LA “TOTALITA`”? SFUGGE SEMPRE ALLA SCIENZA. DIO?

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LA “TOTALITA’”? SFUGGE SEMPRE ALLA SCIENZA.
DIO? SI RIVELA NELL’INTIMITA’ DELLA COSCIENZA.
Introduzione a Karl Jaspers
Heidegger e Sartre sono gli esponenti più significativi dell'esistenzialismo "ateo". Esiste, poi, un
esistenzialismo che potremmo definire "religioso" rappresentato in modo particolare da Karl
Jaspers e da Gabriel Marcel. Jaspers, tedesco, arriva alla filosofia dalla medicina. Per lui la
filosofia ha bisogno di partire dai dati della scienza (altrimenti sarebbe cieca) come la stessa
scienza ha bisogno della filosofia per non dogmatizzarsi. L'opera maggiore "Filosofia" (del
1932).
Jaspers è consapevole dei limiti della scienza: questa non è in grado di stabilire né il senso
dell'essere, né dei valori per la vita né è capace di fondare se stessa dimostrando cioè la
necessità della scienza (non esistono culture senza la scienza?) e, soprattutto, non ha nessuna
possibilità di risolvere i problemi che più contano per l'uomo. Cosa ne dici?
Mi pare che Jaspers calchi un po' troppo la mano: è arcinoto che la scienza si limita a studiare
ciò che è quantificabile, matematizzabile. Non capisco, poi, il discorso sul senso dell'essere:
forse che la filosofia è in grado di scoprirlo? E poi non è una semplice "parola" il termine
"essere"? La scienza studia cose più concrete, cose che messe insieme non possono che essere
viste come la "totalità": è questo, forse, il concetto di "essere"?
Sono osservazioni sensate. Jaspers ti direbbe che la scienza, nonostante aumenti
progressivamente le sue conoscenze sugli oggetti dell'universo, non sarà mai in grado di
abbracciare la totalità in quanto questa sfugge sempre alla scienza, è sempre al di là dei
risultati raggiunti. Dato che l'essere è la totalità - vi è qualcosa al di là dell'essere? - la scienza
non sarà mai in grado di raggiungere l'essere.
La totalità (l'essere: vi è qualcosa al di là dell'essere?) è, quindi, per Jaspers, sempre "al di là"
di ogni risultato scientifico. Jaspers la chiama "il tutto avvolgente", un tutto appunto che ci
avvolge, che non si lascia mai abbracciare, che indietreggia sempre. Lo stesso uomo - dice
Jaspers - non può essere afferrato in quanto tale dalla scienza. Cosa ne dici?
Perché mai? L'uomo non è quanto risulta dalla sintesi dell'indagine delle scienze quali la
biologia, la psicologia, la sociologia?
Secondo Jaspers l'uomo (l’"esistenza" in senso esistenzialistico) è un che di irripetibile per la
sua singolarità, per la sua eccezionalità: l'esistenza è sempre la "mia" esistenza.
Per Jaspers, quindi, l’"esistenza" (l'uomo, il suo poter essere) non può essere "oggettivabile”,
diventare un oggetto di indagine da parte della scienza. In che consiste questo poter essere?
Per Jaspers l'uomo si identifica con la situazione in cui si trova: l'uomo, quindi, non può che
scegliere solo ciò che è. Cosa ne dici?
Mi pare che Jaspers prenda le distanze dallo stesso esistenzialismo negando ciò che per
l'esistenzialismo è ciò che caratterizza l'uomo, cioè la sua libertà.
La tua osservazione è legittima. Jaspers, tuttavia, non nega che il singolo uomo possa
scegliere diversamente (appartenere ad un'altra comunità, sposare un'altra donna... ), ma
così, facendo, tradisce di fatto se stesso, il suo essere una realtà storica, il suo essere radicato
in una comunità, in un luogo.
Il compito della filosofia ("ragione") è quello di chiarire il senso dell’"esistenza", di chiarire cioè
ciò che la scienza (l’"intelletto") non è in grado di esplorare. Certo la ragione non può
conoscere in senso pieno, ma può solo intuire. Ad esempio intuisce che dietro quelle che
Jaspers chiama "situazioni-limite", quali l'essere destinati alla morte, il non poter vivere senza
soffrire e senza lottare, qualcosa che "trascende" l'esistenza, qualcosa che è "Altro" ed è
inafferabile dall'intelletto. Cosa ne dici?
Mi sembra che qui Jaspers cada nel misticismo, nell'irrazionalismo, tentazioni in cui un filosofo
non dovrebbe cadere.
Una interpretazione legittima. Va detto, comunque, che Jaspers esplicitamente prende le
distanze non solo da quelli che chiama "razionalisti", cioè da quelli che rifiutano tutto ciò che
non è scientifico, ma anche dagli "irrazionalisti" che "portano alle stelle" ciò che i razionalisti
rifiutano. Per lui la trascendenza si rivela solo ed esclusivamente nell'intimità della coscienza
del singolo: "Dio è sempre il mio Dio".
Jaspers, in perfetta sintonia con Kierkegaard, sostiene che la verità (non quella scientifica) è
solo mia. Ma allora non si arriva, in questo modo, alla molteplicità della verità e quindi al
"relativismo"? Cosa ne dici?
Una concezione del genere non può che portare al relativismo. Non vedo altra soluzione: se la
verità è solo mia, allora esistono tante verità, e allora tutto è relativo al soggetto singolo.
Una interpretazione legittima. Per Jaspers la Verità è qualcosa che va oltre le singole verità: da
qui l'atteggiamento di apertura a tutte le verità; da qui il rifiuto da parte di Jaspers di ogni
dogmatismo e di ogni fanatismo.
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