1 TRA AVANGUARDIA E TRADIZIONE: IL TEATRO SPAGNOLO

TRA AVANGUARDIA E TRADIZIONE:
IL TEATRO SPAGNOLO DEGLI ANNI VENTI E TRENTA
La “Gaceta Literaria”1, rivista di spicco della cultura spagnola fra la fine degli anni
venti e i primi trenta, sul numero pubblicato nel luglio 1930, lanciava una sorta di inchiesta
sull’Avanguardia spagnola. A una rosa piuttosto cospicua di intellettuali veniva sottoposto un
breve questionario la cui prima domanda recitava: “Esiste o è esistita l’Avanguardia?”. Non
mi riferisco a questa inchiesta per addentrarmi nell’esame delle risposte –che d’altra parte
coincidevano quasi in modo unanime nel firmare il certificato di morte dei movimenti
avanguardisti- ma per far notare come già per gli intellettuali che avevano vissuto e animato il
dibattito culturale nella Spagna dei primi anni del Novecento la questione si presentasse come
problematica2.
Se si considera l’Avanguardia artistica e letteraria come l’ultimo segmento del
processo evolutivo della Modernità, il contesto spagnolo –sia esaminato dal punto di vista
socio-politico ed economico che culturale- pone dei problemi non indifferenti, in quanto la
conquista di quella modernità contro la quale il radicalismo avanguardista si sarebbe scagliato
nei paesi europei culla dei principali movimenti – Germania, Italia, Francia – era ben lungi da
essere una realtà. La particolare situazione della Spagna, che aveva affrontato il nuovo secolo
ferita nell’orgoglio nazionale, impoverita da una gestione miope dell’economia e gravemente
arretrata nel processo di sviluppo di una moderna economia capitalista, creava un terreno di
coltura particolarmente propizio a contraddizioni ma anche a feconde complessità.
La situazione spagnola non era solo determinata da un ritardo nel processo di
industrializzazione e di sviluppo tipico degli altri paesi europei, ma anche da un isolamento
internazionale che investiva indubbiamente la dimensione culturale. E’ legittimo chiedersi se
1
Cfr. “La Gaceta Literaria” N. 83, 1 luglio 1930, p.3. L’inchiesta era a cura di uno dei redattori, Miguel Pérez
Ferrero.
2
Nella vasta bibliografia sulle avanguardie artistiche e letterarie in Spagna non possiamo dimenticare gli studi
seguenti: Buckley R. - Crispin J., ed., Los vanguardistas españoles (1925-1935), Madrid, Alianza Editorial,
1973; Brihuega J., Manifiestos, proclamas, panfletos y textos doctrinales (Las vanguardias artísticas en España:
1910-1031), Madrid, Cátedra, 1982; Subirats E., El final de las vanguardias, Barcellona, Anthropos, 1986; Jesús
García Gallego, Bibliografía y crítica del surrealismo y la generación del 27, Málaga, Centro Cultural de la
Generación del 27, 1989; Morris B. C., ed., The Surrealist Adventure in Spain, Ottawa, Dovehouse, 1991(El
surrealismo y España: 1920-1936, Madrid, Espasa Calpe, 2000); Albaladejo T. - Blasco F.J. - de la Fuente R.,
ed., Las vanguardias. Renovación de los lenguajes poéticos, Madrid, Júcar, 1992; López Criado F., ed., Voces de
Vanguardia, La Coruña, Universidad Da Coruña, 1995; Pérez Bazo J., La Vanguardia en España. Arte y
literatura, Toulouse, Université de Toulouse-Le Mirail, 1998; Wentzlaff Eggebert H. –Wansh D., Las
vanguardias literarias en España. Bibliografía y antología crítica, Madrid-Frankfurt, Iberoamericana Vervuert,
1999; Pont J., ed., Surrealismo y literatura en España, Lleida, Edicions de la Universitat de Leida, 2001. Inoltre
è strumento imprescindibile: Bonet J. M., Diccionario de las vanguardias en España (1907-1936), Madrid,
Alianza, 1995.
1
non fu proprio questa sfasatura di base a conferire alla cultura spagnola degli anni venti e
trenta le caratteristiche che le consentirono di contribuire alle manifestazioni artistiche del
Novecento con esiti di rilevante importanza. Lo scollamento innegabile tra un gruppo di
giovani intellettuali inquieti e la base sociale della Spagna è un altro dato da prendere in
considerazione; quando, a partire dagli anni dieci, si inizia ad avvertire nelle pubblicazioni
letterarie l’esigenza di scrollarsi di dosso la cultura tradizionale, in Spagna il 65% della
popolazione attiva si dedicava all’agricoltura, mentre il tasso di analfabetismo arrivava al
60%.
I giovani intellettuali spagnoli, che si sentivano oppressi da una vita culturale di
stampo pesantemente tradizionale e conservatore, erano quanto mai attenti e ricettivi rispetto
alle ventate di aria fresca che giungevano dalle capitali europee: la percezione di una propria
marginalità, in una prima fase, spinse come una molla molti talenti iberici a cercare al di là
delle frontiere – anche fisicamente attraverso l’espatrio - gli stimoli che permettessero loro
l’esplorazione di nuove modalità espressive. L’emulazione verso quanto stava avvenendo
negli altri paesi europei portò questi artisti a sentirsi in dovere di assumere un ruolo di traino
della cultura spagnola verso un processo che all’estero era già storicamente costituito, e in
questo modo essi stessi trovarono la propria giustificazione3. Bisogna inoltre osservare che
l’esigenza di rinnovamento è fondamentalmente costituita da proposte di mutamento
dell’ideologia borghese a partire da presupposti e punti di vista borghesi.
Osservando il fenomeno da questo punto di vista, non stupisce che i movimenti di
avanguardia europei siano recepiti in Spagna molto precocemente: un esempio è la stampa nel
1909 a Madrid, sulla rivista "Prometeo”, del “Manifesto futurista” di Marinetti - tradotto dal
giovane promotore della pubblicazione, Ramón Gómez de la Serna - cui seguirà nel 1910 un
testo espressamente composto da Marinetti per gli spagnoli “Un manifiesto futurista para
España” nel quale lo scrittore italiano sprona i giovani iberici a liberarsi dal culto del passato.
Secondo il fondatore del Futurismo i giovani spagnoli devono:
difendere la Spagna dalla maggiore epidemia intellettuale: l’arcaismo, e cioè il culto
metodico e stupido del passato, l’immondo commercio di nostalgie, di storielle, di
rimpianti funebri che fanno di Venezia, di Firenze e di Roma le tre ultime piaghe della
nostra Italia convalescente4.
3
Cfr., Brihuega J., op. cit., pp. 75-79.
“deben defender a España de la más grande de las epidemias intelectuales: el arcaismo, es decir, el culto
metódico y estúpido del pasado, el inmundo comercio de nostalgias, de historietas, de añoranzas funerales, que
hacen de Venecia, de Florencia y de Roma las tres últimas plagas de nuestra Italia convaleciente” in “Prometeo”,
Tomo 2, anno 3, N. 20 (1910). La prima parte del manifesto è firmata da Tristán –pseudonimo di Ramón Gómez
4
2
Il gruppo di letterati e artisti che accolse con enorme fervore le correnti di
Avanguardia promosse una serie di iniziative che trovarono in alcune riviste uno spazio adatto
alla diffusione entusiasta, seppur quantitativamente limitata – in accordo con le caratteristiche
elitarie del movimento - delle nuove teorie estetiche. Le numerose riviste letterarie che furono
pubblicate negli anni venti – “Ultra”, “Tableros”, “Horizonte”, “Plural”, “Mediodía”,
“Litoral”5 - si trasformarono nel mezzo privilegiato per far conoscere i principali scrittori
europei che vi collaborarono attivamente, diffondendo le linee di una nuova ricerca estetica
basata fondamentalmente sulla proposta di un nuovo linguaggio: Max Jacob, Breton,
Apollinaire, Cocteau, Marinetti, Pound, Aragon, Tzara animarono il dibattito culturale su
queste pubblicazioni, talvolta di durata effimera, che testimoniano una vivacità intellettuale
senza confronti. E’ da sottolineare inoltre che molte di queste riviste6 unirono la novità, a
volte esplosiva, dei contenuti, ad una cura estrema della veste grafica: ai testi letterari o
programmatici si accompagnano illustrazioni alle quali collaborano artisti di rilievo – Picasso,
Bores, Barradas, Norah Borges – che testimoniano in modo tangibile l’esigenza espressa dalle
Avanguardie di promuovere un rinnovamento dei linguaggi tendente a ridurre i limiti che
separano le diverse arti. Un altro dato che mi sembra importante segnalare è che molte di
queste riviste non si pubblicarono a Madrid ma altrove (Siviglia, Malaga, La Coruña),
dimostrando una straordinaria ricchezza culturale delle periferie nella periferia.
Il fermento avanguardista spagnolo, che ha caratteristiche più anarchiche e
individualiste rispetto ai movimenti europei, più strutturati e dogmatici, è stato a lungo
misconosciuto dalla critica ufficiale che solo recentemente ha ammesso il contributo di un
rinnovamento che non si limita a una sperimentazione effimera ed eccentrica. Tuttavia non si
può negare che la trasformazione dei codici estetici in Spagna offra i suoi frutti migliori, nel
campo della poesia, quando un gruppo nutrito di talenti letterari che ha attraversato
l’Avanguardia, raccogliendone le istanze di rinnovamento, riesce a trovare una voce originale
attraverso il colloquio con le proprie radici culturali, elaborando un linguaggio che, pur
attingendo alla tradizione, consenta loro di esprimere la modernità. In questa seconda fase gli
de la Serna – mentre la seconda porta la firma di Filippo Tommaso Marinetti ed è tradotta in spagnolo da Gómez
de la Serna. La traduzione in italiano della citazione è mia.
5
Oltre a queste pubblicazioni svolsero un ruolo importante le riviste che contavano su una maggiore diffusione
quali la “Revista de Occidente”, “Alfar” e “La Gaceta Literaria”. Cfr. Osuna R., Las revistas españolas entre dos
dictaduras: 1931-1939, Valencia, Pre-Textos, 1986, p. 30 e ss.
6
Sulle riviste dell’epoca oltre allo studio di Rafael Osuna citato sono utili: Molina C. A., Medio siglo de prensa
literaria española, Madrid, Endymión, 1990; Osuna R., Las revistas del 27, Valencia , Pre-Textos, 1993, Bonet
J. M., op.cit., Revistas literarias españolas del siglo XX (1919-1939), a cura di Ramos Ortega M.J., Madrid,
Ollero y Ramos, 2005.
3
artisti percorrono la via dell’ibridazione7, della contaminazione culturale non solo sulla linea
dello spazio – attraverso il contatto con i movimenti europei - ma anche su quella del tempo
riscoprendo la contemporaneità di ciò che non è contemporaneo. Il “creazionismo” e
marginalmente l”ultraismo” – i movimenti tipicamente ispanici- e, successivamente, il
surrealismo, offrono in ambito letterario esempi significativi di questa radicale innovazione
estetica. Questo è il percorso intrapreso dai poeti della celebrata generazione del ’27, ma
anche quello seguito da musicisti come Manuel de Falla che inserì la Spagna nella modernità
musicale europea del Novecento attraverso una rilettura delle proprie radici, colte e popolari,
che non si configura come un ripiegamento sulla tradizione, bensì come la ricerca di un nuovo
linguaggio espressivo che non neghi le proprie origini8.
Nel quadro del rinnovamento culturale europeo dei primi decenni del Novecento il
teatro occupa indubbiamente un posto privilegiato: più di altre, questa manifestazione
culturale ha avuto la capacità di trasformarsi, di attraversare confini, di rielaborare i propri
codici abbattendo frontiere innalzate da una secolare consuetudine. Così come certa poesia
d’avanguardia tende a cancellare i limiti tra la forma estetica concepita come segno e la parola
poetica, il teatro del Novecento segue un percorso di commistione di generi e di mezzi
espressivi che non ha eguali.
Come giustamente osserva Marco de Marinis, il teatro “fuoriesce materialmente e
metaforicamente dai suoi spazi tradizionali” cambiando profondamente non solo i principi
estetici – oltre ai processi materiali e creativi – ma in particolare i propri presupposti e le
proprie finalità. L’orizzonte tradizionale di un teatro di intrattenimento ed evasione - anche
nelle varianti colte e impegnate- si tramuta sviluppando ambizioni etiche, spirituali, politiche
e pedagogiche9. Al contempo si assiste, fin dalla fine dell’Ottocento, ad un processo di
“riteatralizzazione del teatro” che individua nella regia, ovvero nella messa in scena, il punto
cardine dell’evento teatrale, stabilendo una netta separazione tra testo e spettacolo.
In questa cornice di radicale trasformazione, il teatro spagnolo delle prime tre decadi
del Novecento soffre ancora di una sorta di “invisibilità” imputabile in gran parte
all’approccio eminentemente filologico di molti ispanisti che hanno approfondito nei loro
studi la letterarietà del fatto teatrale trascurando altri aspetti drammaturgici. Questo ritardo
metodologico ha fortemente compromesso anche la ricezione della drammaturgia iberica nel
contesto europeo dando luogo al fatto che anche testi di recente pubblicazione ignorino il
7
Morris adotta il termine “hibridación” coniato da Derek Harris per definire le molteplici componenti che
caratterizzano il linguaggio del’avanguardia. Cfr.. Morris B. C., El surrealismo…cit., p. 23.
8
Cfr. Persia J. de, “La renovación musical del primer tercio del siglo XX”, in Pérez Bazo J., op. cit., pp.413-430.
9
Cfr. Marinis M. de, In cerca dell’attore. Un bilancio nel Novecento teatrale, Roma, Bulzoni, 2000, p.12.
4
contributo spagnolo all’evoluzione teatrale del Novecento10. Tuttavia, a partire dagli anni
ottanta, nell’ambito dell’ispanismo è avvenuto un importante cambio di prospettiva grazie al
quale alcuni studiosi, attraverso l’esame delle pagine teatrali presenti sulle principali testate
giornalistiche e di alcune riviste specialistiche, hanno portato alla luce il dibattito vivace che
appassionò la cultura spagnola degli anni venti e trenta delineando una scena fino ad allora
scarsamente conosciuta11.
Così come gli intellettuali spagnoli (poeti, pittori, musicisti) si dimostrarono ricettivi
rispetto al rinnovamento dei linguaggi estetici che avveniva oltre i Pirenei, in modo analogo,
nelle pubblicazioni dei primi decenni del Novecento – anche in quelle che non presentano un
taglio nettamente avanguardista –, è palese l’interesse verso il mutamento della scena
europea: è chiaramente avvertita l’esigenza di sprovincializzare il teatro nazionale rimediando
i guasti prodotti dal mimetismo ottocentesco. Precocemente, sulla stampa spagnola più
prestigiosa, non solo si pubblicarono resoconti e recensioni delle opere rappresentate negli
altri paesi europei, ma venne anche data voce ai grandi riformatori del teatro – Fuchs,
Reinhardt, Craig e altri- nel tentativo di suscitare un dibattito attorno a questi temi e di
affinare il gusto del pubblico12. Perché in definitiva i buoni propositi di coloro che in Spagna
seguivano con interesse l’evoluzione della scena e il rinnovamento dei linguaggi espressivi si
arenavano di fronte al pubblico. Un pubblico, quello spagnolo, che coltivava una notevole
passione per lo spettacolo teatrale, ma che restava ancorato a gusti e abitudini contro i quali si
infrangevano irrimediabilmente i tentativi di cambiamento. Il numero elevato di teatri attivi a
Madrid in questo periodo - per non parlare della cospicua programmazione - ci testimonia
quanto fosse vivo l’interesse di un uditorio che tuttavia era composto da una borghesia
arricchitasi di recente, poco colta, conservatrice e perbenista dal punto di vista politico e
10
Non recepiscono il contributo spagnolo alla drammaturgia del Novecento: Civiltà Teatrale del XX secolo, a
cura di Cruciani-Falletti, Bologna, Il Mulino, 1986; Carlson M., Teorie del teatro. Panorama storico e critico,
Bologna, Il Mulino, 1988 nonché Marinis M. de, op. cit. Costituisce un’eccezione l’Enciclopedia Teatrale del
Novecento, a cura di Attisani A., Milano, Feltrinelli, 1980, che propone un quadro dettagliato del teatro
spagnolo.
11
Sono imprescindibili in quest’ambito i contributi critici seguenti: Dougherty D.- Vilches de Frutos M. F., La
renovación del teatro e través de la prensa periódica: la página teatral del Heraldo de Madrid (1923-1927),
“Siglo XX/20th Century”, 6, 1988-1989, pp. 47-56;. Holloway V. R, La página teatral del ABC: actualidad y
renovación del teatro madrileño (1927-1936), “Siglo XX/20th Century”, 7, 1989-1990, pp. 1-6 e La crítica
teatral en ABC (1918-1936), New York, Peter Lang, 1991; García-Abad García M. T., La crítica teatral de
Manuel Machado en La Libertad (1920-1926), “Revista de Literatura”, LIII, 106, 1991, pp.535-554 e “Crítica,
Teatro y Sociedad: Melchor Fernández Almagro en La Voz (1927-1933)” in Dougherty D. - Vilches de Frutos
M.F., Teatro Sociedad y Política en la España del siglo XX, Madrid, Fundación Federico García Lorca, 1996,
pp. 107-122; Vilches de Frutos M. F., Nuevos enfoques críticos para la historia del teatro español del Siglo XX:
las páginas teatrales en la prensa periódica, “Estreno. Cuadernos del Teatro Español Contemporáneo”, 1998,
pp. 50-57.
12
Cfr. Rubio Jiménez J., ed., La renovación teatral española de 1900, Madrid, Publicaciones de la Asociación
de Directores de Escena de España, 1998. Particolarmente attiva in questo senso a partire del 1918 fu la rivista
“España” che pubblicò vari articoli sulle novità teatrali europee. Cfr. “España” N. 163 (23 maggio 1918), N. 169
(4 luglio 1918), N. 234 (2 ottobre 1919).
5
morale, decisamente refrattaria a qualsiasi innovazione rispetto al tipo di spettacolo cui era
abituata13. Nel primo terzo del secolo, i gusti frivoli di questa platea premiarono con il
successo il teatro comico e la commedia borghese. D’altra parte, l’assenza assoluta di un
patrocinio delle istituzioni lasciava il teatro in balia delle leggi del mercato. Una delle
contraddizioni del teatro dell’epoca è il divario macroscopico tra il teatro di cassetta che
veniva rappresentato e quella che oggi riteniamo la migliore produzione teatrale di quegli
anni. Gli impresari teatrali, di fronte alla possibilità di una perdita economica dovuta a un
fiasco, puntavano su opere e scrittori di sicuro successo. Si produce un netto sfasamento tra i
drammaturghi che concepiscono l’opera teatrale secondo un’estetica non tradizionale -e più in
generale si orientano verso un teatro che non si ponga l’intrattenimento come finalità
principale – e un contesto sociale che li respinge o li ignora.
A causa della difficoltà o dell’impossibilità di mettere in scena un teatro innovativo, ai
drammaturghi non restava altra via che quella di scrivere per pubblicare, e non per
rappresentare, oppure di indirizzarsi verso un circuito di piccoli teatri di “aficionados”, di
dilettanti. Alcuni di questi teatri, definiti “teatros íntimos” o teatri da camera, svolgevano le
loro rappresentazioni in case private – come fu il caso del teatro “El Mirlo Blanco” che ebbe
luogo nella casa della famiglia Baroja – o in piccole sale come “El Cántaro Roto” o “El
Caracol”, ma ebbero una durata effimera14. Questo circuito non commerciale si avvalse di
collaboratori notevoli sia dal punto di vista degli autori delle opere rappresentate, sia da quello
della messa in scena. Grande animatore dei teatri da camera fu Cipriano de Rivas Cherif15 che
può essere considerato il primo regista moderno spagnolo: allievo di Gordon Craig, si adoperò
attivamente per rinnovare la scena sia nel circuito che potremmo definire alternativo, sia in
quello ufficiale. Bisogna osservare che dopo la proclamazione della Repubblica nel 1931 la
situazione cominciò a cambiare, poiché il governo promosse una politica culturale che favorì
le iniziative teatrali. In quest’ambito si inserisce il celebre teatro universitario “La Barraca”,
13
Ricardo de la Fuente sottolinea il peso che ebbe il pubblico sulla programmazione teatrale degli anni venti e
trenta. Cfr. Fuente Ballesteros R. de la, “El imposible vanguardismo en el teatro español”, in. Albaladejo F –
Blasco J. –Fuente R. de la, ed., op cit., pp.127-148.
14
Cfr. Hormigón J. A., “Los teatros íntimos y experimentales en Barcelona y Madrid (1900-1936”), in Teatro de
la España del siglo XX. I: 1900-1939, ed.. Hormigón J.A, “ADE Teatro”, Madrid, 1999, N. 77, pp.117-126;
Gentilli L., Teatro e avanguardia nella Spagna del primo Novecento. Cipriano de Rivas Cherif, Roma Bulzoni,
1993.
15
Per comprendere l’opera di questo regista è preziosa la consultazione di: Rivas Cherif C. de, Cómo hacer
teatro: apuntes de orientación profesional en las artes y oficios del Teatro Español, Valencia, Pre-Textos, 1991.
Tra gli studi che si soffermano sulla sua attività segnaliamo: Aguilera Sastre J. - Aznar Soler M., Cipriano de
Rivas Cherif y el teatro español de su época (1891-1967), Madrid, Asociación de Directores de Escena de
España, 1999; Gil Fombellida M. del C., Federico García Lorca y Cipriano de Rivas Cherif: una experiencia
renovadora del teatro profesional (II. 1935-1936), “Letras de Deusto”, Bilbao, XXX, 2000, N. 88, pp.9-38; Gil
Fombellida M. del C., Rivas Cherif y Margarita Xirgu y el teatro de la II República, Madrid, Fundamentos,
2003; Aguilera Sastre J., Serrano V. y Paco M. de, ed., e Martín R. (coll.) “Cipriano Rivas Cherif”, in El Teatro
español del siglo XX, “Quimera”, Barcelona, 2005, N. 255-256.
6
diretto da Federico García Lorca, e quello di “Misiones Pedagógicas” che ricevette
sovvenzioni pubbliche per diffondere il teatro nelle classi popolari16.
La difficoltà di rappresentare, e pertanto di verificare attraverso la pratica scenica le
possibilità espressive del testo, portò alcuni drammaturghi a ripiegare su una visione troppo
“letteraria” dell’opera teatrale scrivendo un teatro da leggere: è il caso di Ramón Gómez de la
Serna, avanguardista ante litteram, che, pur sperimentando nuove tematiche non riuscì a
elaborare una drammaturgia efficace.
La gran maggioranza dei giovani scrittori che negli anni venti si allontanarono dal
teatro di ispirazione borghese fu attratta, dal punto di vista tematico, dallo scandaglio
dell’interiorità: l’artista non guarda più fuori di sé alla ricerca di una visione drammatica o
pacificata della realtà, ma rivolge lo sguardo dentro di sé scoprendo una dimensione
disorganica e contraddittoria, dovuta ad una condizione umana mutata che trova nella
molteplicità, nella simultaneità e nel rifiuto del razionalismo la propria espressione e
l’espressione del mondo. L’influenza delle teorie freudiane è percepibile nelle tematiche
relative alla frammentazione dell’io, alla follia e al sogno che accomunano i tentativi
sperimentali di un numero cospicuo di drammaturghi. Si segnalano in particolare, Claudio de
la Torre (Tic-tac, 1926), Azorín (Brandy, mucho brandy e Lo invisible, 1927), Ignacio
Sánchez Mejías (Sinrazón, 1928), Ramón Gómez de la Serna (Los medios seres, 1929),
Valentín Andrés Álvarez (Tararí, 1929) e Rafael Alberti (El hombre deshabitado, 1930).
La storia del teatro di questo periodo in Spagna è una storia più dei teatri possibili che
dei teatri realizzati. Le sfasature e le contraddizioni cui ho accennato spiegano la singolare
situazione di coloro che oggi riteniamo i principali drammaturghi del periodo: Ramón del
Valle Inclán e Federico García Lorca. Questi scrittori riescono ad esprimere i contrasti
laceranti e insolubili dell’uomo del Novecento attraverso una pratica della contaminazione
culturale che attinge alle innovazioni del teatro europeo senza negare il retaggio della
tradizione, dando forma sulla scena a sentimenti, oggetti, situazioni che nel teatro tradizionale
non trovavano spazio. La categoria del nuovo scalza le consuetudini di un pubblico abituato –
nel migliore dei casi – a riconoscere attraverso un’identificazione emotiva quanto gli era
presentato. La loro sperimentazione teatrale si allontana nettamente dalla ricerca di un
16
In seguito alla proclamazione della Repubblica la politica culturale seguì due strade: favorire il teatro
universitario e quello popolare. All’interno delle iniziative promosse emergono le esperienze del “Club Teatral
Anfistora” diretto a Madrid da Pura M. de Ucelay e il teatro universitario intinerante “La Barraca” diretto da
Federico García Lorca e Fernando Ugarte. Nel 1931 venne creato il “Patronato de Misiones Pedagógicas” nel
quale svolse la sua opera il drammaturgo Alejandro Casona con il suo “Teatro de Pueblo”; iniziativa di rilievo fu
il progetto presentato da Max Aub al presidente Azaña per la creazione di un Teatro Nazionale. L’interesse che
in quegli anni cominciò a diffondersi per il teatro politicizzato è testimoniato dalla ricezione di Piscator e del
Teatro rivoluzionario russo nel testo di Ramón Sender, Teatro de masas, Valencia, 1931. Cfr. Fuente R. de la,
“El imposible… “cit., pp.127-148.
7
compiacimento mimetico e attraverso l’uso dello spazio e del vuoto, grazie a una concezione
plastica della scena mutuata dalle arti figurative e dall’architettura, o attraverso la
deformazione della realtà cui conduce l’uso della maschera, della marionetta e del grottesco,
dà forma sullo scenario ad una nuova realtà che il pubblico borghese non riconosce, sulla
quale non gradisce interrogarsi e che rifiuta.
Valle Inclán17, artista che negli anni venti ha già alle spalle una lunga carriera
letteraria, scrive in questo periodo alcuni testi drammatici18 che erano decisamente non
rappresentabili all’epoca. La sua chiara visione di una teatralità moderna e il suo rifiuto della
banalità della scena coeva, animato da una notevole vis polemica, lo portano ad affermazioni
radicali come quella contenuta in una lettera a Rivas Cherif: “Io sono sempre un giovane
rivoluzionario e, per dire la verità, vorrei che la riforma del teatro cominciasse con la
fucilazione dei Quintero”19. I fratelli Álvarez Quintero, cui allude, erano due drammaturghi di
enorme successo che utilizzavano un folklorismo andaluso di maniera per strappare
l’applauso. Il disprezzo di Valle Inclán per questo tipo di teatro e per la mentalità piccoloborghese che esso esprime, lo rende molto critico circa l’orizzonte di aspettative del pubblico:
“Chi sono gli spettatori delle commedie? Padri di famiglia e bottegai, fanciulle idiote, vecchie
col toupet, qualche giovinastro sciocco e uno straniero”20. Valle si arrocca in una posizione di
aristocratico disprezzo e compone dei testi teatrali che attraverso il ricorso al grottesco e alla
deformazione sistematica della realtà tematizzano una visione pessimista e amaramente
negativa del contesto politico e culturale spagnolo. Attraverso le sue pièces Valle Inclán
17
Senza alcuna pretesa di esaustività, offrono spunti interessanti sul teatro d’avanguardia di Valle Inclán gli studi
seguenti: Cardona R., Zahareas A.N., Visión del esperpento, Madrid, Castalia, 1982; Iglesias Santos M.,
Canonización y público. El teatro de Valle Inclán, Santiago de Compostela, Universidade, 1998; Barrera López
J. M., “Luces de bohemia: en ejemplo de teatro ultraísta”, in Teatro siglo XX, Madrid, Universidad Complutense,
1994, pp. 990-999; Greenfield S.M., Lorca, Valle Inclán y las estéticas de la disidencia. Ensayos de literatura
hispánica, Boulder C.O., University of Colorado, Boulder, 1996; Greenfield S. M., Valle Inclán: Anatomía de un
teatro problemático, Madrid, Taurus, 1990; Ruiz Ramón F., Valle Inclán y el teatro público de su tiempo: los
signos de la diferencia, “Bulletin Hispanique”, Bordeaux, XCI, 1989, pp. 127-146; Alvarez Novoa C., Valle
Inclán: el esperpento. Un antecedente inexcusable del teatro contemporáneo, in Teatro de la España del siglo
XX- I: 1900-1939, a cura di Hormigón J. A., “ADE Teatro”, Madrid 1999, N. 77, pp. 100-102; Fernández García
M.N., El universo del esperpento en Valle Inclán, Valladolid, Aceña, 1993; Hormigón J.A., El teatro de Valle
Inclán en el contexto europeo, in Xornadas de estudio Valle Inclán. Cen años de actualidade literaria,
Santorum A., ed., “Cuadrante”, Vilanova de Arousa, Pontevedra, 2003, N. 6, pp. 61-78; Valle Inclán en escena.
Monografico a cura di Luciano García Lorenzo, “Insula”, Madrid, 2006, N. 712.
18
Mi riferisco ovviamente ai testi che Valle inizia a far conoscere nel 1920; in particolare Luces de Bohemia –
pubblicato sulla rivista “España” (luglio-ottobre 1920) e i drammi (Las galas del difunto, Los cuernos de don
Friolera e La hija del Capitán) da lui denominati “esperpentos”, che vengono riuniti nel 1930 con el titolo di
Martes de Carnaval. Nel 1927 il drammaturgo raccoglie sotto il titolo di Retablo de la avaricia, la lujuria y la
muerte, cinque pièces che costituiscono un “polittico” sui vizi che governano i rapporti umani.
19
“Yo soy siempre un joven revolucionario, y poniéndose a decir la verdad, quisiera que toda reforma en el
teatro comenzara por el fusilamiento de los Quintero”. Questa affermazione è contenuta in una lettera del 1922 a
Cipriano de Rivas Cherif. Cito da. Sánchez J. A, ed., La escena moderna. Manifiestos y textos sobre teatro de la
época de las vanguardias, Madrid, Akal, 1999, p. 430. La traduzione è mia.
20
“Quiénes son los espectadores en las comedias? Padres honrados y tenderos, niñas idiotas, viejas con postizos,
algún pollo majadero y un forastero”. Ivi, p. 431.
8
elabora un linguaggio letterario e scenico che assume l’aspetto di una vera e propria
aggressione a un ambiente e a una società che lo scrittore riteneva ignobile. Il drammaturgo,
che si sentiva ferito dalla mediocrità etica, spirituale e artistica del mondo moderno – e in
particolare di quello spagnolo – osserva la realtà con sarcasmo e amarezza riproducendola
attraverso la deformazione grottesca. Egli stesso teorizza che solo attraverso uno
stravolgimento delle forme nel senso di una stilizzazione distorta si può rendere l’immagine di
una società assurda e deprecabile. I suoi testi teatrali applicano un’ottica di degradazione –
personaggi disumanizzati, resi simili a animali, fantocci o marionette – che rende visibile
attraverso una metodica inversione di valori quanto ci sia di falso, ingiusto, meschino e
inautentico nell’essere umano e nelle istituzioni21. La lacerazione che lo scrittore prova nei
suoi rapporti con la società viene espressa non solo attraverso la deformazione sistematica dei
personaggi, ma per mezzo della parodia delle circostanze storiche, delle istituzioni, delle fonti
letterarie, dei sentimenti e del linguaggio. La realtà, rifiutata eticamente ed esteticamente, è
rappresentata attraverso la distorsione grottesca e mediante un distacco netto dai valori
plastici e dalla categoria del bello che, al contrario, permeano altre sue opere precedenti che si
possono ascrivere all’estetismo decadentista. Lo scrittore definisce il suo approccio alla scena
teorizzando la necessità di adottare un punto di vista demiurgico: l’autore si colloca rispetto ai
suoi personaggi come se li osservasse dall’alto e la distanza determina una visione impietosa,
disumanizzata, straniante. I suoi testi sono al tempo stesso tragedie e farse nelle quali azioni e
personaggi vengono visti come attraverso uno specchio deformante. Il linguaggio,
volutamente disarmonico e dissonante, il dinamismo dei cambiamenti di scena, la gestualità
rigida dei personaggi –simili a burattini – producono, insieme all’uso della parodia feroce e
dell’umor nero, un’impressione di totale straniamento.
Adottando questa estetica di stampo chiaramente espressionista, lo scrittore tuttavia
riprende nel suo teatro quel filo rosso costituito dal grottesco che percorre la storia della
cultura spagnola e che offre i suoi frutti migliori non solo in epoca barocca - nella
deformazione della realtà presente negli scritti di Quevedo e Cervantes - ma anche nel secolo
XIX nella pittura di Goya22. Valle mostrò una lucidità superiore alla maggioranza dei
drammaturghi suoi contemporanei, ma la sua ricezione negli anni in cui compose questo tipo
21
Cfr. González del Valle L. T., Rosita, primer esperpento, in “ALEC”, Vol. 31, Issue 3, 2006, pp.119-127.
Valle Inclán fu consapevole del suo legame con la tradizione del grottesco iberico come si evince da una sua
intervista rilasciata all’impresario e drammaturgo Gregorio Martínez Sierra, riportata in. Sánchez J. A, op. cit., p.
433.E’ noto inoltre che nella scena XII di Luces de Bohemia, il protagonista, Max Estrella, afferma: “El
esperpentismo lo ha inventado Goya”. Cfr. R. del Valle Inclán, Luces de Bohemia, Madrid, Espasa Calpe, 1997,
p. 162.
22
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di testi teatrali fu praticamente nulla: la sua drammaturgia era così drasticamente
antinaturalista e antiborghese da precludersi ogni possibilità di rappresentazione.
Il caso di Valle è il risultato evidente di una profonda sfasatura tra artista e società: lo
scrittore precorse i tempi ignorando le possibilità di essere accettato in un ambiente teatrale
che stentava a seguire le linee di evoluzione della scena europea. E’ un fatto che dovranno
passare quasi tre decenni affinché le opere scritte orgogliosamente da Valle “con la schiena
rivolta al pubblico” come egli affermava, diano i propri frutti, e non solo siano riprese e
rappresentate, ma servano da fonte di ispirazione per la generazione di drammaturghi attivi
intorno agli anni sessanta.
L’altro caso emblematico della situazione spagnola è costituito da Federico García
23
Lorca , vero talento drammaturgico, che grazie ad una particolare sensibilità verso le nuove
tecniche espressive, e attraverso la personale conoscenza della pratica scenica, riuscì a
fondere modernità e tradizione nelle sue opere teatrali, sintesi che peraltro egli compie anche
nella sua produzione poetica. La figura di Lorca riveste particolare interesse in quanto egli fu
un uomo di teatro a tutto tondo che non si limitò a scrivere straordinari testi drammatici, ma si
occupò dell’allestimento di spettacoli, portò il teatro classico dei Secoli d’Oro in giro per le
campagne spagnole con una compagnia itinerante di teatro universitario e si dedicò al disegno
di scenografie e costumi. Questa immersione dello scrittore nell’evento spettacolare gli
consentì di acquisire una grande consapevolezza di quello che il pubblico era disposto ad
accettare. La lezione che Lorca imparò nel suo contatto diretto con le diverse componenti del
teatro e con le varie tipologie di pubblico lo portò a seguire, all’interno della propria
produzione drammatica, due linee nettamente distinte, anche se intimamente intrecciate: la
prima linea è costituita da un teatro rappresentabile, in cui, nonostante la portata innovativa –
enfasi posta sulla percezione sensoriale e non sulla ragione, rottura dei limiti tra realtà e
finzione, pratica di una stilizzazione simbolica dell’azione, del linguaggio e delle componenti
scenografiche- il poeta non spezza completamente le convenzioni teatrali, costruendo un
23
All’interno della sterminata bibliografia sul teatro dello scrittore segnaliamo gli studi recenti che si riferiscono
in particolare alle sue opere di taglio più nettamente avanguardista: Chicharro A. e Sánchez Trigueros A., ed., La
verdad de las máscaras: teatro y vanguardia en Federico García Lorca, “Imprevue”, Montpellier, 1999, N. 1;
Dolfi L., ed., Federico García Lorca e ilsuo tempo. Atti del Congresso internazionale, Parma, 27-29 aprile
1998, Roma, Bulzoni, 1999; Harretche M. E., Federico García Lorca. Análisis de una revolución teatral,
Madrid, Gredos, 2000; Martínez López R., Lorca: hacia una concepción del “poeta dramático” y del
“espectáculo total”, “Elvira”, Granada, II, 2002, N. 4, pp. 115-124; Plaza Chillón J. L., Clasicismo y vanguardia
en “La Barraca” de F. García Lorca, 1932-1937: (de pintura e teatro) ,” Comares”, Granada, 2001, XV, 371;
Jerez Farrán C., Un Lorca desconocido. Análisis de un teatro “irrepresentable”, Madrid, Biblioteca Nueva,
2004; Monleón J., Federico, ahora. Una cita con su teatro imposible, “Primer Acto”, Madrid, II, 2006, N. 313,
pp. 8-18;
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teatro poetico di grande effetto, che riscosse un notevole successo, nel quale in alcuni casi –
come nella trilogia andalusa – la periferia diventa emblema della totalità.
La seconda linea seguita dal drammaturgo è composta da opere che Lorca stesso
riteneva – giustamente- irrappresentabili. Nei testi che possiamo ascrivere a questo “teatro
impossibile”, come lo chiamava il suo autore24 – El público, Así que pasen cinco años,
Comedia sin título, El paseo e La doncella, el marinero y el estudiante – Lorca portò le
istanze di rinnovamento oltre un limite accettabile per il pubblico dell’epoca. In questi testi lo
scrittore distrugge ogni convenzionalismo spezzando le dimensioni spazio-temporali e la
causalità; il succedersi delle scene e delle azioni non risponde ad una logica razionale, ma ad
una coerenza poetica che è manifestazione di un profondo conflitto interiore. La lezione del
surrealismo e dell’espressionismo viene filtrata attraverso un’esigenza di fondamentale
sincerità e verità. Indubbiamente si possono trovare le motivazioni del suo teatro nella ricerca
della libertà, nella rivendicazione della vita al di là delle forme tradizionali e nella necessità di
liberarsi dal provincialismo culturale che lo opprimeva, ma, oltre a questi aspetti che stanno
alla base anche delle opere appartenenti alla modalità che potremmo definire meno radicale, il
suo teatro impossibile rivela una ricerca linguistica profondamente connessa con la frattura
dei canoni estetici operata dalle avanguardie europee. Questo teatro, che lo scrittore definiva
“teatro sotto la sabbia”, in effetti vide la luce e fu rappresentato, o pubblicato, molti anni dopo
la scomparsa del suo autore. In uno di questi testi – El público, pubblicato nel 1976,
quarant’anni dopo la morte di Lorca – un personaggio protesta per l’intervento violento che
ha avuto il pubblico all’interno del dramma:
Studente 4: L’atteggiamento del pubblico è stato detestabile.
Studente 1: Detestabile. Uno spettatore non deve mai fare parte del dramma. Quando
la gente va all’acquario non uccide i serpenti marini, né i topi d’acqua, né i pesci
coperti di lebbra, ma invece fa scivolare gli occhi sui vetri e impara25.
Ed è proprio questo concetto di teatro come acquario che Lorca rifiutava: il
drammaturgo, nella sua ricerca di una verità che non sia solo la verità dello scrittore, ma
anche quella degli spettatori che vedono riflessa sulla scena la propria interiorità, vuole
24
Lorca si esprime con queste parole per definire una parte del suo teatro che aveva iniziato a scrivere durante il
suo soggiorno a New York nel 1930. Cfr. l’intervista riportata in Sánchez J. A., op. cit., p. 449.
25
“Estudiante 4: La actitud del público ha sido detestable. Estudiante 1: Detestable. Un espectador no debe
formar nunca parte del drama. Cuando la gente va al acuario no asesina a las serpientes de mar, ni a las ratas de
agua, ni a los peces cubiertos de lepra, sino que resbala sobre los cristales sus ojos y aprende”. F.G.L., El
Público, Madrid, Cátedra, 1988, p.173.
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rompere il vetro della vasca dei pesci, far partecipare il pubblico, cancellare i limiti tra dentro
e fuori, tra scena e sala, tra vita e rappresentazione.
Due grandi scrittori –Valle Inclán e Lorca - le cui opere di radicale rinnovamento
seguono un percorso sommerso per poi riaffiorare dopo decenni e reinserirsi nel percorso
teatrale con stupefacente attualità. A questo lungo viaggio nascosto hanno contribuito
indubbiamente le vicende storiche della Spagna, segnata profondamente dalla guerra civile,
dalla diaspora di gran parte degli intellettuali e dalla problematica ricostruzione del tessuto
culturale nei primi decenni del franchismo.
Sia Valle Inclán che Lorca raccolsero le istanze di radicale rinnovamento di cui le
Avanguardie storiche si fecero portatrici e le rielaborarono attraverso un linguaggio letterario
e scenico che non nega la tradizione culturale ispanica ed europea. Le circostanze sociali e
culturali nelle quali entrambi operarono fecero sì che il loro teatro più innovativo, ignorato dai
più negli anni in cui fu composto, si riveli attuale e fecondo molti decenni dopo, capace di
dialogare con un contesto infine in grado di recepire e interpretare la loro espressione della
realtà.
Margherita Bernard
Università degli Studi di Bergamo
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