Micaela Morelli L’individualità biologica Una breve premessa per sgombrare il terreno dall’ambiguità che intercorre tra l’individualità e la diversità. Esiste una chiara distinzione tra le due categorie, potendosi concepire, in linea teorica, individui identici che conservino, senza possibilità di equivoco, la propria individualità. In questo articolo cercherò di dare una definizione dell’individualità biologica e citerò degli esempi per mettere in evidenza come il corpo umano tenda a conservare la propria individualità. Prenderò quindi in considerazione l’individualità neurobiologica che è alla base della diversità e infine citerò degli esempi di lavori sperimentali sulla plasticità neuronale e sulla memoria che più di tutto contribuiscono a definire l’individualità neurobiologica. Come descrivere il concetto di individualità Individuo può essere considerato un essere vivente che possiede un confine esterno, sia fisico che funzionale, che delimita un interno. L’interruzione della continuità è la premessa dell’individualità. Al contrario, nella materia organizzata secondo modalità non biologica, la distanza non produce necessariamente interruzione funzionale e, di conseguenza, individualità. La soglia funzionale per definire un individuo elementare è la cellula. Un individuo esiste in sé e non come parte di un insieme più vasto. Se la cellula è già individuo, allora l’uomo, massima complessità di associazione, è una associazione di individui? Non si può accettare questa ipotesi perchè nell’associazione tra più cellule si perde il fine funzionale iniziale e si realizza un nuovo sistema funzionale in cui la cellula ridefinisce topologia e funzione. Nel ridefinire topologia e funzione le cellule si diversificano tra loro. È importante sottolineare che la dipendenza da un altro individuo non toglie individualità. Un individuo è geneticamente omogeneo. Sebbene quindi le cellule che compongono le differenti parti di un essere biologico siano differenti nella forma e nella funzione, posseggono tutte lo stesso corredo di geni (genotipo) che si modifica solo nell’espressione (fenotipo). Infine un individuo possiede continuità spaziale e temporale ed è composto da parti eterogenee ma in relazione. In quanto composto da parti in relazione un individuo è soggetto a malfunzionamento se alcune parti vengono rimosse o danneggiate. Quando un essere biologico non è più in grado di garantire la conservazione della propria configurazione, ne è messa in discussione l’esistenza. Con il tempo la conservazione della configurazione biologica non è più garantita. Esiste perciò una soglia di alterazione della modificazione della configurazione oltre la quale non è più garantita l’esistenza dell’individuo. Questo tentativo di dare adeguata organizzazione a un problema concettuale di importanza fondamentale, necessita il passaggio dalla categoria elementare della individualità biologica a quella più complessa di individualità neurobiologica. Ancora una volta, con l’esclusione della bizzarria di casi singolari come l’associazione tra gemelli siamesi, è la topologia a consentire la definizione di individuo. L’individuo neurologico termina nel luogo dei punti in cui acquisisce informazioni dall’esterno. L’associazione biologica più complessa, l’uomo, è individuo neurobiologico in quanto insieme di tutte le reazioni e memorizzazioni relative all’acquisizione avvenuta al proprio confine. L’uomo è l’organizzazione più potente e complessa di individualità. La complessità dell’organizzazione individuale prende forma nel pensiero umano. Come il corpo umano tende a conservare la propria individualità Esistono due raffinati e potenti sistemi che tendono a conservare l’individualità degli organismi biologici e soprattutto del corpo umano: i geni e il sistema immunitario. I geni sono il progetto che conserva e trasmette i caratteri che distinguono un individuo da un altro. Le cellule degli organismi biologici muoiono e si rigenerano, cambiano continuamente. Nessun individuo biologico mantiene le cellule originarie della nascita; ad eccezione della cellule neuronali, vi è un costante cambiamento della materia. Da cosa dipende quindi l’identità di un individuo se non dal fatto che sia composto della stessa materia durante tutta l’esistenza? I geni salvaguardano l’identità dell’individuo. Le cellule nuove che sostituiscono le vecchie hanno, grazie ai geni, le medesime caratteristiche delle cellule che sostituiscono. Con modalità molto diverse, anche il sistema immunitario, difende l’individualità biologica. Le sostanze estranee che entrano nel corpo umano, dai batteri fino agli organi trapiantati, sono attaccati dal sistema immunitario (e.g. le cellule T e B linfocitarie). Il “diverso” è quindi distrutto o rigettato quando entra nei confini interni dell’individuo. Perché questo processo venga attivato, è importante la dimensione e il grado di estraneità del “diverso” (e.g virus o farmaci non sono attaccati). L’individualità neurobiologica I neuroni, al contrario delle altre cellule del corpo umano, non sono continuamente sostituiti da cellule nuove ma si modificano fisicamente e chimicamente durante tutta la vita. Fin dallo sviluppo embrionale non sono solo i geni a determinare lo sviluppo dei neuroni e le loro connessioni. Stimoli sotto forma di sostanze chimiche (e.g. fattori di crescita, molecole di adesione cellulare) o fattori di tipo fisico (e.g. le travature costituite dalla glia) indirizzano lo sviluppo del cervello. Dalla nascita, oltre ai geni e all’ambiente interno (il corpo) con cui il cervello è in continua comunicazione, anche l’ambiente esterno contribuisce alla formazione del cervello che con processi di tipo “darwiniano” forma circuiti neuronali preferenziali, reti neurali, connessioni sinaptiche. I segnali che arrivano al cervello dall’ambiente non sono specificati in modo unico e non hanno un unico valore, dunque, i cambiamenti che questi segnali producono nella biochimica e nella morfologia dei neuroni sono enormemente variabili. Questi processi sono resi possibili dal fatto che i neuroni diversamente dalle altre cellule possono acquisire, conservare, organizzare e richiamare informazioni che permangono anche in assenza dello stimolo che le ha generate. Questa serie di operazioni, definite plasticità neuronale, costituiscono le basi della diversità, della cosidetta “individualità”. Non esistono quindi, in pratica, due cervelli uguali e ogni cervello cambia di continuo. Pur nella ricca gamma di risposte differenti gli individui manifestano comportamenti coerenti perché all’interno della variabilità esistono dei meccanismi di funzionamento che sono ripetibili e codificati tra i differenti individui. La liberazione di un neurotrasmettitore, le molecole implicate nei meccanismi di plasticità neuronale, la formazione di spine dendritiche e di sinapsi seguono delle regole codificate. Quando questi meccanismi si alterano insorge la malattia, sia essa neurologica (e.g. Malattia di Parkinson o di Alzheimer) o psichiatrica (e.g. schizofrenia, depressione). Plasticità neuronale e memoria Di seguito descriverò sinteticamente i risultati di tre lavori scientifici esemplicativi del fatto che: 1) le sinapsi si “rinforzano” durante i processi di memorizzazione; 2) le spine dendritiche si sviluppano in seguito a stimoli chimici; 3) le spine dendritiche ma non i neuroni si modificano durante l’invecchiamento. Come viene “scelto” un neurone in cui memorizzare Figura 1. Nella memorizzazione, le sinapsi si modificano (“rinforzano”) e se ne creano di nuove. Le esperienze precedenti e lo stato di attivazione basale determinano la scelta del neurone nel quale avverrà la memorizzazione. Come mostrato nella figura, attraverso l’ingresso nel neurone del calcio e la sintesi di nuove proteine, le sinapsi di un neurone, che nel momento in cui arriva lo stimolo è attivo, vengono “rinforzate”. In un modello animale di apprendimento associativo gli autori di questo articolo descrivono che il numero di contatti sinaptici dell’ippocampo aumenta nei conigli sottoposti ad una procedura di apprendimento. Oltre alla formazione di nuovi contatti sinaptici, gli autori dell’articolo propongono che spine dendritiche già presenti nel neurone, ma non associate a sinapsi attive, si connettano con terminali sinaptici attivi. The Journal of Neuroscience, August 1, 2001, 21(15):5568-5573. Associative Learning Elicits the Formation of Multiple-Synapse Boutons. Geinisman et al. Le spine dei dendriti si sviluppano in conseguenza a stimoli chimici Figura 2. L’esposizione a un mezzo condizionante che favorisce l’attivazione di specifici recettori dell’acido glutammico (un neurotrasmettitore importante per la plasticità neuronale e la memoria) provoca la formazione di nuove spine dendritiche. Alcune spine nuove si associano poi a terminali sinaptici mentre altre vengono eliminate. La figura mostra neuroni dell’ippocampo isolati in coltura in una ricostruzione tridimensionale. a) spine dendritiche (“formazioni tondeggianti” di colore arancio) prima (1,2) e dopo (3,4,5) l’esposizione a un mezzo condizionante che favorisce l’attivazione dei recettori NMDA dell’acido glutammico. c) un dendrite (in verde) che al termine dell’esposizione al mezzo condizionante è stato esposto a FM4-64 per evidenziare i terminali pre-sinaptici (c5, in rosso). d) diagrammi che illustrano la quantità e i diversi tipi di nuove spine dendritiche formatesi dopo esposizione al mezzo condizionante (sinistra) o al mezzo di controllo (destra). J Neurosci. 2001 Jan 1;21(1):186-93.Functional plasticity triggers formation and pruning of dendritic spines in cultured hippocampal networks. Goldin et al. Le spine dei dendriti diminuiscono con l’invecchiamento Figura 3. L’invecchiamento provoca la diminuzione del numero e della densità delle spine dendritiche di neuroni presenti in specifiche aree corticali importanti per la memoria. Lo studio è stato effettuato in scimmie. I dendriti di neuroni che dalla corteccia temporale proiettano alla corteccia prefrontale sono stati isolati e resi visibili attraverso l’infusione di un colorante fluorescente e ricostruiti in tre dimensioni. Spine dendritiche di Macaca mulatta (A) e Macaca fascicularis (B) giovani; Macaca radiata giovane (C) e anziana (D); Eritrocebus patas giovane (E) e anziana (F); e di Macaca maura anziana (G,H). (I) rappresenta invece le spine dendritiche di un neurone umano di un anziano. Si nota come nel neurone umano il numero di spine dendritiche sia notevolmente superiore rispetto alle scimmie sia giovani che anziane. Nel grafico, si evidenzia come la densità delle spine dendritiche delle scimmie anziane (cerchi grigi) sia inferiore a quella delle scimmie giovani (cerchi neri). Nel medesimo articolo gli autori descrivono inoltre che la morfologia dei neuroni non è invece modificata nelle scimmie anziane. Cerebral Cortex, Vol. 13, No. 9, 950-961, September 2003. Age-related Dendritic and Spine Changes in Corticocortically Projecting Neurons in Macaque Monkeys. Duan et al. Conclusioni I risultati di questi studi dimostrano, attraverso la sperimentazione in animali, che le connessioni tra i neuroni e quindi le “configurazioni neurali” si formano e si modificano in seguito a stimoli ambientali, chimici e a causa dell’invecchiamento. Questi processi costituiscono la base teorica dell’individualità neurobiologica. Non esistono due cervelli identici, il corredo genetico, l’ambiente, i segnali non consapevoli che provengono dal corpo rendono ciascun cervello unico.