Quaderni del Seminario di Studio in ricordo di Francesca Duchini Università Cattolica del Sacro Cuore 29 ottobre 2014, ore 16.30 Cripta Aula Magna Intervento del prof. Alessandro GHISALBERTI Associazione Duchini – Studio del Pensiero Economico Contatti: [email protected] via Necchi, 5 20123 Milano (Italia) Il superfluo: la riflessione presente nel pensiero economico medioevale Professor Alessandro Ghisalberti L’uso delle ricchezze nel monachesimo altomedioevale Nell’alto medioevo l’atteggiamento dei cristiani di fronte alla ricchezza ha sviluppato la convinzione che l’elargizione, da parte di chi possiede beni oltre il necessario, fatta alla chiesa, ai monaci, ai poveri, va assunta come forma di adempimento del precetto evangelico; tale elargizione infatti è fatta a Dio stesso, è dunque carità verso Dio, la quale è mezzo certo per la vita eterna. Donare alla chiesa o a un monastero, anche nei testamenti, equivale ad affidare il proprio capitale a Dio, che lo farà fruttare e lo renderà centuplicato all’uomo, evitando la dispersione derivante dalla sempre possibile avidità degli eredi. Questo vale soprattutto per le eredità familiari delle persone che si consacrano alla vita ecclesiastica o a quella monastica L’acquisizione di beni da parte delle istituzioni che accolgono persone consacrate a Dio è giudicata evangelicamente corretta, sulla base di un concetto teologico di alto profilo: con le elargizioni ai monaci si riportano i beni materiali a Dio, unico legittimo padrone, e li si fa fruttare nel modo migliore, ossia sul piano spirituale, perché al donatore viene assicurata la vita eterna ed ai beneficiati è data la possibilità di vivere da cristiani. Il singolo monaco fa uso dei beni economici solo per soddisfare i propri bisogni elementari (ossia nell’ambito del necessario), mentre la proprietà dei beni (terre, edifici, animali, suppellettili) è del “monastero”, per cui non si pone il problema del superfluo su questo fronte. I monaci sono tenuti alle opere di carità, in particolare osservando rigorosamente la legge dell’ospitalità; ma, per quanto concerne il futuro dei beni accumulati, questi beni detengono una garanzia di bontà indefettibile, perché le proprietà dei monaci sono totalmente “salve”. Al suo ritorno il Cristo troverà i beni del creato che sono stati affidati ai monaci nella condizione migliore loro possibile, ossia li troverà riconsegnati a Dio, poiché sono 2 usati per dare sostentamento a chi si impegna in una regola di vita evangelica, consentendo così a un numero sempre maggiore di credenti di abbracciare la vita nei chiostri, via privilegiata di accesso alla patria celeste. Il necessario e il superfluo a partire dal sec. XIII Due grandi domande coinvolgono gli intellettuali cristiani nel secolo XIII, domande che non erano state messe a fuoco nell’ambito della riflessione monastica dei secoli precedenti: 1) è lecita la proprietà privata dei beni materiali?; 2) è lecito il guadagno oltre il necessario, ricavato dall’attività mercantile? I due interrogativi sono diventati pressanti anzitutto a causa dell’espandersi dell’attività mercantile, dell’affermarsi di una economia che aveva sempre maggiore intreccio con il capitale (denaro o merci), e, altresì, perché sono cambiate le prospettive sul fronte delle teorie etico-economiche: nuovi paradigmi in campo dottrinale, sul piano dell’etica e su quello del diritto, nascevano dall’incontro della teologia tradizionale con i testi dell’enciclopedia del filosofo greco Aristotele, i quali erano stati finalmente tradotti in latino. Tommaso d’Aquino fu tra i fautori dell’incontro del pensiero cristiano con le linee speculative di Aristotele, che ottenne allora il nome di “Filosofo” per antonomasia. Circa le analisi sottili che San Tommaso sviluppa per stabilire come rispettare gli imperativi evangelici che fanno riferimento al superfluo, possiamo sintetizzare il suo pensiero in questi termini: superfluo è la ricchezza che rimane al proprietario, dopo che ha soddisfatto agli obblighi, che comportano il perfezionamento della sua persona e del suo prolungamento nella famiglia, e la sua appartenenza alla Chiesa e allo Stato; il superfluo deve essere destinato alla carità. La novità maggiore consiste nella definizione del superfluo facendo riferimento non solo al singolo cristiano o alla chiesa particolare, ma si contemplano i bisogni dell’individuo anche in relazione alla sua famiglia, alla stato in cui vive, alla 3 chiesa universale. Un nuovo sguardo, che innesca una elasticità nel modo di intendere il superfluo, per cui Tommaso dice che bisogna attivare una forte capacità riflessiva nei cristiani, un impegno educativo importante, per evitare l’egoistica valutazione di mancare sempre di qualcosa, dilatando in modo equivoco i confini del necessario, e, di conseguenza, convincendosi di non avere nulla da destinare alla carità. 4