‘‘,, ALLE RADICI DELLO SVILUPPO INDUSTRIALE BERGAMASCO La filanda Giambarini in via San Lazzaro, a Bergamo. In primo piano si nota il filare dei gelsi (fotografia del 1852). L’AUTORE Giancarlo Beltrame Docente a contratto presso lʼUniversità degli Studi di Bergamo Dipartimento di Scienze aziendali, economiche e metodi quantitativi. Premessa Proseguendo il viaggio intrapreso alla scoperta delle radici dello sviluppo industriale in Bergamasca, siamo arrivati a questa terza tappa. Dopo aver individuato nelle caratteristiche geofisiche della provincia le origini del suo carattere policentrico e nella peculiare evoluzione manifatturiera dell’agricoltura la diffusione di una imprenditorialità, all’origine della sua polivalenza in quanto a settori merceologici, ora è la volta della seta. Attività che per diversi secoli plasmò l’economia ed il paesaggio bergamasco e costituì la fonte di quella pre-condizione che, nella ricostruzione storica della nascita del capitalismo, è definita “accumulazione primitiva”. La formazione di ingenti capitali nel settore serico permise il successivo decollo dell'industria dove tali capitali confluirono. Decollo che, per Bergamo come per il resto della nazione, è avvenuto con il raggiungimento dell’unificazione politica del Paese. 3 a tappa: la seta all’origine dell’accumulazione primitiva La seta (e la sua lavorazione) ha plasmato l’economia bergamasca per mol- 44 ti secoli divenendo progressivamente un settore di distinzione e di affermazione sul mercato internazionale assumendo per un lungo periodo un ruolo predominante nell’ambito dell’economia di questa provincia di confine della Serenissima. Portata a Bergamo da imprenditori svizzeri, la seta trovò terreno fertile riuscendo nel tempo ad imporsi in termini di qualità dei filati sugli standard di riferimento, costituiti allora principalmente dai filati piemontesi. Protagonista nell’economia bergamasca nei due secoli che precedono il decollo industriale, conobbe fasi alterne determinate sia dall’evoluzione dei mercati di sbocco sia dall’agguerrita concorrenza nazionale ed internazionale che caratterizzò il setificio in questa fase intensa del suo sviluppo. Le attività legate alla seta riguardarono l’intero ciclo di produzione e lavorazione: 1) la gelsibachicoltura, ovvero la coltivazione della pianta del gelso, cibo esclusivo del baco da seta, abbinata all’allevamento del baco. Questa attività era svolta dai contadini per conto dei proprietari dei fondi e, in minor misura, in modo autonomo per integrare il basso reddito mezzadrile; 2) la trattura, ovvero la fase di dipanazione delle bave dei bozzoli, poi riunite in un determinato numero per formare un filo di seta da innaspare. La trattura avveniva nelle filande dove i bozzoli erano portati già essiccati e divisi in gruppi di colore e grossezza pressoché omogenei. Qui erano posti in bacinelle con acqua riscaldata per trovare i vari capi e per sciogliere la sericina, un componente della bava che sciogliendosi parzialmente a contatto con l’acqua faceva sì che le bave si saldassero tra loro, formando un unico filo durante la lavorazione. Una volta dipanati tutti i capi, questi erano riuniti da una filatrice che li avvolgeva su una tavella e li in- Raccolta di bozzoli in una filanda di Bergamo (fotografia del primo decennio del Novecento). crociava in modo da saldare le bave tra loro. Il prodotto così ottenuto era definito seta greggia; 3) la torcitura, ovvero la torsione del filo su se stesso che, assumendo la forma di un’elica, aumentava la sua tensione e la sua resistenza. Da questa lavorazione, effettuata nei torcitoi o filatoi, si ottenevano due tipi di filati: l’organzino, che formava generalmente l’ordito del tessuto che, destinato ad essere sottoposto nel telaio al continuo sfregamento del pettine, era prodotto con le sete gregge migliori; la trama, realizzata con sete meno pregiate, era destinata a riempire i vuoti lasciati dall’organzino. La qualità del filato, misurata in denari normalmente da 18 a 48, era determinata tramite “l’assaggio” effettuato con bilance di precisione e, da essa, dipendeva il prezzo del prodotto; 4) la tintura; 5) la tessitura, effettuata nell’Ottocento con telai manuali e prevalentemente a domicilio; 6) il commercio. In una prima fase quest’ultima attività fu prerogativa di abili setaioli appartenenti alla comunità svizzera giunta a Bergamo dai Grigioni e dalla zona di Zurigo, terre con le quali Bergamo aveva consolidato nei secoli importanti rapporti commerciali. Tuttavia, l’imprenditorialità bergamasca seppe farsi valere anche in tale ambito con l’ingresso di nobili possidenti terrieri che colsero abilmente le opportunità di notevoli guadagni aggiuntivi al reddito agricolo grazie agli alti prezzi raggiunti dai bozzoli e dai semilavorati della seta. Nel XVII secolo furono introdotte importanti innovazioni tecnologiche che rivoluzionarono un’attività sino ad allora svolta essenzialmente in modo manuale e decentrato presso i domicili dei filatori. Si trattò dell’introduzione dei mulini da seta “alla bolognese” che meccanizzarono la fase della torcitura con un miglioramento nella qualità degli organzini tale da imporli anche sugli esigenti mercati di Lione e Londra. Parallelamente crebbe l’importanza e la diffusione della gelsibachicoltura, imposta ai mezzadri in quanto foriera di crescenti rendite per i proprietari fondiari (oltre che integrazione dei modesti redditi mezzadrili). Fu sorretta dalle opportunità abilmente colte sul mercato internazionale dai setaioli, al punto da determinare un costante deficit nella produzione locale di materia prima a cui si doveva sopperire con importazioni da altre province. Fino al XVIII secolo, periodo aureo per la lavorazione della seta, sul nostro territorio si compivano tutte le fasi di lavorazione sopra ricordate, successivamente, però, prevalsero la trattura e la torcitura. Queste due lavorazioni, fino alla metà del secolo, continuarono ad essere svolte separatamente trattandosi di attività che richiedevano fornelli e fusi tradizionalmente diffusi nelle abitazioni di tutta la provincia e, quindi, svolte prevalentemente a domicilio. In seguito le due fasi furono riunite ed accentrate in edifici di dimensioni più rilevanti: le filande e i filatoi. Questa evoluzione nell’organizzazione del processo produttivo determinò l’introduzione di importanti innovazioni ed una conseguente polarizzazione di tali attività in alcuni centri della provincia, in funzione della prossimità di corsi d’acqua necessari alla fornitura di forza motrice ai mulini da seta. Così, località lungo la valle del Serio, tra cui Alzano, Nembro e Albino in particolare, ma, soprattutto, i borghi della “città piana”, divennero i luoghi privilegiati per l’attività di filatura. I prodotti ottenuti da queste due fasi della lavorazione dei bozzoli, sete gregge dalla trattura, trame ed organzini dalla torcitura, erano poi venduti: via terra nelle fiere dell’Europa Centrale a Zurigo, Lipsia, Francoforte; via mare in Olanda ed Inghilterra. Le vicende storiche della fine del XVIII secolo, con il crollo della Repubblica Veneta e l’avvento di Napoleone, costituirono per i bergamaschi avvenimenti gravidi di grandi speranze di libertà politica ed economica che, tuttavia, andarono ben presto deluse. Napoleone promulgò rigide misure protezionistiche per favorire le attività francesi a scapito della concorrenza italiana e le sete bergamasche furono duramente colpite dai dazi introdotti a tutela delle attività seriche lionesi. A ciò si aggiunsero le pesanti conseguenze del blocco continentale che, interrompendo il commercio con l’Inghilterra, penalizzò fortemente la produzione serica bergamasca per la quale Londra costituiva un importante mercato di sbocco. I setaioli bergamaschi riuscirono tuttavia in buona misura ad aggirare il blocco intensificando il contrabbando, una prassi storicamente consolidata in quanto provincia politicamente di confine e geograficamente di transito lungo le principali rotte commerciali verso il centro e nord Europa. Già attivissimo in epoca veneziana a causa dei pesantissimi dazi sulle merci in entrata e in uscita dai territori della Serenissima, il contrabbando fu ulteriormente perfezionato in questi anni con triangolazioni commerciali attraverso paesi neutrali quali la Russia e la Turchia. A quest’audacia corrisposero notevoli introiti, tali che lo stesso Napoleone, resosi conto del fenomeno, convocò a Parigi nel 1811 Luigi Cavalli, ricco negoziante di seta di Bergamo e membro della locale Camera di Commercio, per discutere del problema. La soluzione adottata dall’Imperatore fu, però, di corto respiro. Fu decisa la riapertura alle sete bergamasche delle esportazioni sul mercato londinese, al prezzo, tuttavia, dell’applicazione di un forte dazio e dell’obbligo di transito in Francia. Com’era prevedibile il contrabbando continuò con i relativi rischi e guadagni per i nostri setaioli. La Restaurazione (1818), seguita al crollo dell’impero napoleonico, diede nuovo slancio all’attività serica sostenuta anche da prezzi in continua ascesa. Si trattò dell’ultima stagione di espansione che il settore conobbe in Bergamasca. La gelsibachicoltura incrementò la sua diffusione sul territorio con una crescita della produzione di bozzoli che ridusse la dipendenza dell’industria serica bergamasca dalle importazioni dalle province limitrofe (Brescia, Mantova, Crema e province venete). La trattura e la torcitura, fino ad allora nelle mani di mercanti - negozianti di seta della comunità svizzera, videro l’ingresso dei nobili possidenti terrieri che, potendo contare sulla disponibilità di materia prima, valutarono conveniente investire una parte dei capitali fondiari a loro disposizione per aprire tratture e torciture in cui far filare i bozzoli allevati sui loro terreni. Crearono in tal modo un sistema integrato, terra (coltivazione dei gelsi e allevamento dei bozzoli) - filanda - torcitoio, che consentì loro di esercitare direttamente il controllo su tutte le fasi di lavorazione, un controllo stringente dato che, spesso, a lavorare in filanda erano le donne ed i fanciulli delle famiglie dei propri mezzadri, non impegnati nell’attività agricola. Si adeguarono inoltre i contratti d’affitto che prevedevano specificamente la gelsibachicoltura come attività svolta dal mezzadro per conto dei proprietari dei fondi agricoli, questi ultimi fissavano e fornivano il quantitativo di seme bachi e ne sovrintendevano l’allevamento. Il prodotto veniva poi ripartito secondo le regole mezzadrili che prevedevano, appunto, una suddivisione a metà dei bozzoli ottenuti. Al termine di questo lungo periodo, interrotto dall’epidemia di pebrina che colpì la gelsibachicoltura bergamasca a partire dal 1853, il setificio aveva consolidato la sua posizione predominante rispetto agli altri settori dell’economia bergamasca (con l'unica importante eccezione dei cotonifici) sia in termini di abilità imprenditoriali, sia in termini di peso sociale e politico, sia, soprattutto, in termini di risorse finanziarie investite ed accumulate. Lo scoppio della crisi, prolungatasi per un lungo periodo, cambiò radicalmente l'economia bergamasca spingendo i setaioli a cercare nuove fonti di profitto per gli ingenti capitali accumulati. La loro combinazione con una latente quanto spiccata imprenditorialità diffusa alimentò, nella seconda metà del XIX secolo, il decollo industriale della nostra provincia. OBIETTIVO DEL CREDITO COOPERATIVO È CREARE VALORE ECONO MICO, SOCIALE E CULTURALE A BENEFICIO DELLE COMUNITÀ LOCALI O Il territorio alle origini del carattere polivalente e policentrico dell’economia bergamasca 45