1 Lamberto Maffei Il cervello collettivo Ogni specie ha caratteristiche

Lamberto Maffei
Il cervello collettivo
Ogni specie ha caratteristiche somatiche particolari che le sono proprie e che a livello
funzionale possono specializzare il suo tipo di relazioni con l’ambiente. Ci sono ad esempio
animali, come l’uomo, che hanno la vista molto sviluppata e l’olfatto alquanto atrofico ed
altri come i topi che hanno le caratteristiche inverse. Questa diversità nel soma e nelle
funzioni tra le specie si traduce in caratteristiche cerebrali diverse. Ogni specie ha il suo
cervello, che è molto simile da individuo a individuo. Mi soffermerò a parlare del cervello
dell’uomo e del contributo che i singoli individui possono dare alla sua formazione e alla sua
funzione. Cominciamo con ordine dalla descrizione dell’organo
Il cervello è una macchina di enorme complessità con un numero di neuroni di circa
100 miliardi, e con un numero di sinapsi dell’ordine di un milione di miliardi. Se un
osservatore paziente e pignolo volesse contare tutte le sinapsi impiegherebbe circa
trentaduemilioni di anni procedendo alla velocità media di una sinapsi al secondo. Si ritiene
normalmente che lo sviluppo del cervello sia in parte guidato dai geni e in parte
dall’esperienza. Il numero dei geni è circa 30000-40000, quindi la specificità genica di ogni
neurone o addirittura di ogni sinapsi non può essere molto precisa. Partono dai geni ordini
generali importantissimi, ma poi tocca all’esperienza intrauterina e post-natale costruire o
affinare proprietà specifiche. La parte di sviluppo dovuta principalmente ai geni, anche se
presenta una variabilità praticamente infinita da individuo a individuo (la probabilità di avere
due individui a corredo genico uguale, con l’esclusione dei gemelli monoovulari, è
praticamente nulla) non offre (fino ad oggi ed io spero che resti così) libertà di intervento
all’individuo: è quello che io chiamo il cervello imprigionato. Con la nascita e l’esperienza si
apre una finestra per la libertà dell’individuo a cambiare, nei limiti permessi dai geni, la
propria struttura nervosa. Lo studio delle variazioni funzionali e strutturali del cervello sia
durante lo sviluppo, sia durante la vita adulta, comprende le ricerche che vanno generalmente
sotto il titolo di plasticità del sistema nervoso. La plasticità del sistema nervoso è proprietà,
caratteristica, anche se non esclusiva, della corteccia cerebrale. Durante un periodo subito
dopo la nascita la plasticità che definiremo come potenzialità a variare funzione e struttura, è
incredibilmente alta e quasi inquietante. Questa enorme plasticità del sistema nervoso pone
problemi, oltre che di conoscenza, pedagogici e sociali. Negli Stati Uniti anche la Casa
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Bianca, per bocca del suo presidente, ha indicato i primi tre anni di vita di interesse
pedagogico particolare, per lo sviluppo dei futuri cittadini.
In questa mia presentazione voglio sostenere che proprio la grande plasticità del
sistema nervoso può diventare nel mondo moderno strumento di imprigionamento mentale, e
che può portare al cosiddetto cervello globalizzato o cervello collettivo. Discuterò le ricerche
neurobiologiche che portano a pensare che cervello globalizzato significa un cervello
collettivo, nel senso di un cervello che ha, in individui diversi, struttura e funzioni simili.
Nei primi anni di vita le possibilità per il sistema nervoso di variare, in opportune
condizioni, connessioni e grandezza di alcune strutture, magari a scapito di altre, sono
veramente notevoli. Si deve tener presente che il numero di neuroni e di sinapsi è molto
maggiore nella prima infanzia che nell’età adulta. Per esempio il numero di neuroni nella
corteccia frontale, dove sono elaborate le funzioni più sofisticate dl sistema nervoso, a due tre
anni è circa il doppio di quello dell’adulto. Dopo questa età comincia una progressiva
diminuzione del numero dei neuroni, che continua fino all’adolescenza. Con una punta di
ironia si può notare che quando portiamo un bambino dal pediatra, quest’ultimo ha circa la
metà dei neuroni del piccolo paziente! Il tema del congresso tenuto alla Casa Bianca
nell’aprile del ’97, alla presenza di Hilary e Bill Clinton si accentrava proprio sulle proprietà
del sistema nervoso di bambini in età prescolare. Tra i problemi discussi era quello di
esplorare la possibilità di frenare o arrestare la morte cellulare al secondo terzo anno di vita
nell’intento di avere un cervello con un maggiore numero di neuroni e verisimilmente più
efficiente. Altro problema in questione era quello di vagliare le possibilità pratiche di
indirizzare in maniera opportuna lo sviluppo del cervello, per esempio, con scuole ad hoc
onde favorire lo sviluppo di migliori cittadini dal punto di vista sociale. Quest’ultima
questione prendeva anche spunto da dati sperimentali che hanno chiaramente dimostrato che
animali tenuti in “ambienti arricchiti” cioè con molteplici stimolazioni sensoriali e possibilità
motorie, sviluppano una corteccia cerebrale di spessore maggiore. Tra i meccanismi alla base
di questi cambiamenti del sistema nervoso, in gran parte ancora sconosciuti, è stato rilevato
un aumento dei fattori neurotrofici.
Queste particolari proprietà del cervello di cambiare funzione e struttura si credevano
una volta limitate al cosiddetto periodo critico cioè alla prima infanzia. Recenti ricerche
tuttavia, hanno indicato un notevole grado di plasticità insospettata anche nel cervello adulto,
che era ritenuto, fino a pochi anni or sono, una macchina relativamente stabile. Questi
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cambiamenti nel cervello adulto non riguardano il numero dei neuroni, ma sono di natura
bioelettrica e a livello strutturale di natura microscopica o submicroscopica e misurabili solo
con attrezzature assai sofisticate. Ci sono degli esempi, però, del tutto singolari, che ci danno
un’idea tangibile del fenomeno. Si è ad esempio notato che i suonatori professionisti di
strumenti a corda e che hanno cominciato a suonare in età giovanile presentano un
allargamento di quella parte della corteccia motoria che guida i movimenti della mano
sinistra. Altro esempio. Si è notato che i taxisti londinesi, che ovviamente devono conoscere
le migliaia di strade e vicoli di Londra, hanno l’ippocampo aumentato di dimensioni.
L’ippocampo è una struttura cerebrale coinvolta nella memoria spaziale. E vi sono ancora
numerosi esempi di simile natura che attestano le possibilità plastiche del cervello adulto.
Le variazioni nel sistema nervoso osservate nella giovane età e nell’adulto sono almeno
in parte diverse. Durante lo sviluppo avviene principalmente una scelta di alcuni circuiti
neuronali con l’eliminazione di altri: ciò avviene su una base genetica e sulla base di segnali
interni, principalmente rappresentati dall’attività elettrica spontaneamente presente nei
neuroni e dalla liberazione di fattori neurotrofici dei quali il più noto è quello scoperto dalla
Rita Levi Montalcini (NGF). Altri fattori neurotrofici che sono risultati importanti per lo
sviluppo e la plasticità del sistema nervoso dei mammiferi sono il BDNF, NT4 e NT3.
Durante la vita adulta le modificazioni sono solo a livello microscopico e ultramicroscopico e
riguardano l’organizzazione delle popolazioni di neuroni che continuano a mantenere una
loro dinamicità, cioè la possibilità di riorganizzare le loro connessioni, sotto l’influenza del
mondo esterno. Studi molto accurati e ormai più che decennali sull’uomo e su altri animali,
hanno dimostrato che ad alterazioni simili dell’ambiente o a processi di allenamento motorio
o sensoriale simili corrispondono con precisione alterazioni corrispondenti nella corteccia
cerebrale. Se ad esempio un bambino ha un banale difetto di rifrazione ad un solo occhio,
corrispondono prevedibili alterazioni a livello della sua corteccia visiva che portano a un
difetto della sua visione da quell’occhio. Se un bambino viene allenato fino dalla prima
infanzia a stimoli acustici di particolari tonalità, si svilupperanno prevedibili variazioni della
sua corteccia acustica, che lo rendono più abile nella discriminazione di certi suoni. Molti
altri esempi di questo tipo ci inducono a pensare che se facessimo un assurdo Gedanken
Experiment in cui sottoponessimo tutti gli uomini, allo stesso trattamento, nel senso della
stimolazione, motoria, sensoriale o più generalmente culturale, si svilupperebbero nei nostri
soggetti da esperimento, tutti gli uomini, simili variazioni cerebrali. La parola simile è un
caveat necessario perché i corredi genici individuali che presiedono allo sviluppo del nostro
cervello genico, ereditario, porterebbero a reagire in maniera leggermente diversa agli stessi
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stimoli. La natura cioè cerca di difendersi da improbabili immensi, grandiosi Berlusconi, o
Murdoch, che dominino tutte le linee di comunicazione del mondo, e impongano a tutti i
governi, a tutte le scuole etc. etc. lo stesso programma di allenamento degli uomini. Questi
eventi sono impossibili, ma prudenza consiglia di temerne l’evenienza!
Va ricordato per il lettore non familiare con la moderna neurofisiologia, che ogni
processo di apprendimento, ogni stato di pensiero, indica a livello strutturale o funzionale
una variazione in qualche circuito nervoso. Il lettore deve aver chiaro che la frase di uso
quotidiano “cambiare idea” ha un suo corrispondente neurobiologico ben preciso e significa
“cambiare il proprio cervello” anche se spesso, ma non sempre, è difficile dimostrare tali
modificazioni dal punto di vista sperimentale. Una asserzione scientifica certamente precisa,
che indica la grande potenzialità di apprendimento del sistema nervoso, ma che va
considerata in tutti i risvolti, non sempre necessariamente auspicabili.
Concesso che ogni cervello è in qualche modo unico, io voglio qui richiamare
l’attenzione sulle somiglianze tra i diversi cervelli umani, piuttosto che sulle loro differenze.
D’altra parte come si potrebbe avere una scienza del cervello se tutti i cervelli e, in
particolare quelli umani, non fossero confrontabili tra loro? Sarebbe impossibile pensare ad
una anatomia, fisiologia, neurologia e neurochirurgia e farmacoterapia del cervello.
Sappiamo invece che questi studi sono del tutto possibili e che ogni neuropsicofarmaco ha
una azione in prima approssimazione simile in tutti gli uomini. Evidentemente le somiglianze
prevalgono di gran lunga sulle differenze, argomento che è del tutto banale per un
neuroscienziato, ma che è opportuno ripetere per coloro che non hanno familiarità con questi
studi.
La parte del cervello che abbiamo in comune e che chiamerò cervello collettivo è la
base della comunicazione tra gli esseri umani. Cervelli strutturalmente diversi non possono
capirsi o si capiscono con maggiore difficoltà.
Cervelli che hanno avuto esperienze uguali e quindi hanno strutture e funzioni simili
comunicano più facilmente: “Io son Sordello della tua terra…” (Dante Alighieri, Purgatorio,
canto VI). La comunicazione è più facile con quelli del nostro villaggio, della nostra città,
della nostra nazione, che fanno la nostra stessa professione o praticano lo stesso sport. Le
esperienze comuni dell’infanzia sono particolarmente importanti. I primi amici restano quelli
con i quali è più facile parlare.
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Tutta la conoscenza teorica, motoria, emotiva è ovviamente cerebrale. La nostra
conoscenza è il nostro cervello. Un americano ha una cultura in parte differente rispetto ad un
europeo e quindi un cervello parzialmente diverso. Non sempre è facile comunicare con gli
amici americani, difficilissimo con i giapponesi o cinesi se non nelle cose che condividiamo,
per esempio il lavoro o le pulsioni istintive, come la fame o il sesso. Queste ultime proprietà
si riferiscono a strutture cerebrali scarsamente influenzate, o non influenzate affatto
dall’esperienza. Credo che sia opportuno riflettere che tutte le volte che abbiamo difficoltà di
comunicazione con i nostri simili, queste difficoltà sono da attribuirsi, o potrebbero essere
attribuite, all’esistenza di strutture cerebrali in parte diverse. Entrare in profonda
comunicazione con una persona vuol dire rendere i cervelli dei comunicanti più vicini.
Strutture e funzioni simili di cervelli diversi, attraverso il linguaggio, orale o scritto, i gesti o
altri mezzi di comunicazione, entrano in risonanza, si riconoscono per così dire, e
stabiliscono il ponte della comunicazione.
Esiste certamente un cervello collettivo a base genetica, simile per tutti; esso presiede a
molte funzioni cerebrali automatiche, o quasi automatiche, e stabilisce moltissime proprietà
cerebrali comuni a tutti gli uomini e che noi non possiamo cambiare con l’esperienza, se non
marginalmente. Vi sono, per esempio tutta una serie di programmi motori e di riflessi comuni
che caratterizzano l’essere umano, ma condividiamo anche reazioni complesse come
espressioni emotive del volto quali la rabbia, paura, il disgusto e la gioia, che sono comuni a
tutti i popoli indipendentemente dalle loro esperienze. Esistono modi di elaborare
l’informazione sensoriale del tutto prestabiliti; si pensi alle illusioni ottiche, alle leggi
gestaltiche della visione e a mille altre leggi generali e proprietà che regolano il
funzionamento cerebrale.
Oltre a questo cervello collettivo comune che condividiamo per ragioni genetiche, con
qualunque uomo, anche se per caso quest’uomo ha avuto le più impensate esperienze post
natali, c’è un’altra parte di cervello comune che deriva da possibili esperienze comuni.
Abbiamo già fatto notare che esperienze comuni conducono a simili variazioni funzionali e
strutturali del sistema nervoso. Ogni cultura ha un suo cervello sociale.
Gli uomini, con eccezioni rappresentate principalmente da artisti, scienziati e altri
“originali” che vengono subito socialmente inquadrati come esseri a sé stanti, sembrano non
avere interesse alla personalizzazione della propria mente (cervello), al contrario per ragioni
di ordine e organizzazione sociale si adoperano per una sua omologazione.
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Ad esempio, i genitori non si sforzano di rendere le esperienze dei loro bambini
singolari, con l’idea di preparare futuri grandi personalità od artisti, ma al contrario, e del
tutto saggiamente, cercano di insegnare ai loro bambini ciò che viene insegnato ai bambini
dei loro tempi. Negli insegnamenti provenienti dai genitori vi possono essere notevoli
variazioni, anche in dipendenza del censo ed educazione delle famiglie, ma raramente si
assiste ad una forte deviazione da una media comune. E poi ci sono gli asili, le scuole e molti
altri ritrovi a livello religioso, sportivo etc. in cui le stesse esperienze vengono condivise. È
solo con la professione o il lavoro, che si possono avere relative esperienze particolari.
Certamente i matematici hanno una mentalità diversa dai letterati o dai medici e questi dagli
elettricisti o dai fabbri e così via. D’altronde è esperienza comune che queste specializzazioni
di lavoro possono produrre difficoltà di comunicazione.
Si direbbe che la società consciamente e inconsciamente opera attivamente per rendere
gli uomini il più uniformi possibile, per poterli organizzare, guidare etc. È solo a livello del
bisogno dei diversi compiti richiesti dalla società che si creano differenziazioni organizzate
dalla struttura sociale. Si direbbe che la società si organizza per mantenere o addirittura
diminuire l’individualità cerebrale data dalle combinazioni genetiche, aumentando così
quello che ho definito il cervello collettivo.
L’imponente, improvviso aumento delle comunicazioni di massa dei giorni nostri,
prima tra tutti la televisione, tende, a mio avviso, ad aumentare pericolosamente il cervello
collettivo forse oltre un limite, biologicamente e culturalmente auspicabile. Mangiamo la
stessa pappa sensoriale e culturale e sviluppiamo quindi strutture cerebrali simili.
L’aumento del cervello collettivo che è causato dai fenomeni di globalizzazione delle
comunicazioni ha indubbie conseguenze a livello comportamentale e quindi sociale. In
questo fenomeno il neurobiologo intravede indubbi vantaggi, ma anche qualche potenziale
pericoloso svantaggio. I vantaggi sono facilmente rintracciabili nella aumentata facilità delle
comunicazione tra gli individui e nell’aumento della memoria collettiva. Ricevere più
messaggi è in generale positivo per il cervello. L’esperienza è essenziale per il suo sviluppo.
Molte indagini sperimentali hanno dimostrato che ogni funzione senza un’adeguata
esperienza non raggiunge completa maturazione funzionale. Ad esempio la funzione visiva
non si sviluppa senza visione. Animali o persone deprivate della visione dalla nascita, se
riacquistano la possibilità di vedere in età post-adolescenziale, come può avvenire per
trapianto di cornea o operazione di cataratta congenita, riacquistano, anche dopo lungo
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allenamento, una vista molto parziale, limitata a luce, buio, grossolane forme e i colori, lo
sviluppo della visione dei quali non sembra essere influenzato dall’esperienza. L’esperienza
non è però solamente importante per lo sviluppo del sistema nervoso, ma anche per il
mantenimento della sua funzione. È noto, ad esempio, che movimenti raffinati, non usati per
lungo tempo diventano difficili da eseguire. In generale il circuito nervoso non usato tende a
diventare più fiacco, come del resto i muscoli, che non esercitati, diventano più flaccidi. Se è
utile il jogging per mantenere il sistema neuromuscolare in forma, è necessario anche un
jogging cerebrale per mantenere il sistema nervoso in buona funzione.
L’aumento della memoria collettiva implica che gran parte delle conoscenze diventano
comuni. Conoscenze comuni danno luogo statisticamente, anche se non necessariamente a
livello individuale, a programmi di vita comuni, desideri e orizzonti di vita collettivi. Da
questo grande cervello comune possono originarsi, come conseguenza o epifenomeno di
fenomeni ritenuti vantaggiosi, conseguenze non desiderabili. Un’omologazione del pensiero,
nel senso di idee, conoscenze ed aspirazioni comuni, distrugge la dialettica del pensiero
stesso, cioè la lotta tra le idee, il prevalere dell’una sull’altra, la selezione di programmi più
convenienti. In una parola diminuisce il livello dell’attività corticale per antonomasia e cioè
quello della critica, del continuo lavoro che il cervello fa per comparare attività nervose,
selezionare, respingere, accettare. Sono queste le proprietà cerebrali che si ritengono alla
base della vita intellettuale e che neurofisiologicamente sono essenziali per mantenere un
buon funzionamento del sistema nervoso.
La grande facilità delle comunicazioni rende una gran parte del mondo come un grande
villaggio, a cultura omologata. Nel villaggio globale la cultura in fondo è provinciale, perché
il comportamento dei suoi componenti diventa simile per la mancanza di raffronti stimolanti.
La desolazione di Pasolini nel vedere scomparire la civiltà contadina era in questo senso
premonitrice. Un cervello globalizzato incute timore, e i suoi componenti per riacquistare
individualità ricorrono spesso agli stratagemmi più impensati, come agli anelli all’ombelico o
al naso.
Diceva S. Paolo nella lettera ai Romani “Non conformatevi alla mentalità del secolo.
Trasformatevi rinnovando la vostra mente” (Rm. 12, 2).
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Letture consigliate
L. Bolzoni, La rete delle immagini, Einaudi, Torino 2002
R. R. Kandel, J. H, Schwartz, T. M. Jessell, Principles of neural science. Elsevier
Science publications, New York 2000
J.-P. Changeux, L’homme de verité, Copyrights Editions Odile Jacob, Paris 2002
L. Maffei, Il mondo del cervello, Laterza, Bari 199
L. Maffei, A. Fiorentini, Arte e Cervello, Zanichelli, Bologna 1995
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