Appunti lezioni di Sociologia della famiglia Università degli Studi di

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Appunti lezioni di Sociologia della famiglia Prof. Paola Di Nicola
Università degli Studi di Verona
Legami familiari:
quando la semplificazione genera complessità
1. I nuovi profili strutturali della famiglia
Con poche espressioni è possibile sintetizzare i più rilevanti mutamenti che
hanno investito la famiglia in Italia: semplificazione delle strutture, riduzione
dell’ampiezza media dell’unità di coabitazione, complessità crescente e, dal punto
di vista relazionale, processi di de-istituzionalizzazione (Di Nicola 1999). Le
famiglie, in Italia, si caratterizzano per un basso numero di componenti, per una
struttura sempre più frequentemente giocata sull’interazione di pochi ruoli (i
single, la coppia coniugale, un solo genitore con figli), per la crescita di nuove
forme familiari (convivenze, nuclei monogenitoriali, famiglie ricostituite) e per un
complesso normativo la cui legittimità affonda le sue radici non tanto e non solo
in norme e valori condividi e attinti – derivati – dalle istituzioni sociali extrafamiliari, quanto dalla volontà individuale di fare ed essere famiglia. Se si prende
una qualsiasi tabella riassuntiva dell’ISTAT che contenga tutte le tipologie
familiari empiricamente rilevabili a partire dal gioco combinato di variabili quali
l’avere o non avere figli, vivere in coppia o da soli, essere coniugati o non, la
presenza o meno nell’unità di coabitazione di membri aggregati, è possibile
enumerare almeno sedici tipi di famiglia, a conferma dell’impossibilità, oggi, di
ricondurre la famiglia italiana entro una modellistica semplice. Si assiste dunque
ad un processo di “esplosione” delle diverse modalità del vivere sotto lo stesso
tetto, al quale fa da contraltare un processo, contrario, di “implosione”: sempre
più famiglie e, contemporaneamente, famiglie sempre più piccole (Donati 2001;
Donati, Di Nicola 2002; Rossi 1995). Famiglie, inoltre, che sempre più
frequentemente sono viste e definite come “unità degli affetti”, piuttosto che come
agenzie impegnate e specializzate nell’assolvimento di compiti e funzioni a forte
rilevanza sociale. Tali processi rilevabili a livello nazionale sono molto più forti
ed accentuati nel Nord Italia, ma, in generale, le aree del Meridione mostrano
trend di allineamento con tendenze di mutamento che hanno investito la famiglia
nella società complessa.
Molteplici sono i fattori sociali, culturali ed economici che sostengono
questo concomitante processo di implosione ed esplosione delle forme familiari.
Invecchiamento della popolazione; riduzione dei tassi di fecondità e di nuzialità;
cambiamento del ruolo sociale della donna; sviluppo di nuove agenzie extrafamiliari, che coprono ambiti della riproduzione sociale un tempo di competenza
quasi esclusiva della famiglia; minore dipendenza economica degli adulti da
strategie di tipo familiare1; diffusione di un orientamento culturale che considera
la famiglia come un affare privato, un ambito di vita e di relazioni private,
esclusive, fortemente connotate in termini psicologici ed affettivi, rinegoziabili,
1
Gli anziani hanno redditi da trasferimento; aumentano, soprattutto tra le coppie giovani, le
famiglie bi-reddito, con relativo declino del ruolo – un tempo tipicamente femminile – di membro
a carico, vale a dire del ruolo di chi gode di una sicurezza economica e di una tutela sociale in
quanto “a carico” di un percettore di reddito, solitamente il maschio adulto della famiglia).
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cementate da una solidarietà regolata da codici interni e prodotti dalle stesse
relazioni familiari; forti investimenti sui figli, la cui “qualità” di vita è fortemente
correlata - anche nella percezione di senso comune - alla riduzione del loro
numero e, non da ultimo, un’organizzazione del lavoro che si regge su una netta e
profonda distinzione tra lavoro produttivo remunerato e fonte di diritti sociali–
svolto individualmente da ogni singolo lavoratore – e lavoro riproduttivo – non
retribuito e, soprattutto, fonte di discriminazione e penalizzazioni – svolto dai
membri adulti attivi e non della famiglia (soprattutto donne). L’immagine che
emerge è dunque quella di una famiglia sempre più gruppo e sempre meno
istituzione, percepita ed “agita” socialmente come sfera privata, più produttrice di
gratificazioni affettive e psicologiche che non di risorse2, frutto di scelte sempre
meno vincolanti e sempre più frequentemente rinegoziabili. Un’esperienza di vita
che accompagna l’attore sociale nel corso della sua biografia, cambiando forme e
modi a seconda delle fasi e degli avvenimenti che ne sono il contrappunto,
piuttosto che passaggio obbligato per entrare nella piena maturità. La diminuzione
dei tassi di fecondità e la crescita del numero di famiglie con figli conviventi
nonostante la raggiunta indipendenza economica, oltre che la maggiore età,
confermerebbero che oggi, per i giovani, il fare famiglia non è più visto e vissuto
come tappa per l’ingresso nella vita adulta. Contemporaneamente l’aumento delle
convivenze, delle separazioni e dei divorzi, la crescita di nuclei composti da un
solo genitore con figli e dei nuclei ricostituiti (composti da soggetti provenienti –
almeno uno – da un precedente vincolo matrimoniale) dimostrano quanto oggi i
percorsi, le biografie di vita individuali siano diventate discontinui e non
prevedibili, togliendo alla famiglia quella funzione – tipica delle società
tradizionali – di marcatore del passaggio da una fase all’altra del ciclo di vita, in
una progressione lineare: vita nella famiglia di origine, fidanzamento, matrimonio
e generazione dei figli, secondo una sequenza che poteva conoscere momenti di
discontinuità per pochi e, soprattutto, ineluttabili avvenimenti, quale, ad esempio,
la morte di un componente la coppia coniugale.
Da un punto di vista strutturale, tuttavia, se si escludono dal computo le
famiglie unipersonali, la cui crescita dipende significativamente dai processi di
invecchiamento della popolazione, è indubbio che ancora oggi la relazione
coniugale e, soprattutto, la relazione di filiazione costituiscono l’ossatura portante
della maggior parte delle famiglie. Nel panorama delle famiglie italiane3:
™ le coppie con figli, per quanto in lieve contrazione, rappresentano ancora
la tipologia familiare quantitativamente più significativa;
™ se si sommano le coppie con figli ai nuclei monogenitoriali, si evidenzia in
maniera chiara che il 70% circa delle famiglie con un nucleo vede la
presenza al suo interno di figli: la relazione genitore-figli, dunque,
costituisce ancora oggi l’asse portante della struttura della famiglia
italiana;
™ in molte realtà territoriali prevalgono coppie con un solo figlio, ma a
livello nazionale è ancora maggioritario il modello procreativo del
“minimo due figli”;
2
La famiglia è oggi più un vincolo che non una risorsa per l’attore sociale, come i dati relativi alla
distribuzione della povertà tra le diverse tipologie familiari e alla distribuzione dei carichi di
lavoro familiare tra uomini e donne mostrano ampiamente.
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Per i dati strutturali si rinvia alle più recenti indagini Multiscopo dell’ISTAT.
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™ è in crescita la famiglia lunga del giovane adulto, ma più del 60% delle
coppie ha almeno un figlio minore (e poco più di un quarto dei nuclei
monogenitoriali).
Se la componente relativamente stabile (struttura) ancora maggioritaria
delle famiglie è data dalle relazioni di coppia e di filiazione, è anche vero che il
profilo strutturale assume una peculiarità non più assimilabile alla famiglia
italiana degli anni ’50-’60. Infatti:
™ tra le coppie che non hanno avuto figli (e sono alte le probabilità che non
ne avranno) si ha una netta preponderanza di donne occupate e,
soprattutto, ad elevata scolarizzazione;
™ tra le giovani coppie sta declinando il modello tradizionale di relazione
che vede la donna casalinga e l’uomo occupato: le giovani donne in coppia
occupate superano il 60% (anche se la distribuzione territoriale è ancora
disomogenea).
™ poco più della metà delle coppie è costituita da soggetti con lo stesso
livello di scolarizzazione e in più di un quarto dei casi la donna ha un
titolo di studio superiore a quello del marito-partner;
™ i tassi di fecondità sono tanto più bassi quanto più il livello di
scolarizzazione ed il tasso di occupazione delle donne sono elevati;
™ si è rilevato uno scarto significativo tra il numero di figli considerato
“ideale” (due figli) ed il numero di figli generati (inferiore, nella media, a
due);
™ il livello di scolarizzazione delle donne ha superato, a livello nazionale,
quello degli uomini, per cui si è modificato il sistema delle aspettative (in
riferimento alla vita lavorativa, ma anche alle possibilità di realizzazione)
con il quale la donna si affaccia alla soglia dell’età adulta;
™ la maggior parte delle giovani donne tendono a posticipare il matrimonio e
la nascita del primo figlio all’ingresso nel mondo del lavoro e alla
stabilizzazione della vita lavorativa;
™ sono a rischio di povertà, oggi, le famiglie monoreddito e con figli;
™ uomini e donne si sposano sempre più tardi e, soprattutto, con minore
intensità rispetto alle generazioni precedenti.
Appare dunque evidente, che, ancora oggi, in Italia, la maggior parte delle
famiglie è impegnata nel lavoro riproduttivo e continua a svolgere la sua
fondamentale funzione di mediazione sociale tra individuo e società e, soprattutto,
tra le generazioni. La genitorialità può effettivamente essere considerata la
“condizione” che contraddistingue la maggior parte della popolazione adulta. Gli
adulti (nella maggior parte dei casi) non sono solo uomini e donne, lavoratori e
lavoratrici, ma sono anche genitori: il loro stile di vita, i livelli di consumo,
l’organizzazione del quotidiano contemplano questa dimensione – condizione, che
ad un certo punto intercetta le biografie individuali. Caratteristica indelebile che,
una volta assunta, accompagna l’attore sociale nel suo percorso biografico,
nonostante i processi possano essere discontinui ed accidentati.
Tuttavia, il lento spostare in avanti l’età al primo matrimonio e al primo figlio,
la diminuzione del numero medio di figli per coppia, la diminuzione della
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propensione a sposarsi ovvero a dare inizio ad una libera unione 4(e queste sono
tendenze di cambiamento indubbiamente in atto, seppure con forza diversa a
seconda dei gruppi sociali e delle aree territoriali), la crescita del rischio povertà
tra le famiglie numerose e con figli, dimostrano, tuttavia, che oggi la
“genitorialità”, non solo come atto procreativo, ma come condizione di vita
quotidiana agita e praticata sempre più spesso si configura come area
problematica, area di sofferenza, sia individuale (difficoltà da parte dei genitori)
che sociale (difficoltà nella trasmissione intergenerazionale di norme, valori,
modelli, schemi di riferimento per l’azione).
Sul versante individuale, le difficoltà non dipendono tanto dal fatto che i
genitori non sappiano più fare il loro ‘mestiere’, quanto dal fatto che l’esercizio
della genitorialità (come compito al quale è chiamata la maggior parte della
popolazione adulta) richiede oggi competenze, attitudini e “vocazioni” da
costruire, “inventare” giorno dopo giorno, senza più i tradizionali ombrelli
protettivi del passato; senza più le certezze e le sicurezze di “saperi” già
confezionati e predisposti ai quali attingere.
Sul versante sociale, le difficoltà sono da imputare ad un’articolazione del
rapporto tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo che richiede ancora oggi alla
coppia e, soprattutto, alla donna un massiccio investimento di tempo e di risorse,
che le giovani donne scolarizzate non sono più disponibili ad indirizzare in
un’unica direzione (lavoro di cura, lavoro riproduttivo), con il rischio di ricadere
in una situazione di dipendenza economica, che penalizza, sia sul versante
materiale che su quello della tutela dei diritti di cittadinanza, non solo la donna,
ma la stessa famiglia (come la fragilità-debolezza economica delle famiglie
monogenitoriali con genitore donna e di quelle monoreddito dimostra).
Da un punto di vista più ampio e comprensivo, l’esercizio della genitorialità si
inserisce oggi in un generale quadro socio-culturale, politico ed economico
contrassegnato da incertezza, insicurezza e vulnerabilità. Riflettere sulle relazioni
inter-generazionali, sui legami familiari significa confrontarsi con processi,
tendenze e fattori che mentre frammentano le biografie di vita individuale ed i
relativi contenitori (quali le famiglie), erodono sistematicamente i legami sociali
(Di Nicola 2002b), riducendo le dinamiche relazionali (di coppia e intergenerazionali) a tattiche di sopravvivenza, alla “politica della vita quotidiana”.
2. Relazioni e dinamiche familiari: la rivoluzione degli anni ‘70
Se alla fine della seconda guerra mondiale, la famiglia italiana che si
apprestava alla ricostruzione era una famiglia ancora profondamente rurale e
tradizionale negli stili di vita e di consumo, cementata da una solidarietà forte ed
esclusiva che poco spazio lasciava ai suoi membri, ancora ordinati,
gerarchicamente, per età e sesso lungo l’asse del potere, la famiglia che si affaccia
alla ribalta negli anni ’70 mostra di avere compiuto una sua prima rivoluzione
copernicana. Televisione, frigorifero, lavatrice e, per quanto più lentamente,
telefono sono entrati in ogni casa a sottolineare anche simbolicamente (ma non
solo!) l’esistenza di un nucleo – la famiglia nucleare appunto – che accentra e
svolge la funzione riproduttiva senza più rilevanti ed imprescindibili legami di
4
Non bisogna dimenticare che in Italia, a differenza degli altri Paesi europei, i giovani adulti
tendono a rimanere in casa in condizione di figli, piuttosto che crearsi uno spazio di vita affettivosentimentale autonomo con un partner.
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dipendenza dalla parentela, dal vicinato, dalla comunità di vita quotidiana. Nelle
traiettorie biografiche individuali il “fare famiglia” non è più visto e vissuto come
passaggio obbligato per poter entrare nella vita adulta a pieno titolo, per poter
accedere – seppure in maniera vicaria – ai diritti di cittadinanza (e questo
soprattutto per la donna e per i figli), ma diventa una scelta che ognuno fa se e
quando ritiene sia il momento giusto ed opportuno. Livelli più elevati e diffusi di
benessere, crescita della scolarizzazione, allungamento della durata della
formazione, aumento dei tassi di occupazione tra le donne coniugate,
consolidamento di una rete di protezione sociale che tutela il cittadino in quanto
tale e non da ultimo la “rivoluzione sessuale” degli anni precedenti (come
espressione di un più ampio processo di critica e messa in discussione di assetti
autoritari e asimmetrici considerati immutabili ed intoccabili) ci consegnano, negli
anni ’70, una famiglia che presenta i caratteri di un’unità solidale di due adulti che
possono permettersi il “lusso” di curare le relazioni affettive interne.
Il matrimonio – almeno nelle aspettative – è visto come l’unione affettiva e
sessuale di due soggetti di pari dignità e valore, le cui regole non sono date una
volta per sempre, ma devono essere quotidianamente costruite, corrette – se
necessario – riconfermate: in altri termini rinegoziate senza più l’ombrello
protettivo della tradizione e/o di modelli di riferimento all’azione prefissati e
chiaramente definiti. Unione di due adulti che molto investono sui figli, sempre
più spesso voluti e programmati.
Pienamente realizzata, data per scontata e ovvia la scissione tra riproduzione e
sessualità, la procreazione perde il carattere dell’obbligatorietà e inevitabilità, per
entrare nell’area della discrezionalità dell’individuo e della coppia e diventa
dunque – contrariamente ad una serie di luoghi comuni – un “valore”. Il figlio
diviene un bene che si sceglie in sé, non in vista, per esempio, di una sua utilità
futura (sintetizzabile nel concetto di figlio come bastone per la vecchiaia) e per il
quale si è disposti a riorganizzare e modificare tempi e modi della vita di coppia.
Il forte orientamento puerocentrico della coppia coniugale, impegnata
nell’impresa di curare ed allevare la prole nel rispetto delle inclinazioni, attitudini
e vocazioni del bambino, più che nell’imposizione di modelli di autorità e regole
di vita non discutibili, è sostenuto da una rosa di servizi che nascono (nidi) e/o si
rinnovano (scuola materna ed elementare) negli anni ’70, con l’obiettivo di creare
un sistema di opportunità, al cui interno il bambino possa realizzare tutte le sue
potenzialità (Di Nicola 2002a). Vale la pena ricordare, a tale proposito, che solo
negli anni ’60-’70 le scuole materne perdono la prevalente connotazione
assistenziale, che ancora negli anni ’60 la scuola elementare era selettiva (si
bocciava ancora, vi erano le classi differenziali per scolari con rendimenti
“differenti”) e che la scuola media unificata fu una riforma degli inizi degli anni
’60.
Infine, proprio perché la coppia coniugale è ormai definitivamente emancipata
dalla protezione, dalla dipendenza e dal controllo dalla parentela, la relazione con
i genitori (con le rispettive famiglie di origine dei componenti la coppia), pur
conservando tratti e coloriture strumentali (ancora forti e significativi sono gli
scambi – a doppio senso – tra genitori e figli non coabitanti), ha assunto valenze
più squisitamente affettive e di dono. E’ il momento in cui si realizza quella che
J.L. Flandrin (1979) considerava una peculiarità dei sistemi familiari occidentali e
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moderni: vale a dire la “coincidenza”, la perfetta sovrapposizione tra i concetti di
casa, di famiglia e di coppia con figli.
Processi lunghi quelli sopra descritti, presenti con intensità diverse tra gruppi
sociali ed ambiti territoriali, ma che trovano nel superamento della regola
dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale del 1970 e nella riforma del diritto di
famiglia del 1975 una loro legittimazione. Anche se una legge non è mai solo
presa d’atto e legittimazione di “fatti” sociali pienamente realizzati, perché il
cambiamento sociale è un processo complesso e composito ed ogni sua
componente presenta velocità diverse e diverse capacità di penetrazione nelle
varie sfere e territori della società, rimane da sottolineare il fatto che negli anni
’70 la legislazione italiana ci riverbera una immagine di relazioni familiari
completamente nuova e profondamente diversa dalla famiglia delineata dal diritto
dopo la seconda guerra mondiale (Donati, Di Nicola 2002).
Depenalizzato il reato di adulterio, tramontato definitivamente l’istituto
dell’autorità maritale, liquidato il concetto, oltre che la pratica, del delitto
d’onore5, abrogate le norme che facevano divieto di diffusione e vendita di metodi
e tecniche contraccettivi, introdotto il divorzio, sancito, per la donna, il diritto a
mantenere, dopo il matrimonio, il proprio cognome, il nuovo diritto di famiglia
del 1975 delinea un ambito relazionale al cui interno ogni soggetto –
indipendentemente dal sesso e dall’età – ha una sua collocazione, da cui
scaturiscono diritti e doveri caratterizzati da reciprocità e simmetria. La famiglia
non è più vista e realizzata come realtà esterna all’individuo, come fatto sociale
con una propria normatività che si impone ai suoi membri, riconducendo spinte,
motivazioni, vocazioni, desideri individuali ad una unità familiare, che poco
spazio lasciava alle forze necessariamente centripete attivate dall’interesse
individuale e personale dei suoi diversi componenti. La famiglia è, appunto,
un’unità solidale di due soggetti che “si scelgono” e “scelgono di vivere insieme”.
Sembra ormai pienamente realizzato il concetto di matrimonio come “sodalizio”
tra due adulti, che sentono di avere in comune molte più cose di quante ne
condividano con altri soggetti pur appartenenti alla stessa linea parentale, che
decidono per amore, per affetto di imbarcarsi in un’impresa – il matrimonio –
nella quale investono risorse, capacità, competenze individuali. Due adulti che
scelgono di intraprendere un cammino insieme, senza più la sicurezza di poter
trovare linee giuda all’azione nella tradizione, nella routine, nelle esperienze della
generazione precedente. Esperienze dalle quali si prendono le distanze soprattutto
in campo educativo, nella scelta dei modelli di socializzazione, che conoscono
una netta e precisa virata anti-autoritaria (Di Nicola 2002a).
5
La crescita preoccupante del numero di uomini “abbandonati” che uccidono la donna (compagna
o moglie) che li ha lasciati, costituisce nella sua drammaticità un forte indicatore dei mutamenti
intervenuti nelle relazioni uomo-donna. Con il delitto di onore l’uomo ribadiva la sua preminenza,
il suo essere “padrone” e proprietario” di una donna, sulla quale pretendeva di esercitare un
controllo totale (sui sentimenti, oltre che sulla sfera sessuale). La più recente forma di violenza
estrema contro le donne, testimonia della “debolezza” di un uomo che non accetta l’abbandono,
ma che, soprattutto, non ha altri strumenti di controllo sulla donna, se non la negazione stessa della
sua esistenza. Inoltre, paradossalmente, mentre il delitto di onore, pur nella sua follia, rientrava in
un quadro normativo “condiviso”, in una certa cultura dell’onore, per quanto sessista e
condannabile, gli attuali “giustizieri delle donne infedeli” sono individualisti solitari, narcisi feriti,
che non hanno ancora compreso che qualsiasi processo di crescita è sempre un distacco.
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Famiglia dunque, quella degli anni ’70, sempre più gruppo e sempre meno
istituzione; puerocentrica e non più adultocentrica; “affare privato” più che snodo
fondamentale del controllo sociale; “cameratesca” nella gestione del quotidiano e
non più cellula gerarchicamente ordinata al suo interno; unità di soggetti
interagenti che costruiscono socialmente, attraverso le interazioni quotidiane, la
loro famiglia, più che sistema coeso e ordinato di regole e norme alle quali gli
attori devono attenersi. Per questo motivo si è sostenuto che il nuovo diritto di
famiglia non prefigura né impone un unico modello familiare, ma crea una forte
cesura con la normativa precedente che definiva in maniera chiara ed univoca
l’assetto delle relazioni familiari, sia coniugali che quelle relative al rapporto
genitori-figli. Il diritto di famiglia promulgato nel 1975 consente ai coniugi di
impostare con relativa libertà la relazione coniugale ed il rapporto educativo con i
figli.
Rispetto agli anni ’50, al periodo post-bellico, la famiglia italiana ha vissuto,
realizzato e/o subito (dipende dalle prospettive di analisi!) la sua piccola grande
rivoluzione: a partire dalle piccole, private micro-interazioni quotidiane è stato
eroso e svuotato il modello patriarcale di famiglia, caratterizzato da una profonda
differenziazione interna lungo gli assi del sesso e dell’età. E’ uno svuotamento
che è andato di pari passo con la diffusione di un modello di sviluppo che ancora
conosceva periodi di crescita economica, che portava a maturità uno stato sociale,
che, tramite politiche fortemente redistributive, si faceva carico della tutela del
cittadino in quanto tale, la cui “sicurezza” ed i cui diritti (alla salute, all’istruzione,
alla copertura del rischio vecchiaia, invalidità, ecc.) dipendeva sempre più dalle
politiche pubbliche e sempre meno dall’appartenenza familiare. Famiglie sempre
più piccole, autopoietiche, espressive, specializzate nella “cura delle relazioni di
cura” in un momento storico in cui –sembrava – che la società non avesse più
bisogno del regolare, sistematico e silenzioso lavoro di mediazione sociale che la
famiglia tradizionalmente svolgeva. Famiglie liberate dai più gravosi oneri del
lavoro riproduttivo (allevare i figli, accudire gli anziani, fare quadrare i bilanci,
fare fronte a tutte le contingenze, senza rilevanti supporti esterni), famiglie
“leggere” che possono permettersi il lusso – come già detto – di curare la relazioni
interne; anzi, famiglie che sono tali in quanto specializzate nel lavoro di cura.
Facendo sempre riferimento alle sollecitazioni di J.L. Flandrin, si può
sostenere che la legislazione italiana relativa alla famiglia e alle relazioni familiari
degli anni ’70 e la legislazione sociale in senso ampio, mentre hanno sancito
definitivamente il processo di individualizzazione delle relazioni familiari, hanno
gettato le basi del successivo ed incipiente processo di individualizzazione nelle
relazioni familiari. Emancipata prima dalla dipendenza e dal controllo della
parentela e della comunità, la famiglia comincia successivamente a doversi
confrontare con nuove sfide. La nuova pragmatica delle relazioni interpersonali
introduce nella famiglia gradi elevati di contingenza, negoziazione e flessibilità
che mettono sotto stress la capacità stessa dei componenti la famiglia di giungere
ad un “costruzione discorsiva” e condivisa delle regole e delle nome del vivere
sotto lo stesse tetto (Giddens 1995;. Kaufmann 1996). Da realtà sociale che
scandiva con i suoi timing tempi e modi delle biografie individuali, oggi sono i
tempi ed i modi delle strategie di vita individuali che scandiscono i tempi della
famiglia.
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3. Relazioni e dinamiche familiare in ‘tempi’ di incertezza
Fragilità, incertezza, insicurezza sono termini che sempre più frequentemente
sono utilizzati per dare il senso sia oggettivo (la reale dinamica delle relazioni
familiari) che soggettivo (come gli attori sociali vivono ed interpretano il loro
essere oggi parti di una famiglia) dell’essere e fare famiglia nell’era della dopomodernità, della modernità riflessiva e/o della modernità liquida (Beck, Giddens,
Lash 1999).
L’uso ormai pressoché d’obbligo del plurale – famiglie vs famiglia – sembra
rimandare ad un’esperienza di vita quotidiana che sfugge a qualsiasi norma e
regola sociale, che non sia la realizzazione di progetti di vita sempre più
contingenti e contrassegnati da incertezza e discontinuità (Beck 2000). All’interno
di questi progetti di vita individuali il “fare famiglia” diventa una scelta sempre
più procrastinata nel tempo e sempre più improbabile; il “vivere in famiglia” una
condizione sempre più rischiosa oltre che ad elevata transitorietà (Beck, BeckGernsheim 1996). Tramonta per i giovani il modello del matrimonio come
sodalizio di due adulti che si scelgono, come impresa da intraprendere, forte è la
tendenza a rimanere agganciati alla sfera relazionale dei genitori, garanti di quella
base di sicurezza, anche materiale – ma non solo! – che aiuta ad affrontare un
futuro i cui contorni sono sempre più sfumati ed incerti.
Relazioni di coppia sempre più frequentemente instabili da una parte, relazioni
genitori-figli contrassegnate da incertezze e senso di inadeguatezza dall’altra.
Alcuni autori parlano della famiglia contemporanea come di uno zombie, di un
morto vivente che invochiamo per trovare un falso lenimento alle nostre paure,
alle nostre incertezze, alle nostre debolezze. Lenimento perché la famiglia evoca
l’immagine di un porto sicuro, di una nicchia affettiva calda e protettiva, “rifugio
in un mondo senza cuore”; falso perché la famiglia come legame, come
espressione di una scelta compiuta sotto l’egida di un’etica della responsabilità
non può essere lenimento per chi ha fatto della logica della scelta, dell’economia
del rischio e del superamento dei legami sociali i pilastri sui quali appoggiare la
propria biografia di vita. Falso inoltre perché la famiglia, quella da noi
vagheggiata e sognata in realtà non esiste più e non sappiamo neanche se sia mai
esistita realmente nel passato!
Se le tecniche di negoziazione tra due soggetti che sentivano di avere almeno
potenzialmente gli stessi diritti e doveri potevano aiutare la coppia a trovare un
modus vivendi, che altro non era che la realizzazione di una relazione che voleva
coniugare il massimo della libertà con il massimo della sicurezza, oggi spesso la
coppia non giunge ad alcuna forma di mediazione-negoziazione, preferendo la
risoluzione del legame ad una costruzione discorsiva di una relazione, attraverso il
confronto e, a volte, attraverso il conflitto. In una società come la nostra – si dice
– fatta di relazioni sociali deboli, una rete sociale a maglia larga, anche le
relazioni familiari si sono allentate: i nodi sono più distanti e, soprattutto, legati
più debolmente.
Nel rapporto genitori- figli, l’orientamento puerocentrico, che ancora vedeva il
genitore nel ruolo attivo e propositivo di chi aiuta, favorisce, asseconda i processi
di crescita del figlio, ha conosciuto una parziale revisione. Non nel senso,
ovviamente, di un arretramento dell’interesse dell’adulto nei confronti dei più
piccoli, ma nella crescente incapacità, senso di inadeguatezza che i genitori
sperimentano nel quotidiano e faticoso lavoro di cura ed accudimento dei figli.
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Delegittimato il modello impositivo, indebolito il modello maieutico, emerge un
modello, uno stile relazionale che oscilla tra compiacenza e complicità,
distanziamento e paure ossessive, costruzione di regole comuni e patteggiamento
sulle regole.
4. Le sfide dell’incertezza
Indubbiamente oggi le relazioni familiari stanno vivendo una fase di profondo
cambiamento, che spesso viene letto ed interpretato come profonda crisi,
anticamera di un superamento totale di questo vecchio istituto che ancora
etichettiamo come famiglia. Rispetto a tale linea interprativa sono necessarie
alcune puntualizzazioni, tese a mettere in evidenza quanto delle crescenti
difficoltà che le famiglie incontrano siano dovute a meccanismi interni e quanto,
invece, dipende dalle più ampie dinamiche sociali e culturali.
Le crescenti difficoltà relazionali, sintetizzabili in una più marcata fragilità
delle relazioni coniugali e di coppia e in una diffusa percezione dell’elevata
contingenza legata ai legami genitori figli, trovano un loro terreno di coltura in un
affievolimento dell’etica della responsabilità, in una accentuazione delle spinte
individualistiche e narcisiste. A tale proposito l’esplosione del “privato”, come
allargamento dello spazio relazionale al cui interno il soggetto sembra agire
sempre più spesso come legibus solutus, sembra offrire una significativa chiave di
lettura per comprendere le radici della crisi della famiglia. Ma è necessario evitare
l’errore di generalizzare comportamenti individuali indubbiamente presenti, ma
per molti aspetti elitari (vale a dire tipici di alcuni gruppi) e, soprattutto,
enfatizzati da chi opera delle fortissime polarizzazioni-contrapposizioni, anche per
portare alla luce dinamiche reali, ma spesso ancora allo stato latente. Il fatto che
ancora oggi il vivere in famiglia, ed in particolare vivere in una famiglia composta
dalla coppia coniugale con figli, sia un’esperienza di vita attraverso la quale passa
la maggior parte della popolazione, dimostra che il tema-problema della crisi
merita ben altro approfondimento, pena il rischio di etichettare – e liquidare –
come crisi quella che è una profonda morfogenesi delle relazioni familiari.
Fragilità, insicurezza e incertezza connesse alle relazioni familiari acquistano
un significato meno drammatico e problematico se le si connette alle più recenti
dinamiche che caratterizzano la modernità riflessiva. Vale a dire un sistema
simbolico e culturale al cui interno l’attore sociale si muove dovendo operare
regolari e ricorrenti scelte, valutando sempre i pro ed i contro, le conseguenze
potenziali delle sue opzioni, affidandosi non più al sapere tradizionale, alle
pratiche routinizzate, ma al sapere “esperto”. In un contesto siffatto, l’attore
sociale è chiamato ad un’azione regolare di meta-riflessione su quello che fa o
non fa nelle sue relazioni affettive, nei suoi legami sociali (con l’altro sesso e con
i suoi discendenti): l’attivazione, il mantenimento e la costruzione delle relazioni
familiari diventano azioni “consapevoli” che richiedono un elevato impegno
personale, tanto più alto quanto più le dinamiche sociali non “premiano” i
comportamenti connessi al fare e diventare famiglia. La mancanza di un quadro di
riferimento all’azione chiaro e condiviso (l’esistenza quindi di un contesto di
insicurezza e incertezza) rende – è vero – le relazioni familiari potenzialmente
fragili, ma anche profondamente elettive e selettive: figlie di un’intenzionalità che
le riconferma quotidianamente. Si può affermare che sul versante interno delle
relazioni familiari, insicurezza e incertezza non sono in sé elementi di debolezza,
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ma possono diventare punti di forza, nella misura in cui hanno liberato i legami
familiari dai vincoli posti dalla routine, dalla pura dipendenza reciproca
(soprattutto nel legame di coppia), dall’ossequio a norme accettate supinamente,
più che condivise, ponendo la responsabilità del fare ed essere famiglia nelle
“mani e nei cuori” di chi decide di correre il rischio di entrare in un legame
sociale (relazione di coppia) e di intensificare il suo involucro relazionale
generando figli, anche al limite dopo una prima esperienza negativa.
Fragilità, insicurezza e incertezza sono, invece, punti di debolezza per la
famiglia, quando da terreno di “coltura” per una meta-riflessione consapevole sul
fare ed essere famiglia, diventano la cornice al cui interno si snoda la biografia di
vita individuale, portando ad esasperazione la contrapposizione tra i tempi della
famiglia ed i tempi di quelle biografie “fai da te” che troppo spesso possono
trasformarsi in biografie del fallimento (Beck 2002; Bauman 2002a, 2002b). Da
una parte abbiamo i tempi lunghi della famiglia, che richiede un impegno a lunga
scadenza e tempi sempre più dilatati, dall’altra parte si attiva un diverso
dinamismo nei tempi dei cicli di vita individuale. Un progetto “procreativo” (la
decisione di generare un figlio) necessita di un tempo lungo: almeno la durata di
una generazione, che oggi si stima nell’ordine di 30-32 anni; anche se la relazione
coniugale non è più per la vita, rimane il fatto che la vita di coppia ha
potenzialmente una durata di 45-50 anni. A questi allungamenti dei tempi che
segnano e scandiscono la vita familiare, fa da contraltare una crescente
frammentarietà, discontinuità e per molti aspetti un accorciamento dei tempi delle
altre sfere di vita, in particolare di quella lavorativa. Il lavoro, condicio sine qua
non – almeno per la realtà italiana - per poter accedere ai tempi della famiglia, è
raggiunto sempre più tardi. E’ una condizione che, soprattutto nei primi anni, è
contrassegnata da discontinuità cicliche (contratti di formazione e lavoro
rinnovabili) e ricorrenti (la flessibilità/precarietà sta diventando la caratteristica di
molte carriere lavorative). Oggi viene scardinato uno dei punti forti ai quali si
ancorava l’identità adulta, passaporto per l’assunzione di tutti gli altri ruoli adulti.
E’ un processo di scardinamento che porta insicurezza, incertezza e vulnerabilità
nelle biografie di vita individuale, che induce a restringere gli orizzonti del futuro,
ad appiattire la maggior parte dei tempi della scelta sul presente, tutt’al più sul
futuro prossimo. E’ un processo – quello dell’erosione della sicurezza del lavoro –
che indebolisce una delle aree più significative per lo sviluppo della solidarietà e
della coesione sociale affidata alla logica dei legami e che porta, sostanzialmente,
a legittimare comportamenti aggressivi e di forte competizione con gli altri. Si
diffonde inoltre “La nuova pragmatica delle relazioni interpersonali (il nuovo stile
di «politica della vita» descritto con grande convinzione da Anthony Giddens)
che, pervasa di spirito consumistico, considera l’Altro una fonte potenziale di
esperienze gradevoli: per quanto possa essere efficace in altri ambiti, questa nuova
pragmatica non è in grado di generare legami durevoli e certamente non i legami
che si presumono durevoli e che sono trattati come tali. I legami da essa generati
incorporano il principio del «fino a nuovo avviso» e del «disimpegno
discrezionale» e non promettono né la concessione né l’acquisizione di diritti e
obblighi” (Bauman 2002a). I legami sociali diventano quindi pastoie,
impedimenti, limiti (Di Nicola 2002b) all’azione di un soggetto al quale si chiede
e dal quale ci si aspetta la massima disponibilità a ricominciare da zero quando è
necessario, a rimettersi in discussione, a salpare “libero” verso altri lidi. I tempi
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della famiglia diventano “anacronistici” per un attore sociale che deve vivere nel
presente e per il presente: i legami familiari parlano e sono “parlati” con un
linguaggio – quello dell’impegno, della responsabilità, dell’attaccamento, della
durata – che diventa ogni giorno più incomprensibile. Ma in tale prospettiva, la
capacità di riallineare i tempi di vita individuale, delle biografie della scelta e del
rischio con i tempi della famiglia e dei legami sociali non può essere compito di
un solitario attore sociale che riannoda trame recise spesso altrove: la politica
della vita quotidiana può trasformarsi in una tattica perdente di mera
sopravvivenza se a livello sociale, oltre che culturale, non si creano i presupposti
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