Capitolo 8 Epatiti virali L’epatite virale è un’infiammazione del fegato causata da virus. Ad oggi i principali virus dell’epatite conosciuti sono: virus epatite A (HAV), virus epatite B (HBV), virus epatite C (HCV). Ad essi si aggiungono i virus dell’epatite D (o delta) e dell’epatite E. Nel 5%-10% dei casi la causa delle epatiti resta sconosciuta. Il fegato (Fig. 1) è un organo vitale per il metabolismo di diverse sostanze nutritive, filtra il sangue e aiuta a combattere altre infezioni. Quando il fegato è infiammato o danneggiato, tutte le sue funzioni vengono meno. Anche l’abuso di alcol e l’uso di farmaci e di sostanze tossiche possono causare un’epatite. Epatite virale A È una malattia infettiva causata dal virus HAV (Fig. 2). È presente in tutto il mondo, specialmente dove le condizioni igienico-ambientali sono scadenti. Come si trasmette? Il virus viene eliminato con le feci e la malattia si trasmette con l’ingestione di acqua ed alimenti crudi o poco cotti e con l’utilizzo di oggetti contaminati dalle feci di soggetti malati (via oro-fecale). Per tale motivo l’epatite A è diffusa in zone in cui si consumano molluschi (ostriche, vongole o cozze), raccolti in acque contaminate, e in quei paesi in cui l’igiene è scarsa. La contaminazione del cibo può avvenire in qualunque momento: coltura, raccolta, preparazione del cibo e dopo la cottura. L’epatite A può essere trasmessa dalle persone infette o dal personale assistenziale che, dopo esser venuti a contatto con le feci contenenti il virus, toccano il cibo o vari oggetti di uso domestico senza provvedere ad un’accurata igiene delle mani. Con le trasfusioni solitamente il virus non è trasmesso. Tutti possono contrarre l’infezione, ma, a maggior rischio sono: coloro che vivono o lavorano a stretto contatto con persone infette; chi viaggia o vive in paesi in cui il virus è più diffuso; chi ha rapporti sessuali con persone infette; i tossicodipendenti. Contatti occasionali non sono da considerarsi eventi a rischio di contagio. Se la malattia interessa un bambino o un neonato, tutti coloro che hanno giocato con lui o sono venuti in contatto con i suoi pannolini potrebbero averla contratta. Come si evita? Il modo più sicuro per prevenire la malattia è la vaccinazione anti-epatite A, che rende immuni per circa 20 anni sia i bambini che gli adulti. La vaccinazione va somministrata ad una donna in gravidanza solo se è strettamente necessaria e si raccomanda cautela nelle donne che allattano. La vaccinazione è particolarmente indicata per: • coloro che, per motivi di lavoro o turismo, fanno viaggi internazionali; • i bambini; • il personale sanitario; • il personale addetto alla manipolazione degli alimenti; • il personale addetto alle acque di fognatura ed operatori ecologici; • i soggetti che abusano di droghe iniettabili; • i soggetti con numerosi partner sessuali. L’infezione virale A può essere prevenuta adottando corretti comportamenti igienico-alimentari validi anche per prevenire altre malattie a trasmissione oro-fecale (esempio: salmonellosi). Quindi, è consigliabile: - non consumare frutti di mare crudi; - lavare accuratamente le verdure prima di consumarle; - lavare e sbucciare la frutta; - conservare in frigorifero i cibi cotti se non vengono consumati subito; - non bere acqua di pozzo (N.B. L’HAV può essere ucciso mediante clorazione dell’acqua o bollitura della stessa per 10 minuti); - curare scrupolosamente l’igiene personale, specie delle mani; - rispettare scrupolosamente le norme igieniche nella manipolazione di cibi e bevande; - proteggere gli alimenti dagli insetti. Come si manifesta? L’epatite A può rimanere asintomatica oppure, dopo un periodo di incubazione di circa 15-60 giorni dal contagio, può manifestarsi con i seguenti sintomi: inappetenza e nausea; malessere generale; febbre; vomito e diarrea; dolore addominale. Dopo qualche giorno può comparire un colorito giallo (ittero) della pelle e della parte bianca degli occhi (sclere); le urine assumono una tonalità scura. Il decorso della malattia è, generalmente, benigno e dura dalle 2 alle 10 settimane. Dopo di che, si guarisce senza conseguenze (il tasso di mortalità per l’epatite A è inferiore allo 0,5%. Può aumentare in soggetti anziani o debilitati). Dopo la guarigione si ha un’immunità permanente dal virus HAV. Nel sangue rimane la presenza di anticorpi anti-virus dell’epatite A (anti-HAV), che testimoniano l’avvenuta infezione e forniscono un’immunità permanente. Cosa fare quando ci si ammala? È importante ricorrere tempestivamente al medico, il quale prescriverà delle analisi del sangue per confermare la diagnosi di epatite A (tramite la presenza di anticorpi anti-HAV) e per valutare la funzionalità del fegato. Nelle donne in gravidanza l’epatite A ha solitamente un andamento benigno e non comporta rischi per il feto. La guarigione completa è favorita da: riposo a letto; dieta leggera, ricca in zuccheri e proteine, povera di grassi; astensione dall’alcol. È prudente rivolgersi al medico anche quando si ha avuto un comportamento a rischio o si proviene da Paesi dove l’infezione da HAV è molto frequente. In tale caso, dopo gli opportuni controlli è possibile somministrare a scopo preventivo il vaccino e le immunoglobuline specifiche (anticorpi) per l’HAV. Queste ultime danno un’immunizzazione immediata contro il virus, che dura, però, solo 3-6 mesi. Epatite virale B È una malattia infettiva causata dal virus HBV (Fig. 3). Il virus è presente in tutto il mondo ma, è più diffuso nelle fasce di popolazione a basso livello socio-economico dell’Africa e dell’Asia. Circa un quarto della popolazione mondiale, più di 2 miliardi di persone, è stato contagiato dal virus dell’epatite B ed esistono attualmente circa 350 milioni di portatori cronici del virus. Come si trasmette? La malattia si trasmette venendo a contatto con liquidi biologici infetti, quali sangue e suoi derivati, saliva, muco nasale, bile. La trasmissione può avvenire anche durante la gravidanza da madre infetta al feto. Nel I e II trimestre di gravidanza il rischio è basso; nel III trimestre è alto. Nel momento del parto e del post parto il rischio è molto alto. Il virus, se è presente in gran quantità, può essere trasmesso al neonato pure attraverso il latte materno. L’epatite B è 50-100 volte più infettiva dell’HIV tramite la via sessuale e il virus viene trasmesso con il liquido seminale (sperma) o vaginale. Poiché l’HBV resiste in ambienti esterni fino a 7 giorni, il contagio è possibile anche mediante il semplice contatto con oggetti contaminati. A maggior rischio sono: coloro che hanno rapporti sessuali con partner infetti o con più partner; i tossicodipendenti; gli operatori sanitari; i bambini nati da madri infette; coloro che vivono insieme a persone infette o coloro che hanno ricevuto molte trasfusioni (politrasfusi) o utilizzano emoderivati. Si stima che il 2% dei soggetti sia infettato anche dal virus HIV (coinfezione) e questo comporta un elevato rischio di morte per cattivo funzionamento del fegato. Inoltre, un terzo dei pazienti può presentare coinfezione con virus Delta e/o con virus HCV. Come si previene? La malattia può essere prevenuta con la vaccinazione antiepatite B, che conferisce un’immunità per circa 8 anni. Un richiamo vaccinale prolunga l’immunità per altri 8 anni. Il vaccino antiepatite B è somministrato per via intramuscolare. In Lombardia la vaccinazione è raccomandata e gratuita nel 3°, 5° e 11° mese di vita. È compresa nel cosiddetto vaccino esavalente (anti-poliomielite; anti-difterite; anti-tetano; anti-epatite B; anti-pertosse e anti-Haemophilus influenzae). Ai nati da madri infette (HBsAg+) viene subito praticata la vaccinazione contemporaneamente alla somministrazione di immunoglobuline specifiche (anticorpi). La vaccinazione è, pure, offerta gratuitamente a italiani e stranieri fino al compimento dei 18 anni di età. Dopo tale età, è disponibile gratuitamente per le seguenti categorie di persone: - conviventi e persone a contatto con soggetti HBsAg+; - pazienti politrasfusi emofilici ed emodializzati (insufficienti renali cronici); - soggetti affetti da epatopatia cronica; - vittime di punture accidentali con aghi potenzialmente infetti; - soggetti affetti da lesioni croniche della pelle delle mani (eczema, psoriasi); - detenuti negli istituti di prevenzione e pena; - soggetti con comportamenti sessuali a rischio (tossicodipendenti; persone dedite alla prostituzione); - ospiti di strutture comunitarie per malattie mentali; - donatori di sangue e midollo; - candidati a trapianto d’organo. Esistono persone che, pur avendo effettuato una regolare vaccinazione, non producono anticorpi sufficienti a proteggerli da un’eventuale infezione. Restano, pertanto, a rischio e devono attenersi alle precauzioni comportamentali sopra elencate. Il contagio può, comunque, essere prevenuto, adottando comportamenti corretti, quali: - trasfondere sangue di donatori sani (non infettati da HBV); - segnalare la propria condizione di portatore di epatite B (HBsAg+) in occasione di cure mediche o dentistiche in modo da consentire l’attuazione di opportune misure di prevenzione (guanti) e sterilizzazione; - evitare rapporti sessuali a “rischio” (cioè con partner occasionali o affetti da epatite) o usare il preservativo; - evitare lo scambio di siringhe usate; - evitare lo scambio di oggetti personali quali spazzolino da denti, forbicine, rasoi, taglia unghie, siringhe riutilizzabili; - in caso di tatuaggi, di fori alle orecchie o in altre parti del corpo (piercing) e di pratiche estetiche, che prevedano l’uso di aghi, accertarsi delle condizioni igieniche dei locali in cui si opera e pretendere l’impiego di aghi monouso; - rispettare le norme previste per evitare il contatto con sangue e liquidi biologici infetti qualora si sia operatori sanitari, che assistono pazienti infetti. Come si manifesta? Quando una persona è colpita dal virus, può sviluppare un’infezione “acuta”, che può essere asintomatica, cioè con un decorso breve e con pochi sintomi, oppure richiedere il ricovero in ospedale. La forma acuta si sviluppa dopo un periodo di incubazione di 60-180 giorni dall’infezione ed è presente nel sangue l’antigene Australia (HBsAg), che è una componente della particella virale. I sintomi e segni nella fase acuta sono: inappetenza; malessere generale, febbre; nausea e vomito; dolori addominali; comparsa di ittero cutaneo (30-50% negli adulti e 10% nei bambini) con colorito giallo anche delle sclere (parte bianca dell’occhio); urine scure. Nella maggior parte dei casi la malattia guarisce, essendo il tasso di mortalità pari a circa l’1%. Nel sangue rimane la presenza di anticorpi contro il virus dell’epatite B (anti-HBV), che testimoniano la pregressa infezione. Nel 5-10% dei pazienti infettati la malattia tende a cronicizzarsi sotto forma di epatite cronica persistente (benigna) oppure attiva (aggressiva). In tale caso il virus B è presente nel sangue. In questa fase della malattia la maggior parte dei pazienti è asintomatica e non sa di poter essere ancora contagiosa. Altri possono lamentare ittero, malessere generale, ingrandimento della milza (splenomegalia) e peggioramento della funzionalità epatica. Nel 20% dei casi l’epatite cronica può evolvere in cirrosi epatica (con deperimento e perdita di peso, macchie scure sulla pelle, arrossamento del palmo delle mani e dei piedi, edemi alle gambe, ascite, ittero) (Fig. 4, 5) o causare l’insorgenza di un tumore maligno del fegato (epatocarcinoma). Cosa fare quando ci si ammala? È importante ricorrere tempestivamente al medico, il quale prescriverà delle analisi del sangue per confermare la diagnosi di epatite B (tramite la presenza di anticorpi anti-HBV) e per valutare la funzionalità del fegato. La guarigione completa è favorita da: riposo a letto; dieta leggera, ricca in zuccheri e proteine, povera di grassi; astensione dall’alcol. È prudente rivolgersi al medico anche quando si ha avuto un comportamento a rischio o si proviene da Paesi dove l’infezione da HBV è molto frequente. È, così, possibile una profilassi con immunoglobuline specifiche (anticorpi) abbinate a vaccino anti-HBV. La profilassi deve essere eseguita entro 48 ore dal presunto contagio. Epatite virale C È una malattia infettiva causata dal virus HCV, che è diffuso in tutto il mondo e può colpire ogni fascia di età (Fig. 6). L’incidenza dell’epatite C è particolarmente alta in alcuni stati dell’Africa e dell’Asia. Si stima che complessivamente i malati di epatite C siano circa 130-170 milioni. Questa forma di epatite è quella che, oggi, viene più facilmente riconosciuta nei soggetti politrasfusi e in coloro che, in passato, si sono sottoposti a interventi chirurgici o a trattamenti odontoiatrici, quando ancora non era stato identificato il virus HCV e non erano, quindi, disponibili efficaci mezzi di prevenzione dal contagio. Quando una persona si è infettata e sviluppa un’infezione acuta, può essere asintomatica o avere una sintomatologia simil-influenzale o richiedere addirittura un’ospedalizzazione per la gravità delle sue condizioni generali. Come si trasmette? Si contrae la malattia venendo a contatto con il sangue di un paziente infettato dal virus C. Circostanze che possono agevolare il contagio sono: - rapporti sessuali non protetti da preservativo qualora sui genitali ci siano lesioni sanguinanti (N.B. sperma e liquido vaginale non contengono l’HCV); - incidente durante l’assistenza sanitaria a malati di epatite C: puntura con ago o ferita con strumento tagliente sporchi di sangue infetto (N.B. Il rischio è maggiore se la puntura o la ferita sono profonde. Il virus non passa attraverso la pelle integra); - utilizzo di aghi o siringhe e di oggetti taglienti come lamette e forbicine, sporche di sangue infetto; - trasfusioni o trapianti d’organo. La causa del contagio resta, comunque, sconosciuta in circa il 43% dei casi. Durante la gravidanza, il rischio che la madre infetta trasmetta la malattia al feto è molto basso (inferiore al 5%). Al contrario, la trasmissione della malattia può avvenire al momento del parto soprattutto se il virus è presente in grande quantità. Il virus non è presente nel latte materno. Quindi, l’allattamento non è a rischio a meno che sui capezzoli della madre non ci siano piccole lesioni (ragadi), che sanguinino. Oggi a maggior rischio sono i tossicodipendenti. Fino al 1992 anche i politrasfusi e gli emodializzati hanno fatto parte delle categorie più a rischio a causa delle frequenti trasfusioni di sangue e/o di emoderivati (plasma, albumina, ecc.). A partire dal 1992 negli Stati Uniti sono iniziati precisi e severi controlli. Di conseguenza, questo rischio oggi si è quasi azzerato, solo nei paesi ad alto tenore di vita, grazie ai rigorosi controlli anti-infettivi imposti dalla legge sui donatori di sangue e sugli emoderivati. Si stima che l’epatite C coinfetti i pazienti portatori di HIV nel 30% circa dei casi. Se si tratta di tossicodipendenti, la percentuale dei coinfetti arriva al 70%. La coinfezione HCV/HIV comporta un elevato rischio di morte per cattivo funzionamento del fegato. Come si previene? Purtroppo, non esiste ancora un vaccino per prevenite l’infezione. L’epatite C può essere prevenuta solo adottando comportamenti corretti quali: - trasfondere sangue di donatori sani (non infettati da HCV); - astenersi da rapporti sessuali a “rischio” (come per l’epatite B) o usare il preservativo; - evitare lo scambio di siringhe usate; - evitare lo scambio di oggetti personali quali spazzolino da denti, forbicine, rasoi, taglia unghie, siringhe in vetro riutilizzabili; - in caso di tatuaggi, di fori alle orecchie o in altre parti del corpo (piercing) e di pratiche estetiche, che prevedano l’uso di aghi, accertarsi delle condizioni igieniche dei locali in cui si opera e pretendere l’impiego di aghi monouso; - rispettare le norme previste per evitare il contatto con sangue e liquidi biologici infetti qualora si sia operatori sanitari, che assistono pazienti infetti. Come si manifesta? Dopo un periodo di incubazione, che va dalle 2 settimane ai 6 mesi, l’epatite C si manifesta con una sintomatologia più sfumata e subdola di quella dell’epatite B. Essa può essere rappresentata da: affaticamento; perdita di appetito; nausea; vomito; cefalea; febbre; dolori addominali; ittero. Un decorso fulminante e fatale si osserva assai raramente (0,1% dei casi). Spesso la malattia può cronicizzarsi (circa l’80-85% degli individui infetti diventa portatore cronico del virus) ed evolvere nel 20-30% dei casi verso gravi quadri clinici di malfunzionamento epatico (cirrosi epatica), favo- rendo l’insorgenza di un tumore maligno nel fegato (epatocarcinoma). L’alcol deve essere assolutamente eliminato nei soggetti portatori di virus C in quanto è in grado di aumentare la replicazione del virus. A volte capita che, facendo delle analisi del sangue per controllo, un soggetto scopra di essere positivo per gli anticorpi anti-HCV ma, non ricordi di aver mai avuto l’epatite virale C. Ciò è possibile perché l’epatite virale C, frequentemente, può decorrere senza sintomi (circa 2/3 dei casi). Cosa fare quando ci si ammala? È importante ricorrere tempestivamente al medico, il quale prescriverà delle analisi del sangue per confermare la diagnosi di epatite C (tramite la presenza di anticorpi anti-HCV) e per valutare la funzionalità del fegato. La guarigione completa è favorita da: riposo a letto; dieta leggera, ricca in zuccheri e proteine, povera di grassi; astensione dall’alcol. Sono disponibili anche terapie specifiche antivirali (interferone) di esclusiva competenza specialistica. È prudente rivolgersi al medico anche quando si ha avuto un comportamento a rischio o si proviene da Paesi dove l’infezione da HCV è molto frequente. Fig. 2 - Virus HAV (immagine al microscopio elettronico). Fig. 1 - Apparato digerente umano (1. fegato; 2. cistifellea; 3. pancreas; 4. stomaco; 5. duodeno; 6. milza; 7. intestino tenue; 8. intestino crasso o colon; 9. retto). Fig. 3 - Virus HBV (immagine al microscopio elettronico). Fig. 4 - Fegato sano (1) e affetto da cirrosi (2). Fig. 5 - Cirrosi epatica con ascite (accumulo di acqua nella cavità addominale). Fig. 6 - Virus HCV (immagine al microscopio elettronico).