via italiana contro l`hiv modello di eccellenza

JOURNAL
01
DICEMBRE 2014
VIA ITALIANA CONTRO L’HIV MODELLO DI ECCELLENZA
Editoriale | Carlo Federico Perno La virologia come architrave del successo della terapia antivirale | Giovanni Di
Perri L’appropriatezza tra evidence-based medicine e personalizzazione della terapia | Massimo Andreoni HIV come
modello d’intervento su malattia cronica non guaribile: il successo della terapia antivirale in Italia | Andrea Antinori
Il Sistema Sanitario Nazionale: risorsa e non barriera ad un approccio clinico olistico per la persona affetta da HIV
JOURNAL
INDICE
pag. 3
Editoriale
pag. 5
La virologia come architrave del successo della terapia antivirale
Carlo Federico Perno
pag. 11
L’appropriatezza tra evidence-based medicine
e personalizzazione della terapia
Giovanni Di Perri
pag. 15
HIV come modello d’intervento su malattia cronica
non guaribile: il successo della terapia antivirale in Italia
Massimo Andreoni
pag. 19
Il Sistema Sanitario Nazionale: risorsa e non barriera
ad un approccio clinico olistico per la persona affetta da HIV
Andrea Antinori
JOURNAL
Volume 1 – Numero 1 – Dicembre 2014
EDITOR-IN-CHIEF
Carlo Federico Perno Professore di Virologia, Università di Roma Tor Vergata; Presidente del Collegio Italiano Docenti di Microbiologia
e Virologia
EDITORIAL BOARD
Massimo Andreoni
Presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, Direttore del Dipartimento di Malattie
Infettive, “Policlinico di Tor Vergata” - Roma
Andrea Antinori
Direttore Dipartimento Clinico, INMI Lazzaro Spallanzani - Roma
Giovanni Di Perri
Clinica delle Malattie Infettive Università degli Studi di Torino; Direttore Clinica Malattie Infettive,
Ospedale Amedeo di Savoia - Torino
REDAZIONE
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Piazza Duca d’Aosta, 12
20124 Milano
Tel +39 02 2772 991
Fax + 39 02 2952 6823
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HIV Care Academy Journal
è un quadrimestrale pubblicato da HPS – Health Publishing & Services S.r.l., Piazza Duca d’Aosta 12, 20124 Milano, Italia.
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è una testata registrata presso il Tribunale di Milano, reg. n. 376 del 27 novembre 2014.
Direttore Responsabile: Massimo Cherubini
Finito di stampare nel mese di dicembre 2014 da GECA Srl (San Giuliano Milanese - MI)
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farmaci menzionati, a cui il lettore deve fare riferimento.
Pubblicazione fuori commercio.
Realizzata con il contributo educazionale di Gilead Sciences Srl.
Editoriale
UNITI CONTRO L’AIDS SI VINCE
On.le Beatrice Lorenzin
Ministro della Salute
Ho voluto riprendere lo slogan della campagna di comunicazione su HIV e AIDS
del Ministero della Salute, per presentare il primo numero di questa rivista scientifica
che tratta delle cure per l’infezione da HIV, per sottolineare come l’esperienza in questo
campo abbia confermato che azioni sinergiche possono moltiplicare l’efficacia dei risultati
di singole attività.
Ciò è particolarmente vero per i successi raggiunti con la terapia che combina più farmaci
antivirali, le cui Linee guida italiane sull’utilizzo dei farmaci antiretrovirali e sulla gestione
diagnostico-clinica delle persone con infezione da HIV-1, sono state aggiornate a fine
2014, condivise con la Consulta delle Associazioni per la lotta all’AIDS e approvate dalla
Commissione Nazionale AIDS.
Più di trenta anni fa, la condizione di sieropositività per HIV comportava un rapido
decorso verso la malattia conclamata e l’inevitabile esito infausto in un breve periodo
di tempo. Oggi, grazie alla disponibilità di farmaci più validi e delle loro possibili
combinazioni, l’aspettativa di vita di un soggetto sieropositivo – che segue un’appropriata
terapia, tanto più efficace quanto più intrapresa a breve distanza temporale dall’infezione
– è pressoché sovrapponibile a quella di un soggetto sieronegativo.
Ed è questa una delle priorità dei nostri programmi istituzionali, fare sempre di più
perché si sia consapevoli di quali comportamenti espongono al rischio di infezione
da HIV e perché si faccia il test per HIV se si è esposti ad uno di questi rischi.
Più di un quarto delle persone sieropositive non sa di esserlo e si sottopone al test quando
manifesta i primi sintomi della riduzione delle difese immunitarie, segno dei danni
causati dall’aggressione del virus, che ha agito “indisturbato” senza il contrasto di
un idoneo trattamento farmacologico.
A chi potrebbe criticare l’elevato costo di queste terapie, rispondo che sicuramente le
cure sono un grave impegno in termini economici, ma sono ancora più elevati i costi
dell’ignoranza, o meglio, del voler ignorare che esiste un problema di salute e di sanità
pubblica e della mancata ricerca per migliorare le cure di patologie che continueranno
ad esistere e ad emergere-riemergere, anche se non ci piacciono.
Un caloroso benvenuto a questa rivista, che sembra già da subito affrontare non solo
gli aspetti scientifici del trattamento dell’HIV/AIDS, ma anche conoscenze di base,
attenzione alla singolarità della persona e, non da ultimo, l’importanza del ruolo
del Sistema sanitario nazionale per la cura della persona sieropositiva.
Sinergia, dunque, con l’obiettivo che la trasmissione dell’HIV sia interrotta il più presto
possibile.
VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 3
4 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL
LA VIROLOGIA COME ARCHITRAVE
DEL SUCCESSO DELLA TERAPIA ANTIVIRALE
Carlo Federico Perno
Professore di Virologia, Università di Roma Tor Vergata
Presidente del Collegio Italiano Docenti di Microbiologia e Virologia
L
’infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV) è
profondamente cambiata negli ultimi anni, passando da malattia
invariabilmente mortale a patologia
cronica, spesso ben controllabile per
decenni, forse per tutta la vita. Questo profondo cambiamento rappresenta l’esempio più brillante, nella
Storia della Medicina, di come una
patologia gravissima possa essere ricondotta a un profilo meno aggressivo in un tempo ragionevolmente
breve. Nello specifico, sono trascorsi
circa 30 anni (1981) dal momento
della prima descrizione della malattia, seguita dall’identificazione nel
1983 del suo agente eziologico, il virus dell’immunodeficienza acquisita,
denominato HIV dal 1987 in poi
(Figura 1).
La scoperta del virus, la sua aggressività e la sua rapida penetrazione
nel tessuto sociale di tutti i Paesi del
mondo hanno determinato un fortissimo impegno da parte di tutte le
componenti sociali. I Servizi sanitari,
in prima linea nel combattere la malattia AIDS, hanno trovato straordinari alleati nella società grazie alla
mobilitazione di individui e associazioni, nella politica, il cui impegno si
è manifestato nel mettere a disposizione ingenti risorse finanziarie per la
ricerca e cura dell’infezione da HIV
(oltre a risorse per l’assistenza domiciliare, la prevenzione, le campagne in-
Figura 1 Virus dell’immunodeficienza umana (HIV).
VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 5
40
Trauma accidentale
Neoplasia
35
Cardiopatia
Suicidio
Morti
per 100.000 soggetti
Morti per 100.000 soggetti
30
Omicidio
Epatopatia cronica
Infezione da HIV
25
Ictus
Diabete
20
15
10
5
09
10
20
08
20
07
20
06
20
05
20
20
03
04
20
02
20
01
20
00
20
99
20
98
19
97
19
96
19
95
19
94
19
93
19
92
19
91
19
90
19
88
89
19
19
19
19
87
0
Figura 2 Andamento del tasso di mortalità dovuta alle 9 cause principali nella fascia di età 25-44 anni negli Stati Uniti (1987-2010).
(modificato da http://www.cdc.gov/hiv/pdf/statistics_surveillance_HIV_mortality.pdf)
formative ecc.), e nelle multinazionali
del farmaco, che hanno attivato massicci (ed estremamente costosi) programmi di studio del virus, al fine di
identificare possibili bersagli contro
cui sviluppare molecole in grado di
controllare l’evoluzione della malattia.
Questa straordinaria task force, costituita da tutte le componenti del
tessuto sociale, pubblico e privato,
ha prodotto, come accennato, risultati senza precedenti. Già nel 1996
venivano presentati i risultati, straordinari, della terapia di associazione
di tre farmaci antivirali. Tale approccio terapeutico ha mostrato che era
possibile controllare la replicazione
del virus e interferire pesantemente
con la progressione della malattia.
Molti dei pazienti con infezione da
HIV, sopravvissuti nel momento
della disponibilità di questi farmaci, hanno potuto usufruire di questo
approccio terapeutico, conoscendo
una nuova nascita. I risultati, come
detto, sono spettacolari: pazienti in
fase avanzatissima di malattia, ormai
condannati a morte certa, hanno visto il loro organismo rifiorire, grazie
al controllo della replicazione virale
6 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL
e al conseguente ripristino di condizioni generali fino a quel momento
progressivamente e irrimediabilmente compromesse (Figura 2).
Molti di quei pazienti del 1996 sono
ancora vivi e in buone condizioni
grazie agli ulteriori progressi della
medicina in questo settore. Infatti,
dopo i primi farmaci antivirali combinati in modo ancora “primitivo”
(che comunque avevano già prodotto questi meravigliosi risultati), è arrivata una cascata di nuovi farmaci,
più potenti, più efficaci e meno tossici. Le loro combinazioni, oggi addirittura formulate in pillole singole
per il trattamento una volta al giorno, hanno ulteriormente migliorato
la situazione. Se il successo terapeutico era arrivato dalla combinazione
di molti farmaci che richiedevano
l’assunzione di tante pillole (fino a
20 al giorno) per anni, combattendo contro tossicità acute e croniche
e contro lo sviluppo di resistenza ai
farmaci stessi (caratterizzato dalla capacità del virus di sfuggire al
controllo da parte dei farmaci), oggi
abbiamo a disposizione farmaci ben
diversi. Oggi le associazioni tera-
peutiche sono appunto caratterizzate dall’assunzione giornaliera di un
numero molto contenuto di pillole
(anche una sola), contenenti farmaci
assai potenti, in grado di controllare
la capacità del virus di sfuggire alla
pressione dei farmaci, e con tossicità
molto contenute tali da permettere
la loro assunzione anche per molti
anni senza particolari disturbi.
Oggi abbiamo 27 farmaci anti-HIV
nel prontuario terapeutico di questa malattia. Le loro combinazioni
garantiscono ai nostri pazienti una
condizione di vita pressoché normale, consentendo attività lavorative
e familiari in modo assolutamente
fisiologico, permettendo addirittura, alle donne che lo desiderino, di
poter avere figli sani, senza rischi
reali di trasmissione del virus (che,
nei bambini, ha rappresentato nel
recente passato una quasi inevitabile
condanna a morte) [Figura 3].
Questa è la situazione attuale. È
tempo quindi di fare il punto, riconoscere gli straordinari risultati ottenuti finora, sottolineare l’impegno
della società nel raggiungimento di
(1) legame e fusione (2) ingresso (3) uncoating (rimozione del capside) (4) trascrizione inversa (5) integrazione (6) trascrizione (7) traduzione (8) assemblaggio e gemmazione (9) maturazione
Inibitori
dell’integrasi (INI)
(3 farmaci)
Inibitore
dell’ingresso
(1 farmaco)
Inibitore
della fusione (FI)
(1 farmaco)
Inibitori
nucleosidici
della trascrittasi
inversa (NRTI)
(8 farmaci)
Inibitori
non nucleosidici
della trascrittasi
inversa (NNRTI)
(5 farmaci)
Inibitori
della proteasi (PI)
(9 farmaci)
Figura 3 Fasi della penetrazione e replicazione del virus HIV all’interno di un linfocita T CD4: quasi ogni fase è il bersaglio di almeno un farmaco.
tali obiettivi, nonché rimarcare che la
ricerca sull’AIDS e HIV ha permesso di aprire fronti nuovi di studio,
che hanno portato allo sviluppo di
nuovi farmaci anche in altri settori,
apparentemente lontani dall’HIV.
È il caso di HBV, virus che causa
l’epatite B, contro cui oggi abbiamo
due farmaci in grado di controllare
in modo significativo e a lungo termine la replicazione virale, favorendo
addirittura il ripristino di una buona
efficienza epatica anche in pazienti
con cirrosi avanzata. È anche il caso
dell’epatite C: oggi sono in via di sperimentazione, e in alcuni casi già approvati, farmaci in grado di eliminare
dall’organismo il virus responsabile
dell’epatite C (HCV), e determinare
la guarigione definitiva sia dal virus
sia, il più delle volte, anche dalla malattia che esso causa. Tutto questo per
non parlare delle conoscenze, derivate da HIV, che oggi permettono di
ottimizzare la diagnosi di molte malattie virali: l’AIDS è stata la prima
malattia in cui è stato dimostrato, in
modo inequivocabile, che la quantità
di virus presente nell’organismo correla con la progressione di malattia,
cioè che quanto più virus è presente,
tanto più rapida è la malattia e più
alto il rischio di morte (Figura 4).
Da ciò abbiamo appreso l’importanza di quantificare la carica virale
nell’organismo anche per tante altre
patologie di origine virale, e le tecnologie in grado di quantificare la carica virale rappresentano lo standard
clinico in tutte le malattie causate
da virus per le quali disponiamo di
farmaci: Herpes simplex, Herpes zooster, citomegalovirus, HBV, HCV,
HIV e via di seguito.
In altre parole, non esistono dubbi su come la malattia da HIV
sia cambiata drammaticamente, e
come essa abbia rappresentato un
eccezionale strumento di crescita
anche in settori non necessariamente collegati all’HIV.
Tutti questi dati scientifici, le informazioni disponibili e le conoscenze
cliniche permettono oggi di interpretare in modo corretto la situazione attuale e declinare in modo
proprio la patologia AIDS nei suoi
diversi contesti.
1. La prima osservazione evidente è
che il cosiddetto approccio eziologico, ossia mirato a controllare la causa della malattia e non i suoi effetti,
è assolutamente pagante. Nel caso
dell’infezione da HIV è stato possibile, con i farmaci antivirali, agire
direttamente sulla causa prima della
malattia (HIV appunto), producendo i risultati spettacolari che abbiamo appena descritto. Questo approccio “eziologico” è ciò che manca,
ad esempio, nel diabete, nei tumori
ecc., dove i medici trattano per controllare la malattia, senza poter colpire la causa prima che la determina (il
più delle volte sconosciuta); in questi
casi i risultati sono a volte eccellenti, a volte mediocri, non avendo nel
mirino della terapia l’obiettivo principe, rappresentato dalla causa della
patologia in trattamento. L’AIDS ha
rappresentato un esempio fantastico, forse unico, in cui il trattamento
eziologico sul virus è l’architrave
dell’intervento terapeutico, declinato
nei diversi modi ottimali per ciascun
paziente. La disponibilità di tanti
farmaci ha permesso di scegliere la
migliore terapia personalizzata, contribuendo a ottenere i fantastici risultati che oggi osserviamo.
VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 7
Proporzione
di sopravviventi
Sopravvivenza
1,00
0,95
0,90
Viremia copy-years (log10)
<5
5-7
>7
0,85
0,80
0,75
0,70
0
Viremia
copy-years
(log10)
<5
5-7
>7
6
12
18
24
30
36
42
48
54
60
48 mesi
54 mesi
60 mesi
509
132
414
122
316
108
Mesi dall’inizio della terapia antiretrovirale
Numero a rischio
6 mesi
1692
245
90
12 mesi
1414
289
135
18 mesi
1105
332
181
24 mesi
317
833
192
30 mesi
79
851
183
36 mesi
18
727
169
42 mesi
2
606
152
Figura 4 L’entità della viremia correla con la mortalità nei pazienti HIV-positivi mai trattati, che iniziano
la terapia antiretrovirale. (modificato da Mugavero MJ, et al. CID 2011;53:927-35)
8 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL
diagnosticati come HIV-positivi,
entrano e completano il percorso di diagnosi e cura; tale percorso
passa attraverso il completamento
dell’iter diagnostico, l’assegnazione
a un Centro ospedaliero di trattamento, l’inizio della cura, e ottiene
il suo risultato ottimale tramite il
raggiungimento e il mantenimento
di viremia stabilmente non rilevabile, indice di controllo prolungato
dell’evoluzione della malattia. Come
già detto, in tale contesto l’Italia è un
gioiello assimilabile a pochi altri Paesi al mondo. Gli stessi Stati Uniti,
100
90
80
Percentuale
Percentuale
2. La seconda osservazione riguarda
l’Italia. Nel contesto dei risultati altamente soddisfacenti a livello mondiale, esistono differenze di successo
nei diversi Paesi. I dati epidemiologici e clinici, recentemente resi
disponibili, mostrano che il sistema
Italia ha funzionato molto bene, al
punto che oggi rappresenta un modello per i Paesi sviluppati. Le regole
introdotte dalla legge 135 del 1990
hanno permesso di selezionare una
classe medica altamente specializzata e dedicata alla patologia, con
competenze elevatissime in termini
di diagnosi e cura. La stragrande
maggioranza dei medici italiani usa
in modo ottimale gli strumenti per
la diagnosi virologica della malattia e sceglie la terapia su base personalizzata, con risultati migliori di
quelli ottenuti in tanti altri Paesi. I
tassi di progressione di malattia e
mortalità nei diversi Paesi sviluppati mostrano che l’Italia ha una
tra le migliori – se non la migliore
– sopravvivenza a lungo termine nei
pazienti con infezione da HIV. Non
solo: l’Italia è uno dei Paesi al mondo con il migliore tasso di retention
in care, un indice che rappresenta il
numero di pazienti che, una volta
in questa “graduatoria” di efficienza
di retention in care e di tassi di sopravvivenza, rimangono molto al di
sotto dell’Italia (Figura 5). Dobbiamo pertanto essere orgogliosi del
nostro Paese e capaci di riconoscere
la bontà dell’approccio a questa malattia, articolato, complesso e capace
di porre attenzione ai particolari, e
che ha pagato in modo eccellente
ponendo l’Italia ai vertici mondiali
di efficacia ed efficienza nell’approccio all’infezione da HIV. Oggi,
sulla base del 90% di pazienti in
trattamento antivirale e con viremia
completamente soppressa, possiamo
pensare a modalità e strategie nuove
di terapia a lungo termine. Dopo la
terapia d’attacco, intervengono terapie di “mantenimento”, mirate sulle
caratteristiche di ciascun paziente,
finalizzate a mantenere il virus controllato, senza incidere pesantemente sui costi, e riducendo gli effetti
collaterali ancora presenti in pazienti trattati per molti anni. In tal senso,
abbiamo molte frecce nella nostra
faretra: la riduzione di pillole assunte giornalmente è l’elemento più
caratterizzante della terapia a lungo
termine, e rappresenta il sistema più
utilizzato e con maggiori prospettive
di successo. In un numero limitato
e ben selezionato di pazienti, abbiamo anche la strategia di riduzione
del numero di farmaci (intervenendo con uno o due farmaci, al posto
86%
70
60
50
40
40%
30
37%
20
30%
10
0
Diagnosticati
In terapia
Prescrizione
di terapia
antiretrovirale
Soppressione
della viremia
Figura 5 Percentuale stimata di soggetti viventi HIV-positivi (1,2 milioni di persone), suddivisa in funzione
della fase di cura della malattia (Stati Uniti 2011).
dei tre utilizzati nella fase di attacco);
essa, come detto, richiede un’attenta selezione dei pazienti, per evitare
di “risvegliare” il virus tenuto finora
sotto controllo dalla terapia. Insomma, le opportunità di ottimizzazione
del trattamento antivirale a lunghissimo termine rappresentano ancora
un work in progress. Se l’Italia ha più
chances di lavorare con successo in
questo settore, è perché l’approccio
olistico alla malattia che ci ha finora
caratterizzato, e il successo ottenuto
finora dalla terapia, permettono di
guardare al futuro con intelligente
ottimismo.
A fronte di queste luci abbaglianti,
abbiamo anche delle zone d’ombra
su cui è necessario riflettere.
Innanzitutto, guardiamo gli aspetti
virologici. Nonostante gli straordinari risultati terapeutici, ancora oggi
non abbiamo un vaccino efficace nel
prevenire l’infezione da HIV. A voler essere rigorosi, non abbiamo neanche un candidato vaccino promettente e in sperimentazione clinica,
con queste caratteristiche. Ciò deriva
dalle peculiarità replicative di HIV,
virus in grado di sfuggire in modo
mirabilmente articolato e sofisticato
a qualsiasi attacco da parte del sistema immunitario. Al momento, gli
sforzi si sono indirizzati più verso
la scoperta e sperimentazione di un
vaccino che, somministrato a persone già infette, sia in grado di controllare la replicazione del virus senza il
supporto di terapie antivirali. Anche
in questo settore, tuttavia, abbiamo
molte sperimentazioni, ma nessun
dato clinicamente avanzato che faccia presupporre un vaccino di questo
tipo, disponibile a breve.
Infine, in questo excursus su ciò che
ancora manca, non abbiamo alcuna
evidenza di pazienti che, grazie alla
terapia antivirale, abbiano eliminato
il virus dall’organismo e siano guariti
dall’HIV. Oggi, delle decine di milioni di persone infettate dall’HIV
e trattate con successo con farmaci
antivirali, abbiamo un solo caso di
apparente guarigione, il cosiddetto
paziente di Berlino, dopo due trapianti di midollo osseo e un’intensiva terapia immunosoppressiva e
antivirale. Tutti gli altri hanno ancora il virus nascosto in qualche parte
dell’organismo e, nella stragrande
maggioranza dei casi, al momento
dell’interruzione della terapia si assiste a un rapido ripristino dei cicli
replicativi virali, a un aumento della
carica virale nel sangue e alla ripresa
di segni e sintomi della malattia da
HIV. In altre parole, esiste un virus,
nascosto nelle profondità dell’organismo, ancora non ben identificato,
insensibile alla terapia antivirale, che
funge da sorgente per la ripresa della replicazione virale non appena la
pressione farmacologica si attenua.
Quindi, in sostanza, la guarigione
biologica dal virus HIV (ossia la sua
scomparsa dall’organismo, come è
accaduto per il vaiolo, oggi eradicato
dalla Terra, il morbillo, la poliomielite ecc.) non è raggiungibile. Il paziente infettato da HIV rimarrà tale
per tutta la vita. Come conseguenza,
senza nuove scoperte la terapia antivirale sarà necessaria per tutti, o quasi tutti, i nostri pazienti per decenni,
probabilmente per tutta la vita.
Ecco quindi che lo straordinario
successo della terapia anti-HIV, pur
rimanendo tale, mostra un suo tallone d’Achille. Come per l’ipertensione, il trattamento della malattia
diventa cronico, da mantenere per
tutta la vita. Diviene quindi necessario concentrare gli sforzi verso
questo nuovo traguardo, rappresentato dall’eliminazione del virus
dall’organismo e quindi dalla guarigione definitiva dall’infezione.
Tale obiettivo è molto difficile da
raggiungere date le caratteristiche
dell’HIV, virus che, una volta penetrato nell’organismo, non ha vie
di uscita e rimane per sempre. Più
raggiungibile, con adeguati sforzi e
ricerche, è l’obiettivo della cosiddetta “guarigione funzionale”, in cui il
virus HIV viene “addormentato”, e
tale rimane anche dopo l’interruzione della terapia antivirale rimanendo innocuo per decenni. Questo
risultato può sembrare un obiettivo
di secondaria importanza, potendo
somigliare a una mezza sconfitta.
In realtà non è così se pensiamo ai
tanti virus che, entrati nel nostro
organismo, rimangono silenti per
anni o addirittura decenni, senza
dare più segno di sé, né tanto meno
produrre danni. È il caso del virus
Herpes simplex (che causa l’herpes
labiale), del virus Herpes zooster
(che una volta prodotta la varicella
nel bambino, si addormenta nel nostro organismo e non da più segni
di sé se non raramente nella terza
età, sotto forma di zooster o fuoco
di Sant’Antonio), del citomegalovirus (che ci infetta nella giovane età
e non ricompare più per tutta la vita,
se non in caso di profonda immunocompromissione legata a tumori
o terapie immunosoppressive).
In sostanza, il modello della guarigione funzionale di HIV è valido e ha molti esempi “naturali” in
altri virus che incontrano il nostro
organismo nel corso della vita.
Ottenere un risultato di guarigione funzionale permetterebbe di
interrompere la terapia antivirale,
ridurre il carico della terapia stessa in termini di possibile tossicità a
lungo termine (abbiamo già detto
che la tossicità a breve è limitata),
di fastidio dovuto all’assunzione
della terapia, di risparmio (decenni
di terapia risparmiata significano
centinaia di milioni di euro risparmiati) e infine di percezione di malattia, che accompagna chiunque
sia costretto a prendere farmaci per
tenere sotto controllo un virus che
si replica nell’organismo.
L’Accademia della Cura nasce da
queste basi, biologiche, mediche e
sociali. Essa rappresenta il desideVOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 9
Numero nuove diagnosi
Dati corretti per ritardo di notifica
4500
4000
Numero di casi
Numero di casi
rio di valorizzare al meglio le straordinarie esperienze accumulate
nell’HIV che hanno caratterizzato
i tre decenni passati, per mantenere la memoria di una patologia che
ancora oggi è mortale se non curata,
per ricordare che il virus HIV continua a circolare in Italia e nel mondo,
e continua a infettare ogni anno, in
Italia, circa 4000 persone! (Figura 6).
Serve quindi ad attivare intelligenze
ed esperienze finalizzate a produrre
campagne di formazione e informazione, che permettano di rendere
edotti del virus e della malattia soprattutto le giovani generazioni che
non hanno visto le migliaia di morti
da AIDS del passato, e che rischiamo
di rivedere se abbassiamo la guardia
(come dimostrato dai dati sulle diagnosi tardive dell’infezione da HIV
nel nostro Paese, indice indiretto
di mancata percezione della pericolosità della malattia) [Figura 7].
E, infine, serve a favorire la cultura
della ricerca e della clinica nell’ambito dell’HIV, fungendo da punto di
incontro di scienziati e clinici, e da
supporto per i programmi di ricerca
in tale settore. Ciò è particolarmen-
3500
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
2010
2011
2012
2013
Annodi
di diagnosi
Anno
diagnosi
Figura 6 Numero di nuove diagnosi di infezione da HIV e correzione per ritardo di notifica (2010-2013).
te cogente nel contesto del sistema
Italia, che ha dimostrato, nei fatti, di
essere altamente efficace ed efficiente nei confronti della malattia e del
virus che la causa. Le attività proprie
dell’Accademia della Cura saranno
declinate nel corso delle manifestazioni che seguiranno, da dicembre in poi, e rappresentano i pilastri
dell’Accademia stessa: ricerca, clinica, comunicazione, interventi sociali
e culturali. Tutti, ognuno per le proprie specificità, potranno contribuire
al successo dell’iniziativa e fornire
supporto per spostare in avanti le
aspettative nei confronti di questa
malattia: da invariabilmente mortale
a cronica, fino alla sua attenuazione,
riduzione della trasmissione, mantenimento delle persone infettate
in condizioni di assoluto benessere,
garantire una sopravvivenza uguale
a quella delle persone sieronegative,
azzerare lo stigma che ancora oggi
accompagna questa malattia. I risultati si vedranno nel tempo.
Sintomi HIV
Comportamenti a rischio
non individuati
In occasione di controlli specialistici legati
alla riproduzione (gravidanza/parto/IVG/PMA)
In seguito a diagnosi di una infezione
sessualmente trasmessa
In seguito alla scoperta
della sieropositività del partner
In occasione di una donazione di sangue
Durante un ricovero ospedaliero
Rapporti sessuali non protetti
con partner HIV non noto
Campagne di screening
0
200
400
600
800
1000
1200
Numero didicasi
Numero
casi
Figura 7 Motivo di esecuzione del test nelle nuove diagnosi di infezione da HIV (2013). Aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da HIV e dei casi di AIDS
in Italia al 31 dicembre 2013. IVG = interruzione volontaria di gravidanza; PMA = procreazione medicalmente assistita. (modificato da http://www.iss.it/binary/
ccoa/cont/Dicembre_2014_rev.pdf)
10 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL
L’APPROPRIATEZZA TRA EVIDENCE-BASED
MEDICINE E PERSONALIZZAZIONE
DELLA TERAPIA
Giovanni Di Perri
Clinica delle Malattie Infettive, Università degli Studi di Torino
Direttore Clinica Malattie Infettive, Ospedale Amedeo di Savoia, Torino
I
l termine appropriatezza inteso
in senso terapeutico si presta
ad almeno due interpretazioni,
le cui formali traduzioni pratiche possono talvolta comprendere
risultati anche antitetici. Nel senso
comune del termine si vuole indicare una o più opzioni terapeutiche
idonee o anche ideali, intese in riferimento al migliore risultato terapeutico raggiungibile. Una seconda
versione, direi di accezione più amministrativa, vuole intendere la qualifica di rimborsabilità attribuibile a
una determinata opzione terapeutica
in funzione della prestabilita conformità a delle specifiche indicazioni
d’uso. Benché il principio ispiratore
sia verosimilmente lo stesso, in realtà nella pratica non è raro andare
incontro a veri e propri conflitti applicativi, generalmente secondari alle
molteplici complessità che un singolo paziente può presentare e che
magari non trovano un riscontro sul
versante classificativo.
Questa potenziale dicotomia rappresenta forse un’espressione di crisi
della crescita metodologica che c’è
stata, e che è ancora in corso, nella
determinazione delle proprietà terapeutiche di un farmaco attraverso le
sperimentazioni cliniche. Essa ha di
fatto eliminato una fase precedente
di prevalente empirismo, dotando
la moderna dottrina clinico-sperimentale di strumenti metodologi-
ci in grado di ottenere risultati per
quanto possibile liberi da una serie
di rilevanti ambiguità. Ciò ovviamente vale per le condizioni in cui
la sperimentazione si è svolta, e in
questo senso è implicito un limite il
cui peso specifico è dettato dai criteri che hanno condizionato l’arruolamento dei pazienti nello studio. La
misura in cui determinate variabili
individuali (per es. età, comorbilità, genere e anamnesi) sono o non
sono state incluse nel contesto sperimentale può di fatto allargare o
restringere l’applicabilità dei risultati
sperimentali (si pensi per esempio,
al paziente con coinfezione da virus
HIV e HCV ecc.). Benché specifiche accortezze nel disegno dello studio e nella numerosità del campione
possano in parte sopperire a questo
potenziale difetto di universalità applicativa, nella pratica clinica rimangono numerose le circostanze in cui
la scelta terapeutica deve necessariamente essere filtrata dalla presenza di elementi individuali e quindi
ammettere ragionevoli inferenze
traslative da sorgenti di informazione scientifica, di esperienza clinica e
di dottrina specialistica non incluse
nelle sperimentazioni registrative.
Si tratta dello spazio proprio
dell’individualizzazione o personalizzazione terapeutica, ove si esce
da un comodo ambito di certezza
e di codifica delle regole, allo scopo
di definire e dar corso a un esercizio
terapeutico che meglio si adatta alle
condizioni individuali del paziente
(Figura 1).
Parlando di infezione da HIV ciò è
da intendersi anche e soprattutto in
prospettiva, nella volontà di prevedere
un vero e proprio progetto terapeutico, che inscriva le specifiche necessità
del paziente all’interno di un quadro
personale di evoluzione nella propria
esistenza in vita. Da qualche tempo
anche nell’ambito dell’infezione da
HIV si parla quindi d’invecchiamento e di comorbilità, di altre terapie
necessarie e di stile di vita, ma anche
di poter rendere accessibili al paziente nuovi traguardi nella stessa cura
dell’infezione da HIV.
Il riferimento non più ambiguo, ma
esplicitamente ancorato ad alcune
avanzate realtà sperimentali, è alla
possibilità di eradicare il virus HIV,
ovvero a una proiezione di cura potenzialmente definitiva, che liberi il
paziente dalla permanente necessità di chemiosoppressione virale e
quindi di assumere farmaci in continuazione.
In altre parole, la evidence-based
medicine ci consegna una testimonianza probante circa il rendimento terapeutico comparativo di una
determinata opzione terapeutica,
con relativa validazione statistica
VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 11
Figura 1 La scelta della terapia oggi si basa su approcci capaci di aggredire tutte le fasi replicative del virus HIV e deve essere personalizzata.
NRTI = inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa; NNRTI = inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa
e specifici limiti di azione e applicazione, e in questo senso offre
quantità e qualità di informazioni
d’importanza ineludibile. In fase
applicativa il terapeuta è chiamato
ippocraticamente a tradurre i messaggi sperimentali a livello individuale, secondo la stima di un complesso rapporto rischio/beneficio
che deve necessariamente essere
proiettata nel tempo e garantire
la migliore soluzione globale possibile. Si tratta di un terreno difficile, non omogeneo, con variabilità
spontanee (genetica, farmacogenetica) e indotte (effetto dei farmaci,
stile di vita, condizioni sociali), nel
quale convergono conoscenze ed
esperienze cliniche, farmacologiche (farmacocinetiche, farmacodinamiche), virologiche, immunologiche, genetiche, epidemiologiche
e financo sociali nella definizione
del miglior risultato raggiungibile
e nella scelta della gerarchia delle
priorità perseguibili. Semplicisticamente potrebbe valere l’assioma
che distingue le malattie dai malati,
ovvero il modello dall’esemplare, e
12 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL
che riconosce a ogni malato un’irripetibile e irriproducibile profilo
di individualità a cui riferirsi.
Il peso specifico dell’individualizzazione cresce in funzione della
durata dell’impegno terapeutico, e
in questo senso è massimo nel caso
di terapie destinate ad accompagnare il paziente per l’intera durata
della vita. Possiamo citare l’ipertensione, la cura delle diverse forme di broncopneumopatia cronica,
il diabete e ovviamente anche la terapia dell’infezione da HIV e di diverse forme di infezione da HBV.
Ciò che principalmente distingue
la terapia dell’infezione da HIV
dalla cura di patologie ad esempio
cardiovascolari o polmonari, oppure dal diabete, sono le conseguenze
di eventuali errori di aderenza (che
possono determinare la selezione
di resistenza ai farmaci) e la mancanza, se non in fasi estreme, di
campanelli d’allarme quotidiani di
tipo soggettivo (per es. sintomi da
pressione elevata, da ipo/iperglicemia ecc.) [Figura 2].
Questi semplici aspetti sono già
largamente sufficienti a giustificare
l’impegno già profuso e in atto allo
scopo di creare le migliori condizioni possibili per un’efficace continuità
terapeutica che si renda compatibile
con quant’altro, di terapeutico e non,
sia di rilevanza nella vita del paziente. In questa prospettiva, la storia
del lavoro, sin qui effettuato dalla
comunità scientifico-terapeutica e
sociale italiana nel settore dell’infezione da HIV, merita certamente di
essere ricordato, in quanto associato
a valori di durata della vita ai vertici
mondiali. La dedizione all’assistenza
dei pazienti con infezione da HIV
e AIDS, nelle diverse fasi dell’epidemia, ha rappresentato in Italia un
esempio di spirito di servizio, competenza crescente e progressivo inserimento nella rete internazionale
delle sperimentazioni cliniche, fino a
raggiungere una posizione di assoluto primo piano. Rispetto ad altre realtà ove l’atteggiamento è stato per lo
più protocollare (per es. Stati Uniti),
in Italia una categoria specialistica,
quella degli infettivologi, si è messa
Sì
No
Non indicato
100
Percentuale
Percentuale
80
60
40
20
13
12
20
11
20
10
20
09
20
08
20
07
20
06
20
05
20
04
20
03
20
02
20
01
20
00
20
99
20
98
19
97
19
19
19
96
0
Anno di
di diagnosi
diagnosi
Anno
Figura 2 Uso di terapie antiretrovirali pre-AIDS (1996-2013).
a disposizione maturando un’esperienza e una cultura maggiormente
tese alla comprensione e valorizzazione individuale piuttosto che alla
rigida adesione alle Linee guida internazionali (Figura 3).
Se vogliamo, in Italia fin da subito è stato perseguito un atteggiamento operativo incline all’individualizzazione, forse mutuato
dal tipo di cultura e tradizione
medica che ci contraddistingue.
È importante rilevare come lo
stesso disegno delle più recenti
sperimentazioni cliniche, e in particolare la tipologia di quesiti a cui
esse devono rispondere, hanno favorevolmente risentito dell’univer-
100
90
80
85,5
81,9 83,7
Percentuale
70
88,6 90,6 88,4 88,6 89,0 91,6
75,3 79,5 76,6
60
57,6
50
52,8
40
30
20
43,3
38,4
17,0
10
0
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013
Figura 3 Coorte ICONA: percentuale di pazienti con HIV-RNA ≤ 80 copie/ml dopo 12 mesi dall’inizio della prima terapia antiretrovirale combinata (cART),
per anno di inizio.
VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 13
sale percezione della necessità di
Fallimento virologico
una progettazione, di un planning
REGIME
breve termine
Tossicità
del percorso terapeutico. Accanto
INIZIALE
SWITCH
Proattiva per tossicità
quindi a una maggiore sensibilità
o interazioni farmacologiche
verso categorie di pazienti meno
lungo
Semplificazione
rappresentate in passato (per es. alte
termine
viremie iniziali, deficit immunitario
Meno compresse
marcato, carenza di pazienti di geAssunzione meno frequente
nere femminile, co-infezione con
Meno farmaci
HCV ecc.), abbiamo visto svilupparsi sperimentazioni di modifica
Figura 4 Strategie di scelta dei regimi terapeutici ottimali.
terapeutica (switch) atte a verificare
non tanto e non solo il valore comparativo di determinate opzioni ri- soluzioni in compressa unica, ovvero l’evolversi naturale dell’infezione
spetto ad altre, ma anche l’economia l’intera triplice terapia inclusa in una da HIV nel genere umano in asdi una possibile strategia terapeutica solo compressa, da assumere una senza di terapia.
in sequenza, ovvero corrispondente volta al giorno (Figura 5).
a un progetto di copertura terapeutiRiteniamo che ciò di cui oggi si dica costante, che si adegui nel tempo Si tratta di tappe progressive di spone, e non intendo riferirmi solo
alle numerose variabili che possono una storia certamente straordi- ai farmaci antiretrovirali ma a un
presentarsi in fasi diverse e con un naria, nata praticamente dal nulla intero sistema assistenziale, meriti
peso specifico destinato, appunto, (l’unico antivirale in commercio al oltremodo di essere considerato un
a variare negli anni (per es. invec- momento della scoperta dell’HIV patrimonio e in tal senso vada tuchiamento e terapie concomitanti) era l’antierpetico acyclovir), sen- telato. In molti crediamo si tratti di
[Figura 4]. Nuovi sviluppi nella spe- za un retroterra di conoscenze su un ottimo esempio, il cui spessore
Endpoint primario: HIV-1 RNA< 50 copie/ml
cifica area della farmaceutica hanno cui allora basare il nuovo cimento medico-scientifico, organizzativo e
inoltre permesso progressi senz’altro terapeutico, e che oggi condivide umano sia esportabile con successtraordinari nella semplificazione con pochi altri settori il primato so non solo nel perseguimento dei
dell’impegno terapeutico, e in tal di un successo terapeutico di ma- nuovi e più ambiziosi obiettivi nelsenso vale la testimonianza della gnitudo impressionante, se para- lo stesso ambito dell’infezione da
disponibilità sul mercato di ben tre gonato a quello che sarebbe ed era HIV, ma anche in altre discipline.
Endpoint primario: HIV-1 RNA < 50 copie/ml
100
90
94%
87%
Soggetti (%)
80
E/C/F/TDF (n = 290)
IC 95% per la differenza
PI + RTV + FTC/TDF (n = 139)
70
A favore di A favore di
PI + RTV + FTC/TDF E/C/F/TDF
60
50
40
30
6,7
20
10
0
6%
<1% 1%
Successo virologico
Sett. 48
Conta CD4
(cellule/mm3)
12%
Fallimento virologico Nessun dato virologico
Sett. 48
Sett. 48
Basale
∆ Sett 48
p (∆ sett 48
– basale)
E/C/F/TDF
603
+ 40
<0,001
PI + RTV + FTC/TDF
625
+ 32
=0,025
0,4
-12%
0
13,7
12%
Analisi sequenziale predefinita
Superiorità statistica (p = 0,025)
Figura 5 Efficacia dell’associazione E/C/F/TDF (elvitegravir/cobicistat/emtricitabina/tenofovir) in monosomministrazione giornaliera versus PI + RTV + FTC/TDF
(inibitore della proteasi + ritonavir+ emtricitabina/tenofovir DF). Studio registrativo GS-US-236-0103
14 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL
HIV COME MODELLO D’INTERVENTO
SU MALATTIA CRONICA NON GUARIBILE:
IL SUCCESSO DELLA TERAPIA ANTIVIRALE
IN ITALIA
Massimo Andreoni
Presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali
Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive, Policlinico di Tor Vergata, Roma
alla gestione di una patologia che,
oltre a essere cronica, è diventata
multiorgano.
I grandi progressi nella terapia antiretrovirale devono, infatti, fare
i conti con le caratteristiche cliniche profondamente mutate del
paziente HIV-positivo che, paradossalmente, proprio per il buon,
quando non eccellente, controllo viro-immunologico, si trova a
sviluppare una serie di patologie
croniche tipiche della popolazione
normale senza l’infezione.
Le sfide cliniche tipiche degli anni
passati, vale a dire l’insorgenza di
infezioni opportunistiche e il decesso, oggi sono state superate per
frequenza e importanza dalle conseguenze a lungo termine dell’infezione da HIV e del suo trattamenViventi
2000
Casi di AIDS
to. Argomenti come tollerabilità,
aderenza terapeutica, sviluppo di
resistenze virali e prolungamento della sopravvivenza pongono
all’infettivologo nuove sfide, legate
non solo alla decisione del timing
ottimale dell’avvio di una terapia
in un paziente naïve, ma anche
alla scelta dei regimi terapeutici seguenti nel paziente advanced
naïve e alla ormai imprescindibile necessità di collaborazione con
altre figure specialistiche, come il
cardiologo o il neurologo, per la
prevenzione e il trattamento delle
complicanze dell’infezione.
Proprio in conseguenza della cronicizzazione della patologia da
HIV (Figura 1), aumenta l’età
media della popolazione affetta da
tale patologia, e l’invecchiamento
Decessi
1800
1600
N. casi
Numero
di casi
1400
1200
1000
800
600
400
200
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
1994
1993
1992
1991
1990
1989
1988
1987
1986
1985
0
1984
L
a gestione del paziente sieropositivo al virus dell’immunodeficienza umana (HIV)
sul lungo termine, e quindi con una
infezione che da acuta e mortale si
è trasformata in una malattia cronica, pone nuove problematiche ai
clinici, alle Istituzioni e al Sistema
sanitario nazionale più in generale.
Un successo certamente figlio di
terapie sempre più efficaci, ma anche di un loro uso attento secondo
modelli che hanno fatto dell’Italia uno dei Paesi più avanzati
al mondo in termini di outcome.
Le Linee guida hanno da sempre
cercato di darsi una struttura che
servisse alla pratica clinica; fin dal
principio, infatti, gli esperti si sono
interrogati su quando cominciare,
come e quando cambiare la terapia, nel rispetto di ciò che la scienza teorica ci offriva, ma nello stesso
tempo mantenendo uno stretto legame con la pratica clinica.
Le Società scientifiche, le Associazioni dei pazienti e le Istituzioni
hanno lavorato fin dal principio
in questa direzione, affinché le
migliori soluzioni potessero essere
offerte ai pazienti in maniera sostenibile.
Ora che abbiamo saputo trasformare una patologia acuta in una
patologia cronica, il salto successivo, non meno impegnativo e
importante, è quello di fornire gli
strumenti e le soluzioni più adatte
Annodi
di diagnosi
diagnosi
Anno
Figura 1 Numero di pazienti viventi con infezione da HIV negli ultimi 30 anni.
VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 15
dei pazienti si accompagna a un aumento delle patologie tipicamente
correlate all’aumento dell’età.
Pazienti
carotidee
(%)(%)
Pazienticon
conlesioni
lesioni
carotidee
In un modello messo a punto recentemente dalla ATHENA Cohort, le
malattie onco-ematologiche, cardiovascolari e il diabete stesso sono destinati ad aumentare nei prossimi 20
anni; questa considerazione deve necessariamente avere un forte impatto
sulla capacità di gestione di queste
patologie, ma inevitabilmente avrà
un impatto anche sulle co-medicazioni e sulla sostenibilità dei costi.
Del resto, tra le considerazioni di
cui sopra, non si può ignorare il
dato dell’aumento di mortalità
per patologie cardiovascolari, onco-ematologiche ed epatiche nella
popolazione affetta da infezione da
HIV. Uno dei problemi, in particolare, ancora fortemente dibattuti
nel trattamento con farmaci antiretrovirali nel paziente HIV-positivo
è rappresentato dalle complicanze
metaboliche, come lipodistrofia,
dislipidemia, alterazioni del metabolismo glucidico e acidosi lattica.
L’HIV provoca già di per sé alterazioni del profilo lipidico plasmatico indipendentemente dalla terapia antiretrovirale altamente attiva
(highly active antiretroviral therapy,
HAART). L’avvio della terapia
antiretrovirale modifica però ulteriormente i parametri lipidici:
Basale
70
innalzamento della colesterolemia
LDL, VLDL e alterazioni della
trigliceridemia, oltre a un modesto
ma insufficiente aumento anche
della concentrazione plasmatica di
colesterolo HDL che resta a livelli
inferiori rispetto alla popolazione
generale sana. La HAART induce,
poi, anche un aumento della concentrazione di lipoproteine fortemente aterogene come le LDL-2
piccole e dense. Va ricordato che
la presenza di obesità addominale,
ipertrigliceridemia, insieme a riduzione della colesterolemia HDL,
ipertensione arteriosa e resistenza
all’insulina dipingono il quadro
clinico della sindrome metabolica,
una condizione, spesso riscontrata
nel soggetto sieropositivo in terapia HAART, associata a un processo aterosclerotico diffuso, causa
di grave danno d’organo e decesso
prematuro dovuto a complicanze
cardiovascolari (Figura 2).
Il Data Collection of Adverse Events
of Anti-HIV Drugs (D:A:D) Study aveva già dimostrato che dopo
5 anni di terapia antiretrovirale si
osservava un raddoppio del rischio
cardiovascolare e che, nonostante il
frequente utilizzo di farmaci ipocolesterolemizzanti come statine e
fibrati, il profilo di rischio cardiovascolare tra i soggetti sieropositivi
della coorte in analisi fosse peg-
Follow-up
Gruppo C
62 pazienti
60
50
Gruppo A
41 pazienti
Gruppo B
50 pazienti
40
Gruppo D
110 pazienti
30
20
10
0
< 50
< 100
< 50
100-200
< 50
>200
> 200
CD4
CD4dal
dalbasale
basalealalfollow-up
follow-up
Figura 2 . Il ruolo dell’immunoricostituzione nello sviluppo di lesioni aterosclerotiche subcliniche.
La terapia HAART, responsabile dell’immunoricostituzione, si associa a un processo aterosclerotico diffuso.
(modificato da Maggi P, et al. J Acquir Immune Defic Syndr 2009)
16 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL
giorato. Questo effetto negativo è
stato attribuito all’invecchiamento
della popolazione in studio: con il
passare degli anni questi soggetti
hanno sviluppato malattie come
ipertensione e diabete. In questo
lasso di tempo, l’incidenza di infarto del miocardio (IMA) è rimasta
stabile, suggerendo che il peggioramento del profilo di rischio abbia
impedito una riduzione dovuta ai
benefici degli interventi per ridurre
il rischio stesso.
Le complicanze metaboliche legate alla terapia antiretrovirale vanno
pertanto considerate con attenzione nella gestione dei pazienti
HIV-positivi e impongono strategie di prevenzione del danno d’organo a lungo termine.
Parlando di danno d’organo nel
paziente HIV-positivo, un aspetto di estrema rilevanza è poi rappresentato dalla nefropatia. La
prevalenza di disfunzione renale
è una questione verso cui è particolarmente elevata l’attenzione,
in considerazione delle proiezioni
che la vedono in forte crescita tra
le persone infette. L’insufficienza renale cronica (IRC) nell’era
pre-HAART era prevalentemente il risultato di un danno diretto
provocato dal virus, cioè della nefropatia HIV-associata (HIVAN).
L’introduzione della HAART ha
determinato un significativo cambiamento nell’epidemiologia della
malattia renale tra i pazienti sieropositivi, con una riduzione sostanziale dell’incidenza di HIVAN.
Tuttavia, pur con gli importanti
benefici della HAART, la nefropatia resta un riscontro comune
nei pazienti con HIV. Un quadro
di IRC si riscontra, così, in circa
il 15% dei pazienti HIV-sieropositivi e le attuali Linee guida raccomandano lo screening per l’IRC
al basale in tutti i pazienti infettati
dal virus e da lì in avanti con regolarità nei soggetti a maggiore rischio di IRC, utilizzando la stima
state oltre 3600, un numero preoccupante soprattutto per l’aumento
tra i giovanissimi. La stima è che
nel 2014 i viventi sieropositivi siano 123.000.
L’epidemiologia dell’infezione dimostra che il sommerso rimane
ancora un’emergenza, perché l’inconsapevolezza della sieropositività aumenta le probabilità di contagio e di diffusione del virus. Tra
il 2006 e il 2012 la proporzione di
pazienti late presenter, cioè che arrivano all’osservazione tardivamente,
in stadio AIDS conclamato ignorando la propria sieropositività,
è aumentata ed è più elevata tra
coloro che hanno come modalità
di trasmissione i rapporti sessuali: se nel 2011 questa proporzione
era del 63%, nel 2012 era già salita al 68%, ampiamente superiore
alla media europea (49%). Nello
stesso anno, solo poco più di un
quarto delle persone diagnosticate
con AIDS ha eseguito una terapia
antiretrovirale prima della diagnosi
della malattia, perché consapevole
della propria sieropositività.
1400
Il dato relativo alle classi di età
è un ulteriore elemento su cui va
fatta una riflessione. Il 17,3% delle persone con una nuova diagnosi
di sieropositività all’HIV è over 50
(l’1,5% è persino over 70). In generale, dal 1985 è stato osservato un
costante aumento dell’età mediana
dei pazienti al momento della diagnosi di infezione da HIV, che è
passata da 26 anni per i maschi e
24 anni per le femmine a 38 e 36
anni rispettivamente, nel 2012 (Figure 3 e 4).
Tuttavia nella popolazione generale persiste una percezione errata
delle reali possibilità di contrarre
l’infezione visto che, come evidenziato da una recente indagine Gfk
Eurisko condotta su un campione
di 1.050 connazionali di età over
18, 8 italiani su 10 non si sentono a
rischio di contrarre l’infezione, eppure l’84% delle infezioni è dovuto
proprio a rapporti non protetti. E
non basta: solo per 2 italiani su 10
la categoria degli eterosessuali è a
rischio di contagio, quando l’epidemiologia dimostra che tra i nuovi
Numero di casi
Incidenza
18
16
1200
Numerodi
di casi
Numero
casi
14
1000
12
800
10
600
8
6
400
4
200
0
2
15-19
20-24
25-29
30-39
40-49
50-59
60-69
≥70
0
Incidenza
per100.000
100.000 residenti
Incidenza
per
residenti
del filtrato glomerulare (eGFR)
e l’analisi delle urine. Fattori che
contribuiscono al danno renale
in questa popolazione di pazienti includono l’invecchiamento, la
presenza di altre patologie come
diabete mellito e ipertensione, e
il mancato controllo virologico.
A ciò va aggiunto l’effetto lesivo
potenziale di alcuni farmaci antiretrovirali.
Da tutto ciò risulta chiaro come la
cronicizzazione dell’infezione da
HIV apra, in sostanza, nuovi scenari
nell’approccio a 360° a questi pazienti, perché diventa fondamentale utilizzare tutti gli strumenti disponibili
a livello sociale, istituzionale e clinico
per ottimizzare la gestione complessiva dei pazienti, avendo come priorità l’aderenza alla terapia antiretrovirale e la sua semplificazione.
Le nuove possibilità terapeutiche,
tuttavia, oggi si trovano a dovere fare
i conti con una sostenibilità che mette a repentaglio l’accessibilità alle innovazioni nella cura di una patologia
ancor oggi poco considerata.
Va ricordato che nel 2013 in Italia le nuove diagnosi di HIV sono
Classididi età
età
Classi
Figura 3 Numero e incidenza delle nuove diagnosi di infezione da HIV (per 100.000 residenti) per classe di età (2013). (modificato da Notiziario ISS Volume 27 –
Numero 9 Supplemento 1 – 2014)
VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 17
46
Maschi
Femmine
44
42
Età diagnosi
alla diagnosi
Età alla
40
38
36
34
32
30
28
13
12
20
11
20
10
20
09
20
08
20
07
20
06
20
05
20
04
20
03
20
02
20
01
20
00
20
99
20
98
19
97
19
96
19
95
19
94
19
19
19
93
26
Anno
Annodi diagnosi
di diagnosi
Figura 4 Età mediana alla diagnosi di AIDS, per genere e anno di diagnosi (1993-2013). (modificato da Notiziario ISS Volume 27 Numero 9 – Supplemento 1 – 2014)
18 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL
e con l’ausilio di modelli matematici innovativi applicati alla sanità,
un approccio percorribile e strutturato dell’aspetto multiorgano,
contribuendo a identificare priorità di intervento e relativa sostenibilità.
45
IDU
Eterosessuali M
Eterosessuali F
MSM
40
Età(anni)
(anni)
Età
infetti la maggioranza relativa (oltre il 40%) è formata proprio da
eterosessuali (Figura 5).
A livello di collettività permangono stigma e barriere sociali, considerando che 2 italiani su 3 affermano che si sentirebbero a disagio
e con non poche preoccupazioni
nel frequentare una persona sieropositiva. Inoltre, 9 italiani su
10 non ricordano di avere sentito
recentemente parlare di HIV. Una
carenza quindi di informazioni
che rischia di penalizzare soprattutto i più giovani e che evidenzia
l’importanza di una maggiore attenzione a tutti i livelli su questa
problematica. L’attesa è per una
comunicazione informativa veicolata da una pluralità di canali, in
cui clinici e Istituzioni restano i
punti di riferimento.
In conclusione, penso che l’Accademia della Cura dovrebbe ricercare, attraverso i dati già esistenti
35
30
25
20
2010
2011
2012
2013
Anno di
di diagnosi
Anno
diagnosi
Figura 5 Numero delle nuove diagnosi di infezione da HIV, per modalità di trasmissione e anno
di diagnosi (2010-2013). IDU = utilizzatori di droghe iniettive; MSM = omosessuali maschi
(modificato da Notiziario ISS Volume 27 – Numero 9 Supplemento 1 – 2014)
IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE:
RISORSA E NON BARRIERA AD UN APPROCCIO
CLINICO OLISTICO PER LA PERSONA AFFETTA
DA HIV
Andrea Antinori
Direttore Dipartimento Clinico,
Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani - Roma
N
ella lotta trentennale contro l’AIDS, le Istituzioni
e le Società scientifiche si
sono poste l’obiettivo di fornire al
paziente una terapia efficace, sempre
meglio tollerata e sicura. Andando
in questa direzione lo sforzo è stato
sempre quello di ridurre, attraverso
l’introduzione di nuove classi farmacologiche e farmaci sempre più
efficaci, sicuri e semplici nell’assunzione, gli effetti collaterali, gestirli
e far comprendere ai pazienti l’importanza dell’aderenza. Le caratteristiche di universalità del Sistema
Francia
Paesi Bassi
sanitario, l’accesso ampio e gratuito
al test, la centralità del counseling e
dell’attenzione rivolta alla persona,
lo sviluppo di percorsi diagnostici e
terapeutici ottimali hanno garantito
nel tempo esiti peculiari in termini
di retention in care, che è oggi uno
dei parametri chiave attraverso cui
viene valutata la gestione complessiva della patologia HIV a livello dei
differenti Paesi [1].
In Italia, a differenza degli Stati
Uniti, il Sistema Sanitario Nazionale ha utilizzato metodi diversi
che permettono una migliore presa
in carico dei pazienti con un accesso alle cure nettamente maggiore. Il
carattere gratuito del test, la possibilità di eseguirlo in modo anonimo
presso strutture che prendono in
carico direttamente il paziente e lo
seguono durante tutto l’iter dell’infezione e garantiscono la gratuità
dei farmaci e delle prestazioni sanitarie correlate alla malattia, producono un risultato netto di maggiore
efficienza del modello italiano della
HIV Cascade rispetto ai risultati dei
Paesi nord-americani (Stati Uniti e
Canada) [Figura 1] [2].
Regno Unito
Stati Uniti
Italia
Danimarca
Columbia Britannica
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Soggetti viventi con HIV
Diagnosticati
Inviati alla cura
In terapia
In terapia antiretrovirale Viremia non rilevabile
Figura 1 L’analisi di confronto della HIV Cascade mostra marcate diseguaglianze nella cura dell’HIV tra i i diversi Paesi.
VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 19
Numero
dicasi
casi
Numero di
5000
10
Corretti
Casi notificati
Incidenza
8
4000
6
3000
4
2000
2
1000
Incidenza
residenti
Incidenza AIDS
di AIDSper
per100.000
100.000 residenti
6000
0
19
8
19 2
8
19 3
8
19 4
8
19 5
8
19 6
8
19 7
8
19 8
8
19 9
9
19 0
9
19 1
9
19 2
9
19 3
9
19 4
9
19 5
9
19 6
9
19 7
9
19 8
9
20 9
0
20 0
0
20 1
0
20 2
0
20 3
0
20 4
0
20 5
0
20 6
0
20 7
0
20 8
0
20 9
1
20 0
1
20 1
1
20 2
13
0
Anno
Annodididiagnosi
diagnosi
Figura 2 Numero dei casi di AIDS e incidenza per anno di diagnosi (per 100.000 residenti), corretti per ritardo di notifica (1982-2013). (modificato da Notiziario ISS
Volume 27 – Numero 9 Supplemento 1 – 2014)
In questi anni in Italia abbiamo
ideato e sperimentato programmi
innovativi per migliorare l’aderenza e l’educazione terapeutica,
mettendo il paziente al centro del
nostro lungo viaggio. Il modello
“aderenza” nel guidare i risultati
del successo terapeutico nell’area
HIV ha prodotto rilevanti prodotti scientifici e un importante metodo di intervento [3], cui hanno
concorso sia i clinici che le Istituzioni e le Aziende produttrici dei
farmaci.
Dei pazienti attualmente in cura
e in trattamento antivirale, il 90%
mostra un’efficacia completa della
terapia con una quantità di virus
nel sangue non rilevabile. Con il
drastico crollo della morbosità
per AIDS [4] (Figura 2), la riduzione della mortalità e la sostanziale cronicizzazione della malattia, è progressivamente cresciuto
il numero delle persone HIV-positive che fanno parte della popolazione attiva.
20 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL
Dal punto di vista legislativo, il
nostro Paese si è dotato, con la legge n. 135/1990, di una normativa
specifica volta a definire gli interventi necessari per la prevenzione
e la lotta contro l’AIDS. Questa
legge, che pone al centro degli interventi la figura dell’infettivologo,
ha previsto tra l’altro norme di tutela a favore dei lavoratori sieropositivi all’infezione da HIV o affetti
da AIDS [5].
La legge n. 135/1990, agli articoli
5 e 6, prevede, infatti, disposizioni
specifiche, mirate a garantire l’anonimato nella rilevazione delle
infezioni da HIV e il divieto di
svolgere indagini volte ad accertare lo stato di sieropositività dei
dipendenti da parte di datori di lavoro per l’instaurazione di un rapporto di lavoro. Aspetti che non
hanno mancato di sollevare punti
di discussione e necessità di chiarimento alla luce dell’evoluzione
degli aspetti scientifici, giuridici e
normativi, in relazione alle previ-
sioni dei commi 1, 2, 3 dell’articolo 5, posti a tutela della privacy dei
soggetti che si sottopongono ad
analisi per accertare un’infezione
da HIV e del diritto fondamentale
di non essere discriminati sul luogo di lavoro.
Sotto il profilo giuridico-normativo, occorre ricordare che la sentenza
n. 218 del 2 giugno 1994 della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 3 e 4 dell’articolo 5 della legge n.
135/1990, nella parte in cui esclude
accertamenti sanitari per verificare
l’assenza di sieropositività all’infezione da HIV per l’espletamento di
attività comportanti rischio per la
salute di terzi. A tale proposito la
raccomandazione della Conferenza
Generale dell’OIL n. 200/2010 su
HIV/AIDS e mondo del lavoro,
nel ribadire che non vi devono essere discriminazioni o stigmatizzazioni di persone in cerca di lavoro o
che presentino domanda d’impiego
in base alla reale o presunta sieropositività, e che a nessun lavoratore
deve essere richiesto di effettuare
il test HIV o di rivelare il proprio
stato sierologico, ha indicato come
una priorità fondamentale l’importanza di considerare la prevenzione
della trasmissione dell’HIV in tutte
le sue forme. Norme specifiche di
settore, che richiedono l’accertamento preliminare della condizione
di sieronegatività come condizione
necessaria perché il lavoratore risulti idoneo a uno specifico servizio
(prestato, ad esempio, presso forze
di polizia o forze militari ecc.), hanno quindi una loro legittimazione
esclusivamente nella sussistenza di
una effettiva condizione di rischio
di contagio per terze persone derivante dall’esercizio dell’attività
lavorativa. Pertanto, la legittimità
dell’esecuzione del test in via preventiva, a tutela della salute del
lavoratore, dovrà essere giustificata
dal livello di rischio individuale di
esposizione, valutato caso per caso
dal medico competente.
Va detto comunque che le norme di tutela contenute nella legge
sono talvolta disattese, le violazioni spesso non vengono portate
all’attenzione dei giudici dalla parte lesa, troppo preoccupata della
visibilità derivante da un procedimento giurisdizionale. Insomma,
la legge n. 135/1990 rappresenta
una normativa che, pur con il pregio di avere definito delle linee
di indirizzo generale per la lotta
all’AIDS e la tutela dei lavoratori,
ha bisogno di una contestualizzazione alla luce delle evoluzioni
nelle conquiste terapeutiche e una
applicazione più puntuale.
Per tutti i motivi precedentemente
esposti, si ritiene complessivamente
che l’esperienza vissuta in questi anni
in HIV possa essere considerata un
modello di gestione per ogni patologia cronica multiorgano, esportabile
anche al di fuori del contesto HIV.
Nello stesso tempo non dobbiamo
dimenticare che abbiamo a che
fare con terapie salvavita e che la
cronicità faticosamente ma entusiasticamente raggiunta non ci
deve far abbassare la guardia. C’è
ancora un cammino che Istituzioni, Società scientifiche e Associazioni di pazienti debbono percorrere insieme.
Oggi la terapia antiretrovirale
consente di controllare la viremia
nella stragrande maggioranza dei
soggetti in trattamento, pur con le
differenze precedentemente esposte che trovano fondamento, oltre
che nelle caratteristiche dei Sistemi sanitari, anche negli elementi
di vulnerabilità delle sottopopolazioni affette da HIV. E controllo
della viremia vuol dire sia beneficio per il paziente con riduzione
della progressione della malattia e
della mortalità, sia beneficio nella
popolazione, con riduzione della
possibilità di trasmettere l’infezione (Figura 3).
A ogni modo, dall’evidenza degli
studi di coorte degli ultimi anni
emerge il dato che alcuni fattori,
legati alla modalità di trasmissione e all’etnia/nazionalità, possono
rappresentare elementi prognostiITALIANI
0-5
5,1-10,0
10,1-20,0
20,1-25,0
≥ 25
Incidenza:
4,9 per 100.000 italiani residenti
0,0
0,6
0,6
0,0
2,6
5,7
1,5
1,8
2,9
2,0
1,0
2,0
2,4
1,8
0,6
1,3
1,1
0,0
1,0
0,3
0,7
Figura 3 Incidenza di AIDS (per 100.000
residenti), per Regione di residenza (2013).
(modificato da Notiziario ISS Volume 27 –
Numero 9 Supplemento 1 – 2014)
camente sfavorevoli nella risposta
clinica alla terapia. I soggetti che
hanno acquisito l’infezione da
HIV attraverso la tossicodipendenza per via endovenosa [6] e i
soggetti stranieri [7] rappresentano due popolazioni chiave a maggiore vulnerabilità, con maggiore
rischio di progressione clinica e
potenziale maggiore incidenza
(Figura 4).
La persistenza di elementi di vulnerabilità in alcune cosiddette
STRANIERI
Incidenza:
19,1 per 100.000 stranieri residenti
Figura 4 Incidenza delle nuove diagnosi di infezione da HIV (per 100.000 residenti) per nazionalità e Regione
di residenza (2013). (modificato da Notiziario ISS Volume 27 – Numero 9 Supplemento 1 – 2014)
VOLUME 1 - NUMERO 1 - DICEMBRE 2014 - 21
Relazioni sociali
• partner
• familiari
• amici
• social network
• medico di famiglia
• coordinatore
• psicologo/psichiatra
• insegnante
Fattori relazionali
• fiducia
• comunicatività
• longevità
• armonia
• vicinanza
• povertà
• istruzione
• regole sociali
• stigma
• professione
• riformatorio
rilevabilità dei test, e questo rappresenta un aspetto estremamente
rilevante ai fini dell’infettività di
tali soggetti.
Il problema purtroppo è che non
tutti i soggetti positivi sanno di esserlo, non tutti quelli che scoprono l’infezione continuano a farsi
seguire, non tutti quelli che sono
seguiti iniziano la terapia, non
tutti quelli che iniziano la terapia
la continuano con regolarità o rispondono con successo alle cure.
Ne consegue che una quota significativa dei soggetti infetti (oltre il
40%) non riesce oggi, nonostante l’elevata efficacia delle terapie,
a controllare la carica virale nel
sangue. Secondo stime effettuate
dal Dipartimento di Epidemiologia dell’Istituto Spallanzani di
Roma e riportate a ICAR 2014,
in Italia sarebbero circa 60.000 le
persone con HIV che non hanno una viremia controllata, con le
• pubblico
• privato
• assistenza primaria
• ospedali,
pronto soccorso
• organizzazioni
comunitarie
• distanza del centro
per HIV
• livello del centro
per HIV
• disponibilità
degli appuntamenti
• servizi di supporto
• servizi integrati
POLITICHE
Va inoltre evidenziato che il trattamento del partner HIV-positivo
si è dimostrato in grado di ridurre
il rischio di trasmissione di HIV
all’interno di coppie siero-discordanti del 64% (secondo dati di revisione sistematica da studi osservazionali) e del 96% (secondo dati
da trial randomizzato) [12,13],
con una significativa potenzialità
di incidere in modo sostanziale
sul quadro epidemiologico dell’infezione da HIV [14]. Il trattamento farmacologico dei soggetti
HIV-positivi comporta infatti
l’abbattimento della carica virale
plasmatica al di sotto dei valori di
SISTEMA SANITARIO
Promuoventi
• stato assicurativo
• trasporto
• coabitazione
• guadagno
• istruzione
• supporto sociale
• responsabilità
• autostima
• spiritualità
• fronteggiare
i problemi
• resilienza
• stigma
recenti dati da studi multi-coorte
(Europa, Stati Uniti, Africa), in
cui i dati di sopravvivenza italiani
(ICONA) si sono dimostrati migliori di quelli della maggior parte
delle realtà geopolitiche a livello
globale [11].
COMUNITÀ
INDIVIDUALI
Predisponenti
• età
• etnia
• sesso
• sessualità
• salute mentale
• uso di sostanze
RELAZIONI SOCIALI
popolazioni speciali, tra cui vanno
annoverate per motivi tra loro differenti le donne [8], i pazienti con
diagnosi in fase di malattia avanzata [9] e i soggetti anziani [10],
aumenta il valore di tutela della
persona e i suoi fondamenti giuridici, anche nella misurazione della
performance del Sistema sanitario
in termini complessivi di controllo
della malattia. Avere a disposizione una cornice giuridica di tutela
nei confronti di stigma e discriminazione, e che supporti una visione
universalistica di assistenza, a tutela delle fasce deboli della popolazione, può riuscire, come dimostrato in precedenza, a migliorare
l’efficienza generale dell’intervento
preventivo-diagnostico-assistenziale. Alla base di questa impostazione di modello sanitario e clinico-assistenziale vi è il successo dei
risultati della gestione HIV nel
nostro Paese, come dimostrato da
• linee guida
analisi HIV
• linee guida
terapia HIV
• controlli
• finanziamenti
• misure di qualità/
indicatori
• coordinazione
dei servizi
• pratica ottimale
• rimborsi
• personale
Necessità percepite
• convinzioni salutiste
• sintomi
• comorbilità
• esperienze passate
Figura 5 Elementi che influenzano il coinvolgimento dei diversi attori nella cura dell’infezione da HIV. (modificato da Mugavero MJ, et al. Clin Infect Dis 2013)
22 - HIV CARE ACADEMY JOURNAL
conseguenze di rischio clinico e
di trasmissione dell’infezione. La
capacità di individuare i soggetti
infetti e far sì che, una volta diagnosticati, rimangano agganciati
al percorso di cura, dipende dall’efficienza del sistema sanitario. Se
ogni anno abbiamo ancora uno
zoccolo duro di oltre 4000 nuove
diagnosi di infezione da HIV, è il
mancato controllo della viremia di
quelli che non sanno oppure che
non sono efficacemente agganciati
al percorso di cura a determinare
la circolazione del virus, attraverso
comportamenti a rischio non correttamente prevenuti.
È opportuno sottolineare che la
diagnosi precoce rimane la vera
arma in più per il buon esito dei
trattamenti. Da un recente sondaggio Eurisko emerge che la
metà degli intervistati (46%) indica il test utile come possibile strumento di prevenzione e controllo;
solo il 3% però ritiene vi si faccia
ricorso. È dimostrata la correlazione tra l’inizio delle terapie e l’incremento della durata della vita
e la riduzione di co-morbosità.
Perciò è importante favorire una
diagnosi precoce, oltre che garantire l’accesso alle terapie antiretrovirali innovative. Ad oggi si stima
che nel mondo solo la metà delle
persone con HIV sia a conoscenza
del proprio stato. In Italia, su oltre 120.000 persone con diagnosi,
il 15-20% non è al corrente della
propria sieropositività. Nel 2012
almeno il 50% di nuovi casi di infezione diagnosticati era già in fase
avanzata della malattia.
L’accesso alle terapie innovative deve tuttavia inserirsi in un
contesto di sostenibilità per il
Sistema Sanitario Nazionale. La
spesa farmaceutica è in continua
crescita nei Paesi sviluppati e la
crisi economica in atto impone
processi di razionalizzazione delle
risorse. Gli antivirali sono, infatti, la seconda voce di costo della
farmaceutica ospedaliera dopo gli
oncologici. La terapia antiretrovirale, oltre a un costo ancora elevato, reca con sé il problema della
necessità di somministrare il trattamento per tutta la durata della
vita, e questo, con attese di vita
oggi di oltre 50 anni, rappresenta
un fattore ulteriore di crescita della spesa farmaceutica [15]. Inoltre
oggi abbiamo una crescente necessità di cure sempre più precoci, per un maggiore beneficio del
paziente e per ridurre il rischio di
trasmissione dell’infezione. Trattare prima, e in prospettiva trattare tutti, aumentando l’efficienza
nell’individuare soggetti ancora
inconsapevoli del proprio stato
di infezione, significa avere più
soggetti in trattamento e quindi
maggiore spesa farmaceutica.
Diverse strategie sono oggi adottate nei Paesi come quelli dell’Unione Europea, dove i farmaci sono
disponibili in regime di rimborsabilità, per ridurre il peso economico e garantire la sostenibilità di
tale capitolo della spesa sanitaria.
Abbiamo oggi in Italia le Linee
guida, sviluppate dal Ministero
della Salute e dalla Società Italiana
di Malattie Infettive, per rendere la prescrizione più appropriata
e migliorare sia l’efficacia che gli
sprechi [16]. Le Regioni stanno
sviluppando Protocolli Diagnostico-Terapeutici (PDT) per adattare
i regimi raccomandati dalle Linee
guida in base a modelli farmacoeconomici. La cura dell’infezione
da HIV implica dunque un impegno e un coinvolgimento complesso [1] (Figura 5).
L’Accademia della Cura può, quindi, attraverso l’analisi dei dati già
esistenti sulle popolazioni fragili
e sulla soddisfazione del paziente, dimostrare e mostrare il valore
scientifico, sociale ed economico
dell’innovazione che stiamo percorrendo.
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Realizzata con il contributo educazionale di