Saraswati Performing Arts ISI (Indonesia Institute of Arts) Yogyakarta 12 giugno 2012 Teatro Goldoni Venezia Tari Bambangan Cakil Danza tradizionale ricoreografata da JiyuWijayanti Coordinamento musicale: Trustho Arjuna: Hendy Hardiawan Cakil: Pulungjati Ronggo Murti Questa danza rappresenta un episodio del Mahab­ harata, e racconta il combattimento tra l’eroe Arjuna, una dei cinque fratellli Pandava, e il gigante Cakil. Simbolicamente questa danza allude alla presenza necessaria del bene e del male nella vita degli uomini. Tari Golek Lambangsari Coreografo: Sasminta Mardawa Ricostruzione: Jiyu Wijayanti Danzatrici: Sentri Captian Ningsih, Vera e Ratna Andriani Puspita La danza Golek Lambangsari è una coreografia che fa parte del repertorio di danze classiche di Yogyakarta. Creata da Romo Sasminta Mardawa, rappresenta alcuni atteggiamenti tipici delle ragazze che sono sulla soglia dell’età adulta. Le ragazze si truccano e adorna­ no con l’intento di mostrarsi belle. Paragonata ai mo­ vimenti di altre danze giavanesi, quelli della danza Golek Lambangsari sono più agili e dinamici. Wayang Kulit (teatro delle ombre) “Anoman Duta” Dalang (Maestro / Narratore): Ki Udreka Coordinamento musicale: Trustho “Anoman Duta” (Anoman il messaggero) è un lungo episodio tratto dall’epica del Ramayana e rappresen­ tato attraverso il teatro delle ombre o wayang kulit. Lo spettacolo prende le mosse dal rapimento della principessa Sinta (Sita) che viene portata dal Re dei demoni Dasamuka (Ravana), che si è innamorato di lei, nella città di Alegka (nell’attuale Sri Lanka). Il re Rama, marito di Sita e incarnazione del dio Vishnu, chiede ad Anoman, una potente e magica scimmia bianca, di aiutarlo a ritrovare Sita e di intraprenderne la ricerca come suo messaggero. Anoman, giunto ad Alengka, ritrova Sita, ma viene catturato. Condannato al rogo, Anoman, grazie ai suoi poteri magici, riesce a liberarsi e a fuggire dando fuoco al Palazzo di Ravana. Lo svolgimento della storia di Anoman Duta può essere seguito attraverso la sua articolazione in otto scene principali: 1. Ravana, sovrano di Alengka, desidera rapire Sita, moglie di Rama, re di Poncowati. Ravana ordina ad un gigante chiamato Marica di trasformarsi in un cervo d’oro per attirare l’attenzione di Sita. 2. Sita, Rama e il fratello Laksmana si trovano nel bosco di Dandaka. Sita è affascinata dalla bellezza del cervo d’oro e chiede a Rama di catturarlo. Volendo esaudire il desiderio della moglie, Rama insegue il cervo. 3. Sita preoccupata per la vita di Rama chiede a La­ ksmana di seguire il fratello. Vedendo che Sita è ri­ masta sola nella foresta, Ravana la rapisce e la porta via volando verso Alengka. 4. Rama insegue il cervo d’oro e cerca invano di catturarlo. Decide allora di colpirlo con una freccia. Appena colpito dal dardo il cervo riprende la forma del gigante Marica. Compreso l’inganno, Rama uccide subito Marica. Rama e Laksamana ritornano di corsa dove avevano lasciato Sita. 5. Garuda Jatayu ( la divinità aquila antropomorfa) durante il volo sente il pianto e la richiesta di aiuto di Sita trasportata in aria da Ravana. Si lancia così all’at­ tacco nel tentativo di strappare la principessa dalle grinfie del Re dei Demoni. Nel violento combatti­ mento viene ferito con un colpo di spada ad un’ala ed è costretto alla resa. Poco dopo giungono sul posto Rama e Laksmana, a cui Jatayu riferisce che Sita è stata rapita da Ravana che la sta conducendo a forza ad Alengka. Jatayu muore tra le braccia di Rama. 6. Durante la ricerca di Sita, Rama incontra una scimmia bianca di nome Anoman. Rama chiede aiuto ad Anoman per trovare Sita e gli chiede di recarsi ad Alengka. Ad Anoman Rama consegna un anello da dare a Sita come prova del fatto di essere ambasciatore (duta) di suo marito. Anoman parte per Alengka. 7. Velocemente, Anoman giunge ad Alengka. Ma penetrato nelle stanze dov’è tenuta prigioniera Sita, viene affrontato da molti giganti che riesce però a sconfiggere. Incontra così Sita ma subito arriva Indrajid, uno dei figli Ravana, esperto in arti mar­ ziali. Anoman viene catturato e portato al cospetto di Ravana. 8. Ravana ordina che Anoman sia messo al rogo nella piazza del paese davanti agli occhi del popolo riunito. Ma il grande potere magico rende Anoman immune alle faimme che, anzi, la sua rabbia ritorce contro il palazzo reale di Ravana che viene raso al suolo. Il wayang kulit giavanese La storia dello spettacolo di Giava, l’isola più po­ polosa, e politicamente più influente dell’Indonesia – una repubblica di più di 15.000 isole, con quasi 240 milioni di abitanti – è caratterizzata da una presenza costante, quella di un teatro resistente, tradizionale e al tempo stesso sensibile al nuovo. Questa eredità è il wayang kulit, il teatro delle ombre. Forse è riduttivo parlare in termini esclusi­ vamente teatrali del wayang kulit senza chiarire subito che esso in questa area geografica è stato fino a poco tempo fa un fenomeno strutturale, un’is­ti­tu­ zione che – attraverso differenti epoche – ha contribuito no­tevol­ mente alla formazione della personalità cul­ turale dei giavanesi. Infatti, i pers­o­naggi del teatro delle ombre, le situazioni e i conflitti in cui essi si trovano ad agire, disegnano una mappa precisa di valori che pongono l’uomo in rapporto al divino, alla natura, agli altri esseri umani e a se stesso. Le più antiche testi­ monianze dell’esisten­ za in Indonesia di un teatro delle ombre sono contenute nelle iscri­ zioni in pietra e in rame con cui i sovrani hindu-buddhisti celebravano gli eventi più importanti del loro regno. La prima di esse risale all’840 d.C. Con l’affermarsi a Giava della cultura indiana iniziò, sin dai primi secoli dell’era cristiana, il processo di diffusione tra le popolazioni locali (di religione animista) delle epopee hindu. Il Ramayana e il Mahabharata, epi­ che al tempo stesso sapienziali e popolari, dettero origine ad una vasta letteratura di corte e diven­ nero la fonte di ispirazione per cantori, narratoriburattinai e attori-danzatori. Successivamente, tra il 1400 e il 1500, con la conversione all’Islam di Giava, furono aggiunti nuovi repertori e la stessa struttura degli spettacoli fu sottoposta ad una ri­ forma che ne ha in parte ridimensionato la funzione magica ma non il valore religioso e sociale. Oggi il wayang kulit continua ad essere uno dei simboli principali dell’antico splendore dei potentis­ simi regni e sultanati giavanesi. La parola wayang si­ gnifica “ombra”, kulit invece è il cuoio. Wayang kulit quindi indica il “teatro con le ombre di cuoio”. L’origine etimologica della parola wayang rinvia al preistorico culto degli antenati. Yang infatti in diverse lingue indigene signi­ fica “spirito”, “ante­ nato”. In virtù di que­ sto, a Giava il teatro delle ombre è consi­ derato la forma più antica di spettacolo, il modello teatrale a cui si ispirarono i primi attori e danzatori. “Non c’è teatro delle ombre senza dalang”, così si dice in un vecchio detto giavanese. Il dalang, il burattinaio-narratore, è il vero protago­ nista del wayang kulit, uno spettacolo che dal punto di vista della tecnica teatrale possiamo con­ siderare una forma molto elaborata e sofisticata di one-man show. Seduto per ore, a gambe incrociate, dietro lo schermo bianco illuminato dalla lampada, il dalang riesce a dar vita a decine di personaggi, dando a ciascuno di essi il gesto e la voce che lo caratterizza. Durante uno spettacolo egli aziona mediamente tra le quaranta e le sessanta figure. Interpreta ruoli maschili e femminili, dei, demoni, animali mitologici; recita con voce solenne lunghe parti di racconto, commenta l’azione, canta canzoni piene di poesia e pathos, dirige infine l’orchestra del gamelan attra­ verso il suono di un martelletto di legno che viene battuto con il piede sul lato di una cassa di legno e su piccole lamine di metallo. Anticamente, nelle zone rurali e nei villaggi il dalang era un sacerdote, un medicine man, andava in trance du­ rante lo spettacolo. Alle corti hindu-buddhiste i dalang-bu­ rattinai furono anche poeti, letterati, consiglieri dei re. Mantennero questa prestigiosa fun­zione dentro i palazzi dei sultani sotto il cui regno si venne a creare una forma singolarissima, tipicamente giavanese, di sincretismo religioso tra Islam, Induismo e Animi­ smo. In epoca più recente, a metà del XX secolo, alcuni dalang introdussero nei loro spettacoli le parole d’ordine della lotta contro il coloniali­ smo, e dopo l’indipendenza dall’Olanda, nel 1945, parteciparono alla battaglia politica per la nascita di una nuova nazione. Il wayang kulit è essenzialmente un racconto epico che, sottoforma di differenti intrecci, narra l’eterno conflitto che è alla base della cosmo­logia hindu, tra gli eroi divi­ nizzati e i loro antagonisti demoniaci. Lo scopo del conflitto non è l’elimina­ zione del male ma il raggiungimento di uno stato di equilibrio tra i due principi opposti, entrambi sacri. In questa narrazione mitica, Anoman l’ele­mento della parola recitata e dialogata in molti momenti dello spettacolo passa in secondo piano per dar spazio al linguaggio visivo delle ombre, alla musica e al canto. Lo stile delle figure di cuoio, alte all’incirca 50 cm., è convenzionale: tutti i perso­ naggi principali sono rappresen­tati secondo uno strano punto di vista che combina la posizione di profilo con quella frontale. Ciò dà all’immagine la staticità dinamica di una posa scenica. Il movimento delle figure varia in relazione ai ruoli teatrali. In termini generali, i personaggi alus (raffinati), che occupano la parte destra dello schermo, si muovono lentamente e agitano poco le braccia. Anche durante i com­ battimenti più violenti rimangono sereni. Al polo opposto, nei kasar (rozzi) – come in Ravana, il redemone nel Ramayana – osserviamo un grande dispiego energetico, una violenza scomposta e grottesca, che nei personaggi demoniaci minori di­ venta a volte ridicola. Una parola a parte merita la figura dell’albero della vita, il gunungan, che sim­ bolicamente rappresenta il monte Ravana Meru, la montagna sacra degli hindu. Il gunungan apre e chiude ogni spetta­ colo di wayang kulit. Dal punto di vista teatrale ha una polivalenza semantica straordinaria; può essere durante uno stesso spettacolo foresta, oceano, fuoco, tempesta, vento, monta­ gna, un palazzo, un’arma miracolosa. Gli immancabili punakawan, le due coppie di clown fratelli, una a servizio dell’eroe protagonista, l’altra dell’anti­eroe, hanno la fondamentale funzione di tradurre – anche con esilaranti effetti comici – le parole dei loro padroni dal kawi, l’an­tica lingua poetica ormai sconosciuta al pubblico, al giavanese moderno. La comicità dei clown, soprattutto Rama quella del più autorevole di essi, il pan­ ciuto e tondo Semar, ha un ca­ rattere propiziatorio. I puna­ka­wan infatti sono considerati a Giava la personificazione teatrale degli an­ tenati, le antiche divinità di epoca pre-hindu. Semar è il clown-saggio che guida ed incoraggia l’eroe nel momento più difficile della sua battaglia contro i terribili avversari demoniaci. Sita Last not least: la musica dell’orchestra gamelan (dal giavanese gamel, “per­ cuotere con un mazzuolo”). L’orche­ stra del teatro delle ombre è un com­ plesso musicale molto ampio. E’ composta da svariati gong di grossa taglia, da cinque di media grandezza, da un set di cinque gong a for­ ma di ciotola di bronzo, da alcuni vibrafoni in bronzo di differente misura, da uno xilofono, da uno o più tamburi, da un flauto, una cetra e un violino a due corde. Tra l’orchestra siedono anche alcune pasinden, cantanti. L’idea di uno spettacolo teatrale privo di musica gamelan è completamente estranea alla cultura classica giavanese. Come il teatro, la musica ha un’origine sacra ed è indispensabile al rito e alla festa religiosa. Il dalang costruisce i suoi spettacoli sulla partitura musicale, in completa sintonia con i musicisti, veri e propri coautori dello spetta­ colo. La musica del gamelan è d’altra parte già dramma perché è un racconto sonoro del cosmo. I modi musicali giava­ nesi o patet, come i raga indiani, attraverso un sistema complesso di corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo, si propon­ gono di cogliere i suoni e i ritmi segreti della vita della natura, degli uomini e delle cose. Vito Di Bernardi, Università di Siena La Compagnia Saraswati Performing Arts svolge la sua attività artistica nell’ambito dei programmi culturali e didattici dell’ISI - Indonesia Institute of the Arts - di Yogyakarta, una delle più prestigiose accademie per le arti fondata nel 1984 dal governo indonesiano al fine di promuovere l’insegnamento e la diffusione delle arti tradi­ zionali. L’ISI è nato dal raggruppamento di tre istituti preesistenti, la cui storia si intreccia con quella della Repubblica di Indonesia, dichiaratasi indipendente nel 1945 dopo la fine del dominio coloniale olandese: l’ASRI‚ istituto di belle arti, l’AMI, conservatorio di musica, e l’ASTI, accademia di danza. L’ISI di Yogyakarta riveste un ruolo di primo piano nella vita culturale ed artistica non solo giavanese, ma dell’intero paese, sia nel preservare le arti tradizionali che nel promuovere la ricerca in ambito contemporaneo. L’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati è stato fondato nel 1970 da Alain Daniélou in collaborazione con l’International Institute for Comparative Music Studies and Documentation di Berlino. L’IISMC promuove la conoscenza delle più alte forme d’espressione delle diverse culture musicali organizzando ricerche, seminari e conferenze. A partire dal 1979, grazie ad un iniziale contributo dell’Unesco, si dedica inoltre, con la direzione di Ivan Vandor e poi di Francesco Giannattasio, alla didattica musicale mediante l’offerta di corsi teorico-pratici dedicati alle tradizioni strumentali e vocali delle diverse parti del mondo. Divenuto nel 1999 uno degli Istituti della Fondazione Giorgio Cini, l’IISMC, ora diretto da Giovanni Giuriati, svolge parte delle sua attività in convenzione con l’Università di Venezia Ca’ Foscari, il Conservatorio di musica di Vicenza e altre istituzioni culturali. Per informazioni: [email protected] – www.cini.it Iniziativa promossa da: Con il contributo e la collaborazione di: