KANT 2 - Università delle Tre Età UNITRE Sede autonoma di Sesto

KANT 2 ( 1724-1804)
CRITICA della RAGION PRATICA
Una Legge Morale universale fondata sull’autonomia della Ragione
Mentre la Ragion Pura si è rivelata impotente a garantire l’autonomia dei suoi oggetti, le Idee di Anima,
Mondo e Dio, perché la sua critica ha mostrato il carattere illusorio della loro conoscibilità, l’aspirazione
ineliminabile della Ragione all’Incondizionato trova realizzazione nella sfera Pratica, cioè nel
condizionamento che essa esercita sulla Volontà, determinando le regole morali che guidano l’agire pratico
degli uomini. Estendendo alla morale la rivoluzione copernicana messa in atto sulla facoltà del conoscere, K.
rifiuta le concezioni dell’etica che finiscono per svilire il ruolo della Ragione nella vita pratica, in quanto
sospeso tra due estremi; o una Ragione usata per giustificare le leggi fissate dagli Stati e dalle Chiese, nella
loro pretesa universalità, a cui asservire gli uomini, o una Ragione usata per giustificare il primato di una
libertà che pretende di modificare regole e leggi sulla base dell’utilità individuale o del sentimento comune
dominante in un popolo, e quindi priva di universalità. In entrambi i casi si tratta di morali che K. chiama
‘eteronome’ perché sottomettono l’agire degli uomini al potere di una autorità esterna, o al criterio
tutto empirico di una mutevolezza delle norme etiche sulla base del loro successo pratico. Contro
una Morale che affida la sua universalità al dogma di un potere coercitivo, o che rinuncia ad essa a
favore di un relativismo etico, soggettivo e sentimentale, K. cerca la possibilità di una Legge Morale
che debba la sua universalità al potere di condizionamento interno che la Ragione di ogni uomo può
esercitare sulla propria Volontà, soggetta non solo ai condizionamenti esterni e sensibili, ma in
quanto determinabile a priori da una Ragion Pura Pratica. Ma come è possibile che la Volontà sia
determinata a priori dalla Ragione, in analogia con le sintesi della facoltà del conoscere? L’agire
dell’uomo non può prescindere né dalla Sensibilità, secondo le inclinazioni personali verso gli oggetti
esterni, né dalla Ragione, che le governa in vista di un fine, ma come non è possibile all’uomo una
Volontà totalmente istintuale, estranea alla Ragione, così non è ipotizzabile un’azione totalmente
razionale, estranea alla sensibilità. Proprio a partire dal limite di questa impossibile identificazione
tra Ragione e Volontà, prende l’avvio la Critica della Ragion Pratica, come ricerca delle modalità con
cui la Ragione può determinare a priori una Volontà soggettiva, così da essere legislatrice di una
Legge Morale universale. In quali modi, dunque, la Ragione si relaziona alla Volontà? Essa agisce
sulla possibilità di un’azione, oltre che con le Massime soggettive di valore puramente individuale,
attraverso due tipi di Imperativi che delineano un Dovere; un imperativo ipotetico, secondo la
formula ‘Se vuoi A fai B’, che prescrive l’uso di mezzi in vista di fini legati alle inclinazioni sensibili
degli individui, e quindi un dovere condizionato dal fine da raggiungere; e un imperativo categorico,
secondo la formula ‘Fai ciò che devi’, che prescrive un dovere non condizionato da alcuno scopo, un
Dovere Incondizionato, sciolto da qualsiasi particolare fine soggettivo, e proprio per questo un
dovere alla portata di tutti, estensibile a tutti gli uomini, anche se non porta alcun vantaggio o felicità
individuale, come può essere il cedere il posto a sedere ad un anziano su un bus affollato. Mentre
gli imperativi ipotetici, proprio perché legati ad inclinazioni soggettive, non possono essere la base
di regole morali universali, gli imperativi categorici, che non prescrivono azioni specifiche, ma
comandano quelle azioni che tutti possono eseguire perché non sono soggette al raggiungimento
di uno scopo individuale, possono costituire la base di una Legge Morale universale. Si tratta di
imperativi con i quali la Ragione comanda alla Volontà di agire in obbedienza ad una legge interiore;
essa comanda a priori un dovere che non soddisfa alcuna inclinazione sensibile, che non è imposto
da alcuna legge esterna e che è praticabile da ogni uomo; un dovere ‘formale’ che innalza un’azione
generica a ‘categoria’ di una tipologia di azioni, così da farne la base di giudizi morali adottabili
universalmente da tutti gli uomini, e per questo validi a priori. K. sintetizza così: “Agisci in modo che
la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una
legislazione universale.” In questa prospettiva, un’azione è morale se può essere universalizzata a
tutti gli uomini, come non lo sono per es. per le azioni ‘immorali’ della menzogna o del suicidio, che
metterebbero a rischio i rapporti umani e la stessa esistenza dell’umanità. Anche la distinzione tra
Bene e Male discende dall’a priori dell’Imperativo Categorico come condizione della Legge Morale,
perché il Bene morale non sarà altro che l’insieme delle azioni universalizzabili dettate da una
Volontà Buona, mentre il Male sarà tutto ciò che ne nega la possibilità. Un Dovere incondizionato
resterebbe però qualcosa di astratto, se non fosse accompagnato dalla possibilità concreta di essere
assolto, e la condizione per poterlo adempiere è una sola: la libertà. La Ragione non potrebbe infatti
comandare alcun Dovere senza accordare ad esso la Libertà di poterlo compiere; l’assolvimento di
un dovere incondizionato richiede infatti la possibilità di opporsi e rinunciare alle proprie inclinazioni
sensibili e alla felicità che le accompagna (libertà negativa), perché solo in questo modo il libero
arbitrio dell’uomo, con le sue scelte, diventa legislatore di regole morali universali (libertà positiva).
E’ questa la realizzazione compiuta dell’autonomia della Ragione perché delinea un uomo
razionalmente libero di opporsi alle sue inclinazioni sensibili, e liberamente razionale come soggetto
stesso della moralità della Legge, garante della sua autonomia anche dal determinismo naturale
dell’io corporeo e fenomenico. Il Sommo Bene e i Postulati della Ragion Pratica Se l’Imperativo
Categorico esige la Libertà per attuare un dovere incondizionato, ecco che emerge per l’agire dell’uomo la
possibilità di una causalità libera, orientata a fini decretati dalla Ragione e sottratta al determinismo del
condizionamento fenomenico. La libertà si presenta così come la manifestazione di un Io Noumenico, di cui
non è possibile esperienza, ma attestato dalla libera scelta di obbedire ad una legge morale decretata
autonomamente dalla Ragione. Diviso tra un Io Noumenico, che persegue una virtù che subordina a sé le
inclinazioni sensibili, e un Io Fenomenico, che fa coincidere la felicità con la loro gratificazione, l’uomo vive
nella condizione di un’antinomia etica, rappresentata nel passato dalle tesi etiche contrarie degli epicurei e
degli stoici, tra una virtù che per affermarsi è pronta a sacrificare la felicità corporea, e una felicità sensibile
che ostacola l’accesso alla virtù. La composizione di questa frattura etica nell’uomo richiede la possibilità di
un Sommo Bene, in cui la Virtù possa essere congiunta alla Felicità e viceversa, una possibilità che richiede di
postulare l’esistenza di un mondo soprasensibile e trascendente, in cui possa avere realtà ciò che nel mondo
sensibile è impossibile, ovvero l’equazione di Virtù=Felicità. Si tratta di un mondo di cui non è possibile alcuna
conoscenza oggettiva, come esposto nella prima critica, e che va pensato come un Regno dei Fini liberamente
attuabili dall’agire incondizionato della comunità universale degli uomini. In questo senso la Libertà non è
soltanto il libero arbitrio individuale, ma va postulata come la condizione trascendentale di ogni agire morale
dell’uomo. Accanto al postulato della Libertà, K. pone altri due postulati, da intendere nel senso di
supposizioni pratiche necessarie alla possibilità dell’agire morale dell’uomo: l’immortalità dell’Anima, a
partire dall’impossibilità nel mondo empirico di una Volontà Santa, cioè determinata esclusivamente dalla
Ragione, come il tempo eterno di una progressione infinita della Volontà verso la Santità, garanzia della
moralità perfettibile dell’Io Fenomenico, e l’esistenza di Dio, come causa necessaria per presupporre una
corrispondenza tra il grado di Virtù raggiunto e una Felicità che ne sia il premio, in quanto egli stesso ne
sarebbe la realizzazione compiuta, a garanzia di una coincidenza tra Virtù e Felicità che è impossibile nel
mondo fenomenico, ma sia oggettiva nel mondo soprasensibile. Il primato della Ragion Pratica
I
Postulati della Ragion Pratica non sono dimostrabili sul piano teoretico e tuttavia sono necessari alla
possibilità stessa dell’azione morale. Accade così che mentre la metafisica e la conoscenza non possono
giustificare le realtà noumeniche, la Ragion Pratica ha il potere di riconoscere all’uomo una sfera di libertà e
di finalità che va oltre il limite della causalità meccanica e della conoscenza fenomenica, dando compimento
all’esigenza più profonda della Ragione di potersi riconoscere come legislatrice autonoma del mondo morale.
Anche le realtà della fede religiosa e del sentimento possono superare la loro contrapposizione alla Ragione
soltanto se ricomprese nei loro precetti e finalità in consonanza con gli imperativi categorici della moralità.