JOURNAL 01 DICEMBRE 2014 VIA ITALIANA CONTRO L’HIV MODELLO DI ECCELLENZA Editoriale | Carlo Federico Perno La virologia come architrave del successo della terapia antivirale | Giovanni Di Perri L’appropriatezza tra evidence-based medicine e personalizzazione della terapia | Massimo Andreoni HIV come modello d’intervento su malattia cronica non guaribile: il successo della terapia antivirale in Italia | Andrea Antinori Il Sistema Sanitario Nazionale: risorsa e non barriera ad un approccio clinico olistico per la persona affetta da HIV JOURNAL INDICE pag. 3 Editoriale pag. 5 La virologia come architrave del successo della terapia antivirale Carlo Federico Perno pag. 11 L’appropriatezza tra evidence-based medicine e personalizzazione della terapia Giovanni Di Perri pag. 15 HIV come modello d’intervento su malattia cronica non guaribile: il successo della terapia antivirale in Italia Massimo Andreoni pag. 19 Il Sistema Sanitario Nazionale: risorsa e non barriera ad un approccio clinico olistico per la persona affetta da HIV Andrea Antinori JOURNAL Volume 1 – Numero 1 – Dicembre 2014 EDITOR-IN-CHIEF Carlo Federico Perno Professore di Virologia, Università di Roma Tor Vergata; Presidente del Collegio Italiano Docenti di Microbiologia e Virologia EDITORIAL BOARD Massimo Andreoni Presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive, “Policlinico di Tor Vergata” - Roma Andrea Antinori Direttore Dipartimento Clinico, INMI Lazzaro Spallanzani - Roma Giovanni Di Perri Clinica delle Malattie Infettive Università degli Studi di Torino; Direttore Clinica Malattie Infettive, Ospedale Amedeo di Savoia - Torino REDAZIONE HPS – Health Publishing & Services S.r.l. Piazza Duca d’Aosta, 12 20124 Milano Tel +39 02 2772 991 Fax + 39 02 2952 6823 www.aboutpharma.com HIV Care Academy Journal è un quadrimestrale pubblicato da HPS – Health Publishing & Services S.r.l., Piazza Duca d’Aosta 12, 20124 Milano, Italia. AboutPublishing è un brand di Health Publishing & Services S.r.l. HIV Care Academy Journal è una testata registrata presso il Tribunale di Milano, reg. n. 376 del 27 novembre 2014. Direttore Responsabile: Massimo Cherubini Finito di stampare nel mese di dicembre 2014 da GECA Srl (San Giuliano Milanese - MI) Foto di copertina tratta da: Fotolia.com Copyright © 2014 Health Publishing & Services S.r.l. Tutti i diritti riservati compresi quelli di traduzione in altre lingue. Sono vietate la riproduzione e l’archiviazione in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo elettronico o meccanico, compresa la fotocopiatura, di qualsiasi parte della stessa senza autorizzazione scritta dell’Editore. 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Editoriale UNITI CONTRO L’AIDS SI VINCE On.le Beatrice Lorenzin Ministro della Salute Ho voluto riprendere lo slogan della campagna di comunicazione su HIV e AIDS del Ministero della Salute, per presentare il primo numero di questa rivista scientifica che tratta delle cure per l’infezione da HIV, per sottolineare come l’esperienza in questo campo abbia confermato che azioni sinergiche possono moltiplicare l’efficacia dei risultati di singole attività. Ciò è particolarmente vero per i successi raggiunti con la terapia che combina più farmaci antivirali, le cui Linee guida italiane sull’utilizzo dei farmaci antiretrovirali e sulla gestione diagnostico-clinica delle persone con infezione da HIV-1, sono state aggiornate a fine 2014, condivise con la Consulta delle Associazioni per la lotta all’AIDS e approvate dalla Commissione Nazionale AIDS. Più di trenta anni fa, la condizione di sieropositività per HIV comportava un rapido decorso verso la malattia conclamata e l’inevitabile esito infausto in un breve periodo di tempo. Oggi, grazie alla disponibilità di farmaci più validi e delle loro possibili combinazioni, l’aspettativa di vita di un soggetto sieropositivo – che segue un’appropriata terapia, tanto più efficace quanto più intrapresa a breve distanza temporale dall’infezione – è pressoché sovrapponibile a quella di un soggetto sieronegativo. Ed è questa una delle priorità dei nostri programmi istituzionali, fare sempre di più perché si sia consapevoli di quali comportamenti espongono al rischio di infezione da HIV e perché si faccia il test per HIV se si è esposti ad uno di questi rischi. Più di un quarto delle persone sieropositive non sa di esserlo e si sottopone al test quando manifesta i primi sintomi della riduzione delle difese immunitarie, segno dei danni causati dall’aggressione del virus, che ha agito “indisturbato” senza il contrasto di un idoneo trattamento farmacologico. A chi potrebbe criticare l’elevato costo di queste terapie, rispondo che sicuramente le cure sono un grave impegno in termini economici, ma sono ancora più elevati i costi dell’ignoranza, o meglio, del voler ignorare che esiste un problema di salute e di sanità pubblica e della mancata ricerca per migliorare le cure di patologie che continueranno ad esistere e ad emergere-riemergere, anche se non ci piacciono. Un caloroso benvenuto a questa rivista, che sembra già da subito affrontare non solo gli aspetti scientifici del trattamento dell’HIV/AIDS, ma anche conoscenze di base, attenzione alla singolarità della persona e, non da ultimo, l’importanza del ruolo del Sistema sanitario nazionale per la cura della persona sieropositiva. Sinergia, dunque, con l’obiettivo che la trasmissione dell’HIV sia interrotta il più presto possibile. VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 3 4 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL LA VIROLOGIA COME ARCHITRAVE DEL SUCCESSO DELLA TERAPIA ANTIVIRALE Carlo Federico Perno Professore di Virologia, Università di Roma Tor Vergata Presidente del Collegio Italiano Docenti di Microbiologia e Virologia L ’infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV) è profondamente cambiata negli ultimi anni, passando da malattia invariabilmente mortale a patologia cronica, spesso ben controllabile per decenni, forse per tutta la vita. Questo profondo cambiamento rappresenta l’esempio più brillante, nella Storia della Medicina, di come una patologia gravissima possa essere ricondotta a un profilo meno aggressivo in un tempo ragionevolmente breve. Nello specifico, sono trascorsi circa 30 anni (1981) dal momento della prima descrizione della malattia, seguita dall’identificazione nel 1983 del suo agente eziologico, il virus dell’immunodeficienza acquisita, denominato HIV dal 1987 in poi (Figura 1). La scoperta del virus, la sua aggressività e la sua rapida penetrazione nel tessuto sociale di tutti i Paesi del mondo hanno determinato un fortissimo impegno da parte di tutte le componenti sociali. I Servizi sanitari, in prima linea nel combattere la malattia AIDS, hanno trovato straordinari alleati nella società grazie alla mobilitazione di individui e associazioni, nella politica, il cui impegno si è manifestato nel mettere a disposizione ingenti risorse finanziarie per la ricerca e cura dell’infezione da HIV (oltre a risorse per l’assistenza domiciliare, la prevenzione, le campagne in- Figura 1 Virus dell’immunodeficienza umana (HIV). VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 5 40 Trauma accidentale Neoplasia 35 Cardiopatia Suicidio Morti per 100.000 soggetti Morti per 100.000 soggetti 30 Omicidio Epatopatia cronica Infezione da HIV 25 Ictus Diabete 20 15 10 5 09 10 20 08 20 07 20 06 20 05 20 20 03 04 20 02 20 01 20 00 20 99 20 98 19 97 19 96 19 95 19 94 19 93 19 92 19 91 19 90 19 88 89 19 19 19 19 87 0 Figura 2 Andamento del tasso di mortalità dovuta alle 9 cause principali nella fascia di età 25-44 anni negli Stati Uniti (1987-2010). (modificato da http://www.cdc.gov/hiv/pdf/statistics_surveillance_HIV_mortality.pdf) formative ecc.), e nelle multinazionali del farmaco, che hanno attivato massicci (ed estremamente costosi) programmi di studio del virus, al fine di identificare possibili bersagli contro cui sviluppare molecole in grado di controllare l’evoluzione della malattia. Questa straordinaria task force, costituita da tutte le componenti del tessuto sociale, pubblico e privato, ha prodotto, come accennato, risultati senza precedenti. Già nel 1996 venivano presentati i risultati, straordinari, della terapia di associazione di tre farmaci antivirali. Tale approccio terapeutico ha mostrato che era possibile controllare la replicazione del virus e interferire pesantemente con la progressione della malattia. Molti dei pazienti con infezione da HIV, sopravvissuti nel momento della disponibilità di questi farmaci, hanno potuto usufruire di questo approccio terapeutico, conoscendo una nuova nascita. I risultati, come detto, sono spettacolari: pazienti in fase avanzatissima di malattia, ormai condannati a morte certa, hanno visto il loro organismo rifiorire, grazie al controllo della replicazione virale 6 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL e al conseguente ripristino di condizioni generali fino a quel momento progressivamente e irrimediabilmente compromesse (Figura 2). Molti di quei pazienti del 1996 sono ancora vivi e in buone condizioni grazie agli ulteriori progressi della medicina in questo settore. Infatti, dopo i primi farmaci antivirali combinati in modo ancora “primitivo” (che comunque avevano già prodotto questi meravigliosi risultati), è arrivata una cascata di nuovi farmaci, più potenti, più efficaci e meno tossici. Le loro combinazioni, oggi addirittura formulate in pillole singole per il trattamento una volta al giorno, hanno ulteriormente migliorato la situazione. Se il successo terapeutico era arrivato dalla combinazione di molti farmaci che richiedevano l’assunzione di tante pillole (fino a 20 al giorno) per anni, combattendo contro tossicità acute e croniche e contro lo sviluppo di resistenza ai farmaci stessi (caratterizzato dalla capacità del virus di sfuggire al controllo da parte dei farmaci), oggi abbiamo a disposizione farmaci ben diversi. Oggi le associazioni tera- peutiche sono appunto caratterizzate dall’assunzione giornaliera di un numero molto contenuto di pillole (anche una sola), contenenti farmaci assai potenti, in grado di controllare la capacità del virus di sfuggire alla pressione dei farmaci, e con tossicità molto contenute tali da permettere la loro assunzione anche per molti anni senza particolari disturbi. Oggi abbiamo 27 farmaci anti-HIV nel prontuario terapeutico di questa malattia. Le loro combinazioni garantiscono ai nostri pazienti una condizione di vita pressoché normale, consentendo attività lavorative e familiari in modo assolutamente fisiologico, permettendo addirittura, alle donne che lo desiderino, di poter avere figli sani, senza rischi reali di trasmissione del virus (che, nei bambini, ha rappresentato nel recente passato una quasi inevitabile condanna a morte) [Figura 3]. Questa è la situazione attuale. È tempo quindi di fare il punto, riconoscere gli straordinari risultati ottenuti finora, sottolineare l’impegno della società nel raggiungimento di (1) legame e fusione (2) ingresso (3) uncoating (rimozione del capside) (4) trascrizione inversa (5) integrazione (6) trascrizione (7) traduzione (8) assemblaggio e gemmazione (9) maturazione Inibitori dell’integrasi (INI) (3 farmaci) Inibitore dell’ingresso (1 farmaco) Inibitore della fusione (FI) (1 farmaco) Inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI) (8 farmaci) Inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI) (5 farmaci) Inibitori della proteasi (PI) (9 farmaci) Figura 3 Fasi della penetrazione e replicazione del virus HIV all’interno di un linfocita T CD4: quasi ogni fase è il bersaglio di almeno un farmaco. tali obiettivi, nonché rimarcare che la ricerca sull’AIDS e HIV ha permesso di aprire fronti nuovi di studio, che hanno portato allo sviluppo di nuovi farmaci anche in altri settori, apparentemente lontani dall’HIV. È il caso di HBV, virus che causa l’epatite B, contro cui oggi abbiamo due farmaci in grado di controllare in modo significativo e a lungo termine la replicazione virale, favorendo addirittura il ripristino di una buona efficienza epatica anche in pazienti con cirrosi avanzata. È anche il caso dell’epatite C: oggi sono in via di sperimentazione, e in alcuni casi già approvati, farmaci in grado di eliminare dall’organismo il virus responsabile dell’epatite C (HCV), e determinare la guarigione definitiva sia dal virus sia, il più delle volte, anche dalla malattia che esso causa. Tutto questo per non parlare delle conoscenze, derivate da HIV, che oggi permettono di ottimizzare la diagnosi di molte malattie virali: l’AIDS è stata la prima malattia in cui è stato dimostrato, in modo inequivocabile, che la quantità di virus presente nell’organismo correla con la progressione di malattia, cioè che quanto più virus è presente, tanto più rapida è la malattia e più alto il rischio di morte (Figura 4). Da ciò abbiamo appreso l’importanza di quantificare la carica virale nell’organismo anche per tante altre patologie di origine virale, e le tecnologie in grado di quantificare la carica virale rappresentano lo standard clinico in tutte le malattie causate da virus per le quali disponiamo di farmaci: Herpes simplex, Herpes zooster, citomegalovirus, HBV, HCV, HIV e via di seguito. In altre parole, non esistono dubbi su come la malattia da HIV sia cambiata drammaticamente, e come essa abbia rappresentato un eccezionale strumento di crescita anche in settori non necessariamente collegati all’HIV. Tutti questi dati scientifici, le informazioni disponibili e le conoscenze cliniche permettono oggi di interpretare in modo corretto la situazione attuale e declinare in modo proprio la patologia AIDS nei suoi diversi contesti. 1. La prima osservazione evidente è che il cosiddetto approccio eziologico, ossia mirato a controllare la causa della malattia e non i suoi effetti, è assolutamente pagante. Nel caso dell’infezione da HIV è stato possibile, con i farmaci antivirali, agire direttamente sulla causa prima della malattia (HIV appunto), producendo i risultati spettacolari che abbiamo appena descritto. Questo approccio “eziologico” è ciò che manca, ad esempio, nel diabete, nei tumori ecc., dove i medici trattano per controllare la malattia, senza poter colpire la causa prima che la determina (il più delle volte sconosciuta); in questi casi i risultati sono a volte eccellenti, a volte mediocri, non avendo nel mirino della terapia l’obiettivo principe, rappresentato dalla causa della patologia in trattamento. L’AIDS ha rappresentato un esempio fantastico, forse unico, in cui il trattamento eziologico sul virus è l’architrave dell’intervento terapeutico, declinato nei diversi modi ottimali per ciascun paziente. La disponibilità di tanti farmaci ha permesso di scegliere la migliore terapia personalizzata, contribuendo a ottenere i fantastici risultati che oggi osserviamo. VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 7 Proporzione di sopravviventi Sopravvivenza 1,00 0,95 0,90 Viremia copy-years (log10) <5 5-7 >7 0,85 0,80 0,75 0,70 0 Viremia copy-years (log10) <5 5-7 >7 6 12 18 24 30 36 42 48 54 60 48 mesi 54 mesi 60 mesi 509 132 414 122 316 108 Mesi dall’inizio della terapia antiretrovirale Numero a rischio 6 mesi 1692 245 90 12 mesi 1414 289 135 18 mesi 1105 332 181 24 mesi 317 833 192 30 mesi 79 851 183 36 mesi 18 727 169 42 mesi 2 606 152 Figura 4 L’entità della viremia correla con la mortalità nei pazienti HIV-positivi mai trattati, che iniziano la terapia antiretrovirale. (modificato da Mugavero MJ, et al. CID 2011;53:927-35) 8 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL diagnosticati come HIV-positivi, entrano e completano il percorso di diagnosi e cura; tale percorso passa attraverso il completamento dell’iter diagnostico, l’assegnazione a un Centro ospedaliero di trattamento, l’inizio della cura, e ottiene il suo risultato ottimale tramite il raggiungimento e il mantenimento di viremia stabilmente non rilevabile, indice di controllo prolungato dell’evoluzione della malattia. Come già detto, in tale contesto l’Italia è un gioiello assimilabile a pochi altri Paesi al mondo. Gli stessi Stati Uniti, 100 90 80 Percentuale Percentuale 2. La seconda osservazione riguarda l’Italia. Nel contesto dei risultati altamente soddisfacenti a livello mondiale, esistono differenze di successo nei diversi Paesi. I dati epidemiologici e clinici, recentemente resi disponibili, mostrano che il sistema Italia ha funzionato molto bene, al punto che oggi rappresenta un modello per i Paesi sviluppati. Le regole introdotte dalla legge 135 del 1990 hanno permesso di selezionare una classe medica altamente specializzata e dedicata alla patologia, con competenze elevatissime in termini di diagnosi e cura. La stragrande maggioranza dei medici italiani usa in modo ottimale gli strumenti per la diagnosi virologica della malattia e sceglie la terapia su base personalizzata, con risultati migliori di quelli ottenuti in tanti altri Paesi. I tassi di progressione di malattia e mortalità nei diversi Paesi sviluppati mostrano che l’Italia ha una tra le migliori – se non la migliore – sopravvivenza a lungo termine nei pazienti con infezione da HIV. Non solo: l’Italia è uno dei Paesi al mondo con il migliore tasso di retention in care, un indice che rappresenta il numero di pazienti che, una volta in questa “graduatoria” di efficienza di retention in care e di tassi di sopravvivenza, rimangono molto al di sotto dell’Italia (Figura 5). Dobbiamo pertanto essere orgogliosi del nostro Paese e capaci di riconoscere la bontà dell’approccio a questa malattia, articolato, complesso e capace di porre attenzione ai particolari, e che ha pagato in modo eccellente ponendo l’Italia ai vertici mondiali di efficacia ed efficienza nell’approccio all’infezione da HIV. Oggi, sulla base del 90% di pazienti in trattamento antivirale e con viremia completamente soppressa, possiamo pensare a modalità e strategie nuove di terapia a lungo termine. Dopo la terapia d’attacco, intervengono terapie di “mantenimento”, mirate sulle caratteristiche di ciascun paziente, finalizzate a mantenere il virus controllato, senza incidere pesantemente sui costi, e riducendo gli effetti collaterali ancora presenti in pazienti trattati per molti anni. In tal senso, abbiamo molte frecce nella nostra faretra: la riduzione di pillole assunte giornalmente è l’elemento più caratterizzante della terapia a lungo termine, e rappresenta il sistema più utilizzato e con maggiori prospettive di successo. In un numero limitato e ben selezionato di pazienti, abbiamo anche la strategia di riduzione del numero di farmaci (intervenendo con uno o due farmaci, al posto 86% 70 60 50 40 40% 30 37% 20 30% 10 0 Diagnosticati In terapia Prescrizione di terapia antiretrovirale Soppressione della viremia Figura 5 Percentuale stimata di soggetti viventi HIV-positivi (1,2 milioni di persone), suddivisa in funzione della fase di cura della malattia (Stati Uniti 2011). dei tre utilizzati nella fase di attacco); essa, come detto, richiede un’attenta selezione dei pazienti, per evitare di “risvegliare” il virus tenuto finora sotto controllo dalla terapia. Insomma, le opportunità di ottimizzazione del trattamento antivirale a lunghissimo termine rappresentano ancora un work in progress. Se l’Italia ha più chances di lavorare con successo in questo settore, è perché l’approccio olistico alla malattia che ci ha finora caratterizzato, e il successo ottenuto finora dalla terapia, permettono di guardare al futuro con intelligente ottimismo. A fronte di queste luci abbaglianti, abbiamo anche delle zone d’ombra su cui è necessario riflettere. Innanzitutto, guardiamo gli aspetti virologici. Nonostante gli straordinari risultati terapeutici, ancora oggi non abbiamo un vaccino efficace nel prevenire l’infezione da HIV. A voler essere rigorosi, non abbiamo neanche un candidato vaccino promettente e in sperimentazione clinica, con queste caratteristiche. Ciò deriva dalle peculiarità replicative di HIV, virus in grado di sfuggire in modo mirabilmente articolato e sofisticato a qualsiasi attacco da parte del sistema immunitario. Al momento, gli sforzi si sono indirizzati più verso la scoperta e sperimentazione di un vaccino che, somministrato a persone già infette, sia in grado di controllare la replicazione del virus senza il supporto di terapie antivirali. Anche in questo settore, tuttavia, abbiamo molte sperimentazioni, ma nessun dato clinicamente avanzato che faccia presupporre un vaccino di questo tipo, disponibile a breve. Infine, in questo excursus su ciò che ancora manca, non abbiamo alcuna evidenza di pazienti che, grazie alla terapia antivirale, abbiano eliminato il virus dall’organismo e siano guariti dall’HIV. Oggi, delle decine di milioni di persone infettate dall’HIV e trattate con successo con farmaci antivirali, abbiamo un solo caso di apparente guarigione, il cosiddetto paziente di Berlino, dopo due trapianti di midollo osseo e un’intensiva terapia immunosoppressiva e antivirale. Tutti gli altri hanno ancora il virus nascosto in qualche parte dell’organismo e, nella stragrande maggioranza dei casi, al momento dell’interruzione della terapia si assiste a un rapido ripristino dei cicli replicativi virali, a un aumento della carica virale nel sangue e alla ripresa di segni e sintomi della malattia da HIV. In altre parole, esiste un virus, nascosto nelle profondità dell’organismo, ancora non ben identificato, insensibile alla terapia antivirale, che funge da sorgente per la ripresa della replicazione virale non appena la pressione farmacologica si attenua. Quindi, in sostanza, la guarigione biologica dal virus HIV (ossia la sua scomparsa dall’organismo, come è accaduto per il vaiolo, oggi eradicato dalla Terra, il morbillo, la poliomielite ecc.) non è raggiungibile. Il paziente infettato da HIV rimarrà tale per tutta la vita. Come conseguenza, senza nuove scoperte la terapia antivirale sarà necessaria per tutti, o quasi tutti, i nostri pazienti per decenni, probabilmente per tutta la vita. Ecco quindi che lo straordinario successo della terapia anti-HIV, pur rimanendo tale, mostra un suo tallone d’Achille. Come per l’ipertensione, il trattamento della malattia diventa cronico, da mantenere per tutta la vita. Diviene quindi necessario concentrare gli sforzi verso questo nuovo traguardo, rappresentato dall’eliminazione del virus dall’organismo e quindi dalla guarigione definitiva dall’infezione. Tale obiettivo è molto difficile da raggiungere date le caratteristiche dell’HIV, virus che, una volta penetrato nell’organismo, non ha vie di uscita e rimane per sempre. Più raggiungibile, con adeguati sforzi e ricerche, è l’obiettivo della cosiddetta “guarigione funzionale”, in cui il virus HIV viene “addormentato”, e tale rimane anche dopo l’interruzione della terapia antivirale rimanendo innocuo per decenni. Questo risultato può sembrare un obiettivo di secondaria importanza, potendo somigliare a una mezza sconfitta. In realtà non è così se pensiamo ai tanti virus che, entrati nel nostro organismo, rimangono silenti per anni o addirittura decenni, senza dare più segno di sé, né tanto meno produrre danni. È il caso del virus Herpes simplex (che causa l’herpes labiale), del virus Herpes zooster (che una volta prodotta la varicella nel bambino, si addormenta nel nostro organismo e non da più segni di sé se non raramente nella terza età, sotto forma di zooster o fuoco di Sant’Antonio), del citomegalovirus (che ci infetta nella giovane età e non ricompare più per tutta la vita, se non in caso di profonda immunocompromissione legata a tumori o terapie immunosoppressive). In sostanza, il modello della guarigione funzionale di HIV è valido e ha molti esempi “naturali” in altri virus che incontrano il nostro organismo nel corso della vita. Ottenere un risultato di guarigione funzionale permetterebbe di interrompere la terapia antivirale, ridurre il carico della terapia stessa in termini di possibile tossicità a lungo termine (abbiamo già detto che la tossicità a breve è limitata), di fastidio dovuto all’assunzione della terapia, di risparmio (decenni di terapia risparmiata significano centinaia di milioni di euro risparmiati) e infine di percezione di malattia, che accompagna chiunque sia costretto a prendere farmaci per tenere sotto controllo un virus che si replica nell’organismo. L’Accademia della Cura nasce da queste basi, biologiche, mediche e sociali. Essa rappresenta il desideVOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 9 Numero nuove diagnosi Dati corretti per ritardo di notifica 4500 4000 Numero di casi Numero di casi rio di valorizzare al meglio le straordinarie esperienze accumulate nell’HIV che hanno caratterizzato i tre decenni passati, per mantenere la memoria di una patologia che ancora oggi è mortale se non curata, per ricordare che il virus HIV continua a circolare in Italia e nel mondo, e continua a infettare ogni anno, in Italia, circa 4000 persone! (Figura 6). Serve quindi ad attivare intelligenze ed esperienze finalizzate a produrre campagne di formazione e informazione, che permettano di rendere edotti del virus e della malattia soprattutto le giovani generazioni che non hanno visto le migliaia di morti da AIDS del passato, e che rischiamo di rivedere se abbassiamo la guardia (come dimostrato dai dati sulle diagnosi tardive dell’infezione da HIV nel nostro Paese, indice indiretto di mancata percezione della pericolosità della malattia) [Figura 7]. E, infine, serve a favorire la cultura della ricerca e della clinica nell’ambito dell’HIV, fungendo da punto di incontro di scienziati e clinici, e da supporto per i programmi di ricerca in tale settore. Ciò è particolarmen- 3500 3000 2500 2000 1500 1000 500 0 2010 2011 2012 2013 Annodi di diagnosi Anno diagnosi Figura 6 Numero di nuove diagnosi di infezione da HIV e correzione per ritardo di notifica (2010-2013). te cogente nel contesto del sistema Italia, che ha dimostrato, nei fatti, di essere altamente efficace ed efficiente nei confronti della malattia e del virus che la causa. Le attività proprie dell’Accademia della Cura saranno declinate nel corso delle manifestazioni che seguiranno, da dicembre in poi, e rappresentano i pilastri dell’Accademia stessa: ricerca, clinica, comunicazione, interventi sociali e culturali. Tutti, ognuno per le proprie specificità, potranno contribuire al successo dell’iniziativa e fornire supporto per spostare in avanti le aspettative nei confronti di questa malattia: da invariabilmente mortale a cronica, fino alla sua attenuazione, riduzione della trasmissione, mantenimento delle persone infettate in condizioni di assoluto benessere, garantire una sopravvivenza uguale a quella delle persone sieronegative, azzerare lo stigma che ancora oggi accompagna questa malattia. I risultati si vedranno nel tempo. Sintomi HIV Comportamenti a rischio non individuati In occasione di controlli specialistici legati alla riproduzione (gravidanza/parto/IVG/PMA) In seguito a diagnosi di una infezione sessualmente trasmessa In seguito alla scoperta della sieropositività del partner In occasione di una donazione di sangue Durante un ricovero ospedaliero Rapporti sessuali non protetti con partner HIV non noto Campagne di screening 0 200 400 600 800 1000 1200 Numero didicasi Numero casi Figura 7 Motivo di esecuzione del test nelle nuove diagnosi di infezione da HIV (2013). Aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da HIV e dei casi di AIDS in Italia al 31 dicembre 2013. IVG = interruzione volontaria di gravidanza; PMA = procreazione medicalmente assistita. (modificato da http://www.iss.it/binary/ ccoa/cont/Dicembre_2014_rev.pdf) 10 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL L’APPROPRIATEZZA TRA EVIDENCE-BASED MEDICINE E PERSONALIZZAZIONE DELLA TERAPIA Giovanni Di Perri Clinica delle Malattie Infettive, Università degli Studi di Torino Direttore Clinica Malattie Infettive, Ospedale Amedeo di Savoia, Torino I l termine appropriatezza inteso in senso terapeutico si presta ad almeno due interpretazioni, le cui formali traduzioni pratiche possono talvolta comprendere risultati anche antitetici. Nel senso comune del termine si vuole indicare una o più opzioni terapeutiche idonee o anche ideali, intese in riferimento al migliore risultato terapeutico raggiungibile. Una seconda versione, direi di accezione più amministrativa, vuole intendere la qualifica di rimborsabilità attribuibile a una determinata opzione terapeutica in funzione della prestabilita conformità a delle specifiche indicazioni d’uso. Benché il principio ispiratore sia verosimilmente lo stesso, in realtà nella pratica non è raro andare incontro a veri e propri conflitti applicativi, generalmente secondari alle molteplici complessità che un singolo paziente può presentare e che magari non trovano un riscontro sul versante classificativo. Questa potenziale dicotomia rappresenta forse un’espressione di crisi della crescita metodologica che c’è stata, e che è ancora in corso, nella determinazione delle proprietà terapeutiche di un farmaco attraverso le sperimentazioni cliniche. Essa ha di fatto eliminato una fase precedente di prevalente empirismo, dotando la moderna dottrina clinico-sperimentale di strumenti metodologi- ci in grado di ottenere risultati per quanto possibile liberi da una serie di rilevanti ambiguità. Ciò ovviamente vale per le condizioni in cui la sperimentazione si è svolta, e in questo senso è implicito un limite il cui peso specifico è dettato dai criteri che hanno condizionato l’arruolamento dei pazienti nello studio. La misura in cui determinate variabili individuali (per es. età, comorbilità, genere e anamnesi) sono o non sono state incluse nel contesto sperimentale può di fatto allargare o restringere l’applicabilità dei risultati sperimentali (si pensi per esempio, al paziente con coinfezione da virus HIV e HCV ecc.). Benché specifiche accortezze nel disegno dello studio e nella numerosità del campione possano in parte sopperire a questo potenziale difetto di universalità applicativa, nella pratica clinica rimangono numerose le circostanze in cui la scelta terapeutica deve necessariamente essere filtrata dalla presenza di elementi individuali e quindi ammettere ragionevoli inferenze traslative da sorgenti di informazione scientifica, di esperienza clinica e di dottrina specialistica non incluse nelle sperimentazioni registrative. Si tratta dello spazio proprio dell’individualizzazione o personalizzazione terapeutica, ove si esce da un comodo ambito di certezza e di codifica delle regole, allo scopo di definire e dar corso a un esercizio terapeutico che meglio si adatta alle condizioni individuali del paziente (Figura 1). Parlando di infezione da HIV ciò è da intendersi anche e soprattutto in prospettiva, nella volontà di prevedere un vero e proprio progetto terapeutico, che inscriva le specifiche necessità del paziente all’interno di un quadro personale di evoluzione nella propria esistenza in vita. Da qualche tempo anche nell’ambito dell’infezione da HIV si parla quindi d’invecchiamento e di comorbilità, di altre terapie necessarie e di stile di vita, ma anche di poter rendere accessibili al paziente nuovi traguardi nella stessa cura dell’infezione da HIV. Il riferimento non più ambiguo, ma esplicitamente ancorato ad alcune avanzate realtà sperimentali, è alla possibilità di eradicare il virus HIV, ovvero a una proiezione di cura potenzialmente definitiva, che liberi il paziente dalla permanente necessità di chemiosoppressione virale e quindi di assumere farmaci in continuazione. In altre parole, la evidence-based medicine ci consegna una testimonianza probante circa il rendimento terapeutico comparativo di una determinata opzione terapeutica, con relativa validazione statistica VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 11 Figura 1 La scelta della terapia oggi si basa su approcci capaci di aggredire tutte le fasi replicative del virus HIV e deve essere personalizzata. NRTI = inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa; NNRTI = inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa e specifici limiti di azione e applicazione, e in questo senso offre quantità e qualità di informazioni d’importanza ineludibile. In fase applicativa il terapeuta è chiamato ippocraticamente a tradurre i messaggi sperimentali a livello individuale, secondo la stima di un complesso rapporto rischio/beneficio che deve necessariamente essere proiettata nel tempo e garantire la migliore soluzione globale possibile. Si tratta di un terreno difficile, non omogeneo, con variabilità spontanee (genetica, farmacogenetica) e indotte (effetto dei farmaci, stile di vita, condizioni sociali), nel quale convergono conoscenze ed esperienze cliniche, farmacologiche (farmacocinetiche, farmacodinamiche), virologiche, immunologiche, genetiche, epidemiologiche e financo sociali nella definizione del miglior risultato raggiungibile e nella scelta della gerarchia delle priorità perseguibili. Semplicisticamente potrebbe valere l’assioma che distingue le malattie dai malati, ovvero il modello dall’esemplare, e 12 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL che riconosce a ogni malato un’irripetibile e irriproducibile profilo di individualità a cui riferirsi. Il peso specifico dell’individualizzazione cresce in funzione della durata dell’impegno terapeutico, e in questo senso è massimo nel caso di terapie destinate ad accompagnare il paziente per l’intera durata della vita. Possiamo citare l’ipertensione, la cura delle diverse forme di broncopneumopatia cronica, il diabete e ovviamente anche la terapia dell’infezione da HIV e di diverse forme di infezione da HBV. Ciò che principalmente distingue la terapia dell’infezione da HIV dalla cura di patologie ad esempio cardiovascolari o polmonari, oppure dal diabete, sono le conseguenze di eventuali errori di aderenza (che possono determinare la selezione di resistenza ai farmaci) e la mancanza, se non in fasi estreme, di campanelli d’allarme quotidiani di tipo soggettivo (per es. sintomi da pressione elevata, da ipo/iperglicemia ecc.) [Figura 2]. Questi semplici aspetti sono già largamente sufficienti a giustificare l’impegno già profuso e in atto allo scopo di creare le migliori condizioni possibili per un’efficace continuità terapeutica che si renda compatibile con quant’altro, di terapeutico e non, sia di rilevanza nella vita del paziente. In questa prospettiva, la storia del lavoro, sin qui effettuato dalla comunità scientifico-terapeutica e sociale italiana nel settore dell’infezione da HIV, merita certamente di essere ricordato, in quanto associato a valori di durata della vita ai vertici mondiali. La dedizione all’assistenza dei pazienti con infezione da HIV e AIDS, nelle diverse fasi dell’epidemia, ha rappresentato in Italia un esempio di spirito di servizio, competenza crescente e progressivo inserimento nella rete internazionale delle sperimentazioni cliniche, fino a raggiungere una posizione di assoluto primo piano. Rispetto ad altre realtà ove l’atteggiamento è stato per lo più protocollare (per es. Stati Uniti), in Italia una categoria specialistica, quella degli infettivologi, si è messa Sì No Non indicato 100 Percentuale Percentuale 80 60 40 20 13 12 20 11 20 10 20 09 20 08 20 07 20 06 20 05 20 04 20 03 20 02 20 01 20 00 20 99 20 98 19 97 19 19 19 96 0 Anno di di diagnosi diagnosi Anno Figura 2 Uso di terapie antiretrovirali pre-AIDS (1996-2013). a disposizione maturando un’esperienza e una cultura maggiormente tese alla comprensione e valorizzazione individuale piuttosto che alla rigida adesione alle Linee guida internazionali (Figura 3). Se vogliamo, in Italia fin da subito è stato perseguito un atteggiamento operativo incline all’individualizzazione, forse mutuato dal tipo di cultura e tradizione medica che ci contraddistingue. È importante rilevare come lo stesso disegno delle più recenti sperimentazioni cliniche, e in particolare la tipologia di quesiti a cui esse devono rispondere, hanno favorevolmente risentito dell’univer- 100 90 80 85,5 81,9 83,7 Percentuale 70 88,6 90,6 88,4 88,6 89,0 91,6 75,3 79,5 76,6 60 57,6 50 52,8 40 30 20 43,3 38,4 17,0 10 0 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Figura 3 Coorte ICONA: percentuale di pazienti con HIV-RNA ≤ 80 copie/ml dopo 12 mesi dall’inizio della prima terapia antiretrovirale combinata (cART), per anno di inizio. VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 13 sale percezione della necessità di Fallimento virologico una progettazione, di un planning REGIME breve termine Tossicità del percorso terapeutico. Accanto INIZIALE SWITCH Proattiva per tossicità quindi a una maggiore sensibilità o interazioni farmacologiche verso categorie di pazienti meno lungo Semplificazione rappresentate in passato (per es. alte termine viremie iniziali, deficit immunitario Meno compresse marcato, carenza di pazienti di geAssunzione meno frequente nere femminile, co-infezione con Meno farmaci HCV ecc.), abbiamo visto svilupparsi sperimentazioni di modifica Figura 4 Strategie di scelta dei regimi terapeutici ottimali. terapeutica (switch) atte a verificare non tanto e non solo il valore comparativo di determinate opzioni ri- soluzioni in compressa unica, ovvero l’evolversi naturale dell’infezione spetto ad altre, ma anche l’economia l’intera triplice terapia inclusa in una da HIV nel genere umano in asdi una possibile strategia terapeutica solo compressa, da assumere una senza di terapia. in sequenza, ovvero corrispondente volta al giorno (Figura 5). a un progetto di copertura terapeutiRiteniamo che ciò di cui oggi si dica costante, che si adegui nel tempo Si tratta di tappe progressive di spone, e non intendo riferirmi solo alle numerose variabili che possono una storia certamente straordi- ai farmaci antiretrovirali ma a un presentarsi in fasi diverse e con un naria, nata praticamente dal nulla intero sistema assistenziale, meriti peso specifico destinato, appunto, (l’unico antivirale in commercio al oltremodo di essere considerato un a variare negli anni (per es. invec- momento della scoperta dell’HIV patrimonio e in tal senso vada tuchiamento e terapie concomitanti) era l’antierpetico acyclovir), sen- telato. In molti crediamo si tratti di [Figura 4]. Nuovi sviluppi nella spe- za un retroterra di conoscenze su un ottimo esempio, il cui spessore Endpoint primario: HIV-1 RNA< 50 copie/ml cifica area della farmaceutica hanno cui allora basare il nuovo cimento medico-scientifico, organizzativo e inoltre permesso progressi senz’altro terapeutico, e che oggi condivide umano sia esportabile con successtraordinari nella semplificazione con pochi altri settori il primato so non solo nel perseguimento dei dell’impegno terapeutico, e in tal di un successo terapeutico di ma- nuovi e più ambiziosi obiettivi nelsenso vale la testimonianza della gnitudo impressionante, se para- lo stesso ambito dell’infezione da disponibilità sul mercato di ben tre gonato a quello che sarebbe ed era HIV, ma anche in altre discipline. Endpoint primario: HIV-1 RNA < 50 copie/ml 100 90 94% 87% Soggetti (%) 80 E/C/F/TDF (n = 290) IC 95% per la differenza PI + RTV + FTC/TDF (n = 139) 70 A favore di A favore di PI + RTV + FTC/TDF E/C/F/TDF 60 50 40 30 6,7 20 10 0 6% <1% 1% Successo virologico Sett. 48 Conta CD4 (cellule/mm3) 12% Fallimento virologico Nessun dato virologico Sett. 48 Sett. 48 Basale ∆ Sett 48 p (∆ sett 48 – basale) E/C/F/TDF 603 + 40 <0,001 PI + RTV + FTC/TDF 625 + 32 =0,025 0,4 -12% 0 13,7 12% Analisi sequenziale predefinita Superiorità statistica (p = 0,025) Figura 5 Efficacia dell’associazione E/C/F/TDF (elvitegravir/cobicistat/emtricitabina/tenofovir) in monosomministrazione giornaliera versus PI + RTV + FTC/TDF (inibitore della proteasi + ritonavir+ emtricitabina/tenofovir DF). Studio registrativo GS-US-236-0103 14 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL HIV COME MODELLO D’INTERVENTO SU MALATTIA CRONICA NON GUARIBILE: IL SUCCESSO DELLA TERAPIA ANTIVIRALE IN ITALIA Massimo Andreoni Presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive, Policlinico di Tor Vergata, Roma alla gestione di una patologia che, oltre a essere cronica, è diventata multiorgano. I grandi progressi nella terapia antiretrovirale devono, infatti, fare i conti con le caratteristiche cliniche profondamente mutate del paziente HIV-positivo che, paradossalmente, proprio per il buon, quando non eccellente, controllo viro-immunologico, si trova a sviluppare una serie di patologie croniche tipiche della popolazione normale senza l’infezione. Le sfide cliniche tipiche degli anni passati, vale a dire l’insorgenza di infezioni opportunistiche e il decesso, oggi sono state superate per frequenza e importanza dalle conseguenze a lungo termine dell’infezione da HIV e del suo trattamenViventi 2000 Casi di AIDS to. Argomenti come tollerabilità, aderenza terapeutica, sviluppo di resistenze virali e prolungamento della sopravvivenza pongono all’infettivologo nuove sfide, legate non solo alla decisione del timing ottimale dell’avvio di una terapia in un paziente naïve, ma anche alla scelta dei regimi terapeutici seguenti nel paziente advanced naïve e alla ormai imprescindibile necessità di collaborazione con altre figure specialistiche, come il cardiologo o il neurologo, per la prevenzione e il trattamento delle complicanze dell’infezione. Proprio in conseguenza della cronicizzazione della patologia da HIV (Figura 1), aumenta l’età media della popolazione affetta da tale patologia, e l’invecchiamento Decessi 1800 1600 N. casi Numero di casi 1400 1200 1000 800 600 400 200 2012 2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 2001 2000 1999 1998 1997 1996 1995 1994 1993 1992 1991 1990 1989 1988 1987 1986 1985 0 1984 L a gestione del paziente sieropositivo al virus dell’immunodeficienza umana (HIV) sul lungo termine, e quindi con una infezione che da acuta e mortale si è trasformata in una malattia cronica, pone nuove problematiche ai clinici, alle Istituzioni e al Sistema sanitario nazionale più in generale. Un successo certamente figlio di terapie sempre più efficaci, ma anche di un loro uso attento secondo modelli che hanno fatto dell’Italia uno dei Paesi più avanzati al mondo in termini di outcome. Le Linee guida hanno da sempre cercato di darsi una struttura che servisse alla pratica clinica; fin dal principio, infatti, gli esperti si sono interrogati su quando cominciare, come e quando cambiare la terapia, nel rispetto di ciò che la scienza teorica ci offriva, ma nello stesso tempo mantenendo uno stretto legame con la pratica clinica. Le Società scientifiche, le Associazioni dei pazienti e le Istituzioni hanno lavorato fin dal principio in questa direzione, affinché le migliori soluzioni potessero essere offerte ai pazienti in maniera sostenibile. Ora che abbiamo saputo trasformare una patologia acuta in una patologia cronica, il salto successivo, non meno impegnativo e importante, è quello di fornire gli strumenti e le soluzioni più adatte Annodi di diagnosi diagnosi Anno Figura 1 Numero di pazienti viventi con infezione da HIV negli ultimi 30 anni. VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 15 dei pazienti si accompagna a un aumento delle patologie tipicamente correlate all’aumento dell’età. Pazienti carotidee (%)(%) Pazienticon conlesioni lesioni carotidee In un modello messo a punto recentemente dalla ATHENA Cohort, le malattie onco-ematologiche, cardiovascolari e il diabete stesso sono destinati ad aumentare nei prossimi 20 anni; questa considerazione deve necessariamente avere un forte impatto sulla capacità di gestione di queste patologie, ma inevitabilmente avrà un impatto anche sulle co-medicazioni e sulla sostenibilità dei costi. Del resto, tra le considerazioni di cui sopra, non si può ignorare il dato dell’aumento di mortalità per patologie cardiovascolari, onco-ematologiche ed epatiche nella popolazione affetta da infezione da HIV. Uno dei problemi, in particolare, ancora fortemente dibattuti nel trattamento con farmaci antiretrovirali nel paziente HIV-positivo è rappresentato dalle complicanze metaboliche, come lipodistrofia, dislipidemia, alterazioni del metabolismo glucidico e acidosi lattica. L’HIV provoca già di per sé alterazioni del profilo lipidico plasmatico indipendentemente dalla terapia antiretrovirale altamente attiva (highly active antiretroviral therapy, HAART). L’avvio della terapia antiretrovirale modifica però ulteriormente i parametri lipidici: Basale 70 innalzamento della colesterolemia LDL, VLDL e alterazioni della trigliceridemia, oltre a un modesto ma insufficiente aumento anche della concentrazione plasmatica di colesterolo HDL che resta a livelli inferiori rispetto alla popolazione generale sana. La HAART induce, poi, anche un aumento della concentrazione di lipoproteine fortemente aterogene come le LDL-2 piccole e dense. Va ricordato che la presenza di obesità addominale, ipertrigliceridemia, insieme a riduzione della colesterolemia HDL, ipertensione arteriosa e resistenza all’insulina dipingono il quadro clinico della sindrome metabolica, una condizione, spesso riscontrata nel soggetto sieropositivo in terapia HAART, associata a un processo aterosclerotico diffuso, causa di grave danno d’organo e decesso prematuro dovuto a complicanze cardiovascolari (Figura 2). Il Data Collection of Adverse Events of Anti-HIV Drugs (D:A:D) Study aveva già dimostrato che dopo 5 anni di terapia antiretrovirale si osservava un raddoppio del rischio cardiovascolare e che, nonostante il frequente utilizzo di farmaci ipocolesterolemizzanti come statine e fibrati, il profilo di rischio cardiovascolare tra i soggetti sieropositivi della coorte in analisi fosse peg- Follow-up Gruppo C 62 pazienti 60 50 Gruppo A 41 pazienti Gruppo B 50 pazienti 40 Gruppo D 110 pazienti 30 20 10 0 < 50 < 100 < 50 100-200 < 50 >200 > 200 CD4 CD4dal dalbasale basalealalfollow-up follow-up Figura 2 . Il ruolo dell’immunoricostituzione nello sviluppo di lesioni aterosclerotiche subcliniche. La terapia HAART, responsabile dell’immunoricostituzione, si associa a un processo aterosclerotico diffuso. (modificato da Maggi P, et al. J Acquir Immune Defic Syndr 2009) 16 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL giorato. Questo effetto negativo è stato attribuito all’invecchiamento della popolazione in studio: con il passare degli anni questi soggetti hanno sviluppato malattie come ipertensione e diabete. In questo lasso di tempo, l’incidenza di infarto del miocardio (IMA) è rimasta stabile, suggerendo che il peggioramento del profilo di rischio abbia impedito una riduzione dovuta ai benefici degli interventi per ridurre il rischio stesso. Le complicanze metaboliche legate alla terapia antiretrovirale vanno pertanto considerate con attenzione nella gestione dei pazienti HIV-positivi e impongono strategie di prevenzione del danno d’organo a lungo termine. Parlando di danno d’organo nel paziente HIV-positivo, un aspetto di estrema rilevanza è poi rappresentato dalla nefropatia. La prevalenza di disfunzione renale è una questione verso cui è particolarmente elevata l’attenzione, in considerazione delle proiezioni che la vedono in forte crescita tra le persone infette. L’insufficienza renale cronica (IRC) nell’era pre-HAART era prevalentemente il risultato di un danno diretto provocato dal virus, cioè della nefropatia HIV-associata (HIVAN). L’introduzione della HAART ha determinato un significativo cambiamento nell’epidemiologia della malattia renale tra i pazienti sieropositivi, con una riduzione sostanziale dell’incidenza di HIVAN. Tuttavia, pur con gli importanti benefici della HAART, la nefropatia resta un riscontro comune nei pazienti con HIV. Un quadro di IRC si riscontra, così, in circa il 15% dei pazienti HIV-sieropositivi e le attuali Linee guida raccomandano lo screening per l’IRC al basale in tutti i pazienti infettati dal virus e da lì in avanti con regolarità nei soggetti a maggiore rischio di IRC, utilizzando la stima state oltre 3600, un numero preoccupante soprattutto per l’aumento tra i giovanissimi. La stima è che nel 2014 i viventi sieropositivi siano 123.000. L’epidemiologia dell’infezione dimostra che il sommerso rimane ancora un’emergenza, perché l’inconsapevolezza della sieropositività aumenta le probabilità di contagio e di diffusione del virus. Tra il 2006 e il 2012 la proporzione di pazienti late presenter, cioè che arrivano all’osservazione tardivamente, in stadio AIDS conclamato ignorando la propria sieropositività, è aumentata ed è più elevata tra coloro che hanno come modalità di trasmissione i rapporti sessuali: se nel 2011 questa proporzione era del 63%, nel 2012 era già salita al 68%, ampiamente superiore alla media europea (49%). Nello stesso anno, solo poco più di un quarto delle persone diagnosticate con AIDS ha eseguito una terapia antiretrovirale prima della diagnosi della malattia, perché consapevole della propria sieropositività. 1400 Il dato relativo alle classi di età è un ulteriore elemento su cui va fatta una riflessione. Il 17,3% delle persone con una nuova diagnosi di sieropositività all’HIV è over 50 (l’1,5% è persino over 70). In generale, dal 1985 è stato osservato un costante aumento dell’età mediana dei pazienti al momento della diagnosi di infezione da HIV, che è passata da 26 anni per i maschi e 24 anni per le femmine a 38 e 36 anni rispettivamente, nel 2012 (Figure 3 e 4). Tuttavia nella popolazione generale persiste una percezione errata delle reali possibilità di contrarre l’infezione visto che, come evidenziato da una recente indagine Gfk Eurisko condotta su un campione di 1.050 connazionali di età over 18, 8 italiani su 10 non si sentono a rischio di contrarre l’infezione, eppure l’84% delle infezioni è dovuto proprio a rapporti non protetti. E non basta: solo per 2 italiani su 10 la categoria degli eterosessuali è a rischio di contagio, quando l’epidemiologia dimostra che tra i nuovi Numero di casi Incidenza 18 16 1200 Numerodi di casi Numero casi 14 1000 12 800 10 600 8 6 400 4 200 0 2 15-19 20-24 25-29 30-39 40-49 50-59 60-69 ≥70 0 Incidenza per100.000 100.000 residenti Incidenza per residenti del filtrato glomerulare (eGFR) e l’analisi delle urine. Fattori che contribuiscono al danno renale in questa popolazione di pazienti includono l’invecchiamento, la presenza di altre patologie come diabete mellito e ipertensione, e il mancato controllo virologico. A ciò va aggiunto l’effetto lesivo potenziale di alcuni farmaci antiretrovirali. Da tutto ciò risulta chiaro come la cronicizzazione dell’infezione da HIV apra, in sostanza, nuovi scenari nell’approccio a 360° a questi pazienti, perché diventa fondamentale utilizzare tutti gli strumenti disponibili a livello sociale, istituzionale e clinico per ottimizzare la gestione complessiva dei pazienti, avendo come priorità l’aderenza alla terapia antiretrovirale e la sua semplificazione. Le nuove possibilità terapeutiche, tuttavia, oggi si trovano a dovere fare i conti con una sostenibilità che mette a repentaglio l’accessibilità alle innovazioni nella cura di una patologia ancor oggi poco considerata. Va ricordato che nel 2013 in Italia le nuove diagnosi di HIV sono Classididi età età Classi Figura 3 Numero e incidenza delle nuove diagnosi di infezione da HIV (per 100.000 residenti) per classe di età (2013). (modificato da Notiziario ISS Volume 27 – Numero 9 Supplemento 1 – 2014) VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 17 46 Maschi Femmine 44 42 Età diagnosi alla diagnosi Età alla 40 38 36 34 32 30 28 13 12 20 11 20 10 20 09 20 08 20 07 20 06 20 05 20 04 20 03 20 02 20 01 20 00 20 99 20 98 19 97 19 96 19 95 19 94 19 19 19 93 26 Anno Annodi diagnosi di diagnosi Figura 4 Età mediana alla diagnosi di AIDS, per genere e anno di diagnosi (1993-2013). (modificato da Notiziario ISS Volume 27 Numero 9 – Supplemento 1 – 2014) 18 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL e con l’ausilio di modelli matematici innovativi applicati alla sanità, un approccio percorribile e strutturato dell’aspetto multiorgano, contribuendo a identificare priorità di intervento e relativa sostenibilità. 45 IDU Eterosessuali M Eterosessuali F MSM 40 Età(anni) (anni) Età infetti la maggioranza relativa (oltre il 40%) è formata proprio da eterosessuali (Figura 5). A livello di collettività permangono stigma e barriere sociali, considerando che 2 italiani su 3 affermano che si sentirebbero a disagio e con non poche preoccupazioni nel frequentare una persona sieropositiva. Inoltre, 9 italiani su 10 non ricordano di avere sentito recentemente parlare di HIV. Una carenza quindi di informazioni che rischia di penalizzare soprattutto i più giovani e che evidenzia l’importanza di una maggiore attenzione a tutti i livelli su questa problematica. L’attesa è per una comunicazione informativa veicolata da una pluralità di canali, in cui clinici e Istituzioni restano i punti di riferimento. In conclusione, penso che l’Accademia della Cura dovrebbe ricercare, attraverso i dati già esistenti 35 30 25 20 2010 2011 2012 2013 Anno di di diagnosi Anno diagnosi Figura 5 Numero delle nuove diagnosi di infezione da HIV, per modalità di trasmissione e anno di diagnosi (2010-2013). IDU = utilizzatori di droghe iniettive; MSM = omosessuali maschi (modificato da Notiziario ISS Volume 27 – Numero 9 Supplemento 1 – 2014) IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE: RISORSA E NON BARRIERA AD UN APPROCCIO CLINICO OLISTICO PER LA PERSONA AFFETTA DA HIV Andrea Antinori Direttore Dipartimento Clinico, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani - Roma N ella lotta trentennale contro l’AIDS, le Istituzioni e le Società scientifiche si sono poste l’obiettivo di fornire al paziente una terapia efficace, sempre meglio tollerata e sicura. Andando in questa direzione lo sforzo è stato sempre quello di ridurre, attraverso l’introduzione di nuove classi farmacologiche e farmaci sempre più efficaci, sicuri e semplici nell’assunzione, gli effetti collaterali, gestirli e far comprendere ai pazienti l’importanza dell’aderenza. Le caratteristiche di universalità del Sistema Francia Paesi Bassi sanitario, l’accesso ampio e gratuito al test, la centralità del counseling e dell’attenzione rivolta alla persona, lo sviluppo di percorsi diagnostici e terapeutici ottimali hanno garantito nel tempo esiti peculiari in termini di retention in care, che è oggi uno dei parametri chiave attraverso cui viene valutata la gestione complessiva della patologia HIV a livello dei differenti Paesi [1]. In Italia, a differenza degli Stati Uniti, il Sistema Sanitario Nazionale ha utilizzato metodi diversi che permettono una migliore presa in carico dei pazienti con un accesso alle cure nettamente maggiore. Il carattere gratuito del test, la possibilità di eseguirlo in modo anonimo presso strutture che prendono in carico direttamente il paziente e lo seguono durante tutto l’iter dell’infezione e garantiscono la gratuità dei farmaci e delle prestazioni sanitarie correlate alla malattia, producono un risultato netto di maggiore efficienza del modello italiano della HIV Cascade rispetto ai risultati dei Paesi nord-americani (Stati Uniti e Canada) [Figura 1] [2]. Regno Unito Stati Uniti Italia Danimarca Columbia Britannica 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Soggetti viventi con HIV Diagnosticati Inviati alla cura In terapia In terapia antiretrovirale Viremia non rilevabile Figura 1 L’analisi di confronto della HIV Cascade mostra marcate diseguaglianze nella cura dell’HIV tra i i diversi Paesi. VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 19 Numero dicasi casi Numero di 5000 10 Corretti Casi notificati Incidenza 8 4000 6 3000 4 2000 2 1000 Incidenza residenti Incidenza AIDS di AIDSper per100.000 100.000 residenti 6000 0 19 8 19 2 8 19 3 8 19 4 8 19 5 8 19 6 8 19 7 8 19 8 8 19 9 9 19 0 9 19 1 9 19 2 9 19 3 9 19 4 9 19 5 9 19 6 9 19 7 9 19 8 9 20 9 0 20 0 0 20 1 0 20 2 0 20 3 0 20 4 0 20 5 0 20 6 0 20 7 0 20 8 0 20 9 1 20 0 1 20 1 1 20 2 13 0 Anno Annodididiagnosi diagnosi Figura 2 Numero dei casi di AIDS e incidenza per anno di diagnosi (per 100.000 residenti), corretti per ritardo di notifica (1982-2013). (modificato da Notiziario ISS Volume 27 – Numero 9 Supplemento 1 – 2014) In questi anni in Italia abbiamo ideato e sperimentato programmi innovativi per migliorare l’aderenza e l’educazione terapeutica, mettendo il paziente al centro del nostro lungo viaggio. Il modello “aderenza” nel guidare i risultati del successo terapeutico nell’area HIV ha prodotto rilevanti prodotti scientifici e un importante metodo di intervento [3], cui hanno concorso sia i clinici che le Istituzioni e le Aziende produttrici dei farmaci. Dei pazienti attualmente in cura e in trattamento antivirale, il 90% mostra un’efficacia completa della terapia con una quantità di virus nel sangue non rilevabile. Con il drastico crollo della morbosità per AIDS [4] (Figura 2), la riduzione della mortalità e la sostanziale cronicizzazione della malattia, è progressivamente cresciuto il numero delle persone HIV-positive che fanno parte della popolazione attiva. 20 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL Dal punto di vista legislativo, il nostro Paese si è dotato, con la legge n. 135/1990, di una normativa specifica volta a definire gli interventi necessari per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS. Questa legge, che pone al centro degli interventi la figura dell’infettivologo, ha previsto tra l’altro norme di tutela a favore dei lavoratori sieropositivi all’infezione da HIV o affetti da AIDS [5]. La legge n. 135/1990, agli articoli 5 e 6, prevede, infatti, disposizioni specifiche, mirate a garantire l’anonimato nella rilevazione delle infezioni da HIV e il divieto di svolgere indagini volte ad accertare lo stato di sieropositività dei dipendenti da parte di datori di lavoro per l’instaurazione di un rapporto di lavoro. Aspetti che non hanno mancato di sollevare punti di discussione e necessità di chiarimento alla luce dell’evoluzione degli aspetti scientifici, giuridici e normativi, in relazione alle previ- sioni dei commi 1, 2, 3 dell’articolo 5, posti a tutela della privacy dei soggetti che si sottopongono ad analisi per accertare un’infezione da HIV e del diritto fondamentale di non essere discriminati sul luogo di lavoro. Sotto il profilo giuridico-normativo, occorre ricordare che la sentenza n. 218 del 2 giugno 1994 della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 3 e 4 dell’articolo 5 della legge n. 135/1990, nella parte in cui esclude accertamenti sanitari per verificare l’assenza di sieropositività all’infezione da HIV per l’espletamento di attività comportanti rischio per la salute di terzi. A tale proposito la raccomandazione della Conferenza Generale dell’OIL n. 200/2010 su HIV/AIDS e mondo del lavoro, nel ribadire che non vi devono essere discriminazioni o stigmatizzazioni di persone in cerca di lavoro o che presentino domanda d’impiego in base alla reale o presunta sieropositività, e che a nessun lavoratore deve essere richiesto di effettuare il test HIV o di rivelare il proprio stato sierologico, ha indicato come una priorità fondamentale l’importanza di considerare la prevenzione della trasmissione dell’HIV in tutte le sue forme. Norme specifiche di settore, che richiedono l’accertamento preliminare della condizione di sieronegatività come condizione necessaria perché il lavoratore risulti idoneo a uno specifico servizio (prestato, ad esempio, presso forze di polizia o forze militari ecc.), hanno quindi una loro legittimazione esclusivamente nella sussistenza di una effettiva condizione di rischio di contagio per terze persone derivante dall’esercizio dell’attività lavorativa. Pertanto, la legittimità dell’esecuzione del test in via preventiva, a tutela della salute del lavoratore, dovrà essere giustificata dal livello di rischio individuale di esposizione, valutato caso per caso dal medico competente. Va detto comunque che le norme di tutela contenute nella legge sono talvolta disattese, le violazioni spesso non vengono portate all’attenzione dei giudici dalla parte lesa, troppo preoccupata della visibilità derivante da un procedimento giurisdizionale. Insomma, la legge n. 135/1990 rappresenta una normativa che, pur con il pregio di avere definito delle linee di indirizzo generale per la lotta all’AIDS e la tutela dei lavoratori, ha bisogno di una contestualizzazione alla luce delle evoluzioni nelle conquiste terapeutiche e una applicazione più puntuale. Per tutti i motivi precedentemente esposti, si ritiene complessivamente che l’esperienza vissuta in questi anni in HIV possa essere considerata un modello di gestione per ogni patologia cronica multiorgano, esportabile anche al di fuori del contesto HIV. Nello stesso tempo non dobbiamo dimenticare che abbiamo a che fare con terapie salvavita e che la cronicità faticosamente ma entusiasticamente raggiunta non ci deve far abbassare la guardia. C’è ancora un cammino che Istituzioni, Società scientifiche e Associazioni di pazienti debbono percorrere insieme. Oggi la terapia antiretrovirale consente di controllare la viremia nella stragrande maggioranza dei soggetti in trattamento, pur con le differenze precedentemente esposte che trovano fondamento, oltre che nelle caratteristiche dei Sistemi sanitari, anche negli elementi di vulnerabilità delle sottopopolazioni affette da HIV. E controllo della viremia vuol dire sia beneficio per il paziente con riduzione della progressione della malattia e della mortalità, sia beneficio nella popolazione, con riduzione della possibilità di trasmettere l’infezione (Figura 3). A ogni modo, dall’evidenza degli studi di coorte degli ultimi anni emerge il dato che alcuni fattori, legati alla modalità di trasmissione e all’etnia/nazionalità, possono rappresentare elementi prognostiITALIANI 0-5 5,1-10,0 10,1-20,0 20,1-25,0 ≥ 25 Incidenza: 4,9 per 100.000 italiani residenti 0,0 0,6 0,6 0,0 2,6 5,7 1,5 1,8 2,9 2,0 1,0 2,0 2,4 1,8 0,6 1,3 1,1 0,0 1,0 0,3 0,7 Figura 3 Incidenza di AIDS (per 100.000 residenti), per Regione di residenza (2013). (modificato da Notiziario ISS Volume 27 – Numero 9 Supplemento 1 – 2014) camente sfavorevoli nella risposta clinica alla terapia. I soggetti che hanno acquisito l’infezione da HIV attraverso la tossicodipendenza per via endovenosa [6] e i soggetti stranieri [7] rappresentano due popolazioni chiave a maggiore vulnerabilità, con maggiore rischio di progressione clinica e potenziale maggiore incidenza (Figura 4). La persistenza di elementi di vulnerabilità in alcune cosiddette STRANIERI Incidenza: 19,1 per 100.000 stranieri residenti Figura 4 Incidenza delle nuove diagnosi di infezione da HIV (per 100.000 residenti) per nazionalità e Regione di residenza (2013). (modificato da Notiziario ISS Volume 27 – Numero 9 Supplemento 1 – 2014) VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 21 Relazioni sociali • partner • familiari • amici • social network • medico di famiglia • coordinatore • psicologo/psichiatra • insegnante Fattori relazionali • fiducia • comunicatività • longevità • armonia • vicinanza • povertà • istruzione • regole sociali • stigma • professione • riformatorio rilevabilità dei test, e questo rappresenta un aspetto estremamente rilevante ai fini dell’infettività di tali soggetti. Il problema purtroppo è che non tutti i soggetti positivi sanno di esserlo, non tutti quelli che scoprono l’infezione continuano a farsi seguire, non tutti quelli che sono seguiti iniziano la terapia, non tutti quelli che iniziano la terapia la continuano con regolarità o rispondono con successo alle cure. Ne consegue che una quota significativa dei soggetti infetti (oltre il 40%) non riesce oggi, nonostante l’elevata efficacia delle terapie, a controllare la carica virale nel sangue. Secondo stime effettuate dal Dipartimento di Epidemiologia dell’Istituto Spallanzani di Roma e riportate a ICAR 2014, in Italia sarebbero circa 60.000 le persone con HIV che non hanno una viremia controllata, con le • pubblico • privato • assistenza primaria • ospedali, pronto soccorso • organizzazioni comunitarie • distanza del centro per HIV • livello del centro per HIV • disponibilità degli appuntamenti • servizi di supporto • servizi integrati POLITICHE Va inoltre evidenziato che il trattamento del partner HIV-positivo si è dimostrato in grado di ridurre il rischio di trasmissione di HIV all’interno di coppie siero-discordanti del 64% (secondo dati di revisione sistematica da studi osservazionali) e del 96% (secondo dati da trial randomizzato) [12,13], con una significativa potenzialità di incidere in modo sostanziale sul quadro epidemiologico dell’infezione da HIV [14]. Il trattamento farmacologico dei soggetti HIV-positivi comporta infatti l’abbattimento della carica virale plasmatica al di sotto dei valori di SISTEMA SANITARIO Promuoventi • stato assicurativo • trasporto • coabitazione • guadagno • istruzione • supporto sociale • responsabilità • autostima • spiritualità • fronteggiare i problemi • resilienza • stigma recenti dati da studi multi-coorte (Europa, Stati Uniti, Africa), in cui i dati di sopravvivenza italiani (ICONA) si sono dimostrati migliori di quelli della maggior parte delle realtà geopolitiche a livello globale [11]. COMUNITÀ INDIVIDUALI Predisponenti • età • etnia • sesso • sessualità • salute mentale • uso di sostanze RELAZIONI SOCIALI popolazioni speciali, tra cui vanno annoverate per motivi tra loro differenti le donne [8], i pazienti con diagnosi in fase di malattia avanzata [9] e i soggetti anziani [10], aumenta il valore di tutela della persona e i suoi fondamenti giuridici, anche nella misurazione della performance del Sistema sanitario in termini complessivi di controllo della malattia. Avere a disposizione una cornice giuridica di tutela nei confronti di stigma e discriminazione, e che supporti una visione universalistica di assistenza, a tutela delle fasce deboli della popolazione, può riuscire, come dimostrato in precedenza, a migliorare l’efficienza generale dell’intervento preventivo-diagnostico-assistenziale. Alla base di questa impostazione di modello sanitario e clinico-assistenziale vi è il successo dei risultati della gestione HIV nel nostro Paese, come dimostrato da • linee guida analisi HIV • linee guida terapia HIV • controlli • finanziamenti • misure di qualità/ indicatori • coordinazione dei servizi • pratica ottimale • rimborsi • personale Necessità percepite • convinzioni salutiste • sintomi • comorbilità • esperienze passate Figura 5 Elementi che influenzano il coinvolgimento dei diversi attori nella cura dell’infezione da HIV. (modificato da Mugavero MJ, et al. Clin Infect Dis 2013) 22 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL conseguenze di rischio clinico e di trasmissione dell’infezione. La capacità di individuare i soggetti infetti e far sì che, una volta diagnosticati, rimangano agganciati al percorso di cura, dipende dall’efficienza del sistema sanitario. Se ogni anno abbiamo ancora uno zoccolo duro di oltre 4000 nuove diagnosi di infezione da HIV, è il mancato controllo della viremia di quelli che non sanno oppure che non sono efficacemente agganciati al percorso di cura a determinare la circolazione del virus, attraverso comportamenti a rischio non correttamente prevenuti. È opportuno sottolineare che la diagnosi precoce rimane la vera arma in più per il buon esito dei trattamenti. Da un recente sondaggio Eurisko emerge che la metà degli intervistati (46%) indica il test utile come possibile strumento di prevenzione e controllo; solo il 3% però ritiene vi si faccia ricorso. È dimostrata la correlazione tra l’inizio delle terapie e l’incremento della durata della vita e la riduzione di co-morbosità. Perciò è importante favorire una diagnosi precoce, oltre che garantire l’accesso alle terapie antiretrovirali innovative. Ad oggi si stima che nel mondo solo la metà delle persone con HIV sia a conoscenza del proprio stato. In Italia, su oltre 120.000 persone con diagnosi, il 15-20% non è al corrente della propria sieropositività. Nel 2012 almeno il 50% di nuovi casi di infezione diagnosticati era già in fase avanzata della malattia. L’accesso alle terapie innovative deve tuttavia inserirsi in un contesto di sostenibilità per il Sistema Sanitario Nazionale. La spesa farmaceutica è in continua crescita nei Paesi sviluppati e la crisi economica in atto impone processi di razionalizzazione delle risorse. Gli antivirali sono, infatti, la seconda voce di costo della farmaceutica ospedaliera dopo gli oncologici. La terapia antiretrovirale, oltre a un costo ancora elevato, reca con sé il problema della necessità di somministrare il trattamento per tutta la durata della vita, e questo, con attese di vita oggi di oltre 50 anni, rappresenta un fattore ulteriore di crescita della spesa farmaceutica [15]. Inoltre oggi abbiamo una crescente necessità di cure sempre più precoci, per un maggiore beneficio del paziente e per ridurre il rischio di trasmissione dell’infezione. Trattare prima, e in prospettiva trattare tutti, aumentando l’efficienza nell’individuare soggetti ancora inconsapevoli del proprio stato di infezione, significa avere più soggetti in trattamento e quindi maggiore spesa farmaceutica. Diverse strategie sono oggi adottate nei Paesi come quelli dell’Unione Europea, dove i farmaci sono disponibili in regime di rimborsabilità, per ridurre il peso economico e garantire la sostenibilità di tale capitolo della spesa sanitaria. Abbiamo oggi in Italia le Linee guida, sviluppate dal Ministero della Salute e dalla Società Italiana di Malattie Infettive, per rendere la prescrizione più appropriata e migliorare sia l’efficacia che gli sprechi [16]. Le Regioni stanno sviluppando Protocolli Diagnostico-Terapeutici (PDT) per adattare i regimi raccomandati dalle Linee guida in base a modelli farmacoeconomici. La cura dell’infezione da HIV implica dunque un impegno e un coinvolgimento complesso [1] (Figura 5). L’Accademia della Cura può, quindi, attraverso l’analisi dei dati già esistenti sulle popolazioni fragili e sulla soddisfazione del paziente, dimostrare e mostrare il valore scientifico, sociale ed economico dell’innovazione che stiamo percorrendo. Bibliografia 1. Mugavero MJ, Amico KR, Horn T, et al. The state of engagement in HIV care in the United States: from cascade to continuum to control. Clin Infect Dis 2013;57(8):1164-71. 2. Raymond A, Hill A, Pozniak A. Large disparities in HIV treatment cascades between eight European and high-income countries - analysis of break points. J Int AIDS Soc 2014 Nov 2;17(4 Suppl 3):19507. 3. Ammassari A, Trotta MP, Shalev N, et al. Beyond virological suppression: the role of adherence in the late HAART era. Antivir Ther 2012;17(5):785-92. 4. Aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da HIV e dei casi di AIDS in Italia al 31 Dicembre 2013. Notiziario Iss Volume 27, N. 9 Suppl 1. Novembre 2014; http://Www.Iss. It/Binary/Ccoa/Cont/Dicembre_2014_Rev.Pdf 5. Legge 135 del 5 Giugno 1990. Piano degli interventi urgenti in materia di prevenzione e lotta all’AIDS; http://www.salute. gov.it/imgs/C_17_normativa_1654_allegato.pdf. 6. Lewden C, Bouteloup V, De Wit S, et al. All-cause mortality in treated HIV-infected adults with CD4 ≥500/mm3 compared with the general population: evidence from a large European observational cohort collaboration. Int J Epidemiol 2012 Apr;41(2):433-45. 7. Saracino A, Lorenzini P, Lo Caputo S, et al. Increased risk of virological failure to the first antiretroviral regimen in HIV-infected migrants compared to natives: data from the ICONA cohort. 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Realizzata con il contributo educazionale di