Sapienza Rivista di Filosofia e di Teologia PPeerriiooddiiccoo ttrriim meessttrraallee ddeeii D Doom meenniiccaannii dd’’IIttaalliiaa –– NNaappoollii AAnnnnoo LLXXIIIIII ((22001100)),, nn.. 33//44 –– LLuugglliioo –– D Diicceem mbbrree NNaappoollii 1155 nnoovveem mbbrree 22001100,, pp.. 332266--334499 A. Rosmini, il suo rapporto con la filosofia tedesca e … un bilancio (doverosamente) critico DI ANGELO MARCHESI Indice Un prezioso e determinante contributo critico di G. B. Sala................... 4 Analisi della ricezione rosminiana ............................................................ 4 Una riprova in Kant nelle pagine della Critica della Ragion Pura ......... 6 Le prese di posizione di Rosmini nei confronti di Fichte e di Hegel...... 7 Sulla vicenda delle condanne subite da Rosmini nel sec. XIX ................ 8 Su l’importanza di Rosmini per il pensiero post-hegeliano.................... 9 Un saggio sospeso tra prospettive monastiche hegeliane e prospettive metafisiche rosminiane ..................................................... 12 Sull’essere iniziale..................................................................................... 13 Altre «variazioni» nel saggio di Schulz .................................................. 14 L’essenza dell’essere: lo scotismo di Hegel e il tomismo di Rosmini... 15 Sull’essere iniziale..................................................................................... 16 È possibile una metafisica dopo Hegel? ................................................. 16 L’io tra finito e infinito. Rosmini dopo Hegel ........................................ 18 1 Sulla ragione. Rosmini e la filosofia tedesca1 è un voluminoso insieme di saggi, dovuti a vari studiosi del pensiero filosofico rosminiano, curato e introdotto da un denso saggio di Markus Krienke su Rosmini e la filosofia tedesca. Stato della ricerca e prospettive2, edito in occasione del 150° anniversario della morte di Antonio Rosmini (1797-1855) e frutto di un apposito convegno internazionale svoltosi a Como, presso la Villa Vignoni, dal 27 aprile al 1° maggio del 2005. Non è facile addentrarsi nelle oltre seicento pagine del tale volume, ma vale la pena di seguirne le tre ripartizioni per capire anche il senso di determinate possibili, anzi doverose, critiche alla riproposizione, talora troppo … entusiasta, del «sistema filosofico» dell’illustre Roveretano. Il volume infatti si divide in tre parti: una prima parte si intitola: La presenza di Kant e degli idealisti tedeschi nell’opera di Rosmini (pp. 111-299) e comprende sette contributi che analizzano la presenza e l’influsso del pensiero kantiano e dell’idealismo tedesco nelle opere di Rosmini; una seconda parte si intitola: Discussione critica della ricezione rosminiana (pp. 301-447) e comprende essa pure sette contribuiti che analizzano e confrontano le differenze del pensiero filosofico rosminiano rispetto alle prospettive di Kant e dell’idealismo tedesco (Fichte, Schelling e Hegel); infine una terza parte si intitola: L’importanza di Rosmini per il pensiero post-hegeliano (pp. 449-663) e abbraccia ben nove contributi, variamente intesi a sottolineare gli apporti teoretici e la riproposizione del discorso metafisico, contenuta nelle opere (anche postume) di Rosmini, in notevole differenziazione - contrapposizione rispetto all’immanentismo hegeliano. Dieci pagine di opportuna recente bibliografia su Rosmini completano poi il volume. Operata questa sintetica presentazione dell’opera, resta ora l’incombente onere di recensirla e di indicare i pareri condivisibili e gli eventuali dissensi su alcune tesi presenti nei diversi saggi. Per quanto attiene al primo gruppo di saggi3 sulla presenza di Kant e degli idealisti nell’opera di Rosmini, mi sembra significativo quanto Carlo Maria Fenu ha esposto nel suo contributo4 sulla «ricezione critica» che Rosmini ha fatto (di Kant e dell’idealismo tedesco) nella stesura delle sue diverse opere sino alla vastissima e postuma Teosofia. Di fatto, B. Spaventa e G. Gentile, come interpreti di Rosmini, hanno insistito - come emerge nel saggio di Fenu - a leggere il rosminiano «Nuovo saggio sull’origine delle idee» come un’accettazione (almeno implicita) del dualismo gnoseologistico kantiano, che doveva poi sfociare nell’idealismo tedesco, con la pertinente eliminazione del dualismo acritico fenomeno-noumeno e con l'assolutizzazione del soggetto pensante e dialettizzante hegeliano. Non sembra però - a chi scrive - che Rosmini sia stato in grado, con la sua tesi dell’idea dell’essere iniziale (che sarebbe «innata» e posseduta dal soggetto conoscente, prima di giungere alla ricezione del molteplice delle sensazioni) di aver realmente e criticamente superato il kantismo e G. Gentile ebbe buon gioco - come ricorda Fenu5 - a dubitare che Rosmini avesse davvero confutato la prospettiva idealistica hegeliana, proponendo in reale e valida alternativa la metafisica classica della trascendenza. Analoghi dubbi sulla effettiva capacità della concezione gnoseologica di Rosmini di superare criticamente la gnoseologia di Kant mi sembra sorgano anche nel saggio precedente di F. De Gior1. Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Catanzaro), 2008, 680 pp. 2. Op. cit., pp. 31-108. 3. Che fa seguito al suddetto saggio introduttivo di Markus Krienke e che riguarda la ricezione del pensiero rosminiano lungo il secolo XIX, prima e dopo la sua scomparsa (1855), in cui assunse notevole rilievo il dissenso di V. Gioberti sulla dottrina della conoscenza, proposta da Rosmini con l’intento di ovviare al criticismo e allo scetticismo kantiano, mentre, a giudizio di Gioberti, questo intento rosminiano non approdava ad un esito valido e convincente. 4. La ricezione critica di Kant e dell’idealismo tedesco dalle opere giovanili fino ai primordi della Teosofia, pp. 193-230. 5. Saggio, cit., cfr. p. 225 e nota 94. 2 gi, in cui emerge la (non sanata) contrapposizione tra ambito della sensibilità empirica e apriorismo dell’idea dell’essere. Segue, nell’indagine espositiva sulla «presenza di Kant e degli idealisti tedeschi nell’opera di Rosmini», il saggio di Pier Paolo Ottonello, inteso a documentare l’atteggiamento assunto da Rosmini, nella sua vasta «Teosofia» (iniziata il 14 aprile del 1846) e redatta assieme al noto Saggio storico critico sulle categorie (del 1846), opere nelle quali il Roveretano6 prende posizione contro la pretesa dogmatica hegeliana del «pensare assoluto», costruendo - dice sempre Rosmini - un «sistema dell’idealismo soggettivo sull’erronea attribuzione alla mente umana del principio che la fa non solo intuente, ma anche percipiente dell’essere»7. Ottonello, fa notare, nel suo citato contributo8, che occorreva - nei lavori del Convegno - svolgere sulla Teosofia rosminiana più di una relazione specifica al fine di vedere come e perché Rosmini avesse criticato l’idealismo tedesco e soprattutto Hegel. Ottonello riporta poi un passo tolto dalla Teosofia in cui Rosmini rileva che Hegel «ignora la differenza fra il conoscere per intuizione e il conoscere per affermazione»9. Ora è il caso di notare che, in entrambi i passi citati, qui sopra, dalle opere di Rosmini, è sottesa la tipica convinzione gnoseologica rosminiana secondo la quale il soggetto umano, nel processo conoscitivo, si articola in due tempi: prima esso riceve a priori l’idea dell’essere (o essere iniziale, come altrove lo denomina Rosmini), poi, sulla scorta delle percezioni sensibili, il soggetto giunge all’affermazione dell’essere, nel giudizio. Proprio sulla base di questa duplicità del processo conoscitivo umano (che Gioberti criticherà severamente ne Gli errori filosofici di A. Rosmini), il Roveretano riteneva di poter e dover sostenere addirittura che «la materia per Hegel non è che un momento dell’idea, di maniera che l’idea si converte anche in materia»10, e, sempre Rosmini, aggiungeva che questo poggiava sul «pregiudizio hegeliano che il concetto o pensiero sia l’essere e che l’essere non sia che il concetto o il pensiero»11. Ancora Rosmini, poche pagine dopo, sempre nella Teosofia, ritiene di dover concludere, in merito alla prospettiva idealistica hegeliana, con queste parole: Hegel, «mentre si propone di trovare il pensare speculativo, razionale, ultimo, perfetto […], poi scambia questo pensare col comune, imperfetto, e col dialettico»12. Ottonello commenta questi passi critici di Rosmini nei confronti di Hegel scrivendo che «Hegel costruisce il sapere assoluto su una sequela di confusioni fondamentali, con sofismi conseguenti: l’idea assoluta hegeliana è frutto di un cumulo di assurdi che fanno paradossalmente coesistere un panteistico spiritualismo assoluto con un potenziale assoluto materialismo e con un radicale nichilismo», tanto che Rosmini - sempre nelle pagine della Teosofia - scriverà che il sistema hegeliano «reca nei suoi visceri il germe della sua assoluta confutazione e distruzione»13, anticipando in tal modo quello che accadrà allo storicismo assoluto hegeliano con l’avvento del nichilismo di Nietzsche. 6. Che in quello stesso periodo redigeva il testo «Degli studi dell’autore», poi confluito (assieme ad altri scritti e «Lettere» a suoi amici) nel noto suo volume Introduzione alla filosofia (1850), assieme all’importante suo scritto intitolato: Sistema filosofico, volume ora edito da Città Nuova, Roma, 1979 (490 pp.), a cura dello stesso P. P. Ottonello. 7. Il testo è desunto dalla Logica di Rosmini (del 1850-1851), ora in ed. crit., Città Nuova, Roma 1984; qui pp. 40-42 e 763. Cfr. citaz. nel saggio di P. P. Ottonello, a p. 238. 8. Cfr. saggio a p. 240. 9. Cfr. Teosofia, (sei voll.) nella ed. crit. voll. 12-17, ed. Città Nuova, Roma, 1998-2002; qui p. 1763. Nel saggio di Ottonello, cit. p. 243. 10. Cfr. Teosofia, ed. cit. p. 826, nota 68. Nel saggio di Ottonello, cit. p. 243. 11. Cfr. Teosofia, ed. cit. p. 1820. 12. Cfr. Teosofia, ed. cit. p. 1837. Nel saggio di Ottonello, cit. p. 243. 13. Cfr. Teosofia, ed. cit. p. 1837. Nel saggio di Ottonello, cit. p. 244 (fine). 3 Quello che però - ad avviso di chi scrive - resta in sospeso e ancora sub juduce, nella concezione di Rosmini, è quella contrapposizione dualistica e gnoseologistica che egli ritiene di rinfacciare e rimproverare anche a Hegel14 sulla dualità tra pensare a priori l’idea dell’essere e il concreto percepire conoscitivo del soggetto umano, mentre l’idealismo tedesco e (in seguito) l’attualismo gentiliano e la stessa fenomenologia husserliana (con la tesi della intenzionalità conoscitiva umana) elimineranno compiutamente tale equivoco ed acritico gnoseologismo della filosofia dell’età moderna. Un prezioso e determinante contributo critico di G. B. Sala Proseguendo l’analisi dei successivi contributi del volume in esame, si trova proprio il puntuale e prezioso contributo di Giovanni B. Sala15, intitolato: Rosmini critico della teoria della conoscenza di Kant16, saggio che forse valeva la pena di collocare all’inizio del volume per la chiarezza critica con cui l’autore precisa la prospettiva gnoseologica rosminiana nei confronti del kantismo. Per ora, tuttavia, seguiamo l’ordine in cui compaiono i successivi contributi. Dopo quello appena esaminato di P. P. Ottonello, troviamo infatti il saggio di Fr. Percivale su Rosmini e la Germania (pp. 245-255). Nelle poche pagine di tale saggio emerge la prova dell’interesse che Rosmini aveva per la produzione del pensiero teologico e filosofico tedesco, ritenendo quello teologico (cattolico), migliore e privo di errori dottrinali, rispetto a quello dei filosofi (tedeschi) che egli vedeva inficiati di «ontologismo». A questo saggio segue un lungo contributo di Maria Luisa Ficco (ricercatrice dell’Univ. di Genova), che recensisce la Presenza di Leibniz nel pensiero di Rosmini (pp. 257-299) e mostra come il Roveretano avesse conoscenza diretta dei Nouveaux Essais sur l’Entendement humain di Leibniz, in cui egli trovava temi analoghi a quelli che egli intendeva proporre nel suo Nuovo Saggio sull’origine delle idee (del 1830), anche se, per Rosmini, Leibniz non aveva saputo porre in modo corretto la questione del rapporto fra la sostanza corporea e quella spirituale, data la ben diversa concezione leibniziana dei corpi, anch’essi visti come monadi17. Analisi della ricezione rosminiana Passando ora alla «seconda parte» del volume, che prevede la «Discussione critica della ricezione rosminiana» nei confronti della filosofia tedesca del suo tempo18, notiamo che essa offre inizialmente al lettore il già nominato saggio di G. B. Sala: Rosmini critico della teoria della conoscenza di Kant19, che merita un attento esame per i rilievi critici sulla concezione della gnoseologia rosminiana, rilievi che non abbiamo trovato così chiaramente esposti in altri saggi. Dopo aver ricordato, opportunamente, che i «punti di riferimento» di Rosmini gnoseologo erano allora: il sensismo del Saggio sull’intelletto umano di Locke, il Trattato delle sensazioni di Condillac e l’idealismo (o, meglio, l’estetica e la logica trascendentale) di Kant, mentre, per il «filone cristiano», c’erano gli influssi del pensiero di Agostino sino agli apporti della Scolastica medievale e dell'allora «incipiente Neotomismo», Sala precisa che: «Rosmini imposta la sua dottrina della conoscenza come una ricerca sull’origine delle idee», cosicché il suo Nuovo saggio sull’origine delle idee, risulta maggiormente «incentrato più sull’idea, quale prodotto della mente che non sull’esame (effettivo) del processo conoscitivo, il quale - precisa qui Sala - partendo dall’esperienza arriva a conoscere la real- 14. Mentre si sa che l’idealismo tedesco postkantiano ha rimosso l’equivoco e l’acrisìa del dualismo fenomeno-noumeno, propri di Kant. 15. Già docente di filosofia a Monaco e specialista sui temi della filosofia kantiana. 16. Cfr. Sulla ragione, cit. (seconda parte), pp. 303-327. 17. Cfr. saggio cit. della Ficco, alle pp. 296-297. 18. Questa «seconda parte» critica occupa le pp. 301-447, e contiene sette contributi. 19. Il saggio occupa le pp. 303-327. 4 tà»20. È un rilievo iniziale, questo, tutt’altro che secondario; ed infatti, in nota, Sala fa rilevare che l'esame del processo conoscitivo umano è «possibile, essendo tutte le fasi di tale processo conscie, cioè note a noi in quella esperienza interna che è la coscienza. Un siffatto esame conduce a mettere in luce le norme immanenti al processo conoscitivo stesso»21. In queste meditate parole Sala mostra già che la presunta intuizione a priori dell’idea dell’essere, sistematicamente asserita e sostenuta da Rosmini, come presupposto apriorico (in noi infuso da Dio) per il successivo processo conoscitivo umano (presupposto di cui noi non abbiamo effettiva coscienza), è frutto di una impostazione del processo conoscitivo che rompe in due parti (o momenti e fasi) quello che è il nostro concreto unitario esperire della realtà, così come essa si offre al nostro conoscere, senza presupposizioni aprioriche di «idea dell’essere». Richiamando gli influssi del sensismo di Locke e della conoscenza a priori dell’universale patrocinata da Thomas Reid (1710-1796) sul pensiero di Rosmini, Sala fa notare, sulla scorta di puntuali rinvii ai paragrafi numerati del Nuovo Saggio sull’origine delle idee, che «Rosmini spiega che il giudizio in questione22 consiste nell’unire un oggetto sentito con l’idea di esistenza, che egli già dichiara essere innata, anticipando così il nucleo della sua Ideologia»23, ed esponendosi - come di fatto storicamente e teoreticamente avvenne - alla critica serrata di V. Gioberti che rimproverava a Rosmini, come si sa, di non avere superato, con la sua dualistica gnoseologia, lo «psicologismo soggettivo», rimanendo in tal modo irretito nel dualismo gnoseologistico kantiano (anche se con un solo a priori, invece che con le dodici aprioriche categorie soggettivistiche kantiane). Sempre G. B. Sala rileva qui che, «Mentre Kant riprese rigorosamente il principio (sensistico) di Locke secondo cui tutte le nostre cognizioni vengono dall’esperienza, cercò al tempo stesso di dar conto di ciò che, nella nostra conoscenza, non può venire dai sensi. Ma all’apriori da lui (Kant) ammesso negò qualsiasi valenza realista. Perciò il passo avanti nella direzione giusta [cioè contro il sensismo relativistico] - il riconoscimento di un apriori nella mente umana24 - portò di fatto ad un risultato disastroso, cioè a dichiarare l’uomo incapace di qualunque sapere circa la realtà e quindi a condannarlo ad uno scetticismo perfetto al quale egli (Kant) diede il nome di criticismo»25. Il nostro Autore si prende poi la briga di spiegare come effettivamente si articola - per Kant - la conoscenza umana e scrive che, in Kant, vi sono «una parte a priori, che ne fonda il carattere universale e necessario, e una parte a posteriori contingente e particolare. In occasione delle sensazioni noi percepiamo enti esteriori26 i quali - questo è il risultato dell’analisi kantiana dell’Erfahrung (cioè: dell’esperienza) - sono composti da una materia fornita dalle sensazioni e da una forma, cioè da qualità poste dallo spirito stesso: le due forme (o intuizioni) del senso e le dodici categorie dell'intelletto»27. 20. G. B. SALA, saggio cit., p. 303. 21. Saggio cit., p. 303, nota 2. 22. Sull’affermazione dell’esistenza dei corpi asserita dal suddetto Thomas Reid. 23. Saggio cit., p. 305. 24. Anche se tale «riconoscimento» dovrebbe fare i conti con quanto asserito da Aristotele e da Tommaso d’Aquino con l’affermazione secondo cui «ogni nostra conoscenza prende inizio dai sensi» (initium a sensu sumit!) e che «senza stimoli sensibili l’anima nostra non pensa niente!», in quanto la nozione stessa di «essere» o di «positivo» (come notava già Leibniz!) nasce con la stessa esperienza del sensibile. 25. Saggio cit. p. 305. Per brevità (e ulteriore chiarimento di quanto richiamato nelle nota 24) ci permettiamo di rinviare ad un saggio dello scrivente: Kant nell’interpretazione di G. Bontadini e in alcune interpretazioni più recenti, in «Aquinas», Roma (A. XLVII), n. 3, 2004, pp. 671-684. 26. Sarebbe qui interessante chiedersi dove comincia l’esteriore di questi «enti» e rispetto a quale ... soglia interiore! 27. Cfr. Saggio cit. pp. 305-306. Sala rinvia anche ai passi corrispondenti nel Nuovo Saggio di Rosmini sul pensiero kantiano. 5 Sala fa qui giustamente notare che, mentre Rosmini attribuiva a Kant il merito di aver «superato il sensismo», in quanto, alla mera esperienza sensibile, faceva seguire l’intendere dell’intelletto con le sue dodici categorie, non si accorgeva che, con il «criticismo kantiano», la conoscenza umana era rinchiusa nell’ambito del «meramente fenomenico» e che il livello del discorso metafisico era da Kant del tutto precluso all’uomo, così come la conoscenza della effettiva realtà28. Nelle pagine successive (pp. 311-320) Sala, con una continua documentazione e rinvio ai passi del Nuovo Saggio di Rosmini, mostra come la dottrina gnoseologica del Roveretano, incentrata sulla duplice fonte dell’idea dell’essere e della percezione intellettiva, sia ben lungi dal garantire la certezza della conoscenza del reale. Sala rileva infatti, facendo l’esempio della conoscenza di una «casa», che «la rosminiana idea innata dell’essere possibile, quale essere indeterminato, è sì in grado di spiegare l’esistenza della casa, ma non che questo esistente sia una casa. Dire che la determinazione “casa” proviene dal contenuto della sensazione non basta, se non si chiarisce come l’intelletto venga a conoscere tale contenuto. Il richiamo all’identità del soggetto senziente e intelligente non basta. Siffatta identità è la premessa indispensabile alla conoscenza in questione, ma non è l’operazione necessaria per acquisire tale conoscenza»29. Sala nelle pagine conclusive del suo accurato saggio richiama opportunamente la tesi essenziale e fondamentale della intenzionalità conoscitiva umana (così come viene sottolineata nella concezione della conoscenza in Tommaso d’Aquino)30 colta nel suo continuo dinamismo conoscitivo, che procede ad un continuo approfondimento di ciò che è stato percepito inizialmente. Una riprova in Kant nelle pagine della Critica della Ragion Pura Abbiamo, a riprova dell’asserita primalità ed ineliminabilità dell’io pensante (nel processo conoscitivo umano), proprio in un passo kantiano della Critica della Ragion pura, collocato non certo a caso nelle pagine dell’Analitica trascendentale in cui Kant scrive: «L’io penso (Das ich denke) deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni (Vorstellungen), poiché, se così non fosse, in me verrebbe rappresentato (in mir vorgestellt werden) qualcosa che non potrebbe essere affatto pensato: il che vuol dire, in altri termini, o che la rappresentazione (Vorstellung) diventerebbe impossibile o che essa - almeno per me - non sarebbe nulla» e, aggiunge Kant: «… ogni molteplice dell’intuizione (Anschauung) ha un rapporto necessario con l’io penso»31. Come si vede dal passo citato, anche Kant segnava il passaggio alla primalità dell’io, del soggetto, nel processo conoscitivo, passaggio critico che sarebbe stato operato compiutamente dall’idealismo tedesco con la eliminazione (doverosamente critica!) del dualismo kantiano tra mondo fenomenico e mondo noumenico e con la re-istituzione della possibilità del discorso metafisico (che l’idealismo hegeliano intendeva proporre in chiave immanentistica e storicistica!). Di tutto questo trapasso critico avvenuto nell’idealismo tedesco, Rosmini non si rese ben conto e venne perciò interpretato (da B. Spaventa e da G. Gentile) come il «Kant italiano», che avrebbe aperto la strada a Gioberti (da Spaventa inteso come « l’Hegel italiano»), mentre Gioberti aveva invece asserito, con forza, la sua «formula ideale»: l’Ente crea l’esistente, contraddicendo una lettura idealistico-immanentistica del suo pensiero filosofico (che criticava - come si è già detto - la concezione dualistica gnoseologica di Rosmini)32. 28. Cfr. saggio cit., p. 306 e nota 16. 29. Saggio cit., pp. 319 e ss.! 30. Saggio cit., pp. 315 e 325. 31. KANT, Critica della Ragion pura, Analitica trascendentale, § 16; ed. ital. e tedesca, Bompiani, Milano 2007; pp. 240241. 32. Come ha documentato il citato saggio di G. B. Sala, motivatamente critico nei confronti della concezione gnoseologica rosminiana. 6 Pertanto - ad avviso di chi scrive - occorre leggere ed analizzare i saggi successivi tenendo conto dei pertinenti (ed inevitabili!) rilievi critici presentati nel saggio di G. B. Sala (e da noi pienamente condivisi) riguardanti la concezione della conoscenza delineata da Rosmini. Le prese di posizione di Rosmini nei confronti di Fichte e di Hegel A questo riguardo, non interessano qui direttamente i due saggi successivi33 di Friedo Ricken (di Monaco) e di Juan F. Franck (di Buenos Aires ), entrambi dedicati ai problemi della morale rosminiana e kantiana, quanto il saggio successivo34 di Harald Schönford (Univ. di Monaco) intitolato: La critica di Rosmini a Fichte, in cui l’autore mostra che non è facile, da parte di Rosmini, confutare l’asserzione dell’autocoscienza originaria fichtiana di Io e di non-Io, pretendendo di proporre la (rosminiana) divisione-separazione tra momento dell’apriori coscienziale e momento della molteplice recettività passiva della sensibilità, mentre lo stesso Schönford fa notare che, su questo punto, Tommaso d’Aquino era concorde con Aristotele nel sostenere che: «l’uomo è per essenza composto da corpo e anima, cosicché anche la sua conoscenza deve coinvolgere entrambi gli elementi e deve essere quindi non solo spirituale ma anche sensibile»; quindi la coscienza e l’autocoscienza devono essere concepite in un rapporto intrinseco e non riferirsi ad un atto precedente come qualcosa di «altro» da esso35. Analoghe tematiche emergono nelle letture che Rosmini fece dell’opera schellighiana e che Wilhelm G. Jacobs (Univ. di Monaco) documenta con questo passo desunto dalla Teosofia in cui Rosmini rileva: «La differenza che lo parte36 dal Fichte è forse più di parole che d’altro: poiché l’un e l’altro traggono lo spirito e il mondo esteriore dall’Io: nel Fichte il Mondo esteriore pare anch’egli un’idea; lo Schelling volle provarlo una realtà. Ma il Mondo e ogni cosa riman sempre un effetto dell’Io, e l’Io stesso è un effetto di se stesso»37. Rosmini assumerà poi maggiore rilievo nel suo contrapporsi alla concezione dialettica e storicistica hegeliana, come risulta dal successivo saggio di Silvio Spiri dedicato a La dialettica rosminiana e la dialettica hegeliana38. Spiri fa opportunamente rilevare che, «Per stabilire un confronto speculativo tra Rosmini ed Hegel sul problema della dialettica, occorre subito rilevare che la convergenza tra i due è nell’apriorità dell’essere»39. Quindi aggiunge, a valido chiarimento del confronto tra i due pensatori: Rosmini osserva che la contraddizione, causa del movimento dialettico, come sostiene Hegel, non è - a suo giudizio - attribuibile all’essere, ma alla limitazione del nostro concepire. Pertanto l’idea (vista da Hegel come momento iniziale) è sostanza e soggetto comune di tutte le cose, mentre per Rosmini l’idea è solo oggetto di intuizione (umana), forma della mente e mezzo di cognizione; l’idea inoltre, per Hegel, è l’essere indeterminato e il nulla; per Rosmini invece l’idea dell'essere indeterminato non è il nulla, sebbene sia non-ente; l’idea di Hegel (che è l’indeterminato) diviene dialetticamente e realmente ogni cosa, mentre, per Rosmini, nella percezione intellettiva, la mente attribuisce l’essere ideale al sentito, apprende quest’ultimo come ente, ma questo rimane sempre diviso dall’essere reale, come il divino dall’umano, il necessario dal contingente40. 33. A quello del citato G. B. Sala. 34. Cfr. Sulla ragione, cit., pp. 359-382. 35. Cfr. saggio cit., pp. 380 e 381. 36. Che divide cioè Schelling da Fichte. 37. ROSMINI, Teosofia, 247, n. 5. Cfr. Saggio cit., p. 393. 38. Saggio cit., pp. 401-424. 39. Saggio cit., p. 402. 40. Saggio cit., pp. 407-408. Cfr. le analogie con i rilievi fatti da G. B. Sala nel suo apprezzato saggio critico sulla dottri- 7 S. Spiri fa anche notare che la dialettica hegeliana ha come tre momenti: un primo momento intellettivo (del Verstand); un secondo momento dialettico in cui avviene il passaggio dal molteplice finito all’infinito, per assurgere, mediante l’Aufhebung, al terzo momento conclusivo e speculativo della Ragione (Vernunft)41. Sempre Spiri, esponendo poi «la critica di Rosmini ad Hegel», fa notare che il Roveretano imputa ad Hegel il fatto che con la negazione e la negazione della negazione «con tutto ciò non è andato fuori del contingente né ha potuto trovare cosa che sia veramente eterna e veramente prima» e che, d’altro canto, «… il movimento dialettico non istà nel negare solamente, ma egualmente nell’affermare»42. Concludendo il suo interessante saggio, Spiri richiama la definizione di idealismo, fornita da Hegel nella sua Scienza della Logica, dove si legge: «L’idealismo della filosofia consiste soltanto in questo, nel non riconoscere il finito come il vero essere»43. Ora è il caso di osservare che - a prescindere da fatto che Hegel aveva, con l’idealismo tedesco, eliminato il dualismo presupposto kantiano di fenomeno e noumeno - (eliminazione critica che Rosmini non aveva ben avvertito), Rosmini non poteva ritenere di poter superare validamente il panlogismo hegeliano contrapponendogli la tesi secondo cui «l’Essere ha tre forme, o modi primordiali: l’idealità, la realtà, la moralità», cioè: «le tre mie somme categorie, a cui richiamo tutte le cose»44. Quello che occorreva attingere nei confronti dell’hegelismo (storicistico e dialettico), così come nell’unitario panteismo schellinghiano di natura e spirito, era la confutazione dell’immanentismo e «l’assolutizzazione del divenire per il divenire», che infatti risulterà essere l’assurdo che minerà l’intero edificio hegeliano, con la dissoluzione dello storicismo non solo tedesco, ma anche crociano, in Italia, nella prima metà del Novecento. Sulla vicenda delle condanne subite da Rosmini nel sec. XIX Passando ora al saggio di Luciano Malusa circa Le accuse a Rosmini di compromissione con il pensiero moderno, e tedesco in particolare45, in cui l’autore intende occuparsi - come ha già scritto altrove delle aspre critiche rivolte a Rosmini da parte dei «filosofi neotomisti del sec. XIX», critiche che confluirono poi nel famoso Decreto «Post obitum» del 14 dic. 1887, con la condanna di 40 proposizioni tolte dalle opere di Rosmini46, sappiamo (come ha cura di informare anche Malusa) che, in data 1° luglio 2001, la «Congregazione per la Dottrina della Fede» ha emanato una «Nota sui valori dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del R. Sacerdote Antonio Rosmini Serbati» in cui si richiamano le vicende delle passate prese di posizione dell’allora «S. Ufficio» e si chiariscono i termini e le condizioni di trascorsi equivoci in merito a certe tesi rosminiane (poco certificate da testi non ben intesi o insicuri nelle ediz. postume). Tenuto conto di tutto questo e di certe interpretazioni (del pensiero di Rosmini) date da pensatori non cattolici, il citato nuovo documento (del 2001) «considera ormai superati i motivi di preoccupazione e di difficoltà dottrinali che hanno determinato la promulgazione del (citato) Decreto “Post obitum” di condanna delle “quaranta proposizioni” tratte dalle opere di A. Rosmini …». na gnoseologica di Rosmini. 41. Saggio cit., pp. 416-418. 42. I passi citati sono desunti dalla Teosofia, 1901. Cfr. saggio cit., p. 418-419. 43. Saggio cit., pp. 431-432. 44. Come Rosmini ribadisce nel testo di una sua lunga e dettagliata Lettera a Baldassarre Poli (del 6 febbr. 1837), riportata da Spiri nel suo saggio (cfr. pp. 422-423) e riprodotta ora nel noto volume rosminiano intitolato: Introduzione alla Filosofia (del 1850) e ora edito nelle Opere di Rosmini, Città Nuova, Roma 1979; (qui p. 360). 45. Cfr. saggio, pp. 425-447. 46. Dopo la sua morte avvenuta il 1 luglio del 1855. Il citato Decreto «Post obitum» è contenuto nel noto Enchiridion Symbolorum di DENZINGER-SCHÖMETZER (Herder, Romae, (ed. XXVI) 1976, pp. 623-628. 8 Lo stesso documento aggiunge poi un’opportuna precisazione in cui si legge: «Resta tuttavia affidata al dibattito teoretico (!) la questione della plausibilità o meno del sistema rosminiano stesso, della sua consistenza speculativa e delle teorie o ipotesi filosofiche e teologiche in esse espresse»47. Abbiamo preferito documentare con precisione testuale questa complessa «questione rosminiana», che, giustamente, il recentissimo «documento» della Congregazione citata affida alla futura discussione e agli approfondimenti della ricerca filosofica e storiografica degli studiosi interessati a tali temi. Riteniamo pertanto che L. Malusa, avrebbe fatto bene a riportare, anche lui, il passo citato del documento magisteriale, invece di continuare ad insistere nella denuncia delle esasperate tesi di P. Cornoldi e su certe interpretazioni esagerate dei «consultori» (del set. XIX) Mazzella e Satolli48, che ormai risultano superate da più equilibrate valutazioni storiografiche. Peraltro non ci sembra il caso - come fa Malusa - di parlare, a proposito di Rosmini, di «condanna» del «massimo esponente del pensiero cristiano, in Italia», così come non sembra il caso di criticare un numero della Rivista di filosofia neoscolastica del 1955, monograficamente dedicato a Rosmini (in occasione del centenario della sua morte), solo perché in esso non si condividevano le tesi gnoseologiche proposte dal Roveretano49. Su l’importanza di Rosmini per il pensiero post-hegeliano Si arriva quindi alla «terza parte» conclusiva del volume in esame, dedicata a: L’importanza di Rosmini per il pensiero post-hegeliano50. In questa terza parte il primo saggio è quello di G. Lorizio, intitolato: La Rivelazione fra teologia e filosofia: Rosmini e Schelling. Pensiero rivelativo e intuizione intellettuale51. L’autore del saggio cerca di istituire un certo confronto con il tema (rosminiano) dell’intuizione intellettuale, che Lorizio presenta come «figura del pensiero rivelativo»52. Lorizio, alla tesi rosminiana dell’«atto (ricettivo) dell’anima, pel quale ella riceve la comunicazione dell’essere intelligibile, ossia ideale»53, per cui - sempre secondo Lorizio - «la sua funzione propriamente rivelativa viene ad inscriversi in un orizzonte di originaria recettività connessa alla dimensione antropologica dell’automanifestazione di Dio»54, contrappone un passo della hegeliana Fenomenologia dello Spirito in cui Hegel si oppone a coloro che invece sosterrebbero che «il vero» si incontra nell’intuizione, o nel sapere immediato, o nella religione o nell’essere, visto come il «contrario della forma concettuale»55. Ora, a parte il fatto che il confronto intendeva essere qui con Schelling e non con Hegel, bisogna ricordare che Hegel polemizzava con chi (come Schleiermacher) pretendeva di contrapporre la «ragione» e la capacità concettuale conoscitiva umana ad un presunto compartimento stagno del sentimento o dell’intuizione sensibile, senza avvedersi che la capacità del pensiero era proprio aperta anche a questi aspetti e momenti dell’esperire umano e quindi la contrapposizione risultava artificiosa e infondata56. Ritornando quindi al rapporto Rosmini - Schelling, occorre notare che la contrapposizione di 47. Cfr. CONGREGATIO PRO DOTTRINA FIDEI, Documenta (dalla fine del Concilio Vat. II, dal 1966 al 2005; qui v. pp. 576-579. 48. Cfr. MALUSA, saggio cit., pp. 436-444. 49. Cfr. saggio cit., p. 445. 50. Sulla ragione, cit., pp. 449-663. 51. Cfr. pp. 487-507. 52. Saggio cit., pp. 497-504. 53. Come si evince dal passo desunto dai volumi della rosminiana Psicologia, qui, p. 53. Cfr. saggio cit., p. 499. 54. Saggio cit., p. 499. 55. Cfr. Fenomenologia dello Spirito, ediz. it. Bompiani, Milano 2004, pp. 54-59. Cfr. saggio cit., p. 498. 56. Si veda HEGEL, Lezioni sulla filosofia della religione, nuova ed. Laterza, Bari 1983 (3 voli.). Cfr. vol. I, pp. 142 e 217. 9 Rosmini agli idealisti tedeschi consisteva nel rilevare che questi ultimi pretendevano di sostenere la creatività totale del pensiero umano e dell’Io, contro la prospettiva sostenuta da Rosmini. Che poi Schelling, nell’ultima fase del suo pensiero, idealistico e romantico, sia passato alla filosofia positiva ed alla filosofia della rivelazione, ciò è avvenuto in modo non certo simile alle tesi teologiche sostenute da Rosmini, come emerge - ad esempio - dall’accurata e lunga esposizione dell'evoluzione del pensiero filosofico e teologico di Schelling (stesa da C. Ciancio per la recentissima edizione57 dell’Enciclopedia Filosofica, vol. X, pp. 10133-10146), tutt’altro che incline, come si sa, a posizioni, filosofiche e teologiche … rosminiane. Sicuramente più interessante è il successivo saggio di Jan Röhls (Univ. di Monaco), intitolato: Rosmini, Hegel e la metafisica58. In apertura l’autore richiama l’atmosfera filosofico-culturale che si era andata creando, in terra tedesca, negli anni 1820/1823 attorno alla rivista Concordia, curata da Friedrich Schlegel, che si era convertito al cattolicesimo, nella Vienna della «restaurazione», e che auspicava l’avvento, nel programma di un «romanticismo politico», di uno stato cristiano e di una filosofia cristiana59. Questo richiamo ad una «filosofia cristiana» ebbe, nell’epoca della «restaurazione», la sua eco anche in Italia con i sacerdoti pensatori come V. Gioberti e A. Rosmini, il quale pubblicava proprio nel 1831 il suo Nuovo Saggio sull’origine delle idee60. Röhls non manca di porre in rilievo che, «Come Kant61, Rosmini è convinto che la conoscenza non avvenga mai esclusivamente con la percezione dei sensi, ma sia guidata da idee aprioristiche, soprattutto dall’idea dell’essere. Ragione per cui può dichiarare già all’inizio “il fatto ovvio e semplicissimo da cui parto, è che l’uomo pensa l’essere in modo universale”62. Mentre l’oggetto realmente esistente viene percepito, l’idea dell’essere è oggetto d’intuizione». Pertanto, nota Röhls, Rosmini scrive: «L’essere è dunque intuito dallo spirito nostro in un modo immediato, come il senso riceve l’impressione del sensibile»63. Così l’idea dell’essere (iniziale) è per Rosmini la verità di tutte le cose64. «Infatti - nota ancora Röhls - egli attribuisce all’idea dell’essere un carattere aprioristico e la definisce forma dello spirito; contrariamente a Kant (Rosmini) ritiene però che questa forma sia oggettiva, non soggettiva»65. Röhls quindi fa notare che Rosmini è convinto che «Tutti que’ sottili ingegni che, massime in Germania, hanno trattata questa questione “qual sia il principio della cognizione”, indicarono questo principio nell’atto dello spirito e non nel suo oggetto e si fermarono ad analizzare più quello che questo»66. Cosicché essi avrebbero ignorato che l’oggetto (l’essere) deve sempre derivare dall’atto dello spirito, mentre «l’errore di base di Kant e dell’idealismo consiste, secondo Rosmini, nell'infonda57. In 12 voll., Ed. Bompiani, Milano. 58. Cfr. pp. 509-550. 59. RÖHLS, saggio cit. p. 509. 60. La prima edizione fu stampata a Roma, in quattro volumi. Vedi ora l’ed. critica Città Nuova, Roma 2003-2005, in 3 voll. 61. Si noti questo parallelo che mostra come l’impianto gnoseologico rosminiano sia ben diverso dalla prospettiva aristotelico-tomistica che (nel secolo XIX) si contrappose alla prospettiva dualistica, proposta da Rosmini, sulla base della suggestione dualistica kantiana (del fenomeno sensibile e del noumeno intelligibile e apriorico). Gioberti vedrà in tutto questo impianto gnoseologistico rosminiano uno «psicologismo soggettivistico cartesiano», che non assicura la certezza del conoscere dell’uomo. (Cfr. l’opera Degli errori filosofici di A. Rosmini, I ed. 1841; II ed. 1843-44). 62. Il passo rosminiano è desunto dal citato Nuovo Saggio sull’origine delle idee, ed. cit., Roma 2003-2005, § 398. 63. Cfr. Nuovo Saggio, ed. cit., § 553. 64. Cfr. Nuovo Saggio, ed. cit., § 1121. 65. Cfr. saggio cit., pp. 511-12, e Nuovo Saggio, ed. cit., § 465. 66. Cfr. Nuovo Saggio, ed. cit., § 1382. 10 ta premessa che tutte le idee siano prodotte dal soggetto pensante»67. Sempre Röhls, con molta precisione anche storiografica, fa vedere come Rosmini, anche contro i rilievi critici che gli aveva fatto il conte Mamiani della Rovere (nel 1846), continuò ad insistere nell’interpretare anche l’idealismo post kantiano hegeliano come un’intuizione dell’essere che, a causa della sua vuotezza, sarebbe uguale al nulla68. Röhls infatti riporta qui anche un passo della Teosofia in cui Rosmini osserva che, nelle forme logiche hegeliane, è contenuta anche la materia del sapere: «Quindi la dialettica divenne per questo filosofo (Hegel) la creazione stessa di tutte affatto le cose, che altro non erano se non determinazioni che l’idea poneva come atti di pensiero, uscendo da se stessa, e rientrando continuamente in se stessa(?!) con movimento dialettico»69. Pertanto la logica di Hegel - conclude giustamente Röhls - «è per Rosmini una teoria metafisica della ragione come creatrice di tutte le cose»70. Si usa infatti dire che, in Hegel71, la scienza della logica coincide con la sua metafisica dialettica e storicistica e, per Rosmini, il «Razionalismo filosofico di Hegel tutto dà all’elemento razionale», mentre: «il suo sistema non solo differisce dal Razionalismo (hegeliano), ma di più sia - pensa Rosmini fors’anche il solo che l’abbatte fino dalle radici: perocché il mio sistema - continua sempre Rosmini! - pone ad una stessa altezza colle idee due elementi diversi dalle idee, e altrettanto supremi quanto le idee medesime; avendo io stabilito che (né so chi altri il facesse prima di me esplicitamente) l’Essere aver tre forme, o modi primordiali, l’idealità, la realtà e la moralità, nessuno de’ quali sottostà all'altro, ma ciascuno è primo, ciascuno incomunicabile, sebbene si leghino tuttavia nell’essere sempre il medesimo e identico in tutti e tre que’ modi. I quali sono poi le tre mie somme categorie, a cui richiamo tutte le cose»72. Come si vede, Rosmini riteneva di aver confutato l’idealismo tedesco (specie quello hegeliano) contrapponendo la sua tripartizione dell’Essere e ritenendo che il Razionalismo filosofico hegeliano negasse la realtà esteriore, mentre egli stesso l’affermava come fonte della «percezione sensibile», in contrapposizione (dualistica e gnoseologistica) all’innata idea dell’essere, elemento apriori, indispensabile per Rosmini, per la formulazione di ogni giudizio conoscitivo. Röhls continua la sua esposizione, nel saggio citato, mostrando come alla logica-dialettica hegeliana si contrappose poi la «filosofia positiva di Schelling»73, che criticava la filosofia razionalistica di Hegel come pensiero puro e come meramente negativa di fronte alla positività del reale e all’intrinseca unità dinamica di natura e spirito, attinta (romanticamente) nell’esperienza artistica. Röhls poi dedica un paragrafo al teismo speculativo di Immanuel Hermann Fichte e di Schelling in cui vengono messe in correlazione la Religione e la filosofia nel loro rapporto attuale74. Röhls fa poi rilevare che la destra hegeliana (legata ad una interpretazione religiosa e teisticocristiana) si sarebbe scontrata con la «sinistra hegeliana» di Feuerbach e di Marx, sostenitori di un «umanismo storicistico», avverso ad ogni dimensione religiosa, come alienante. 67. RÖHLS, saggio cit., p. 512. 68. Cfr., di ROSMINI, Il rinnovamento della filosofia in Italia (del 1836): § 348 e § 351 e 357. Si veda poi la Teosofia, iniziata nel 1846 e edita postuma. 69. Cfr. Teosofia, (6 voll.), § 1724. 70. Cfr. il saggio cit., p. 513, e Teosofia, cit., § 1741. 71. Asserisce la stessa cosa anche Röhls, nel saggio in esame, a p. 516, con molta precisione. 72. Il testo riportato è un brano essenziale di una lunga Lettera a Baldassarre Poli (del 6 febbr. 1837), ora riprodotta nelle pagine finali del volume - curato da Rosmini - Introduzione alla Filosofia (1850), ora edito nell’ediz. di tutte le Opere di Rosmini da Città Nuova, Roma 1979; cfr. qui pp. 355-363. 73. Cfr. saggio cit., pp. 524-533. 74. Röhls cita espressamente e rinvia a quest’opera precorritrice di Hermann Fichte del 1834 (dopo la morte di Hegel, nel 1830), che è in sintonia con la prospettiva dell’ultimo Schelling de La filosofia della rivelazione. 11 Un saggio sospeso tra prospettive monastiche hegeliane e prospettive metafisiche rosminiane È, quello di Klaus Müller (Westfälische Univ. Münster) intitolato con una frase di Rosmini (poi posta alla fine del contributo), «Qualcosa … “per gli ingegni forti e che non punto vacillano nella fede”. Riletture meta-critiche della critica di Rosmini a Hegel»75. L’autore del saggio, di non sempre facile lettura per complesse allusioni ai pensatori tedeschi dell’idealismo, fa notare che «L’errore fondamentale che Rosmini individua nella filosofia tedesca, dopo Kant ed in particolare in Hegel, consiste nel fatto che queste concezioni non fuoriescono mai del tutto dal soggetto, dichiarano il sapere un suo prodotto e una sua modificazione, e quindi calcolano la soggettività come un principio ultimo auto-motivante e per questo motivo (?)76 perdono ogni possibile riferimento all’oggettività»77. Sempre Müller aggiunge immediatamente che: «Il filosofo di Rovereto oppone a questo pensiero [quello sulla dialetticità di soggetto-oggetto] la propria concezione fondamentale di un’idea dell'essere come apriori intellettivo, che come tale fonda e rende possibile la conoscenza umana»78. Qui occorre allora richiamare quanto si è rilevato esponendo il saggio di G. B. Sala79, in cui emergeva, con chiarezza, il pesante limite del dualismo della gnoseologia rosminiana, sospeso tra la fonte apriori innata dell’idea dell’essere e la fonte del molteplice della percezione sensibile, che Rosmini cercava di conciliare e di mettere d’accordo per attingere la certezza (universale e non soggettivo-particolare) del conoscere, subendo poi le severe critiche filosofiche di Gioberti e le critiche - altrettanto severe - di Sala che rimprovera a Rosmini l’assenza della tesi (unitaria e dinamica) dell'intenzionalità conoscitiva umana, propria della prospettiva aristotelico-tomistica, che pur Rosmini riteneva e presumeva di aver conservato, proprio di fronte al pensiero kantiano e idealistico dell'Ottocento razionalista. Non basta quindi richiamare la prospettiva hegeliana e contrapporle la prospettiva gnoseologica rosminiana (come fa qui Müller) per poter dire che Rosmini ha liquidato e superato l’idealismo tedesco. Infatti lo stesso Müller è obbligato a notare che «In Hegel stesso ciò [il concetto di essere infinito, inteso come conoscenza positiva e dialettica dell’assoluto] si fa valere in modo operativo secondo Rosmini nei tre passaggi che diventano l’aggancio principale della sua critica: l’identificazione di essere e nulla, la teoria del divenire e il concetto di contraddizione. Tutto tende per lui ad un'identificazione di soggetto e oggetto, e l’affascinante termine teologico “panteismo” garantisce la sua ultima conseguenza filosofico-teologica»80. Ancora Müller osserva che «Tutte le successive definizioni che il filosofo di Rovereto inscrive nelle descrizioni, in parte originali, dell’idea dell’essere - tra le quali soprattutto il profilarsi rigoroso della differenza tra essere reale e ideale, così come l’aspetto dialettico dell’essere virtuale ed essere iniziale - servono unicamente a difendersi da questo pericolo del Panteismo»81. Non a caso abbiamo visto, nell’esame di saggi precedenti, che le accuse a Rosmini, formulate 75. Cfr. op. cit., pp. 551-567. 76. Qui, sull’adduzione di «questo motivo» bisognerebbe fare una luna discussione, giacché per gli idealisti hegeliani (e neo-hegeliani, come G. Gentile) il soggetto pensante non perde affatto «ogni possibile riferimento all'oggettività», essendo il soggetto già originariamente concepito e visto come dialetticamente connesso con l’oggetto. Non si dimentichi che l’idealismo tedesco (e neo-hegeliano!) aveva liquidato e superato come acritico e presupposto il dualismo gnoseologistico kantiano di fenomeno e noumeno! 77. Cfr. MÜLLER, saggio cit., p. 554. 78. Cfr. p. 554-555. 79. V. pp. 303-327. 80. Cfr. saggio cit., p. 555. 81. Cfr. saggio cit., p. 555. 12 dagli esaminatori delle sue Opere, vertevano proprio su queste analisi della triplice idea dell’essere (ideale, reale e morale) e dei correlati sospetti di concezioni monistiche o panteistiche. Nella prosecuzione del suo saggio Müller rileva che: «Hegel ha trasportato queste idee di Schelling, espresse con intenzione natur-filosofica, nel rapporto metafisico dell’uno (eleatico-platonico) e dei molti (aristotelico) con l’intenzione di conciliare realmente le due parti», ma aggiunge, in modo criticamente rilevante(!) che «È comunque chiaro che l’accusa stereotipata di Rosmini che afferma che la sistematica di Hegel sarebbe centrata intorno ad un vuoto concetto di essere, non è efficace»82. Siamo di fronte a necessari ulteriori approfondimenti teoretici e storiografici83 che permetteranno di capire le tesi hegeliane e le diverse tesi rosminiane nei loro rispettivi ambiti, mentre rimane quella espressione che Rosmini utilizzò in una sua Lettera a E. Belisy (del 13 febbr. 1839) in cui scrisse quanto citavamo all’inizio: «sono persuaso (…) che per gl’ingegni forti e che non punto vacillano nella fede, riesca di vantaggio incredibile la lettura delle opere di Kant, Fichte, Schelling ed Hegel: innalzano veramente lo spirito, ma facilmente ancora lo insuperbiscono»84. Müller aggiunge che: «Rosmini tenne presente l’ultima ammonizione per se stesso» e che ciò «è richiesto anche ai suoi successori, senza distinguere se essi erano più orientati verso le indicazioni di Rosmini o verso quelle di Hegel». Sull’essere iniziale Nella sequela dei saggi in esame troviamo quello curato da Michael Schulz (Univ. di Bonn) con un titolo … rosminiano decisamente impegnativo: «L’essere iniziale», in cui l’autore intende presentare «Il confronto di A. Rosmini con l’ontologia hegeliana e la necessità di una fondazione ontologica del pensiero cristiano»85. In poche pagine l’autore richiama le idee principali con cui Rosmini volle confrontarsi con Hegel, proponendo ad un tempo «l’importanza fondativa dell’ontologia per il pensiero cristiano nel suo riflettere sulla possibilità della rivelazione e l’aspetto contenutistico dell’ontologia»86. Non è chi non veda lo spessore della questione e Schulz fa rilevare che Hegel intendeva partire dalla indeterminatezza dell’essere che trapassa immediatamente nella categoria del nulla, per attingere nella Scienza della logica (presa in esame da Rosmini) la concezione di Dio in cui risiede la verità del cristianesimo, come emerge anche dalle pagine delle hegeliane Lezioni di filosofia della religione, qui evocate da Schulz negli studi di Walter Jaeschke87. Prendendo in esame la «soggettivizzazione hegeliana dell’ontologia», Schulz rileva che Rosmini accusava Hegel di aver perso l’oggettività del conoscere, in quanto - secondo Rosmini - la «garanzia della oggettività (della conoscenza) non poteva avere origine dal soggetto stesso, (…) né tramite la percezione, né tramite l’astrazione o la formazione dei concetti». Tale «formalità del soggetto della conoscenza», secondo Rosmini, doveva «essere data a priori al soggetto» essendo un carattere innato88. «Questa idea - annota sempre Schulz sulla scorta di Rosmini - non viene compresa concettualmente, ma colta intuitivamente, tramite un atto originario che precede ogni singola conoscenza»89. Qui occorre fare una precisazione - a scanso di equivoci - giacché Schulz, rifacendosi a testi di 82. Cfr. saggio cit., p. 564. 83. Che già la citata recente «Nota» sul pensiero di Rosmini da parte della Congregazione per la Dottrina della fede ha demandato giustamente alle future ricerche filosofiche e storiografiche! 84. Cfr. saggio cit., p. 567. 85. Saggio cit., pp. 569-588. 86. SCHULZ, saggio cit., p. 569. 87. Saggio cit., pp. 570-572. 88. Saggio cit., p. 573. 89. Ibidem. 13 M. Krienke (indicato come interprete del pensiero gnoseologico di Rosmini) sostiene che Rosmini confluirebbe «nella tradizione filosofica della modernità quando coglie l’oggettività della conoscenza come una dimensione relazionata al soggetto, allontanandosi - scrive sempre Schulz!! - quindi dalla concezione per cui l’ente possiede (possiederebbe!) una realtà indipendente dal soggetto (alla quale continua invece ad aderire - così sostiene Rosmini - la metafisica tomista della conoscenza»90. Ora - qualunque sia l’interpretazione qui fornita in merito alla «gnoseologia aristotelico–tomistica», sulla quale rimane per noi essenziale e paradigmatico il saggio, ripetutamente citato di G. B. Sala - non si può certo sostenere che Rosmini avesse davvero capito sia l’errore del dualismo gnoseologistico presupposto di Kant, sia la concezione gnoseologica hegeliana, nella sua liquidazione del suddetto dualismo kantiano e nella proposta di una concezione dialettica del rapporto soggetto-oggetto, sia anche la prospettiva gnoseologica tomistica che non si è mai sognata di presupporre un’idea apriori e innata dell’essere, sostenendo invece che: «omnis nostra cognitio initium a sensu sumit». Non mi sembra quindi condivisibile quanto Schulz scrive - in relazione al tema della «soggettivizzazione hegeliana dell’ontologia» - dicendo che «a questo proposito risulta del tutto appropriata la caratterizzazione rosminiana del pensiero hegeliano come sistema imperniato su un’unità monolitica, che dimentica (dimenticherebbe!) l’oggetto e l’alterità»91. Si deve dire piuttosto che Rosmini non è riuscito, in modo teoreticamente convincente, come gli ha fatto rilevare, a suo tempo, anche Gioberti, a destrutturare il sistema monistico e panlogico hegeliano, rinchiuso in una concezione storicistica e panteistica, che poteva essere vulnerata solo costruendo una metafisica inferenziale della trascendenza (che avesse re-istituito la possibilità del discorso metafisico, liquidando il dualismo presupposto kantiano di fenomeno e di noumeno). Altre «variazioni» nel saggio di Schulz Non contento di aver discusso sulla «ontologia soggettivistica» di Hegel, Schulz, sotto il paragrafo Un’ontologia irrimediabilmente perduta (?) nella sfera del soggetto? (Levinas)92, scrive che, «Secondo Emmanuel Levinas, nemmeno una ri-connessione del pensiero all’essere, analoga a quella rosminiana, può in alcun modo garantire l’aderenza del pensiero all’oggetto, come auspica93 invece il pensatore italiano», e quindi - convinto di quanto asserisce! - aggiunge: «Un’ontologia per cui pensare ed essere sono identici - una concezione questa che predomina94 a partire da Parmenide - impedirebbe (?) il pensiero dell’alterità: essa porterebbe - secondo Schulz - in maniera del tutto conseguente al procedere sistematico del sistema hegeliano e alla moderna egemonia del concetto del soggetto»95. Schulz è del parere che «una ontologia che - come esorta Rosmini - non si fermi ai cancelli (?) della coscienza; può riuscire, secondo Levinas, solo “au-delà de l’essence”, in forma etica e a partire non da un originario essere presso di sé, ma dall’Altro e dal bene»96. Se bastasse invocare Levinas e la sua «alterità» etica per correggere davvero, sia la soggettività dialettica hegeliana, sia il tentativo rosminiano di mettere in crisi tale hegeliana «soggettivazione dell’essere» (con l’idea innata dell’essere), saremmo … a cavallo! Purtroppo anche Levinas, con la sua tematica del «volto dell’altro», non convince giacché il «volto dell’altro» (che mi responsabilizza!) 90. Saggio cit., p. 573. 91. Saggio cit., p. 575. 92. Cfr. saggio cit., pp. 575-579. 93. Un conto è auspicare e un conto ben diverso è dimostrare e provare tale … aderenza! 94. Anche qui occorre vedere se tale «ontologia» predomina o no … a ragion veduta!! 95. Saggio cit., p. 575. 96. Ibidem. 14 suppone che ci sia pur sempre l’io cosciente di trovarsi di fronte al volto dell’altro97. Sarebbe ora tempo di non salvarsi (in corner!) rinviando a Levinas, nella convinzione di … aver risolto il problema dell’alterità e dell’essere. Schulz poi fa seguire un paragrafo: Una soggettività passivamente attiva(?!); Levinas, Cartesio, Rosmini, in cui emerge che «L’intento cartesiano di fondare la conoscenza certa del soggetto che pensa se stesso si scontra (si scontrerebbe!) con l’idea innata di Dio»98. Ora tale idea in quanto «quintessenza della perfezione assoluta non può essere collocata nel soggetto (cartesiano) dubitante, e perciò stesso, imperfetto». Cosicché questa «idea di Dio» non è «inglobabile in noi» e quindi «in quanto idea innata, l’idea di Dio è (sarebbe!) il segno di un’originaria passività del soggetto, che precede (precederebbe!) ogni autonomo atto di auto-accertamento e di verifica della conoscenza esteriore. Soggettività e oggettività - continua e conclude Schulz - vengono così garantite a partire da un’istanza esterna (?): l’indisponibile alterità, l’idea di Dio»99. Vien fatto di commentare che, come castello filosofico-teologico, … non c’è male! Ma non basta, giacché Schulz aggiunge che «Tuttavia (!) per Levinas dietro questa passività del soggetto si intravede anche (!) la sua attività, nella forma della responsabilità che il soggetto deve assumersi a priori per l’altro indisponibile»100. Da tutto ciò Schulz ricava «l’indisponibile idea dell’essere, che non esclude nulla, se non il Nulla, e che è poi l’indizio dell’illimitata apertura del soggetto», sia dal punto di vista formale, sia dal punto di vista contenutistico. In questo modo, per Schulz, «né la rosminiana fondazione del pensiero nell’intuizione (a priori) dell’essere, né la sua tesi della dipendenza dal pensiero di ogni oggettività si oppongono all’intento di Rosmini di spiegare, dialogando con l’idealismo (!), la facoltà del pensiero di accedere all’oggetto e all’alterità»101. L’essenza dell’essere: lo scotismo di Hegel e il tomismo di Rosmini In questo paragrafo102, Schulz ritiene di poter affrontare «la questione dell’essenza dell’essere, che si rende accessibile allo spirito (umano) come intuizione dell’idea dell’essere». Rosmini, ritenendo di interpretare Tommaso d’Aquino, «fa culminare il concetto di essere nell’idea di una pura attualità in cui l’essere è (sarebbe!) presente allo spirito umano in maniera ideale (?) e ne fonda la relazione con la verità»103. In questo modo - nota Schulz - sarebbe «evidente che l’atto d’essere (l’actus essendi) non può essere colto come tale tramite i sensi, ma solo in maniera intuitiva». Chi avrebbe rappresentato tale prospettiva, secondo Schulz, sarebbe stato Giov. Duns Scoto († 1308), che però non intendeva come oggetto colto dall’intelletto «l’attualità dell’essere», «ma piuttosto la pura non contraddittorietà formale», cosicché egli definisce l’ens come un poter esserci (cui non repugnat esse)104, nelle sue due «modalità disgiuntive»: infinitum e finitum. Quanto siano pertinenti questi confronti Scoto - Rosmini lo lasciamo giudicare al lettore; per conto nostro ricordiamo che, per Duns Scoto, l’oggetto primo dell’intelletto umano, inteso ex natura potentiae e non pro statu isto, è (aristotelicamente) l’ens in quantum ens, ma non perché si trovi nell'uomo un’idea innata di essere, bensì perché la nozione di ens, nella sua incontradditorietà, si estende a 97. Sulla questione rinviamo ad un noto studio di JOSEPH DE FINANCE, De l’un et de l’autre. Essai sur l’altérité (Roma, 1993; ora in ed. ital.: A tu per tu con l’altro, Roma, Ed. Univ. Gregoriana, 2004 (XXXII-410 pp.). 98. Cfr. saggio cit., pp. 576-579; qui p. 577. 99. Saggio cit., p. 577. 100. Ibidem. 101. Saggio cit., p. 578. 102. Saggio cit., pp. 579-582. 103. Saggio cit., p. 579. 104. Cfr. saggio cit., pp. 579-580. 15 tutto ciò che non è nulla e quindi tale nozione è applicabile sia all’Esse infinitum, sia ai molteplici entia finita, senza possibilità di confusioni panteistiche105. Quindi non diremmo che: «Hegel va (!) ben al di là di Scoto, deducendo (!) dal concetto primo dell’essere indeterminato tutte le altre determinazioni fondamentali dell’essere e del pensiero», come invece sostiene Schulz in modo del tutto arbitrario, giacché la prospettiva hegeliana, panteistica e dialettica, non si addice affatto a Duns Scoto106. Sull’essere iniziale In questo paragrafo finale107 Schulz rileva che «Nella concezione di Rosmini, come in quella di Hegel (?), l’essere è indeterminato in prospettiva sia gnoseologica che metafisica. Questo essere sta (starebbe!) alla base del pensiero sistematico tanto di Hegel quanto di Rosmini; secondo Rosmini però Hegel perderebbe di vista l’aspetto anoetico, reale dell’essere». Sopra Schulz ha distinto tra un aspetto anoetico (dell’essere), che considererebbe l’essere reale, mentre l’aspetto dianoetico (formale) lo farebbe considerare ideale. Queste contrapposizioni non mi sembra servano a chiarire la differenza esistente tra un Hegel e un Rosmini, tanto più che anche Schulz osserva che, «Nella sua critica al cominciamento (hegeliano) logico, Rosmini afferma, fin da subito, la differenza tra essere e pensare, che consiste nel fatto che l'essere indeterminato, di cui Rosmini afferma l’attualità e la positività, non trapassa nel nulla»108. Sicché l’essere iniziale è sì indeterminato, ma non per questo è identico al nulla, come riteneva Hegel; per Rosmini l’essere iniziale si manifesta allo spirito in modo formale indeterminato, ma poi «fonda il movimento109, con cui lo spirito umano trascende il finito e perviene al pensiero di Dio»110. Dopo una disquisizione sul rapporto tra essere e pensiero come «prima sintesi di essere e pensiero» (questione che Schulz ritiene «possa essere considerata secondaria»111, mentre secondaria non è affatto!), il nostro autore conclude il saggio notando che «l’approccio ontologico di Rosmini, basato sull’idea dell’essere e sull’essere come atto iniziale, deve essere considerato come una testimonianza del fatto che la filosofia cristiana, il cui pensiero non perde mai di vista la rivelazione, non può fare a meno dell’ontologia». È possibile una metafisica dopo Hegel? È l’interrogativo che caratterizza il saggio di G. Nocerino112, in cui l’autore prende in esame la «critica che Rosmini conduce alla dottrina hegeliana dell’essere». Nell’esordio del saggio Nocerino richiama la duplice parabola che Aug. Del Noce aveva tracciato circa l’itinerario delle «due grandi linee della filosofia moderna: quella da Cartesio a Rosmini e quella da Cartesio a Nietzsche» (indicata da K. Löwith): entrambe rappresentavano, per Del Noce, «oggi, forse, l’unico punto di partenza per una ricostruzione della metafisica»114. 113 Del Noce vedeva nella edizione della Teosofia rosminiana (curata da M. A. Raschini nel 1967) la possibilità di una conclusione del corso del pensiero dell’età moderna, dopo la parabola dell’ideali- 105. Cfr. DUNS SCOTO, ed. crit. dell’Ordinatio, lib. 1, dist. 3 (Romae, 1950ss., ed. Vatic. vol. III). 106. Cfr. saggio cit., p. 580. 107. Saggio cit., pp. 582-588. 108. Saggio cit., p. 583. 109. Inteso allora come ente virtuale; cfr. saggio cit., pp. 583-584. 110. Saggio cit., p. 585. In nota Schulz rinvia alle pagine della Teosofia, § 298-301. 111. Cfr. saggio cit., p. 586. 112. Cfr. Saggio, pp. 589-618. 113. Nel suo noto Da Cartesio a Rosmini (ed. Giuffrè, Milano, 1992). 114. Cfr. saggio cit., p. 589. 16 smo hegeliano, e riteneva che con Rosmini si poteva ripartire per la suddetta «ricostruzione della metafisica». Chi scrive - in accordo con il saggio critico di G. B. Sala, precedentemente analizzato e più volte richiamato - non è del parere che Rosmini avesse davvero capito l’acrisia del dualismo naturalistico e gnoseologistico kantiano e il successivo passaggio alla soggettività dialettica e storicistico-immanentistica dell’Enciclopedia delle Scienze filosofiche hegeliana e potesse in tal modo (cioè con il suo duplice mantenimento dell’idea apriori dell’essere e del molteplice della percezione sensibile) garantire un corretto punto di partenza del processo conoscitivo umano, come lo ha invece accertato e criticamente garantito quella che lo scrivente chiama «la lezione gnoseologica dell’idealismo hegeliano (e gentiliano)» e, insieme, la husserliana dottrina della intenzionalità conoscitiva umana115. Non risulti ozioso richiamare qui, anche e soprattutto, l’impegno teoretico di G. Bontadini nel difendere la suddetta «lezione gnoseologico - fenomenologica dell’idealismo (post-kantiano)» come punto ineliminabile di partenza «per una ricostruzione (dopo Kant) della metafisica», non certo rifacendosi alle … oscillanti posizioni gnoseologiche rosminiane (come invece riteneva Del Noce). Anche Nocerino ammette che «il confronto di Rosmini con Hegel» ha attraversato «non sempre con chiara consapevolezza (!) buona parte della letteratura critica sul pensiero del Roveretano e della produzione teoretica e storiografica del neoidealismo italiano»116, e aggiunge che «sia nel pensiero di Rosmini che in quello di Hegel è avvertita la necessità [questo sicuramente!] di porre sul piano della filosofia, con il problema della verità e dell’oggettività, il problema della coscienza e del soggetto e del loro rapporto e, ancora, di affrontare la questione classica dell’uno e dei molti», cosicché si assiste allo «scontro-incontro tra il sintetismo rosminiano e la dialettica hegeliana»117. Nocerino rileva poi le divergenze profonde nella concezione dell’essere iniziale in Rosmini e nel famoso «cominciamento» in Hegel, ma «l’indeterminazione dell’essere rosminiano non si presenta mai come vuotezza»118. Successiva mente Nocerino si sofferma sulla distinzione radicale, per Rosmini, tra intelligenza umana e intelligenza divina (cosa che in Hegel è tutt’altro che chiara in virtù della sua concezione dialettica della coscienza e del reale)119. Infine si fa un accenno a quella che Rosmini denomina Ontologia sintesistica nella sua Teosofia, in cui viene sottolineato il rapporto essenziale tra l’essere e l’intelligenza pensante, parlando anche di una Ontologia idealistica120. Segue un saggio di Anna Maria Tripodi (Univ. di Genova): La forza della Verità, il coraggio della ragione. Rosmini dopo Kant e dopo Hegel121, in cui l’autrice pone in rilievo che «la forza della Verità pone in essere un’ontologia metafisicamente fondata, supportando in tal modo il coraggio della ragione, … dà vita a quel pensare in grande, oggi necessario ad un uomo indebolito dalla propria superbia»122. Dopo aver richiamato, in due sintetici paragrafi123, le prospettive filosofiche di Kant e di Hegel, l’autrice, nei paragrafi «Rosmini dopo Kant e dopo Hegel»124, pone in rilievo che «Il rapporto mol- 115. Richiamata, non certo a caso, proprio dal citato saggio di G. B. Sala! 116. Nocerino ricorda qui le analisi critiche di B. Spaventa e di G. Gentile (oltre che di P. Piovani) sul pensiero di Rosmini. 117. Saggio cit., p. 591. 118. Cfr. il saggio cit., pp. 594-599. 119. Cfr. il saggio cit., pp. 606-611. 120. Cfr. i riferimenti, nel saggio di Nocerino, ai numerosi passi della Teosofia (§ 2043, 2824, 2826, 2827). 121. Saggio cit., pp. 619-643. 122. Saggio cit., p. 619. 123. Cfr. il saggio cit., pp. 619-627. 124. Saggio cit, pp. 629-634. 17 teplicità-unità si apre a vita nuova in quello che Rosmini chiama nodo gordiano della Teosofia125 e si chiarifica come rapporto tra l’essere relativo e l’Assoluto, tra i molti e l’Uno. Il percorso metafisico e teologico è quindi - sempre secondo la Tripodi - rigorosamente fondato, legittimo e doveroso». La Tripodi aggiunge: «Rosmini sottoscriverebbe toto corde il grido di Giovanni Paolo II: La fede non germoglia sulle ceneri della ragione!126, e certamente avrebbe molto apprezzato e condiviso l'Enciclica Fides et ratio (§ 83) in cui diceva: Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni apertura metafisica sarebbe radicalmente inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della Rivelazione (…), se la conoscenza umana fosse rigorosamente limitata al mondo dell’esperienza sensibile». Giovanni Paolo II insisteva sulla «componente metafisica» perché era «convinto che questa è la strada obbligata per superare la situazione di crisi che pervade oggi grandi settori della filosofia e per correggere così alcuni comportamenti erronei diffusi nella nostra società»127. Ora si può senz’altro accettare questa «condivisione» da parte di Rosmini di queste tesi, avanzate oltre un secolo e mezzo dopo di lui, da Giovanni Paolo II, ma occorrerebbe vedere prima se la prospettiva filosofica rosminiana ha davvero superato l’acrisia del famoso dualismo gnoseologistico kantiano e la concezione, immanentistica e storicistica, del soggettivismo dialettico hegeliano, «superamento» su cui lo scrivente ha … qualche dubbio (e, con lui, il citato saggio di G. B. Sala). La Tripodi, recensendo tre fasi del pensiero rosminiano: quella gnoseologica del Nuovo Saggio sull’origine delle idee, quella psicologica e logica intermedia e quella progressiva (finale) della vasta Teosofia128, è convinta che il sintetismo ontologico rosminiano «permette all’uomo di cogliere nel proprio microcosmo la mirabile sintesi di essere ideale e sentimento129, … espressione della circuminsessione delle (tre) forme dell’essere, consentita dal vincolo rappresentato dall’essere stesso (…)»130. L’io tra finito e infinito. Rosmini dopo Hegel È il titolo del saggio conclusivo e finale di Paolo Di Lucia (Univ. di Genova) che, esordendo, si chiede «se e in che misura il ripensamento di Hegel abbia consentito a Rosmini una fondazione della soggettività assoluta più convincente di quella hegeliana, quindi tale da porre le basi per una adeguata teorizzazione della stessa soggettività dell’uomo»131. Di Lucia è convinto che «Rosmini ha fornito l’unica (!?) confutazione [della “prospettiva” hegeliana] che possa definirsi a raggio intero, in quanto non condotta in nome della pura e semplice realtà, come in Herbart, o della logica, come in Trendeleburg, o della volontà, della fede, della vita, come in Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, bensì in nome dell’essere, triadicamente ordinato»132. Sempre Di Lucia aggiunge che, a presentazioni che si collocano «in moduli di una scolastica rosminiana, si sono storicamente contrapposti i neotomisti italiani dell’Ottocento, i quali credevano di ravvisare nelle riflessioni del Roveretano una originale forma di ontologismo, ed i neoscolastici del Novecento, secondo i quali il limite di fondo della filosofia rosminiana sarebbe consistito piuttosto nel suo presunto carattere fenomenistico»133. Di fronte a questa situazione interpretativa, secondo Di Lucia, si sarebbe distinto Italo Mancini 125. Cfr. Teosofia, § 2049. 126. Discorso ai Docenti universitari (9 sett. 2000), in occasione del Giubileo del 2000. 127. Cfr. il saggio cit., pp. 631-632. 128. Cfr. il saggio cit., p. 636. 129. Cfr. Teosofia, § 74. 130. Saggio cit., pp. 636-637, con gli indicati riferimenti alla Teosofia, § 148, 149 e 11. 131. DI LUCIA, saggio cit., pp. 645-663; qui p. 645. 132. Saggio cit., p. 646. Di Lucia cita qui a supporto un passo di C. Caviglione desunto da Rosmini vero, del 1912. 133. Saggio cit., pp. 647-648. 18 che, in suo studio del 1963134, avrebbe rilevato che «chi per primo trasse fuori Rosmini da questo steccato della filosofia d’ispirazione cristiana è stata la storiografia idealistica». Questa ha infatti indicato «tre punti di forza» reperibili nel pensiero rosminiano: «uno spiccatamente spaventiano, ed è quello del circolo europeo del pensiero moderno135; l’altro, insistito dallo Jaia, sta nel riconoscimento del Rosmini come nuovo Kant, come il Kant italiano; l’ultimo infine, proprio del Gentile e di tutta la sua visione storiografica dell’Ottocento, riguarda la fermentazione e la maturazione della nostra filosofia risorgimentale, che egli imputa al lievito kantiano e alla presenza del principio sintetico idealistico»136. I. Mancini però non si è limitato a questo solo studio su Rosmini; ha infatti curato, con molta precisione, sul pensiero del Roveretano una Antologia metafisica137, in cui fa ripetutamente138 rilevare che Rosmini non aveva oltrepassato il dualismo acritico kantiano. Dopo questa citazione, incompleta!, di Mancini, Di Lucia passa, immediatamente, a porre in rilievo che «La restituzione della filosofia di Rosmini alla linea maestra del pensiero classico e cristiano (Platone, Agostino, Tommaso d’Aq. e Vico), attestante il carattere parziale ed inadeguato della interpretazioni che abbiamo menzionato, si deve essenzialmente all’opera di Michele Federico Sciacca. (…) a merito del filosofo trentino andrebbe ascritta innanzitutto la fondazione metafisica del soggetto intelligente, compiuta mediante la dottrina dell’essere ideale, che si contrapporrebbe tanto alla visione empiristica dell’idea, quanto alla prospettiva kantiana, per la quale le idee - ridotte a mere categorie - costituiscono delle semplici condizioni aprioristiche della conoscenza, (…) mentre la posizione gnoseologico-metafisica del filosofo trentino sarebbe qualificabile come idealismo oggettivo»139. Alla luce di questa ricostruzione del pensiero rosminiano, Di Lucia fa vedere la palese incongruenza dell’accusa del gesuita p. G. M. Cornoldi, formulata nell’opera Il rosminianesimo sintesi dell'ontologismo e del panteismo (del 1881) e la precisa concezione dell’essere ideale in Rosmini e delle altre due forme (reale e morale). Di Lucia spiega poi che, «nel sistema filosofico-teologico di Rosmini, è Dio che appunto in forza della sua onnipotenza, decide di donare all’uomo la visione del suo stesso essere, ma soltanto in quanto pura pensabilità e non in quanto sussistenza»140. Ora quello che ci sembra qui doveroso obiettare e chiedere è appunto «Come si sa, come si prova che è Dio che decide di donare all’uomo la visione del suo stesso essere, ma solo come pura pensabilità?» L’esperienza della fenomenologia del conoscere umano non ci attesta che noi possediamo, apprendiamo, questo essere ideale, come innato e apriori, giacché noi esperiamo e vediamo le varie cose così come esse ci si presentano e le qualifichiamo per quello che esse ci manifestano. Non abbiamo l’esperienza effettiva di un apriori innato, separato dalle cose che esperimentiamo ogni giorno! Rosmini sostiene un’esperienza innata che noi non esperiamo e tanto meno possiamo sostenere che essa ci deriva da Dio!, di cui inizialmente, nel processo conoscitivo nostro, non possiamo dire nulla. Quindi l’omne punctum rosminiano sta qui … irrisolto, come rileva anche il citato Mancini nella 134. Il giovane Rosmini, vol. I: La metafisica inedita, ed. Argalia, Urbino 1963; cfr. pp. 27-29. 135. B. Spaventa infatti scrisse l’opera: La filosofia italiana in relazione con la filosofia europea, in cui l’autore - come si sa vedeva Rosmini come «il Kant italiano» e Gioberti come «l’Hegel italiano». 136. Cfr. il saggio cit., p. 648. 137. Ed. La Scuola, Brescia, II ed. 1958, XXXV-139 pp., con ampia documentazione di testi anche della Teosofia. 138. Cfr. della citata Antologia metafisica le p. 38, 40, 51 e 119, dove emerge la motivata critica alla concezione gnoseologistica di Rosmini! 139. Cfr. il saggio cit., p. 648. 140. Cfr. il saggio cit. p. 651-652. Di Lucia rinvia qui ad una suo studio: Essere e soggetto. Rosmini e la fondazione dell’antropologia ontologica, Ed. Bonomi, Pavia 1999, pp. 89-110. 19 sua Antologia metafisica rosminiana. Quanto poi alla tesi rosminiana su l’essere iniziale, su cui discute poi Di Lucia, non sembra di poter aderire ad essa con convinzione, in quanto l’antropologia filosofica di Rosmini non fornisce quelle indicazioni e quella fenomenologia conoscitiva che abbiamo visto essere quella che concretamente l’uomo esperimenta quotidianamente, elaborando la nozione di essere, proprio partendo dal concreto divenire e mutare delle cose, da cui esortava a partire anche Tommaso d’Aquino, nelle pagine iniziali della sua Summa theologiae, là dove, indicando la prima et manifestior via, scriveva: Certum est enim, et sensu constat (!), aliqua moveri in hoc mundo141. D’altronde sempre Tommaso aveva avvertito: «Omnis nostra cognitio initium a sensu sumit», il che non escludeva che poi la nostra capacità intellettiva, astraente dal sensibile esperito, traesse in seguito nozioni universali e concettuali logicamente connesse tra loro. Riconosciamo quindi a Rosmini il suo impegno, proteso a contrastare gli esiti metafisici agnostici o soggettivistico-storicistici del pensiero kantiano e idealistico tedesco e, insieme, a proporre, nella più volte citata sua Introduzione alla Filosofia (del 1850), un «Sistema filosofico»142 che confutasse quello hegeliano, ma teniamo presenti quelli che rimangono i punti irrisolti nella sua proposta gnoseologistica, già indicati anche nella Antologia metafisica di I. Mancini. Parma. Università Angelo Marchesi 141. Cfr. Summa theol., I, q. 2, art. 3: Utrum Deus sit. 142. Cfr. ed. cit. Città Nuova, Roma 1979, pp. 223-302. 20