Il tema. Il nostro gruppo ha scelto di approfondire un aspetto del tema “Arte pittorica”, e cioè quello del rapporto arte/potere. Per circoscrivere questo campo – anch’esso ancora troppo vasto - abbiamo concentrato la nostra attenzione su alcuni esempi, a nostro giudizio particolarmente significativi, dell’armonia o del conflitto appunto tra arte e potere. La nostra scelta è caduta sulla rappresentazione, in epoche storiche diverse, di un soggetto che ci sta particolarmente a cuore, come dimostra il nome dato al nostro gruppo. Questo soggetto è “Europa” e “l’Europa”: il personaggio mitologico Europa, e l’ Europa entità geografica, patria delle lingue che si intrecciano anche nella nostra comunicazione, e insieme Unione politica che aspira alla convivenza pacifica per sé e per gli altri popoli della terra. Europa: chi era costei? Da Europa all’Europa. Europa è il nome di varie eroine della mitologia greca. La più celebre era la figlia di Fenice (o di Agenore) e di Telefassa, la quale, mentre coglieva fiori nelle campagne sulle coste della Fenicia, venne rapita da Zeus che le si era presentato in forma di un toro dal colore meraviglioso e dal profumo di zafferano. Gli salì sul dorso e si lasciò portare a Creta dove ebbero luogo le nozze. Qui Europa generò Minosse, Radamanto e Sarpedone. Dopo la sua morte le furono tributati onori divini. Secoli dopo, anche vari pittori del Rinascimento si ispirarono a questo mito. Tiziano Vecellio, Ratto di Europa, 1562, Paolo Veronese (1528-1588) Ratto d’Europa Poi, la nostra eroina cedette il passo a un personaggio omonimo, che incarnava il continente Europa, e i pittori cominciarono a illustrarne la cultura e la storia, interpretandola secondo lo spirito del tempo. Ma perché il nostro continente si chiamò come la protagonista del mito? Affermano gli studiosi che le nozze divine di Europa con Zeus dovevano simboleggiare l’unione genetica di fenici, cretesi e greci, e fu così che con il nome di Europa venne designata tutta la terra conosciuta a Nord del Mediterraneo, tra l’oceano e il Don. Sappiamo che le cose non andarono com’era negli auspici del simbolo, e l’arte accompagnò - nel bene e nel male, esaltandole o prendendo da esse le distanze -, le travagliate vicende della terra che da questo simbolo aveva preso il nome. La metope di Pompei. Nella metope di Pompei il ratto è già avvenuto. In un luogo ameno, su uno sfondo di colonne e alberi, tre ancelle stanno prendendo commiato da Europa in groppa al toro Zeus, seminuda a differenza delle sue compagne. Una di queste sembra voler abbracciare il toro, o almeno sussurrargli qualcosa (una raccomandazione per l’incolumità di Europa?). Nell’uno e nell’altro caso, la scena è così idilliaca, che non sembra affatto giustificare il nome sinistro – ratto – con il quale il mito ci è stato tramandato. Evidentemente, il pittore ha assecondato il desiderio di un ricco pompeiano amante dell’arte che desiderava trasmettere a chi frequentava la sua casa un messaggio di bellezza e serenità. Nulla che ricordi l’acquisita divinità di Europa, ma ormai soltanto bella, decorativa, realistica esteriorità. Epoche diverse, soggetti e stili diversi. Con la fine dell’Impero d’Occidente è la Chiesa a celebrare i suoi trionfi a scapito dell’età classica, del suo stile e dei soggetti che ne avevano ispirato gli artisti. Ora sono i grandi simboli e le grandi concezioni metafisiche ad avere il sopravvento. È pur vero che in seguito l’arte gotica privilegerà la vita, l’individuo, la realtà sensibile senza più bisogno di una legittimazione soprannaturale, ma si tratta comunque di soggetti lontanissimi da quelli dei miti dell’antichità. Verrà poi il Concilio di Trento e sarà la fine del liberalesimo della Chiesa anche nel campo dell’arte. Le opere destinate alle chiese dovranno sottostare alla sorveglianza dei teologi, con il divieto assoluto di raffigurare nei luoghi sacri nudità e scene sconvenienti. L’Europa di Giovan Battista Tiepolo. Tiepolo, Europa, particolare dell’affresco “I quattro continenti”, scalone della residenza del Principe-vescovo di Würzburg, 1751-1753 Con un lunghissimo balzo nel tempo ci soffermiamo ora su un altro famosissimo dipinto di metà ‘700 quando a Giovan Battista Tiepolo fu chiesto di decorare l’immensa volta dello scalone d’onore della residenza del principe-vescovo di Würzburg. Sulla scena, sontuosa e movimentata, rappresentata dal Tiepolo, i dettami del Concilio non hanno ormai più alcuna efficacia. Dèi dell’Olimpo rendono omaggio a un principe-vescovo (cattolico). In alto, la Fama tiene il suo ritratto in un cielo affollato di nubi che sorreggono putti beneauguranti, e angeli – non propriamente asessuati -, che con il suono delle loro trombe sembrano avere la meglio sulla falce minacciosa di Cronos. In basso, fanno corona i quattro continenti, rappresentati secondo cliché ancora oggi consueti. Dei quattro continenti consideriamo la raffigurazione dell’Europa che si trova – non certo per caso - in posizione centrale, diciamo al centro dell’universo mondo. Sullo sfondo di un paesaggio appena accennato con un ciuffo di alberi, un tempio greco e un castello/palazzo in costruzione. Una croce, il pastorale e il copricapo di un vescovo lasciano indovinare una processione, quasi a compensare la mancanza, nel dipinto, di una chiesa. Un cavallo sta frenando il suo galoppo, probabilmente di ritorno da qualche vittoriosa battaglia, dato che ha un seguito di bandiere al vento. Un ufficiale, omaggiato dal suo cane, riposa, anche lui certamente vittorioso, sdraiato su un cannone. Una pittrice, con la tavolozza in mano, ritrae una matrona. Dietro, musici e cantanti eseguono un concerto, mentre due uomini faticano sotto il peso di una trave. Colpisce, prima di ogni altra cosa, l’esaltazione di un’Europa che, terminate le guerre, celebra trionfi - e conquiste - coltivando le sue tradizioni, le sue arti, la sua cultura. n nuovo pubblico per l’opera d’arte In un suo notissimo saggio, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Walter Benjamin, negli anni ’30 del secolo scorso, affermava che nel tempo, con il progredire della tecnica che ne permetteva la riproduzione, l’opera d’arte era andata perdendo la sua “aura”: essa era stata privata del suo contesto d’origine e del pubblico – esclusivo - per il quale era stata creata. In compenso però, la riproduzione dell’opera d’arte, con la fusione e il conio presso gli antichi Greci, e poi via via con la silografia, la stampa, l’acquaforte, la litografia, la fotografia, il cinema, la riproduzione del suono, (e- aggiungiamo ora anche la rete informatica che ci ha permesso di illustrare questo nostro “dialogo”) avevano moltiplicato il suo potenziale pubblico. Il dipinto esposto in un chiostro del Medioevo per essere oggetto di culto, o creato per il prestigio e il diletto di una corte principesca, diventa accessibile e godibile anche al di fuori della sua collocazione originaria. In questo modo l’opera viene interpretata a seconda dei gusti, della cultura e della sensibilità del suo nuovo pubblico: si attualizza. Se, ad esempio, presso i Greci una statua di Venere era stata oggetto di culto, i monaci medievali la consideravano un idolo maledetto. Ma - aggiungeva Benjamin - la riproducibilità tecnica di un’opera d’arte, non ha influenza soltanto sulle opere del passato. Se sceglie una tecnica che permetta l’immediata divulgazione della sua opera, un artista sa che altrettanto immediata, oltre che vasta, sarà l’efficacia del suo messaggio. E se il messaggio di quest’opera è politico, tanto più verrà in luce il rapporto arte/potere, come propaganda pro o contro il potere stesso. È questo il caso di Honoré Daumier e delle sue vignette satiriche divulgate attraverso la stampa, per lo più attraverso il giornale Charivari. Un pittore satirico: Honoré Daumier (1808-1879). Mentre la pittura di David era stata l’arte ufficiale della Rivoluzione Francese e successivamente dell’Impero bonapartista, Daumier fu un acceso antagonista dei governi che seguirono. La sua produzione coincide con il regno di Napoleone III. Ancora a metà ‘800 - malgrado i lutti causati dalle sue numerose guerre di espansione, e malgrado la sua politica interna dittatoriale - il primo Imperatore dei Francesi continuava a godere della venerazione soprattutto della popolazione rurale, in gran parte analfabeta. Dalla perdurante popolarità del suo grande avo, Napoleone III cerca di trarre tutto il vantaggio possibile. Lo aiuta in larga misura l’industria dei fogli illustrati di Epinal, Metz, Nantes ecc., una stampa popolare, abilissima nel falsificare la realtà storica e nel presentare le cruente guerre napoleoniche come imprese poco meno che umanitarie, o come veri e propri modelli epici. Il despota Napoleone III ha in odio – come del resto ogni despota - l’arte in genere e in particolare quella efficace sul piano sociale. Daumier, costretto ad agire con la dovuta cautela, sposta la sua satira alla storia nazionale su conflitti d’attualità al di fuori della Francia, tali, però, da lasciar trasparire le loro analogie con i princìpi del bonapartismo e dunque capaci di raggiungere il fine che l’artista si propone. Dopo un decennio di guerre vittoriose la Francia è alla testa degli Stati europei. E sulla guerra si fonda questo ”Impero della pace”, come ama definirlo Napoleone III e insieme con lui l’opposizione interna. E anche quando, di fronte alla grande evoluzione dell’industria pesante prussiana, la Francia procede ad un rapido riarmo, la parola d’ordine continua ad essere paix, questa volta però nella variante paix armée. Nel 1867 si tiene a Parigi l’Esposizione universale che si presenta come una pomposa dimostrazione dello sviluppo pacifico dell’impero di Napoleone III e come una “festa della pace” per le nazioni partecipanti: la pace sarebbe frutto del progresso tecnologico e industriale. Senonché le cose esposte che riscuotono maggior successo sono le bombe gigantesche, i cannoni, le macchine da guerra nella cui produzione gareggiano i Paesi più industrializzati d’Europa: Inghilterra, Francia e Prussia. Del resto le contraddizioni di questa organizzazione emergono – involontariamente - in un’illustrazione propagandistica dell’Esposizione stessa: sopra il padiglione del Ministero francese della guerra, accanto al tricolore, sventola il vessillo della Croce Rossa da poco fondata dalla convenzione di Ginevra. L’ossimoro paix armée sta alla base di molti disegni di Daumier. Una volta la pace riposa addormentata su un grosso cannone in un’altra vignetta - che sembra l’immagine pubblicitaria del mezzo al momento più moderno e veloce – la pace corre leggera su una bicicletta fatta di due ruote esilissime e di un grosso pezzo d’artiglieria. Una pace impossibile perché è sempre in agguato Marte. Daumier lo rappresenta piccolo e bieco, sempre minaccioso con un inquietante ghigno sulla faccia ossuta, agghindato da centurione, quasi un’anticipazione dei soldati romani creati dagli autori di Asterix. In questa vignetta, un’attempata salonnière dell’ancien régime, simbolo della diplomazia ormai superata che aveva trionfato al Congresso di Vienna, è costretta a confessare la sua impotenza di fronte al mostriciattolo Marte che si rifiuta di dormire nella sua culla. Così l’Europa si trascina da una guerra all’altra. La pace, che tutti dicono di volere, non è che un breve intervallo tra un conflitto e l’altro: la pace viene definita con un’espressione militare, come suspension d’armes. E il termine suspension lo ritroviamo nella vignetta seguente. Una giovane donna addormentata è sospesa nell’aria, in posizione orizzontale come su un letto, ma in un momento di tensione estrema. L’unico suo punto d’appoggio è la punta di una baionetta innestata. La folla guarda immobile e silenziosa per non compromettere un equilibrismo tanto precario. Fuor di metafora: se i popoli dovessero muoversi, la finzione della pace nell’Europa dei regimi militari crollerebbe compromettendo l’incolumità dell’Europa stessa. Una conclusione provvisoria Porrà fine alla pace illusoria della suspension d’armes la guerra franco-prussiana del 1870-1871 che segnerà la capitolazione della Francia e la fine dell’impero di Napoleone III. Ma nuovi campi di battaglia, nuovi problemi, nuovi mostri compariranno sulla ribalta dell’Europa e del mondo intero. Altri artisti ne denunceranno gli orrori, altri ancora rappresenteranno l’utopia della pace con il simbolo mite della colomba con un ramo d’ulivo