18 Domenica 23 dicembre 2012 19 Domenica 23 dicembre 2012 Il senso delle cose Intervista a Mario De Caro e Maurizio Ferraris curatori del volume Bentornata realtà (Einaudi) RITORNO DELLA REALTÀ IL dal sito labont.it Rassegna Nuovo Realismo di GIOSI MANCINI Una lettura meridiana Indagare come e se un pensiero realista possa svilupparsi nel Meridione italiano ncontriamo Mario De Caro e Maurizio Ferraris, curatori del volume Bentornata realtà (appena pubblicato da Einaudi e contenenti saggi di molti dei maggiori filosofi contemporanei, come Eco, Marconi, Putnam e Searle). De Caro e Ferraris sono anche conduttori del programma Zettel.2 prodotto da Rai Educational in onda su Rai Scuola (canale 146 del digitale terrestre, 806 del satellite, o sul web, digitando su google “Zettel filosofia”). 40 puntate prodotte in un anno e due speciali: uno dedicato all’Istituto di studi filosofici di Napoli, “Filosofia a Napoli”, in onda su Rai Tre il 26 dicembre, e il secondo, in preparazione, dedicato alla rinascita del realismo filosofico. È di realtà e di realismo, e dell’ampia discussione che su questi temi da un anno a questa parte è in corso sui quotidiani italiani, che vogliamo parlare con De Caro e Ferraris. Con loro proviamo a tracciare, utilizzando gli strumenti dell’analisi filosofica, una lettura meridiana della realtà e a indagare se e come un nuovo pensiero realista possa svilupparsi nel meridione italiano e di quale impatto ciò possa avere nelle locali istituzioni culturali, università, fondazioni, rete, biblioteche e mezzi di comunicazione. Qual è stata l’idea da cui siete partiti per costruire il volume “Bentornata realtà?” De Caro «Tutto è incominciato ad agosto dello scorso anno, quando Maurizio ha pubblicato su Repubblica un articolo in cui diagnosticava la vigorosa rinascita del realismo filosofico ovvero del “nuovo realismo”. Quell’articolo ha suscitato un enorme dibattito sui quotidiani, le riviste e la rete (se ne trova traccia al sito http://labont.it/ferraris/rassegna-nuovo-realismo): francamente, dai tempi della fortuna del marxismo, non ricordo discussioni tanto vaste rispetto a un tema culturale. Al dibattito hanno partecipato i maggiori intellettuali contemporanei, da Eco a Scalfari, da Severino a Putnam, da Vattimo a Marramao, da Veca a Dennett. Da una parte ci sono i fautori del pensiero debole e del postmoderno che negano la rinascita del realismo oppure, pur riconoscendo l’esistenza del fenomeno, ne criticano la rilevanza o il valore. Dall’altra ci sono invece tutti quelli che, anche guardando alla discussione internazionale, osservano con soddisfazione intellettuale un enorme ritorno di interesse per il realismo, dopo anni di predominanza di posizioni antirealiste, irrazionaliste e antiscientifiche». Ferraris «Spesso gli antirealisti forniscono una immagine caricaturale dei realisti come dei filosofi lapalissiani che si limitano a dire che la realtà esiste, o come dei dogmatici che intendono imporre come assoluto la loro realtà. Ma è vero il contrario. Essere realisti signi- I Molti filosofi noti vengono dal Sud Londra, Pierre Vivant, Traffic Tree Light, 1998. Il “semaforo rosso” fu oggetto di una polemica tra Gianni Vattimo e Mario De Caro su La Stampa - Gianni Vattimo: «Non serve filosofare davanti a un semaforo rosso. Non c’è bisogno dei massimi sistemi per le leggi del vivere comune. Né di tirare in ballo l’etica come fanno i (neo?) realisti». La Stampa, 22 novembre 2012 - Mario De Caro: «Caro Vattimo, si può filosofare anche sul semaforo “Non basta a tranquillizzarci che sia una convenzione». La replica di De Caro alla recensione di Bentornata realtà La Stampa, 23 novembre 2012. fica assegnare diversi livelli di realtà e di irrealtà alle cose del mondo. Il vero gesto del realista non significa dire che il mondo è reale, ma che l’Oceano Pacifico, il numero 5, l’Imu e Sherlock Holmes esistono in modi significativamente diversi. In particolare, i primi due esisterebbero anche se non esistesse l’umanità, i secondi due solo perché esiste l’umanità. Essere realisti significa fare le differenze. Spesso invece gli antirealisti postmoderni (e solo quelli, perché ci sono forme eccelse di antirealismo, da Michael Dummett, che purtroppo è scomparso, ad Achille Varzi, che è vivo e lotta insieme a noi, oltre a mandare delle bellissime “cartoline” da New York su Zettel) si limitano a dire che tutto è socialmente costruito, e che dunque non c’è una vera differenza tra Sherlock Holmes e l’Oceano Pacifico. A me ricordano Bertinotti nell’imitazione di Guzzanti: gli altri costruiscono, lavorano, differenziano. Loro si alzano a mezzogiorno, vanno in aula, e votano contro». Quali sono i filosofi classici del passato che hanno indirizzato la vostra ricerca? De Caro«Guardando ai filosofi recenti, io sono stato maggiormente influenzato dalla cosiddetta “filosofia analitica”, che è poi la gran parte della filosofia anglo-americana dell’ultimo secolo. Guardando al passato, trovo cruciali le indagini di Machiavelli e Galileo, che sono all’origine della filosofia umanistica e di quella scientifica moderne. E poi, oltre ai classici dell’antichità, citerei due filosofi abbasta distanti tra loro: Leibniz e Hume. Invece tra i non filosofi ho trovato molte ragioni per riflettere in Tolstoj, Dostoeveskij, Kafka e (perché no) in alcuni grandi registi cinematografici, da Bergmann a Orson Welles a De Sica». Ferraris «Per me hanno contato moltissimo gli antirealisti, grandi filosofi come Derrida, Foucault, Vattimo, Rorty, Gadamer, su cui e con cui mi sono formato trent’anni fa. Ho potuto conoscere quali fossero le ragioni dell’antirealismo per poter costruire un realismo ingenuo (perché si tratta di rendere conto delle intuizioni del senso comune) ma non sprovveduto. Tra i classici, Aristotele (realista a tutto tondo), Cartesio (antirealista a tutto tondo), Kant (un realista che per salvare la realtà è diventato antirealista), Nietzsche (un geniale confusionario che è insieme iper-realista e iper-antirealista). E poi è stato molto importante per me l’incontro, a Trieste, all’epoca in cui stavo maturando il distacco dall’antirealismo, con Paolo Bozzi, grande percettologo realista, erede della tradizione austriaca che risale al realismo di Brentano. Anche per me ha contato molto, come per Mario, la letteratura. Prima di tutto Proust, e poi Kafka, penso ad esempio a quello straordinario apologo iper-realista in cui dice che gli uomini sono come la base di alberi tagliati che sporgono dalla neve, ti sembrerebbe di poterli smuovere come delle pedine della dama, e invece hanno radici profondissime: credo che la nozione di “inemendabilità” del reale mi sia venuta proprio di lì. Nel cinema ho due esperienze istitutive, due ritornelli che ritornano nel mio lavoro e che risalgono proprio agli anni in cui studiavo all’università: Apocalypse Now e Barry Lyndon». Continentali, analitici e …realisti? Potete dare una spiegazione di queste categorie, di immediata comprensione? De Caro «Tradizionalmente, la filosofia analitica è maggiormente praticata nei paesi di lingua inglese; ha i propri padri fondatori in Frege, Russell, Wittgenstein e Quine; si interessa in modo particolare alla logica e alla scienza; ha i propri valori identitari nel rigore analitico e nella precisione metodologica. La filosofia continentale è invece più praticata in Francia, Germania e nei paesi dell'Europa continentale; ha le proprie radici nella tradizione del novecento tedesco (da Husserl a Heidegger) e francese (da Bergson a Sartre); si interessa dei grandi problemi dell’esistenza; tiene molto in conto il valore letterario della scrittura filosofica. In realtà, però, da qualche anno è in corso un riavvicinamento tra le due tradizioni, con interessanti esperimenti di comunicazione “transparadigmatica” (in fondo anche la collaborazione tra me e Maurizio rientra in questo nuovo clima di appeasement tra queste due tradizioni filosofiche)». Ferraris «Tanto è vero che nell’introduzione a Bentornata realtà auspichiamo la costituzione di una “filosofia globalizzata”, un filosofia costitutivamente bilingue, cioè con produzioni in lingua nazionale e in inglese, come tale oggettivamente più ricca del solo monolinguismo inglese, o della frammentazione delle sole lingue nazionali, che potrebbe porsi all’incrocio di tre elementi. 1- Una competenza scientifica, che nella fattispecie di una disciplina con forte componente umanistica come la filosofia, significa anche una competenza filologica e storica (non si dimentichi che queste competenze sono sempre più rare e pregiate, nel quadro del complessivo abbassamento del livello culturale). 2 - Una competenza teorica, dove l’elemento analitico (o più propriamente accademico) fornisce la forma, mentre l’elemento continentale (o più propriamente extra-accademico) fornisce i contenuti. Se c’è un ambito in cui il detto “i concetti senza intuizione sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche” si applica alla perfezione è proprio la sfera dei rapporti analitico-continentali). 3 -Una pertinenza pubblica. Le persone sono disposte ad accettare un linguaggio tecnico o addirittura incomprensibile se la contropartita è la cura del cancro. Ma questo non è ciò che può offrire la filosofia. Dunque, fa intrinsecamente, e non accidentalmente, parte della filosofia la capacità di rivolgersi a uno spazio pubblico, consegnando a quello spazio risultati elaborati tecnicamente, ma in forma linguisticamente accessibile. “Nuovo realismo e vecchia realtà”… Come è possibile e modificare le categorie concettuali usate per ana- lizzare e risolvere i problemi che affliggono il Sud? De Caro «Quasi tutti i maggiori filosofi italiani venivano dal Meridione: agli esordi della modernità Telesio, Bruno e Campanella, e poi Vico e Croce, Gentile e Gramsci. Un tratto comune della filosofia meridionale degli ultimi tre secoli è l’attenzione al ruolo della storia. Questo è un grande contributo alla comprensione della realtà: per quanto riguarda la capacità di leggere la realtà in prospettiva storica gli italiani sono forse primi al mondo. E questa è una ricchezza intellettuale notevolissima. Ma, se l’attenzione al passato diventa l’unica chiave di interpretazione del reale, c’è un duplice rischio: in primo luogo ne può derivare un’eccessiva attenzione al passato, che può andare a detrimento della progettazione rispetto al futuro; e in secondo luogo questo atteggiamento unilaterale può portarci a attribuire un peso esagerato al ruolo delle costanti storiche, sui corsi e ricorsi della storia, perdendo così di vista la possibilità che - con una pianificazione intelligente - lo sviluppo storico può prendere direzioni inedite, incrementando l’emancipazione e l’innovazione». Ferraris «Sottoscrivo tutto quello che ha detto Mario. Abbiamo affrontato questo tema in uno speciale di Zettel dedicato all’Istituto Italiano per gli Studi filosofici che andrà in onda su Rai3 il 26 dicembre alle 01.10. “Realismo del senso comune”. Come? De Caro «Quando si parla di realismo in realtà si parla di cose molto diverse tra loro, e dunque bisogna essere chiari. Alcuni filosofi sono realisti rispetto all'immagine del mondo che noi riceviamo attraverso i sensi, e solo a quella: questo è il “realismo del senso comune” nella sua forma più pura. In questa prospettiva, ciò che la scienza ci dice del mondo inosservabile, per esempio del mondo subatomico o della storia passata dell’universo, sono utili costruzioni teoriche ma non ci raccontano la realtà del mondo. La prospettiva opposta, il “realismo scientifico” sostiene che soltanto la scienza può dirci com’è fatto il mondo: così tutto ciò che non è riducibile alle spiegazioni scientifiche perde realtà. A mio parere la sfida fondamentale della filosofia (una sfida che risale almeno a Kant ma che è ancora più importante oggi) consiste nel tenere insieme le due prospettive, quella del senso comune e quella della scienza, in modo quanto più possibile coerente e armonioso». Ferraris «Anche qui, pienamente d’accordo. Fa parte del senso comune contemporaneo credere alla scienza, tanto è vero che anche i più sfrenati antirealisti e antiscientisti quando stanno male vanno dal medico e non dallo sciamano». I grandi Telesio e Vico Croce e Bruno © RIPRODUZIONE RISERVATA MARIO DE CARO Il professore di filosofia MARIO DE CARO insegna Filosofia morale all’Università Roma Tre e alla Tufts University di Boston. Collabora al Sole 24 Ore, è stato Presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica ed è membro del Committee on Academic Career Opportunities della American Philosophical Association. Ha pubblicato oltre cento articoli scientifici e volumi in cinque lingue, tra cui Il libero arbitrio (Laterza 2004/2011), Azione (Il Mulino 2008), Naturalism in Question (Harvard University Press 2004/2008). MAURIZIO FERRARIS Il direttore di LabOnt MAURIZIO FERRARIS è ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Torino, dove dirige il LabOnt (Laboratorio di ontologia). È editorialista di “la Repubblica”, direttore della “Rivista di Estetica”, visiting professor in numerose università europee e americane. Ha scritto oltre quaranta libri tradotti in varie lingue. Tra i più recenti Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce (Laterza 2009), Anima e iPad (Guanda 2011) e Manifesto del nuovo realismo (Laterza 2012, Premio Capalbio). Alla sua carriera è stato conferito nel 2008 il Premio filosofico Viaggio a Siracusa.