie
senza corrispettivo: Cass. Sez. V, 12.5.2000, Ragogna, Cass. Pen., 2001, 1622, ecc. Linea di lettura
favorita dalla convinzione che il “gruppo” sia nozione “economica” e non giuridica (tesi che dovrà
ridimensionarsi alla luce degli artt. 2387 e ss. cod. civ., nel disegno di riforma societaria), cfr. ad es.
Cass., Sez. V, 1.2.2000, Tonduti, Cas. Pen., 2001, 661; Cass., Sez. V, 11.11.1999, Tassan Din, Riv.
Trim. dir. Pen. ec., Cass., Sez. V, 18.1.1996, Cozzi, Cass. pen., 1997, 2234; ecc., e che non
richiedendosi per la condotta un dolo qualificato, l’intenzione di riequilibrare le sorti di un organismo
collegato non elide la portata illecita dell’atto sorretto da mero dolo generico (rappresentazione
dell’impoverimento dell’organismo, di cui viene di poi dichiarato il fallimento). Cfr. Cass., Sez. V,
10.7.1985, Tedeschi, Cass. Pen., 1985, Cass. Pen., 1987, 824; Cass., Sez. V, 20.11.1987, Cartotto,
Cass. Pen., 1989, 680; ecc. In dottrina, recentemente, MANGANO, Il gruppo di imprese ovvero del
conflitto di interessi in seno alla bancarotta patrimoniale, Riv. trim. dir. pen. ec., 2000, 105.
168
La dottrina è piuttosto contraria a pervenire a risultati di semplicistica presunzione, invocando
percorsi argomentativi completi, soprattutto nel caso in cui l’impossibilità di piena giustificazione del
disavanzo derivi da fatto incolpevole dell’imprenditore (scomparsa del corredo documentale), e
richiamando al contempo la possibile e più pertinente responsabilità di fraudolenza documentale, ove
vi sia dimostrazione di una colpevole incapacità a dimostrare le ragioni del disavanzo. Cfr.
ANTOLISEI,cit.,72; NUVOLONE, cit., 216, CONTI, cit., 161, ecc.); SANTORIELLO, I reati di
bancarotta, Torino, 2000, pag. 80 e ss. segnala la correttezza della posizione giurisprudenziale quando
sia mancante uno specifico cespite per il quale esiste prova di presenza in seno al patrimonio
dell’imprenditore; diversamente per i casi di ricostruzione presuntiva della distrazione, dedotta dal
disavanzo ingiustificato. L’Autore segnala che, nella pratica, l’assenza della traccia di impiego potrà
concretare ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale e che, in ogni caso, l’accertamento della
responsabilità resta monco nel caso in cui all’organismo insolvente si siano succeduti più
amministrratori o responsabili di gestione.
169
Espressamente esclude natura di effettiva inversione, inammissibile nel nostro sistema
processuale, Cass. Sez. V, 20.11.2000, Schiena, Dir. pratica soc., 3/2001, 85. E’, invece, da ricondursi
all’art. 192 cpp. la prova indiziaria, il risultato induttivo della distrazione, sempre suscettibile di
annullamento ove giunga una dimostrazione convincente (cfr. ad es. Cass. Sez. V, 19.6.2000, Grandi,
Guida Dir., 27/00, 69). Nel senso dell’onere della prova sulla dimostrazione della destinazione della
ricchezza di impresa (o societaria) non più rinvenuta o frutto di disavanzo non giustificato, cfr. Cass.,
Sez. V, 16.12.1997, Cimarelli, Cass. pen., 1999, 651; Cass. Sez. V, 17.5.12993, Brancaccio, Cass.
pen., 1994, 2542; Cass., Sez. V, 29.5.1991, Nunziata, Cass. pen., 1992, 2467, ecc.
34
giustificabile in base alle conoscenze dedotte agli atti 170. Soltanto il titolare della gestione è in grado di fornire
risposta giustificativa ed è suo onere darla nell’ottica della sua difesa.
Esposizione o riconoscimento di passività inesistenti.
L'interesse penalmente protetto è quello che la garanzia patrimoniale del debitore (dichiarato fallito) non
venga corrosa e diminuita per via di simulazioni le quali, anziché scemare la valenza attiva, indebitamente
gonfino il gravame passivo.
Il risultato, per i veri creditori, é il medesimo: una assegnazione in sede di riparto dopo la liquidazione
dell'attivo, indebitamente diminuita.
La distinzione tra le due modalità di "esposizione" o di "riconoscimento" consiste nell'iniziativa della
condotta: da parte del debitore si ha "esposizione" (con riguardo alle dichiarazioni – scritte o orali - rese in
sede di inventario ovvero alla enunciazione in specifiche situazioni patrimoniali, ad es. quelle di cui all'art. 14 l.
fall.) verso gli organi della procedura.
Da parte dell'(inesistente) creditore quando sulla sua insinuazione di credito, segua il "riconoscimento" indebito
del debitore.
La esposizione può attuarsi anche mediante false scritture contrattuali o di negozi giuridici o di false
comunicazioni ai creditori (reali o apparenti) dai quali discenda un credito altrui, in realtà inesistente (sia
perchè mai esistito, sia perché già estinto).171
In tal caso, se il fatto ridonda nella contabilità, si viene a
realizzare anche una falsificazione incidente nella sfera dell’art. 216 pp. n. 2 l. fall.172 Se la falsificazione
attiene soltanto alla causa di privilegio, la fattispecie è quella dell’art. 216 comma 4 l. fall. 173
La condotta può consistere anche nella confezione di titoli di credito a cui non corrisponda alcuna
effettiva relazione finanziaria sottostante.174
Ovvero con dichiarazioni rivolte agli organi fallimentari: in questo caso la condotta trova, di regola,
consumazione in epoca post-fallimentare (quando ha luogo la dichiarazione del debitore e la viene fatta valere
la pretesa del creditore simulato).
Ma ove sia attuata in seno alla istanza in proprio di fallimento con esposizione ex art. 14 l. fall. infedele, il
delitto si perfeziona in epoca precedente alla Sentenza.
Il riconoscimento può avvenire anche con comportamento del tutto omissivo, rimanendo silente il fallito
di fronte all’altrui inesistente o simulata pretesa, ricordando che il nostro ordinamento impone al debitore un
obbligo di verità e di tutela della garanzia verso i creditori.
La modalità del riconoscimento concreta fattispecie plurisoggettiva, che – di regola - rinviene ragione in
un pregresso accordo collaterale.
Il dolo, che viene preteso - unico caso in seno all'art. 216 pp. n. 1 l. fall. - ha connotato specifico e questa
configurazione risulta discrimine essenziale per i contorni della fattispecie.
170
Giurisprudenza costante, cfr. tra le molte Cass., Sez. V, 2.2.2001, De Ponti, Guida Dir., 14/01, 90;
Cass. Sez. V, 10.11.2000, Monaco, Dir. Prart. Società, 3/2001, 85; Cass., Sez. V, 11.6.1999, Jovino,
Cass. Pen., 2000, 3448; Cass. Sez. V, 18.3.1999, Galli, Cass. Pen., 2001, 1337; Cass., Sez. V,
10.2.1998, Spataro, Cass. pen., 2000, pag. 3448 (decisione che segnala la diversità di situazione
dell’amministratore del quale deve esser provata la effettiva gestione dei beni in seno alla società);
Cass., Sez. V, 16.12.1997, Cimarelli, Cass. Pen., 1999, 651; Cass., Sez. 5, 24.4.1991, Mattia ed altri,
Cass. Pen., 1992, 2467; Cass., Sez. V, 5.3.1998, Spataro, Cass. Pen., 2000, 3448, Cass., Sez. V,
3.3.1999, Vichi, Cass. pen., 3449, ecc. A volte, La SC. ha desunto la condotta di distrazione tra il
forte divario tra attivo e passivo, la cui genesi – rapportata alla dinamica economica dell’organismo
fallito – non trova spiegazione: cfr. ad es. Cass., Sez. V, 11.11.1999, Dir. Pratica società, 24/99, 88.
171
SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 68 segnala che la condotta implica una
esternazione del dato finanziario, sicchè non risulta consumato il delitto se le cambiali o altre
promesse di pagamento restino in un cassetto, senza attività di asseverazione da parte del debitore.
172
Ritiene, invece, un rapporto di alternatività LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale,
Milano, 1993, 324. Una prassi consueta, nei casi di dissesto di società che raccolgono il risparmio
(SIM) è quello della trasmissione di situazioni economiche ai clienti, relativi ai loro depositi,
falsificate: esse fanno apparire la maturazione di utili, quando - invece - le dette disponibilità sono
state da tempo distratte e la resa di esse (che obbliga la società finanziaria alla corresponsione del
dividendo) è meramente fittizia (tanto che, in sede di insinuazione al passivo, si riscontreranno valori
“gonfiati” ed eccedenti ogni attività dell’asse fallimentare, essendo frutto di questi riconoscimenti non
ancorati all’esistenza di un effettivo attivo).
173
Cfr. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 66.
174
Cfr. BRICCHETTI/TARGETTI, cit., 49.
35
Debbono essere, pertanto, escluse le condotte di truffa (di regola, in pregiudizio del sistema bancario),
dirette al procacciamento di credito senza supporto causale (si pensi agli effetti di comodo, alle ricevute
bancarie prive di titolo, alla cessione di crediti inesistenti in ambito di operazioni di "factoring", ecc.) e non già
alla esposizione di correlative passività in una futura procedura concorsuale.
Al contempo la specificità del dolo costituisce un chiaro criterio discretivo verso la limitrofa figura dell'art. 220
l. fall.
5a) Oggetto materiale della bancarotta fraudolenta.
Bancarotta propria:
La condotta incriminata deve ricadere, nell'accezione normativa, sui beni dell'imprenditore ("suoi beni")
e cioè quel patrimonio che, a mente dell’art. 2740 cod. civ., è garanzia dei creditori. Non occorre una stretta
nozione di proprietà, essendo sufficiente poterli considerare rientranti nella effettiva disponibilità del fallito.175
Il nostro ordinamento non distingue tra beni propri dell’imprenditore e beni destinati alla sua attività di
impresa.
Quindi, esiste una confusione tra i beni aziendali ed il patrimonio personale del fallito.
La logica del nostro sistema è quella di vincolare ogni cespite - proprio o aziendale - alla garanzia dei
creditori (art. 2740 cod. civ.).
Vi sono, tuttavia limitazioni e necessarie precisazioni:
Rientrano nel novero:
- i beni materiali suscettibili di utilizzazione o di trasformazione (ad es. giacenze di magazzino), i beni
strumentali all'esercizio di impresa (macchinari ed arredi), il denaro a disposizione dell'impresa.
- i beni immateriali, quali i diritti sulle cose (di proprietà, di servitù, di pegno, ecc.); i diritti di credito 176;
i diritti sulle opere dell'ingegno 177, le invenzioni, i brevetti (ad es. i "cliché", il "know-how"), il diritto alla
prestazione di terzi, l'avviamento 178, ecc.
- i beni di cui é acquisito il diritto all'uso, come quelli - secondo la lettura più autorevole in Dottrina e
costante in Giurisprudenza - oggetto di "leasing", ovvero con riserva di proprietà (previo riscatto), purché il
rapporto non si risolva in una mera aspettativa di fatto. Più specificamente, si osserva che il tema di beni
detenuti a titolo di locazione finanziaria ha fatto oggetto di specifica trattazione di dottrina e di giurisprudenza
179
: vi è chi ravvisa la distruzione del diritto di credito (o di godimento) connessi al contratto: il danno per i
creditori viene apprezzato nel fatto di impedire il subentro del Curatore nel rapporto locativo, con acquisizione
175
In Dottrina, BRICCHETTI/TARGETTI Bancarotta e reati societari, Milano, 1998, con la
precisazione che – nel caso di sottrazione di beni non di proprietà del debitore – oggetto della condotta
è il diritto, e non il bene fisico; LA MONICA, Manuale di diritto poenale commerciale, Milano,1993,
259; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, leggi complementari, pag. 44, ec. In giurisprudenza,
Cfr. Cass. Sez. V, 22.10.1986, Sonson, Cass. Pen., 1988, 927 ; Cass. Sez. V, 18.1.1967, Grosso, Giust.
Pen., 1967, II, 806, ecc. Con riguardo a beni detenuti fiduciariamente da società finanziaria, ha
affermato la riconducibilità alla fattispecie Cass., Sez. V, 16.6.1999, Di Maio, Cass. Pen., 2001, 297.
Più attentamente Cass. Sez. V, 9.6.1997, Cass. pen., 1998, 3413, esclude dal novero dei “suoi beni”
quelli che giuridicamente non sono stati trasferiti: si trattava del caso di immobile acquistato dal fallito
a seguito di convenzione notarile sottoscritta dalle parti, ma non trascritta a favore del fallito e non
annotato a repertorio nei registri della conservatoria.
176
Per l’affermazione del reato nel caso di crediti sottratti dall’amministratore alla società cfr. di
recente Cass. Sez. V, 12.10.2001, Ronzio, Cass. pen., 2003, 260;
177
Cfr. Cass., Sez. V, 23.3.1988, Fabbri, Riv. Trim. Dir.pen. ec., 1989, 397.
178
Sul punto v. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 71, il quale ritiene che
l’invito ai dipendenti di cercare altra sistemazione, anche presso concorrenti o ai suoi clienti di
rifornire di merce e servizi la concorrenza, non integra il delitto, non ravvisandosi nel fatto lo
specifico comportamento fraudolento. Tesi che riesce scarsamente convincente quando, richiamata la
connotazione del dolo meramente generico che colora la bancarotta in discorso, si segnali un
impoverimento aziendali per un comportamento non assunto nell’interesse dell’impresa e senza che da
esso derivi corrispettivo di sorta. Nel senso del testo cfr. Cass., Sez. V, 24.5.1986, Marcucci, Foro It. ,
1987, II, 234.
179
In Dottrina, cfr. ad es. ALIBRANDI, Cessione di beni acquistati con patto di riservato dominio e
bancarotta per distrazione, Riv. trim. dir. pen. ec.,1989, 397; CARRERI, I reati di bancarotta, Milano,
1993, pag. 33, PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, artt. 216/227,
Bologna, 1995,47; BRICCHETTI TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1998, 34,
SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 74, ecc.
36
del bene alla massa mediante l’esercizio del riscatto che è un diritto appartenente al patrimonio del locatario 180.
Si osserva, invero, che anche se il regime di proprietà non assegna i cespiti all’imprenditore, mancando il
completo pagamento delle rate, purtuttavia, determina nel curatore il diritto al subentro nella convenzione,
previa autorizzazione giudiziale. Con la distrazione del bene si evidenzia, dunque, una lesione all’integrità
patrimoniale, quantomeno in rapporto ai ratei già pagati ed il rapporto che si instaura tra possessore e bene è
produttivo di effetti giuridici sin dal momento della sua stipula. Altri, invece, invece, è contrario a questa
lettura sottolineando che la qualifica “suoi beni” indica soltanto quelli qualificati dalla piena proprietà.181
Connesso al tema della rilevanza penale della distrazione di beni in “leasing” è l’analisi dei rapporti con l’art.
646 cod. pen., talora ritenuto delitto necessariamente concorrente con questa modalità della distrazione, ma che
- a mio avviso – può assumere un profilo di piena autonomia (con esclusione del delitto di bancarotta ed
affermazione del solo reato di cui all’art. 646 cod. pen.) – quando al ricavo dell’ (illecita, perché frutto di
appropriazione) vendita, si assegnato un impiego nell’interesse dell’impresa (es. pagamento dei creditori).182
- i beni di terzi, ma acquisiti al patrimonio essi si sono confusi nel patrimonio del debitore e la loro
separazione potrà avvenire soltanto mediante azione di rivendica, ma anche nel caso di società fiduciaria,
deputata, cioè alla gestione di beni per conto altrui, è sicuramente possibile ravvisare una ricchezza suscettibile
di distrazione o di impiego fraudolento183
- i beni futuri su cui l’imprenditore vanti un diritto effettivo, ed è questo che appartiene attualmente al suo
patrimonio, tenendo conto che l’art. 42 annovera alla massa concorsuale anche i beni che pervengano al
fallimento nel corso della procedura; 184
- la giurisprudenza è costante nell’includere nel novero anche i beni pervenuti all’imprenditore per via
illecita e, dunque, anche di provenienza illecita (ad es. per il tramite di truffe 185 ed appropriazioni indebite,
ecc.) 186
La soluzione può contrastare con il convincimento che il tramite illecito non consente l’acquisizione
patrimoniale del cespite. Ma si afferma, per un verso, che non interessa la modalità formativa del patrimonio,
quanto la consistenza oggettiva suscettibile di immettersi nella procedura concorsuale, per altro verso, che
180
BRICCHETTI TARGETTI, cit., 34, ed in Giurisprudenza, cfr. ad es. Cass. Sez. 1, 14.1.1993,
Conflitto comp. Terrinoni, Cass. pen., 1994, 1652; Cass. pen., Sez. V, 13.3.2001, Moglialanetti, Guida
Diritto, 20/01, 96; Cass. V sez., 9.8.2000, Faliva, Guida al Diritto, 35/00, 59; Cass., Sez. V, 1.6.1999,
Trifiletti, Cass. pen., 2000, 1054; Cass., Sez. V, 13.10.1967, Belli, Giust. pen., 1968, II, 373; Cass.,
Sez. V, 30.6.86, Quaglino, Riv. Pen.,, 1987, 376, Trib. pen. Bologna, Sez. II, 8.10.2004, n. 214, in
Guida al Diritto, 2005, 2, pag. 98, ecc.
181
CONTI, cit., 62; LA MONICA, cit., pag. 21, ecc; CASAROLI, Qualche riflessione sull’oggetto
materiale del delitto di bancarotta, Riv. Trim. dir. Pen. ec., 1991, 405, che richiama la necessità di
valutare il momento soggettivo della condotta per ritenerla appartenente alla fattispecie dell’art. 216 n.
1 l. fall. ; GERMANO CORTESE, Diritto penale fallimentare, Leasinge bancarotta, in Impresa, 1990,
1204. Cass. Sz. V, 5.3.1997, Colombari, Cass. pen., 1998, 2482; Sez. I, 26.11.1992, Terrinoni, Cass.
pen., 1994, 1652.
182
Altro profilo, afferente all’ipotesi di giudicato ceratosi sul delitto di appropriazione, e successiva
imputazione di bancarotta per distrazione, è analizzato da Cass. Sez. V, 4.3.2003, Sivieri , n. 37567,
decisione che ha ritenuto ammissibile l’assorbimento (previo scioglimento del giudicato ed
applicazione della continuazione “in executivis”) del reato di appropriazione in quello di bancarotta
fraudolenta.
183
Cass., Sez. V, 16.6.1999, Cass. pen., 2001, 297.
184
Cfr. in dottrina, al proposito, SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 71/72;
CONTI, Diritto penale fallimentare, Utet, 1991, 66; PERINI DAWAN, La bancarotta fraudolenta,
Padova, 2001, pag. 107.
185
Delitto che può concorrere con la bancarotta, quando l’acquisizione del bene sia occorsa in
violazione dell’art. 640 cod. pen. ed il provento della manovra sia stato, di poi distratto dall’asse attivo
di impresa, cfr. sul punto Cass. Sez. V, 16.12.1997, Romano, Cass. pen., 1999, 648
186
Dottrina prevalentemente contraria, salvo il caso di una confusione del bene fungibile in seno al
patrimonio del debitore, cfr. ANTOLISEI, Manuale Leggi complementari,. pag. 48; MANGANO,
Disciplina penale del fallimento, Milano, 1993, 38, ecc.; Cfr. Cass., Sez. V, 17.3.2004, Spartà ed altri,
n. 23318; Cass. Sez. V, 16.3.2001, Cortesi, n. 31911; Cass., Sez. V, 8.10.1997, Romano, Cass. pen.,,
1999, 648; Cass., Sez..V, 31.1.1990, Lo Giusto, Giust. pen., 1991, II, 18: Cass. Sez. V, 15.12.1988,
Grespan, Giust. Pen., 1990, II, 279; Cass. Sez. 5, 22.10.1986, Sonson, Cass. pen., 1988, pag. 927;
Cass., Sez. III, 28.2.1992, Duval, Cass. pen., 1558; ecc.
37
soltanto la sentenza definitiva (attinente al reato sottostante al trasferimento del bene) può accertare l’illiceità
del tramite187.
La ragione dell’inclusione nell’ambito dell’oggetto materiale si spiega agevolmente con il fatto che,
diversamente opinando, il provento di preordinate manovre dolose (contrassegnate, quindi, da maggiore
spessore criminale e da indiscutibile maggior danno ai creditori), la cui trama è plasmata sulla truffa,
riuscirebbero indenni dal delitto e, quindi, escluderebbero l’esistenza del delitto medesimo.
Sono esclusi i beni estranei alla garanzia verso i creditori e, cioè, quelli tassativamente previsti dall'art. 46
l. fall. 188
In questa categoria rientrano (art. 46 n. 2 l. fall.) anche le somme rappresentanti gli assegni alimentari, gli
stipendi, le pensioni, i salari destinate al mantenimento proprio e della famiglia, nonché il sussidio fissato dal
giudice (si osservi: a spese dei creditori) per il mantenimento dell'imprenditore e della sua famiglia ex art. 47 l.
fall.189
Tuttavia, si sostiene che detta qualità si perde se il bene sia venduto e sia tramutato in denaro: il ricavo della
vendita ricade nell’asse fallimentare e la sua distrazione diviene penalmente rilevante.190
Lo stesso discorso vale per tutti i cespiti che – come dirò oltre a proposito della fattispecie dell’art. 216
comma 4 l. fall. - vengono estromessi dal patrimonio in forza di un obbligo giuridico o negoziale: potrà
parlarsi di bancarotta preferenziale, ove si ravvisi una alterazione alla “par condicio”, ma non di fraudolenza.191
Con il richiamo ai “suoi beni” la norma non comprende il caso della sottrazione all’apprensione dei
creditori dei beni del patrimonio del soggetto che ha fornito garanzia per il debitore. Sicchè la condotta, pur
sicuramente pregiudizievole ai creditori, di diminuzione del valore dei beni del garante, ancorché attuata
d’intesa con il fallito in un chiaro disegno di frode, non può considerarsi penalmente rilevante. Trattasi di
un’evidente lacuna normativa, non colmabile se non per l’impossibile via dell’analogia.
6a) Il tentativo nella bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Esso è ammesso nella bancarotta pre-fallimentare, dalla prevalente dottrina, intendendo la mancata
consumazione riferita alla condotta a cui, di poi, segua la dichiarazione di fallimento: l’esempio è quello di chi
è sorpreso nel trafugare i beni dal suo magazzino, venendo successivamente dichiarato fallito.192 Così come
187
Cfr. Cass., Sez. V, 12.6.1986, Brunello, Riv. Pen., 1987, 376; Cass. Sez. V, 10.2.1983, Lipera,
Cass. pen., 1984, 691, ecc.
188
La tassatività dei beni estranei alla garanzia dovrebbe escludere l’indennizzo assicurativo (cfr.
Cass., Sez. V, 4.7.67, Cencini, Cass.pen., 1968, 1017), salvo che – a mio parere – attenga ad una causa
strettamente personale e di natura non disponibile.
189
Purchè le somme di denaro siano destinate alle finalità di legge e non dissipate per scopi diversi
con la conseguenza, per il dissestato, di ricorrere ad altri cespiti patrimoniali, così sottratti alla
garanzia creditoria. sul punto cfr. LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano,
1993, pag. 264.
L’insuscettibilità all’apprensione fallimentare (e, dunque, la relativa non riconducibilità alla
bancarotta dell’apprensione di questi cespiti) diviene importante poiché, se connessa all'art. 36 Cost.
ed al rilievo che l'art. 217 n. 1 l. fall. punisce le spese eccessive, e non già quelle adeguate, determina
l'esclusione dall'oggetto materiale del delitto della remunerazione che l'imprenditore individuale si sia
assegnato (o, nei fatti, abbia consumato) per la conduzione propria e famigliare. Considerazione che
consente di ritenere penalmente ininfluenti le condotte formalmente illecite ma a modesto pregiudizio
(tale da rientrare nella soglia di un compenso ragionevole per l'opera effettivamente prestata in seno
all'impresa, al di là delle formali cariche assegnate). Cfr. anche Cass., Sez. V, 24.6.1998, Catalano,
Cass. Pen., 1988, 52.
190
PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, Legge fall., 1995, pag. 51;
SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 75. In giurisprudenza (civile) cfr. Cass Civ.,
Sez. I., 4.2.1992, n. 1210, in Dir. fall. soc., 1993, 955.
191
E così i compensi riscossi dagli amministratori di società (di società di capitali o di persone),
anche se non regolarmente contabilizzati, non costituiscono una ingiustificata assegnazione di
ricchezza sociale, purchè essi rispecchino con equità una effettiva prestazione resa all’organismo e la
loro misura non ecceda ogni ragionevolezza. Cfr. sul punto Cass., Sez. V, 17.4.2003, Leonardi, n.
22866.
192
ANTOLISEI, cit., 162. Analogamente, CONTI, cit.,35; MACCAGNO BENESSIA, cit., 17; contra,
nella convinzione che nei reati sottoposti a condizione di punibilità, non sia configurabile il tentativo,
NUVOLONE, cit., 481, o nel convincimento che non sia configurabile nei reati di mero pericolo,
PEDRAZZI/SGUBBI, cit., pag. 37.
38
deve ammettersi nei casi di colui che, dichiarato fallito, pone in essere gli atti idonei a distrarre, sottrarre,
distruggere, ecc. suoi beni: sul punto concorde è l’opinione della proponibilità della forma tentata nella
bancarotta post-fallimentare.
Non è, invece, assegnabile all’area del delitto tentato la condotta di compimento di atti di impoverimento
dell’asse attivo in epoca pre-fallimentare a cui segua – dopo la dichiarazione di insolvenza – la restituzione
(volontaria o meno) del cespite sottratto: si richiama quanto già detto a riguardo della natura di delitto di
pericolo di questo reato. 193
7a) Il dolo nella bancarotta fraudolenta patrimoniale.
La bancarotta fraudolenta patrimoniale é reato sorretto dal dolo, rinviando sul punto quanto già osservato
sul momento soggettivo del delitto, si osserva che la norma prevede soltanto per il caso di esposizione o
riconoscimento di passività inesistenti una forma specifica ("allo scopo di recare pregiudizio ai creditori") 194.
Non è, per le altre forme, pertanto, richiesto - nelle altre e più frequenti ipotesi - intento specifico di
arrecare pregiudizio ai creditori 195, essendo sufficiente, come si é detto la rappresentazione della mera
possibilità del danno, o la probabilità, con l'accettazione del rischio 196, che il danno si verifichi.
Dunque, - per affermare la responsabilità dell’autore – è bastevole il cd. dolo "generico" 197 e, cioé, la
coscienza e volontà di compiere un atto tipicizzato dalla norma (distrazione, distruzione, occultamento, ecc.) da
un patrimonio assoggettato alla garanzia dei creditori, senza che sia nemanco necessaria la consapevolezza di
un dissesto prossimo o in atti (essendo esclusa – per costante giurisprudenza - la necessità di un nesso causale
tra condotta di fraudolenza e fallimento).198
Poichè vi deve essere corretta rappresentazione di tutti gli elementi della fattispecie, non realizza il delitto
l’erroneo convincimento della appartenenza (nei termini sopra indicati) del bene al patrimonio dell'imprenditore
o della società).
Ma la soluzione sembra troppo estesa: accanto alla rappresentazione dell’atto, occorre la volontà di un
esito sfavorevole per la massa dei creditori, poiché – in sé – il distacco di un bene (o il suo occultamento
apparente) dall’asse d’impresa non postula affatto danno ai creditori.
Risultano, così, estranei alla fattispecie i casi in cui
- l'intenzione del soggetto, pur obiettivamente rispondente alla descrizione normativa, non abbia di mira
il distacco del bene o del suo controvalore (es. la spedizione di un bene a terzi per la sua vendita con l'intesa di poi non rispettata - di corresponsione del ricavato;
- l'occultamento di un bene al fine di preservarlo dall'apprensione di ladri; la distruzione di una partita di
merce infetta, al fine di salvaguardare il restante magazzino; la concessione di affidamenti, anche senza
garanzia, ad un truffatore, palesatosi del tutto inaffidabile, ecc.)
193
Cfr. ad es. Cass. Sez. V, 7.5.2004, Giacompolli, 27522, relativa alla affermazione di reità per la
sottrazione di assegno post-datato di pertinenza di società di poi dichiarata fallita, a cui sia seguita la
restituzione alla Curatela del titolo, dopo la dichiarazione di fallimento.
194
Un dolo che ha il suo oggetto in un momento ulteriore rispetto al fatto materiale: un momento
selettivo della fattispecie per evitare di includervi condotte dominate da difformi intenti come la
creazione di riserve occulte o l’alterazione del riparto degli utili (CONTI, cit., 124). Secondo
BRICCHETTI/TARGETTI, cit., pag. 60, il dolo delimita l’area della bancarotta fraudolenta dalla
fattispecie dell’art. 220 l.fall. consistente nella denuncia di creditori inesistenti.
195
Contra ANTOLISEI, cit., 65 sul presupposto che la fraudolenza richieda una forma intensa di
volontà di pregiudizio ai creditori. CONTI, cit., pag. 23, ritiene che la voluntas damni non possa
mancare anche nelle forme del dolo eventuale.
196
Accettazione della conseguenza tipica della sottrazione dei beni o nella rappresentazione altamente
probabile della perdita del bene, cfr. Cass. Sez. V, 5.3.1996, Filovia, Guida Dir., 21/96, 97; Cass., Sez.
V, 29.11.1990, Bordoni, Cass. Pen., 1991, 828. Ovvero, conseguenza oggettivamente ineludibile:
Cass. Sez. V, 1.6.1999, Trifiletti, Guida Dir., 29/99, 81. La dottrina ritiene che la proponibilità del
dolo eventuale sia consentita soltanto dove non sia previsto alcuna forma di dolo specifico, cfr.
NUVOLONE, cit., 71; MACCAGNO BENESSIA, Reati Fallimentari, Enciclopedia Giur., 1988, 8.
197
Cfr. Cass., Sez. V, 6.11.1996, Gennai, Cass. Pen., 1998, 648.
198
Sul punto, da ultimo, Cass. Sez. V, 27.4.2001, Martini, Cass. pen., 2001, 3872; Cass., Sez. V,
14.7.1998, De Benedetti, Cass. pen., 1999, 651 e ss.. Anche se si riscontra talora nella giurisprudenza
la necessità di una qualche rappresentazione dello stato di difficoltà dell’impresa: cfr. ad es. Cass.,
Sez. V, 25.2.1977, Marzollo, Cass. Pen. 1978, 1493; Cass., Sez. V, 20.3.1987, Cass. Pen., 1988,
Zampolli, 1542.
39
- l’erroneo convincimento della appartenenza (nei termini sopra indicati) del bene al patrimonio
dell'imprenditore (o della società).
8a) La bancarotta patrimoniale post-fallimentare.
Il reato, come si é detto, presuppone la dichiarazione giudiziale di fallimento (o di insolvenza) che si
qualifica come presupposto della condotta 199, dunque è “post-fallimentare” quanto segue alla data della
dichiarazione dell’insolvenza 200, e che rinviene il termine di rilievo penale nel decreto di chiusura della
procedura (art. 119 l.fall.) 201.
L'art. 216 comma 2 l. fall. fornisce una completa equiparazione di pena all'autore dei fatti descritti nel
contesto pre-fallimentare.
La situazione post-fallimentare semplifica molti dei temi affacciati nelle parti che precedono,
palesandosi concreta la lesione all’interesse protetto, atteso l’avvenuto spossamento del patrimonio in capo al
fallito e l’immanenza del vincolo in ogni bene alla soddisfazione dei creditori:
quanto all’oggetto materiale, possono essere anche i beni pervenuti nel corso della procedura (art. 42
comma 2 l, fall.)
É da comprendersi, dunque, il caso di provento da attività lavorativa del fallito, non autorizzata dal
giudice (art. 47 l. fall.) o eccedenti i limiti dell'art. 46 n. 2 l. fall. e la soglia fissata giudizialmente (art. 46 uc. l.
fall.), ma, al di fuori di un’ottica meramente formalistica, sempre nel rispetto dell'art. 36 Cost. (che
salvaguardia la retribuzione proporzionata al lavoro svolto ed al mantenimento famigliare), accertamento
affidato al giudice penale.202
Si ipotizzano i casi di beni pervenuti al fallito (o alla società fallita) dopo la dichiarazione di fallimento:
es. eredità, indennizzi e risarcimenti assicurativi203, bonifici bancari, rimborsi, ecc.
quanto alle modalità di commissione, è chiaro che lo spossessamento del patrimonio (art. 42 l. fall.),
rispetto al fallito o agli organi della società fallita, impedisce - di regola - veri e propri fatti di
distrazione/occultamento.204
199
Cfr. ANTOLISEI, cit., 33; CONTI, cit., 20, NUVOLONE, cit., 16. Cass., Sez. V, 15.12.1988,
Grespan., Giust. Pen., 1990, II, 279.
200
Non, quindi, al compimento degli adempimenti di pubblicità della decisione, cfr.
SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 120, n. 2.
201
Qualora il fallimento sia riaperto, il rilievo penale è assegnato soltanto alle condotte commesse
prima della chiusura e dopo la riapertura del fallimento, cfr. PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito,
Commentario Scialoja Branca, 1995, 105.
202
Cfr. Cass., Sez. V, 24.6.1986, Catalano, Cass. Pen., 1988, 52.
203
Vi è dibattito sulla titolarità del fallito del risarcimento di danni aventi natura personale (danni da
reato e consimili). Il problema è duplice: se il Curatore possa sostituirsi al fallito nell’esperire
l’azione risarcitoria e se il diritto al risarcimento possa assegnarsi alla procedura.
La risposta è nel senso che più che alla tipologia del danno ed alla titolarità del rimedio contenzioso (il
quale ultimo segue la natura sostanziale del diritto asseritamente vulnerato) se ad essere vulnerato sia,
per esempio, il solo onore della persona, sia il diritto sia l’azione spettino esclusivamente al fallito,
essendo bene di natura strettamente persona. Se, invece, la lesione, ancorché derivata da reato
commesso in danno del fallito ed anche se l’azione lesiva pregiudichi la sfera personale di costui, ma
abbia per oggetto anche indiretto il patrimonio (si faccia il caso che la lesione al diritto all’onore abbia
determinato la perdita di un affare), l’azione potrà essere esercitata anche dal Curatore (oltre che dal
fallito). Al contempo, si afferma che pur personalissima, la lesione all’integrità fisica, coinvolgente la
diminuzione della capacità lavorativa (e, quindi, non intesa come “danno biologico”, ma come
pregiudizio alla sua potenzialità di ricchezza), potendosi tradurre in una alterazione patrimoniale,
spetta nella tutela al curatore. E’ evidente che dall’indennizzo assegnato alla massa concorsuale,
debba sottrarsi la porzione riferibile all’art. 46 n. 2 l. fall. per il mantenimento proprio e della famiglia.
Sul punto cfr. in Dottrina, PANZANI-COLOMBINI, Il fallimento, profili applicativi, Utet, 1999, pag.
119 e ss.; NAPOLEONI, Nuove prospettive in tema di risarcimento danni alla persona del fallito, Il
fallimento, 1998, nota a Cass., 20.6.1997, n. 5539.
204
Tuttavia, sia nei casi di esercizio provvisorio dell’impresa (art. 90 l. fall.) o di protrazione
dell’impiego della persona che già ricopriva cariche societarie, possono verificarsi atti concernenti il
possesso dei beni. Così come è ipotizzabile l’occultamento dei beni acquisiti dal fallito nel corso della
procedura.
40
Pertanto la maggiore frequenza ricorrerà nelle dichiarazioni in seno ai rapporti con gli organi della
procedura (e, tipica, in questo caso la condotta di esposizione/riconoscimento di passività inesistenti, ma
possono anche ipotizzarsi comportamenti di falsificazione nella spiegazione dei dati di contabilità).
quanto al profilo soggettivo.
Il fatto che la condotta si realizzi nel corso di una già avviata procedura concorsuale, consente di
affermare una sicura rappresentazione del danno verso i creditori in capo all'autore dei comportamenti
incriminati.205
Piuttosto si dà il caso di persona che abbia ignorato la decisione fallimentare206, anche per
comportamento negligente (ad es. si é disinteressato dell'impresa, lasciata in cattive acque, emigrando
all'estero): tuttavia, a prescindere dal fatto che la dichiarazione è, normalmente, preceduta da atti tipici (istanze,
intimazioni, ecc.) che ad essa preludono inequivocabilmente, la medesima esistenza di una insolvenza necessariamente nota al soggetto - rende difficilmente credibile la difesa fondata sulla ignoranza della
procedura fallimentare.207
Bancarotta fraudolenta documentale (art. 216 comma 1 n.2, 223 comma 1 l. fall.)
b1) L’interesse tutelato.
La norma descrive la condotta dell'imprenditore dichiarato fallito che
"ha sottratto, distrutto, falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto
profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili, o li ha tenuti in guisa da non
rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari".
Anche per questo versante il nostro ordinamento impone all'imprenditore un comportamento attivo.208
La illustrazione, cioè, non soltanto della sua situazione economica attuale (dimostrazione imposta a chi
chiede in proprio il fallimento, art. 14 l. fall.), ma anche la traccia documentale relativa alla propria gestione
precedente, tanto che - contestualmente alla emissione della Sentenza dichiarativa di fallimento - é imposto il
deposito delle scritture (art. 16 n. 3 autonomamente sanzionato con apposita fattispecie penale dall'art. 220 l.
fall.)
Ovviamente allo scopo di consentire la migliore ricostituzione dell'asse attivo (a mezzo di azioni
revocatorie o di altri rimedi giudiziali e convenzionali) su cui la procedura potrà disporre la liquidazione.
Ma anche per fornire il controllo sull’operato di gestione e sulle condotte di terzi 209.
Ogni lesione al dovere di consentire la lettura della traccia che documenta la gestione di impresa é stata
gradualmente punita dalla legge fallimentare, a seconda della gravita: dall'art. 220, all'art. 217 comma 2, ai più
gravi casi di fraudolenza dell’art. 216 pp. n. 2 l. fall.
La distinzione tra le varie figure passa, soprattutto, sulla valenza psicologica che le distingue.
b2) La condotta della bancarotta fraudolenta documentale.
Anche in questo caso vi è una reiterazione di indicazioni normative, più o meno fungibili, volte a
reprimere il risultato di rendere impossibile agli organi della procedura un quadro attendibile del movimento di
gestione.
205
Né giova invocare l'ignoranza della legge fallimentare, che priva il fallito della disponibilità dei
beni, trattandosi ovviamente di errore ininfluente ex art. 5 cod. pen. attesa la rilevanza della normativa
fallimentare nel nostro ordinamento.
206
Secondo ANTOLISEI, cit., 34, la sentenza è elemento che concorre a connotare la qualificazione
“propria” dell’autore e di cui, quindi, non necessita la necessaria conoscenza.
207
Cass., Sez. V, 27.2.1974, Ganamone, Cass. Pen., 1976, 1201 afferma l’esistenza di una
presunzione di conoscenza della sentenza, essendo resa pubblica mediante affissione.
208
Per questa fattispecie è più immediata la percezione dell’obbligo (sentito generalmente come
naturalmente connesso ad ogni attività commerciale ed influente anche per i profili fiscali) gravante
implicitamente sull’imprenditore che diviene, nel caso di violazione dello stesso, responsabile del
delitto (o delle “minori” ipotesi descritte dalla legge fallimentare) anche se la dichiarazione di
insolvenza sopraggiunge a distanza di tempo. Dunque, anche per questo riguardo, egli è “soggetto a
rischio” nel senso dianzi specificato.
209
In questo senso l’onere documentativo dell’imprenditore non conosce esenzioni ed, in particolare,
l’esimente del “nemo tenetur se detegere”, come ormai accolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza
(anche in seno alle fattispecie di false comunicazioni sociali), cfr. PEDRAZZI, Reati commessi dal
fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 91; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000,
pag. 105, ecc.; Sent. C. Cost., 236/84, Cass. pen., 1985, 4 (per le fattoisèpecie dell’abrogato art. 2621
cod. civ. cfr. NAPOLEONI, Reati societari, III, Milano, 1996, 289).
41
Ma possono distinguersi due categorie: la prima costituita dai comportamenti di sottrazione,
falsificazione, distruzione che rinvengono sanzione penale qualunque sia l’esito dell’atto; d’altro canto, la
tenuta dei libri finalizzata alla non ricostruibilità della traccia degli affari. In quest’ultimo caso alla azione si
deve riscontrare l’evento dell’inquinamento idoneo a non permettere la ricostruzione del movimento degli
affari. Osservazione che dal piano oggettivo si riflette sul momento soggettivo dovendosi l’evento citato essere
oggetto di rappresentazione e volontà. 210
L’impossibilità alla ricostruzione degli affari dvee esser affermata anche quando in pratica essa sia
possibile ma soltanto grazie a documenti e tracce di pertinenza esterna all’organismo di impresa (per es. con il
ricorso al sequestro della traccia bancaria o di altro soggetto che con il fallito corrispondesse). 211
Sottrazione.
É la condotta diretta ad impedire che le scritture contabili cadano nella disponibilità degli organi della
procedura.
Vi si annovera, quindi, ogni forma di occultamento.
Non certamente, però, la mera detenzione in un luogo diverso da quello consueto o indicato in sede
tributaria (es. in materia IVA, art. 35 del DPR. 633/73)
Ma una condotta che renda ragionevolmente impossibile il ritrovamento del corredo documentale.
Per l'obbligo gravante sull'imprenditore dichiarato fallito, anche il volontario silenzio sul luogo della
detenzione o del collocamento del corredo contabile, si risolve in un comportamento penalmente censurabile,
specialmente dall'invito degli organi fallimentari.
E’ equiparabile anche la condotta di chi non rivela la “chiave di accesso” al sistema informatico
contabile.
Distruzione.
É l'annientamento fisico del documento (es. incendio) ovvero del suo contenuto (mediante cancellature,
abrasioni, ecc.), tale da impedire la sua finalità probatoria. Dall’elemento soggettivo può trarre risposta se la
distruzione di documentazione non attuale integri la violazione penale: è evidente che le scritture, per le quali
non è prescritta conservazione (art. 2220 cod. civ.) hanno un rilievo assai meno pregnante per la ricostruzione
delle vicende connesse al dissesto e che – pertanto - la volontà di sottrarre una reale traccia documentativa
diviene, salvo prova specifica, difficilmente proponibile.212
Falsificazione.
Attiene all'alterazione materiale o ideologica della scrittura. 213 Condotta che deve raggiungere l’esito di
fornire una rappresentazione alterata della realtà economico/patrimoniale. 214
Comportamento che può essere di supporto (per giustificare il negozio fittizio) a condotte di fraudolenza
patrimoniale: la esposizione/riconoscimento di passività inesistenti che può realizzarsi a mezzo di falsificazione
ideologica, ovvero la dissimulazione. Comportamento, ancora, che può concretare anche la violazione degli
art. 2621/2622 cod. civ. se dallo stesso i ravvisa nesso di causalità con il dissesto.215
Tenuta delle scritture in guisa da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari.
210
Cfr. Cass., Sez. V, 30.6.2003, Di Muni, n. 27897, in Guida al Diritto, 2003, 47, pag. 75; Cass. Sez.
V, 15.4.1998, Guareschi, Cass. pen., 2001, 294.
211
Giurisprudenza costante: da ultimo cfr. Cass. Sez V, 29.11.1997, Boccia, Cass. pen. 1999, 649;
Cass., Sez. V, 28.6.2989, Tocci, Riv. trim. dir. pen. ec., 1991, 274; Cass., Sez. V, 4.7.1991, Minuto,
Riv. trim dir. pen. ec., 1992, 553.
212
Cfr. sul punto SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 109, per il quale la
oggettiva liceità della distruzione esclude valenza penale alla condotta.
213
Così la redazione "ex novo" di parte o tutte le scritture (con contenuto diverso dall'originale)
integra il reato.
214
Sì che non si rinviene la lesione dell’interesse protetto nella formale modifica del dato testuale o
del senso ideologico del documento, quando l’intervento non si risolva nella immutazione del suo
contenuto.
215
Nell’assenza del rapporto eziologico con il dissesto e nel ricorso degli altri elementi costitutivi del
delitto di bancarotta fraudolenta documentale (soprattutto quanto al momento soggettivo) può –
comunque – affermarsi la ricorrenza della fattispecie penal/fallimentare.
42
Si tratta dei casi in cui la redazione delle scritture sia così incompleta, frammentaria, da non consentire
una ricostruzione della gestione di impresa.
Occorre, dunque, una condotta di violazione al dovere di annotazione a cui consegua il risultato
(sostanzialmente un evento) di ostacolo alla lettura della traccia documentale.216
La ricostruzione non deve riuscire del tutto impossibile, bastando una seria difficoltà al compimento della
stessa.
Un criterio diretto ad accertare la commissione del reato consiste nella necessità di dover richiamarsi a
fonti esterne all'impresa per operare la ricostruzione, quale potrebbe essere l'archivio costituito dal sistema
bancario.
Anche perché la lettura della relativa documentazione può obiettivamente rivelarsi ardua, senza una
spiegazione, con riferimenti a fatti non annotati documentalmente, del fallito o la cui lettura non è praticamente
impossibile senza l’ausilio di ulteriori indicazioni (si pensi alla sottrazione dei partitari).217
E’ evidente che l'indagine non debba venire svolta sul corredo obbligatorio (a differenza che per la
bancarotta semplice documentale) 218, potendosi ovviare alla lacuna mediante la tenuta di contabilità informale,
purché sufficiente a chiarire i tratti della gestione di impresa.
In questo senso realizza la condotta incriminata anche la distruzione della “prima nota”, dei brogliacci
informi, della contabilità fiscalmente riservata possono rappresentare l'oggetto materiale, ove possa dimostrarsi
che la loro disponibilità o integrità avrebbe permesso agli organi fallimentari l'indagine documentale o della
contabilità “nera”, quando esse siano indispensabile modalità di lettura del fatto di gestione.
Sulla base di queste premesse il delitto ricorrerebbe nella maggior parte dei casi: la mera (anche se seria)
difficoltà alla ricostruzione può essere avvertita - oltretutto - anche per marginali e secondari profili di
contabilità.
Intensa deve, quindi, essere l’accertamento della volontarietà non già rispetto alla omissione, ma al
raggiungimento del risultato di un inquinamento contabile diffuso o fondato su elementi nevralgici.
In questa ottica certamente la delucidazione fornita dall'imprenditore, volta a sopperire le lacune
documentali, tende ad escludere l'esistenza di una originaria volontà criminosa; ma tanto attiene alla lettura del
profilo soggettivo (e vale soltanto per questi tra i vari còrrei).
Così come, la difficoltà o l’impossibilità di lettura di un comparto contabile trascurabile per importanza
nell’economia generale ovvero relativo ad ambiti verso cui non risultano momenti di comportamento
fraudolento, difficilmente può far concludere per la responsabilità di una consapevole fraudolenza.
La lettera della norma non contempla il caso di integrale omissione della contabilità e, per questo verso,
si è affermato che esso non assurga ad elemento oggettivo del delitto in discorso, ma soltanto della
“minore”ipotesi di cui all’art. 217 comma 2 l. fall. 219 Va osservato, tuttavia, che - salvo realtà marginali,
connotate da rudimentale struttura organizzativa – riesce difficile ipotizzare l’assenza di ogni traccia contabile
per l’impresa, a fronte degli obblighi amministrativi che su di essa gravano e suppongono atti attestativi di fatti
economici e burocratici forieri di oneri e spese. Lo stesso può dirsi per l’utilizzo di servizi telefonici, di energia,
di riscaldamento, ecc. La conclusione di negozi di locazione, di rapporti bancari, ecc. La mancanza di essi
diviene prova di attivo comportamento sottrativo o distruttivo, una volta accertato l’adempimento iniziale
prescritto da leggi e regolamenti.
Ma va anche detto, seguendo una logica fondata sulla esperienza di impresa, che - oltre una certa
dimensione operativa - qualsiasi organismo commerciale o economico non può prescindere dalla annotazione
documentale (anche se non in linea con gli obblighi formali imposti dalla normativa civile o tributaria) a propri
fini di controllo della gestione (la prassi conosce in medie imprese situazioni patrimoniali a frequente cadenza,
216
Anche per questo versante non è richiesto che il risultato di inquinamento contabile sia raggiunto,
bastando la mera messa in pericolo dell’interesse tutelato. Così la ricostruzione “ex post” attuata dal
fallito – se giova ad escludere una volontà di effettiva fraudolenza – non elide, tuttavia, la portata
oggettiva della sua condotta illecita. Cfr. Cass. Sez. V, 22.1.1992, Zampini, Cass. pen., 1992, 2198;
Cass., Sez. V, 28.6.1989, Tocci, Riv. trim. dir. pen. ec., 1991, 274.
217
Ma il reato non può esser affermato se, sia pur contabilità ufficiosa, purchè proveniente
dall’imprenditore, consenta la ricostruzione del movimento degli affari, cfr. Cass., Sez. V 28.10.1997,
Boccia, Cass. pen., 1999, 275; Si ribadisce che non già la natura del documento – obbligatorio,
facoltativo o, addirittura illecito come la contabilità “nera – attesta
218
Cass., Sez. III, 2.9.2004, Aliberti e altri, in Guida al diritto, 2004, 38, pag. 79.
219
Nel senso che occorra la dimostrazione di una previa sottrazione od occultamento Cass., Sez. V,
14.4.1999, Ragadi, Guida al diritto, 1999, 38, 101.
43
onde consentire la conoscenza in tempo quasi "reale" dell'esatta condizione economica; ove vi sia un forte giro
di carta cambiaria e regola difficilmente elusa la tenuta di uno "scadenziario", ecc.) 220
b3) Oggetto materiale.
La documentazione é quella che attiene alla gestione ed al movimento degli affari (e, pertanto, i
documenti di cui all'art. 2214 cod. civ. ) 221
Sono, quindi, esclusi dal novero i Libri sociali (art. 2421 e ss., 2464, 2490, 2516 cod. civ.), poiché non
hanno contenuto contabile.
Non integra - in sé - il delitto la mancata tenuta dei libri obbligatori a fini fiscali: a meno che,
ovviamente, questo corredo fosse il solo che consentisse la ricostruzione del movimento degli affari. Invero
l'accertamento prescinde dall'obbligo formale della tenuta delle scritture.
Il contenuto della fattispecie, ruotando sull'effettiva e non formale (come può accadere per i casi degli
artt. 217 comma 2 e 220 l. fall.) possibilità di conoscere i tratti della gestione di impresa, non prestabilisce una
tipologia documentale la cui mancanza o alterazione violi la norma.
Tiene conto, quindi, di qualsiasi strumento che avrebbe potuto, ove conservato o lasciato immune da
falsificazione, l'esame del movimento gestorio.
Ovviamente l'oggetto materiale può essere tanto la scrittura ed il libro, come la memoria magnetica,
rientrando sicuramente nel contesto che qui si esamina ogni contabilizzazione automatica a mezzo di
"computer" o di altro strumento in formatico o traccia magnetica.
La violazione in esame ha per oggetto la traccia contabile, non riguarda, dunque, il documento di
supporto che rappresenti soltanto un fatto negoziale (contratto, quietanza, disposizione bancaria, ecc.)
Ma é evidente che, laddove quel fatto giuridico ed economico venga occultato, distrutto, falsificato in
vista di una conseguente alterazione contabile, la condotta realizza la violazione documentale dell'art. 216 pp.
n. 2 l. fall., collocandosi quale premessa materiale per il conseguente necessario intervento illecito sul quadro
contabile.222
Non appartiene al corredo delle scritture il bilancio, inteso quale comunicazione diretta all’esterno
dell’apparato di conduzione amministrativa. Sicchè, a rigore, non si palesa una concorsualità tra la violazione
degli artt. 2621/2622 cod. civ. e la bancarotta fraudolenta documentale per falsificazione.
Purtuttavia, non può sfuggire che la alterazione ideologica del bilancio comporta, nella normalità dei casi,
la falsificazione delle scritture di supporto, d’onde la probabile violazione dell’art. 223 comma 1 in relazione
all’art. 216 comma 1 n. 2 l. fall., anziché la sola violazione della norma penal/societaria, come richiamata
dall’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall., con un quadro probatorio assai semplificato per l’accusa (e tutto ciò volendo
tacere della giurisprudenza che inquadra il bilancio in seno alle scritture di impresa223).
220
Ovviamente la dimostrazione di aver delegato a terzi la tenuta della contabilità, con affidamento
alla loro perizia tecnica, congiuntamente alla prova che le indicazione ed i supporti primari per la
redazione della contabilità non sono mendaci o insufficienti (realizzandosi, in tal caso, un concorso
dell’imprendotrecon il suo professionista o collaboratore, cfr. Cass., Sez. V, 19.4.1988, Ferlicca, Cass.
pen., 1990, 337), esclude la volontarietà dell’eventuale inagibilità del dato documentale, ma non i
profili di “culpa in eligendo” (o, se del caso “in vigilando”) per la scelta infelice (o non
sufficientemente sorvegliata) in capo all’imprenditore (amministratore/liquidatore/direttore generale)
sul quale si appunta l’obbligo sotteso dalla norma (cfr. da ultimo, Cass. Sez. V, 19.1.1999, Mollo,
Cass. pen., 2001, 302; Cass., Sez. V, 15.12.1993, Decenvirale, Cass. pen., 1996, 1437).
221
Cass., Sez. V, 20.10.,1993, Virgili, Cass. pen., 1995, 1037.
222
Si deve, anzi, aggiungere che quando l'azione comporti la distruzione di un documento portante in
sé un diritto (ad es. titolo di credito) o una situazione giuridicamente favorevole per il fallito (ad es.
quietanza) può profilarsi la ricorrenza sia della bancarotta fraudolenta patrimoniale sia quella
documentale.
223
Seguo una lettura che è accolta dalla migliore Dottrina (ZANOTTI, Nemo tenetur se detegere, Riv.
it. dir. proc. pen., 1989, 213 n.; Id. Osservazioni e riserve sulla riconducibilità del falso contabile
all’ipotesi di falsa comunicazione sociale, Giur. Comm., 1989, I, 447; NAPOLEONI, Le falsità, pag.
149 e ss.), ma che talora - secondo me a torto - è stata talora avversata dalla Giurisprudenza (cfr. fra le
altre, Cass. Sez. V, 27.4.1992, Bertolotti, Cass. pen., 1993, 2624; Cass. Sez. I, 14.3.1989, De Nile,
Cass. pen., 1990, 2208, ecc.) che ravvisa il falso nel mendacio sui libri contabili, sulla ipotesi che
anche la contabilità sia suscettibile di diffusa conoscenza verso i terzi, per es. i soci o il Collegio
Sindacale. Ma l’opinione trascura che detto corredo non è suscettibile di ispezione da parte dei soci
delle società di capitali e che verso il Collegio può dubitarsi di ipotesi di falso mendacio per chi non lo
ravvisa nei rapporti inter-organici. Inoltre, nella pratica, le risultanze della contabilità sono sempre
44
b5) Elemento soggettivo.
É richiesta una specifica intenzionalità (lo scopo di recare a sé o ad altri ingiusto profitto o di recare
pregiudizio ai creditori) per il comportamenti di sottrazione, distruzione, falsificazione 224.
Si tratta di una prospettazione alternativa (o l'ingiusto profitto a sé/altri o il pregiudizio ai creditori): la
prova di una sola delle due ipotesi normativamente previste é sufficiente alla dimostrazione della penale
responsabilità.
D'altra parte ciascuna di esse ha una sua autonomia logica: la volontà di sottrarre il supporto documentale
di un debito esistente al fine di danneggiare il creditore (dolo di danno 225) é cosa diversa dall'intenzione di
occultare la prova documentale di condotte illecite proprie o altrui (dolo di ingiusto profitto 226).
Nessuna particolare volontà (se non la rappresentazione delle conseguenze di inagibilità della traccia) é,
invece, formalmente richiesta per la condotta attinente alla tenuta della contabilità in guisa da non consentire la
ricostruzione del movimento degli affari. 227
Tuttavia la pratica giudiziale e la giurisprudenza suppongono, anche per questo caso, la volontà specifica
di raggiungimento dell’esito anche al fine di delimitare il fatto dalla mera negligenza dell’art. 217 comma 2 l.
fall., segnalando che a questa volontà è implicitamente sottesa la consapevolezza del danno verso i creditori.228
La mancanza significativa di questa traccia o il disordine radicale della stessa rappresentano un serio
indizio a carico del fallito o degli organi societari.
b6) Bancarotta fraudolenta documentale post-fallimentare.
Si richiama quanto detto all’inizio, sulla diversa prospettazione normativa tra la figura pre e postfallimentare documentale poiché la lettera della norma art. 216 comma 4 l. fall. fornisce rilievo penale soltanto
alle condotte di distruzione sottrazione e falsificazione del corredo contabile. Infatti, l’impresa risulta priva di
attività in capo al suo gestore con la conseguente perdita di ogni dovere e potere annotativi in capo al fallito.
Inoltre è assente, per le condotte rilevanti, ogni connotazione specifica del momento soggettivo, attesa la
immediata ed ineluttabile conseguenza lesiva degli interessi creditorî in comportamenti di alterazione
documentale 229.
C) La bancarotta preferenziale (art. 216 comma 4, art. 223 l. fall.)
c1) L’interesse tutelato.
Dispone la norma
"E' punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito che, prima o durante la procedura fallimentare,
a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione".
La lesione consiste non nell'indebito depauperamento del patrimonio del debitore, bensì nell'alterazione
dell'ordine (stabilito dalla legge) di soddisfazione dei creditori (cd. "par condicio"), principio basilare nel
trasfuse nelle comunicazioni sociali, sì che il caso in esame potrebbe riguardare il solo comportamento
di chi omette la redazione del bilancio di esercizio.
224
Cass. Sez. V, 12.10.1993, Trombetta, Cass. pen., 1995, 1629; Sez. V, 13.11.1980, Ripiani, Cass.
pen., 1982, 1639;
225
Segnalando che danno può evidenziarsi non soltanto nel diretto pregiudizio per il creditore per il
quale è distrutta/occultata la prova della propria pretesa, ma anche nella dispersione delle connotazioni
che rendono suscettibile di azione revocatoria il pagamento di pendenze, con pregiudizio per la
restante massa dei creditori.
226
Per quest’ultimo caso l’esperienza attesta che la prova dello scopo perseguito può induttivamente
ottenersi soltanto se vi sia la ricorrenza di concorrenti illeciti, di natura fallimentare o meno, in
relazione ai quali vi sia interesse del loro autore a coprire l’attestazione di reità. Concorda al riguardo
(ma in tema di dolo teso al conseguimento di danno) anche SANTORIELLO, I reati di bancarotta,
Torino, 2000, 115.
227
In Dottrina, cfr. PEDRAZZI/SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca,
1995, 103, PEDRAZZI, in AA.VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, 1998, 111;
SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 115, ecc. In giurisprudenza cfr. Cass. Sez. V,
3.3.1987, Cass. pen., 1988, 1539; Cass., Sez. V, 8.10.1991, Geraci, Cass. pen., 1993, 673, ecc.
228
cfr. PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 103; Cass., Sez.
V, 22.1.1992, Zampini, Cass. pen., 1992, 2198.
229
Sempre che, ovviamente, il comportamento rivesta caratteri di reale offensività, in termini di
alterazione o di rilevanza della traccia documentale sottratta.
45
procedimento concorsuale: dunque, l'oggetto del reato sta nella violazione della scala di preferenza stabilito, per
le procedure concorsuali, dal Legislatore e dall'art. 2741 cod. civ. e dalle leggi speciali (cfr. art. 111 legge fall.)
Alterazione che, risolvendosi nell’impossibilità di soddisfare parte dei creditori, si riverbera in una forma di
pregiudizio verso costoro, anche se ben diversa che nel caso di fraudolenza.230
Non sfugge l’assonanza con la disciplina fallimentare degli artt. 64 e ss. l. fall.: ma ivi le presunzioni
stabilite per le revocabilità dei pagamenti o delle uscite di ricchezza dall’asse attivo fallimentare, non hanno
alcun rilievo per la fattispecie penale, fondata sulla verifica delle specifica finalità di indebito privilegio verso il
creditore a danno degli altri.
La fattispecie suppone, come si dirà anche oltre, una forte tensione finanziaria dell’impresa e,
verosimilmente, una situazione di dissesto o ad esso assai prossima: infatti, l’incapacità di soddisfare un
creditore se non danneggiando gli altri, è incompatibile con la solvibilità dell’organismo. 231 Profilo che
delimita temporalmente la rilevanza delle condotte e che si riflette significativamente sul momento soggettivo.
Non è richiesto che in sede concorsuale il danno risulti irredimibile: invero, esso può essere revocato,
disvelata la simulazione della apparente causa di prelazione, ciononostante affermata la penale responsabilità.
In questo senso anche per questa fattispecie può affermarsi che si tratta di reato di pericolo. 232 Di qui
l’affermazione che la messa in pericolo del bene deve qualificarsi come concreta ed effettiva.
230
Sottolineano lo sfondo pregiudizievole per i creditori PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito,
Commentario Scialoja Branca, 1995, 116; ANTOLISEI Manuale, Leggi complementari, Milano,
1993, 81; CONTI, Diritto penale commerciale, II, Torino, 1991, 186, ecc. Ritiene che, invece, il fatto
si risolva nella lesione ai principi di correttezza ed efficienza della procedura SANTORIELLO, I reati
di bancarotta, Trino, 2000, 129. Una volta provato che il pagamento del creditore ha impedito la
soddisfazione di un altro, si attesta che la condotta ebbe luogo in una situazione obiettiva di difficoltà:
tanto basta per provare il profilo della preferenzialità, risultando abbastanza opinabile il grado di
dissesto che deve connotare lo sfondo della condotta. Indubbiamente la situazione deve esser coeva al
momento del pagamento (o dell’impegno ad esso), come risulta dalla necessità della rappresentazione
del danno agli altri creditori, imposta dalla struttura del dolo specifico.
231
PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 117; ANTOLISEI,
Manuale, Leggi complementari, II, Milano, 1993, 86; CONTI, Diritto penale commerciale, II, Torino,
1993, 74, ecc.
232
PERAZZI, I reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 130;
SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 139.
46
c2) La condotta.
a) Bancarotta preferenziale per il tramite di pagamenti (“esegue pagamenti”).
E' il caso di gran lunga più frequente.
"Pagamento" é qualsiasi forma di estinzione di un debito, attuato con denaro o in natura ("datio in
solutum" 233), o a mezzo di compensazione, di novazione oggettiva, ecc. senza limitazione di tipologia.
Oggetto può essere il denaro o un bene (ad es. la restituzione di titoli acquistati a credito e non pagati) 234.
È riconducibile anche la vicenda estintiva derivata dalla compensazione 235.
E’ importante precisare che non è pagamento rilevante ai fini della bancarotta preferenziale:
quello effettuato con ricchezza non suscettibile di cadere nella massa fallimentare (art. 46 l. fall.)
quello imposto da norma imperativa (ad es. imposte, oneri amm.vi, ecc. 236) ovvero da un ordine del
giudice (es. decreto ingiuntivo) poichè in tal caso non è “pagamento” ma adempimento di un dovere 237;
quel pagamento contestuale e diretto all’ottenimento di nuove e future prestazioni, poiché non vi é
estinzione di una già esistente obbligazione e, dunque, lesione della "par condicio" (convertendosi il denaro
nella prestazione): situazione assai frequente poiché il fornitore, conosciuta la precaria situazione economica
del cliente, condiziona, di regola, la propria esecuzione del negozio al pagamento immediato (non condotta
preferenziale, bensì forse altra ipotesi di bancarotta semplice o reato societario, far sorgere nuovi crediti, ma
estinguere vecchi crediti).238
233
Cass., Sez. V, 5.7.94, Rapette, Cass. Pen, 1996, 566.
Si discute se il rilascio di titoli di crediti costituisca "pagamento": lo negava una risalente
giurisprudenza penale (Cass. 14.12.1982, Cass. pen., 1984, p. 1249).
In realtà la giurisprudenza civilistica, aderendo alla pratica commerciale, ha - con indirizzo costante equiparato il titolo di credito al denaro, escludendo caratteri di anormalità al mezzo sia che sia emesso
sia che venga girato. Valgono, poi, le regole dettate dall'art. 68 l. fall. per i casi di esenzione
dall'azione revocatoria. Al riguardo PAGLIARO, cit., 529, segnala la possibilità che una cambiale è
dotata di regime privilegiato ex art. 68 l. fall., sicchè potrebbe ipotizzarsi la simulazione di titolo di
prelazione nel pagamento preferenziale attuato con detto mezzo. Pare, tuttavia, che ove non ricorrano
condotte di speciale artificiosità, la simulazione non sia proponibile in un titolo che effettivamente
porti un credito (dotato di astrattezza nella causa) a favore del beneficiario.
235
ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Milano, 1993, 83, PEDRAZZI, Reati commessi dal
fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 149, SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino,
2000, 133; in giurisprudenza, Cass., Sez. V, 15.4.80, Veronesi, Cass. pen., 1981, 1660. E, per quel
che qui maggiormente interessa, la compensazione, disciplinata "ex professo" dall'art. 56 l. fall. (e,
quindi, immune da censura penale purchè attuata nei limiti tracciati dalla norma fallimentare e salvo
che non ricorra, come si dirà oltre nel testo, simulazione dei suoi presupposti).
Dunque, la riduzione dello scoperto di un cliente con il saldo attivo di altro c/c dello stesso cliente non
è operazione soggetta a revocatoria e non può, pertanto, considerarsi preferenziale sotto un riguardo
penale.
236
Cfr. BRICCHETI/TARGETTI, cit., 78.
237
A mio avviso in questo caso non vi è riscontro di "pagamento", atto libero del debitore e non frutto
di adempimento coatto La dottrina è divisa al riguardo, ritenendo che gravi sul debitore l’onere di
eccepire al giudice dell’esecuzione la preferenzialità sottesa dalla pretesa coatta:ANTOLISEI, cit.,
pag. 86; LA MONICA, cit., 295, ecc. anche se, per il vero, è difficile ravvisare questo onere,
penalmente sanzionato, in capo al debitore esecutato (cfr., PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 122).
238
Si è affermato (PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 117)
che il consenso di tutti i creditori al pagamento di uno solo o alcuni di essi fungerebbe da scriminante
alla condotta. Ritengo che tanto sia vero, più che altro per l’assenza del dolo richiesto, mancando la
volontà del danno verso il ceto creditorio. Parimenti, quando realmente una banca concordi un piano
di rientro nelle proprie pretese o la ristrutturazione del credito, sicuramente la volontà dominante è
quella di consentire all’impresa in istato di insolvenza di superare l’”impasse” e di riprendere l’attività
onde permettere l’appianamento. Ovviamente, quando in questo accordo non interloquisca un solo
soggetto creditore, ma - attesa l’interdipendenza finanziaria, enfatizzata dalla crisi di liquidità - una
pluralità di enti o persone, coinvolte nel tentativo di salvataggio, la sincerità degli intenti è più
credibile. Ed, allora, non può intravedersi il dolo esclusivamente egoistico dell’art. 216 comma 4 l.
fall.
Anzi: il “salvataggio” quale scopo delle transazioni assunte è, di per se stesso, un fine
incompatibile con lo sfondo del dolo specifico descritto dalla norma.
234
47
Occorre, ancora, precisare che il pagamento deve estinguere il credito effettivo ed esistente. 239
É il criterio oggettivo più semplice per distinguere i casi dell'art. 216 pp. n. 1 dalla bancarotta
preferenziale, poiché non mai darsi fraudolenza se la ricchezza uscita dal patrimonio del debitore sia andata ad
estinguere una obbligazione reale ed esistente.240 Quando, nell’accordo negoziale (per es. nel presentare altra
posizione correlata, da porsi in compensazione, ma in realtà meramente simulata), si dia vita ad apparenti
crediti da soddisfare, in realtà inesistenti, l’uscita di denaro non può che collocarsi nell’area della bancarotta
fraudolenta patrimoniale, mancandone la giustificabilità.
In tutti i casi, invece, in cui sia soddisfatta una pretesa giuridicamente riconosciuta, non vi è spazio che
per la preferenzialità, anche se il pagamento risulta moralmente censurabile (es. pagamento di debiti marginali,
anzichè gli arretrati di retribuzione ai dipendenti).241
Ed, allora, dovrà parlarsi di distrazione fraudolenta quando il pagamento ecceda la consistenza reale della
pretesa, allo stesso modo, non dovrebbero esservi dubbi sulla responsabilità di fraudolenza nella riscossione di
un credito prescritto 242.
Il pagamento deve creare una alterazione nella "par condicio" e questo non si verifica 243:
239
ANTOLISEI, cit., 85; BRICCHETTI/TARGETTI, CIT., 77. Cas., Sez. V, 7.6.73, Defindati, Giur.
Comm., 1975, II, 189.
240
Una situazione particolare è stata diversamente risolta dalla giurisprudenza: si tratta del pagamento
di debiti sociali all’amministratore che è effettivo portatore di legittime pretese (e nei limiti della
stessa, cfr. Cass. Sez. V, 15.3.99, Franzoni, Guida Dir., 29/99, 82). La SC. ha ricondotto la fattispecie
nell’area della fraudolenza invocando il dovere di fedeltà gravante sull’amministratore (Cass., Sez. V,
22.8.2001, Plodari, Guida Dir., 40/2001, 83; Cass., Sez. V, 21.12.99, Patrucco, Riv. Trim. dir. pen. ec,
2000, 476; Cass., Sez. V, 24.4.87, Ritondale, Css. Pen., 1988, 1538, ecc. Più esattamente, nel solco
della lettura che non ritiene sussistere distrazione per estinzione di passività esistenti, inquadrano il
caso nella preferenzialità sia decisioni della SC. (Cass., Sez. V, 6.12.2000, Santucci, Dir. prat. Soc.,
11/2001, 94;Css., Sez. V, 31.1.2000, Sigliano, Dir. prat. Soc, 9/2000, 82 ; Cass. Sez. V, 7.6.73,
Defindati, Giur. Comm., 1975, II, 189), sia la gran parte della dottrina, PEDRAZZI, Reati commessi
dal fallito, CommentarioScialoja Branca, 1995, 116, CONTI, Manuale di diritto commerciale, II,
Torino, 1991, 207, PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957, 115, PERINI DAWAN, La
bancarotta fraudolenta, Padova, 2001, pag. 273, ecc.
241
La S.C. che aveva seguito in passato l’orientamento del testo, in materia di soddisfacimento dei
crediti dell’amministratore (cfr. ad es. Cass., Sez. V, 7.6.1973, Defindati, Giur. Comm., 1975, II, 189),
ha di recente (cfr. Cass., Sez. V, 6.2.1998, Zannoni, Cass. pen., 2001, 295; Cass., Sez. V, 3.1.1987,
Ritondale, Cass. pen., 1988, 1538, ecc.) mutato indirizzo, sulla scorta della (non molto convincente
osservazione) che nella persona dell’amministratore si confondono la posizione dell’esponente
societario, obbligato alla salvaguardia patrimoniale dell’asse attivo, ed il creditore, sicchè la
soddisfazione del profilo privatistico dell’obbligazione nuocerebbe agli interessi sociali. Trascurando
– così – la circostanza che l’amministratore, portatore di reale credito (chè se esso fosse inesistente o
non esigibile, indubbia sarebbe la ricorrenza della fraudolenza), ha diritto all’insinuazione in sede
concorsuale della sua pretesa. E che, inoltre, risulterebbero astrattamente parificate le condotte di chi
ristora crediti reali da chi si soddisfa senza alcuna giuridica contropartita.
La Dottrina è
prevalentemente schierata per ravvisare la fattispecie dell’art. 216 comma 4 l. fall.: cfr. COCCO, La
bancarotta preferenziale, 1987, pag. 168 e ss.; DE SIMONE, Brevi note a margine della cd. bancarotta
preferenziale, Riv. trim. dir pen. ec., 1994, 165, ecc.
242
e, più genericamente, per le pretese assimilabili ad obbligazioni naturali: l'esenzione dettata dall'art.
64 l. fall. (per gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale), infatti, funge da mero limite
cronologico alla valutazione di inefficacia.
Ma il contesto in cui è collocata la categoria di pagamenti esenti da inefficacia è pur sempre, come
titola la rubrica, di atti gratuiti. Come tali, dunque, insuscettibili di giustificare (salvo rigorosa prova
contraria) un esborso di ricchezza in termini di interesse dell'impresa.
243
Secondo SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 140, quanto indicato nel testo sub a)
e b) risulterebbe di rilievo penale, postochè la violazione della graduazione dei crediti sarebbe stata
realizzata e, soltanto per evento esterno alla volontà del debitore ed in un momento successivo alla
condotta, si esclude lo spessore lesivo dell’atto. Tesi che, tuttavia, sembra non dar peso al fatto che
l’evento dannoso è sempre riferito alla situazione risultante dalla premessa alla procedura concorsuale.
L’inesistenza del passivo o il pagamento di creditore privilegiato sono situazioni riflesse ad un
periodo coevo all’apertura della procedura, sicchè il dubbio potrebbe soltanto sussistere per quei
48
a) se non vi é insinuazione di alcun creditore o se vi sia integrale soddisfacimento della massa passiva;
b) se il pagamento é diretto verso creditore privilegiato (ad es. ipotecario, pignoratizio, privilegio sulla
liquidazione di dipendenti, ecc.) senza che si siano insinuati creditori con maggior privilegio o l'attivo consenta
il soddisfacimento anche degli altri. 244
c) se il pagamento determina un mero ritardo nella soddisfazione degli altri creditori, senza
inadempimento verso costoro 245.
Così come, ovviamente, l'estinzione di obbligazioni in epoca successiva al fallimento (ormai chiuso) non
vede preferenzialità nel loro pagamento, non ledendosi la "par condicio" di quella massa.
Il creditore potrà rivalersi verso il fallito tornato "in bonis" per la parte che non è riuscita a vedere estinta
dalla liquidazione e riparto (cfr. art. 120 l. fall.).
Per la stessa ragione (e sul punto si tornerà oltre) il pagamento effettuato dal terzo, a favore del debitore
che sarà dichiarato fallito, non lede gli interessi della massa (ma anzi, li favorisce).
La questione si porrà sull'esistenza di una causa che legittimi quel pagamento ove il pagatore sia,
successivamente, dichiarato fallito.
Il novero dei pagamenti, con effetti rilevanti per il delitto in esame, è stato decisivamente ridotto dalla
riforma dell’istituto dell’azione revocatoria, come dirò subito oltre.
b) Simula titoli di prelazione.
É la condotta di chi vuol far apparire simulatamente un negozio di concessione di ipoteca o di pegno
ovvero una causa negoziale che fruisca di speciale privilegi "ex lege" (cfr. art. 2741 cod. civ.) ovvero situazioni
di obiettiva prelazione quale quella che la legge stabilisce al regime dei crediti cambiari 246 ovvero conseguenti
alla vendita con riservato dominio 247, ecc.
Un comportamento che in sé possiede un connotato di fraudolenza, che se anche focalizzato sul solo
momento simulatorio, non può rappresentarsi e volere anche il danno che dall’alterazione possa derivare ai
creditori.248
La simulazione deve cadere soltanto sulla garanzia e non sul credito, vertendosi, in tal caso, in fattispecie
di bancarotta fraudolenta.
La simulazione deve consistere in una attività idonea all'inganno e giuridicamente apprezzabile, tale non
essendo la mera dichiarazione del debitore ove manchi qualsiasi riscontro negoziale e documentale.
La simulazione esclude il caso della reale esistenza del titolo di prelazione: non rientra nella fattispecie,
pertanto, il debitore che conceda reali garanzie o incrementi le stesse verso la pretesa di un creditore, anche se
ciò può portare squilibrio per la restante massa.
Per questo motivo si tratta di fattispecie di rara applicazione. Risultano – infatti - irrilevanti per la
fattispecie penale comportamenti assai frequenti e forieri di altrettanto importanti scompensi del pari
trattamento dei creditori.
Volendo esemplificare, per il principio di stretta legalità 249, paiono estranei alla figura incriminatrice
l'aggravamento di garanzie già prestate, la richiesta di garanzia reale per un credito nato come chirografo,
ovvero la callida manovra di ritardo nel richiedere il fallimento del cliente, al fine di "consolidare" la garanzia
pagamenti provenienti da fonte esterna al patrimonio del fallito e successivi all’apertura della
procedura fallimentare.
244
Si pensi ad es. al privilegio INVIM, superiore alla garanzia ipotecaria e quelli indicati dall'art.
2748/2780 cod. civ. Sulla carenza di rilevanza penale per il pagamento di creditore privilegiato, cfr.
Cass. Sez.- 5, 5.7.1991, Martelli, n. 7230.
245
Giustamente così SANTORIELLO, Reati di bancarotta, Torino, 2000, 130.
246
Cfr. PAGLIARO, cit., 529
247
PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 123.
248
cfr.BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1997, 81;
249
Principio che non sembra aver seguito Cass., Sez. V, 23.2.2000 n. 2126, in Dir. e pratica delle
società, n.. 11/2000, pag. 91/92. Il ragionamento ruota su un dato pragmatico e di buon senso: il
risultato fu quello di sostanzialmente favorire il creditore chirografario. Nessuna differenza, dunque,
con chi avesse simulato (nella nozione giuridica), il titolo di prelazione L’accezione della nozione di
“simulazione”, pertanto, deve ritenersi lata ed a-tecnica. Argomentazione quanto mai apprezzabile,
se non che appare lontana dagli stretti e formali confini dell’interpretazione che deve essere applicata
alla legge penale. Esattamente BRICCHETTI , che ha annotato la massima, segnala che, semmai,
l’atto preferenziale poteva essere scorto nel pagamento del debito chirografario, più che sul rilascio
della nuova garanzia ipotecaria.
49
(art. 67 n. 3 e 4 l. fall.) ovvero il giroconto da un conto non garantito ad altro conto, del medesimo correntista,
assistito da garanzia in seno all'affidamento prestato in apertura di credito, ecc.
Va, tuttavia, detto che la condotta relativa al rilascio di garanzie non è limitata al solo campo della
preferenzialità. La garanzia è, infatti, profilo negoziale che accede ad un credito.
Essa, innanzitutto, non ha una sua autonomia concettuale penalistica, ma - rivolgendosi al credito a cui si
riferisce - ripete i caratteri di fraudolenza o di preferenzialità a seconda che il credito esista o meno e che la
garanzia sia prestata dallo stesso soggetto o da soggetto giuridicamente legittimato a sovvenire il debitore.
In tal senso, appare evidente che ove il credito sia simulato, anche la prestazione della garanzia risulta
connotata di fraudolenza comportando, con l'avveramento dell'insoluto, un depauperamento privo di causa.
Allo stesso modo se la garanzia è prestata per un atto di liberalità di un terzo, il fallimento di quest'ultimo la
qualificherà come impoverimento indebito. E, dunque, attuativa di fraudolenza.
c5) Il concorso del creditore preferito.
Non si tratta di un concorso obiettivamente necessario dell'"extraneus" nel reato proprio, perché non è
statuito che la condotta del debitore comporti ineluttabilmente la responsabilità del destinatario del pagamento
e, per converso, che senza il concorso consapevole del creditore non sia proponibile l’azione di preferenzialità.
Ma, sicuramente, la situazione pone il creditore favorito in un’area di forte sospetto preferenziale, attesa la
prassi che raramente vede l’atto del debitore assunto in via assolutamente autonoma e senza alcuno stimolo del
creditore.250
Non vi sono, ancora, soverchie perplessità nel tratteggiare il concorso del creditore nell’attività di
simulazione dei titoli di prelazione realizzata dal debitore e di cui egli si giova, trattandosi di condotta nin sé
connotata da piena consapevolezza di simulazione e di consenso al risultato proscritto dalla norma. 251
Il quesito è di problematica risposta in tema di pagamento, postoché é diritto di chiunque chiedere
l'esazione dei propri crediti ed, anzi, l'art. 1186 cod. civ. consente al creditore di esigere immediatamente la sua
pretesa ove conosca l'insolvenza.
Si é, in presenza, quindi, di una antinomia: quello che la norma civile consente, la legge penale vieta 252.
Si deve precisare, purtuttavia, che la norma penale non punisce il pagamento (o la simulazione della
garanzia) ma soltanto quello che determini lesione della "par condicio" e che, quindi, per un profilo soggettivo
può mancare la consapevolezza nel creditore circa la preferenzialità creatasi nei suoi confronti con la condotta
del debitore.
Infatti non é prova l'iniziativa del creditore nei confronti del debitore: un semplice ritardo nell'adempimento
non significa insolvenza e rappresentazione del favoreggiamento che egli ottenga con quel pagamento.
Parte della dottrina 253 e la giurisprudenza 254 hanno risolto la questione, anche avuto riguardo a problemi
di economia della prova, nel censurare una condotta particolarmente qualificata di concorso e, cioé, una
istigazione o induzione tale da aver determinato o rafforzato la volontà preferenziale del debitore, con la
250
In dottrina si inquadra la fattispecie nei reati naturalmente plurisoggettivi, anche se
normativamente descritti come monosoggettivi, ANTOLISEI Manuale, Leggi complementari, Milano,
1993, 181; CRESPI, Il concorso del creditore nella bancarotta fraudolenta preferenziale, in Studi in
memoria di Delitala, Milano, 1984, 273. Esclude profilo di necessarietà concorsuale Cass. Sez. II,
13.2.1969, Girombelli, Giust. pen., 1969, II, 1099.
La tesi di un reato plurisoggettivo non è è
accolta dalla dottrina che più frequentemente ritiene il reato monosoggettivo. Sull’argomento cfr.
COLETTA, Bancarotta e responsabilità penale del funzionario di banca infedele per abuso del diritto
di compensazione, Cass. pen., 2002, 2961 e ss.; CARRERI, I reati di bancarotta, Milano, 1993, pag.
318; SERIANNI, Il concorso del creditore nel delitto di bancarotta pereferenziale, Riv. it. dir. proc.
pen., 1974, 204 e ss.; SANDRELLI, Responsabilità penale della banca nella gestione stragiudiziale
dell’insolvenza, Il Fallimento, 1997, 558 e Il reato del banchiere nella formazione dell’insolvenza,
IPSOA, 2001, 230 e ss.; STELLA, Insolvenza del debitore e responsabilità penale del banchiere, In
Fallimento, 1995, 303 e ss.
251
BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, 1998, 83.
252
Cfr. SERIANNI, Il concorso del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale ecc., Riv. dir. proc.
pen., 1974, 323.
253
PEDRAZZI/SGUBBI, cit. 134, BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano,
1998,. 133.
254
Cfr. ad es. fra le molte, Cass., Sez. V, 22.4.1981, Bura, Cass.pen.1983, 428, Cass. Sez. V,
21.6.1989, De Nile, Cass.pen.1990, 228. É ovvio che i casi di esercizio arbitrario, pressione usuraria,
ecc. siano quelli di possibile corresponsabilità nel reato fallimentare da parte del creditore (unitamente
alla responsabilità per violazione della norma di diritto penale comune).
50
precisa rappresentazione del contributo fornito alla violazione della "par condicio" o, il che è lo stesso per un
riguardo pratico, il ricorso a rimedi che l’ordinamento giuridico non prevede a tutela del credito. Altri autori
hanno segnalato che la condivisione, da parte del creditore, del dolo specifico (con la conseguente
rappresentazione della tensione finanziaria che domina l’impresa debitrice) che anima il debitore sia momento
sufficiente per attestare la responsabilità del percipiente, anche senza la prova di una condotta di pressione
qualificata.255
La riforma della revocatoria ed i pagamenti effettuati in periodo di crisi dell’impresa alla luce della
bancarotta preferenziale. La par condicio e la sua tutela.
E’ legittimo ravvisare una stretta correlazione tra azione revocatoria e fattispecie della bancarotta
preferenziale.
Per entrambi identico è l’epilogo: una procedura concorsuale. Il che non sta a significare soltanto una
coincidenza formale ed esteriore, bensì il riscontro della medesima logica e considerazione giuridica al
fenomeno della insolvenza e del concorso dei creditori.
Secondo una convinzione assai risalente nel tempo, comune ad entrambi gli istituti è - come si è dianzi detto la tutela dei creditori, anche nella peculiare affermazione della cd. “par condicio creditorum” (con la
precisazione che l’area della revocatoria è più estesa, potendo coprire anche aspetti valutati dal legislatore
penale come forieri di fraudolenza, cfr. per es. art. 64 l. fall.).
Comune, ancora, è l’incombere dello stato, quantomeno, di crisi, al momento del negozio solutorio, avuto
riguardo alla meccanica temporale che fissa le soglie dell’azione revocatoria e, parallelamente, la naturale
cornice dell’art. 216 comma 3 l. fall., nel cui contesto soltanto è possibile ipotizzare un pagamento di un debito
da parte dell’imprenditore il quale quasi automaticamente sottragga effettive risorse per la soddisfazione di
altro creditore.
Esiste, cioè, una lineare continuità tra l’azione che dichiara la inefficacia dei pagamenti e la condotta che
contempla il pagamento illecito perché preferenziale, anche se non esistente, ovviamente, stringente equazione
tra presupposti dell’azione revocatoria e ed il privilegio indebito del creditore.
A suggello dell’analogia stava, prima della riforma di cui è discorso, la coeva ideazione della normativa
civilistica, e penalistica, sicchè quest’ultima era modellata in maniera compatibile e sovente complementare
alla prima.
A conferma dell’assunto qui esposto sta la più autorevole Dottrina che legge nella fattispecie penale il
completamento della tutela che disciplina la revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori (cfr. ANTOLISEI,
Manuale di diritto penale, Leggi complementari, Giuffrè, II, 82 e ss.; MANGANO, Disciplina penale del
fallimento, 70; LA MONICA, Diritto penale commerciale, I, 290; ecc.).
Orbene, se con il “vecchio” testo era possibile richiamarsi al profilo dell’art. 67 l. fall. per leggervi i tratti
di pagamenti che, oggettivamente, pongono a repentaglio la soddisfazione concorsuale della massa creditoria,
eppertanto, sono ridotti “ex lege” all’inefficacia, assonanza oggettiva che la norma penale selezionava a mezzo
della peculiare e complessa struttura del dolo (prospettato come dolo specifico, con riguardo al privilegio
procurato al creditore favorito e, tuttavia, anche comprensivo della rappresentazione del danno dei residui
creditori), oggi è più difficile prospettare la stessa analogia. Ma il quadro che, a mio parere, si offre all’esame
abbisogna di articolata considerazione.
a) La riduzione del cd. “periodo sospetto”
La modifica dell’art. 67 l. fall. contempla una riduzione del periodo di tempo cd. ”sospetto”, quell’area
cronologica, cioè, entro la quale è possibile sancire l’inefficacia (a mezzo dell’apposita azione di revocazione)
dei pagamenti effettuati dall’imprenditore (che poi si manifesterà) insolvente.
Si tratta di una forte
delimitazione cronologica che certamente riduce assai la potenzialità dell’azione revocatoria. Non ritengo tuttavia - che, al riguardo, possa affermarsi l’alterazione dell’area di potenzialità punitiva descritta dall’art. 216
comma 3 l. fall., bensì suppongo che determinerà un fenomeno piuttosto inconsueto per il nostro ordinamento:
si accrescerà la sfera penale che punisce i pagamenti preferenziali, anziché allinearsi al più mite regime
civilistico, come probabilmente avrebbe voluto l’intento legislativo.
Infatti, la riforma ha forse reso di rarissima applicazione il rimedio civilistico, ma, la lettera della nuova norma
non ha, contemporaneamente, ristretto l’oggettiva fattispecie della bancarotta preferenziale. L’autonomia
concettuale della fattispecie incriminatrice esalta, quindi, la differenza delle situazioni oggettive (anche volendo
prescindere dal peculiare elemento soggettivo).
Per il penalista restano, infatti, immutati i parametri di riferimento per affermare la ricorrenza dell’art. 216
comma 3 (223 comma 1) l.fall., e, dunque:
255
Cfr. ad es. ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Milano, 1993, 85; CONTI, Diritto
penale commerciale, II, Torino, 335; PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, 1957, 162.
51
- il pagamento che tende a favorire (a scapito della massa) il creditore, in qualunque momento esso
intervenga;
- la corretta rappresentazione e volontà del debitore/imprenditore;
- la successiva dichiarazione di insolvenza.
Potrà, quindi, darsi che l’azione del giudice penale – attesa la restrizione del periodo civilisticamente
sospetto - si sviluppi debordando dalle presunzioni civilistiche e potranno essere penalmente sanzionati fatti che
civilisticamente non sono, per espressa limitazione normativa, resi inefficaci quali sintomo o riscontro di
preferenzialità civile. Sìcchè, per questa via, la sfera penalistica eccede, superandola, la protezione civile
assegnata al fenomeno da nostro ordinamento.
Non si tratta di osservazioni astratte.
E’ del tutto logico presumere che nell’anno anteriore al fallimento (così essendo ridimensionato il periodo
sospetto per alcune ipotesi del nuovo art. 67 pp. l. fall.), soprattutto se la dichiarazione di insolvenza segua una
condotta dilatoria del debitore o una accorta strategia di ritardo nella istanza di fallimento (finalizzata al
consolidamento di privilegi) da parte del creditore, sia già maturata la tensione finanziaria che contrassegna la
preferenzialità l’atto estintivo di debito scaduto, con mezzo di pagamento inusuale (tutto ciò, per tacere della
più severa lettura che rileva nella soddisfazione di debito sprovvisto di tutela giuridica, come quello scaduto, i
tratti della fraudolenza).
Allo stesso modo il lasso di sei mesi dal fallimento è ambito assolutamente compatibile con l’indebita
preferenzialità verso il creditore soddisfatto nei pagamenti di atti a titolo oneroso (sempre che, in alcuni casi,
sia materialmente possibile pervenire alla dichiarazione giudiziale dopo sei mesi dall’istanza del creditore e –
quindi – concretarsi la possibilità di azione revocatoria).
Ma questa maggior potenzialità dell’intervento penale non sembra in sé avvertita dal legislatore
riformatore e pare piuttosto una causale conseguenza non del tutto soppesata, soprattutto da chi invoca la
riduzione dell’intervento repressivo rispetto alla disciplina dei rapporti fra privati.
Ed, invero, riesce francamente ostico immaginare la permanenza della punibilità di un imprenditore per fatti
solutorî che non rappresentano alcuna patologia di ordine negoziale.
L’esclusione della proponibilità dell’azione per alcune tipologie di
pagamento o di concessione di garanzie.
Ben diversa è la considerazione delle novità relative all’art. 67 comma 3° l. fall.
Qui il legislatore ha disposto una testuale esenzione dall’azione revocatoria rispetto ad atti solutori (o a
concessione di garanzie) effettuati dall’imprenditore che, successivamente si vedrà sottoposto a procedura
concorsuale. In prima approssimazione, proprio per la richiamata autonomia dispositiva della norma penale
dall’ordinamento civilistico, potrebbe rilevarsi la sostanziale indifferenza della nuova regolamentazione nei
riguardi dell’art. 216 comma 3 l.fall. Pertanto a questo riguardo il discorso è difficile e le osservazioni che
seguono vengono svolte con una qualche esitazione, per una meditazione non garantita da alcuna certezza.
D’altra parte la disorganica attività normativa di questi tempi non permette una lineare riflessione dogmatica e
non deve fare stupore che sia lecito desumere la modifica del contenuto di una disposizione incriminatrice (che,
tuttavia è posta a tutela delle ragioni creditorie) dalla riforma dell’azione civilistica (a difesa delle medesime
ragioni creditorie).
Ritengo che questa parte della riforma - nel momento in cui esclude l’inefficacia degli adempimenti delle
obbligazioni, elencati e tipicizzati in guisa oggettiva dal “nuovo” art. 67 comma 3° l. fall., sottraendoli alla
revocazione - elimina questi atti dalla sfera della violazione giuridicamente rilevante, anche con riguardo alla
tutela della “par condicio” dei creditori. Atti estromessi, conseguentemente, dalla sfera oggettiva della norma
penale (che tradizionalmente, come ho detto, si identifica con la tutela della “par condicio creditorum”).
Una obiezione a questa impostazione (chiaramente connotata da taglio pragmatico) potrebbe sottolineare
la intrinseca illegittimità del pagamento preferenziale e che l’azione revocatoria non è l’unico presidio a tutela
della “par condicio”, trovandosi censura allo stesso anche al di fuori di essa. La modifica del supporto
fallimentare non farebbe decadere l’autonoma disciplina penale (che mai menziona a “par condicio” tra i suoi
elementi costitutivi). Ribadito che il discorso attiene alla vicenda concorsuale, disciplinata dalla legge
fallimentare sia per quanto attiene all’azione revocatoria sia, soprattutto, per la bancarotta preferenziale (che da
essa è riempita di ogni contenuto e che, fuori da essa non rinviene alcun autonomo significato), è sicuramente
vero che la compressione subita dall'azione revocatoria non incide in sé sulla liceità del comportamento del
debitore che attui un pagamento preferenziale, quanto, piuttosto, nel sottrarre lo strumento a disposizione del
creditore per sua la tutela. Ma è anche certo che se - come ho cercato di rammentare - la protezione penale
dispiegata dall’art. 216 comma 3° è verso la cd. “par condicio creditorum”, la esclusione (e non la semplice
riduzione) dell’unica azione prevista (in sede concorsuale) per i creditori in relazione a determinate e tipicizzate
ipotesi solutorie, si traduce nell’assenza della potenzialità offensiva di siffatte condotte (da parte
52
dell’imprenditore assoggettato a procedura concorsuale), il rilevare una astratta possibile antigiuridicità non mi
pare di effettiva utilità interpretativa.
In altri termini, non mi riesce facile identificare altra normativa invocabile nel contesto della concorsualità a
presidio del privilegio del creditore da parte dell’imprenditore dissestato e, più esattamente, trovare quel
referente normativo che colori di illecito lo “scopo di favorire” il creditore, posto che ogni pagamento “in sé”
favorisce il destinatario.
Tale non è la revocatoria ordinaria di cui all’art. 66 l. fall. che – richiamandosi alla disciplina della revocatoria
ordinaria – trova applicazione – secondo la più accreditata opinione alla concessione di garanzie, condotta
esterna alla lettera dell’art. 216 comma 3 l. fall., o al pagamento del debito scaduto, comportamento che pare
inquadrabile nell’area della fraudolenza piuttosto che in quella della preferenzialità.
Soprattutto, non mi pare che l’eventuale nullità riconducibile alla generale previsione dell’art. 2741 cod. civ.
possa permanere a presidio del pagamento dell’imprenditore dissestato e soggetto a procedura concorsuale, a
fronte della specifica e peculiare normativa che è stata disposta, in chiave di inefficacia e non di nullità, dagli
artt. 67 e ss. con riguardo specifico a detta procedura.
Nè, infine, risulta applicabile una superiore disposizione di rango costituzionale (in termini di equitativa parità
di trattamento? o di tutela economica?) immediatamente precettiva.
Non è azzardato - allora - concludere (sia pure con le esitazioni che questo percorso ermeneutico, un po’
sbilenco, movendo dall’azione della revocatoria per definire il contenuto della norma incriminatrice) che
sottraendo l’azione al curatore, il legislatore ha anche eliminato l’obiettiva antigiuridicità dei pagamenti
tipicizzati all’art. 67 comma 3 l. fall. che, in quanto immuni da inefficacia e non più suscettibili di contestabile
soddisfazione per il creditore, non possono più a nessun titolo rappresentare una patologia rilevante ex art. 216
comma 3 l. fall.
In sostanza - pur in presenza di condotte che realizzano un privilegio per alcuni creditori e pur attuate in
un contesto di tensione finanziaria del debitore – la riforma ha espressamente creato una deroga alla normativa
che consentiva alla procedura concorsuale di ovviare agli effetti dannosi per la massa derivati dal pagamento ed
al giudice penale di ritenere l’imprenditore responsabile del detto pagamento (con l’eventuale concorso del
beneficiario, a condizione di una sua istigazione qualificata).
Osservazioni che pesano anche nell’accertamento dell’elemento soggettivo sostanziato nell’intento di
illecitamente favorire (fine specifico) il proprio creditore.
Del resto, così come alla legge è affidata l’indicazione dei crediti muniti di privilegio la cui
soddisfazione, per definizione, non implica né inefficacia nè, correlativamente, illecito penale, allo stesso modo
non sembra così anomalo (anche se meglio sarebbe stato un espresso intervento limitativo sulla norma penale
del tipo “non è punibile il fallito che esegue i pagamenti indicati dall’art. 67 comma 3°…”) la sottrazione,
disposta dalla legge, di questi atti solutori dalle premesse della fattispecie criminosa.
Il risultato a cui perviene la modifica dell’art. 67 comma 3° l. fall. si riflette non già in funzione di
esimente della condotta del fallito, bensì sulla connotazione anti-doverosa del “pagamento” operato
dall’imprenditore in difficoltà e che favorisce il destinatario, da lui eseguito.
Un’area di illiceità che viene tipologicamente ristretta dalla esenzione dettata dalla nuova legge. Né, per il
vero, questo risultato deve apparire così strano: in tutta la normativa penal/fallimentare gli elementi costitutivi
delle figure di reato dipendono dalla nozione risultante dalla disciplina fallimentare (si pensi alla nozione di
imprenditore, di fallito, dei suoi beni, di passività, di scritture contabili, di bilancio, di dissesto, di titoli di
prelazione, ecc.) La modifica della relativa fisionomia altera necessariamente il profilo della previsione
incriminatrice. Infine, opinare diversamente riesce sicuramente andare nel senso opposto alla intentio legis,
esito che – per il vero – l’attuale scoordinamento legislativo giustificherebbe ma, soprattutto, determinerebbe
una incomprensibile iniquità per l’imprenditore che, per esempio, abbia allestito un piano di risanamento, abbia
concluso accordi di ristrutturazione, abbia cercato di seguire il presente “trend” normativo propiziatore del
risanamento ed ostile alla drastica soluzione fallimentare e che poi si veda (egli soltanto e non i beneficiari
dell’operazione) condannato per la preferenzialità (con la possibilità che il Curatore si costituisca nel processo
parte civile ed ottenga quello che il giudice fallimentare non gli può riconoscere)!
Ovviamente, quale deroga alla generale disciplina, si tratta di esenzione esattamente plasmata sui confini
della lettera del “nuovo” art. 67 l. fall. Dunque la norma non potrà esser oggetto di interpretazione estensiva o
analogica, nel rigido rispetto delle priorità esplicitamente statuite dal legislatore.
Un’ultima osservazione: ove si acceda alla impostazione descritta ed in assenza di un espresso regime
transitorio, la modifica normativa non risulta foriera di una abrogazione rilevante ex art. 2 cod. pen. per la
condotte anteriori all’entrata in vigore della riforma. Infatti, non già la norma penale è stata variata, bensì una
componente ad essa esterna, di natura extra-penale e non direttamente integrativa della fattispecie, sì che non
mi pare davvero ipotizzabile la sua retroattiva efficacia liberatoria, per l’epoca anteriore all’entrata in vigore del
decreto legge (di poi convertito, sul punto, senza modifica).
Si tratta, cioè, di una successione di norme
53
integratrici del precetto penale le quali, pur influendo sulla punibilità della condotta, non sono espressamente
richiamate dalla norma penale né risultano assumere in essa una funzione costitutiva o concorrente ad
individuare la struttura essenziale della fattispecie astratta.
c6) Elemento soggettivo della bancarotta preferenziale.
La norma prevede la volontà di favorire taluno, quale dolo specifico (“a scopo di favorire, a danno dei
creditori, taluno di essi”), accompagnata dall'accettazione dell'eventualità del danno verso la restante massa
creditoria: una forma composita di volontà 256. Il suo contenuto, come già si è detto, si presenta, all’indomani
dlela riforma dell’azione revocatoria, sicuramente più nitido, venendo escluse espressamente le condotte
connesse ai tentativi (ovviamente, non andati a buon fine, attesa l’insorgenza della procedura concorsuale) di
risanamento dell’impresa e di ristrutturazione delle pendenze.
La determinazione esatta dell'elemento soggettivo é essenziale per circoscrivere una fattispecie penale
che ha una potenzialità, quanto all'ipotesi dei pagamenti preferenziali, di applicazione estesissima che, ove non
corretta da logica lettura, porta a risultati assurdi.
Infatti, la rappresentazione dell'alterazione della "par condicio" non può che comportare la prospettazione
di una procedura concorsuale e, quindi, la consapevolezza di una prossima o inevitabile dichiarazione di
fallimento. Invero, la rappresentazione che il pagamento di un creditore impedisca o limiti assai il
soddisfacimento di altri, non sta a significare – implicitamente – la coscienza di una situazione di tensione
finanziaria sostanzialmente prossima alla crisi irreversibile (salvo apporti esterni) e, dunque, la consapevolezza
di un quadro certamente patologico. Sicchè, a ben vedere, il quadro di un possibile danno ai creditori è – in
questa situazione – sostanzialmente immanente. Ciò che, invece, riesce più problematico e nient’affatto
scontato è l’esistenza di un effettivo intento di favorire un solo (o pochi) creditore e non – indirettamente –
anche gli altri.
Invero, la prova sull'elemento soggettivo deve rigorosamente rappresentare una volontà di
favoreggiamento del creditore (o di un piccolo novero), circostanza che - seguendo la più avvertita
giurisprudenza 257 - non si verifica ove l'imprenditore agisca nell'intento di allontanare la procedura
fallimentare, cercando respiro nella difficile crisi finanziaria, nell'ottica di provvedere al pagamento di tutti i
creditori, una volta superata la difficoltà (purché questo convincimento sia rigorosamente dimostrato 258).
Basti tenere presente la quotidiana prassi di preferenzialità insita nell'abbandono dell'istanza di fallimento
(sovente davanti al tavolo del giudice che interpella il fallendo) da parte del creditore, per valutare la
irragionevolezza di una incriminazione estesa che potrebbe paralizzare la ricerca della soluzione di ogni crisi
aziendale.
In realtà, nella prassi giudiziale, questa prova discende dalla dimostrazione di ragioni concomitanti, esterne alle
logiche di impresa, che rendono il preferito persona co-interessata al debitore, per es. un parente, un amico, un
socio in altro affare, un finanziatore del fallito ma in altre sue attività, ecc. 259
256
Dottrina prevalente: ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Milano, 1993, 88; CONTI,
Diritto penale commerciale, II, Torino, 25; LA MONICA, cit, 324; COCCO, La bancarotta
preferenziale, 1987, 223 e ss.; NUVOLONE, cit., 242, BRICCHETTI/TARGETTI, Bancarotta e reati
societari, Milano, 1997, 81; ecc. Giurisprudenza costante. Cfr. fra le molte, da ultimo, Cass., Sez. V,
22.8.2001, Apicella, Guida dir. 41/2001, 93, Cass. Sez.V, 15.4.1998, Calabro, Cass. pen., 1999, 1957
(fattispecie di vendita dell’unico immobile societario, al fine di soddisfare la pretesa di uno solo dei
creditori), Cass., Sez. V, 15.4.1998, De Stasio, Cass. pen., 2001, 289; Cass. Sez. V, 10.9.1998,
Bertoni, Cass. pen 2001, 289; Cass. Sez. V, 28.5.1991, Martelli, riv. trim. dir. pen. ec., 1991, 1235,
ecc. Ritiene, al contrario, un dolo diretto di danno, PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 124
257
La Giurisprudenza della SC. ha, da ultimo, accolto la convinzione che la volontà di pagamento,
tesa alla ripresa dell’attività d’impresa e con la seria convinzione di pervenire ad un soddisfacimento
di tutte le pendenze debitorie, non realizzi il dolo specifico della preferenzialità, cfr. Cass., Sez. 5,
24.6.1992, Accardi, riv. trim. dir. pen. ec., 1993, 1182; Cass., Sez. V, 16.6.1985, Oddi, Cass. Sez. V,
19.3.1982, Zanca, Giust. pen., 1983, II, 358; Cass. pen., 1987, 322; Cass., Sez. V, 3.7.1973, Venditti,
Cass. pen. 1974, 2081, ed innovando, invece, relativamente ad es. a Cass., Sez. 5, 30.5.1979,
Brandinelli, Cass. pen. a pag. 1464 e, pur non escludendo in linea astratta la possibile ricorrenza, nel
caso concreto di volontà di illecita preferenza, Cass. Sez V, 31.1.2000, Sigliano, Dir. prat. soc.,
9/2000, 82, Cass. Sez.V, 27.9.1984, Massarutto, Giust. pen., 1985, II, 625
258
cfr. BRICCHETTI/TARGETTI, cit., 82; PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 122.
259
Si conoscono i casi del pagamento dei debiti garantiti da persona amica al fine di liberare questa
dal gravame di garanzia. Si ipotizza, ancora, il caso dello stesso imprenditore che – per il tramite di
54
d) L’art. 222 l. fall.: il fallimento del socio illimitatamente responsabile.
Nel caso di socio illimitatamente responsabile in seno alle società collettive o alle accomandite di persone
260
, la persona che viene dichiarata fallita a mente dell’art. 147 l. fall., anche se priva della qualità di
imprenditore 261.
Persona, dunque non propriamente collocabile nel novero dei soggetti della bancarotta propria ma non
necessariamente inseribile nel novero degli “amministratori” di cui all’art. 223/224 l. fall., la appartenenza del
bene determina la configurazione della bancarotta propria, ove i beni appartengano (“suoi beni”) al suo
patrimonio (art. 222 l. fall.) o impropria, se essi siano della società, concorrendo la qualifica di amministratore
(art. 223 l. fall.) 262 Di qui, secondo prevalente opinione, la funzione dell’art. 222 l. fall. di estensione della
norma penale/fallimentare, operazione che – altrimenti –sarebbe stata resa impossibile dalla carenza del
requisito di imprenditore. 263
Qualità, al tempo stesso, sancita dal giudice fallimentare in seno alla dichiarazione di insolvenza e che, tuttavia,
nella recente lettura della giurisprudenza dell’art. 3 cpp. (v. retro quanto affermato al riguardo) dovrebbe
ritenersi valutabile, anche in senso difforme dal giudice penale.264 Parimenti, seguendo questa lettura
processuale, la sussistenza di residue obbligazioni in capo al socio receduto o escluso, al momento del suo
allontanamento dall’organismo societario, momento fondante della responsabilità dell’imputato di bancarotta,
potrà essere oggetto di autonoma valutazione del giudica penale, riguardando l’oggetto e la condotta dell’autore
del fatto.
Secondo altri, si avrà l’applicazione dell’art. 222 l. fall. quando il soggetto non abbia svolto
effettivamente attività gestoria, diversamente egli risponderà dell’art. 223 l. fall. (per i beni sociali, ferma
restando l’illimitata responsabilità per i beni personali). 265 Tesi che si impone per la fattispecie
interposizione fittizia – sgravi l’interponente dalla responsabilità debitoria, per un diretto e personale
tornaconto.
260
Sono escluse dalla norma le posizioni dei soci di soc. in accomandita per azioni, secondo la
prevalente dottrina, cfr. ANTOLISEI, Manuale Leggi complementari, 1993, 137; LA MONICA,
Manuale di diritto penqale commerciale, Milano, 1993, 439, CONTI, Diritto penale commerciale, II,
Torino, 1991, 198, SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 282, ecc. Nel contesto
dell’art. 222 l.fall., invece, è compreso anche il “socio di fatto” di una impresa (apparentemente)
individuale, poiché la situazione dà vita ad una società irregolare disciplinata con le regole proprie
delle soc. in nome collettivo. Cfr. PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 244; CARRERI, cit., 208 e ss.; sul
punto la giurisprudenza è costante: Cass., Sez. V, 23.5.69, Giur. It., 1971, II, 72; Cass., Sez. V,
5.2.1968, Cass. Pen., 1968, II, 969, ecc. Altra ipotesi è quella dell’accomandante ingeritosi nella
gestione sociale: la dichiarazione di fallimento in proprio estende a costjui la veste di socio
illimitatamente responsabile; diversamente, opererà, con riguardo all’art. 223 l. fall., la figura di
amministratore di fatto, cfr. Cass., Sez. V, 29.9.1983, Totano, Riv. pen., 1984, 648; Cass., Srez.V,
1.12.1994, Menabò, Cass. Pen., 1994, 2546, ecc.
261
Nei casi di procedure liquidatorie, la riforma dell’art. 203 l. fall. attuata dal d. lg. 8.7.1999, n. 270,
ha semplificato assai la materia ed i dubbi che vi erano in tema di responsabilità dei soci ex art. 222 l.
fall., estendendo ad essi la parificazione dell’imprenditore individuale. Essi, pertanto, rispondono
anche in relazione alla distrazione dei beni personali. Sul punto, prima della riforma, v. per tutti la
rassegna in CONTI, I reati fallimentari, 1981, 413 e ss.
262
E’ diffuso convincimento che l’art. 222 l. fall. serva a colmare una lacuna sistematica derivante
dalla peculiare figura di questo fallito. Pertanto la disposizione attiene all’area della bancarotta
propria, mentre le condotte lesive del patrimonio societario dovrebbero ricondursi all’area della
bancarotta impropria. Così ANTOLISEI, cit., 140; PEDRAZZI/SGUBBI, cit., 243, MANGANO, cit.,
90, ecc. In giurisprudenza: Cass., Sez. V, 7.2.1994, Cumani, Cass. Pen., 1994, 2542; Cass., Sez. V,
1.2.1994, Santopietro, Cass. Pen., 1994.
263
PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 241; MANGANO,
Disciplina penale del fallimento, Milano, 1993, 74, ecc.
264
Argomento che risulta di estremo rilievo nelle frequenti ipotesi di estensione del fallimento al
“socio di fatto” dell’imprenditore apparentemente individuale.
265
cfr. CONTI, cit..210, fa dipendere dalla mansione amministrativa anche la responsabilità ex art.
223 l. fall., sia o meno esistente in capo al socio illimitatamente responsabile, salva, in ogni caso, la
previsione dell’art. 222 l. fall. per il comparto afferente al patrimonio personale,. E’ opinione
concorde, in ogni caso, che il socio illimitatamente responsabile è tenuto a rispondere penalmente per
entrambi i pregiudizi, verso i creditori sociali e per i creditori personali: cfr. Cfr. CONTI Dir. pen.
55
dell’accomandita per azioni non espressamente considerata dalla norma (e che diversamente non rinverrebbe
disciplina punitiva), poiché egli è di diritto amministratore dell’organismo e per il quale la responsabilità ha
riferimento alla sola bancarotta impropria.266
E’ ritenuto che la penale responsabilità del socio illimitatamente responsabile possa affermarsi soltanto
con riguardo ad alcune fattispecie di bancarotta: non potrebbe, per esempio, imporsi l’obbligo della tenuta della
documentazione a chi, come il socio “non imprenditore” o “non amministratore”, non è tenuto al dovere
documentale per il movimento degli affari del suo patrimonio.267
Richiamo quanto detto dianzi: la consumazione del delitto per il socio dipende dalla propria dichiarazione di
fallimento, non da quella relativa alla società. 268
e) La bancarotta fraudolenta impropria (art. 223 l. fall.)
e1) Premessa. I soggetti.
All’inizio ho segnalato che la nozione di questa figura di reato – a fronte della bancarotta propria - ruota
sulla diversa titolarità dei beni, oggetto materiale del reato, rispetto al soggetto attivo. Così i beni e la
documentazione appartiene ad una società. 269 L’autore del delitto agisce quale delegato dell’organismo, sia egli
amministratore sia institore.
E, dunque, occorre innanzitutto indicare i soggetti.
Essi sono indicati gli amministratori (ovviamente anche quelli “di fatto”), i direttori generali 270, i sindaci
271
, i liquidatori di società dichiarate fallite (o, per l’estensione dell’art. 236 comma 2 n. 1, ammesse a procedure
comm., II, 46/48; LA MONICA, Dir. pen. comm., 420 ; ROVELLI, Disciplina penale dell’impresa,
234. In tal senso anche ROCCO DI TORREPADULA, cit. Cass. pen., 12.2.1968, Giust. pen. 1968, II,
694; Cass. pen., 18.12.1970, Giust. pen-., 1971 II, 826 e, soprattutto, Cass. 12.3.1987, Riv. trim. dir.
pen. ec., 1988, 940.
266
Può essere interessante segnalare (anche se l’argomento ha ormai perso di attualità) che Cass., Sez.
V, 7.11.2004, Pianelli, n. 44588, ha ritenuto che si abbia penale responsabilità in seno alla procedura
della legge 95/79 (cd. Legge Prodi) anche nel caso che l’accomandatario distragga o occulti beni
personali. Decisione che ritiene sottesa all’art. 203 l. fall. (a cui la norma speciale rinvia) la
fattispecie di anche distrazione di beni del proprio patrimonio e non soltanto di quello societario. I
dubbi interpretativi al proposito sono fugati dalla riformulazione portata dall’art. 95 del D. L.vo
270/99 (confermato dalle riforme successivamente intervenute nel settore della amministrazione
straordinaria della grandi imprese in crisi).
267
ANTOLISEI, cit., 141; LA MONICA, cit., 383. Cass. Sez. V, 18.11.1980, Zibetti, Cass. Pen.,
1982, 1070; Cass., Sez. V, 8.2.1978, Frascarelli, Riv. Pen., 1978, 426; ecc,
268
Cfr. da ultimo Cass., Sez. V, 19.3.99, Ballerini, Cass. Pen., 2001, 298. Dal che discende che
l’amnistia potrà estinguere i delitti afferenti alla dichiarazione di fallimento della società, ma non
quelli connessi alla dichiarazione individuale del socio, ove essa intervenga in un momento esterno e
successivo al provvedimento di clemenza. La C. Cost. ha ripetutamente escluso profili di
irragionevole disparità di trattamento nella previsione normativa che rende autonome le vicende
fallimentari di soci e di società: cfr. C. Cost. 27.6.72, n. 110, Foro It., 1972, I, 1902; C. Cost. 27.7.82,
n. 146, Foro It. 1982, I, 3006, ecc. In Dottrina, DI AMATO, Diritto penale dell’impresa, Giuffré,
1995, 183; PEDRAZZI/SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995,
253; CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 66; PADOVANI, Bancarotta semplice
documentale del socio occulto ed amnistia, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, p. 686; CONTI, I reati
fallimentari., Utet, 1991, 139; GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali,
Giuffré, 1991, 17.
269
La premessa è, dunque, la dichiarazione di insolvenza di una società di capitali, non di altre forme
associate, come fondazioni, associazioni, ecc.
270
Non vi è stata espressa estensione nella norma della riforma portata dalla legge 262/05 cd. “sul
risparmio” che ha creato la nuova figura dei “dirigente preposto alla redazione dei documenti
contabili societari”: il divieto di analogia esclude che si possa ritenere compresa questa categoria nel
novero soggettivo della bancarotta impropria. Tuttavia, avuto riguardo alla generale nozione di
direttore generale l’espressione “preposto” consente di inquadrare nella detta categoria questo nuovo
soggetto. In ogni caso può soccorrere lòa fattispecie dell’art. 110 cp.
271
Nulla è detto, per il succedersi delle riforme nel tempo, tra loro scoordinate, circa la responsabilità
dei “dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari”, figura introdotta dalla legge
262/05; ma la disposta parificazione alla responsabilità degli amministratori, li inserisce nel naturale
novero dei soggetti propri della fattispecie.
56
“minori” o speciali, a seguito delle dichiarazioni di insolvenza su cui si è dianzi discorso) nonché, in forza
dell’art. 227 (e art. 236 comma 2 n. 2), l’institore.272
Non è contemplata l’indicazione del curatore o del Commissario, pur essendo egli potenziale concorrente del
debitore (per lo più in condotte di bancarotta post-fallimentare). La responsabilità di questo organo (pubblico
ufficiale) è disciplinata dagli artt. 228 e ss. l. fall. e dall’art. 96 D. Lvo 270/99.273
Ovviamente l’apporto al risultato illecito può variare di volta in volta: è, però, certo che esso si attaglia
soprattutto alla funzione svolta da ciascun soggetto societario. Per es. i sindaci potranno più facilmente
rendersi responsabili del delitto mediante una omissione rispetto ai loro doveri di vigilanza. 274
Così come è certo che la responsabilità si focalizza al soggetto che, al momento dell’azione, riveste la
qualità “propria”, non alla data della dichiarazione di insolvenza: discorso che, tuttavia si appalesa astratto, per
i più ricorrenti casi di prova della distrazione fraudolenta che, come dianzi detto, spesso ha carattere induttivo e
sovente non riesce a collocare temporalmente il maturare del disavanzo ingiustificato. Al riguardo
l’accertamento deve esser severo e non ancorato a presunzione di sorta (e per il quale l’onere dimostrativo a
carico dell’inquisito - seguendo l’indirizzo giurisprudenziale sopra descritto - non ha vigenza) 275. Le
dimissioni dalla carica non escludono responsabilità per pregressi illeciti.
La presenza di organi collegiali fa sì che, per quanti non siano diretti artefici dell’azione illecita, sussista
pur sempre la possibilità di penale responsabilità in forza dell’art. 40 cpv. cod. pen. (avente come parametro gli
artt. 2392 per amministratori e direttori generali, art. 2407 cod. civ. per i sindaci) nei confronti dei colleghi
autori del fatto.276
e2) La struttura dell’art. 223 l. fall.
L’attuale testo della norma presenta la seguente ripartizione, una volta elencati i soggetti qualificati a cui
si riferiscono le figure criminose,
- comma 1:
che dispone rinvio ai fatti penali descritti dall'art. 216 l. fall. (bancarotta fraudolenta patrimoniale,
documentale e bancarotta preferenziale);
- comma 2 n. 1:
La fattispecie è stata significativamente modificata dall’art. 4 del d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61 che ha
tentato di creare un espresso collegamento eziologico tra condotta e fallimento.
272
Nel caso di fusione tra società per incorporazione, suscettibile di responsabilità penale è il
soggetto della società incorporata entro un anno (cfr. art. 10 l. fall.) dalla cessazione delle relative
attività di gestione, secondo Cass. Sez. V, 14.11.2002, Palatesi, n. 38230. Per il vero, attesa la
consequenzialità causale nella lesione dell’interesse tutelato (la garanzia per i creditori) non pare del
tutto corretto porre limitazioni cronologiche alla fraudolenta diminuzione dell’asse attivo, in assenza
di espressa previsione penale, quando l’esito del comportamento illecito si rifletta quantitativamente
nella insolvenza dell’organismo frutto di fusione.
273
Cfr. di recente Cass. Pen., Sez. V, 4.3.2003, IDEP SA., n. 20076.
274
Cfr. CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 244 e ss.; PEDRAZZI/SGUBBI, Reati
commessi dal fallito, Comm. Scialoja Branca, 1995, pag. 286 e ss.; STELLA/PULITANO’, La
responsabilità penale dei sindaci nelle società per azioni, Riv. trim. dir. pen. ec., 1990, 569, ecc. In
giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. V, 21.11.1989, Piras, Cass. pen., 1991, I, 2046; Cass. Sez. V,
26.6.1990, Bordoni, Riv. trim. dir. pen. proc., 1991, 262; Sez. Sez. V, 28.1.1991, Cultrera, Cass. pen.,
1991, I, 1850. Cass., Sez. V, 14.7.12998, De Benedetti, Cass. pen., 1999, 651 e ss., ha affermato che
l’obbligo i vigilanza non si esaurisce nel controllo formale del dato contabile o documentale ma, nei
limti dell’art. 2407 cod. civ., deve estendersi anche al merito, nel senso del vaglio di legittimità; così
anche Cass., Sez. V, 26.6.1990, Bordoni, Cass. pen., 1991, 828 e ss. Sul ruolo dei Sindaci
ALESSANDRI, Voce Impresa, Dig. pen., Vol. VI, Utet, 1992, 193 e ss.; ROSSI VANNINI, La
responsabilità degli amministratori e dei sindaci, Trattato di diritto commerciale a cura di Galgano,
Cedam, 1994, 305 e ss., CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 244 e ss.
275
Cfr. al riguardo SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 153.
276
Importante è per gli organi collegiali la delega di funzioni ched riesce liberatoria per il delegante
quando questi – oggettivamente impossibilitato a controllare l’intero comparto gestorio della società –
abbia fornito il delegato (persona capace e competente) sia di strumenti cognitivi, sia di mezzi
economici e giuridici per opporsi e rimediare alle eventuali condotte anti-doverose. Cfr. LA
MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 158.
57
La norma punisce chi ha cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei
fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile 277.
- comma 2 n. 2:
che descrive una fattispecie connotata da dolo preordinato o da “operazioni dolose”.
e3) Comma 1°. Il rinvio ai fatti descritti dall'art. 216 l.
fall.
Non vi sono seri problemi in merito al rinvio delle fattispecie obiettive, salvo che:
- qualche difficoltà nella pratica può ravvisarsi nell'addebito ad alcune categorie di soggetti di quelle
condotte, soprattutto con riferimento ai sindaci i quali non hanno potestà dispositiva e di gestione (salva
l'eccezionale ipotesi dell'art. 2386 uc. cod. civ.), ma di vigilanza e di controllo, per cui ad essi sarà
maggiormente ascrivibile (salva la prova di un concorso ex art. 110 cod. pen.) una responsabilità per omesso
controllo ex art. 40 cpv. ovvero se siano attribuiti mansioni di amministratori di fatto.278
la notazione “suoi beni” deve intesa come beni della società o del preposto all’institore; analogamente
può dirsi la documentazione contabile e per i crediti preferenzialmente soddisfatti.
e4) Comma 2 n. 1 : la bancarotta da reato societario.
Contiene un rinvio ad alcune figure di reato, in sé già perfette. Il fallimento ad esse nulla aggiunge, se
non l’effetto di aggravamento della pena. Ma non già all’intera fattispecie di reato, bensì ai “fatti” in essa
descritti (“…alcuno dei fatti previsti dagli articoli …”).
Il rinvio é tassativo.
L'inclusione in seno alla fattispecie di bancarotta di queste figure di reato determina - secondo il costante
insegnamento della S.C. - il sorgere di una nuova fattispecie, autonoma dalle norme richiamate, in cui la
dichiarazione del fallimento della società si palesa elemento costitutivo. In particolare é escluso che l'art. 223 n.
1 l. fall. rappresenti una ipotesi aggravata.
L’aggiunta, frutto della recente riforma, di un evento di danno unifica in un solo contesto le plurime
possibili condotte.
Mentre la precedente disposizione incriminatrice non pretendeva, per l’integrazione del reato fallimentare, che
il “fatto” di cui al reato societario cagionasse, ovvero concorresse a cagionare, il dissesto 279, oggi si impone:
la consequenzialità tra il fatto costitutivo del reato societario e l’evento, mentre in passato – anche in
conseguenza di una rigida lettura giurisprudenziale maggioritaria, si era esclusa la necessità della prova di un
nesso causale tra il fatto e la dichiarazione di fallimento della società;
la rappresentazione dell’evento come esito della illecita condotta (oltre che la rappresentazione del fatto
causativo del dissesto).
il rapporto di continuità con la precedente normativa e l’eventuale effetto abrogativo delle vecchie
fattispecie discendente dall’art. 4 del D. L.vo 61/02.
277
Tra i primi commenti, v. BRICCHETTI, Bancarotta impropria: a rischio i fatti del passato, in
Guida dir. 16\2002, p. 84; LANZI, La nuova bancarotta fraudolenta per precedente reato societario, in
Dir. prat. e soc. 10\2002, p. 18 ss.; PUTINATI, La nuova bancarotta “societaria” imputazione oggettia
e soggettiva, ivi, 11\2002, p. 12 ss.; BRICCHETTI, La riforma dei reati societari modifica la
fisionomia della bancarotta societaria, in AA. VV., La riforma del falso in bilancio, ivi, Le
monografie 2002, p. 34 ss.; PULITANO’, Commento a Cass. pen. sez. V, 21 maggio 2002, Fabbri, e
ad altre decisioni di giudici di merito, in Dir. proc. pen. 2002, p. 1121; TROYER, La nuova fattispecie
di bancarotta “da reato societario” , in Riv. dott. comm., 2000, p. 773 ss.; MANGIONE, La bancarotta
fraudolenta impropria; in AA. VV., I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di GIARDA –
SEMINARA, Padova 2002, p. 609 ss. CADOPPI, cit., p. p. 256 ss.; MUCCIARELLI, La bancarotta
societaria impropria, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società, a cura di ALESSANDRI,
Milano 2002, p. 443 ss.; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, pag. 8 e ss.), ecc.
278
Cfr. Cass. Sez. V, 14.6.2004, Soppracone, n. 26628, in Guida al Diritto, 2004, n. 35 pag. 73, a
proposito della responsabilità dell’amministratore di diritto verso gli atti dell’amministratore di fatto.
279
La nozione di dissesto è propria della scienza commercialistica e riguarda le ragioni e le premesse
logiche dell’insolvenza: uno squilibrio tra attività e passività ovvero una “impasse” nel possibile
realizzo delle prime onde appianare le seconde. Per l’esperienza penalistica i termini “fallimento” e
“dissesto” sono sostanzialmente equiparati, anche se risulta evidente che si tratti di nozioni
ontologicamente difformi, non foss’altro che per la possibilità di graduare (cfr. art. 217 n. 4 e per lo
stesso testo che si commenta) quantitativamente il dissesto (mediante aggravamento), ipotesi non
praticabile per il fallimento che si profila come un fatto formale, cristallizzato in un provvedimento
giurisdizionale.
58
Fermo restando che la possibilità di ravvisare la fattispecie di bancarotta esige non già il dato
naturalistico del “dissesto”, bensì il provvedimento giudiziale della dichiarazione di fallimento (“società
dichiarate fallite”).
e5) Il rinvio ai fatti di reato.
Le figure di reato richiamate 280 in seno all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. sono state scelte tra “i reati
societari dolosi che, seppur con diversa oggettività giuridica, siano armonicamente riconducibili nella tipicità
della bancarotta fraudolenta, in ragione di una parziale omogeneità di offesa …. nei quali la
strumentalizzazione dei meccanismi societari sia rivolta contro le ragioni creditorie, per converso escludendo
quei reati – già previsti nel codice civile del 42 – che, non presentando alcuna affinità offensiva con l’articolo
223, non meritano considerazione al fine di una tanto più severa previsione punitiva”. Operazione assunta al
fine di ovviare alle critiche mosse all’abrogata disposizione che presentava – al riguardo – significativa
discontinuità tra alcune fattispecie e l’oggetto della tutela penale fallimentare.
Pertanto, la scelta è caduta sulle norme a tutela dell'integrità del capitale sociale (art. 2632, 2627 cod.
civ.) o della indiretta protezione delle ragioni creditorie anche attraverso la tutela dell'integrità del capitale (art.
2626, 2628, 2629 e 2633 cod. civ.); ovvero le norme a protezione della corretta informazione sociale (art. 2621,
2622) per le quali esiste qualche dubbio su una immediata pertinenza al bene giuridico della bancarotta (v.
infra); infine, i reati a presidio dell’integrità del patrimonio sociale (art. 2634 cod. civ.) 281
E’ interessante osservare che alcune figure (es. l’art. 2621) prescindono da risultato dannoso (chè, anzi,
per questa via si distingue dall’art. 2622), ma che – a seguito dell’operazione normativa praticata in seno all’art.
223 comma 2 n. 1 l. fall. – vengono ad acquistare una finalizzazione di sicuro pregiudizio per la categoria dei
soggetti tutelati, cioè i creditori, tale essendo il dissesto per le conseguenze che da esso discendono (anche
nell’ipotesi che, al termine della procedura taluno o anche tutti costoro risultino soddisfatti, in considerazione
del ritardo rispetto alla soddisfazione discendente dal tempestivo adempimento).
Si è già detto che la norma dell’art. 223 comma 2 n. 1 richiama “i fatti” sottesi alle norme penali
societarie, con ciò allineandosi alla precedente tecnica normativa che qualificava il “vecchio” art. 223 comma 2
n. 1: dunque, un richiamo ai profili qualificanti, anche psicologici, come definiti dalle norme del codice civile
282
, in sostanza alla “tipicità” del reato, cioè al compendio elementi del fatto, inteso come l’offesa al bene
protetto.
Non un rinvio alla formale fattispecie penal/societaria ma, per così dire, al suo contenuto 283, il che comporta la
necessità di attente verifiche interpretative. 284 Letture che, per la gran parte, dipendono da difformi
280
Il rinvio alle fattispecie del codice civile é rivolto non all'originaria formulazione normativa, ma al
dato prescrittivo vigente al momento del fatto, qualora fossero eventualmente intervenute modifiche.
281
Come ogni scelta discrezionale, anche questa attuata dal D. L.vo 61/02 presenta aspetti lacunosi,
come il mancato richiamo dell’art. 2635, omogeneo nella sua sfera protettiva all’art. 2624; oppure, le
violazioni dell’art. 2623 anch’esso a tutela dell’informazione, ecc. Ma, come dirò oltre nel testo, per
molti versi il dato di illiceità prescinde, nella pratica applicazione della complessiva fattispecie, dalle
singole tipicizzazioni normative, potendosi agevolmente richiamare a condotte di più ampia portata,
contenute nel testo dell’art. 223 l. fall. Così come mette conto segnalare che non è neppure
richiamata la frode fiscale.
282
Cfr. PEDRAZZI in PEDRAZZI – SGUBBI, p. 311; analogamente, MEZZETTI, Il problema del
rinvio nella bancarotta impropria commessa per mezzo dei reati societari, in Giust. pen. 1990, II, p.
291.
283
Per es. rettamente Cass., Sez. V, 27.3.2003, Bartolucci ed altro, n. 25510, Cass. pen., 2004, 2982,
ha ritenuto al continuità normativa tra il “vecchio” art. 2623 cod. civ. e la nuova disposizione dell’art.
2625 cod. civ. nella parte in cui essa mantiene rilievo penale, cioè di comportamento foriero di danno
per i soci. A tal segno è marcata la distinzione tra richiamo ai reati e richiamo ai fatti, con la
configurazioni di due autonome e distinte figure criminose, che Cass. Sez. V, 21.1.1998, Dal Moro, in
Cass. pen., 2001, 300 (prima della riforma penal/societaria), riteneva possibile il concorso tra la
bancarotta da reato societario ed i singoli reati societari (contra, Cass. Sez. V, 28.5.96, Schillaci, Cass.
pen., 2001, 1998, 650; in dottrina il parere contrario era prevalente, cfr. NAPOLEONI, I rati
societari, Vol. III, Giuffrè, 1996, 451, nel senso dell’assorbimento della fattispecie “minore” in quella
più grave, fallimentare)
In Dottrina, nel senso del testo, IZZO, Quel che resta dei reati societari, in Il Fisco, 2002, 4208,
contra, SANTORIELLO, Il nuovo diritto, cit., 300; SCIUMBATA, I reati societari, in La riforma del
diritto societario a cura di Lo Cascio, Milano, 2002, 56; BERNAZZANI, I nuovi reati societari, a
cura di LANZI-CADOPPI, Padova, 2002, 69..
59
impostazioni giuridiche: per es. secondo alcuni esso non annovererebbe il momento soggettivo 285, mentre per
altri – in una visione più condivisa - esso comprende tutti i segmenti descrittivi della fattispecie, incluso
l’evento, il nesso causale 286, i profili della condotta, l’oggetto materiale (ivi incluse le soglie di rilevanza
quantitativa, nelle fattispecie di false comunicazioni sociali, integrando esse la definizione dell’offesa
penalmente rilevante 287).
A ben vedere, il rinvio disposto dall’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. comporta che si vengano a
sommare gli esiti della tutela del bene giuridico protetto dal reato societario con quelli (essenzialmente
l’interesse patrimoniale dei creditori) propri dalla fattispecie fallimentare. Anche per ciò che attiene al
momento soggettivo al dolo della disposizione societaria occorre presupporre il dolo del dissesto.
285
MARINUCCI – DOLCINI, Corso di diritto penale, Milano 1999, p. 477.
286
Cfr. sul rilievo del nesso causale GAMBARDELLA, Il nesso causale tra i reati societari ed il
dissesto nella “nuova” bancarotta fraudolenta impropria, ecc., Cass. pen., 2003, 91,nota a Sent. Cass.,
Serz. V, 8.10.2002, Tosetti, Cass. pen., 2003, 82.
287
cfr. CADOPPI, cit., p. 280; PADOVANI, Il cammello, cit., pag. 1603, nega che le soglie in
discorso siano assimilabili a cause speciali di esclusione dell’antigiuridicità (o cause di mera non
punibilità) mancando il tipico conflitto tra un fatto illecito e la situazione esimente, poiché
l’esposizione di un dato falso mantiene pur sempre i connotatati di infedeltà, tant’è che detta soglia di
rilevanza non esplica alcun effetto al di fuori della norma penale (risultando censurabile
civilisticamente il bilancio che è affetto da falsità in misura inferiore al limite degli artt. 2621/2622).
Né le inquadra nella categoria delle cause di mera non punibilità, dettata da motivi eterogenei alla
tutela penale, poiché esse rinvengono il loro omogeneo riferimento proprio nel fatto tipico descritto
dal legislatore. Dunque, secondo l’A, esse descrivono il limite al di sotto del quale non si rinviene “il
minimo quantitativo di rilevanza offensiva giudicato imprescindibile per la qualificazione dell’illecito
come ‘penale’”. Quindi, un limite oggettivo delle figura criminosa ed attinente alla tipicità del fatto.
Nel solco della tipicizzazione del fatto, si colloca DONINI, Abolitio, cit., 1248. Osservazioni
certamente aderenti alla convinzione del legislatore, ma che dovrebbero pur confrontarsi con la (non
facilmente spiegabile) circostanza per cui al di sotto di queste soglie non esiste l’assoluta indifferenza
penale, ma – al contrario - il rilievo alla luce dell’art. 2624 con riguardo al medesimo strumento
informativo che costituisce – si osservi – l’identico oggetto materiale del falso in bilancio. Pertanto,
ritenendo che la curiosa distonìa normativa supponga un più severo trattamento per quanti siano stati
posti a garanzia della verità societaria, va pur detto che il consapevole mendacio nei documenti di
bilancio ed assimilati è un fatto ontologicamente illecito non soltanto per il versante civile, ma anche
per quello penale. Dunque, la soglia si qualificherebbe come esterna al disvalore del fatto ed
assimilabile maggiormente ad una causa esimente di responsabilità. In una posizione analoga a
quanto qui sostenuto, cfr. PULITANO’, False comunicazioni, cit., pag. 162.
ALESSANDRI, Il danno, cit., pag. 812, che le indica “quali elementi costitutivi del reato che devono
normalmente essere investiti dal dolo” e che esclude il richiamo alle condizioni oggettive di punibilità
(come sembrerebbe, invece, opinare SEMINARA I nuovi reati, cit. con allusione alle fattispecie
penal/tributarie, analogamente a PISTORELLI, Quattro figure contro il contribuente infedele, Guida
al Dir., 2000, 14, 60); DONINI, Abolitio, cit., pag. 1244, il quale distinguendo due momenti di
giudizio sulla rilevanza, attribuisce alle soglie di cui si discorre nel testo escludendo la tipicità del
fatto e la stessa antigiuridicità alle soglie (mentre causa di non punibilità, che non esclude la tipicità
della figura criminosa, ma agisce esclusivamente sulla pena, si potrebbe leggere quando il mancato
superamento delle soglie derivi da situazioni sopravvenuti alla originaria condotta); FOFFANI, La
nuova disciplina, cit., pag. 292 e ss. E, più esattamente (pag. 1248), con l’eccezione dei bilanci (di
natura straordinaria, a carattere infrannuale, connessi alla distribuzione per acconti del dividendo,
ecc.) succedentisi nel tempo e con possibile condizionamento della soglia per eventi futuri ed incerti,
per i quali il limite del 5% del risultato economico si qualificherebbe come condizione obiettiva di
punibilità (cfr. anche FOFFANI, La nuova disciplina, cit., pag. 293); SANTORIELLO, op. cit., pag.
65. In Giurisprudenza non può trascurarsi quanto espressamente dichiarato da C. Cost. Sent.
26.5/1.6.2004, n.161 secondo cui, segnalando la impossibilità di disporre l’invocato intervento
ablativo della norma, risolvendosi esso nella violazione dell’art. 25 Cost., così si esprime al riguardo
(essendo stato devoluto come motivo di incostituzionalità anche questo profilo) “alla stregua
dell’opinione largamente maggioritaria, le soglie di punibilità contemplate dall’art. 2621 cod. civ.
integrano requisiti essenziali di tipicità del fatto … ma … neppure qualora si aderisse alla tesi
minoritaria che assegna alle soglie il ruolo di condizioni di punibilità … si tratta, comunque, di un
elemento che “delimita” l’area di intervento della sanzione prevista dalla norma incriminatrice …”
284
60
Concordemente sono escluse dal richiamo le condizioni di procedibilità, come la querela che caratterizza
alcune importanti figure di reato societario, cosicchè non vi sono dubbi sulla perseguibilità – al titolo di
bancarotta fraudolenta impropria – di condotte di infedeltà patrimoniale o di false comunicazioni sociali foriere
di danno, ecc. causalmente connesse al dissesto.288
Ma quesiti e dubbi si evidenziano anche nella lettura delle singole fattispecie: l’art. 2634 comma 3 cod.
civ., per esempio, concreta – nei caso di infedeltà infra-gruppo, una causa di non punibilità (stabilendo che non
vi è ingiustizia del profitto se l’atto di disposizione dei beni sociali è compensato da vantaggi, conseguiti o
fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo) che si pone in forte
discrasia con il bene giuridico della bancarotta. Infatti, la bancarotta fraudolenta assicura protezione penale non
al gruppo societario, bensì ad ogni singola massa passiva ammessa a procedura concorsuale (tutela - si badi correlata al pregiudizio patrimoniale e non al possibile vantaggio) e la giurisprudenza penale fallimentare
qualifica - per lo più - gli atti dispositivi infra-gruppo come distrattivi, se non assistiti da garanzie idonee o da
contestuale contropartita289.
Ebbene, salvo ritenere che l’art. 223 c. 2 n. 1 implicitamente non coinvolga nel richiamo del “fatto” descritto
dalla norma, il comma in esame (trattandosi di disposizione non pertinente al “fatto” strettamente tipico di
reato, ma propria di un profilo “periferico”, quale la specificità dell’elemento soggettivo 290, la norma impone
una diversa lettura 291.
Circostanza che spiega l’interpretazione quasi abrogativa - in tema di prevedibilità del vantaggio perseguito resa dalla recente giurisprudenza 292.
Per altro verso, non é sfuggito che alcune condotte dedotte nelle fattispecie societarie, costituiscono
autonomi comportamenti fraudolenti, inclusi nell’art. 223 comma 1 l. fall., sì che il richiamo si qualifica come
inutile: è il caso dagli articoli 2626 (indebita restituzione dei conferimenti293), 2627 (Illegale ripartizione degli
utili e delle riserve),
288
Così Cass. Sez. V, 21.1.2003, PM. in proc. Piana Ardizzone, n. 21.1.2003, n. 2862 (anche se la
decisione fonda sul presupposto che la procedibilità a querela è situazione eccezionale non estensibile
in via interpretativa, in assenza di espressa menzione normativa). In ogni caso, non appartengono
certamente al “fatto” le cause di esclusione della punibilità, come le “cause di estinzione del reato”
previste dagli articoli 2627, comma 2, 2628, comma 3, 2629, comma 2 e 2633, comma 2, c.c. anche se
realizzate in epoca anteriore di fallimento della società, non rilevando in seno alla punibilità della
fattispecie fallimentare, cfr. BRICCHETTI, Le fattispecie di non punibilità conseguenti alle
restituzioni od al risarcimento del danno, in I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di
GIARDA – SEMINARA, cit., p. 757 ss., anche se l’A. precisa perspicuamente che – per esempio – il
risarcimento del danno da reato societario prima del relativo giudizio (ove esso sia instaurato)
determina, in concreto, una forte difficoltà di prova sulla ricorrenza del nesso causale tra la condotta
ed il dissesto. Contra, ma senza soverchia motivazione Cass., Sez. V, 12.6.2003, Bartolucci, cit.
289
Cass. pen. sez. V, 20.3.2000, p.m. in c. Messina, in Cass. pen. 2001, p. 1336; Cass. pen. sez. V,
1.2.2000, Tonduti, Cass. pen., 2001, p. 661; Cass. pen. sez. V, 29.12.1999, Magliano, in Dir. prat.
soc. 4\2000, p. 87; Cass. pen. sez. V, 11.11.1999, Tassan Din, Riv. trim. dir. pen. ec., 2000, 476 e nota
di SPARANO, Autonomia delle procedure co0ncorsuali e consequenzialità (a ini penali) in Dir. fall.,
1999, II, 1146; Cass. Pen, 14.12.1999, Cass. Pen., 2001, 661, con nota MADIA; Cass. pen. sez. V,
18.7.1999, Ceccherini, in Dir. prat. soc. 18\1999, p. 93; Cass. pen. sez. V, 8.4.1999, Spinelli, in Cass.
pen. 2000, p. 3445 (con motivazione); Cass. pen. sez. V, 18.3.1996, Cozzi, Cass. pen., 1997, p. 2234;
Cass. pen. sez. V, 10.1.1996, Napoleone, Cass. pen., 1997, p. 218; Cass. pen. sez. V, 4.5.1995, Degli
Antoni, in Cass. pen. 1997, 218; Cass. pen. sez. V, 21.10.1985, Bedeschi, Cass. pen., 1987, p. 824,
ecc.
290
cfr. ALDROVANDI, Infedeltà patrimoniale (art. 2634), in I nuovi reati societari, a cura di
CADOPPI – LANZI, Padova, 2002, 144
291
anche se, per un verso, la labilità prescrittiva della fattispecie (a fronte dei forti rischi per i
creditori) e, d’altro canto, la mancata modifica del sottostante referente concorsuale (che conserva
questo profilo, anche nelle più recenti manifestazioni riformatrici, come il d. lgs. 270/99 o 18.2.2004
n. 39 (in conversione del DL. 347/03),cd. “Legge Parmalat”), ostacolano la formulazione di
innovative linee interpretative in ambito penale.
292
cfr. Cass. pen., Sez. V, 23.6.2003, n. 38110, in Diritto e Giustizia, n. 40, 52 e ss.
293
E’ curioso notare che per es. Cass. Sez. V, 15.4.2004, n. 23672, qualifichi la restituzione dei
conferimenti come bancarotta fraudolenta per distrazione – tuttavia con richiamo all’art. 223 comma 2
n. 1 – dovendola escludere e contrapporre all’area della preferenzialità.
61
e6) L’elemento soggettivo.
La struttura complessa della norma dell’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. impone che la responsabilità
riscontri sia la rappresentazione del fatto illecito, sia la volontà dell’evento a cui esso è connesso.
Quanto al primo aspetto non vi è dubbio che l’autore deve essere consapevole dell’intero compendio del
fatto quale descritto nella norma penal/societaria e portatore di volontà specifica ove essa sia richiesta da essa.
Per es. nel caso di violazione dell’art.2622 cod. civ., il danno in pregiudizio di soci o creditori quale esito
dell’infedeltà comunicativa. Non è mestieri sottolineare che l’eventuale errore sul precetto normativo non esime
da penale responsabilità, poiché la norma extra-penale è integrativa della fattispecie penale ed esso si
qualificherebbe come errore sullo stesso comando penale 294.
Ma, al contempo, occorre dare dimostrazione di una volontà protesa al dissesto, intesa non già soltanto
quale intenzionalità di insolvenza (chè, anzi, di essa è assai raro riscontro, se non in episodi di intenzionale
causazione del fallimento), bensì quale consapevole rappresentazione della probabile – ma ciononostante
perseguita - diminuzione della garanzia dei creditori. Giova segnalare che questo pregiudizio non sempre
coincide con il dolo di danno supposto dalla norma penal/societaria, sicchè non necessariamente la
dimostrazione del dolo specifico del reato societario esaurisce l’onere probatorio sul momento soggettivo della
bancarotta di cui all’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall.
e7) il nesso di causalità con il dissesto.
“Cagionare” o, con insistenza che - atteso il principio di equipollenza eziologica stabilito dall’art. 40 cod.
pen. - appare superflua “concorrere a cagionare”, sembra voler stabilire che dalla condotta deve derivare un
evento prima non esistente.
Ma, siffatto assioma, calato nel contesto del “dissesto”, riesce problematico: il fenomeno, infatti, presenta
una sua inconfondibile gradualità, non potendosi astrattamente fissare il momento in cui dall’equilibrio
patrimoniale ed economico, si sfocia nella sua perdita.
Non solo: il percorso che termina nel dissesto vede confluire – nella massima parte dei casi – il concorso
di cause determinative indipendenti tra loro
(si pensi all’incremento dell’esposizione debitoria,
all’assottigliamento patrimoniale dell’asse e delle garanzie, alle mutazioni del mercato, all’insolvenza di
debitori, ad eventi di distruzione del patrimonio, come il furto o l’incendio, ovvero dell’avviamento. come la
concorrenza sleale, ecc.)
Ancora: la nozione del dissesto si attaglia ad una serie che storicamente contrassegna la dichiarazione di
fallimento (o di insolvenza), la quale in sé ingloba ed unifica in termini di risultato il pur articolato processo
causale, venendo a porre un solo referente (penalmente essenziale per la sussistenza della bancarotta) obiettivo
del bene giuridicamente protetto.
Risulta in altri termini spesso difficile e logicamente possibile appuntare in capo ad un fatto l’efficienza
causale verso il dissesto, ed – al contempo – escludere da altro fatto, preesistente o contemporaneo, detta
capacità.
Di qui la conclusione che qualsiasi situazione astrattamente collegabile al dissesto possa considerarsi di
esso causatrice, e che i termini “cagionare” ed “aggravare”, anche se chiaramente diversi, perdano la loro
specificità.
Approdo a cui è pervenuta parte della Dottrina 295 e la giurisprudenza.296
A ben vedere, siffatto argomento risulta più arduo per il caso in cui il fatto illecito sopravvenga ad una
situazione di dissesto sostanzialmente irreversibile. Infatti potrebbe sostenersi l’impossibilità di una efficacia
causale, non dissimilmente che una lesione su un cadavere non può più cagionarne la morte.
Ma, ribadita la inutilità della ricerca della causa esclusiva nella causazione dell’evento (nell’ottica della
cd. “democrazia delle cause” che contrassegna l’ordinamento penale italiano), va richiamata la concezione
unitaria del dissesto, compendiata dalla successiva declaratoria giudiziale, senza possibilità di scindere a ritroso
le cause efficienti: ciò che interessa, sotto altro riguardo, è il dissesto storicamente acclarato e dichiarato, e non
la nozione astratta di dissesto avulsa dalla vicenda dell’organismo divenuto insolvente.
e8) La successione della norma nel tempo dopo la riforma dell’art. 4 D. L.vo 61/02.
294
Cfr, a riguardo della bancarotta da reato societario, Cass. Sez. V, 11.1.2000, Di Pati ed altri, n.
2174.
295
CADOPPI, cit. p. 275.
296
Cfr. Cass. Sez. V, 28.3.2003, Negro ed altri, n. 19806, a proposito dell’art. 223 comma 2 n. 2 l.
fall. ma con argomentazione riferibile anche alla fattispecie dell’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall.
62
Manca alla riforma la normativa transitoria. Il quesito ricorrente, in questi primi tempi di applicazione, è
stato quello di accertare se tra la vecchia e la nuova disposizione vi sia applicazione dell’art. 2 comma 3 cod.
pen., oppure dell’art. 2, comma 2, cod. pen. per “abolitio criminis”.
Sulla premessa che la Dottrina ha prevalentemente affermato la discontinuità nella successione delle
norme sulle false comunicazioni sociali (parametro di quasi costante richiamo per la nuova fattispecie di
bancarotta da reato societario) 297, la giurisprudenza 298, invece, richiama – per quanto attiene al rapporto tra il
“vecchio” art. 2621 n. 1 cod. civ. e la contravvenzione di nuovo conio – la sostanziale identità della direzione di
tutela (nel senso che, comunque, anche nella nuova disposizione prospetta comportamenti che erano già
sanzionati nella più vasta norma abrogata), con modifiche che qualificano il rapporto tra le due norme in
un'ottica di specialità.
Tuttavia, trattando della “nuova” bancarotta impropria, la giurisprudenza 299 ha rilevato le sostanziali e
strutturali differenze di fattispecie. Il “vecchio” art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. - norma per lo più qualificata a
pericolo astratto - considerava presunta l’offesa del bene giuridico tutelato dalla commissione dei reati
societari, non contenendo la previsione di un evento di danno né supponendo la sussistenza di un nesso di
causalità tra la condotta ed il dissesto della società.
Oggi, al contrario, l’effetto lesivo è insito nella struttura ad evento, quest’ultimo individuato nel dissesto che, in
sé, è foriero di pregiudizio per i creditori.
D’altra parte, è intervenuta anche modifica del referente normativo costitutivo dei fatti causativi dell’evento:
alcune fattispecie societarie non sono state più richiamate (art. “vecchio” 2622, 2621 n. 3, 2628 ecc. cod. civ.)
con conseguente sicuro effetto abrogativo della norma penal/fallimentare , altre sono state fortemente
modificate (art. 2621 e “nuovo” art. 2622 cod. civ.), altre sono del tutto nuove (art. 2633, 2634 cod. civ.) 300.
La giurisprudenza, da ultimo, pervenendo alla necessità dell’accertamento in concreto (e non più nel
raffronto tra fattispecie astratte) sulla ricorrenza di elementi del fatto che non riescano più a collocarsi nella
297
La dottrina rinviene in DONINI, Abolitio, cit. pag. 1273 e ss., un reciso assertore della
discontinuità tra vecchio e nuovo regime, avuto riguardo alla eterogeneità dei beni protetti (anche con
riguardo al nuovo art. 2621); in tal senso anche MUSCO, cit; LANZI, Ma la creazione di nuovi delitti
nega l’elemento della continuità, in Guida al diritto, 2002, p. 86 e ss. che ravvisa la continiutà rispetto
alla contravvenzione, non verso l’art. 2622. Sostiene, al contrario, la continuità con riguardo ad
entrambe le nuove fattispecie T. PADOVANI, Il cammello e la cruna dell’ago. I problemi della
successione di legge penali, ecc. Cass. Pen., 2002, 1598 e ss., con richiamo – per quanto riguarda
l’eventualità dannosa - alla previsione del pre-vigente art. 2640 cod. civ (per il danno riguardante la
stessa società) e dell’art. 61 n. 7 cod. pen. (per il danno a terzi)., elemento – dunque – già considerato
nel vecchio sistema punitivo, nonché PULITANO’, Società, n. 9, 2002, 1116, con speciale riguardo al
bene giuridico tutelato ed all’analogia dell’elemento soggettivo, secondo la consueta lettura della
giurisprudenza a proposito dell’avverbio “fraudolentemente”. Diversamente FOFFANI, La nuova
disciplina, cit., pag. 317.
298
Cass. Sez. V pen., 21.5.2002, n. 6921, Fabbri, in Guida al Diritto, n. 27, pag. 67 e ss., Cass. Sez. 5,
8.5.2002, Torrenti, Cass. pen., 2002, m. 642; decisione che segue ad analogo provvedimento, ma assai
meno motivato ed articolato. La conferma a questo indirizzo si coglie, ancora, in Cass. Sez. V pen.,
3.6.2002, Kunz, Guida al Diritto, 2002, n. 29, pag. 75, resa per il versante dell’art. 223 comma 2 nj. 1
l. fall., come novellato dall’art. 4 del D. L.vo 61/02, in seno alla cui motivazione si legge la scelta per
la continuità normativa tra le norme in discorso (art. 2621 cod. civ., vecchia e nuova maniera).
Ancora: Cass. Sez. V, 8.10.2002, Trebbi, Cass. pen., 79; Cass. Sez. V, 25.9.2002, Battacchi, Cass.
pen., 76; Cass., Sez. V, 15.5.2002, Mazzei, Cass. pen., 73 e, da ultimo, Cass. pen., Sez. V, 27.5.2003,
Ruocco, in Cass. pen., 2003, pag. 3747 (con motivazione), ecc. Cfr. il commento di BRICCHETTI,
Bloccata la revoca delle sentenze di condanna, ecc., Guida al Diritto, 2002, pag. 70 e ss.
299
BRICCHETTI, La riforma dei reati societari modifica la fisionomia della bancarotta societaria, in
AA. VV., La riforma del falso in bilancio, in Dir. prat. soc., Le monografie 2002, p. 34 ss.; LANZI,
La nuova bancarotta fraudolenta per precedente reato societario, in Dir. prat. soc., 10\2002, p. 18 ss.;
PUTINATI, La nuova bancarotta "societaria": imputazione oggettiva e soggettiva, ivi, 11\2002, p. 12
ss.; TRAVERSI, La vita dei nuovi reati societari tra pene più lievi e abolitio criminis, in Dir. e Giust.
41\2002, p. 8 ss.; CADOPPI, cit.; MUCCIARELLI, cit.; sembra essere su posizioni diverse,
PULITANO’, Commento a Cass. pen. sez. V, 21 maggio 2002, Fabbri, e ad altre decisioni di giudici
di merito, in Dir. proc. pen. 2002, p. 1121.
300
Cass., Sez. Un. 26.3.2003, Giordano ed altri, n. 25887; Cass. Sez. !, 25.10. Ubbiali, n. 41433, in
Guida al Diritto, 2004, 47, pag. 91; ha limitato l’effetto abrogativo ai fatti di reato societario non più
riconducibili alle nuove ipotesi dettate dall’art. 223 comma 2 n. 1, come riformato.
63
vecchia fattispecie, quale unico momento per attestare la discontinuità 301, ha affermato che la nuova fattispecie
dell’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. è figura connotata da specialità “per aggiunzione” rispetto alla precedente,
non perché il rapporto di causalità con il dissesto specifichi elementi della precedente disposizione, ma nel
senso che esso rappresenta un elemento aggiuntivo rispetto alla medesima sicchè esso non immuta “funditus” la
fisionomia del precetto. 302
Ma, nella pratica, lo sforzo ermeneutica volto a “salvare” i processi sorti sotto l’egida del vecchio sistema
penale non giunge a soverchi risultati.
Non è sfuggita, infatti, la necessità - onde garantire l’effettiva difesa dell’accusato - che nella formulazione
dell’accusa risultino i momenti qualificanti dell’addebito, i quali siano presenti anche nell’attuale lettera della
norma 303.
In altre parole che già fossero all’imputato o condannato contesti i fatti di rilievo penale descritti dal nuovo
testo di legge. In caso contrario, inevitabile la declaratoria di inesistenza della responsabilità perché il fatto non
è più previsto dalla legge come reato 304.
Salva la soluzione di rimettere al giudice di merito l’accertamento della ricorrenza dei nuovi elementi di fatto
richiesti dalla norma305, circostanza che – per un risvolto pratico – ha determinato una “abolitio” sostanziale,
non essendovi ragione, prima dell’entrata in vigore della norma, di enunciare nel capo di imputazione, aspetti
normativi non richiesti e non conosciuti dal “vecchio” art. 2621 cod. civ.306
Minoritaria è la soluzione di rimettere al giudice di merito l’accertamento della ricorrenza dei nuovi elementi di
fatto richiesti dalla norma 307.
Le sentenze passate in giudicato per violazione del (vecchio) art. 2621 cod. civ. non sono più revocabili,
se non per gli aspetti che la nuova norma non considera oggettivamente integrativi della fattispecie. Ed anche in
questo caso se la contestazione non esplicita gli elementi di continuità, deve essere adottata la soluzione
liberatoria. 308
Si segnala, infine, la possibilità, evidenziata dalla SC. – ricorrendone i presupposti e con nuova ed
apposita contestazione – di ri-considerare il “fatto” in seno alla fattispecie dell’art. 223 comma 2 n. 2 l. fall. 309
e8) L'art. 223 comma 2 n. 2 l. fall.310
301
Cass. pen. sez. V, 3.6.2002, Kunz, in Guida dir. 29\2002, p. 75 ss.
Cass. pen., sez. V, 16.10.2002, Tosetti, in Guida dir. n. 43\2002, p. 69.
303
Tra le altre cfr. Cass. pen., Sez. V, 23.4.2003, Ruocco, in Cass. pen., 2003, pag. 3747, cit.; Cass.,
Sez. V, 26.1.2004, Parrinello, n. 2567, in Guida al Diritto, 2004, 8, pag. 99.
304
Per una recente e completa rassegna della giurisprudenza in tema (ed anche riguardo all’art. 223
comma 2 n. 1 l. fall.) cfr. BRUNO, Reati societari e nuovi orientamenti, Dir. e Giust., 43/2002, 30 e
ss, da cui è tratta menzione delle seguenti massime: Cass. Sez. 5, 3.6.2002, Torrenti, n. 21532, seguita
da Cass. Sez. V, 19.6.2002, Fabri, n. 23449; Cass., Sez. V, 11.7.2002, Esposito, n. 36633. Come
“obiter dictum” conforme Cass. Sez. 5, 16.10.2002, Battacchi, n. 34621; con richiamo all’art. 2621 (e
con indicazione di reale discontinuità soltanto per ciò che riguarda la qualifica soggettiva, attesa la
mancata previsione per la nuova norma, dei soci fondatori e promotori), cfr. Cass. Sez. 5, 16.10.2002,
Benzi, n. 34622.
305
Cass., Sez. V, n. 26641/02; Cass. Sez. 5, 16.10.2002, Battacchi, n. 34621; Sez. I, 27.11.2002,
Bencivelli, n. 40159.
306
Salva la declaratoria di inesistenza della responsabilità perché il fatto non è più previsto dalla legge
come reato, nei casi per i quali la nuova norma non attribuisca rilevanza penale al fatto (es. per i
promotori/fondatori, per comunicazioni atipiche e, per chi li ritiene integrativi del fatto oggettivo
tipico, le soglie di rilevanza, ecc.
307
Cass., Sez. V, n. 26641/02; Cass. Sez. 5, 16.10.2002, Battacchi, n. 34621.
308
Cfr. Cass. Sez. 5., 11.2002, Trebbi, n. 36859, per quanto attiene alla fase del giudizio della SC.
309
Cass. pen., Sez. I, 27.1.2002, Bencivelli, n. 40159, cit.: ma se si ritiene integrata un’ipotesi di
operazione dolosa (o, addirittura, una preordinata causazione del dissesto), la contestazione in fase
cognitiva ha per oggetto un fatto nuovo, postulando il consenso dell’imputato o, in difetto, nuovo
avvìo dell’azione penale da parte del PM.
310
Su queste fattispecie cfr.ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, Milano,
1995, 141; CASAROLI, La causazione dolosa del fallimento dlele società ecc., Ind. pen., 1978, 423,
PAGLIAROI, Problemi attuali del diritto penale fallimentare, Riv. trim. dir. pen. eco., 1988l, 542; LA
MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 478; CONTI, Diritto penale
commerciale, Reati fallimentari, Torino, 1991, 110; PEDRAZZI/SGUBBI, Commentario Scialoja
Branca, 1995, 318; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 203 e ss.; GIULIANI
302
64
La norma punisce i soggetti della bancarotta impropria che "hanno cagionato con dolo o per effetto di
operazioni dolose il fallimento della società"
Sono previste due distinte fattispecie:
a) hanno cagionato con dolo ... il fallimento.
Si tratta della preordinazione dolosa del dissesto. Suoi elementi costitutivi sono:
a) una condotta contrassegnata da dolo
E’, nella pratica, il comportamento volutamente diretto non alla salvaguardia delle sorti sociali, ma di
terzi (non necessariamente gli organi formali societari), fruendo del delicato strumento societario (che nelle
società di capitali rende immune da responsabilità civile, oltre al conferimento, i soci e gli organi direttivi).
La "dolosità" consiste proprio nella radicale situazione preordinata: secondo quanto maggiormente
accade, diretta a creare uno squilibrio economico in seno alla società, come quello dell'accollo sistematico degli
oneri in capo alla società, della privazione del magazzino, ecc.
Si tratta di condotta a forma libera, finalizzata all’evento del dissesto.
Secondo qualche lettura giurisprudenziale la violazione di norma penale, nella conduzione societaria,
potrebbe integrare questa nozione. 311
Tipico é, l’asservimento di una società di capitali ad un disegno programmato di truffe: l'acquisto a
credito di partite di merce, il trafugamento delle stesse con l'inevitabile dissesto.
Non é, però, sufficiente una mera condotta di distrazione, essendo il comportamento già previsto dall'art.
223 pp. l. fall.: la figura richiede un disegno più ampio e sorretto dalla struttura dell'organismo (o da
concorrenti sostegni organizzativi) del singolo atto di sottrazione di attività all'economia societaria. 312
Nella prassi questi “bidoni” hanno delle caratteristiche comuni: al fine di sfruttare al massimo il
meccanismo della irresponsabilità dei soci, l’organismo prescelto risulta - di regola - una srl. con modestissimo
capitale.
A presiedere la società viene deputato un “prestanome”, normalmente senza protesti a carico.
Questi fungerà da “cireneo” nella formale rappresentanza della società e nella scena giudiziale. Il tutto per
coprire la reale responsabilità degli organizzatori.
La documentazione risulterà sottratta o frammentaria.
b) il nesso di causalità obiettivo tra il comportamento ed il fallimento.
Esso é di regola rinvenibile nella stessa meccanica dell'operazione.
Non occorre, perché non richiesto, che essa sia rinvenibile "ab origine" negli atti societari, potendo
sopravvenire anche in una gestione non contrassegnata da fraudolenza.
L'evento é il "fallimento", nozione intesa più come "dissesto" che come sentenza e procedura formale.
c) Una volontà protesa al fallimento.
Deve esserci, dunque, una rappresentazione del futuro dissesto ed una sua volizione: è l’unico caso, nella
legge fallimentare, in cui si ammette la previsione e la volontà delle sentenza dichiarativa, come elemento
costitutivo del reato (evento).
Tanto, però, non significa che il piano criminoso abbia come risultato ricercato il fallimento (ché, anzi,
forse una pubblicità ed una indagine da parte della Curatela sulle responsabilità dei suoi autori), quanto che anche a titolo di dolo eventuale - accetti la situazione di dissesto, pur di raggiungere l'obiettivo illecitamente
prefisso.
d) Hanno cagionato ... per effetto di operazioni dolose il fallimento.
Gli elementi costitutivi di questa figura sono, innanzitutto, le "operazioni dolose".
BALLESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 1991, 386; BRICCHETTI
TARGETTI, bancarotta ed altri reati societari, Milano, 1997, 125; VENTURATI, Le operazioni dolse
nella bancarotta societaria, Dir. pen. ec., 1990, 583, ecc.,
311
Cfr. ad es., Cass., Sez. V, 14.1.2004, Iride ed altro, che ha ravvisato nel ricordo abusivo al credito
il comportamento di cui si tratta. Certamente la sistematica reiterazione di violazioni di norme
amministrative (ad es. sistemativa violazione della disciplina urbanistica), fiscali (es. omissione
sistematica di redazione delle dichiarazioni a fini di imposta diretta o indiretta),. contributive (es.
omissione sistematica di corresponsione del contributi previdenziali), ecc., dalle quali derivi un
gravame passivo rilevante e tale da squilibrare l’asse economico (anche per via di penalità ed interessi
passivi), ancorchè compiute nell’immediato interesse della società, integrano la fattispecie.
312
Naturalmente il reato può concorrere con quello di truffa e di associazione per delinquere.
65
Vi é grande imbarazzo alla definizione di "operazioni dolose" ritenendosi che esse siano quelle non
rientranti tra le fattispecie già descritte al n. 1 dell'art. 2621 cpv. l. fall., né la commissione di illeciti
genericamente "dolosi" 313.
La traccia fondamentale della nozione di “operazione dolosa” è stata data da ANTOLISEI e ruota
sull’accertata l'infedeltà delle funzioni o nella dimostrata violazione dei doveri discendenti dal rapporto
organico con la società.
Non é possibile - in via astratta - esaurire tutti i casi di "strumentalità" a cui si allude , ma é possibile una
esemplificazione, sorretta dalla prassi.
Circa la modalità l’operazione può essere attuata mediante:
- commissione
- con indebita inerzia.
Per quest’ultima ipotesi si facciano i casi dell’amministratore che, violando gli obblighi dell’art. 2392
cod. civ.
tollera l'altrui concorrenza sleale per volutamente favorire terzi;
consente, al fine di giovare all’altrui interesse, la condotta di abusivo impoverimento dell'organismo nel
cui interesse è concessa la garanzia,
non dispone delle necessarie azioni per il recupero di pretese e crediti della propria società, ove questo
comportamento non sia già inquadrabile in un contesto distrattivo;
Nei casi commissivi la prassi conosce frequenti possibilità di applicazione e soprattutto in seno ai gruppi
di società, ove il conflitto tra interesse di gruppo ed autonomia della sfera economica della società, secondo la
prevalente giurisprudenza, non può risolversi nel “sacrificio” di ciascun organismo in vista di logiche superiori.
Volendo esemplificare si indicano le seguenti situazioni:
innanzitutto un abuso ed una infedeltà delle funzioni ricoperte rispetto agli interessi della società;
la violazione sistematica e radicale dell'oggetto sociale: ad es. la condotta speculativa da parte della
società cooperativa, con perdite per i negozi aleatori avviati (ad es. utilizzo delle somme dei cooperativisti, per
operazioni di borsa o di speculazione sulle merci, al di fuori degli ambiti consentiti dal patto costitutivo).
L’attività di sistematico prestito a terzi da società che non ha nello statuto questo oggetto;
lo sviamento di clientela che, difficilmente inquadrabile in fatto distrattivo (anche se la giurisprudenza
lo ritiene oggetto della distrazione, in una prospettiva pragmatica) sia foriero di dissesto; la scelta, pertanto, di
“lasciar morire” una società del gruppo, per favorire il sorgere di un’altra, risulta, in questa ottica, non
ammissibile, ove la società perenta venga a fallimento e la dismissione consapevolmente imposta dal vertice del
gruppo sia una causa del suo dissesto.
la violazione sistematica della normativa amministrativa/ finanziaria: ad. es. la raccolta e la gestione del
risparmio al di fuori delle prescrizioni CONSOB o di altri organi di Vigilanza (D. L.vo 58/98), e della
disciplina di cui alla legge sulle SIM (legge 1/92) con causazione delle perdite rapportabili a questa violazione
(ad es. l'assunzione in proprio delle somme fiduciariamente ricevute, la loro contabilizzazione "in monte",
l'accollo delle perdite di alcuni clienti anche alla restante parte dei fiducianti, il pagamento di profitti promessi e
mai lucrati, ecc.);
l'assunzione di impegni eccedenti il netto patrimoniale della società: come il rilascio di fidejussioni per
rischi eccessivi rispetto alle capacità sociali ovvero eccedenti l'interesse sotteso dal patto di garanzia (ad es. il
rilascio di fidejussioni "omnibus" per favorire l'accesso all'affidamento bancario di altre società, anche quando
il tasso di esposizione di queste ecceda ogni ragionevole interesse per la fidejubente, ovvero superi il suo netto
patrimoniale);
l'utilizzo di una società per esclusivo interesse delle sorti del gruppo a cui appartiene o di altre società
riferibili alle persone che la partecipano, con perdite cagionate per la gravosità degli impegni assunti e per le
opportunità da essa perse per la scelta estranea ai suoi interessi (ad es. la volontaria rinuncia a lucrose
commesse per favorire terze economie, senza diretto "ritorno", nella strategia complessiva della concorrenza)
molto frequente e foriera di profili dubbiosi è la concessione gratuita di garanzie all’interno del gruppo
oggetto di procedura concorsuale, poichè nel caso di disseto i creditori del garante subiscono un detrimento per
un evento non imputabile a fatto diretto del loro debitore. Con restringimento ai casi in cui il garantito non sia
entità insolvente, al momento della concessione; che il rischio a cui si sottopone la garante sia remunerato o
che, in qualche seria misura, dimostri un suo interesse al negozio.Ma quand’è “gratuita” la concessione di
fidejussione?
E’ certamente onerosa quella concessione di garanzia che prevede un compenso:
ovviamente la misura del compenso deve graduarsi al rischio che viene assunto.
313
Cfr. Cass., Sez. V, 8.4.1988, Grappone, Cass. pen., 1989, 1559 ; Cass., Sez.V, 3.7.1967,
Ambrosio, Cass. pen., 1968, 836; Cass., Sez. V, 9.10.1984, Gerli, Cass. pen., 1986, 600.
66
Sulla gratuità si ricorda che l’art. 64 l. fall. conosce un proprio limite: la discrezionale comparazione tra l’atto
gratuito ed il netto patrimoniale del donante.
Così, per esempio andrebbe sempre considerata anche questa angolatura, rapportata al momento della
concessione, tra la consistenza della garante il rischio assunto. Sovvengono anche i possibili “ritorni” da
valutarsi di volta in volta, al di fuori di ogni presunzione di diritto.
Fuori dal connotato di gratuità è
certamente censurabile la situazione quando questa facoltà di garanzia non è prevista dallo statuto: quando la
concessione avvenne all’insaputa del Consiglio di amministrazione, con abusiva arrogazione
dell’amministratore delegato delle relativa potestà; quando le condizioni negoziali siano tali da sorpassare
ogni ragionevole cautela della tutela patrimoniale della garante e tramutino la garanzia in una sicura perdita di
ricchezza (anche se la formalmente la prestazione sia contemplata nell’oggetto sociale), ecc.
Ma sono ammissibili le giustificazioni fondate sulle cd. “sinergie” tra garante e garantito: per esempio l’aiuto
dato ad una società del gruppo la cui insolvenza comporterà anche quella della garante, è forse vantaggio
sufficiente per elidere la connotazione “dolosa” (anche perchè è la banca - di regola - a pretendere la copertura
fidejussoria per avviare o mantenere i rapporti di affidamento al gruppo) ? E le garanzie reciproche sono
onerose?
Le operazioni sono ravvisabili anche in tema di (sostanziale) violazione dei doveri dell’amministratore:
l’assunzione della delibera conflittuale in capo ad una società del gruppo, al solo formale fine di eludere
l’obbligo di astensione dell’art. 2391 cod. civ.;
la decisione presa dall’amministratore unico, pregiudizievole e conflittuale;
l’omessa sottoposizione al consiglio di amministrazione di una decisione che ha la sostanza della
collidenza con gli interessi dell’amministratore;
il debordamento dai confini statutari, di per sè, può connotare di “dolosità” la condotta e rilevare, ove
causalmente collegato al dissesto,
In tali casi, infatti, il potere conferito all’amministratore, si qualifica
come inesistente e la violazione ai doveri di fedeltà si tramuta in abuso delle sue funzioni (beninteso: l’eccesso
di potere deve avere uno “spessore” lontano da mere violazioni procedimentali, addebiti di scorrettezza
formale, inadempienze burocratiche, ecc.; esso deve raggiungere quell’approfittamento dello strumento
societario a fini ad esso esterno che, si ribadisce, fonda questa categoria di fatti delittuosi).
e) Il nesso di causalità dell’operazione dolosa con il fallimento.
Le “operazioni dolose”, in quanto collocate nell’area della bancarotta fraudolenta, rappresentano sempre
una indebita diminuzione dell’attivo in sostanza un depauperamento non giustificabile, secondo le regole del
nostro ordinamento, in termini di interesse per l'impresa, condotta che non rientri nelle già tipicizzate situazioni
dell’art. 216 n. 1 l. fall.)
In questa ottica esse trovano normale rapporto di continuità con il dissesto.
Ma sul punto non vale alcuna presunzione: vi deve essere la prova oggettiva e rigorosa.
Invero, si tratta, di un caso di responsabilità penale per un fatto non voluto: è sufficiente la prova del
legame materiale di causalità tra l'"operazione" ed il dissesto, per poter ritenere il soggetto responsabile, anche
se - quando viene da questi posto in atto il comportamento "doloso" - la probabilità di un fallimento non è
rappresentabile come nè probabile, nè prossima, nè inevitabile.
Poichè l'addebito a titolo di responsabilità oggettiva del fatto è eccezionale per il nostro sistema: si
impone, quindi, una valutazione severa del profilo connettivo tra azione e fallimento.
Per questo motivo, la questione è delicata.
Per un approccio formalistico, nulla precisando la norma e dovendosi seguire il criterio che informa il
nostro ordinamento ex art. 40 cod. pen. (equipollenza delle cause), potrebbe sostenersi il rapporto in qualsiasi
passività o perdita nella gestione sociale. la dimostrazione risulta automatica, non apparendo necessaria una
esclusiva causazione dell’evento, bastando anche la concorrenza, insieme ad altri, del dissesto.
In una lettura più aderente alla tutela disposta dal Legislatore, occorre pur sempre distinguere tra una
causazione accessoria ad altre situazioni esterne alla “dolosità”, e la forza efficiente rispetto all’equilibrio
economico dell’operazione incriminata: appare ovvio che, se l’operazione “dolosa” abbia provocato un irrisorio
contributo, mentre altre (soprattutto se esterne alla gestione dell’impresa, come il fallimento di un debitore), sia
state la causa diretta e prevalente, difficilmente potrà ravvisarsi la penale e grave responsabilità.
E’ certo, in ogni caso, che la diretta efficienza causale nella valutazione dell'azione "dolosa", non può
significare nè esaurienza nè assoluta preponderanza.
Problemi seri sorgono, ancora, quando tra l’”atto doloso” e l’evento sia intercorso parecchio tempo.
Quando, cioè, il fatto non possa considerarsi “doloso” al momento del suo compimento, ma risulti tale nel
prosieguo del tempo. Si consideri, ad es. il caso del debitore garantito da fidejussione e che, al momento del
67
rilascio della garanzia l’atto fosse non soltanto privo di rischi, ma proficuo per la società (es. società del gruppo
solida e solvibile), ma che, poi, egli divenga insolvente.
Certamente non vi è responsabilità per l’amministratore che perfezionò l’atto ed il problema si configura sul
mancato adempimento tempestivo dell’obbligo di impedire l’evento (pernicicosità dell’atto) nei successivi
amministratori.
f) l'elemento soggettivo.
Come si è detto è sufficiente uno spessore assai limitato della volontà.
Infatti, non é richiesta una volontà del fallimento (ed é, anzi, il parametro che divide questa fattispecie
dall'altra), ma il mero “dolo generico” rispetto all’operazione “dolosa” 314. Anzi, di regola, i soggetti fanno di
tutto per allontanare il fallimento e, in questa ottica, compiono anche atti “dolosi”.
É soltanto richiesta la "dolosità" e, dunque, la consapevole realizzazione dell'"operazione" (e, quindi,
anche del suo connotato antidoveroso, elemento qualificante del comportamento e che contraddistingue questo
fatto da quello più tenue dell’art. 224 cpv. n. l. fall.), ancorché il soggetto non preveda e non voglia l'esito
fallimentare. Si ripete: un'ipotesi di mero dolo eventuale, se non – per alcuni aspetti – di sostanziale
responsabilità oggettiva.315
La bancarotta semplice propria.
L'art. 217 l. fall. annovera una serie di ipotesi, tra loro in parte sovrapponibili, connotate soprattutto da
una imprudente diminuzione patrimoniale, anche se alcune condotte possono essere connotate da dolo 316.
É punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se é dichiarato fallito, l'imprenditore che, fuori dai casi
dell'art. 216 …
1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica.
La premessa consiste nel fatto che anche il patrimonio personale dell’imprenditore é posto a garanzia dei
crediti dell'impresa, non esistendo nel nostro sistema separazione, a questi fini, tra patrimonio dell'imprenditore
e patrimonio aziendale.
Di qui la necessità anche qualche le scelte private dell'imprenditore siano compatibili con gli interessi
della sua impresa e dei relativi creditori.
Nonostante l'uso del plurale, é sufficiente anche un solo atto.
Può trattarsi di un esborso di denaro o anche un impegno al pagamento.
Deve trattarsi di spese per sé o la famiglia, non per l'impresa: sono così escluse le uscite sostenute per
eccessiva pubblicità, per sfarzo di arredi d'ufficio, ecc.
Anche le spese per sé che, indirettamente, sono dirette a sostenere l'impresa (il buon nome, la buona
introduzione in ambienti profittevoli per le sue sorti, ecc.) debbono annoverarsi tra impieghi di tipo aziendale e
non personale.
Le spese debbono essere "eccessive" con riferimento alla situazione economica dell'imprenditore al
momento della loro erogazione: é ovvio che, più ci si avvicina al momento della dichiarazione di fallimento, é
più rigoroso deve essere il parametro valutativo, risultando il patrimonio assottigliato dalle perdite.
Non é richiesta prova tra l'impoverimento determinato dalle spese ed il fallimento.
La differenza con la più grave fattispecie di dissipazione sta nella voluttuarie e nella non inerenza a
ragionevoli ragioni famigliari delle stesse.317
314
Cass., Sez. V, 26.2.1998, De Bellis, Cass. pen., 1999, 1961. Sez. I, 25.4.1990, De Sena, Cass. pen.,
1992, 164.
315
Alludono espressamente a questa eccezionale manifestazione dell’elemento soggettivo,
ANTOLISEI, Manuale diritto penale, leggi complementari, Giuffré, 1998, 128; CONTI, Diritto penale
commerciale, I reti fallimentari, Utet, 1991, 219; CASAROLI, La causazione dolosa del fallimento,
ecc., Indice pen., 1978, 453; , Cass., Sez. V, 3.3.\1999, Carrino, Cass. pen., 2001, 301; Cass. Sedz. V,
17.12.1997, De Bellis, Cass. pen., 1999, 1961 ; .
316
Su questa fattispecie cfr. in dottrina, CONTI, Diritto penale commerciale, Reati fallimentari,
Tirino, 1991,230; LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 12993, 230;
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale commerciale, Leggi complementari, Milano, 1993,
90;PEDRAZZI SGUBBI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja Branca, 1995, 137;
PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, 1957, 119;ANTONIONI, La bancarotta semplice, Napoli, 1962,
105; NUVOLONE, Il, diritto penale del fallimento, ecc., Milano, 1955, 99; GIULIANI
BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali; SANTORIELLO, I reati di bancarotta,
Torino, 2000, 217 e ss., ecc.
68
2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in
operazioni di pura sorte o manifestamente
imprudenti.
Trattasi degli atti di gestione che, secondo la prassi commerciale o di impresa, eccedono le normali regole
di prudenza o di perizia, ma pur sempre assunte con l'intento di giovare alle ragioni d'azienda.
É ovvio che la valutazione dell'avventatezza o della rischiosità deve essere assunta con riguardo
all'oggetto dell'impresa: l'operatore di borsa, per esempio, istituzionalmente mette a repentaglio la ricchezza in
negozi aleatori.
Quivi il tasso di valutazione sarà assai più largo della norma. Purtuttavia anche nell'ambito di questa alea non
vige la causalità pura ed é possibile assumere giudizi con riguardo a tecniche, nozioni ed esperienze tali da
censurare come manifestamente imprudente una operazione.
Poiché l'operazione speculativa é normale mezzo della vita commerciale, occorre vedere se la scelta
dell’imprenditore, contrassegnata dagli esiti rovinosi, fosse indispensabile alla realizzazione della sua attività, o
non vi fossero canali più tranquilli per migliorare le sorti del suo bilancio economico.
Operazioni di "pura sorte" sono quelle in cui manca la riconducibilità ad una razionale previsione degli
esiti: é chiaro che il ricorso ad essa deve essere motivato da intenti profittevoli all'impresa e che il gioco
d’azzardo, per esempio, non risulta strumento compatibile con l'attività, soprattutto se svolto in una Casa da
Gioco ove la proporzione tra le possibilità di vincita e di perdita é istituzionalmente sfavorevole al giocatore
privato.
La differenza con l'ipotesi di dissipazione sta proprio nella mancanza di inerenza tra la scelta aleatoria e
le ragioni impresa.
Non é richiesta prova del nesso di causalità tra la perdita ed il fallimento, bensì con la perdita di
"notevole" parte del suo patrimonio.
3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento.
Si tratta di operazioni assunte con la finalità specifica di allontanare la dichiarazione di fallimento che si
presume quasi inevitabile, ma ovviamente anche nella speranza che esso non venga dichiarato.
Quindi sono atti assunti in epoca assai prossima alla dichiarazione del fallimento.
La differenza con le ipotesi della fraudolenza (venendo nella maggior parte dei casi ad arricchire con
eccessiva faciloneria terze persone) sta nell'intento che non é quello di avvantaggiare altri, né di danneggiare i
creditori, ma di proseguire nell'esercizio di impresa.
Così le svendite di magazzino, l'accettazione di tassi usurari, l'assunzione di contratti onerosi quali il
"lease/back", la transazione di crediti incerti, ecc. sono espedienti tesi all'incetta di liquidità con perdita di
patrimonio.
Essi assumono valenza illecita soltanto nel periodo prossimo al fallimento ed ove non siano dettati da ragioni
proprie di una gestione fisiologica (per es. la svendita per riassortimento del magazzino, lo smobilizzo di
eccessivo investimento, ecc.) 318
Dagli atti deve derivare un impoverimento del patrimonio del debitore.
Non é però richiesta prova del nesso di causalità tra questi atti ed il fallimento: anzi é a dirsi che le
condizioni del dissesto debbono, nella formulazione della norma che allude ad un "ritardo", preesistere alla
condotta illecita.
317
La dottrina sottolinea che esiste anche una distinzione sul piano oggettivo, poiché il termine
“operazioni” sottende l’esito di condotte di stretta gestione, unitamente alla speranza di profitto o –
comunque – utilità per l’impresa: FORNASARI, Diritto penale commerciale, Vol. I, Utet, 1990, 96 e
ss.; LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Ipsoa, 1993, 368; PEDRAZZI, in AA.
VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, 1998, 97. Contra, nel senso che il legislatore non ha
posto alcuna connotazione oggettiva all’attività dissipativi oltre quanto risulta dalla lettera della norma
(sì che rientrano le perdite al giuoco,scommesse e simili) CONTI, Reati fallimentari, Utet, 1991, 237;
PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, 1957, 124; GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri
reati concorsuali, Giuffrè, 1991, 303.
318
La giurisprudenza ritiene che la sistematica attività di svendita di beni, preordinata a finalità
esterne all’interesse aziendale, costituisca attività di fraudolenta dissipazione, e non già la mera ipotesi
di bancarotta semplice ex art. 217 n. 2 l. fall., cfr. Cass., Sez. V, 3.3.1999, Vichi, Cass. pen., 2000,
3449; Cass., Sez. V, 21.3.1979, Gilli, Giust. pen., 1979, II, 690..
69
4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la
dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa.
L'esito richiesto é l'aggravamento del dissesto.
Le modalità di condotta sono duplici:
- la mancata tempestiva richiesta di fallimento (art. 6 l. fall.)
Sta a significare che l'esercizio
dell'impresa ha prolungato lo stato di perdita, con indebolimento dell'equilibrio economico. Lo stato di
dissesto deve essere conoscibile e non sopravvenire per ragioni improvvise ed imprevedibili (es. insoluto di un
cliente importante). Occorre la prova del nesso di causalità tra il ritardo e l'omissione.
- grave colpa. E’ una norma a larghissima fattispecie e prescinde dal ritardo o dal rovinoso
proseguimento della gestione. Occorre, però, che esista già un dissesto e che la colpa incida sul mancato
apprestamento di efficaci rimedi. Anzi, proprio per le permesse che portarono allo squilibrio, si richiede che
l’imprenditore assuma iniziative idonee.Ove vi sia, per esempio, notoria insolvenza da parte di un soggetto, non
esporre ulteriormente l'impresa al credito verso lo stesso. Ma, per lo più, si tratta di una ridondanza rispetto
alle previsioni di cui ai nn. 3 ed alla fattispecie dianzi esaminata.
5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.
Di scarsa applicazione nella pratica.
È inapplicabile all'institore.
Si ritiene che il concordato si riferisca ad autonoma e pregressa procedura non anche quello che ebbe a
precedere la dichiarazione del fallimento.
In ogni caso deve trattarsi di un concordato assunto in seno ad una procedura giudiziale e non stragiudiziale.
6) la bancarotta semplice documentale (art. 217 comma 2 l, fall.)
La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento
ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture
contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
La condotta parifica la omessa tenuta alla irregolare o incompleta tenuta della contabilità.
Non é richiesta la prova che la condotta abbia cagionato un pregiudizio effettivo, trattandosi di un reato di
mero pericolo.319
Né é richiesta la impossibilità alla ricostruzione, anche tramite altre tracce contabili tenute
dall'imprenditore (ad es. il corredo fiscale, non trattandosi di reato ad evento, ma di violazione formale della
disposizione sulla contabilità).
Non è supposta la realizzazione di pregiudizio ai creditori, trattandosi di fattispecie di pericolo presunto 320.
Quanto alla condotta é ovvio che la irregolarità sia concetto comprensivo anche della incompletezza: é
sufficiente uno scostamento dal precetto normativo per realizzare la fattispecie, anche se la prescrizione é
esterna al contenuto della scrittura, ovvero alle modalità di articolazione del dato contabile (art. 2217 cod. civ.,
sulle modalità di annotazione del libro inventario, 2219 cod. civ. sul divieto di abrasioni, spazi, ecc.)
La bollatura non è più obbligatoria a seguito del DPR. 26.10.1972 n. 642: la sua mancanza non concreta
il delitto.
La condotta deve collocarsi entro il triennio antecedente al fallimento: nel caso di cessione dell'azienda,
responsabile deve ritenersi l'autore del fatto, ove sia dichiarato di poi fallito.
La cessazione dell'attività non esclude l'obbligo della tenuta della regolare contabilità ove permangano
obbligazioni e rapporti in grado di portarlo al fallimento.
Oggetto materiale sono soltanto le scritture prescritte dalla legge e, cioé (a differenza che per l'art. 216
pp. n. 2 l. fall) ogni scrittura obbligatoria ex art. 2214 cod. civ., corredo che non può essere supplito da
eventuali scritture facoltative (come quelle con finalità fiscale, contributiva, ecc.) 321.
Non sono, quindi, oggetto del reato (secondo giurisprudenza prevalente) le scritture obbligatorie per la
normativa fiscale, per le quali provvede l’apposita normativa.
La condotta può essere sorretta da dolo o da colpa salvo che sia provata una specifica intenzionalità ad
impedire la ricostruzione del movimento degli affari, caso in cui ricorre la fattispecie dell'art. 216 pp. n. 2 l. fall.
319
Cass., Sez. V, 7.11.1997, Brillo, Cass. pen., 1999, 1960 (che contemplava la ricostruibilità della
contabilità a mezzo del corredo documentale fiscale).
320
Giurisprudenza costante, cfr. da ultimo Cass., Sez. V27.10.1998, Sgarbi, Cass. pen., 2001, 298;
Cass. Sez. V, 24.11.1993, Vornoli, Cass. pen., 2001, 1995, 1636, ecc.
321
Cfr. da ultimo Cass., Sez. III, 2.9.2004, Aliberti ed altro, n. 35825, Guida al Diritto, 2004, 38, pag.
79; Cass. Sez. V, 10.5.2000, Benetti, Cass. pen., 2001, 3533; Cass. Sez. V, 27.4.2001, Columbro,
Cass. pen., 2003, 1314.; Cass., Sez, V, 12.8.1997, D’Ambrosio, Cass. pen., 1998, 3417 (che ha
limitato ai libri dell’art. 2214 cod. civ. il corredo, in mancanza del quale può affermarsi l’esistenza del
delitto).
70
Avendo anche un fondamento colposo, la delega a terzi (professionisti, contabili) della tenuta delle
scritture non esime la responsabilità l’imprenditore che é soggetto diretto del dovere: il suo contenuto, tuttavia,
muta nella idoneità della scelta della persona deputata alla tenuta e nella vigilanza sul suo operato. 322
La bancarotta semplice documentale impropria (art. 224 l. fall.)
- art. 224 n. 1 l. fall.
La norma consiste nel rinvio alle fattispecie dell'art. 217 l. fall. Il coordinamento non é tuttavia sempre
possibile.
Infatti, sotto un profilo oggettivo, l'art. 217 n. 1 l. fall. é insuscettibile di traslazione alla sfera sociale
prevedendo spese personali o per la famiglia (lo stesso si osserva per l'institore che non é il soggetto fallito).
Ogni erogazione al soggetto proprio dell'art. 224 l. fall. o risulta frutto di distrazione ovvero é autonomamente
censurata penalmente ove non ritualmente deliberata (es. art. 2630/2359 cod. civ.)
Il socio illimitatamente responsabile risponde delle spese eccessive ricadenti su propri cespiti
patrimoniali e non sociali. 323
Sul piano della responsabilità soggettiva é necessario un coordinamento con le singole funzioni degli
organi sociali: i sindaci, per esempio, non hanno poteri gestori. Ad essi potrà addebitarsi la casistica della
prima parte dell'art. 217 l. fall. soltanto per il tramite dell'art. 40 cpv. cod. pen. 324
Ed anche in tema di violazione documentale deve sottolinearsi che l'obbligo della tenuta dei liberi ricade
soltanto sugli amministratori e, per limitata competenza istituzionale (cfr. artt. 2276, 2277, 2457 cod. civ.), sui
liquidatori.
La competenza dei direttori generali sarà stabilita dalle mansioni in concreto assegnate.
É ovvio che, spettando ai sindaci (o ai nuovi organi frutto della riforma societaria) il controllo della contabilità
(2403 cod. civ.), la loro responsabilità sarà maggiormente per difetto di vigilanza.
Delicata é, infine, la posizione dei soci illimitatamente responsabili: qualora essi non abbiano rivestito il
ruolo di amministratori, non sembra che siano da considerare responsabili ex art. 224/217 cpv. l. fall., non
essendo soggetti destinatari dell'obbligo relativo.
Nessuna questione, invece, per l’institore obbligato al dovere contabile ex art. 2205 cod. civ.
- L'art. 224 n. 2 l. fall.
É punita la condotta dei soggetti della bancarotta impropria che hanno concorso a cagionare o ad
aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi stabiliti dalla legge.
É una fattispecie a natura colposa, ricadendo - altrimenti - la condotta nella vicina figura dell'art. 223 cpv.
n. 2 l. fall.325
É anche norma assai prossima all'art. 217 n. 4 l. fall., differenziandosene, forse, per il grado della colpa (in quel
caso trattandosi di colpa grave) e per la modalità esecutiva (qui occorre l'inosservanza della legge).
La legge é qualsiasi tipo di prescrizione, soprattutto quella del codice civile, ma anche leggi speciali.
Occorre la dimostrazione di un nesso di causalità tra la condotta ed il dissesto o il suo aggravamento: ma la
casistica è ampia (e stupisce una così rara contestazione della fattispecie nella pratica).
Per esempio:
la violazione degli obblighi incombenti agli organi sociali: per l’amministratore che non compia o
concorra a compiere condotte fraudolente, la mancata vigilanza sullo sleale componente del consiglio di
amministrazione.
322
Cfr. da ultimo Cass., Sez. V, 19.1.1999, Mollo, Cass. pen., 2001, 302, anche sul rilievo che
obbligo dell’imprenditore è quello della vigilanza nell’interesse dell’impresa, sì che la delega non
esclude responsabilità (a titolo di colpa) per omessa sufficiente ed idonea vigilanza. Osservazione che
non vale per le ipotesi di bancarotta documentale fraudolenta, ma che consente di “derubricare”
quest’ultima, in caso di accertata “culpa in vigilando” senza profili di collaborazione volontaria
all’inquinamento contabile, nella “minore”ipotesi del’art. 217 l. fall.
323
Operazione interpretativa ritenuta possibile: Cfr. Cass., Sez. V, 5.2.1997, Tonini, Cass. pen., 1998,
1781; CARRERI, I reati di bancarotta, Giuffré, 1993, 268; CONTI, Diritto penale commerciale, Reati
fallimentari, Utet, 1991, 255, ecc.
324
Si ritiene, per es., che la fattispecie relativa alle operazioni di pura sorte, impingendo in un ambito
di merito gestorio, siano sottratte al compito di vigilanza di legittimità dei sindaci, cfr. CARRERI, I
reati di bancarotta, Giuffrè, 1993, 255 e ss. In giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. V, 18.12.2001, Vaccaio,
Cass. pen., 2003, 1314; Cass. Sez. V, 24.4.1990, Piras, n. 184140 ;
325
Cass., Sez. V, 14.6.2004, Fierro, n. 26647, in Guida al Diritto, 2004, 29/82.
71
Per il sindaco, la mancata verifica periodica, la lettura del bilancio, la presenza ai Collegi sindacali, quando non
sia provata una sua consapevolezza sulle alterazioni documentali o su delibere illegittime (nel qual caso egli
risponde a titolo di concorso nel reato più grave) e vi sia dimostrazione di un pregiudizio ed un impoverimento
dell’asse attivo sociale a seguito dell’omessa ed obbligatoria vigilanza;
la violazione degli artt. 2446 cod. civ, già sanzionato dall'art. 2630 cpv. cod. civ.; art. 2447 cod. civ.,
quando il capitale scenda al di sotto del minimo legale e non si provveda alla liquidazione; la violazione
dell'art. 2626 cod. civ., non più di rilevo penale, quando essa sia tesa ad occultare ai terzi le perdite e consentire
il protrarre la gestione;
la violazione dell'art. 2631 cod. civ. già punita dall'art, 2630 cpv. n. 3 cod. civ., quando la modifica
dell'oggetto abbia portato al dissesto;
forse anche la violazione degli obblighi contributivi, assicurativi, ecc. connessi in qualche misura
all'evento che squilibra l'economia sociale, ecc.)
La bancarotta semplice post-fallimentare.
La mancata gestione del patrimonio (per lo spossessamento cagionato dal fallimento) non rende
praticamente attuale e pratica ipotesi di commissione, nel corso di procedura, delle condotte descritte dagli artt.
217 e 224 l. fall.
72
PARTE IV
Il nuovo concordato preventivo e l’art. 236 l. fall.
a) Il presupposto della nuova procedura.
La riforma ha oggi dato vita ad un istituto assolutamente diverso da quello che era regolato dall’art. 160 e
ss. l.fall. anche se ha conservato il vecchio “nomen juris”.
Le diversità sono sostanziose.
Innanzitutto con riguardo al presupposto per l’ammissione alla procedura (art. 160 l. fall.).
Il vecchio
testo consentiva al debitore di fruire di questa procedura “minore” se egli si trovasse in uno stato di insolvenza
(e potesse godere di alcuni requisiti personali di tipo quasi etico, come la “meritevolezza”, art. 181 n. 4 l. fall., e
di altre dal connotato oggettivo, condizioni che oggi non sono più previste) e, pertanto, nella analoga situazione
prevista per il fallimento (con la sola differenza, ad essa estrinseca, di qualificarsi come anticipatoria degli esiti
più gravi propri della procedura fallimentare: “fino a che il suo fallimento non dichiarato”).
Questa continuità normativa tra il concordato preventivo ed il fallimento giustificava – per i riflessi
penali – la disposizione dell’art. 236 comma 2° n. 1 e 2 l. fall. che, per quanto attiene alla bancarotta impropria,
equipara per entrambe le procedure le conseguenze della dichiarazione giudiziale di insolvenza. Con
la
conseguente riferibilità della penale responsabilità all’esponente societario o all’institore di condotte tipicizzate
dagli artt. 223, 224, 227 l. fall., anche se – si osservi – la procedura si concluda con sentenza di reiezione, di
omologazione, di risoluzione o di annullamento del concordato. Oggi, invece, la procedura del concordato
preventivo dipende da una situazione significativamente (anche, se come ho detto, dai contorni incerta) diversa:
lo stato di crisi (art. 160: “l’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato
preventivo…”).
Purtuttavia, il tenore letterale dell’art. 236 comma 2° l. fall. resta immutato di fronte al “nuovo”
concordato preventivo a cui si adatta perfettamente, senza alcuna tensione analogica, sicchè – in un’ottica
rispettosa della volontà del legislatore - non vi è ragione ermeneutica per negare siffatta dilatazione della
fattispecie incriminatrice.
Se in sé il raccordo alla “crisi” non modifica l’efficacia dell’art. 236 comma 2 n. 1, permanendo valida
– nella sua modalità formale di richiamo ad istituti concorsuali ed ad norme incriminatici già perfette – mi
sembra che ben diversa, proprio per la lettera della norma richiamata, per l’ipotesi della bancarotta “societaria”
(e per le figure di bancarotta semplice impropria di cui all’art. 217 n. 4 a cui rinvia l’art. 224 n. 1, e –
soprattutto – l’art. 224 comma 2) en divrso sia il discorso: infatti il nesso di causalità è rapportato al “dissesto”
e non già al presupposto di partenza. Orbene, come già ho detto, la nozione di “dissesto”, se poteva risultare
compatibile (anche se idealmente diversa è la nozione commercialistica, cfr. al proposito le raffinate
osservazioni di PERINI, Il “cagionamento del dissesto”: la nuova bancarotta da reato societario al banco di
prova della causalità, Riv. trim. pen. economia, 2004, 721 e ss.) con quella di “insolvenza”, risulta difficilmente
coerente con il “dissesto” che dipinge un quadro di squilibrio di impresa ben più accentuato. Pertanto, salvo
ritenere di fatto non più coerente il nuovo istituto con la vigente disciplina penal/fallimentare, assunto
difficilmente giustificabile in sede interpretativa non evidenziandosi una insormontabile confliggenza di
concetti e previsioni normative, occorre ritenere che la fattispecie incriminatrice abbia vigenza soltanto quando
la commissione dei fatti sottesi dalle norme penal/societarie ad opera del debitore concordatario abbia
determinato non già la impalpabile (sia in termini economici, sia nel profilo giuridico) soglia della crisi, bensì il
più “pesante” dissesto.
Occorre, cioè, sceverare in seno al processo causativo tra “fatto” illecito ed evento dissesto, la potenzialità di
squilibrio derivata dal primo.
E, se si riscontrano nella serie temporale della gestione sfociata nell’ammissione del concordato, quale di essi
possa collocarsi in rapporto di continuità con il dissesto, e non soltanto ad una crisi d’impresa.
Dal che derivano due conseguenze:
- che ove l’ammissione alla procedura minore segua ad una mera crisi (come la nuova normativa
consente), non vi è spazio per intravedere condotta incriminabile ex art. 236 comma 2 n. 1 l. fall.;
- che la responsabilità a mente dell’art. 236 comma 2 n. 1 l. fall. potrà ascriversi soltanto agli esponenti
societari, autori dei fatti criminosi di bancarotta da reato societario che siano rapportabili al dissesto e non alla
sola crisi.
Soluzione indubbiamente, assai discosta dalla originaria e più semplice coincidenza tra presupposto per
l’ammissione alla procedura “minore” e processo causativo dello stesso, venendo a separare il portato della
decisione giudiziale che ammette al concordato, dal nucleo unitario che si identificava con la concreta (e non
potenziale o parziale) lesione alle ragioni creditorie e dall’esito di fraudolenza a cui porta la condotta degli
autori.
In quale concreta misura, poi, sia possibile separare i “fatti” penal/societari portatori di mera crisi da quelli
forieri di dissesto è argomento delicato: ma sicuramente, al riguardo, occorre che il legislatore fallimentare
73
fornisca un qualche parametro definitorio della più lieve patologia, situazione a cui – d’altra parte – è ancorata
non soltanto l’esigenza probatoria penale a cui si è accennato, bensì la stessa disciplina concorsuale.
La risultanza dell’accertamento del passivo in sede concorsuale
Infine, il discorso diviene rilevante nel caso della trasformazione della procedura in fallimento nel caso di
inadempimento, causa dell’automatica trasformazione nella procedura maggiore (art. 186 comma 3 l.fall.), la
quale non necessariamente (pur se tanto risulta nella normalità dei casi) sottende la verifica che le difficoltà
finanziarie si inquadrano nella nozione di insolvenza. Quando, cioè, l’estensione punitiva, portata dall’art. 236
comma 2 n. 1 l. fall., oltrepassi i presupposti strutturali della fattispecie incriminatrice e divenga poco
omogenea con il richiamo alle norme sulla bancarotta. Profilo di interesse anche per il giudice penale, poiché
è (anche) a costui devoluta (secondo prevalente orientamento che riscontra l’abolizione nel nuovo codice di rito
della cd. pregiudiziale assolutamente devolutiva costituita dalla sentenza del giudice fallimentare) la
valutazione circa la premessa economica che dà luogo alla procedura. Pertanto, nel contesto del processo
penale si darà luogo alla valutazione della compatibilità della fattispecie di bancarotta scaturita dalla mera crisi
dell’imprenditore e non dall’insolvenza. La conseguenza sostanziale è che, potendosi ipotizzare il delitto di
bancarotta (fraudolenta o semplice) impropria per le fattispecie di concordato preventivo (ed a prescindere dalla
concreta applicabilità delle norme, qualora non si ravvisi nei fatti il dissesto), si estende – anche per questo
verso – la possibilità di azione penale: basta che il debitore (societario o institore) avanzi un ricorso nei termini
del nuovo art. 161 e che il tribunale, a mente dell’art. 163 ammetta costui alla procedura che, automaticamente
si apre la teorica applicabilità dell’art. 236 comma 2 l. fall. (norma che si impernia sul decreto di ammissione
alla procedura, non dall’approvazione o dall’omologazione).
Né si creda che l’”iter” si modelli su quello tratteggiato dall’abrogato art. 163, procedura che comportava
– anche a mezzo di idonea e soddisfacente motivazione del giudice – penetrante controllo di merito sulla
proposta, con la possibilità di una reiezione dell’istanza anteriore all’emissione del decreto di apertura della
procedura. Infatti, il nuovo art. 163 sembra accontentarsi di una validazione meramente formale del ricorso
(“il tribunale, verificata la completezza e regolarità della documentazione…”), sì che l’effettiva garanzia di
serietà del ricorso riposa sulla attendibilità dei documenti attestanti la situazione economica, patrimoniale e
finanziaria dell’impresa debitrice e sulla serietà della certificazione della società di revisione.
c) L’informazione ai creditori.
A sé, e parecchio interessante, è il capitolo relativo alla tutela della correttezza delle informazioni sulla
situazione economica patrimoniale e finanziaria da parte dell’organismo che chiede l’ammissione al
concordato. Il meccanismo normativo contempla che il debitore fornisca ai creditori ed al giudice ragguagli
sulla sua situazione patrimoniale ed economica, onde consentire una valutazione sulla sua proposta
concordataria. Il testo di nuovo conio non prevede alcuna specifica protezione penale per il caso in cui i dati
siano infedeli ed eccessivamente “ottimistici” (mentre, al proposito, il testo della Commissione Trevisanato
conosceva espressa fattispecie punitiva sia per le false informazioni sia per condotte di slealtà fraudolenta nel
corso della procedura, cfr. art. 16 comma 8 dello schema di legge delega). Occorre, quindi, fare i conti con la
risultanza della vigente disciplina ed, in particolare
c1) L’informazione resa da chi richiede l’ammissione e la figura del “professionista” di cui all’art. 161
comma 3 l. fall. la relazione da questi redatta.
Al riguardo, nella legge fallimentare, esiste la fattispecie dell’art. 236 comma 1 l. fall. protesa (con
struttura soggettiva di dolo specifico) a punire le infedeltà dichiarative finalizzate all’ammissione al concordato
preventivo e, cioè, la condotta
“dell’imprenditore che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo, si sia
attribuito attività inesistenti ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in
tutto o in parte inesistenti”.
Non è difficile rapportare siffatta prescrizione punitiva alla relazione del debitore che accompagna il
ricorso per l’ammissione, quando si riscontri mendacio (anche nel coordinamento con l’annotazione del
professionista, di cui all’art. 161 comma 3):
- sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa; con uno stato analitico ed
estimativo delle attività;
- nell'elenco nominativo dei creditori, sicchè la falsità può leggersi qualora parte di essi siano stati
consapevolmente pretermessi ovvero quando l’importo della pretesa sia stato arbitrariamente ridotto o, infine,
quando sia falsa o volutamente carente l’annotazione sulle cause di prelazione;
- nell’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore, dove
l’eventuale infedeltà non attiene tanto alla nominatività dei soggetti, quanto all’esistenza di questi diritti; ed,
infine e soprattutto, mendacio nella indicazione del valore dei beni.
74
Anche se non espressamente indicato dalla nuova normativa è ragionevole ritenere che la domanda dia anche
conto della genesi della crisi, fornendo dettaglio sulle sue cause, onde consentire la valutazione della sua
rimediabilità, alla luce delle soluzioni proposte del debitore, la bontà del suo piano di risanamento, ecc., ma la
falsificazione di questi dati difficilmente rientrano nella nozione di attribuzione di attività inesistenti, quanto di
più generica fraudolenza, non richiamata dalla norma.
L’art. 236 comma 1 l. fall. disegna una figura di reato assai libera nella indicazione dello strumento
decettivo (che, può consistere in dichiarazioni, relazioni, documenti, produzioni, ecc., avuto riguardo alla
genericità dell’indicazione “siasi attribuito”), ad evidente specificità del dolo (finalizzato “al solo scopo di
essere ammesso alla procedura di concordato preventivo” sicchè esulano dalla fattispecie i casi di finalità
diverse da quella afferente alla procedura concorsuale), a consumazione immediata, connessa alla
emissione/deposito della comunicazione infedele (il raggiungimento dell’ammissione alla procedura è
indifferente alla fattispecie penale, concretandosi la responsabilità con le condotte di attribuzione del credito,
atti che si concretano nella esposizione diretta ai creditori ed all’AG.), segnalando che la condotta di falso deve
precedere il decreto con cui il Tribunale ammette il debitore alla procedura di concordato preventivo (art. 163 l.
fall.), poiché l’azione è finalizzata a questo risultato.
Tuttavia la lettera della norma restringe in guisa non del tutto ragionevole la punibilità dei soli
comportamenti promananti dell’imprenditore individuale, con esclusione dei rappresentanti societari, con una
conseguente ben limitata applicazione (tesi assunta dalla grande3 maggioranza della dottrina e dalla
giurisprudenza prevalente: Cass., Sez. 5., 2.6.1989, Danesi, n.147279 e dichiarazione di manifesta infondatezza
del rilievo di illegittimità costituzionale, Cass. pen, 7.12.1983, Riv. pen., 84, 648) ha ritenuto inestensibile agli
esponenti societari la fattispecie).
Si tratta di norme penali incriminatici e, dunque, insuscettibili di
estensione analogica.
Così come estremamente (e non facilmente giustificabile) è la delimitazione della condotta illecita, ravvisata
soltanto nell’attribuzione di attività inesistenti e non anche la sottostima di passività esistenti.
Il che limita assai il campo della punibilità (anche se - per il vero, restando al piano applicativo - è assai raro
che la sottostima di un’attività non rinvenga in qualche misura esposizione enfatizzata di altra corrispondente
posta).
Il rilievo, peraltro, non è indifferente per i casi, che si segnalano non sporadici, di manovre tese alla
sottostima di attività in un’ottica di successivo riacquisto dell’azienda da parte di terzi collusi con il debitore.
La conclusione è, quindi, nel senso che per gli organismi societari (e per l’institore) la falsa attribuzione
di attività al fine dell’ammissione alla procedura concordataria è immune da rilievo penale. E’ vero che il
secondo comma dell’art. 236 l. fall., a mezzo del quale è estesa ad alcuni soggetti l’applicabilità delle previsioni
penal/fallimentari nel caso di ammissione alla procedura “minore” (con un curioso pendant rispetto alla
incongrua limitazione della disposizione che lo precede, non essendo tra costoro annoverato l’imprenditore
individuale né, conseguentemente, il richiamo agli artt. 216/217) tra cui quella dell’art. 223 l. fall. ai soggetti
qualificati, così ipotizzando la applicazione a costoro dell’art. 2621 comma 2 n. 1 l. fall. in relazione ai fatti
descritti dagli artt. 2621/2622 cod. civ. (false comunicazioni sociali).
E’, ancora, certamente vero che l’informazione di cui si tratta può rivestire la connotazione oggettiva
dello strumento descritto dalle disposizioni dei detti reati societari. Ma non ritengo che la naturale destinazione
della (mendace) informazione possa qualificarsi come diretta ”al pubblico” dal momento che il novero dei
creditori (immediati destinatari) non é indeterminabile (se è questo, come sembra il parametro per definire il
concetto di “pubblico”) ma, per quanto vasto, pur sempre definibile “a priori” .
Ed, allora, per la tutela dell’informazione proveniente da debitore societario non resta che il richiamo alla
truffa (art. 640 cod. pen., eventualmente suscettibile di persecuzione ufficiosa con il concorso di un’aggravante,
come l’art. 61 n. 7 cod. pen.) o alla ipotesi dell’art. 483 cod. pen. (sanzione: reclusione sino a due anni), nella
convinzione che la relazione del debitore sia “destinata a provare la verità” e sia, comunque, diretta anche
all’AG.
c2) L’informazione ed il ruolo del professionista.
L’art. 161 comma 3 l. fall. prescrive che al ricorso del debitore sia allegata una relazione di un
professionista. Si tratta di un adempimento del tutto nuovo (anche se consacra una diffusa prassi già esistente
prima della riforma) che introduce un ingresso “ab inizio” garantito circa la serietà della proposta (restando
immutato il compito analogo, ma predisposto in un momento successivo ed in funzione di controllo, del
Commissario tenuto pur egli alla compilazione di una relazione, art. 172 l. fall.)
La figura del professionista è qui richiamata - atteso il contesto sistematico - non per il rapporto fiduciario che
lo lega al cliente, bensì per la sua competenza professionale: anche perché quale tecnico ed esperto è posto in
un regime di indipendenza tra il versante degli interessi del debitore e quello proprio dei creditori (pertanto, il
professionista dovrà sottoporre a vaglio l’informazione fornita dal debitore, non bastando sicuramente che
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l’attestazione di veridicità si limiti al riscontro della provenienza dal ricorrente del dato). Egli assume, quindi,
la funzione di garante nell’interesse non tanto del debitore/proponente quanto degli interessi dei terzi.
Tanto è agevole evincere dai requisiti che espressamente la riforma richiede per rivestire questo ruolo sono
sintomatici: egli è equiparato al riguardo (cfr. il richiamo all’art. 28 l. fall.) al curatore che, pur presiedendo agli
interessi creditorî è “terzo” rispetto alla massa.
Ma, soprattutto, è disciplinato il rapporto di estraneità del professionista rispetto al debitore proponente,
essendo (seguendo gli attuali tratti dell’art. 28, in attesa della novella riformatrice):
escluso che sia suo parente/affine o suo creditore;
non deve avere prestato a suo favore attività professionale;
mai deve essersi ingerito nella impresa durante i due anni anteriori alla presentazione della istanza.
Si affaccia, quindi, il quesito se questo soggetto – essenziale per l’avvìo della procedura e previsto in una
in equivoca posizione di garanzia – assuma una qualificazione pubblicistica.
Non deve sfuggire che il controllo che il Commissario della procedura svolge, stando al testo letterale della
riforma (art. 172), si risolve in una scarsa verifica di sostanza quanto alla tenuta ed all’attendibilità delle
scritture contabili e che al professionista è assegnato un compito di tutela degli interessi sicuramente non
formale.
A favore di questa ipotesi milita, indubbiamente, il collegamento con il Commissario che è
espressamente definito pubblico ufficiale (art. 165) e la – per il medesimo richiamo dell’art. 28 – la cennata
estraneità dagli interessi del privato committente.
Ancora: la funzione chiaramente certificativa della sua relazione quanto alla “veridicità” dei dati
aziendali esposti dal ricorrente, la quale si atteggia a base delle valutazioni disponibili per i creditori e dell’AG.
Infine, la disciplina derivante dalle norme di diritto pubblico, quali sono quelle contenute nella legge
fallimentare protesa alla soluzione di plurimi e configgenti interessi concorsuali ed alla disciplina, anche
penale, delle evidenziate patologie. Difetta, invece, al professionista la scelta e la nomina promanante da
organo pubblico, momento assai importante - anche se non decisivo - per valutare la sua qualifica.
Ma ritengo che se, il giudice riterrà necessario devolvere al professionista la nuova redazione della relazione o
la specificazione di punti non ritenuti esaurientemente raccolti nel primo elaborato, prassi già conosciuta nel
vigore della novella, si determinerà una relazione, assai più stretta e qualificata con l’AG. In tal caso il
professionista potrebbe, in definitiva, finire per rivestire una funzione di consulenza a favore della procedura,
con le possibili responsabilità descritte dall’art. 64 cpc.
Tanto interessa indubbiamente anche per qualificare la natura della relazione resa dal professionista: anche
nell’ipotesi in cui egli sia ritenuto soggetto provato, difficilmente potrà negarsi la fattispecie di cui all’art. 483
cod. pen., postochè la relazione è diretta anche all’organo giudiziale e destinata a provare la verità dei dati
aziendali.
Per altro verso, potrebbe richiamarsi la funzione di consulenza nell’interesse della procedura: discorso
che non risulta inappropriato se si considera che, per quanto attiene alla limitrofa disciplina del piano di
risanamento, l’art. 67 comma 2 lett. d) dispone un richiamo espresso all’art. 2501 bis cod. civ., il quale a sua
volta rinvia alla figura dell’esperto suscettibile di sanzione penale (sia a titolo di consapevole falsità peritale sia
a titolo di colpa grave nella sua redazione) ex art. 64 cpc., essendo parificato al consulente tecnico nominato
nel processo civile dal giudice. Ma, anche per questo profilo, l’assenza di una diretta nomina da parte del
giudice sia la non stretta affinità tra l’attuale materia e quella delle fusioni societarie, per le quali vige la
disposizione (indirettamente) incriminatrice, lascia ambiti di perplessità su siffatti raccordi, in assenza di più
esplicita indicazione normativa.
Quanto al contenuto della relazione, il professionista è chiamato a rendere attestazioni sui “dati
aziendali”. La tecnica con cui deve redigersi la comunicazione è, verosimilmente, quella dell’informazione di
bilancio salvo che, per una migliore chiarezza, il professionista ritenga di decampare dai referenti del codice
civile, segnalando la diversa modalità espositiva.
La nozione di “dati aziendali” è un novero che il legislatore non ha meglio specificato, se non nella finalità a
cui deve tendere la relazione: informare i destinatari della proposta del debitore sulla situazione economica e
patrimoniale dell’impresa (ed anche dei patrimoni ad essa vincolati per garanzia o per illimitata responsabilità),
al fine di enucleare le potenzialità di risanamento e di affidabilità.
Dunque, un’informazione veritiera che deve superare il formalismo ed anche i possibili immediati tornaconti
del debitore: per es. è obbligo di verità quello di rendere nota anche la gestione fiscalmente riservata alludendo
anche alle scritture “nere” (non si tratta di violazione menzionata come ostativa all’ammissione alla procedura),
ed eventuali introiti di profitti non giuridicamente commendevoli. Sicuramente egli deve svelare le alterazioni
dal vero rilevate nelle informazioni date dal debitore ai terzi, ove tanto possa influire sullo sviluppo della
procedura concordataria: il dovere di verità non è astratto ed onnicomprensivo, ma funzionale agli interessi alla
cui tutela è disposta la relazione Diverso il discorso se, poi, la certificazione proviene da società di revisione
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che abbia esplicato un’attività ad essa tipica (es. siano stati certificati i bilanci allegati): non dovrebbero esservi
ostacoli all’applicazione dell’art. 2624 cod. civ., fattispecie che - secondo prevalente dottrina -annovera anche i
casi di revisione facoltativa di ente o soggetto che la richieda.
Norma che – pur non essendo integrativa della fattispecie dell’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. assume una
fisionomia di una qualche gravità.
La fattispecie è notoriamente svincolata dal meccanismo delle soglie di rilevanza quantitativa del falso e –
qualora dalla condotta alterativa consegua danno ai creditori – contempla sanzioni non indifferenti (reclusione
da uno a quattro anni).
E’, infine, utile rammentare che è sempre possibile la rappresentazione del concorso del debitore nel
reato del professionista, affinché questi rassegni una certificazione falsa. In tal caso il debitore risponderà delle
falsità ascrivibili al professionista.
Un’ultima osservazione circa la natura del mendacio. Infatti, l’informazione resa ha due peculiarità:
- quanto all’attestato di veridicità, la relazione attiene a dati in gran parte valutativi, dunque ad un tipo di
falsità che deve riguardarsi con particolare cautela, avendo per un verso dei parametri indicati da organismi
tecnici internazionali, eppertanto un limite quasi oggettivato della discrezionalità, per altro aspetto,
contrassegnata da possibile e lecita difformità di opinione e sensibilità, anche se rapportata alle ben diverse
situazioni di paralisi operativa conseguenti alla crisi dell’organismo ed alle peculiarità dei singoli comparti di
mercato;
- quanto all’attestato di fattibilità, la relazione attiene a prognosi di risanamento o anche di sviluppo del
“trend” attuale, quanto al giudizio di “fattibilità” del piano di concordato.
Piano assai faticoso per affermare il distacco dal vero, dal momento che il mendacio – secondo
prevalente dottrina – è dichiarazione (non vera) di scienza.
Oggetto del falso è, tendenzialmente, il dato storico attuale. non quello futuro e possibile.
Ma è chiaro che la falsità del dato di partenza determinerà il falso risultato del dato futuro estrapolato dalla
risultanza presente.
Di qui la rilevanza anche di questi giudizi, quando essi siano il portato di false informazioni di base.
Questa seconda parte della relazione è non meno importante della prima, in quanto il professionista, proprio
quale soggetto “esperto” ed “estraneo” alle vicende dell’imprenditore, partendo dalla veridicità dei dati
aziendali riferiti, esprime un giudizio sulla concreta riuscita della proposta di concordato e in particolare sul
raggiungimento degli scopi in esso previsti, venendo considerate idonee le soluzioni adottate sia sul piano
giuridico che su quello economico.
c2) La responsabilità penale dei diversi soggetti.
La responsabilità del debitore ammesso alla procedura concordataria è regolata dalla già citata
disposizione dell’art. 236 comma 2 l. fall., applicabile ai soli organismi societari (ed all’institore) che equipara
l’ammissione alla dichiarazione di fallimento e, dunque, la responsabilità per i fatti descritti dagli artt. 223 e
224 l. fall.
Pertanto, l’imprenditore individuale è esente dalle responsabilità descritte dalle norme sulla bancarotta per fatti
commessi nella gestione di impresa, quando sia stato ammesso al concordato preventivo.
Discorso che, ovviamente, muta se al suo fianco si rinvenga un socio di fatto e, conseguentemente, una società
irregolare soggetta alla disciplina degli artt. 223 e ss. l. fall.
Quanto alla bancarotta documentale giova segnalare che – se la inorganica e difettosa tenuta delle scritture non
è ostativa all’ammissione al nuovo concordato – la stessa, invece, è costitutiva della fattispecie di bancarotta
semplice (o fraudolenta documentale).
A mente del medesimo art. 236 comma 2 n. 3 l. fall. la responsabilità penale del Commissario è
parificata (parzialmente) a quella del Curatore e, pertanto, sono ascrivibili al medesimo i reati di cui gli artt.
228 (interesse privato negli atti del fallimento) e 229 (accettazione di retribuzione non dovuta). Non vi è
menzione dei coadiutori (che, dunque, risultano esterni al richiamo ma che possono concorrere nel reato, nel
caso di concerto, con il Commissario). La figura del Commissario è formalmente invariata, rispetto al
previgente regime, poichè nessuna delle norme è stata modificata dall’intervento riformatore (egli è pubblico
ufficiale).
L’art. 236 comma 2 n. 4 l. fall. estende ai creditori le responsabilità per le condotte di ricettazione
fallimentare (art. 232: sia per la presentazione di domanda per crediti simulati, sia per condotte di distrazione
senza concorso del debitore) e art. 233 l. fall. (mercato di voto, reato pluri-soggettivo che presuppone il
concerto con il debitore/proponente).
PARTE V: concordato preventivo ed amministrazione controllata
a) La riforma dell’art. 218 l. fall. (Ricorso abusivo al credito)
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La novella non discende dall’intervento riformatore della legge fallimentare, bensì dal recente art. 32
della legge n. 262/2005 («Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari») che ha
riformulato la fattispecie di ricorso abusivo al credito.
Questo era il quadro previgente:
- il primo comma dell’articolo 218 l. fall. puniva, con la reclusione fino a due anni, il fatto
dell’imprenditore esercente un’attività commerciale che, dissimulando il proprio dissesto, ricorreva o
continuava a ricorrere al credito.
- la norma trovava il corrispondente nell’art. 225 l. fall. che applicava le pene stabilite dall’art. 218 l. fall.
agli amministratori ed ai direttori generali di società dichiarate fallite i quali si fossero resi responsabili del fatto
ivi previsto.
- analoga estensione l’art. 227 l. fall. prevedeva per l’institore dell’imprenditore dichiarato fallito.
- il generale richiamo dell’art. 222 l. fall. alle fattispecie descritte al capo I del Titolo VI della legge
fallimentare, rendeva responsabili del delitto anche i soci illimitatamente responsabili purchè la società fosse
assoggettata a procedura concorsuale.
Il nuovo articolo 218, come sostituito dalla legge in esame, prevede ora che gli amministratori, i direttori
generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un’attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere
al credito, anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti, dissimulando il dissesto o lo stato
d’insolvenza siano puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
In pratica:
a) per quanto attiene al novero soggettivo:
- si è estesa a tutti i soggetti indicati dall’art. 225 l. fall. la fattispecie, privando di rilevanza quest’ultima
norma, con la conseguenza (secondo quanto sarà detto oltre) la quale limitava la responsabilità a quanti fossero
stati preposti a “società dichiarate fallite”, limitazione oggi non più prevista;
- si è aggiunto al novero soggettivo la categoria dei liquidatori;
- non si sono menzionati né l’institore né i soci illimitatamente responsabili, soggetti che – tuttavia –
risultano pur sempre soggetti al comando penale in forza dei vigenti artt. 222 e 227 l. fall.
b) per ciò che concerne il fatto,
- è stato introdotto l’inciso “anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti”.
Un riferimento ai fatti di bancarotta, fraudolenta e semplice, prefallimentare e, segnatamente, al caso
indicato dall’art. 217 co. 1 n. 3 e 4 l. fall. (bancarotta semplice consistita nel compimento di operazioni di grave
imprudenza per ritardare il fallimento; o nell’aggravamento del dissesto per la tardiva richiesta del proprio
fallimento) ovvero, all’ipotesi di bancarotta fraudolenta sia documentale (art. 216 pp. n. 2 l. fall.) sia societaria
(con più porbabile riferimento al fatto di false comunicazioni sociali o al compimento di operazioni dolose: art.
223 co. 1 n. 2 e co. 2 l. fall.: cfr. sul punto Cass., sez. V, 14.1.2004, Iride, Riv. pen., 2004, 843).
- l’inciso, al contempo, conferma quanto si opinava in ordine alla configurabilità del reato
indipendentemente dalla dichiarazione di fallimento: cfr. ex plurimis Cass., sez. V, 04.5.2004, Narducci, Ced
Cass., 228906; Cass. I, 22 luglio 1997, Zarri, in Cass. pen. 1998, p. 2482; Cass. I, 24 ottobre 1984, Moscatelli,
ivi 1990, p. 331; in senso contrario la più recente giurisprudenza (“il reato di ricorso abusivo al credito richiede
che il soggetto al quale esso viene addebitato sia, successivamente, dichiarato fallito”, Cass., sez. V, 4.5.2004,
Narducci, Ced Cass., rv. 228906) autorevole dottrina (ANTOLISEI, Manuale, II, 173; CONTI, II, 352 e ss.;
PEDRAZZI SGUBBI, p. 193 e ss., ecc.)
- è stata eliminata la clausola di sussidiarietà: «salvo che il fatto costituisca più grave reato», che era
riferita essenzialmente alla truffa, prima punita con pene più elevate, ma, con l’inasprimento portato dalla
riforma, ormai collocata a livello sanzionatorio sostanzialmente uguale (per quanto attiene alla pena detentiva,
non essendo prevista multa per il “nuovo” art. 218 l. fall.), fermo restando che il ricorso abusivo al credito
presupponeva solo l’occultamento dello stato di insolvenza al fine di ottenere credito, mentre la truffa
comportava – indipendentemente dall’impossibilità di adempiere alle obbligazioni – l’induzione in errore
mediante artifici e/o raggiri; cfr. Cass. V, 16 marzo 2000, Motta, in Guida dir. 2000, n. 16, p. 84).
- è stata estesa la nozione di oggetto materiale del delitto: la dissimulazione è penalmente rilevante anche
se destinata ad occultare lo stato di insolvenza. Il legislatore sembra confermare che dissesto e insolvenza sono
termini esprimenti concetti diversi (sulle due nozioni, si richiama il già ricordato lavoro di PERINI, Il
“cagionamento del dissesto”: la nuova bancarotta da reato societario al banco di prova della causalità, Riv. trim.
pen. economia, 2004, 721 e ss.)
- invariata è la nozione di «credito» che indica «qualsiasi genere di prestazione data contro la promessa
di prestazione futura» ovvero come richiesta di finanziamento attraverso gli ordinari canali bancari, e anche
come utilizzo di un sistema che consenta il pagamento differito di un debito, mediante l’assoggettamento ad un
costo qual è quello costituito da una fideiussione bancaria (ad es. prestito in denaro; acquisto di merci a
pagamento differito; percezione di anticipi per forniture da eseguirsi; anticipazioni bancarie; sconti cambiari,
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ecc.: cfr. Cass., sez. V, 14.1.2004, Iride, Riv. pen., 2004, 843; Cass. V, 3 marzo 1971, Caprari Santi, in Arch.
pen. 1972, II, p. 23).
Ovviamente lo stesso oggetto materiale rende contigua la fattispecie del “mendacio bancario”, verso cui la
presente figura è connotata da specialità attesa la presenza di un dissesto e dalla peculiare condotta di mendacio
costituita dalla relativa dissimulazione).
- immutata la nozione di «Dissimulare lo stato di dissesto»: essa significa occultare, con reticenze o
dichiarazioni inesatte ed anche con il mero silenzio, lo stato patrimoniale dissestato (che non deve essere
riconoscibile o conosciuto da chi concede il « credito »: v. Cass. V, Marrone, 27 marzo 1979, in Riv. pen. 1979,
p. 778).
- non modificata la struttura del dolo richiesto, meramente generico (e non quello specifico, finalizzato
al conseguimento di un ingiusto profitto), costituito dalla consapevolezza dell’insolvenza e dalla coscienza e
volontà di fare ricorso al credito nonostante il pericolo che la situazione di dissesto costituiva per le ragioni del
creditore (Cass., sez. V, 18.10.2002, Vignoli, Riv. pen., 2003, 241).
- il trattamento sanzionatorio è stato inasprito: la reclusione prevista dall’abrogato art. 218 era sino a due
anni, oggi è stato determinato il minimo in sei mesi di reclusione ed il massimo è stato portato a tre anni.
L’attuale terzo comma ripropone, infine, le pene accessorie di cui al previgente secondo comma (oltre a quelle
di cui agli articoli 28 ss. c.p., l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad
esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni).
- è stata introdotta la circostanza aggravante (art. 218 co. 2 l.fall.), per il caso in cui ricorrano
abusivamente al credito gli amministratori, i direttori generali ed i liquidatori di società quotate in mercati
regolamentati.
79
b) La scomparsa dell’amministrazione controllata ed il reato di cui all’art. 236 comma 1 l. fall.
L’art. 147 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 ha abrogato l’intero istituto dell’amministrazione controllata,
disciplinata, in seno alla legge fallimentare, dall’art. 187 all’art. 193. Abrogazione destinata ad entrare in
vigore dopo sei mesi dalla pubblicazione (e, quindi, al 16 luglio 2006).La procedura “minore” è letteralmente
richiamata a supporto della fattispecie incriminatrice dell’art. 236 primo e secondo comma, l. fall.
Per quanto attiene al primo comma, essa qualifica il fine specifico del dolo. (“al solo scopo di esser
ammesso alla procedura … di amministrazione controllata”)
Nel secondo comma richiama la procedura quale area in cui collocare e far dipendere l’intera previsione
incriminatrice, “nel caso di … amministrazione, si applicano le disposizioni …”
Il quesito che si pone è se l’abrogazione dell’istituto comporti l’abolitio della fattispecie penale (che in sé
coinvolge anche l’applicazione delle maggiori ipotesi punitive della legge, bancarotta, reati del commissario,
reati ascrivibili ai creditori).
L’attenta lettura della norma incriminatrice esclude che la procedura concorsuale possa considerarsi un
profilo esterno all’oggetto del reato. In sostanza un elemento non costitutivo della stessa. Infatti, secondo
costante dottrina e giurisprudenza, la responsabilità penale fonda sulla procedura “minore” in via autonoma,
non già quale riflesso del fallimento: essa può esser affermata anche se la procedura si chiuda e l’organismo un
tempo dissestato riprenda ad operare. La giurisprudenza della Cassazione (ancorché l’indirizzo sia fortemente
contrastato in dottrina e da giurisprudenza di merito) individua nell’apertura della procedura concorsuale
l’elemento costitutivo della fattispecie e, dunque, momento centrale del fatto tipico. La storica decisione Cass.
S.U., 25 gennaio 1958, Mezzo, in Giust. pen., II, p. 513 che ha avviato questo indirizzo ermeneutica, rare volte
abbandonato, osservava: “la dichiarazione di fallimento pur costituendo elemento imprescindibile per la
punibilità dei reati di bancarotta, si differenzia concettualmente dalle condizioni obiettive di punibilità vere e
proprie …”. Un’analoga indicazione la Suprema Corte ha reso a proposito dell’amministrazione controllata
affermando “nella struttura del reato in oggetto, il decreto di ammissione al concordato preventivo o
all’amministrazione controllata viene ad assumere la stessa funzione e a svolgere la stessa efficacia della
sentenza dichiarativa di fallimento nelle ipotesi ordinarie di bancarotta” (Cass., sez. V, 7 luglio 1993, Po, in
Difesa penale 1993, fasc. 40, p. 59).
Ed, allora, se la procedura in discorso è elemento costituivo del reato, consegue che l’abrogazione
dell’amministrazione controllata coinvolge la cancellazione dell’art. 236, secondo comma, nella parte in cui
richiama l’istituto della amministrazione controllata e da questa fa dipendere la punibilità delle condotte.
Conclusione aderente ai principi generali del nostro sistema penale, anche se con esiti non del tutto ragionevoli,
quanto ad equità: pur foriera di apprezzabile pregiudizio ai creditori il comportamento già censurato dalla
norma in discorso, perde oggi (anzi, a far data dal 6 luglio 2006) - e con effetto di retroazione - di qualsiasi
rilevanza. Soluzione che, al contempo, potrebbe essere evitata se, come la più autorevole dottrina reclama, la
decisione giudiziale venisse qualificata come condizione obiettiva di punibilità, superando la radicata e non
convincente opinione della Suprema Corte, la stessa potrebbe considerarsi esterna alla fattispecie tipica e, come
tale, non coinvolta dall’art. 2, secondo comma, c.p., quale elemento accidentale ed accessorio alla condotta.
PARTE VII: Le circostanze del reato concorsuale
a) Le ipotesi di continuazione e l'art. 219 cpv. n. 1 l. fall.
La norma dell'art. 219 cpv. n. 1 é un'aggravante (speciale ma non ad effetto speciale) per chi ha
commesso "più fatti tra quelli previsti in ciascuno degli" artt. 216, 217 e 218 l. fall. E’ l’espressione della
concezione unitaria della bancarotta, tale da includere in sé un regime di continuazione più favorevole
all’autore dell’illecito, rispetto all’art. 81 cpv. cod. pen. (la cui disciplina è, dunque, esclusa). 326
E’, quindi, contemplata (per impostazione tradizionale) una ipotesi di continuazione così articolata:
occorrono più fatti tra loro distinti, non la reiterazione della lesione allo stesso interesse.327 In tal senso
non vi rientrano le plurime condotte di uno stesso fatto (ad es. più atti di una continuata ed unitaria attività
distrazione, occultamento, dissipazione, ecc.)
326
Cass. Sez. V, 31.1.2003, Mennino, n. 4710, in Guida al Diritto, 17/63; Cass., Sez. V, 15.4.1998,
Calabro, Cass. pen., 1999, 1957. Cass. Sez. V, 26.1.1993, Vandini, Cass. pen., 1994, 2220; Cass. Sez.
V, 24.6.1988, Riccielli, Cass. pen., 1990, 330, ecc.. ben potendosi,invece, applicare l’art. 81 cpv. cod.
pen. tra il delitto di bancarotta fraudolenta ed altre fattispecie penal/fallimentari, come la bancarotta
semplice, cfr. Cass., Sez..V, 16.8.1996, D’Angelo, Cass. pen., 1998, 3412.
327
In Dottrina, ANTOLISEI, Manuale, Leggi complementari, Giuffré, 1993, 144; CARRERI, I reati
di bancarotta, Giuffré, 1993, 285, CONTI, I Reati fallimentari, Utet, 1991, 341, ecc. In
giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. V, 14.7.1998, Bagnasco, Cass. pen., 2001, 292; Cass., Sez. V,
80
In questi casi non si ravvisa pluralità di condotte, ma un'unica condotta.328
i fatti debbono essere considerati in ciascuna delle norme, così la commissione di (una o più) ipotesi di
bancarotta fraudolenta patrimoniale e di (una o più) ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale o anche di
preferenzialità debbono essere considerati a mente dell'art. 219 cpv. n. 1 l. fall.
Non così se una condotta é contemplato dall'art. 216 ed un'altra dall'art. 217 l. fall. In tal caso avrà luogo
l’applicazione dell'art. 81 cpv. cod. pen. (che, tuttavia, non é compatibile con fatti connotati da sola colpa, come
potrebbe, in concreto, accadere in seno alle condotte di bancarotta semplice).
I fatti debbono attenere alla medesima vicenda fallimentare: ove si riferiscano a condotte commesse
nell'ambito di pi fallimenti potrà trovare luogo l'art. 81 cpv. cod. pen. E tanto si osserva anche per le società
collegate in un gruppo, mantenendo esse, anche in sede fallimentare, la loro autonomia.
Pur nel silenzio della norma, risolvendosi in un trattamento più favorevole al reo, rispetto al concorso di
reati, viene ritenuta applicabile, per estensione analogica, la disposizione dell'art. 219 cpv. n. 1 l. fall. anche ai
fatti previsti in ciascuno degli art. 223 e 224 l. fall.
Sempre per via analogica é stato ritenuto estensibile l'ambito dell'art. 219 cpv. n. 1 l. fall. anche alla pluralità
delle figure descritte dal primo e dal secondo comma dell'art. 223 l. fall.329
b) Le circostanze relative al danno patrimoniale.
L'art. 219 pp. e ultimo comma l. fall. prevede due circostanze speciali ed ad effetto speciale e di natura
oggettiva 330 quando, rispettivamente, il danno cagionato dalla violazione degli art. 216, 217, 218 l. fall. sia di
rilevante gravità (aumento sino alla metà della pena) oppure quando esso risulti di speciale tenuità (si osservi:
diminuzione sino al terzo della pena edittale e non di un terzo).
La loro presenza sostituisce ed esclude la ricorrenza dell'art. 61 n. 7 e 62 n. 4 cod. pen.
La valutazione del danno, nella bancarotta fraudolenta patrimoniale, non va effettuata sulla base del
passivo 331 o del disavanzo fallimentare, ma con riguardo al complesso dei fatti illeciti per cui vi é stata
condanna (ad. es. il valore dei beni distratti, dissipati, del disavanzo ingiustificato, ecc.) con riferimento al
pregiudizio non già ad un singolo creditore, ma alla massa. 332
Nella bancarotta fraudolenta documentale é assai più difficile accertare il pregiudizio cagionato dalle
condotte illecite: il criterio del riferimento al disavanzo non giustificato riesce il più logico, quando non sia
possibile accertare il danno derivato dal mancato esperimento da parte degli organi della procedura di azioni
revocatorie per i rapporti occultati.
Si é sostenuto che per la bancarotta documentale semplice, mancando una prova di un danno causalmente
collegato alla condotta tenuta, dovrebbe applicarsi sempre l'attenuante dell'art. 219 uc. l. fall.
Assai dubbia, infine, l'estensibilità dell'art. 219 cpv. n. 1 l. fall. ai fatti di bancarotta impropria di cui al
cpv. dell'art. 223 o 224 n. 2 l. fall.
Sia la diversità ontologica delle fattispecie rispetto a quelle descritte dagli artt. 216 e 217 l. fall., sia il pii severo
trattamento che verrebbe inflitto per via di analogia, paiono elementi ostativi.
Diverso discorso per l’art. 219 uc. cod. pen. ove, trattandosi di norma più favorevole (anche rispetto all’art. 62
n. 4 cod. pen.) non osta la applicazione analogica.
14.7.1998, De Benedetti, Cass. pen., 1999, 651 e ss.; Cass., Sez. V, 5.10.1981, Brandinelli, Cass.
pen., 1982, 2105.
328
Cass., Sez. V, 5.10.1981, Brandinelli, Cass. pen., 192, 2105.
329
BRICCHETTI, I reati fallimentari, Convegno CSM. 14/16.2.2002, ha esattamente osservato
l’esito iniquo della riforma di cui all’art. 4 del D. L.vo 61/02 nel senso che se, invero, la commissione
del fatto integrante il reato societario non ha cagionato il dissesto della società, non è ipotizzabile la
bancarotta impropria, ma il solo reato societario. Con il risultato che, qualora esso concorra con un
fatto di bancarotta, sarà applicabile la più severa disciplina del concorso materiale di reati, seppur
eventualmente sub specie di continuazione in caso di identità del disegno criminoso.
330
Esclude ogni profilo di soggettività di siffatte circostanze Cass. Sez. V, 17.4.2000, Albini, Dir e
prat. soc., 2000, n. 13, p. 83.
331
Cfr. Cass. Sez. V, 12.7.2004, Dal Cin, n. 30326. in Guida al Diritto, 33 pag. 80; Cass., Sez. V,
23.11.2000, Di Muni, Cass. pen., 2001, 3533 (anche con riguardo alla ricorrenza dell’attenuante
dell’uc. dell’art. 219 l. fall.); Cass., sez. V, 7.8.2997, Puycillo, Cass. pen., 1998, 3418, ecc..
332
Orientamento che non è costante: talora il referente è anche il rapporto tra entità dei beni ed
ammontare del passivo, sì che il danno viene commisurato sul pregiudizio di ciascun creditore, cfr.
Cass., Sez. V, 7.7.1998, Cass. pen., 2001, 300. Altra volta si ha riguardo anche ai connotati della
condotta delittuosa, come la vicinanza al dissesto, la natura delle operazioni, ecc., cfr. Cass., Sez. V,
18.6.1997, Pupillo, Cass. pe n., 1998, 3418.
81
Si segnala che esiste già, per le violazioni societarie, l'aggravante (speciale e ad effetti speciale) dell'art.
2640 cod. civ. e per le restante ipotesi l'art. 61 n. 7 cod. pen.
L'art. 219 comma 2 n. 2 l. fall.
Prevede aggravante non ad effetto speciale per chi ha commesso il fatto pur non potendo esercitare
un'impresa commerciale.
É fattispecie desueta nella pratica. Conosce una norma assai prossima, l'art. 234 l. fall.
Proprio per questa figura limitrofa il dettato dell'art. 219 cpv. n. 2 l. fall. riguarda incompatibilità diverse dal
divieto per condanna: ad es. per ragioni di impiego (es. dipendenti pubblici, avvocati, ecc.)
Parte IX
Cenni sulla condotta illecita del terzo senza collusione con l'imprenditore dissestato ed in particolare nei
rapporti con la banca creditrice.
Accanto alle ipotesi di coinvolgimento del concorrente nei fatti penali riferibili all’impresa in dissesto, è
d’uopo un cenno alle autonome fattispecie di interesse penale scevre da collaborazione tra il terzo e la condotta
d’impresa.
La norma che viene invocata, in sede penal/fallimentare, per le fattispecie di impoverimento dell’impresa
senza apporto da parte dell’imprenditore è quella dell'art. 232 cpv. l. fall., la cd. "ricettazione fallimentare" e,
segnatamente (per quanto qui può interessare), la “ricettazione pre-fallimentare” dell’art. 232 cpv. n. 2 l. fall.,
per la quale è richiesta consapevolezza del dissesto da parte del soggetto agente.
La condotta obiettiva incriminata è sia quella della "distrazione/ricettazione" ovvero l'acquisto a prezzo
notevolmente inferiore al valore corrente.
Mi soffermo anche qui su un ambito poco esplorato dall’esperienza penalistica: i rapporti dell’impresa
dissestata con la banca o, in genere, con i finanziatori.
La casistica può interessare tutte le situazioni proprie di un rapporto bancario: il trattenimento di un libretto al
portatore o di altra ricchezza del cliente; la mancata restituzione di un libretto di assegni per operare su un c/c
attivo; l'incameramento di titoli a "dossier", ecc., in vista di compensazioni improprie con posizioni in "rosso";
fino all’acquisizione di ricchezza (ad es. interessi eccedenti l’accordo concluso con il cliente) sicuramente non
pertoccante, ecc.333
Anche in questo ambito è lecita la distinzione tra arricchimento indebito del terzo rispetto al ristoro del
creditore, senza il consenso del fallito.
Riproporre, quindi, in un contesto privo della volontà del fallito, la bipartizione dianzi affacciata tra bancarotta
fraudolenta e preferenziale.
E, dunque, se compia atto illecito di "distrazione" tanto chi raggiunga risultati di impoverimento
ingiustificato (quando la perdita di ricchezza dall’impresa non rinviene alcuna motivazione in termini di
interesse o economia per la stessa, come il pagamento dell’indebito o comunque di un debito che non è proprio)
quanto quel creditore che ristori sè medesimo di una pretesa realmente esistente, dal momento che siffatta
condotta - per il parallelo art. 216 l. fall. - è riservata al solo comportamento di chi indebitamente impoverisce
l'asse dell'imprenditore dissestato e non a chi altera la "par condicio".
La giurisprudenza della SC. ha fornito risposta affermativa 334, facendo leva sulla generica descrizione
normativa ("chiunque") del soggetto.
La tesi, in realtà, appare discutibile poichè le due situazioni (distrazione dell'indebito e ristoro di quanto
spettante) risultano fortemente diversificate e difformemente trattate in seno alla figura della bancarotta.
Ma, al contrario, è il caso di compensazioni di obbligazioni senza i presupposti indicati dal codice per la
loro automaticità (cfr. art. 1252 cod. civ.): il mancato interpello del debitore esclude costui da ogni
responsabilità penale e riconduce la stessa al solo creditore.
Va, però, detto che alcune drammatiche situazioni di dissesto in cui lo stato di assoggettamento del
debitore, indebolito nel rapporto negoziale dalle sue condizioni, verso le pretese del creditore, propone ipotesi
delittuose esulanti dalla disciplina penal/fallimentare 335.
333
Le decisioni giurisprudenziali in tema di ricettazione fallimentare attribuita ad operatore bancario
non sono rarissime.
Cfr. ad es. Cass. 20.3.1987, Zampolli, Riv. Pen., 1988, 200.
334
Cass. 10.2.1967, Berto Alborea, Giust. pen., 1967, II, 1245
335
La pretesa vessatoria, per esempio, di nuove garanzie per crediti scaduti, può integrare l’illecita
acquisizione di “vantaggi usurari”, a mente dell’art. 644 cod. pen., nella sua nuova formulazione della
legge 108/96: la possibilità che una garanzia costituisca l’oggetto del delitto in esame è testualmente
riscontrabile nello stesso art. 644 comma 5 n. 2 cod. pen., norma che è divenuta, per le connotazioni
82
Occorre rammentare che qui “ingiustizia” del profitto è sicuramente quella del creditore che intende
raggiungere un risultato del tutto indebito, ma anche quella di chi intende realizzare il risultato con la
vulnerazione dei parametri della “par condicio” ed in palese violazione dell’art. 216 comma 4 l. fall. 336
Pertanto, la minaccia di revoca dei fidi, la prospettazione di una istanza di fallimento per il
soddisfacimento di proprie pretese (in guisa evidente da non consentire il ristoro in via concorsuale) può anche
colorarsi di tratti estorsivi337.
Allo stesso modo la prospettazione del male costituito dalla chiusura degli affidamenti, dal loro
restringimento, dall’istanza di fallimento (o della richiesta di avvìo di altra procedura concorsuale) avanzata per
il soddisfacimento degli interessi non conformi a giustizia, ma per scopi estranei, colora di strumentalità la
minaccia e rende la medesima ingiusta e, quindi, estorsiva 338.
Come quando l’istituto di credito pretenda, con questo mezzo, l’appianamento non già delle pendenze del
debitore minacciato, ma di altri enti, anche prossimi a costui (ad es. altre società del gruppo, non collegate per
via di responsabilità solidale o di garanzia al debito), per i quali non è giuridicamente riconoscibile alcuna
pretesa del creditore 339.
Torino, 12 febbraio 2007
Gian Giacomo Sandrelli
attribuite dalla novella legislativa (cfr. l’aggravante propria dell’attività di banca, comma 5 n. 1)
speciale rispetto all’art. 232 cpv. n. 2 l. fall. o, comunque, con essa suscettibile di concorso.
336
Per questa ragione difficilmente potrà essere proposta la “minore” (e perseguibile a querela) figura
di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, disciplinato dall’art. 393 cod. pen.: essa presuppone che la
pretesa possa essere fatta valere dinanzi al giudice. Ove essa realizzi un tentativo di preferenzialità
(supponendo, quindi, l’esistenza del credito), il creditore non dispone dell’azione giudiziale ed il suo
comportamento ricade in quello dell’estorsione.
337
allude, in tema di violazione dell'art. 629 cod. pen., alla minaccia di istanza di fallimento Cass.
18,7.1975, Di Costanzo, n. 8003; a minaccia di procedure esecutive: Cass. 15.4.1978, Cass. pen.,
1979, 803, ecc. Vi è ipotesi estorsiva ove si consideri praticamente annullata, dalla prospettazione
violenta o minatoria, la volontà negoziale del cliente. Ove, invece, vi sia spazio per un’autonoma
capacità gestoria, ricorrerà il concorso nella bancarotta preferenziale.
338
Sull’integrazione dell’art. 629 cod. pen. tramite l’uso di mezzi giuridici per scopi diversi da quelli
per cui sono stati apprestati dalla legge, la giurisprudenza è costante, anche con riguardo alla istanza di
fallimento o all’esperimento di azioni esecutive: cfr. tra le tante Cass. 18.3.1986, Surace, Giust. pen.,
1987, II, 171.
339
Anche per questo caso la esclusione della capacità negoziale del fallito determinerà la distinzione
tra la figura dell’art. 629 cod. pen. ed il concorso nell’art. 216 pp. n. 1 l. fall. (o, per la bancarotta
impropria, 223 l. fall.). Nel caso, al contrario, in cui non si ravvisi nella condotta del banchiere nè
violenza nè minaccia è prospettabile l’ipotesi dell’art. 232 cpv. n. 2 l. fall.
83