Il riparto di giurisdizione nel lavoro alle dipendenze

Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Diritto Comparato
SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO INTERNAZIONALE
E DIRITTO PRIVATO E DEL LAVORO
INDIRIZZO: DIRITTO DEL LAVORO
ciclo XXIV
IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE NEL LAVORO ALLE
DIPENDENZE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
Direttore della Scuola: Chiar.ma Prof.ssa Manuela Mantovani
Coordinatore d’indirizzo: Chiar.mo Prof. Marco Tremolada
Supervisore: Chiar.mo Prof. Michele Miscione
Dottoranda: Gaetana Pendolino
2
INDICE
Abstract.......................................................................................................................... 5
CAPITOLO I
PROFILI STORICI ED EVOLUZIONE NORMATIVA
1.1
Dal
pubblico
impiego
al
lavoro
alle
dipendenze
delle
pubbliche
amministrazioni: cenni sulla cosiddetta “privatizzazione” ................................... 9
1.2
La tutela giurisdizionale prima della riforma ..................................................... 26
1.3
Dalla giurisdizione del giudice amministrativo a quella del giudice ordinario ... 30
CAPITOLO II
IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE TRA GIUDICE ORDINARIO E GIUDICE
AMMINISTRATIVO
2.1
Nuovo criterio di riparto per materie e irrilevanza dell’atto amministrativo ...... 39
2.2
La residua giurisdizione amministrativa: le eccezioni al principio della
giurisdizione ordinaria ....................................................................................... 49
2.2.1 Le categorie di dipendenti esclusi dalla “privatizzazione” e dalla giurisdizione
ordinaria............................................................................................................. 53
2.2.2 Le procedure concorsuali per l'assunzione ......................................................... 59
2.3
La disapplicazione dell’atto amministrativo presupposto e la
pregiudizialità amministrativa............................................................................ 67
2.4
Provvedimenti del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro .............. 78
CAPITOLO III
QUESTIONI CONTROVERSE IN MATERIA DI GIURISDIZIONE
3.1
Controversie «concernenti l’assunzione al lavoro» vs controversie relative alle
«procedure concorsuali per l’assunzione».......................................................... 83
3.2
Le progressioni verticali .................................................................................... 87
3.3
Le procedure di mobilità e di stabilizzazione del personale ............................... 98
3.4
Le graduatorie del personale della scuola ........................................................ 107
3
3.5
Il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali .................................... 114
3.6
La repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro pubblico ....... 127
3.7
L'anomalia della giurisdizione domestica: i dipendenti degli organi
costituzionali ................................................................................................... 137
BIBLIOGRAFIA....................................................................................................... 145
4
Abstract
A distanza di ormai tanti anni dalla privatizzazione del pubblico impiego e dalla
conseguente devoluzione al giudice ordinario delle relative controversie, potrebbe
essere giudicata arida e anacronistica una trattazione concernente il riparto di
giurisdizione nel lavoro nelle pubbliche amministrazioni.
Eppure, al decorso del tempo non ha fatto seguito la definizione di una chiara e
netta linea interpretativa, tant'è che la tematica, lungi dall'aver raggiunto un compiuto
e definitivo assetto, s'impone, oggi, forse più di allora, all'attenzione della
giurisprudenza.
Se si guarda al dato statistico, nell'ambito del lavoro nelle pubbliche
amministrazioni permane, infatti, una mole significativa di contenzioso relativo a
questioni di giurisdizione, in cui assume precipuo rilievo la produzione
giurisprudenziale delle Sezioni unite della Cassazione adita ai sensi dell'art. 374 Cod.
Proc. Civ., comma 1.
Se l'obiettivo del legislatore, soprattutto della seconda privatizzazione, è stato
chiaro, un po' meno illuminate sono state le conseguenze della scelta operata nella
direzione di perpetuare una giurisdizione “bipolare”, preservando, seppur per ambiti
ridotti, la giurisdizione del giudice amministrativo: si è posto, così, il cittadino in una
situazione di perdurante incertezza circa il tribunale da adire.
Il lavoro che segue ha, così, lo scopo di ricostruire il percorso attraverso cui, da
un punto di vista processuale, è stata affrontata la persistente specialità del pubblico
impiego e di illustrare gli esiti raggiunti dal dibattito scientifico e dagli orientamenti
giurisprudenziali, con alcuni dei quali – preme sottolinearlo da ora – ci si pone in
5
consapevole dissenso.
In fase preliminare si presenta un rapido excursus storico del rapporto di lavoro
nelle pubbliche amministrazioni e, percorrendo il lungo e faticoso cammino
intrapreso dalla privatizzazione, si illustra il quadro normativo entro il quale è
avvenuto il passaggio di giurisdizione e i presupposti su cui esso si fonda.
Successivamente, entrando nel vivo della trattazione, si analizzano gli aspetti di
maggior rilievo dell’attuale criterio di riparto di giurisdizione, con particolare
riferimento alle “materie” escluse dalla cognizione del giudice ordinario.
Nel contesto del capitolo conclusivo vengono, poi, approfondite alcune delle
tematiche più controverse del passaggio di giurisdizione, con una disamina del più
recente dibattito relativo alle controversie in materia di assunzioni e di procedure
concorsuali, progressioni verticali, graduatorie del personale della scuola, incarichi
dirigenziali, condotta antisindacale, per accennare, infine, al caso controverso dei
dipendenti degli organi costituzionali.
Quel che ci si propone è, dunque, una riflessione che, avendo come filo
conduttore e punto focale la garanzia dell'effettività della tutela giurisdizionale del
dipendente pubblico, tenta di offrire una lettura “naturale” del sistema, ovvero quanto
più possibile orientata, al di là delle eccezioni espresse, verso l'onnicomprensività
della giurisdizione ordinaria.
6
Abstract
It has been years from the privatization in public sector and following by a devolution
to trail court for the relative controversies, a concerning treatment about the split of
Jurisdiction for the employment in the public administration could be considered
anachronistic.
Still, by all this time, a clear and precise definition has not been made since the issue
had not reached a definite asset.
Statistical data in public administration works clearly shows a significant mass of law
demands with relative contents, which could be assumed about the jurisprudential
production, today in chief to the “United Sessions” of Court of Cassation as regulated
under the art. 374 Cod. Proc. Civ., comma 1.
The legislator’s objective has been clear, but on the other side the choice to
continue in the use of a so called “bipolar” jurisdictional system didn’t have had the
same clarity. It’s the citizen, with this organizational option, the subject the most
damaged kept in a perpetual state of uncertainty about which court to refer to.
The following work has the scope, with a case optic, to reconstruct the public
employment specialties main steps and to analyze the results, sometimes in contrast
with my own opinion, abducted by the scientific community.
In the preliminary phase, a brief historical excursus of the public administration
employment will be presented, taking a long and hard path of implementing the
privatization.
The framework of this normative will be illustrated too, pointing the attention
on the jurisdictional passage and the presupposes which is based on.
7
The second section, the topic, is the analysis of the current split juridical
standards with deeper considerations concerning the subject excluded from the
ordinary Judge competence.
The most controversial themes, about the jurisdictional passage, are delved in
the last chapter and his principal arguments are: assumptions, competitive entrance
examinations, career vertical progressions, school teaching rankings, executive
assignments, anti-union behaviors and the controversial cases of the employers of the
constitutional bodies.
The proposal of this argumentation is therefore to be a starting point of
reflection focused on the actual guaranties acted to protect the public employees’
rights.
8
CAPITOLO I
PROFILI STORICI
ED EVOLUZIONE NORMATIVA
SOMMARIO: 1.1 Dal pubblico impiego al lavoro alle dipendenze
delle pubbliche amministrazioni: cenni sulla cosiddetta "privatizzazione".
- 1.2 La tutela giurisdizionale prima della riforma. - 1.3 Dalla
giurisdizione del giudice amministrativo a quella del giudice ordinario.
1.1
Dal pubblico impiego al lavoro alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni: cenni sulla cosiddetta "privatizzazione"
La differenziazione della disciplina del rapporto di lavoro pubblico rispetto a
quella del lavoro privato è una costante dell'esperienza italiana. Alcuni tratti di
specialità del pubblico impiego (assunzione mediante concorso, avanzamenti di
carriera, congedi e aspettative) erano già presenti anche quando, negli anni successivi
all'Unità d'Italia e fino all'ultimo decennio di quel secolo, l'impiego presso le
pubbliche amministrazioni era considerato dagli interpreti, in assenza di ogni
qualificazione normativa, come locatio operarum1.
La ricostruzione in chiave pubblicistica del rapporto di impiego con lo Stato
prende
avvio
nell’ultimo
decennio
dell’Ottocento
1
dopo
alcune
pronunce
A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, Giuffrè,
Milano, 2000, 4, rilevano come la definizione, all'epoca di cui trattasi, era riferita a qual si voglia
fattispecie di prestazione continuativa di energie lavorative.
9
giurisprudenziali del Consiglio di Stato2 che riconducono il rapporto, retto da un atto
amministrativo e unilaterale di nomina, nell'alveo del diritto pubblico ed a seguito di
alcuni interventi normativi3 volti a garantire un controllo degli organi statali
sull’apparato amministrativo e i suoi costi.
Il funzionario pubblico, preposto ad un ufficio e titolare di pubbliche potestà,
svolge una prestazione lavorativa che si identifica con l’attività della amministrazione
per il perseguimento dell’interesse pubblico. Logico e necessario corollario di tale
premessa sembra individuarsi nell'assoluta impossibilità per il dipendente pubblico di
trovarsi in una posizione di conflitto con la pubblica amministrazione, essendo
identici i fini cui essi mirano: il profilo lavoristico finiva per essere assorbito da quello
organizzativo-funzionale, considerato preminente.
Si delinea, così, un sistema rigido e gerarchizzato ove il rapporto di servizio è
retto dal principio di legalità e, quindi, ogni aspetto, anche quello retributivo, è
regolato dalla legge.
Il modello pubblicistico va sempre più consolidandosi e il rapporto diviene
oggetto di un ordinamento speciale basato sulla supremazia della pubblica
amministrazione innanzi alla quale la posizione soggettiva del dipendente si
affievolisce ad interesse legittimo.
Il momento di chiusura del sistema si delinea nel 1924 (art. 29 del Regio
2
L'importanza propulsiva della giurisprudenza amministrativa è stata sottolineata da M. S.
Giannini, Impiego pubblico (teoria e storia), in Enc. Dir., XX, Giuffrè, Milano, 1970, 298. Si v. in
proposito la ricostruzione di V. Ferrante, Il riparto di giurisdizione in tema di concorso e progressione
di carriera nei più recenti orientamenti della giurisprudenza, in Quaderni di diritto del lavoro e di
relazioni industriali, L’impiego pubblico negli enti locali, n. 30, 2007, 233-234.
3
Sono, in particolare, il primo Testo Unico sullo stato degli impiegati civili del 1908 (R.D. 22
novembre, n. 693) e il successivo Regio Decreto del 1923 (30 dicembre n. 2960, la cosiddetta Riforma
Stefani) a codificare sostanzialmente l'orientamento del Consiglio di Stato.
10
Decreto del 26 giugno 1924, n. 10544): le controversie di lavoro pubblico vengono
affidate alla
giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato poiché «il diritto del
singolo è così connaturato con l’interesse pubblico dell’amministrazione che è
impossibile, o assai difficile, separare l’uno dall’altro, mentre l’interesse pubblico è
così prevalente e assorbente da far affievolire o scomparire la portata effettiva della
posizione soggettiva di diritto privato»5.
L'entrata in vigore della Costituzione preserva, in parte, la "specialità" del
pubblico impiego: l’articolo 97, finalizzato ad assicurare il buon andamento e
l’imparzialità dell’azione amministrativa, sancisce la riserva di legge in materia di
organizzazione dei pubblici uffici e l’accesso mediante concorso; l'articolo 98
consacra il principio di fedeltà del dipendente pubblico che deve essere “al servizio
esclusivo della Nazione”.
La regolamentazione del rapporto di lavoro pubblico viene successivamente
affidata al Testo Unico del 1957 sugli impiegati civili dello stato (D.P.R. 10 gennaio
1957, n. 3) il quale, nonostante il dichiarato intento del legislatore di attenuare
l’impostazione gerarchica del sistema, finisce per essere una semplice rivisitazione, in
chiave aggiornata, dell’impianto tradizionale.
Questa normativa, infatti, nonostante il mutamento del regime politicoistituzionale, tradisce l’idea di una pubblica amministrazione suprema e autoritaria
che differenzia sempre più la posizione del dipendente pubblico da quella degli altri
cittadini lavoratori che, nel settore privato, già godono delle consuete forme di tutela
individuale e, allo stesso tempo, delle nuove forme di tutela collettiva, attraverso
4
T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato che riprende le previsioni del precedente R.D. 30 dicembre
1923, n. 2840.
5
V. Relazione ministeriale al Re allegata al R.D. 30 dicembre 1923, n. 2840.
11
l’associazionismo sindacale garantito dall’articolo 39 della Carta Costituzionale, e il
riconoscimento del diritto di sciopero al successivo articolo 40.
In un simile contesto, come è stato osservato, l’azione del sindacato nella
pubblica amministrazione ha avuto un’origine quasi “carbonara” e si èsviluppato, in
assenza dello strumento della contrattazione collettiva, su un modello di cogestione
dell’intera macchina amministrativa: non un sindacato di opposizione e conflitto
come nel privato ma, in virtù di una serie di leggi, i sindacalisti siedono nei consigli
di amministrazione dei ministeri e nelle commissioni di disciplina, svolgendo una
funzione di controparte e consulente insieme6.
Il 1970, considerato «l’anno zero del sistema delle relazioni sindacali nelle
pubbliche amministrazioni»7 è l’occasione per confrontarsi con un settore privato che
conosce l’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori (legge 20 maggio 1970 n.
300)8.
Nel 1977, la relazione della commissione parlamentare d’inchiesta «sulle
strutture, sulle condizioni e sui livelli dei trattamenti normativi e retributivi»,
presieduta dal senatore D. Coppo9, fotografa il pubblico impiego come una giungla
normativa e retributiva e il successivo parere del CNEL del 21 gennaio 1978 10
M. Rusciano, L’impiego pubblico in Italia, Il Mulino, Bologna, 1978, 199 parla di "nonsindacalismo" o di "sindacalismo perverso" nel pubblico impiego.
7
Ibid., 199.
8
Fino ad allora si erano registrati solo timidi tentativi nel settore ospedaliero che, già nel 1968
(legge 12 febbraio, n. 132), otteneva la definizione del trattamento economico tramite accordi e il
riconoscimento dei principali diritti sindacali; nell’anno successivo (legge 27 marzo 1969, n. 130), una
disciplina simile viene estesa a tutti gli impiegati statali dalla legge delega 18 marzo 1968 n. 249 e dalla
successiva legge del 28 ottobre 1970 n. 775, il cui art. 24 rimette, la disciplina delle mansioni e del
trattamento economico degli impiegati dello Stato, non dirigenti, alla legge, o meglio, a regolamenti
adottati in attuazione di accordi tra il governo e i sindacati rappresentati nei consigli di
amministrazione o le confederazioni sindacali di cui essi facciano parte.
9
Per la relazione v. Camera dei deputati-Senato della Repubblica, VII legislatura, doc. XXIII, n. 5.
10
Si veda il parere in Segretariato generale del CNEL, L’attività del CNEL dal 1958 al 1978, I,
Roma, 1978, 545.
6
12
propone una riforma del pubblico impiego nel senso dell’armonizzazione delle
legislazioni fra pubblico e privato.
La riforma trova le sue origini "culturali" nel famoso «Rapporto sui principali
problemi dell’amministrazione dello Stato» stilato dal ministro pro tempore della
Funzione Pubblica Massimo Severo Giannini che, nel 1979, lo presenta alle Camere 11.
Si parte dalla constatazione di una amministrazione più dedita a se stessa
piuttosto che ad attuare i compiti che ad essa riservava l’ordinamento e le cui
tecniche, predisposte per l’erogazione dei servizi ai cittadini, risultano inadeguate ed
arretrate, specie se confrontate con la tempistica e con il livello qualitativo dei servizi
offerti dal settore privato. Da qui l’immagine popolare di una amministrazione
composta «nei casi peggiori, di inetti e fannulloni e, in quelli migliori, di tardigradi e
di cultori di formalismi»12.
Proprio per quanto riguarda il regime del personale pubblico viene avanzata
l’ipotesi di una possibile privatizzazione del rapporto di lavoro. L’efficienza,
l’efficacia e l’economicità, indicati come i principali obiettivi da conseguire, possono
essere realizzati praticando la parificazione normativa del dipendente pubblico e di
quello privato, così da eliminare l’eccessivo garantismo nei confronti del primo,
considerata la causa del malfunzionamento dell’intero apparato amministrativo.
Le soluzioni giuridico-istituzionali avanzate quali praticabili ed, allo stesso
tempo, idonee ad arginare i problemi dell’amministrazione sono essenzialmente due,
diverse fra loro. Una legge-quadro sul pubblico impiego, la prima, volta a disciplinare
11
M. S. Giannini, Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, Roma, 1979,
7.
12
Ibid, 9.
13
in maniera ordinata e omogenea la contrattazione collettiva nel lavoro pubblico13. La
seconda, invece, incoraggia la privatizzazione dei rapporti di lavoro del pubblico
impiego con esclusione delle «fasce di pubblici dipendenti che hanno uno status
speciale, per essere, in atto o in potenza, i portatori delle potestà pubbliche»14.
La prima soluzione è quella, in sostanza, accolta e sintetizzata nella leggequadro n. 93 del 198315, mentre la seconda sulla privatizzazione non venne, forse, mai
presa in considerazione né dal Parlamento16 né dai sindacati17.
La legge-quadro è una riforma economico-sociale applicabile a tutte le
pubbliche amministrazioni che mira, da un lato, a fissare dei principi di
“omogeneizzazione” e di “perequezione” della disciplina del lavoro pubblico tramite
una gestione accentrata dello stato giuridico e del trattamento economico dei
dipendenti e, dall’altro, a disciplinare in maniera organica il sistema delle relazioni
sindacali, ripartendo la competenza tra fonti unilaterali e fonti negoziate.
La riforma ha una notevole portata innovativa nel senso di legittimare gli
accordi collettivi nel pubblico impiego riconoscendo un ruolo alle parti sociali in
quelle materie tipicamente e tradizionalmente affidate alla legge e ai regolamenti ma,
nella sostanza, non scalfisce l’assetto tradizionale del sistema, confermandone gli
elementi di specialità e ribadendo espressamente, all’art. 28, la giurisdizione del
13
V. L. Giampaolino, La legge -quadro sul pubblico impiego: ambito di applicazione, la disciplina
in base alla legge e la disciplina in base agli accordi sindacali, le procedure contrattuali, la tutela
sindacale del pubblico impiego, Il Dipartimento della funzione pubblica, Giuffrè, Milano, 1984.
14
M. S. Giannini, Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, cit., 291.
15
Per un commento organico alla legge v. M. Rusciano, T. Treu (a cura di), La legge-quadro sul
pubblico impiego: commentario della legge 29 marzo 1983, n. 93, Cedam, Padova, 1985.
16
Nell’ordine del giorno del Senato n. 5 del 10 luglio 1980, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1982, 766 si
afferma che «il pubblico impiego – che costituisce la struttura portante dell’azione dei pubblici poteri –
deve essere costruito in una logica che non collochi in secondo piano la funzione sua propria, collegata
alla soddisfazione di interessi della comunità».
17
Per un approfondimento su questa affermazione v. L. Zoppoli, Contrattazione e delegificazione
nel pubblico impiego, dalla legge quadro alle politiche di “privatizzazione”, Jovene, Napoli, 1990, 57
ss.
14
giudice amministrativo.
La legge quadro mostra ben presto che gli obiettivi cui essa mirava - efficienza,
efficacia, produttività - erano difficilmente raggiungibili. Non solo la procedura
contrattuale risultava complessa, farraginosa e centralizzata ma anche i criteri di
selezione della delegazione sindacale si mostravano poco adeguati, lasciando ampio
spazio alle «scorrerie del sindacalismo autonomo»18. Essa aveva creato «una sorta di
selvaggia concorrenza tra le fonti: una microlegislazione a pioggia; una contrattazione
più politica che sindacale, non di rado sottratta al controllo contabile e sempre
recepita in forte ritardo; un amministrazione del personale spesso consociativa; una
giurisprudenza amministrativa tentata dal gioco al rialzo»19.
A conferma del deterioramento del sistema, segno emblematico della sua crisi,
si delinea il fenomeno denominato “fuga dalla legge quadro”: per una sorta di reazioni
centrifughe, sempre più parti20 fuoriescono dal sistema e, sottraendosi al suo ambito
di applicazione, anticipano, per certi versi, l’esigenza della privatizzazione21.
Preso atto della crisi irreversibile delle soluzioni compromissorie adottate dalla
legge n. 93 del 1983, le confederazioni propongono come unica via alternativa 22
18
M. Roccella, La nuova normativa e l’assetto dei rapporti sindacali, in Dir. Prat. Lav., 1993, n. 15,
XXI.
19
F. Carinci, La riforma del pubblico impiego. La privatizzazione del rapporto di lavoro, in Dir.
Prat. Lav., 1993, inserto n. 15, III.
20
Per un approfondimento v. A. Tursi, Categorie ed amministrazioni escluse dalla privatizzazione
del rapporto di lavoro, in F. Carinci, M. D’Antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche. Dal d.lgs. n. 29/1993 ai D.Lgs. nn. 396/1997, 80/1998 e 387/1998.
Commentario. Giuffrè, Milano, 2000, 323.
21
M. D’Antona, Lavoro pubblico e diritto del lavoro: la seconda privatizzazione del pubblico
impiego nelle “leggi Bassanini”, in F. Carinci, M. D’antona (diretto da) Il lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche, 2000, cit., XLIX pur riconoscendo l'importanza della legge quadro nel
processo di riforma delle pubbliche amministrazioni, sottolineava come essa non aveva saputo
realizzare l’auspicata convergenza tra lavoro pubblico e privato, la cui normativa rimane nettamente
differenziata, e “anziché trasferire nel pubblico alcune virtù del privato accentua i difetti strutturali del
pubblico impiego.
22
F. Carinci, All’indomani di una riforma promessa: la “privatizzazione” del pubblico impiego, in
15
quella della privatizzazione del pubblico impiego cioè della riconduzione di pubblico
e privato alle regole del diritto comune che, garantendo giustizia e uguaglianza di
trattamento, avrebbero abbattuto quel muro di privilegi del dipendente pubblico,
antico retaggio di una concezione sacralista dello Stato.
Le varie proposte23 hanno inizialmente solo un esito eccessivamente polemico:
si accusano le confederazioni di aver letteralmente inventato la storia della
privatizzazione per ritrovare, nel panorama sindacale, l’egemonia che la legge quadro
non gli aveva assicurato.
In realtà, col passare del tempo, la riforma «diviene sempre meno sindacale e
sempre più governativa: meno contropartita pretesa dal sindacalismo confederale per
la disponibilità manifestata altrove e più partita vista e vissuta come propria dal
Governo; meno iniziativa finalizzata alla riunificazione dell’universo del lavoro
subordinato e più operazione destinata a risanare a breve i conti dello Stato»24.
F. Carinci (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Dal d.lgs. 29/1993
alla finanziaria 1995. Commentario, Giuffrè, Milano, 1995, XXXV; Id., Privatizzazione del pubblico
impiego e ripartizione della giurisdizione per materia (Breve storia di una scommessa perduta), in Lav.
pubbl. Amm., 2006, 6, 1051.
La privatizzazione è stata «vista e vissuta come una liberazione da quella autentica camicia di
forza costituita, da un lato, da una organizzazione burocratica, formalista, impaniata in una defatigante
procedura, a tutto scapito dell’efficacia ed effettività della sua azione; dall’altro, da una realtà
occupazionale caratterizzata da una cronica carenza di direzione e di motivazione, da una
sindacalizzazione corporativa, da una dipendenza politica» così F. Carinci, Filosofia e tecnica di una
riforma, in Riv. Giur. Lav., 2010, 4, 452.
23
Sotto la spinta di CGIL, CISL e UIL viene istituita una commissione mista governo- sindacati per
valutare la fattibilità del progetto. Il primo disegno di legge del 27 febbraio 1992 intitolato “Nuove
norme in materia di rapporto di lavoro e di impiego nonché di contrattazione collettiva dei dipendenti
pubblici” rimane lettera morta perché confezionato in un momento politico di crisi. Un momento di
svolta si registra con il Protocollo del 6 luglio 1992 con cui il Governo si impegna a promuovere entro i
due mesi successivi “una sede di confronto e di negoziazione con le confederazioni sindacali
maggiormente rappresentative avente quali obbiettivi la disciplina dei tempi e dei modi di transizione
alle regole del diritto comune, la delegificazione funzionale all’apertura di spazi sindacali, la struttura
della retribuzione, l’organizzazione dei livelli di contrattazione in relazione anche alle componenti
della retribuzione stessa”, v. in Lav. Inf., 1992, n. 15, 41.
24
F. Carinci, All’indomani di una riforma promessa: la “privatizzazione del pubblico impiego”, cit.,
XXXVIII.
16
La successiva legge del Governo Amato del 23 ottobre 1991 n. 42125 prevede il
passaggio dei rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti delle Amministrazioni
dello Stato e degli altri enti pubblici alla disciplina del diritto civile, la
regolamentazione mediante contratti individuali e collettivi, l’istituzione di un
Agenzia tecnica per la rappresentanza delle amministrazioni pubbliche e il passaggio
della giurisdizione sulle controversie dei dipendenti pubblici al giudice ordinario.
Il 3 febbraio 1993 il Governo emana, sulla base della delega conferita, il decreto
legislativo
n.
29
intitolato
«Razionalizzazione
dell’organizzazione
delle
amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego,
a norma dell’ articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421».
Con il decreto legislativo n. 29 del 1993, sebbene modificato ed integrato per
opera dei successivi decreti correttivi26, ha inizio la fase definita come “prima
privatizzazione”.
Il legislatore, superando il parere negativo espresso dal Consiglio di Stato27,
muove dalla constatazione che, per migliorare e accrescere l’efficienza delle
pubbliche amministrazioni, così da renderle competitive rispetto a quelle dei paesi
della Comunità europea, sia necessario utilizzare gli stessi criteri e modelli
sperimentati nell’impresa privata e che, dunque, il rapporto sia regolato “dalle
disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti
Intitolata “Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia
di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”.
26
Era stata la stessa legge delega a prevedere all’art. 5, comma 2, la possibilità di rivisitare la
materia con successivi decreti da emanare entro e non oltre il 31 dicembre 1993. Il Governo interviene
con i decreti legislativi 18 luglio 1993, n. 247 e 18 novembre 1993, n. 546.
27
V. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, parere n. 146 del 31 agosto 1992, in Foro It., 1993,
III, 4 ove, sul presupposto di una «sostanziale diversità» tra lavoro pubblico e privato, il supremo
giudice amministrativo mette in guardia il legislatore da «una privatizzazione astratta, generale e
globale di tutto il pubblico impiego (sia pure con l’esclusione di talune categorie)».
25
17
di lavoro subordinato nell’impresa” (art. 2, comma 2).
L’ incontro tra il diritto del lavoro e l’impiego pubblico è ben diverso da quello
del passato. Il diritto del lavoro privato, infatti, non può più solo svolgere una
funzione sussidiaria o semplicemente dare in prestito istituti - come era successo nella
vigenza della legge quadro - che, poi, nel momento del passaggio al pubblico,
venivano stravolti28, ma deve attrarre a sé il rapporto di pubblico impiego, poiché il
rapporto di lavoro disciplinato dal codice civile «è senza aggettivi, l’aggettivo
(pubblico/privato) attiene alla natura del soggetto-datore di lavoro, non al rapporto di
lavoro»29.
Pur essendo innegabile che con la riforma del 1993 si sia aperta la strada ad un
nuovo modello di pubblica amministrazione, è anche vero che questa fase normativa
risente ancora profondamente del passato della tradizione pubblicistica e soprattutto
del peso della riserva di legge ex art. 97 della Costituzione che era divenuto lo
spartiacque tra lavoro pubblico e lavoro privato30.
Anche la prima fase della privatizzazione, nonostante la netta inversione di
tendenza rispetto al passato, è un momento di sintesi tra innovazione e compromessi
poiché, nonostante il nuovo modello di gestione delle risorse umane, il diritto
amministrativo permea ancora una parte consistente del lavoro pubblico.
Ma non è tutto. Il complesso delle disposizioni risultanti dal decreto legislativo
n. 29 del 93 fa emergere un’architettura complessa fatta di tecniche di rinvio e di
regolazione inedite e di norme dal significato ambiguo che lo stesso legislatore
M. Rusciano, L. Zoppoli, L’impiego pubblico nel diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 1993,
XXV.
29
Ibid, XXVII.
30
Sull’argomento v. M. D’Antona, La disciplina del rapporto con le pubbliche amministrazioni
dalla legge al contratto, in S. Battini e S. Cassese (a cura di), Dall’impiego pubblico al rapporto di
lavoro con le pubbliche amministrazioni, Giuffrè, Milano, 1997, I, 7 ss.
28
18
dichiara suscettibili di correzioni.
Anche il linguaggio è spesso contorto e vischioso non solo per la oggettiva
difficoltà di disciplinare il passaggio dal vecchio al nuovo ma anche perché è ancora
troppo specificamente burocratico, segno evidente delle resistenze all’innovazione.
Rimasto per molti versi ancorato ad una logica pubblicistica soprattutto
nell’area della concreta gestione delle risorse umane, il disegno riformatore iniziato
nel 1993, è destinato ad essere completato in occasione di un generale ma incisivo
intervento normativo sul sistema amministrativo.
La cosiddetta seconda privatizzazione31 trae origine dalla più ampia riforma
della pubblica amministrazione avviata con le “leggi Bassanini” prima ancora che si
concludesse la fase transitoria della prima privatizzazione.
La legge 15 marzo 1997, n. 59 conferisce a Regioni, Province e Comuni,
secondo il principio di sussidiarietà e con esclusione delle materie riservate allo
Stato, alcune funzioni, da sempre, gestite a livello centralizzato. Tale operazione
innovativa implica, nell’ottica del legislatore, un necessario completamento della
privatizzazione, avallata proprio un anno prima dalla Corte Costituzionale32 che
individuava nell’uso degli strumenti gestionali privatistici il modo più idoneo per
assicurare nel pubblico margini di flessibilità normativa e di elasticità organizzativa.
L’art. 11, comma 4, della legge n. 59 del 1997 delega, così, il Governo a
completare la privatizzazione con decreti correttivi e integrativi del decreto legislativo
n. 29 del 1993, attenendosi ai principi e ai criteri direttivi della legge n. 421 del 1992,
La locuzione è stata coniata da M. D’Antona, Lavoro pubblico e diritto del lavoro, cit.; Id.,
Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro dopo la “seconda privatizzazione” del pubblico
impiego (osservazioni sui d.lgs. n. 396/1997, n. 80/1998 e n. 387/1998), in Foro It., 1999, I, 621 ss.
32
Corte cost., 25 luglio 1996, n. 313, in Foro It., 1997, I, 36.
31
19
così come modificati e integrati dalla legge delega del 1997, e ai principi generali e ai
fini di decentramento e deconcentrazione della stessa.
Con la fase del '92-'93 si realizzava un intervento interno all’apparato
amministrativo per esigenze di razionalizzazione e di risanamento dei conti pubblici.
La riforma del 1997 si colloca su un piano diverso che va oltre quell'apparato poichè,
sulla base di una
rivalutazione del principio di responsabilità, politica e
amministrativa, mira alla finalizzazione dell’amministrazione a obbiettivi e risultati
anziché al solo rispetto di norme e procedure.
Alla legge n. 59 è seguita una serie di decreti delegati: il D. Lgs 4 novembre
1997, n. 396 sulla contrattazione e sulla rappresentatività sindacale, il D.Lgs. 31
marzo 1998, n. 80 che riscrive per oltre due terzi il D.Lgs. n. 29 del 1993 e, da ultimo,
il D.Lgs. 29 ottobre del 1998, n. 387 di modifica ed integrazione.
A partire da questi ultimi provvedimenti si può parlare di totale unificazione tra
lavoro pubblico e lavoro privato. Non vi è più l’estensione delle leggi del settore
privato ma anche quella degli strumenti di gestione dei mezzi e del personale a
disposizione dei dirigenti, tanto da potersi parlare di completa parificazione dei poteri
datoriali. Ciò non di meno, per evitare la sovrapposizione tra l’area della gestione
dell’organizzazione e quella del rapporto di lavoro, si procede ad una sostanziale
privatizzazione della prima, relegando all’ambito pubblicistico la sola alta o macro
amministrazione33 ( art. 2, 1 comma, D.Lgs. n. 80 del 1998).
Se nella disciplina del 1993 la linea di demarcazione tra pubblico e privato
divideva l’organizzazione e il rapporto di lavoro, nella nuova normativa la stessa
E’ anche la stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 309 del 1997 a dare il via libera alla
privatizzazione della cd. bassa organizzazione.
33
20
organizzazione viene tagliata in due: la macro-organizzazione, regolata dal diritto
pubblico, e la micro-organizzazione, regolata dal diritto privato34.
Sintomatico è l’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 29/1993 così come sostituito dal
D.Lgs. n. 80/1998. Il legislatore nel precisare che «nell'ambito delle leggi e degli atti
organizzativi di cui all'articolo 2, comma 1, le determinazioni per l'organizzazione
degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli
organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro»,
sembra voler allontanare «l’idea che il potere di gestione del datore di lavoro
pubblico, anche se privatizzato, andrebbe comunque considerato funzionalizzato al
perseguimento dei criteri del buon andamento e dell’imparzialità di cui all’art. 97
Cost.»35
Strettamente correlata ai suddetti principi è l’introduzione di una coerente
riforma della dirigenza che, in base al principio della separazione tra indirizzo politico
e gestione amministrativa, permette di superare la concezione del dirigente generale
come titolare di uno status pubblicistico36. Si abbandona il vecchio modello
burocratico della dirigenza per un nuovo modello più imprenditoriale e manageriale
in linea con le tendenze che si erano affermate nelle varie democrazie occidentali.
Altro punto di snodo della nuova riforma riguarda la contrattazione collettiva
che, con i provvedimenti legislativi intervenuti tra il 1997 e il 1998, non è più vista
come una pericolosa fonte di spesa da tenere sotto controllo ma come strumento più
Sull’argomento v. C. D’Orta, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto
pubblico e diritto privato, in F. Carinci, M. D’Antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche, 2000, cit., 90 ss.
35
Così A. Bellavista, Fonti del rapporto. La privatizzazione del rapporto di lavoro, in F. Carinci, L.
Zoppoli (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Commentario, Utet, 2004, 75.
36
Per un approfondimento v. C. D’Orta, Politica e amministrazione, in F. Carinci, L. Zoppoli (a
cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2004, cit., 953 ss.
34
21
flessibile per la gestione del personale, necessario, a sua volta, per una migliore
realizzazione della cura degli interessi pubblici, cui l’amministrazione è preposta37.
Con il riconoscimento della soggettività delle pubbliche amministrazioni ai fini
della contrattazione collettiva viene meno il ruolo centrale del Governo e, fermo
restando il ruolo dell’ARAN, come rappresentante legale delle amministrazioni, tutto
il procedimento negoziale si svolge di concerto tra l’Agenzia e le istanze associative o
rappresentative delle amministrazioni del comparto che danno vita, a tal fine, ai
comitati di settore (art. 46, D.Lgs. n. 29/1993).
Questi tratti essenziali del nuovo lavoro pubblico costituiscono un sistema
dotato di forte omogeneità al suo interno, tanto da far parlare della seconda
privatizzazione come «un terreno avanzato di sperimentazione di alcune riforme della
legislazione del lavoro che, nel settore privato, sono discusse da tempo ma stentano a
decollare o sono surrogate dalla contrattazione collettiva ed hanno quindi una
applicazione disomogenea. Il lavoro pubblico…, anzichè limitarsi ad importare i
modelli del diritto del lavoro privatistico, funziona da fattore propulsivo della
evoluzione di questo»38
Con il D.Lgs. 30 marzo del 2001, n. 165 si è provveduto, infine, in attuazione
dell’art. 1, 8 comma, della legge delega del 24 novembre 2000, n. 340, a raccogliere
tutta la normativa che si era succeduta negli anni precedenti. L’intento iniziale era
quello di un testo unico che riuscisse a razionalizzare, coordinare e apportare anche
alcune innovazioni sostanziali al D.Lgs. n. 29 del 1993.
Le vicende socio-politiche di quell’anno, con un governo di centro-sinistra
Per un approfondimento v. M. Barbieri, La contrattazione collettiva, in F. Carinci, M. D’Antona
(diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, 2000, cit., 1105 ss.
38
M. D’Antona, Lavoro pubblico e diritto del lavoro, cit., LVI.
37
22
giunto a fine legislatura, con il sindacalismo confederale contrario ad un eccesso di
legificazione, lasciano cadere nel vuoto il testo confezionato da Massimo D’Antona,
cosicché il D.Lgs. 165 del 2001 risulta un testo, a parte qualche lieve modifica,
meramente compilativo, cioè il vecchio D.Lgs. n. 29/1993, abrogato espressamente
dall’art. 72, lettera t) del decreto n.165, «rinumerato ex novo e riproposto più o meno
tale e quale»39.
Segno emblematico di questa sostanziale immutabilità è l’art. 1, comma 1, che,
indicando l’ambito di applicazione e le finalità della nuova disciplina,
ci viene
restituito così come formulato nel corso dei dieci anni di riforma. Ciò non di meno, il
cosiddetto T.U. sul pubblico impiego mostra ben presto di non essere il punto finale di
un lunga e travagliata riforma.
Nel corso degli anni successivi alcuni interventi normativi vengono emanati nel
segno di un ritorno al passato e di una rottura dell’unificazione giuridico-normativa
tra pubblico e privato: la legge 15 luglio 2002, n. 14540 che pare aver ricondotto
nell’ambito pubblico, qualificandoli come “provvedimenti”, gli incarichi dirigenziali e
il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 27641, comunemente nota come legge Biagi, che
esclude, parzialmente e con una tecnica poco lineare, dal suo ambito di applicazione
il pubblico impiego.
Ma, come è stato evidenziato, forse, «la riforma aveva prodotto i suoi anticorpi,
tant’è che la ripubblicizzazione si è dimostrata alla prova della giurisprudenza più
F. Carinci, Una riforma “conclusa” fra norma scritta e prassi applicativa in F. Carinci, L.
Zoppoli (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2004, cit., 2.
40
Intitolata “Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di
esperienze e l’interazione tra pubblico e privato”.
41
Emanato sulla base della legge delega 14 febbraio 2003, n. 30 intitolata “Delega al Governo in
materia di occupazione e mercato del lavoro”.
39
23
un’illusione coltivata a tavolino che una novatio effettiva»42.
E analoga tendenza alla ripubblicizzazione43 non è stata avvertita neppure
nell'ultimo intervento di riforma organica della pubblica amministrazione, la
cosiddetta Riforma Brunetta, inaugurata con la legge n. 15/2009 e culminata nel
D.Lgs. n. 150/2009.
La stessa circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento
della Funzione Pubblica, n. 7/2010, dedicata al decreto, si preoccupa di specificare
che la nuova normativa, pur modificando «incisivamente le regole della
contrattazione collettiva», contiene «disposizioni legislative che ... non apportano
modifiche in ordine alla qualificazione del rapporto di lavoro, che rimane disciplinato
prevalentemente dalle norme civilistiche (salve le deroghe stabilite dallo stesso
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165)»44.
L'intento e le finalità, così come gli ambiti di intervento delle nuove
disposizioni, sono chiaramente desumibili dall'art. 1 dello stesso D.Lgs. n. 150/2009
secondo cui «In attuazione degli articoli da 2 a 7 della legge 4 marzo 2009, n. 15, le
disposizioni del presente decreto recano una riforma organica della disciplina del
rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 2,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165…» volta a garantire «una
migliore organizzazione del lavoro, il rispetto degli ambiti riservati rispettivamente
alla legge e alla contrattazione collettiva, elevati standard qualitativi ed economici
F. Carinci, Una riforma “conclusa”. Fra norma scritta e prassi applicativa, cit., 2.
F. Carinci, Il secondo tempo della riforma Brunetta: il d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in WP
C.S.D.L.E "Massimo D'Antona" 119/2001, 4; nello stesso senso U. Carabelli, Breve quadro sistematico
delle novità legislative introdotte dalla riforma Brunetta, in Ris. um. pubbl. amm., 2010, 2, 27; G.
D’Auria, Il nuovo sistema delle fonti: legge e contratto collettivo, Stato e autonomie territoriali, in
Giorn. Dir. amm., 2010, 1, 6.
44
Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, 13
maggio 2010 in www.innovazionepa.gov.it
42
43
24
delle funzioni e dei servizi, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa,
la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, il riconoscimento di
meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle capacità e dei risultati ai fini
degli incarichi dirigenziali, il rafforzamento dei poteri e della responsabilità della
dirigenza, l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico ed il contrasto alla scarsa
produttività
e
all’assenteismo,
nonché
la
trasparenza
dell’operato
delle
amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità».
Trattasi, come prima facie evidente, di un intervento normativo che, anche
attraverso vistose modificazioni introdotte nel corpus del D. Lgs n. 165/200145, incide
in maniera penetrante su diversi aspetti della regolamentazione giuridica del lavoro
pubblico; ma quel che interessa qui segnalare è il mutato atteggiamento del legislatore
nei confronti della contrattazione collettiva. La rivisitazione dei confini delle
competenze attribuite ora alla legge ora al contratto, e la conseguente compressione
del potere regolativo del secondo - autorizzato ad intervenire in modifica di eventuali
disposizioni di legge, regolamento o statuto, solo se e nei limiti in cui dette
disposizioni lo consentano - costituiscono, nell'ottica del legislatore, lo strumento
giuridico indispensabile per raggiungere gli obiettivi così come delineati dallo stesso
decreto n. 150/2009. L'opera di decontrattualizzazione46 da ultimo intrapresa, è bene
sottolinearlo, non implica in nessun caso una modifica del regime giuridico dei
rapporti di lavoro dei dipendenti della pubblica amministrazione che rimangono
45
Che verranno eventualmente ed opportunamente segnalate nel corso della trattazione.
Così U. Carabelli, Breve quadro sistematico delle novità legislative introdotte dalla riforma
Brunetta, cit., 10; A. Bellavista, A. Garilli, Riregolazione legale e decontrattualizzazione: la
neoibridazione normativa del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Lav. pubbl. Amm., 2010, 01.
Per F. Carinci, Il secondo tempo della riforma Brunetta, cit., 3-4 e nota 4, nella riforma Brunetta «è ben
avvertibile la progressiva perdita di rilevanza della ‘contrattualizzazione’ a favore della
‘privatizzazione’».
46
25
«regolati contrattualmente» (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001) e «disciplinati
dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui
rapporti di lavoro subordinato nell'impresa» (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001).
Ne deriva, ai fini di questa trattazione, che rimane ferma, ai sensi dell'art. 63 del
D.Lgs. n. 165/2001, lasciato intatto dalla novella, la giurisdizione del giudice
ordinario per le controversie in materia di lavoro pubblico, la cui attività
giurisdizionale rischia, come è stato osservato, «assai probabilmente, di infittirsi, per
effetto della formale legificazione di molte regole»47.
1.2
La tutela giurisdizionale prima della riforma
Prima della cosiddetta privatizzazione, inaugurata con gli interventi legislativi
succedutisi a partire dal 1992, e coerentemente con la tradizionale ricostruzione in
chiave pubblicistica, l'intera materia del pubblico impiego era affidata alla
giurisdizione esclusiva amministrativa.
Come già accennato, la devoluzione delle controversie di lavoro pubblico al
giudice amministrativo è attuata con il R. D. 26 giugno 1924, n. 1054, noto come T.U.
sul Consiglio di Stato che aveva codificato l’indirizzo giurisprudenziale, allora
prevalente, sulla necessità di separare il mondo del lavoro pubblico da quello del
lavoro privato per assoggettare il primo alla tutela del giudice amministrativo, ritenuto
più vicino alle esigenze della pubblica amministrazione48.
47
U. Carabelli, Breve quadro sistematico delle novità legislative introdotte dalla riforma Brunetta,
cit., 10.
48
S. Nespor, Pubblico impiego e giustizia amministrativa: a qualcuno piace il Gulag?, in Dir. Lav.,
1993, 68.
26
Il sistema delineato si manifesta, ben presto, però, eccessivamente rigido
soprattutto per gli enti pubblici economici che vedono compressa la loro libertà
d’impresa da limiti e vincoli incompatibili con il mercato. La prima eccezione alla
regola della giurisdizione amministrativa risale, così, al Codice di Procedura Civile
del 1940, il cui art. 429, n. 3 positivizza la devoluzione al giudice ordinario delle
controversie relative «ai rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti di enti
pubblici» inquadrati nelle associazioni sindacali di categoria.
Con la soppressione dell’ordinamento corporativo fascista, nel 1944 (D.Lgs. 23
novembre 1944, n. 369), si pone subito il problema della sopravvivenza dell’art. 429
n. 3 Cod. Proc. Civ. e, quindi, della stessa regola della giurisdizione ordinaria.
Le soluzioni prospettate vedono nettamente contrapposte la magistratura
ordinaria e la magistratura amministrativa49. Il giudice ordinario e, per parte sua, la
suprema Corte di Cassazione, riteneva di non doversi spogliarsi di quelle attribuzioni,
considerando non solo ancora esistente l’art. 429 Cod. Proc. Civ., effettivamente mai
abrogato, ma giudicando, altresì, la disciplina in esso contenuta applicabile a tutti gli
enti che, pur non avendo mai ricevuto formale inquadramento sindacale, svolgessero
attività economica50.
Il Consiglio di Stato, d’altro canto, ritenendo l’inquadramento corporativo,
ormai soppresso, presupposto essenziale per l’applicabilità del regime di cui all’art.
429
Cod. Proc. Civ., ribadiva con una decisione resa in adunanza plenaria (21
novembre 1949, n. 3), la riespansione della giurisdizione amministrativa.
Il legislatore, intanto, con alcuni interventi settoriali, imbocca la strada percorsa
49
Sul conflitto tra le due magistrature, v. S. Cassarino, Il processo amministrativo nella legislazione
e nella giurisprudenza, Milano, 1984, I, 307.
50
Cass. 12 gennaio 1942, n. 61 e Cass. 1 febbraio 1961, n. 205.
27
dalla Cassazione e stabilisce, con fonte primaria, la giurisdizione ordinaria. Così la
legge 6 dicembre 1962, n. 1643, istitutiva dell’Enel, dopo aver stabilito che il rapporto
di lavoro dei dipendenti dell’Ente è retto dalle norme di diritto privato, disponeva che
«in sede giurisdizionale la competenza a conoscere le relative controversie è attribuita
all’autorità giudiziaria ordinaria» (art. 13).
Qualche anno dopo, l’art. 37 dello Statuto dei Lavoratori interviene a sancire
che tutte le disposizioni della stessa legge, comprese quelle di natura processuale, «si
applicano anche ai rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti da enti pubblici che
svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica».
Il conflitto tra le supreme magistrature viene definitivamente composto con
l’emanazione della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva del Tribunale
Amministrativo Regionale, il cui art. 39 ribadisce che «nulla è innovato per quanto
concerne l’attuale competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria in materia di
dipendenti da enti pubblici economici» e con la successiva novella dell’11 agosto
1973, n. 533 che con l’art. 409, nn. 4 e 5, estende la giurisdizione del pretore civile, in
funzione di giudice del lavoro, alle controversie relative ai rapporti di lavoro di
dipendenti da enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività
economiche nonché ai «rapporti di lavoro di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro
pubblico, sempre che non siano devoluti dalla legge ad altro giudice».
Gli interventi del legislatore, sebbene diretti a riportare, in maniera parziale e
settoriale, il lavoro pubblico nell’ambito della giurisdizione ordinaria, non riescono a
scalfire la «ferrea tenuta della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in
28
materia del pubblico impiego»51 e la stessa legge istitutiva dei TAR non fa altro che
consacrare la giurisdizione esclusiva amministrativa nelle controversie di lavoro dei
dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici.
La successiva legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93, che pur
aveva recepito alcuni istituti della disciplina privatistica, ribadisce all’art. 28 la
giurisdizione amministrativa, confermando l’idea dell’impossibilità di creare una
giurisdizione unica tra pubblico e privato52.
Deve essere anche menzionata la legge 12 giugno 1990, n. 146 sull'esercizio
diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali che afferma la giurisdizione del
giudice amministrativo in materia di
repressione della condotta antisindacale
plurioffensiva nel pubblico impiego53.
Il pubblico impiego rimaneva, così, sempre uno degli ambiti privilegiati e più
importanti, anche per numero di cause, del giudice amministrativo che conosceva
tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro con lo Stato e con gli enti pubblici
non economici, con l’eccezione dei diritti patrimoniali consequenziali, attribuiti alla
cognizione del giudice ordinario (art. 29 R. D. 26 giugno 1924, n. 1054 e art. 7 legge
6 dicembre 1971, n. 1034).
R. Vaccarella, B. Sassani, Profili processuali della legge sull’esercizio del diritto di sciopero nei
servizi pubblici essenziali, in Riv. Dir. Proc., 1991, 467 ss.
52
A. Proto Pisani, Problemi processuali della legge-quadro sul pubblico impiego, in Foro It., 1984,
I, 475.
53
Per una trattazione analitica della questione si veda oltre.
51
29
1.3
Dalla giurisdizione del giudice amministrativo a quella del
giudice ordinario
Con la legge delega 23 ottobre 1991, n. 42, parallelamente e coerentemente al
processo di privatizzazione del pubblico impiego, ha inizio il trasferimento delle
controversie di lavoro pubblico al giudice ordinario.
Nel prevedere la formale e sostanziale omologazione fra pubblico e privato, la
legge delega il Governo a «prevedere l’affidamento delle controversie di lavoro
riguardanti i dipendenti pubblici … alla giurisdizione del giudice ordinario, secondo
le disposizioni che regolano il processo del lavoro» salva l’attribuzione al giudice
amministrativo di tutte le materie inerenti «la responsabilità giuridiche attinenti ai
singoli operatori nell’espletamento delle procedure amministrative; gli organi, gli
uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; i principi fondamentali di
organizzazione degli uffici; i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di
avviamento al lavoro; i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza
complessiva...; la garanzia della libertà di insegnamento e l’autonomia professionale
nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca; la disciplina della
responsabilità e delle incompatibilità tra l’impiego pubblico ed altre attività e i casi di
divieto di cumulo degli impieghi e incarichi pubblici», mantenendo, in ogni caso, la
normativa vigente relativa «ai magistrati ordinari e amministrativi, agli avvocati e
procuratori dello Stato, al personale militare e delle forze di polizia, ai dirigenti
generali ed equiparati, al personale della carriera diplomatica e prefettizia».
La legge attua una vera e propria inversione della tendenza, riscontrabile nella
giurisprudenza fino ad allora consolidatasi, di affidare la tutela del dipendente alla
30
giurisdizione amministrativa. Nonostante la contrattualizzazione del rapporto, infatti,
si riteneva che la posizione soggettiva del dipendente pubblico non potesse avere
consistenza maggiore o più qualificata dell'interesse legittimo collegato all'interesse
pubblico che l'amministrazione ha l'obbligo di perseguire54. Per una sostanziale
equiparazione della tutela tra dipendente pubblico e privato, bastava, dunque,
trasferire nel processo amministrativo la procedura dettata dalla legge n. 533/1973
senza alcuna necessità di «escludere la giurisdizione di un organo in grado di
percepire l’anima pubblica, che continua a pulsare sotto la patina della
privatizzazione»55.
Nella stessa ottica si pone anche il supremo giudice amministrativo che, nel
famoso parere sulla legge delega56, fornisce una serie di motivazioni nella direzione
dell'inopportunità della sottrazione al giudice amministrativo della materia del
pubblico impiego. Si teme, in primis, lo sconvolgimento dell’ordinario sistema di
riparto delle giurisdizioni basato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi
legittimi. Tale criterio di riparto, inaugurato con la legge 20 marzo 1865, n. 2248, all.
E, ed elevato a rango costituzionale dall’art. 103 Cost., prevede la possibilità che il
giudice amministrativo, in determinate materie, conosca anche dei diritti soggettivi. Si
desume, secondo l’autorevole parere, che non sia consentita l’operazione inversa cioè
l’attribuzione al giudice ordinario di una cognizione sugli interessi legittimi57.
Secondo il Consiglio di Stato, dunque, «la sottrazione delle controversie di
pubblico impiego al giudice amministrativo incontra diversi ostacoli sia sul piano
54
A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit., 55.
V. criticamente D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, in F. Carinci, L. Zoppoli (a
cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2004, cit., 1215.
56
Cons. Stato, parere 31 agosto 1992, n. 146, cit.
57
Si v. A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit.,
54.
55
31
della costituzionalità con riferimento all’eventualità della scomparsa di ogni tutela
giurisdizionale per gli interessi legittimi, sia con riferimento agli enormi inconvenienti
di ordine pratico che deriverebbero dalla scissione della competenza giurisdizionale, a
seconda che si discuta di interessi legittimi o di diritti soggettivi».
Ciò nonostante, la legge delega ha un seguito e la devoluzione al giudice
ordinario viene attuata con l’art. 68 del D.Lgs. 29 marzo 1993, n. 29, “norma
cardine”58 del nuovo sistema.
L’art. 68 attribuisce «al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro tutte
le controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche», con esclusione delle materie di cui ai numeri da 1 a 7 dell’art. 2, comma
1, lett c) della legge delega del 1992. Le ulteriori eccezioni di natura soggettiva erano
quelle disposte dall’art. 2, comma 4 della stessa legge.
L’art. 68 così formulato poteva, però, dar adito ad una interpretazione estensiva
delle materie riservate alla giurisdizione amministrativa e per ovviare a tale
conseguenza il legislatore precisa alcune materie che “in ogni caso” rientrano nella
giurisdizione ordinaria, anche se eventualmente connesse con altre controversie
rientranti nelle giurisdizione amministrativa59.
Il nuovo art. 68, modificato dal D.Lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, fornisce
proprio un elenco, non tassativo, di controversie riservate al giudice ordinario
(periodo di prova, diritti patrimoniali di natura retributiva, diritti patrimoniali di
natura retributiva; diritti patrimoniali di natura indennitaria e risarcitoria; progressioni
e avanzamenti e mutamenti di qualifica o di livello; applicazione dei criteri previsti
58
G. Verde, Il nuovo (e futuro) processo nelle controversie del pubblico impiego, in Dir. Proc. Amm.,
1993, 267.
59
B. Sassani, La tutela giurisdizionale, in Quad. Dir. Lav. Rel. Ind., 1995, 287.
32
dai contratti collettivi e dagli atti di organizzazione dell'amministrazione in materia di
ferie, riposi, orario ordinario e straordinario, turni di lavoro e relativa distribuzione,
permessi e aspettative sindacali; tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro; sospensione ed altre vicende modificative del rapporto di lavoro; trasferimenti
individuali e procedure di mobilità; sanzioni disciplinari; risoluzione del rapporto di
lavoro; previdenza ed assistenza, con esclusione della materia pensionistica riservata
alla Corte dei conti; diritti sindacali, comportamenti diretti ad impedire o limitare
l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale, nonché del diritto di sciopero e
violazioni di clausole concernenti i diritti e l'attività del sindacato contenute nei
contratti collettivi; pari opportunità e discriminazione nei rapporti di lavoro).
Il principio su cui si basano tanto la legge delega quanto il decreto delegato è
quello per cui i rapporti regolati dalla contrattazione collettiva o individuale hanno
come giudice naturale il giudice ordinario. Conseguentemente, la giurisdizione
amministrativa viene mantenuta solo laddove non è stato esteso il regime privatistico.
La formula legislativa di cui all’art. 68, come modificata nel 1993, solleva, ben
presto, aspre critiche da parte della dottrina. Per un verso si evidenziavano i non pochi
problemi di ordine pratico che la devoluzione al giudice ordinario poteva generare,
così da provocare una vera e propria paralisi dei processi e da non poter più garantire
la giustizia in tempi ragionevoli 60. Ma ciò che più animava le valutazioni critiche da
parte dei primi commentatori era la formulazione poco felice dello stesso articolo che
sollevava molti dubbi di ordine sistematico e interpretativo. Le maggiori critiche si
incentravano sulla scelta del legislatore di introdurre un criterio di riparto di
60
M. Clarich, D. Iaria, La riforma del pubblico impiego,1994, Maggioli, Rimini, 396-397.
33
giurisdizione «piuttosto che per situazioni soggettive lese, per materie»61 con
conseguenti, e non poche, possibili interferenze tra controversie inerenti ad aspetti
organizzativi, proprie del giudice amministrativo, e controversie relative al rapporto di
lavoro di spettanza del giudice ordinario.
Durante la prima fase della riforma, come accennato, il giudice amministrativo
era competente sulle controversie di lavoro inerenti le sette materie (cinque di natura
organizzativa e due concernenti il rapporto di lavoro) elencate all’art. 2, comma 1,
lettera c) della legge delega n. 421/1992, riservate alla fonte pubblicistica unilaterale.
Dato che le “sette materie” sottratte alla giurisdizione ordinaria e regolate per
legge o atti unilaterali erano prevalentemente di tipo organizzativo se ne faceva
derivare che l’intera materia dell’organizzazione rimanesse sotto il regime
pubblicistico - e dunque sotto la giurisdizione amministrativa- e che la privatizzazione
interessasse solo il rapporto di lavoro62.
Era evidente «una virtuale sovrapposizione di regimi e di giudici nella zona
cruciale dell’organizzazione del lavoro, dove organizzazione degli uffici e gestione
dei rapporti di lavoro inevitabilmente si intersecano»63.
La risoluzione del Consiglio Superiore della Magistratura del 20 dicembre
199564, intanto, per ovviare ai ritardi nell’attuazione del trasferimento di
giurisdizione, proponeva un differimento, di almeno cinque anni, dell’entrata in
vigore della riforma non dimenticando di sottolineare il carattere ancora incerto e
poco convincente della scelta della devoluzione al giudice ordinario.
61
S. Cassese, Il sofismo della privatizzazione del pubblico impiego, in Riv. it. Dir. Lav., 1993, 5, 30
ss.
62
Così A. Orsi Battaglini, Fonti normative e regime giuridico del rapporto di impiego con enti
pubblici, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1993, 475.
63
M. D’Antona, Lavoro pubblico e diritto del lavoro, cit., 44.
64
V. in Foro It., 1996, III, 56.
34
Ma a tutte le censure e le obiezioni mosse, il legislatore risponde con la nuova
legge del 15 marzo 1997, n. 59, con cui il Governo viene delegato ad emanare decreti
legislativi per «completare l’integrazione della disciplina del lavoro pubblico con
quella del lavoro privato...e devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario,
tenuto conto di quanto previsto dalla lettera a), tutte le controversie relative ai rapporti
di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ancorchè concernenti in via
incidentale atti amministrativi presupposti, ai fini della disapplicazione, prevedendo:
misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire
disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso; procedure stragiudiziali di
conciliazione e arbitrato; infine, la contestuale estensione della giurisdizione del
giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali
consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia
edilizia, urbanistica e di servizi pubblici, prevedendo altresì un regime processuale
transitorio per i procedimenti pendenti».
In attuazione della legge delega, il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 riscrive
interamente l’art. 68, estromettendo l’elenco esemplificativo delle materie devolute al
giudice ordinario, inserito con il D.Lgs. n. 546 del 1993 ed eliminando ogni
riferimento all'eccezione delle cosiddette “sette materie” di cui all'art. 2, comma 1 lett.
c) della legge n. 421/1992.
Con la riconduzione al giudice del lavoro di tutte le controversie inerenti al
rapporto di lavoro, viene a cadere ogni parallelismo tra l'area delle vecchie “sette
materie” e la devoluzione alla giurisdizione amministrativa, perdendo, allo stesso
tempo, ogni fondamento “la deduzione in ordine al tipo di regime giuridico che
35
avrebbe dovuto necessariamente applicarsi alle suddette materie”65.
Un’ulteriore modifica, infine, è stata apportata dal d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387
che ha espressamente, se mai ve ne fosse bisogno, affidato al giudice ordinario le
controversie concernenti «l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli
incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale»; l’aggiunta sembra, ad ogni
modo, strettamente collegata alle nuove previsioni degli artt. 19, 21 e 24, dove si
precisa che l’incarico dirigenziale ha anch’esso natura contrattuale.
Tutte le norme riguardanti la giurisdizione sono state trasfuse, immodificate, nel
Titolo VI del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, intitolato “Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, di cui
si riporta integralmente l’art. 63, quale norma di apertura del titolo:
«Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le
controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai
rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione
al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilita'
dirigenziale, nonche' quelle concernenti le indennita' di fine rapporto, comunque
denominate e corrisposte, ancorche' vengano in questione atti amministrativi
presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li
disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto
amministrativo rilevante nella controversia non e' causa di sospensione del processo.
Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i
65
A. Corpaci, A. Orsi Battaglini, Sub art. 2, in A. Corpaci, M. Rusciano, L. Zoppoli (a cura di), La
riforma dell'organizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in
Nuove Leggi Civ, Comm., 1999, 1067.
36
provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei
diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all'assunzione, ovvero
accerta che l'assunzione e' avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali,
hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro.
Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le
controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni
ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive
modificazioni ed integrazioni, e le controversie, promosse da organizzazioni
sindacali, dall'ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di
contrattazione collettiva di cui all'articolo 40 e seguenti del presente decreto.
Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie
in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, nonche', in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai
rapporti di lavoro di cui all'articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti
patrimoniali connessi.
Nelle controversie di cui ai commi 1 e 3 e nel caso di cui all'articolo 64, comma
3, il ricorso per cassazione puo' essere proposto anche per violazione o falsa
applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all'articolo 40».
37
38
CAPITOLO II
IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE TRA GIUDICE
ORDINARIO E GIUDICE AMMINISTRATIVO
SOMMARIO: 2.1 Nuovo criterio di riparto per materie e irrilevanza
dell’atto amministrativo. - 2.2 La residua giurisdizione amministrativa: le
eccezioni al principio della giurisdizione ordinaria. - 2.2.1 Le categorie di
dipendenti esclusi dalla “privatizzazione” e dalla giurisdizione ordinaria.2.2.2 Le procedure concorsuali per l'assunzione. - 2.3 La disapplicazione
dell’atto amministrativo presupposto e la pregiudizialità amministrativa. 2.4 Provvedimenti del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.
2.1
Nuovo criterio di riparto per materie e irrilevanza dell’atto
amministrativo.
Le continue innovazioni e modifiche che hanno interessato l’originario art. 68
D.Lgs. n. 29/93 fino all’attuale formulazione di cui all’art 63 D.Lgs. n. 165/2001
hanno messo in luce la centralità riservata dal legislatore alla giurisdizione come
strumento di attuazione della stessa riforma di privatizzazione del pubblico impiego66.
L’esigenza di parificazione tra l’universo del lavoro pubblico e del lavoro
privato era avvertita tanto necessaria ed inevitabile da innescare il passaggio di
giurisdizione in tempi brevissimi: la normativa identica, o simile, avrebbe corso il
rischio di ricevere un’interpretazione differente in ragione della diversa cultura
66
D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, Cedam, Padova, 2002, XVII.
Nello stesso senso si veda M.G. Garofalo, Il trasferimento di giurisdizione nel lavoro pubblico, in Lav.
pubb. amm., 1999, 3-4, 500.
39
rispettivamente del giudice ordinario e di quello amministrativo67.
Il nuovo testo dell’art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001 enuncia che sono devolute al
giudice ordinario “tutte” le controversie concernenti i rapporti di lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni «ancorché vengano in questione atti
amministrativi presupposti».
Il termine “tutte”68 serve, in primis, a fugare ogni dubbio sulla persistenza delle
precedenti disposizioni controverse, soprattutto nella vigenza della prima fase della
riforma, che ora includevano ora escludevano la giurisdizione ordinaria, e che
avevano, fino a quel momento, reso incerto il confine tra le due aree.
Nel timore di una possibile, poi rivelatasi concreta, tendenza all’espansione
dell’area della giurisdizione amministrativa, il legislatore ha ritenuto opportuno che al
principio generale facesse da corollario la specificazione di alcune materie ovvero
«l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali,
nonché le indennità di fine rapporto comunque denominate o corrisposte».
Si tratta di una elencazione esemplificativa contenente materie che, seppur
eterogenee, afferiscono certamente al rapporto di lavoro tanto che, espunta dal testo,
la disposizione avrebbe comunque trovato applicazione. Ciò non di meno, essa ha
rappresentato una chiara risposta in relazione a quelle materie che più dubbi avevano
o hanno ingenerato negli interpreti come ad esempio l’assunzione mediante concorso
o il conferimento degli incarichi dirigenziali.
Ciò che conta perché possa radicarsi la giurisdizione ordinaria, è l’inerenza,
concepita in senso lato quale occasione od occasionalità, della controversia al
67
68
F. Carinci, La cd. privatizzazione del pubblico impiego, in Riv. It. Dir. Lav., 1993, fasc.1, 42.
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1215.
40
rapporto di lavoro e «il riferimento a tale dato deve essere inteso in modo da
rafforzare il collegamento tra il rapporto stesso e la controversia che da esso trae
occasione e da svuotare di contenuto la riconducibilità all’interesse legittimo delle
situazioni sostanziali, sottoposte al giudice, al diritto soggettivo o a posizioni in
qualche modo assimilabili».69
Il principio su cui si fonda il nuovo criterio di riparto è quello in base al quale,
una volta attribuite tutte le controversie del lavoro “privatizzato” al giudice ordinario,
l’eventuale presenza di un atto amministrativo presupposto, sebbene rilevante ai fini
della decisione, non è elemento idoneo ad escludere la competenza del giudice
ordinario70.
Se le questioni che originano la controversia sono relative al rapporto di lavoro,
o con esso hanno qualche collegamento, si rende inutile ogni indagine volta ad
individuare la natura dell’atto emanato dalla pubblica amministrazione e, allo stesso
tempo, non ha senso interrogarsi sulla natura della posizione soggettiva del lavoratore.
La scelta a favore della giurisdizione ordinaria implica, dunque, l’abbandono
del tradizionale criterio di riparto di giurisdizione fondato sulla distinzione tra diritti
soggettivi e interessi legittimi71 e l’adozione di un criterio ratione materia72.
69
Ibid., 1218.
D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 10; B. Sassani, Il passaggio
alla giurisdizione ordinaria del contenzioso sul pubblico impiego: poteri del giudice, esecuzione della
sentenza, comportamento antisindacale, contratti collettivi in Cassazione, in G.C. Perone, B. Sassani (a
cura di), Il processo del lavoro e rapporto alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Cedam,
Padova, 1999, I, 3 ss.; G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di lavoro, in F. Carinci, M.
D’Antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, cit., 1805. In
giurisprudenza v. Cass., sez. un., 1 dicembre 2000, n. 1241, in Foro it., 2001, I, 2580; Cass. 22
novembre 1999, n. 813, in Giust. Civ. Mass., 1999, 2315.
71
Che, peraltro, non condizionava l’individuazione della giurisdizione nella vigenza della
giurisdizione esclusiva amministrativa v. B. Sassani, Giurisdizione ordinaria, poteri del giudice ed
esecuzione della sentenza nelle controversie di lavoro con la pubblica amministrazione, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 1999, 2, 413.
72
R. Villata, Prime considerazioni in tema di "privatizzazione" del pubblico impiego, in Riv. dir.
70
41
Nello stesso senso, seppur con affermazioni del tutto generiche, sembra, tra
l’altro, essersi mossa la stessa Corte Costituzionale secondo cui la scelta discrezionale
del legislatore «si inquadra nella tendenza a rafforzare la effettività della tutela
giurisdizionale, in modo da renderla immediatamente più efficace, anche attraverso
una migliore distribuzione delle competenze e delle attribuzioni giurisdizionali, a
seconda delle materie prese in considerazione»73.
Ancora più significative, in tal senso, appaiono le motivazioni con cui il
Consiglio di Stato ha ritenuto rientrante nella giurisdizione ordinaria – seppur,
qualificando quest'ultima quale giurisdizione esclusiva - una controversia relativa al
conferimento di un incarico dirigenziale di II livello in ambito sanitario. Per il giudice
amministrativo, infatti, «l'art. 68 del D.Lgs. n. 29 del 1993, nella sua attuale
formulazione, accentrando presso il giudice ordinario, in funzione di giudice del
lavoro, "tutte" le controversie relative al rapporto di pubblico impiego, ha operato,
come evidenziato dall'avverbio da esso adoperato, una devoluzione "per materia" di
tali controversie, istituendo, in definitiva, una giurisdizione esclusiva del giudice
ordinario per il pubblico impiego - la stessa che, prima di tale norma, spettava al
giudice amministrativo - sottratta al criterio tradizionale di riparto fra le due
giurisdizioni,
fondato
sulla
situazione
giuridica
soggettiva
fatta
valere
proc. amm., 1993, 418; M. Dell’Olio, La tutela dei diritti del dipendente pubblico dinanzi al giudice
ordinario, in Arg. dir. lav., 1999, 62 ss.; E. A. Apicella, Della giurisdizione su incarichi giurisdizionali
nelle amministrazioni pubbliche, in Giust. Civ., 1999, I, 2843; A. N. Filardo, Alcune riflessioni su
aspetti problematici del passaggio di giurisdizione al giudice del lavoro in materia di lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in Giust. Civ., 1999, II, 329; D. Pizzonia, Incarichi
dirigenziali e tutela giurisdizionale, in Arg. dir. lav., 2001, 565; Contra A. Romano, Relazione alla
Giornata di studio tenutasi a Roma, 12 ottobre 2001, presso il Consiglio di Stato, su “Il riparto di
giurisdizione nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”; S. Cassese, Il sofismo della
privatizzazione del pubblico impiego, cit., 310.
73
Corte cost., 23 luglio 2001, n. 275, in Lav. pubbl. amm., 2001, 619.
42
dell'interessato»74.
Privatizzato il rapporto, accantonata l’eventualità di perpetuare la giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego, il legislatore,
consapevole delle difficoltà di individuare la linea di demarcazione tra le due
giurisdizioni sulla base della natura della situazione soggettiva tutelanda, ha optato
per un criterio che ha il duplice vantaggio, almeno nelle intenzioni, di semplificare
l’approccio degli operatori al contenzioso degli enti pubblici e di porre le basi per
rimeditare le complicate interconnessioni tra diritti soggettivi e interessi legittimi,
collocandole al di fuori del processo75.
Priva di ogni rilievo sembra essere la censura animata dalla preoccupazione che
nel rinnovato sistema non sia dato spazio alla tutela degli interessi legittimi, con
evidenti ripercussioni sul relativo sistema di tutela giurisdizionale che l’art. 103 Cost.
riserva al Consiglio di Stato e agli organi di giustizia amministrativa.
Tale interpretazione risale, come è noto, al parere del Consiglio di Stato del
199276 che, nel prospettare l'ipotesi della devoluzione delle controversie di lavoro
pubblico al giudice ordinario, lamentava innanzitutto una deminutio della tutela
riservata al dipendente, in tutti quei casi in cui la sua posizione soggettiva, innanzi
all’attività di perseguimento dell’interesse pubblico dell'amministrazione, non potesse
essere che di interesse legittimo.
Il punto di partenza di un simile ragionamento è costituito dall'art. 103 Cost.
secondo cui «Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno
74
Cons. Stato, 15 marzo 2001, n. 1519, in Giust. Civ., 2001, I, 2526.
Così A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit.,
52, i quali però, non giustificano lo stravolgimento del sistema.
76
Si veda Cons. Stato, Adunanza Plenaria, parere n. 146 del 31 agosto 1992, cit., 4.
75
43
giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi
legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi».
La lettura più rigorosa dell'articolo appena citato induce a ritenere che il
legislatore ordinario possa estendere la giurisdizione amministrativa ai diritti,
istituendo forme di giurisdizione esclusiva, ma che non gli sia consentita l’operazione
inversa77. Stante, dunque, il divieto per il giudice ordinario di estendere la propria
cognizione sugli interessi legittimi, dall'eventuale adozione di un criterio di riparto per
materie possono in astratto derivare due diverse conseguenze. La prima, come si legge
tra le righe del citato parere del Consiglio di Stato, è rappresentata dalla possibilità
che il dipendente pubblico, nell'adire il tribunale ordinario per far valere le proprie
ragioni in una controversia di lavoro, non possa fruire di una tutela piena, effettiva ed
adeguata, con evidente violazione degli artt. 24 e 113 Cost.; la seconda, invece, pone
in luce alcuni rilievi di legittimità costituzionale in relazione all'art. 103 Cost., qualora
si ammettesse che nell'ambito della giurisdizione ordinaria sia consentita la tutela di
interessi legittimi.
Si tratta di “rischi” che non è possibile minimizzare. Ma se si tengono bene a
mente le attuali interpretazioni sulla natura sostanziale dell'interesse legittimo, fatti
propri dalla Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 500/199978 secondo cui esso
rappresenta la posizione soggettiva del cittadino rispetto a un bene della vita la cui
disposizione sia demandata a un potere amministrativo, è di tutta evidenza come nel
caso delle controversie di lavoro pubblico affidate alla giurisdizione ordinaria, simili
preoccupazioni siano prive di fondamento.
77
A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit., 54;
F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2001, II, 1038.
78
Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, in Giust. civ. Mass., 1999, 2045.
44
Detto in altri termini, se l'elemento caratteristico dell'interesse legittimo è la sua
concatenazione o consequenzialità rispetto ad un potere amministrativo, tale
evenienza non è ravvisabile nel lavoro di pubblico impiego dove l'amministrazione
agisce con i poteri e le capacità del privato datore di lavoro (art. 5, D.Lgs. n.
165/2001)79.
Come era già stato sancito in occasione della privatizzazione dell'ente Ferrovie
dello Stato «una volta fondato il rapporto di lavoro su base paritetica, ad esso rimane
estranea ogni connotazione autoritativamente discrezionale»80.
Gli atti attraverso i quali oggi la pubblica amministrazione, datore di lavoro,
agisce e gestisce il rapporto di lavoro hanno natura privatistica così da rendere,
dunque, quasi inimmaginabile un atto amministrativo che possa incidere sul rapporto
di lavoro e conseguentemente la configurabilità di
un interesse legittimo del
dipendente pubblico81.
La stessa Cassazione, a Sezioni Unite, nel ritenere infondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 29 D.Lgs. n. 80/1998 in relazione all'art. 103 Cost.,
ha sancito che la devoluzione al giudice ordinario delle controversie di lavoro
pubblico non ha comportato l'attribuzione allo stesso della cognizione di interessi
legittimi e «quand'anche la lesione lamentata dal prestatore di lavoro derivi
79
E ove, dunque, «in base alla disciplina di ordine sostanziale non vi sono interessi legittimi da
tutelare» v. A. Corpaci, La giurisdizione dopo la seconda fase della riforma: novità e prima
applicazione, in Lav. nelle pubbl. amm., 1999, 05, 1057.
80
Si tratta di Corte cost., 16 luglio 1987, n. 268, in Cons. Stato, 1987, II, 1143 che in relazione alla
devoluzione al giudice ordinario delle controversie relative al rapporto di lavoro con le Ferrovie dello
Stato, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 21 e 23 della legge n.
210/1985 in relazione agli artt. 97 comma 1, 103 comma 1, 3, 24 comma 1 e 2, 113 comma 1 e 2, 25
comma 1 della Costituzione.
81
In dottrina per la tesi della configurabilità in capo al lavoratore pubblico di soli diritti o interessi
di fatto aventi rilevanza giuridica v. M. D'Antona, Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro
dopo la “seconda privatizzazione” del pubblico impiego (osservazioni sui D.Lgs. n. 396/1997, n.
80/1998 e n. 387/1998), cit., 629; F. Liso, La privatizzazione dei rapporti di lavoro, in F. Carinci, M.
D'Antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, 2000, cit., 242.
45
dall'esercizio di poteri discrezionali del l'amministrazione datrice di lavoro, la
situazione soggettiva lesa dovrà qualificarsi, alla stregua delle più recenti
classificazioni civilistiche, come interesse legittimo di diritto privato, da riportare,
quanto alla tutela giudiziaria, all'ampia categoria dei "diritti" di cui all'art. 2907
Cod.Civ.»82.
Stessa lettura viene fornita dalla Corte Costituzionale secondo cui il legislatore
delegante e quello delegato aspirando a «modellare e fondare tutti i rapporti dei
dipendenti della amministrazione pubblica (compresi i dirigenti) secondo il regime di
diritto privato del rapporto di lavoro», «sia pure tenendo conto della specialità del
rapporto e delle esigenze del perseguimento degli interessi generali», hanno voluto
che
«le
posizioni
soggettive
degli
anzidetti
dipendenti
delle
pubbliche
amministrazioni, compresi i dirigenti di qualsiasi livello, fossero riportate, quanto alla
tutela giudiziaria, nell'ampia categoria dei diritti di cui all'art. 2907 Cod. Civ.»83.
Se ogni atto di gestione del rapporto di lavoro risulta privo di connotazione
autoritativamente discrezionale84 e se dallo strumento paritario costituito dal contratto
derivano solo posizioni di diritto soggettivo85 è chiaro che i “rischi” sopra paventati
sono scongiurati: la tutela del dipendente pubblico non può dirsi incompleta o
inefficace e l'art. 103 Cost. risulta essere pienamente rispettato, anche nella sua
82
Cass., sez. un., 24 febbraio 2000, n. 41, in Lav. pubbl. amm., 2000, 303 ss.
Corte cost., 23 luglio 2001, n. 275, cit.
84
Cass., sez. un., 17 luglio 2001, n. 9650, in Foro it., 2002, I, 2967.
85
Cass., sez. un., 6 febbraio 2003, n. n. 1807, in Lav. pubbl. amm., 2003, 307. In dottrina è stata
espressamente sostenuta l’idea della trasformazione delle posizioni che nascono a seguito dell'esercizio
dei poteri di gestione del rapporto di lavoro da interessi legittimi, prima del D. Lgs. n. 29/1993, a diritti
soggettivi, dopo il 1993, v. C. Zoli, Amministrazione del rapporto e tutela delle posizioni soggettive dei
dipendenti pubblici, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1993, 647. Tale trasformazione «…(da intendersi,
peraltro, in senso propriamente classificatorio) non è, però, autonoma, ma consegue naturalmente alla
trasformazione delle fonti del rapporto di lavoro e, dunque, al mutamento della natura dello stesso, e
acquisisce, perciò, rilevanza quasi più sotto il profilo fenomenologico che dal punto di vista
ontologico» v. R. Vianello, Gli interessi legittimi nel pubblico impiego privatizzato, in Lav. Giur., 1999,
848.
83
46
interpretazione più rigorosa.
Per gli stessi motivi anzidetti, inoltre, può affermarsi che è inesatto parlare di
“giurisdizione esclusiva” del giudice ordinario, poiché tra le funzioni ad esso trasferite
non può mai rientrare “ratione materiae, anche la tutela di interessi legittimi”86.
Emblematico è, in tal senso, il caso del potere di organizzazione del datore di
lavoro pubblico che è attratto nella sfera pubblicistica per quanto riguarda “le linee
fondamentali di organizzazione degli uffici”, l’individuazione degli “uffici di
maggiore rilevanza”, i “modi di conferimento della titolarità dei medesimi” e le
determinazioni “delle dotazioni organiche”(art. 2, comma1, D.Lgs. n. 165/2001), ma
che è esercitato “con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro” quando
riguardano la cosiddetta micro-organizzazione, cioè l'ambito delle “determinazioni
per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di
lavoro” (art. 5, comma 2). Sono così attratti nell’ambito privatistico tutti gli atti
riguardanti la gestione come il trasferimento e il licenziamento del dipendente87 ma
anche tutti gli atti inerenti al “funzionamento degli apparati”88.
Il richiamo alla distinzione tra micro e macro-organizzazione rafforza proprio
l’idea della non prospettabilità di una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario,
potendo difficilmente un atto amministrativo macro-organizzativo avere attitudine ad
incidere direttamente sul rapporto di lavoro. Deve, però, precisarsi che, proprio sulla
base delle considerazioni effettuate, la stessa distinzione non può assurgere a
parametro di riparto tra le due giurisdizioni. Questo è, infatti, l’errore in cui incorre
86
87
88
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1218.
Trib. Milano 23 aprile 2002, in Lav. Giur., 2003, 192.
Cass., sez. un., 25 luglio 2002, 10995, in Giust. civ., 2003, I, 221.
47
frequentemente la magistratura89 che «senza norme e solo per deduzione logica»
riporta
l’area
della
macro-organizzazione
nell’alveo
della
giurisdizione
amministrativa dovendo, invece, individuarsi le eccezioni alla regola della
giurisdizione ordinaria nelle uniche due espresse dal legislatore90.
La scelta normativa risponde ad un chiaro intento di attribuire al giudice
ordinario in funzione di giudice di lavoro una competenza ampia, completa ed
efficace91 sul rapporto di lavoro di pubblico impiego92. L’obbiettivo di assicurare la
giurisdizione ordinaria su certe materie, a prescindere dalla riconducibilità alla micro
o alla macro organizzazione, trova la sua emblematica espressione nell’art. 63 del
D.Lgs. n. 165/200193 che è l’unica norma regolatrice, deputata a definire e limitare le
rispettive sfere di giurisdizione.
La giurisdizione ordinaria dovrebbe ricorrere, quindi, ogni qualvolta oggetto
della controversia sia il rapporto di lavoro «o, pur non investendo direttamente il
rapporto di lavoro, questi sia la sua occasione o il suo presupposto, mentre quella
amministrativa dovrebbe permanere unicamente con riferimento alle ipotesi residuali
89
Cass.,sez. un., 30 gennaio 2008, n. 2031, in Giust. civ. Mass., 2008, 1, 113; Tar Napoli Campania,
sez. V, 22 ottobre 2003, n. 13054, in Giust. Civ., 2004, I, 1851. E’ da rilevare una recente inversione
della tendenza v. Tar Catania Sicilia, sez. II, 19 marzo 2010, n. 773, in Red. amm. TAR, 2010, 3.
90
M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, 2 ed., Ipsoa, Milano, 2010, 173.
91
M. D'Antona, Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro dopo la "seconda
privatizzazione" del pubblico impiego. Osservazioni sui D.Lgs. n. 396/1997, n. 80/1998 e n. 387/1998),
cit., 628-629.
92
In questo senso si richiama A. Proto Pisani secondo cui «il vero problema non è nella definizione
delle situazioni soggettive, bensì nelle forme di tutela di cui esse godono», v. Verso il superamento
della giurisdizione amministrativa, in Foro it., 2001, V, 28.
93
Così F. Carinci, Privatizzazione del pubblico impiego e ripartizione della giurisdizione per
materia (breve storia di una scommessa perduta), cit., 1049, secondo cui è sintomatico l’inciso del
comma 1 del nuovo art. 68 per cui tocca al giudice ordinario decidere sulle controversie in tema di
conferimenti e revoche di incarichi dirigenziali, devolute dal legislatore apertis verbis alla giurisdizione
ordinaria, senza dar rilievo alla loro qualificazione come atti privatistici od amministrativi. Si veda
anche F. Carinci, La privatizzazione del pubblico impiego alla prova del terzo Governo Berlusconi:
dalla Legge 133/2008 alla Legge n. 15/2009, in Lav. pubbl. amm., 2008, 06, 949.
48
o esclusive elencate nel quarto comma»94 dell’art. 63, in materia di procedure
concorsuali, e in relazione al personale non privatizzato di cui all’art. 3 del D.Lgs. n.
165/2001.
2.2
La residua giurisdizione amministrativa: le eccezioni al
principio della giurisdizione ordinaria.
Come già accennato, la privatizzazione del pubblico impiego, e la conseguente
devoluzione al giudice ordinario delle relative controversie, non è stata portata a
compimento dal legislatore della seconda stagione '97-'98. Nonostante il carattere
generalizzato ed organico, si è ritenuto, da un lato, di dover sottrarre all'ambito di
applicazione dell'intera riforma alcune amministrazioni e categorie di personale,
rimaste pertanto in regime di diritto pubblico (ex art. 3, D.Lgs. n.165/2001); dall'altro,
dopo aver enunciato, all'art. 63, D.Lgs. n. 165/2001 il principio generale
dell'attribuzione
al
giudice
ordinario
delle
controversie
tra
le
pubbliche
amministrazioni e i loro dipendenti, si è riservata la materia dell'assunzione attraverso
i concorsi (comma 4, art. 63 D. Lgs n. 165/2001), certamente relativa al rapporto di
lavoro, alla competenza del giudice amministrativo95.
Sono queste le due uniche eccezioni previste dal legislatore o, per lo meno,
dovrebbero essere poiché, in realtà, come già detto, i giudici96, nell'individuazione
94
M. Navilli, Graduatorie concorsuali nel pubblico impiego: giurisdizione, diritto degli idonei allo
scorrimento e derogabilità della contrattazione collettiva, in Lav. pubbl. amm., 2004, 3-4, 686.
95
V. infra.
96
Cass., sez. un., 4 aprile 2007, n. 8363, in Giust. civ. Mass., 2007, 4; Cass., sez. un., ord. 17 aprile
2003, n. 6220, in Giust. civ. Mass., 2003, 4; Cass., sez. un., 8 novembre 2005, n. 21592, in Giust. Civ.,
49
della giurisdizione competente, hanno ritenuto un affidabile parametro di riferimento
la nota distinzione tra atti di macro e di micro-organizzazione per cui sarebbe rimasta
nella giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione degli atti relativi alle
linee fondamentali di organizzazione degli uffici e affidata a quella del giudice
ordinario la cognizione degli atti privatistici relativi al rapporto di lavoro97.
In base all'art. 63, comma 4, del D. Lgs. 165/2001 nell'ambito delle categorie e
amministrazioni rimaste affidate alla giurisdizione del giudice amministrativo, questo
conoscerà e deciderà anche dei «diritti patrimoniali connessi». Il legislatore ha,
dunque, optato per una giurisdizione non solo esclusiva ma anche “piena” 98
eliminando la tradizionale riserva in favore del giudice ordinario della cognizione
delle questioni patrimoniali consequenziali.
La giurisdizione amministrativa, dunque, investe qualsiasi pretesa che ha la sua
fonte in quel rapporto di impiego: da un lato è previsto che il giudice amministrativo
nell'ambito dell'intera sua giurisdizione esclusiva, e non solo più nelle materie di cui
agli art. 33 e 34 D.Lgs. 80/1998, disponga «anche attraverso la reintegrazione in
forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto» (art. 35, comma 1, D. Lgs
80/1998); dall'altro, con l'ennesima riformulazione dell'art. 7, comma 3, l. n.
1034/1971 si è assicurata la cognizione del giudice amministrativo, nell'ambito della
sua giurisdizione, sulle questioni attinenti ai diritti patrimoniali consequenziali (art.
35, comma 4, D.Lgs. n. 80/1998 nel testo sostituito dall'art. 7 della l. 21 luglio del
2006, 12, 2952; Tar Milano Lombardia, sez. III, 12 novembre 2009, n. 5046, in Red. Amm. Tar., 2009,
11; Cass., sez. un., 25 settembre 2009, n. 20642, in Giust. Civ., 2010, 3, 727; Cass. 7 ottobre 2008, n.
24738, in Lav. pubbl. amm., 2008, 5, 885.
97
Nota M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit., 165 ss., che l’area della macroorganizzazione è stata ricondotta alla giurisdizione amministrativa dai nostri giudici «senza norme e
solo per deduzione logica».
98
F. Caringella, V. Poli, Il riparto di giurisdizione nell'impiego pubblico, in F. Caringella, R.
Garofoli, Il riparto di giurisdizione, Giuffrè, 2008, 1155.
50
2000, n. 205).
Una volta acquisita99 l'esigenza di garantire ai cittadini una tutela piena nei
confronti della pubblica amministrazione, il legislatore ha affidato ad essi anche lo
strumento dell'azione risarcitoria. La risarcibilità del danno innanzi al giudice
amministrativo affrontata incidenter tantum nella nota sentenza n. 204/2004 dalla
Corte Costituzionale100, non costituisce una nuova materia attribuita alla sua
giurisdizione ma uno «strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico
demolitorio (e/o conformativo) da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei
confronti della pubblica amministrazione». Essa, inoltre, affonda le sue radici nella
previsione dell'art. 24 Cost. il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute
alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia
munito di adeguati poteri101.
La Corte Costituzionale conferma, e rafforza 102, la legittimità della scelta del
legislatore nel senso della concentrazione della tutela di annullamento e risarcitoria
innanzi ad unico giudice103 superando così la regola previgente della pregiudizialità
amministrativa, in base alla quale occorreva in primis l’annullamento dell’atto
amministrativo da parte del giudice amministrativo, perché, riportando la posizione
del ricorrente da interesse legittimo a diritto soggettivo, il ricorrente potesse,
successivamente, agire innanzi al giudice ordinario per la tutela risarcitoria.
99
Con la sentenza della Cassazione 22 luglio 1999, n. 500, in Giust. Civ. Mass., 1999, 2045 che ha
affermato la risarcibilità degli interessi legittimi.
100
Con cui Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, in www.cortecostituzionale.it ha dichiarato la parziale
illegittimità costituzionale degli artt. 33 e 34 del D.Lgs. 80/1998.
101
L'impostazione è stata poi confermata da Corte cost., 11 maggio 2006, n. 191, in
www.giurcost.org
102
Così V. Cerulli Irelli, Giurisdizione esclusive e azione risarcitoria nella sentenza della Corte
costituzionale n. 2004 del 6 luglio 2004, in www.astrid-online.it
103
Tale principio è stato poi recepito da Cass., sez. un., 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660, in
Giurisd. amm., 2006, III, 440 ss.
51
Con particolare riferimento alla materia del risarcimento nelle controversie di
impiego pubblico non privatizzato104 l'ampio riferimento al “danno ingiusto”
contenuto nell'art. 35 del D.Lgs. 80/1998 dovrebbe indurre a ritenere che rientrano
nell'ambito della giurisdizione esclusiva amministrativa anche le pretese risarcitorie
conseguenti ad un illecito aquiliano105. E la previsione del comma 4, art. 63 del
D.Lgs., che attribuisce alla giurisdizione esclusiva le controversie relative “ai diritti
patrimoniali connessi” sembrerebbe confermare questa conclusione106. Così per la
Cassazione rientrano nella giurisdizione amministrativa le controversie relative al
risarcimento del danno conseguenti al ritardo dell'amministrazione nell'assunzione di
un dipendente in regime pubblicistico, trattandosi di danno non occasionalmente
connesso con il rapporto di impiego107. Alle medesime conclusioni si è giunti nel caso
di risarcimento del danno da perdita di chance derivante dalla illegittimità della
nomina di un sostituto al posto di un membro decaduto della commissione di
concorso108 o per danno conseguente alle lesioni e minacce subite da un militare 109.
Di diverso avviso sembra essere il Consiglio di Stato110 che in una recente
sentenza in materia di mobbing in ambito universitario ritiene «necessario accertare la
natura giuridica dell’azione di responsabilità in concreto proposta, in quanto solo
104
In base alla disciplina anteriore alla legge 205/2000 si riteneva che la materia del risarcimento
spettasse al giudice ordinario o al giudice amministrativo a seconda che si trattasse, rispettivamente, di
danno extracontrattuale o di danno contrattuale: v. Cass. 2 luglio 2004, n. 12137, in Giust. Civ. Mass.,
2004, 7-8; Cass. 4 maggio 2004, n. 8438, in Dir. Lav., 2005, II, 205 con nota di F. Balestrieri, Mobbing
e riparto di giurisdizione: spunti definitori, tipologie di responsabilità e di danno.
105
Cons. stato, sez. V, 9 ottobre 2002, n. 5414, in Foro amm. CDS, 2002, 2439; Tar Roma Lazio, sez.
III, 25 giugno 2004, n. 6254, in Foro amm. TAR, 2004, 1748; Tar Veneto, 8 gennaio 2004, n. 2, in Foro
amm. Tar, 2004, 64.
106
P. Sordi, Il riparto di giurisdizione nelle controversie di pubblico impiego, in www.appinter.csm.it
107
Cass. 24 ottobre 2005, n. 20475, in Giust. Civ. Mass., 2005, 10.
108
Cass., sez. un., 26 maggio 2004, n. 10180, in Giust. Civ. Mass., 2004, 5.
109
Cass. 4 marzo 2008, n. 5785, in Giust. Civ. Mass., 2008, 3, 351.
110
Cons. Stato, sezione VI, 15 aprile 2008, n. 1739, in www.altalex.com che richiama Cass., sez. un.,
4 maggio 2004, n. 8438, in Notiz. Giur. Lav., 2004, 290.
52
l’azione per responsabilità contrattuale è ritenuta rientrante nella cognizione del
Giudice Amministrativo, mentre dovrebbe ritenersi di competenza del Giudice
Ordinario l’azione proposta in via extra-contrattuale».
E' comunque il caso di sottolineare che l'attrazione della controversia alla
giurisdizione esclusiva è condizionata dalla inerenza del fatto illecito alla materia
stessa111. Sussiste, dunque, la giurisdizione ordinaria quando ad esempio l'impiegato
pubblico chieda la condanna al risarcimento del danno per comportamento arbitrario o
illegittimo di alcuni funzionari, vertendosi in controversia in materia di fatto illecito
tra privati, a nulla ostando la proposizione della domanda anche nei confronti
dell'ente, rientrando nel merito un eventuale riconoscimento della riferibilità all'ente
del comportamento dei suoi funzionari112.
2.2.1 Le categorie di dipendenti esclusi dalla “privatizzazione” e
dalla giurisdizione ordinaria.
L'ambito soggettivo di applicazione della riforma è, ancora oggi, delineato dal
combinato disposto di due norme contenute nel D. Lgs n. 165/2001, che danno piena
attuazione alle previsioni, rispettivamente inclusiva ed esclusiva, di cui all'art. 2,
comma 1, lettera a) ed e) della legge delega n. 421/1992: l'art. 1, comma 2, elenca,
infatti, con una serie di richiami alle leggi speciali in materia, le amministrazioni
incluse, delineando l'ambito di applicazione «dell'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche», comprensivo sia dell' “organizzazione
111
112
P. Sordi, Il riparto di giurisdizione nelle controversie di pubblico impiego, cit.
Cass. 2 marzo 2006, n. 4591, in Giust. Civ. Mass., 2006, 3.
53
degli uffici” sia “dei rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche”. L'art. 3 dello stesso decreto è, invece, deputato ad
indicare quali di esse e quali categorie sono espressamente escluse.
E' da rilevare che l'ambito di applicazione soggettivo della riforma è stato da
sempre oggetto di continue modifiche e rivisitazioni. Certamente esso non coincide
con quello previsto dall'art. 1 della legge quadro del 1983113. Risulta, oggi, certamente
più vasto di allora: non solo perché sono state ricondotte nell'alveo della
privatizzazione quelle amministrazioni interessate dalla cosiddetta “fuga dalla legge
quadro” ma anche perché nel corso del tempo si è provveduto ad una sostanziale
estensione.
Nella prima fase erano incluse «tutte le amministrazioni dello Stato, ivi
compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le
aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le
Province, i Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le
istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non
economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del
Servizio sanitario nazionale»114. Una applicazione graduata era prevista: a) per le
Regioni a statuto ordinario nei confronti delle quali le disposizioni del decreto
costituivano disposizioni fondamentali ex art. 117 Cost.; b) per le Regioni a statuto
speciale per cui i principi desumibili dall'art. 2 legge 421/1992 rappresentavano
norme fondamentali di riforma economica e sociale della Repubblica; c) per le
113
Così F. Carinci, L'impiego pubblico non privatizzato all'indomani del D.Lgs. 165/2001, in F.
Carinci, V. Tenore, Il pubblico impiego non privatizzato, Giuffrè, 2007, XXIV.
114
Art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 29/1993.
54
dirigenze, le norme del titolo II, capo II, risultavano applicabili “alle amministrazioni
dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, agli enti pubblici non economici
nazionali, alle istituzioni universitarie ed alle amministrazioni, aziende ed enti del
Servizio sanitario nazionale115; d) per le aziende e gli enti di cui alle leggi 26
dicembre 1936, n. 2174 e successive modificazioni ed integrazioni (Ente autonomo
“Esposizione universale di Roma”), 13 luglio 1984, n. 312 (Enti autonomi lirici e
Istituzioni concertistiche assimilate), 30 maggio 1988, n. 186 (Agenzia spaziale
italiana) 11 luglio 1988, n. 266 (personale dell'istituto poligrafico e zecca dello Stato,
dell'Unione italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed
Agricoltura, dell'Enea, dell'Azienda Autonoma di assistenza al volo per il traffico
aereo generale e del Registro aeronautico italiano), 18 marzo 1989, n. 106 ( Istituto
nazionale per il Commercio Estero) e 31 gennaio 1992, n. 138 (CONI) era previsto
l'adeguamento dei propri ordinamenti ai principi di cui al titolo I116; e) per il Consiglio
di Stato, i tribunali amministrativi regionali, la Corte dei conti e l'Avvocatura dello
Stato era prevista l'adozione «di uno o più regolamenti, da adottarsi ai sensi
dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data
di entrata in vigore del presente decreto» per l'adeguamento alla disciplina contenuta
nell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, relative all'organizzazione ed al
funzionamento delle strutture amministrative117.
Rimanevano disciplinati dai rispettivi ordinamenti «i magistrati ordinari,
amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale di
militare e delle Forze di polizia, il personale della carriera diplomatica e prefettizia; a
115
116
117
Art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 29/1993.
Art. 73, comma 5, D.Lgs. n. 29/1993.
Art. 73, comma 6, D.Lgs. n. 29/1993.
55
partire rispettivamente dalle qualifiche di segretario di legazione e di vice consigliere
di prefettura, i dirigenti generali nominati con Decreto del presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, e quelli agli stessi
equiparati per effetto dell'art. 2 della legge 8 marzo 1985, n. 72, nonché i dipendenti
degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'art. 1 del decreto
legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691 (enti con funzione
di tutela del credito), e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281 (enti con funzione di tutela
del risparmio), e 10 ottobre 1990, n. 287 (enti con funzione di tutela della concorrenza
e del mercato)». I docenti e i ricercatori delle istituzioni universitarie rimanevano
assoggettati alle norme vigenti in materia, in attesa di una disciplina ad hoc118.
Con gli interventi normativi succedutisi durante la seconda stagione della
privatizzazione, confluiti, poi, nel D.Lgs. n. 165/2001, si assiste ad una prima
modifica dell'ambito soggettivo di applicazione. Da un lato, infatti, dall'elenco degli
enti che, in base all'art. 73 del D.Lgs. n. 29/1993, erano tenuti ad adeguare i propri
ordinamenti ai principi del Titolo I, vengono estromessi quelli ex lege 18 marzo 1989,
n. 106 (Istituto nazionale per il commercio estero) ed aggiunti quelli disciplinati dalla
legge 30 dicembre 1986, n. 936 (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro) e dal
D.Lgs. 25 luglio 1997, n. 250 (Ente nazionale per l'aviazione civile); dall'altro l'intera
dirigenza viene privatizzata (art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 80/1998) e il personale della
carriera prefettizia interamente ricondotto alla disciplina pubblicistica (oggi art. 3,
comma 1, D.Lgs. n. 165/2001).
Successivamente, con la legge per il riordino della dirigenza statale la
privatizzazione viene estesa all'Aran e alle Agenzie di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n.
118
Art. 72, comma 4, e art. 2, comma 5, D.Lgs. n. 29/1993.
56
30 (Agenzie fiscali e Agenzia di Protezione Civile)
119
ed esclusa, con le leggi 30
settembre 2004, n. 252 e 27 luglio 2005, n. 154, per il personale del Corpo Nazionale
dei Vigili del Fuoco e della carriera dirigenziale penitenziaria120.
Ma non è ancora finita. La giurisprudenza, infatti, aveva ricondotto, per via
interpretativa121, nell'ambito del diritto pubblico e, dunque, alla giurisdizione
amministrativa, anche i dipendenti dell'Autorità Garante delle comunicazioni, ma la
più recente “Riforma Brunetta” ha assoggettato all'ambito di applicazione del D.Lgs.
n. 165/2001 tutti i dipendenti delle “Autorità Amministrative Indipendenti”122.
In
sintesi,
le
disposizioni
del
D.Lgs.
n.
165/2001
relative
alla
contrattualizzazione del rapporto di lavoro e alla devoluzione al giudice ordinario di
tutte le relative controversie si applicano in via diretta a tutte le amministrazioni
pubbliche elencate all'art. 1, comma 2, con l'unica esclusione delle ipotesi di cui
all'art. 3 dello stesso decreto che, conseguentemente, rimangono sotto la giurisdizione
del giudice amministrativo.
Per alcune delle categorie enunciate da quest'ultima norma (si pensi ad esempio
ai magistrati, al personale della carriera prefettizia, ai militari e ai poliziotti) la ragione
della “non privatizzazione” potrebbe risiedere nelle garanzie costituzionali assicurate
ad alcune di esse o, ancora, nell'opportunità di non assoggettarle al normale potere
disciplinare come garanzia speciale connessa alla loro posizione 123. Lo stesso, forse,
119
Art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, come modificato dall'art. 1, l. 15 luglio 2002, n. 145.
Art. 3, comma 1 bis, 1 ter, D.Lgs. 165/2001, come integrati dall'art. 1, l. 30 settembre 2004, n. 252
e, rispettivamente, art. 2, l. 27 luglio 2005, n. 154.
121
V. Cass., sez. un., ord. 23 giugno 2005, n. 13446, in Dir. prat. Lav., 2006, 1, 74 ss. che ha
dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia concernente il rapporto di un
dirigente assunto in prova dalla Autorità garante delle comunicazioni.
122
Art. 5, comma 3 bis, D.Lgs. 165/2001, introdotto dall'art. 34, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 27
ottobre 2009, n. 150.
123
M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit., 172.
120
57
non può dirsi per i professori ed i ricercatori universitari per cui non si ravvisano tali
particolari accorgimenti124.
Un avvertimento, formulato già all'indomani del D.Lgs. n. 29/1993, infine, pare
d'obbligo. Nonostante il legislatore abbia cercato di specificare puntualmente la
nozione di “pubbliche amministrazioni” bisogna «guardarsi dall'attribuire a tale
specificazione una valenza sistematica, rispondendo essa al solo fine di ridurre le
difficoltà che si sono sempre registrate in ordine ad un'individuazione chiara ed
univoca di tale concetto»125, considerando, peraltro, che nel campo di applicazione
sono ricompresi parzialmente organi dello Stato non qualificabili in senso tecnico
come “pubbliche amministrazioni”.
Al riguardo, nessun ostacolo certamente all'applicazione della privatizzazione
può ritenersi esistente nei confronti dei dipendenti degli “organi ausiliari” dello Stato
e, in generale, degli “organi di rilevanza costituzionale”: già si riteneva possibile una
siffatta configurazione nel vigore del regime pubblicistico per il personale non di
magistratura e non di avvocatura del Consiglio di Stato e della Corte dei conti e per
quello del Consiglio nazionale dell'Economia e del Lavoro 126, anche se la disciplina
speciale prevista per quest'ultimo ha indotto il legislatore a sottrarlo parzialmente
Più in generale un'attenta dottrina ha avanzato «il dubbio circa la legittimità o almeno l’utilità
della conservazione della giurisdizione amministrativa esclusiva nei confronti di categorie di lavoratori
per le quali gli aspetti di tutela di diritti soggettivi, sia per quanto attiene i contenuti del rapporto di
lavoro (retribuzione, ferie, orario, assenze, disciplina, forme collettive di rivendicazione, ecc.) sia per
quanto riguarda le fonti di disciplina sostanziale, rimesse comunque, direttamente o indirettamente, alla
contrattazione collettiva, non si pongono con carattere differenziato rispetto alle categorie
privatizzate», v. A. Pozzi, Serve ancora una giurisdizione speciale del lavoro pubblico?, in
www.giustizia-amministrativa.it
125
G. D'Alessio, Organizzazione amministrativa e dirigenza pubblica nel decreto legislativo 3
febbraio 1993, n. 29, in G. Naccari (a cura di), La riforma del lavoro pubblico, Roma, 1993, 138.
126
A. Tursi, L'ambito di applicazione della riforma, in F. Carinci, L. Zoppoli (a cura di), Il lavoro
nelle pubbliche amministrazioni, cit., 26.
124
58
dall'ambito di applicazione del D.Lgs. 165/2001 (art. 70, comma 4)127. Qualche
precisazione merita, invece, la questione degli organi costituzionali di cui si dirà
avanti.
2.2.2 Le procedure concorsuali per l'assunzione
Uno degli aspetti tra i più complessi della riforma delle pubbliche
amministrazioni e della conseguente devoluzione al giudice ordinario del contenzioso
di lavoro pubblico è certamente rappresentato dall'esatta individuazione della linea di
confine tra le controversie «concernenti l'assunzione al lavoro» e quelle relative alle
«procedure concorsuali per l'assunzione». Le prime, infatti, sono assicurate alla
cognizione del giudice ordinario, giusta il disposto dell'art. 63, comma 1, D.Lgs. n.
165/2001; le seconde, invece, per espressa volontà legislativa, sono rimaste
nell'ambito della giurisdizione amministrativa, come enunciato nel comma 4 dello
stesso articolo.
Con la riserva di provare ad individuare quali siano o meno le procedure
concorsuali idonee a radicare la giurisdizione amministrativa all'inizio del prossimo
capitolo, bisogna, preventivamente, provare ad indagare sulla ratio di una simile
scelta legislativa e a ricostruire il quadro, alquanto composito, che ne deriva in termini
giuridici.
Quel che appare certo è che, nell'opzione preferita dal legislatore della
privatizzazione di riservare la materia dei concorsi alla giurisdizione amministrativa e
127
V. artt. 20-23 della l. n. 936/1986.
59
quindi alla fonte pubblicistica (o forse viceversa), ha avuto un peso decisivo
l'interpretazione del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell'art. 97 Cost., secondo
cui la riserva di legge si estende non solo all'organizzazione degli uffici ma anche alla
fase del reclutamento.
Dalla necessità del concorso128 di cui al comma 3 dell'art. 97 Cost. che impone,
appunto, alle pubbliche amministrazioni, modalità di selezione del personale ben
diverse da quelle che governano il mondo del lavoro privato129, si è fatto discendere
quale “logico” corollario anche il principio della “pubblicità” del concorso, da
intendersi, non nella sua accezione più ampia e popolare, come garanzia di apertura al
pubblico130, ma nel suo senso più tecnico, quale applicazione dei principi
pubblicistici, ergo amministrativi, che pervadono l'intera procedura di pre-assunzione.
Come è stato correttamente osservato, però, l'art. 97 Cost., nell'imporre alle
pubbliche amministrazioni di assumere tramite concorso, «condiziona i fini
dell'attività, ma non i modi: le procedure di assunzione, una volta salvaguardato il
principio concorsuale, ben potevano essere disciplinate anche da fonte pattizia»131.
Quindi così come esso non impone che il rapporto di impiego alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni sia in regime pubblicistico «allo stesso modo lascia alla
discrezionalità del legislatore lo scegliere se l'accesso agli impieghi debba avvenire
secondo procedure di diritto pubblico o di diritto privato»132.
Da sempre considerato interesse di “ordine pubblico” v. Cons. stato, ad. gen., 9 agosto 1932 n.
196, in Mass. completo della giurisprudenza del Consiglio di Stato 1932-1961, I, 861, n. 92.
129
Così A. Tampieri e G. Rosin, Il contenzioso del lavoro pubblico. Casi e questioni, in Dir. Prat.
Lav., inserto, 43, 2007, IV.
130
V. Ferrante, Il riparto di giurisdizione in tema di concorso e progressione, cit., 242.
131
V. Luciani, Assunzioni e progressioni in carriera nell'impiego pubblico locale tra legge statale e
legge regionale, in Le istituzioni del Federalismo, 2009, 5-6, 909, nota 4.
132
A. Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e
progressioni in carriera, in Lav. pubbl amm., 2007, 02, 382. In tal senso anche F. Carinci, La riforma
128
60
In altri termini, «non v'è ragione per sottrarre la concreta attività di selezione
alla gestione privatistica: anche qui la p.a. agisce (o dovrebbe agire) con i poteri del
privato datore di lavoro con conseguente possibilità di controllo del giudice sulla
legittimità degli atti anche alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede»133.
La scelta del legislatore nel senso della duplicità della giurisdizione134 non può,
allora, andare esente da critiche, oltre che per quanto già detto, anche sotto altri
profili. Innanzitutto, essa pare incoerente rispetto alla logica della seconda stagione di
riforma del pubblico impiego, inaugurata nel segno della privatizzazione anche della
micro-organizzazione amministrativa. Da questa angolazione, può certamente
dubitarsi che la materia concorsuale sia ontologicamente materia di diritto pubblico
nella quale possono svilupparsi solo interessi legittimi135. E a nulla sembra valere la
del rapporto di lavoro pubblico Contratto e rapporto di lavoro, in Dir. lav. rel. ind., 1993, 684; L.
Zoppoli, Il lavoro pubblico negli anni 90, Torino, 1998.
133
A. Garilli, Le controversie sui concorsi e sulla progressione verticale: riparto di giurisdizione,
discrezionalità amministrativa e poteri del giudice ordinario, cit., 7. In giurisprudenza v. Cass., 19
novembre 1997, n. 11522, in Giust. civ., 1998, I, c. 366 con nota di I. Milianti, Sui criteri di
risarcimento dei danni conseguenti all’esclusione del lavoratore dal novero dei candidati a una
promozione, ove si legge «Questa Corte, abbandonando un primo indirizzo che attribuiva alla
supremazia dell'imprenditore profili accostabili a quelli propri dell'esercizio della funzione
amministrativa con l'utilizzazione della figura dell'interesse legittimo (cfr. Cass., Sez. Un., 2 novembre
1979 n. 5688), con un orientamento, ormai consolidato, ha inquadrato la problematica in oggetto
nell'ambito del diritto civile, riconoscendo la natura di diritto soggettivo alla pretesa del lavoratore al
corretto compimento delle operazioni di valutazione dei requisiti dei promuovendi e di comparazione
tra candidati, da effettuarsi nel rispetto di criteri precostituiti e nell'osservanza, come si è già detto,
delle regole di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.».
134
V. Zingales, Riparto di giurisdizione - Privatizzazione del rapporto di lavoro, in Dir. Prat. Lav.,
2000, n. 4, 32 ss. coglie nella scelta del legislatore un ritorno al passato: «nella misura in cui si è
voluto (o dovuto) eliminare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (senza peraltro
sostituirla con quella egualmente esclusiva e piena dell'A.g.o.), così istituzionalizzando il sistema della
duplicità o coesistenza di due diverse giurisdizioni in materia, anche il legislatore delegato del 1998 ha
sostanzialmente ripercorso a ritroso il cammino dell'evoluzione legislativa e della cultura giuridica,
riapprodando più o meno consapevolmente a quel lontano passato negativamente caratterizzato dalla
medesima situazione — di coesistenza di una duplice cognizione giurisdizionale sulla stessa materia
del pubblico impiego — esistente prima della istituzione, nel 1924, della giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo in materia. Un ritorno, in altri termini, a modelli arcaici che rappresentano un
disvalore che si riteneva definitivamente espunto dal nostro ordinamento».
135
D. Borghesi, La giurisdizione, in F. Carinci, M. Persiani, Trattato di diritto del lavoro, volume
VIII a cura di S. Mainardi "Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche", in
corso di pubblicazione.
61
giustificazione secondo cui la materia relativa alle procedure di reclutamento
concerne la «fase prodromica del rapporto, estranea allo stesso (non ancora
costituito)»,
conducendo,
anzi,
ad
esiti
paradossali,
laddove
differenzia
giuridicamente le «posizioni soggettive (di interesse legittimo e di diritto soggettivo)
fra chi», pur trovandosi nella medesima situazione fattuale, «aspira al posto e chi è
parte del rapporto»136.
Se si tiene bene a mente lo spirito e il senso della seconda privatizzazione, così
come precisato, deve convenirsi sul fatto che la procedura concorsuale di scelta
dell'aspirante al posto di lavoro sia qualificabile quale atto rientrante nella gestione
del rapporto, in cui il datore agisce con le capacità e i poteri del privato datore di
lavoro. Così come si è espressa la giurisprudenza in relazione agli enti »ci 137, da
sempre modello guida per la privatizzazione del pubblico impiego, si tratta di atti
soggetti ad una regolamentazione privatistica138, anche sotto il profilo della natura
giuridica delle posizioni soggettive fatte valere in giudizio139.
Il legislatore non ha ritenuto di fare l'ulteriore e forse necessario salto verso
136
A. Garilli, Le controversie sui concorsi e sulla progressione verticale: riparto di giurisdizione,
discrezionalità amministrativa e poteri del giudice ordinario, cit., 7; Nel senso che «la situazione
sostanziale del concorrente non può collocarsi in una dimensione privatistica, in quanto il rapporto di
lavoro non si è ancora instaurato» in dottrina v. F. Macioce, Giurisdizione ordinaria o amministrativa:
procedure concorsuali, atti di organizzazione, controversie collettive, in Lav. pubbl. amm., 1999, 1081;
nello stesso senso la giurisprudenza di merito v. Trib. Agrigento, 28 luglio 1999, in Lav. pubbl. amm.,
2000, 143 ss. con nota di L. Sgarbi, Le posizioni organizzative nei nuovi sistemi di inquadramento tra
conferimento d’incarico e svolgimento di mansioni superiori; Trib. Rimini, 13 luglio 2000, in Lav.
pubbl. amm., 6, 1128 con nota di M. Navilli, Concorsi e posti riservati, utilizzo di graduatoria vigente,
scorrimento e giurisdizione del giudice amministrativo, in Lav. pubbl. amm., 2000.
137
Cass. 26 settembre 1998, n. 9670, in Rep. Giur. it., 1998, n. 647; Cass. 10 marzo 1984, n. 1677,
ivi, 1984, n. 710; in dottrina sull'argomento v. O. Mazzotta, Enti economici e concorsi privati: alla
ricerca di una regola di diritto, in Id., Diritto del lavoro e diritto civile: i temi di un dialogo, Torino,
Giappichelli, 1994, 153 e in Riv. It. Dir. Lav., 1987, I, 188; C. Zoli, Gli obblighi a trattare nel sistema
dei rapporti collettivi, Padova, 1992, 11.
138
E ove il bando di concorso «rappresenta nulla più che un atto di autonomia negoziale attraverso
cui il datore di lavoro (anche, come nel caso di specie, l'ente pubblico economico) esprime proprie
scelte organizzative» v. A. Bollani, Sui limiti alla libertà del datore di lavoro di determinare i criteri
selettivi nei bandi di concorso privati, in Riv. it. dir. lav., 1998, 4, 677 ss.
139
D. Borghesi, La giurisdizione, in F. Carinci, M. Persiani, Trattato di diritto del lavoro, cit., 9, datt.
62
l'onnicomprensività della giurisdizione ordinaria, come sarebbe stato auspicabile. Non
per questo, però, dalla lapidaria disposizione derogatoria alla generale giurisdizione
ordinaria, di cui al comma 4 dell'art. 63, D.Lgs. n. 165/2001, può discendere a
contrario la “pubblicizzazione” degli atti concorsuali e la degradazione ad interessi
legittimi.
Da queste considerazioni, dovrebbe discendere una lettura delle norme in
questione il più aderente alla ratio della riforma, ovvero che il legislatore nel riservare
alla magistratura amministrativa la materia concorsuale ai sensi del comma 4, dell'art.
63 D.Lgs. n. 165/2001 abbia istituito una forma di giurisdizione esclusiva e non di
legittimità140.
Tuttavia, l’interpretazione letterale dell'art. 63 in questione ha indotto a ritenere
che appartiene alla giurisdizione amministrativa tutta la fase preliminare che attiene
alla procedura concorsuale, dall’emanazione del bando fino all’approvazione della
graduatoria ed alla contestuale nomina dei vincitori e alla giurisdizione ordinaria tutta
la fase immediatamente successiva fino all’estinzione del rapporto di lavoro. La
soluzione, malgrado sul piano generale della individuazione del criterio di riparto di
giurisdizione – per materia141 o per situazioni soggettive lese142 – non ci sia ancora
unità di vedute, costituisce ad oggi l'orientamento maggioritario in dottrina e nella
140
Nel senso della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo M. G. Garofalo, Il
trasferimento di giurisdizione nel lavoro pubblico, cit., 515 ss.; D. Iaria, L’ambito oggettivo della
giurisdizione del giudice del lavoro e del giudice amministrativo dopo i decreti legislativi n. 80 e 387
del 1998, in Lav. pubbl. amm., 1999, 287; L. Torchia, Giudice amministrativo e pubblico impiego dopo
il D.Lgs. n. 80/1998, in Lav. pubbl. amm., 1998, 1060; G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai
rapporti di lavoro, cit., 1816.
141
F. Carinci, Privatizzazione del pubblico impiego e ripartizione della giurisdizione per materia
(breve storia di una scommessa perduta), cit., 1049; Id., La privatizzazione del pubblico impiego alla
prova del terzo Governo Berlusconi: dalla Legge 133/2008 alla Legge n. 15/2009, cit., 949; D.
Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit.,1231; E. A. Apicella, Della giurisdizione su
incarichi dirigenziali nelle amministrazioni pubbliche, cit., 2843.
142
S. Cassese, Il sofismo della privatizzazione del pubblico impiego, cit., 30 ss.
63
giurisprudenza143.
Ovviamente, essa è una conseguenza “vincolata” per chi ritiene operante il
criterio di riparto di giurisdizione per natura delle situazioni soggettive: la
giurisdizione amministrativa abbraccia le controversie relative alla fase concorsuale
vera e propria fino alla approvazione della graduatoria, dato che vi è l'interesse
legittimo di ciascun partecipante alla regolarità delle operazioni concorsuali; la
giurisdizione ordinaria interviene solo successivamente all'atto formale di
approvazione della graduatoria, quando sorge contestualmente il diritto soggettivo
all'assunzione.
Si tratta di una soluzione compromissoria - necessitata dall'impasse creata,
consapevolmente o meno dal legislatore - che, però, a sua volta, genera ulteriori e
complesse problematiche che si verificano quando ad esempio il candidato,
ingiustamente escluso dalla graduatoria, faccia valere il suo diritto all'assunzione,
impugnando contestualmente il bando di concorso e contestando l'assunzione del
candidato vincitore; o ancora al contenzioso, frequente nella pratica, fra soggetti
interessati all'assunzione per mobilità interna o esterna, materia certamente da
ricomprendere nell'ambito della giurisdizione ordinaria, e aspiranti al posto mediante
143
M. Clarich e D. Iaria, La riforma del pubblico impiego, cit., 576; F. Panariello, F. Giugliano, V.
Amirante, Sub art. 68, d.lgs. n. 29/1993, cit.,1454; O. Forlenza, G. Terracciano e I. Volpe, La riforma
del pubblico impiego, Il Sole 24 Ore, Milano, 1999, 144; M.G. Garofalo, Il trasferimento di
giurisdizione nel lavoro pubblico, cit., 514; F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, cit., 1039; P.
Matteini e V. Talamo, Il D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80: completamento della riforma del lavoro pubblico
in attuazione della delega contenuta nella legge n. 59/97, cit., 391; G. Trisorio Liuzzi, Controversie
relative ai rapporti di lavoro, cit., 1822; R. Tiscini, Commento all’art. 29 del D.Lgs.n. 80/98, cit., 316;
V. Tenore, Devoluzione al giudice ordinario del contenzioso sul pubblico impiego in G. Noviello, P.
Sordi, E. A. Apicella e V. Tenore (a cura di), Le nuove controversie sul pubblico impiego privatizzato e
gli uffici del contenzioso, Giuffrè, Milano, 2001, 31; M. Navilli, Graduatorie concorsuali nel pubblico
impiego: giurisdizione, diritto degli idonei allo scorrimento e derogabilità della contrattazione
collettiva, cit., 686; M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro,cit., 171. In giurisprudenza v. Cass.,
sez. un, 26 febbraio 2010, n. 4648, in CD Rom Utet; Cass., sez. un., 23 aprile 2008, n. 10459, ivi;
Cass., sez. un., 13 luglio 2001, n. 9540, in Giust. civ., 2002, I, 785; Cass., Sez. un. 26 giugno 2002, n.
9332, in Giust. civ. Mass., 2002, 1102.
64
una nuova procedura concorsuale, in cui i primi impugnano l'illegittimità del nuovo
bando concorsuale, deducendo il loro prioritario diritto all'assunzione.
Secondo l'impostazione descritta i rapporti tra le due giurisdizioni coinvolte,
stante il divieto di sospensione, dovrebbero risolversi o attraverso il meccanismo della
disapplicazione da parte del giudice ordinario degli atti concorsuali o mediante un
coordinamento tra la decisione amministrativa sul concorso e quella ordinaria
sull'assunzione.
Le soluzioni sono però entrambe criticabili: la prima infatti è smentita dalla
espressa attribuzione al giudice amministrativo delle controversie relative alle
procedure concorsuali che, dunque, non potrebbero essere conosciute dal giudice
ordinario, neppure ai fini della disapplicazione; la seconda, invece, perché possa
144.
evitarsi il contrasto di giudicati, necessita dell'operatività della sospensione
I fautori della prima alternativa, che realmente consentirebbe di concentrare in
un unico giudizio la controversia, come sarebbe concretamente opportuno, ritengono
difficilmente superabile il divieto di pregiudizialità amministrativa stabilito al comma
1 dell'art. 63, e giustificano, invece, la riserva a favore del giudice amministrativo
delle controversie in materia di procedura concorsuale con la “naturale”
inconfigurabilità di situazioni di diritto soggettivo145.
Se, invece, si aderisce alla tesi della natura privatistica e gestionale della
procedura concorsuale, e quindi della esclusività della giurisdizione amministrativa in
materia, non si può escludere che il giudice ordinario, cui si chieda l'accertamento del
diritto all'assunzione, il quale dovrebbe ricadere certamente nell'ambito della sua
144
Cfr. D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit.
D. Iaria, L’ambito oggettivo della giurisdizione del giudice del lavoro e del giudice
amministrativo dopo i decreti legislativi n. 80 e 387 del 1998, cit., 287.
145
65
giurisdizione, ricorra alla sospensione del giudizio, in attesa della decisione
sull'impugnazione del bando. Il giudice ordinario non può infatti disapplicare atti che
sono stati devoluti alla cognizione del giudice amministrativo, se non a costo di
rendere la riserva di giurisdizione praticamente inesistente e la relativa norma
passibile di elusione; la non operatività del meccanismo della sospensione è, inoltre,
prevista solo in relazione agli atti amministrativi e non anche in relazione a quelli
privatistici.
Lo spartiacque dell'approvazione della graduatoria, con contestuale nomina dei
vincitori, anziché rappresentare il momento in cui gli interessi legittimi si trasformano
in diritti soggettivi, potrebbe essere identificato, invece, come il punto in cui trova
fine la vera e propria procedura concorsuale e, conseguentemente, la giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo fino a quel momento esplicantesi, per espressa
volontà legislativa, su atti sostanzialmente privatistici.
In sintesi, dunque, se rimane ferma la premessa della natura privatistica delle
procedure concorsuali, la giurisdizione del giudice amministrativo in materia sarà di
tipo esclusivo. Alla sua cognizione sarà certamente devoluta la controversia relativa
all'impugnazione da parte dell'aspirante dipendente del bando e della procedura tutta
fino all'approvazione della graduatoria, momento in cui cessa la materia devoluta alla
sua giurisdizione. Tutte le controversie relative all'assunzione, configurabili dal
momento dell'approvazione della graduatoria in poi, sono devolute al giudice
ordinario ai sensi del comma 1, dell'art. 63 D. Lgs. n. 165/2001. Qualora l'aspirante
dipendente, successivamente all'approvazione della graduatoria, faccia valere il suo
diritto all'assunzione, certamente appartenente alla giurisdizione ordinaria, ed impugni
contestualmente il bando di concorso o deduca l'illegittimità di altro momento della
66
procedura selettiva, il giudice del lavoro dovrebbe provvedere a sospendere il
processo in attesa della definizione di quello amministrativo. Detto in altri termini,
nell'ambito della materia delle procedure concorsuali per l'assunzione non dovrebbero
operare né il divieto di sospensione né il meccanismo della disapplicazione; si tratta di
strumenti che il legislatore avrebbe aggiunto all'armamentario del giudice ordinario
solo in relazione a tutte le altre materie devolute alla sua cognizione.
2.3
La disapplicazione dell’atto amministrativo presupposto e la
pregiudizialità amministrativa
La tesi della non esclusività della giurisdizione ordinaria nell'ambito delle
controversie relative al pubblico impiego privatizzato trova una conferma implicita
nell'attribuzione al giudice ordinario del potere di disapplicare l'eventuale atto
amministrativo presupposto illegittimo, quando esso sia rilevante ai fini della
decisione, e nell'ulteriore statuizione, contenuta nel comma 1, dell'art. 63 D.Lgs. n.
165/2001, secondo cui «l'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto
amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo».
Pur preoccupandosi di assicurare la materia della gestione del rapporto di lavoro
e della cosiddetta “micro-organizzazione” alla sfera privatistica, il legislatore della
riforma, come già anticipato, non ha portato a compimento la privatizzazione e
l’intera devoluzione della materia del pubblico impiego al giudice ordinario, così
come sarebbe stato auspicabile146, relegando alla sfera pubblicistica la materia della
146
D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 30.
67
cosiddetta “alta o macro-organizzazione” comprendente la definizione delle linee
fondamentali di organizzazione degli uffici, l'individuazione degli uffici di maggiore
rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi e la determinazione
delle dotazioni organiche complessive. Non ha, conseguentemente, optato, per un
sistema giurisdizionale unico in cui il giudice ordinario possa emanare provvedimenti
con effetti demolitori sugli atti amministrativi di macro-organizzazione.
La soluzione che è sembrata la più conforme al nuovo assetto, ancora per certi
versi “ibrido” del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, nonché quella più adeguata
per assicurare al dipendente pubblico una tutela piena ed efficace, è stata allora
rintracciata nella espressa possibilità per il giudice ordinario, investito della
controversia sul rapporto di lavoro, di disapplicare l’atto amministrativo presupposto,
se rilevante ai fini della decisione.
Il giudice ordinario può, infatti, adottare tutti i «provvedimenti di accertamento,
costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati» con effetti di
giudicato nei confronti degli atti privatistici e, allo stesso tempo, disapplicare gli atti
amministrativi illegittimi, attraverso una cognizione in via incidentale, destinata cioè
a non trovare mai l’autorità di res iudicata. Quindi, se ne accerta la non conformità
alla legge lo considera tamquam non esset e deciderà la causa senza tenerlo in
considerazione.
La disposizione, come è stato correttamente osservato, non introduce un
principio nuovo nel nostro ordinamento, ricalcando espressamente
l'art. 5
dell'allegato E della Legge n. 2248 del 1865 sull'abolizione del contenzioso
amministrativo, tanto che identica soluzione era stata già prospettata nella vigenza
68
della prima fase della privatizzazione147.
Può, infatti, senza dubbio, convenirsi sul fatto che si è assistito ad una semplice
reintroduzione di una regola generale così risalente, tal che l’espressa previsione
potrebbe in astratto considerarsi superflua, a meno che non le si attribuisca il pregio di
aver ripristinato ciò che non trovava più applicazione da tanti anni148.
Il riconoscimento espresso della possibilità di conoscere incidenter tantum degli
atti amministrativi, invero, se si tiene presente quanto già precedentemente esposto,
potrebbe essere la naturale conseguenza dell’insussistenza di atti amministrativi che
possano incidere direttamente sul rapporto di lavoro149.
In sostanza, può dirsi che non ci sono atti a rilevanza pubblicistica direttamente
incidenti sul rapporto di lavoro150 che il giudice ordinario può annullare e in questo
senso la disapplicazione non costituisce una limitazione alla sua cognizione. Sarebbe
stato superfluo, dunque, consentire al giudice ordinario di conoscere i provvedimenti
amministrativi a tutti gli effetti cosicché il legislatore ha solamente, ma
sufficientemente, previsto che egli possa estendere la propria cognizione su di essi per
quanto riguarda il profilo di legittimità.
Per ciò che riguarda la contemporanea pendenza del giudizio amministrativo,
come già detto, l’art. 63 D.Lgs. 165/2001 dispone che “l'impugnazione davanti al
147
D. Borghesi, La giurisdizione, cit., 1134.
M. G. Garofalo, Il trasferimento di giurisdizione nel lavoro pubblico, cit., 500 ss.
149
D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 31; A. Corpaci, La
giurisdizione dopo la seconda fase della riforma: novità e prima applicazione, cit., 1058; Per A.
Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit., 84 il potere
di disapplicazione dell'atto amministrativo è, invece, il segno evidente che la privatizzazione del
pubblico impiego non «non fa venire meno le situazioni di interesse legittimo del dipendente».
150
Per A. Travi, La giurisdizione civile nelle controversie di lavoro dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, in Dir. proc. amm., 2000, 305, questo è il presupposto essenziale su cui si basa il
potere di disapplicazione del giudice ordinario e l'obbligo di non sospendere il processo in caso di
contemporanea pendenza del giudizio amministrativo.
148
69
giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non è
causa di sospensione del processo”.
Il problema della contemporanea pendenza dei due giudizi si era già proposto
nelle forme di un acceso dibattito nel sistema precedente la novella di cui al D.Lgs. n.
80/98.
Secondo una prima ricostruzione dottrinale151, il giudice ordinario era tenuto a
disporre la sospensione del processo ex art. 295 Cod. Proc. Civ., attendendo la
definizione del giudizio amministrativo, cui poi uniformarsi.
La seconda soluzione, in applicazione di una più generale regola valida per i
rapporti tra processo civile e amministrativo, prospettava la possibilità per il giudice
civile, in pendenza di un giudizio amministrativo sull’atto, di decidere la controversia,
disapplicando, se illegittimo, l’atto amministrativo presupposto152.
Il legislatore della seconda privatizzazione, supportato dalla giurisprudenza
prevalente153, ha inteso ribadire il divieto di sospensione, neutralizzando, di fatto, il
sistema della pregiudizialità amministrativa.
Nell'ottica del legislatore, dunque, in astratto, i due processi devono proseguire
autonomi e separati dato che l’esito del giudizio d’impugnazione dell’atto
amministrativo, davanti al giudice amministrativo, non può mai pregiudicare il diritto
di cui si chiede la tutela davanti al giudice ordinario154.
A riguardo è, però, opportuno chiedersi quando effettivamente possa operare il
151
Sostenuta da A. Corpaci, La tutela giurisdizionale dei pubblici dipendenti, in Dir. lav. rel. ind.,
1993, n. 59, 623.
152
D. Borghesi, La giurisdizione in F. Carinci, M. D’Antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche, 1995, cit., 1135; nello stesso senso ma con differenti risvolti A.
Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego, cit., 102.
153
V. Cass. 10 aprile 1990, n. 3019, in Rep. Foro it., 1990, voce Sanità pubblica, n. 252.; Cass. 3
marzo 1992, n. 2568, in Rep. Foro it., 1992, voce Lavoro ( collocamento), n. 76.
154
G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di lavoro, cit., 1824.
70
divieto di sospensione del giudizio ordinario ovvero, detto in altri termini, quando
possa profilarsi una posizione del dipendente, qualificabile come interesse legittimo,
sì da poter o dover155 proporre anche l’impugnazione innanzi al giudice
amministrativo.
La dottrina e la giurisprudenza, pur partendo dal comune assunto della non
necessarietà della sospensione del processo ex art. 295 Cod. Proc. Civ., si attestano su
posizioni discordanti. Secondo una prima ricostruzione156, il sistema configurato dal
legislatore può ancora far insorgere situazioni di “doppia tutela”, essendo ben
possibile che vi sia la contemporanea instaurazione di due giudizi, uno innanzi al
giudice amministrativo avverso l'atto di macro-organizzazione e l'altro, innanzi al
giudice ordinario, per la tutela del diritto vantato nell'ambito del rapporto di lavoro. Il
sistema della tutela binaria, sebbene fondato sul principio della effettività della tutela
ex art. 24 Cost., porrebbe, però, non pochi problemi di ordine sistematico e pratico. Ci
si chiede cosa accada quando, ad esempio, il giudice ordinario disapplichi l’atto
presupposto prima che riesca a pronunciarsi il giudice amministrativo157 o, ancora, nel
E’ stato rilevato che l’impugnazione dell’atto amministrativo sia necessaria per impedire il
consolidamento dell’atto stesso v. A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia
di pubblico impiego, cit., 100.
156
A. N. Filardo, Alcune riflessioni su aspetti problematici del passaggio della giurisdizione al
giudice ordinario in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in Giust.
Civ.,1999, II, 33; F. Panariello, F. Giugliano, V. Amirante, Sub art. 68, D.Lgs. n. 29/1993, in M.
Rusciano, A. Corpaci, L. Zoppoli (a cura di), La riforma dell’organizzazione dei rapporti di lavoro e
del processo nelle amministrazioni pubbliche. Commentario, in Nuove Leggi civ. Comm., 1999, 1442;
R. Tiscini, Commento all’art. 29, D.Lgs. n. 80 del 1998, in M. Dell’Olio, B. Sassani (a cura di),
Amministrazioni pubbliche, lavoro, processo, Commento ai D.Lgs. n. 80 e 387 del 1998, Giuffrè,
Milano, 2000, 328; M. Tatarelli, La tutela della professionalità nel lavoro pubblico contrattualizzato,
in Mass. Giur. Lav., 2003, 1-2, 78. In giurisprudenza v. Tar Napoli Campania, Sez. V, 18 dicembre
2003, n. 15454, in Foro amm. Tar, 2003, 3602; Tar Napoli Campania, Sez. V, 22 ottobre 2003, n.
13054, in Giust. Civ., 2004, I, 1851; Cass., sez. lav., 5 marzo 2003, n. 3252, in Lav. pubbl. amm., 2003,
3-4, 0608, con nota di R. Bocci, La doppia tutela nei casi di atti amministrativi presupposti e diritti
soggettivi ed i poteri del giudice ordinario. L'inesistenza del diritto soggettivo allo scorrimento della
graduatoria in comune.
157
Una volta che il giudice civile abbia deciso sulla violazione del diritto disapplicando l’atto
organizzativo in quanto illegittimo, il successivo annullamento (necessario) dell’atto si pone quale
155
71
caso in cui il giudice amministrativo dichiari la legittimità dell’atto e successivamente
il giudice ordinario lo ritenga illegittimo ai fini della disapplicazione158.
Il secondo filone dottrinale consente, invece, di superare i problemi di ordine
pratico e, interpretando l’art. 63 in armonia con il sistema, esclude, anche sulla base
della struttura della norma de quo159, la duplicità delle azioni ed ammette il ricorso
all’autorità giurisdizionale amministrativa del solo terzo estraneo al rapporto di
lavoro, titolare di una situazione giuridica legittimante160.
L’assunto di ordine processuale ha un chiaro presupposto di natura sostanziale
secondo cui non esistono interessi legittimi che consentano al dipendente di
impugnare gli atti macro-organizzativi innanzi al giudice amministrativo161.
Il concetto è autorevolmente espresso da Borghesi come segue: «ben
difficilmente il mantenimento in vita dell’atto amministrativo costituirà una fonte di
modalità e forma dell’esecuzione del decisum civile, alla quale la p.a. dovrà conformarsi op
spontaneamente o forzatamente per la via del giudizio di ottemperanza, così R. Tiscini, Commento
all’art. 29, D.Lgs. n. 80 del 1998, cit., 330.
158
Generalmente dovrebbe ammettersi la possibilità per il giudice ordinario di disapplicare l’atto;
Contra Cass. 27 marzo 1997, n. 2721, in Mass. Giust. Civ., 1997, 475 “secondo cui il giudice ordinario
non può disapplicare un atto della P.A., quando la sua legittimità, sia stata affermata dal giudice
amministrativo nel contraddittorio della parte e con autorità di giudicato”. Se così fosse, però,
bisognerebbe precisare che la pronuncia di rigetto della domanda di dichiarativa dell’illegittimità, e
quindi il giudicato amministrativo, copra solamente i vizi dedotti nell’impugnativa innanzi al giudice
amministrativo e non eventuali altri vizi non dedotti davanti sui quali non viene meno il potere di
disapplicazione del giudice ordinario.
159
B. Caruso, intervento alla Conferenza “Il giudice del lavoro ed il pubblico impiego”, Siracusa, 23
gennaio 1999, in www.diritto.it.
160
D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 33; L. Torchia, Giudice
amministrativo e pubblico impiego dopo il D.Lgs. 80/98, cit., 1061; M. D’Antona, Contratto collettivo,
sindacati e processo del lavoro dopo la seconda privatizzazione del pubblico impiego .Osservazioni sui
D.Lgs. n. 396/1997, n. 80/1998 e n. 387/1998), cit., 629; contra A. Pozzi, Lavoratori pubblici e
giurisdizione esclusiva tra principi costituzionali e effettività di tutela, in Lav. pubbl. amm., 2007, 3-4,
595 ss., che definisce «sconcertante» ritenere carente di interesse il lavoratore che intenda impugnare al
TAR. l'atto di macro-organizzazione.
161
D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 32; A. Corpaci, La
giurisdizione dopo la seconda fase della riforma: novità e prima applicazione, cit., 1058; L. De
Angelis, La giurisdizione nelle controversie dei dipendenti di pubbliche amministrazioni tra interessi
legittimi (di diritto privato), pubblici servizi, regime transitorio, in Lav. pubbl. amm., 2000, 307; A.
Garilli, Il riparto di giurisdizione tra organizzazione amministrativa e rapporto di lavoro, in Lav.
pubbl. amm., 2000, 726 ss.; F. Carinci, Le fonti della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze
delle pubbliche amministrazioni, in Arg. dir. lav., 2000, 55.
72
pregiudizio per il dipendente che … non è soggetto agli effetti diretti dell’atto
amministrativo e che ha già ottenuto dal giudice ordinario, nei limiti e con gli
strumenti della tutela che gli è propria, la rimozione degli effetti degli atti (privatistici)
lesivi del suo diritto, che potranno anche essere la mera applicazione di quelli che
sono espressione della potestà organizzativa dell’ente, ma che con questi non possono
essere confusi»162.
D'altra parte è stato lo stesso giudice amministrativo, già negli anni della prima
privatizzazione, a negare la legittimazione ad impugnare un atto amministrativo del
dipendente pubblico, qualificando la posizione del pubblico dipendente in termini di
"interesse di mero fatto"163.
Innanzi a tali atti, la posizione del dipendente, infatti, non è diversa
dall’interesse di qualsiasi cittadino a che l’amministrazione operi correttamente e
nella legalità. E a nulla vale obiettare che in questo modo i poteri
dell’amministrazione risultano insindacabili da parte dei lavoratori, i quali, anzi,
dovrebbero avere maggior interesse, rispetto al terzo, al corretto funzionamento della
pubblica amministrazione164. Poiché, se è vero che tale interesse del lavoratore sia
162
D. Borghesi, La giurisdizione, cit., 1137.
V. A. Corpaci, La giurisdizione dopo la seconda fase della riforma: novità e prima applicazione,
cit. che riporta alla nota 10 «Così T.A.R. Toscana, sez. II, 17.7.1989, n. 722, in TAR, 1989, I, 3579,
secondo cui le mere aspettative relative a sviluppi di carriera non hanno tutela a fronte della potestà
organizzatoria della p.a. (diversamente Cons. giust. Amm., 2.3.1989, n. 51, in Foro Amm., 1995, 572);
Cons. Stato, sez. IV, 6.3.1995, n. 159, ivi, 1995, 572, secondo cui ogni p.a. dispone di un'ampia libertà
di apprezzamento nel momento in cui determinino, in generale, le posizioni di lavoro necessarie per il
funzionamento delle proprie strutture operative e, nei confronti delle predette scelte, i dipendenti sono
titolari di un interesse di mero fatto; Cons. Stato, sez. IV, 25.2.1994, n. 175, ivi, 1994, 380, secondo cui
nei confronti dell'ampliamento della pianta organica, essendo tale atto finalizzato non già ad un
migliore e più articolato sviluppo delle carriere del personale, bensì solo a precostituire le condizioni
perché l'ente possa meglio svolgere le proprie funzioni, i dipendenti non sono legittimati a proporre
impugnazione».
164
D. Iaria, L’ambito oggettivo della giurisdizione del giudice del lavoro e del giudice
amministrativo dopo i decreti legislativi n. 80 e 387 del 1998, cit., 298; F. Panariello, F. Giugliano, V.
Amirante, Sub art. 68, D.Lgs. n. 29/1993, cit., 1448; A. N. Filardo, Alcune riflessioni su aspetti
163
73
maggiore e “qualificato” in virtù dell’esistenza del rapporto di lavoro, la giurisdizione
dovrebbe a fortiori appartenere al giudice ordinario, in aderenza al dato positivo che
depone per la concentrazione della tutela del dipendente pubblico innanzi ad esso.
Parte della dottrina da ultimo citata, spingendosi ben oltre, ritiene che anche
qualora possa in qualche modo parlarsi di interessi legittimi del dipendente165, la
tutela di essi resterebbe assorbita da quella concessa dall’ordinamento contro l’atto di
gestione166 e quindi innanzi al giudice ordinario attraverso il meccanismo della
disapplicazione. Ciò che conta è che il dipendente trovi nel sistema offerto dal
legislatore adeguata tutela ex art. 24. Cost. e che la sua posizione non sia lesa
dall’eventualità che un atto amministrativo presupposto sia ancora esistente e
consolidato. Diversamente argomentando si finirebbe per ammettere che la pronuncia
del giudice ordinario rimanga, senza il previo annullamento dell’atto presupposto, un
flatus vocis, come ad esempio nel caso in cui il lavoratore non possa essere reintegrato
perché un atto amministrativo ha eliminato quel posto di lavoro nella pianta
organica167. Si finirebbe, occorre sottolinearlo, per ammettere implicitamente che
anche nel sistema del lavoro privato la soppressione del posto impedisca la
reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato. A riguardo è doveroso
ricordare una singolare pronuncia della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, che ha
problematici del passaggio di giurisdizione al giudice del lavoro in materia di lavoro alle dipendenze
delle pubbliche amministrazioni, cit., 329; R. Tiscini, Commento all’art. 29, D.Lgs. n. 80 del 1998, cit.,
481.
165
In questo senso e per la configurabilità di un autonoma possibilità di impugnazione innanzi al
giudice amministrativo A. Manna, F. Manna, La giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico
impiego, cit., 102; G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di lavoro, cit., 1819; B. Sassani,
Il passaggio alla giurisdizione ordinaria del contenzioso sul pubblico impiego: poteri del giudice,
esecuzione della sentenza, comportamento antisindacale,contratti collettivi in Cassazione, cit., 844; R.
Vianello, Gli interessi legittimi nel pubblico impiego privatizzato, cit., 844; P. Sordi, I poteri del
giudice ordinario nelle controversie di pubblico impiego, in Corr. Giur., 1999, 508 ss.
166
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1232.
167
Così S. Menchini, La tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi nel pubblico impiego
privatizzato, in Riv. Dir. Proc., 2002, 442.
74
cercato, con affermazioni più di principio che con soluzioni di ordine pratico, di
ridurre lo spazio di intervento del giudice amministrativo168. Si ammette che dallo
"sdoppiamento" di attribuzione tra giudice del provvedimento e giudice dell'atto di
gestione, emergono profili problematici quanto all'ambito di protezione riservato al
dirigente (ma anche a qualsiasi dipendente pubblico), stante la portata lesiva che nei
suoi confronti può assumere un atto generale di organizzazione, sia ex sé, sia in
quanto presupposto illegittimo per l'assunzione di un atto paritetico.
Tuttavia, non potendo spingersi oltre, la Corte riconosce che nei pochi casi,
circoscritti negli angusti limiti di cui all’art. 2, comma 1, D.Lgs. 165/2001, in cui un
atto amministrativo di auto-organizzazione possa essere solo astrattamente
considerato come immediatamente e direttamente lesivo degli interessi dell'impiegato
pubblico - avendo in realtà, come qui si crede, solo un efficacia indiretta o riflessa sul
rapporto di lavoro - può aversi spazio per l’annullamento dell’atto innanzi al giudice
amministrativo. Negli altri casi, certamente più frequenti, ove l’atto privatistico di
gestione del rapporto di lavoro costituirebbe una “mera applicazione dell’atto di
autorganizzazione”, non solo non si può negare la giurisdizione ordinaria e la
possibilità della disapplicazione dell’atto, ma si deve ritenere che non sia consentito
«al titolare del diritto soggettivo, che risente degli effetti di un atto amministrativo, di
scegliere di rivolgersi al giudice amministrativo per l'annullamento dell'atto, oppure al
giudice ordinario per la tutela del rapporto di lavoro previa disapplicazione dell'atto
presupposto»169, essendo certamente la seconda assorbente rispetto alla prima.
168
Cass., sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3677, in Guida al diritto, 2009, 14, 30 con nota di P.
Pirruccio, Il termine di scadenza del successivo contratto rimane ancorato all'accordo originario.
169
Il principio era già stato affermato in Cass., sez. un., 5 giugno 2006, n. 13169, in Giust. Civ.,
2006, 12, 2951.
75
La decisione, qui riassunta, invero, traccia un confine alquanto labile tra le due
possibilità di tutela e contempla, come ben è stato evidenziato, tale eventualità solo
con riferimento alle modifiche della pianta organica170 che è certamente uno dei casi
più frequenti, ma non il solo.
Ciò nonostante, essa mostra, con tutta evidenza, importanti aperture nel solco
della onnicomprensività della giurisdizione ordinaria, soprattutto laddove ritiene
"insito nel sistema" che il provvedimento di macro-organizzazione, anche se non
sottoposto ad annullamento ma, disapplicato dal giudice ordinario, non valga a
sorreggere l'atto di gestione consequenziale, comportando il pieno ripristino della
situazione precedente, non potendosi ipotizzare una disapplicazione "dimidiata",
ristretta alla riparazione in forma generica, cioè al solo risarcimento del danno171.
Ben diversa è, invece, l'interpretazione giurisprudenziale, anche delle stesse
Sezioni Unite172, quando vengono in questione controversie attinenti latu sensu a
procedure concorsuali. Lo spazio per la giurisdizione amministrativa che, come sopra
detto, subisce, o dovrebbe subire, una netta compressione, tende a riespandersi del
tutto quando l'interessato, dichiarato idoneo in un precedente concorso, contesti la
scelta dell'amministrazione, a seguito della determinazione della consistenza delle
dotazioni organiche di personale, di indire un nuovo concorso, anziché utilizzare la
graduatoria già precedentemente formata. Per la Cassazione, infatti, la situazione
descritta fa insorgere in capo al candidato idoneo di una posizione di interesse
170
Così correttamente R. Papania, Gli atti di organizzazione tra questioni di giurisdizione e
esecuzione in forma specifica, in Foro amm. CDS, 2009, 4, 920.
171
In questa parte la sentenza smentisce, come era auspicabile, quella dottrina secondo cui la
disapplicazione dell’atto non sia sufficiente per disporre la reintegrazione in forma specifica (es. la
reintegrazione nel posto di lavoro) v. S. Menchini, La tutela dei diritti soggettivi e degli interessi
legittimi nel pubblico impiego privatizzato, cit., 442.
172
Cass., sez. un., 13 giugno 2011, n. 12895, in Red. Giust. civ. Mass., 2011, 6.
76
legittimo e non di diritto soggettivo. L'argomentazione non è, ovviamente,
condivisibile.
Se si tiene presente quanto prima riferito in ordine alla configurabilità di una
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di procedure concorsuali
per l'assunzione, trattandosi di atti privatistici, al giudice ordinario potrebbe in astratto
competere di valutare gli atti del concorso. Tuttavia, se viene adito ai fini del
riconoscimento del diritto all'assunzione ed allo stesso tempo venga dedotta la
contestazione della scelta dell'amministrazione di indire un nuovo concorso, egli non
può conoscerne quest'ultima materia in via principale, avendo il legislatore optato per
la devoluzione al giudice amministrativo: se la decisione deve essere presa con
efficacia di giudicato o quando il giudice amministrativo è già stato investito della
relativa controversia egli può procedere alla sospensione per pregiudizialità173.
Se ne deve dedurre, come già detto, che ove la controversia relativa
all'assunzione implichi il sindacato sulla legittimità degli atti concorsuali, nessun
potere di disapplicazione è consentito al giudice ordinario.174
173
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1226.
Così R. Vaccarella Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico
impiego e sull'arbitrato in materia del lavoro, in Arg. dir. Lav., 1998, 719; S. Evangelista, Pubblica
amministrazione e assunzioni: forme, conseguenze e mezzi di tutela, in Dir. & Giust., 2003, n. 12, 27; P.
Sordi, Il giudice ordinario e le procedure selettive e concorsuali nel lavoro pubblico, in Lav. pubbl.
amm., 2005, 295-296.
174
77
2.4
Provvedimenti del giudice ordinario in funzione di giudice del
lavoro
Prima della seconda fase della privatizzazione, inaugurata con la legge delega n.
59 del 1997, non era chiaro quali provvedimenti potessero essere assunti dal giudice
ordinario nelle controversie di lavoro pubblico.
La dottrina offriva due soluzioni diverse: la prima, tenuto conto dei limiti posti
dall’art. 4 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo («…i Tribunali si
limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in
giudizio»), affermava l’impossibilità per il giudice ordinario di emanare
provvedimenti diversi da quelli di condanna ad un facere175. I fautori della seconda
ammettevano, invece, che il giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro
potesse adottare nei confronti del datore di lavoro pubblico, tutti i provvedimenti con
effetti non solo dichiarativi, ma anche costitutivi, modificativi ed estintivi di un
rapporto giuridico176.
Con l’intervento legislativo del 1998 quest’ultima interpretazione diviene norma
positiva, dal momento che l’attuale art. 63 D.Lgs.165/2001 (art. 68 D.Lgs. n. 80/1998)
dispone che «il giudice ordinario adotta, nei confronti delle pubbliche
amministrazioni, tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi o di condanna,
richiesti dalla natura dei diritti tutelati».
Il nodo centrale della disposizione è che al giudice ordinario competono tutti i
poteri propri del giudice del lavoro e che può adottare tutti i provvedimenti,
175
Così R. Pessi, Processo del lavoro e pubblico impiego: alcune riflessioni, in Mass. Giur. Lav.,
1993, 402.
176
D. Borghesi, La giurisdizione, cit., 1129.
78
scegliendo, di volta in volta, quello che garantisce la tutela più adeguata al diritto leso.
A ben vedere, il principio era già insito nella devoluzione delle controversie al
giudice ordinario innanzi al quale non è necessaria nessuna opera di adattamento per
assicurare una tutela efficace come era avvenuto, invece, nell’ambito del giudizio
amministrativo177; ciò nonostante, il legislatore ha voluto ribadire che i poteri di cui
dispone il giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione sono gli
stessi che ha nei confronti del datore di lavoro privato «senza limitazioni e senza
posizioni di privilegio»178.
Il giudice ordinario può, quindi, emettere decisioni con effetti dichiarativi come
le sentenze di accertamento che riconoscono, ad esempio, il diritto all’assunzione, il
diritto alle ferie o al riposo, e così via, e potrà anche offrire una tutela di condanna.
Con riferimento a quest’ultima, egli non incontra limiti né in relazione al
contenuto del provvedimento, che potrà essere di condanna ad un facere o ad un non
facere dato che, al più, i problemi potranno sorgere nella fase dell’esecuzione forzata
e in ogni caso «una cosa è il tipo di provvedimento che il giudice può adottare, altra
cosa è la sua attitudine ad essere eseguito in forma specifica»179 né per quanto
riguarda la struttura del procedimento; non c’è alcun dubbio, infatti, circa
l’esperibilità innanzi al giudice ordinario di tutti i tipi di procedimenti speciali, purché
compatibili con il processo del lavoro, quali quelli di tipo ingiuntivo o, comunque, a
177
Si veda Corte cost. 23 aprile 1987, n. 146, in Foro it., 1987, I, p. 1349 che ha esteso alle
controversie relative al pubblico impiego sottoposte alla giurisdizione dei TAR e in relazione ai diritti
di natura patrimoniale i provvedimenti d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. e ha introdotto la possibilità,
nelle controversie in cui siano coinvolti diritti soggettivi, che vengano ammessi i mezzi di prova (prova
testimoniale, consulenza tecnica e interrogatorio libero) previsti dal codice di procedura civile per il
processo del lavoro.
178
V. G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di lavoro, cit., 1827.
179
F. Buffa, La giurisdizione del giudice del lavoro: ambito, poteri e limiti, Relazione al Convegno
su “Pubblico impiego tra giurisdizione esclusiva e giurisdizione ordinaria”, Lecce, 12 dicembre 1998.
79
cognizione sommaria.
Allo stesso modo non si può escludere, in ogni stato del giudizio, che il giudice
ordinario pronunci un'ordinanza di condanna al pagamento di una somma non
contestata ex art. 423, comma 1 Cod. Proc. Civ. o, sulla base del comma 2, al
pagamento di una somma a titolo provvisorio, quando ritenga il diritto accertato e nei
limiti della quantità per cui ritenga raggiunta la prova180.
Stesse conclusioni per i provvedimenti cautelari, ad effetti anticipatori e ad
effetti conservativi, cui si applica la disciplina comune anche per quanto riguarda il
periculum in mora che deve sempre sussistere come presupposto, non potendosi
escludere sulla base della natura pubblica del datore di lavoro.
Per quanto riguarda la possibilità per il giudice ordinario di pronunciare
sentenze costitutive, cioè provvedimenti che incidono direttamente sull’atto o sul
comportamento della pubblica amministrazione lesivi del diritto del lavoratore, deve,
innanzitutto, escludersi che la previsione costituisca una deroga all’art. 4 della legge
20 marzo 1865, n. 2248, all. E, come sostenuto da una parte della dottrina181, sia
perché, se si tratta di atti relativi al rapporto di lavoro ove la pubblica amministrazione
opera iure privatorum, sia perché la legge prevede, in presenza di atti amministrativi
presupposti, il potere di disapplicarli.
L’unico limite da ritenere esistente è quello per cui gli atti in questione siano
relativi al rapporto di lavoro – dovendo ritenersi escluso che la pronuncia costitutiva
180
V. G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di lavoro, cit., 1829; A. Vallebona,
Provvedimenti del giudice ed esecuzione nelle controversie di lavoro pubblico, in Arg. dir. lav., 2000,
220. Contra nel senso che si supererebbero i limiti di cui alle legge sul contenzioso amministrativo R.
Vaccarella, Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico impiego e
sull’arbitrato in materia di lavoro, in Arg. dir. lav, 1998, 721.
181
P. Matteini, V. Talamo, Il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80: il completamento della riforma del lavoro
pubblico in attuazione della delega contenuta nella legge n. 59/1997. Prime analisi, in Lav. pubb.
amm., 1998, 391.
80
possa annullare gli atti amministrativi - oltre al limite generale di cui all’art. 2908
Cod. Civ.; quest’ultimo è, invero, alquanto discusso, dato che l’art. 63 nel citare le
sentenze costitutive con quelle di accertamento e di condanna sembra riferire a tutti i
tipi di provvedimento l’unico limite della “natura del diritto tutelato”, con la logica
conseguenza del superamento dei limiti posti dall’art. 2908 Cod. Civ.182
In questo senso, allora, l’ulteriore inciso presente nella norma, secondo cui le
«sentenze con le quali [il giudice] riconosce il diritto all'assunzione, ovvero accerta
che l'assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno
anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro» potrebbe
ritenersi superfluo non essendovi dubbio che tali pronunce siano necessarie per dare
effettiva tutela al diritto all’assunzione183. Eppure, essa è stata veramente utile poiché,
contribuendo a rimuovere timori (e pregiudizi) che da sempre accompagnano il
rapporto tra sindacato del giudice ordinario e attività della pubblica amministrazione,
ha consentito di superare il contrasto dottrinale sulla possibilità di costituire il
rapporto di lavoro pubblico mediante sentenza del giudice184.
Il vero aspetto problematico della previsione in parola è, però, l’individuazione
dei casi in cui il rapporto di lavoro possa essere costituito iussu iudicis o, detto in altri
termini, quando possa sorgere un diritto all’assunzione del lavoratore cui corrisponda
l’obbligo per la pubblica amministrazione di provvedere all’assunzione.
Com’è noto, nell’ambito del lavoro privato, il giudice può rimediare alla
illegittima risoluzione del rapporto di lavoro mediante l’istituto della reintegrazione,
182
Così B. Sassani, Il passaggio alla giurisdizione ordinaria del contenzioso sul pubblico
impiego:poteri del giudice, esecuzione della sentenza, comportamento antisindacale,contratti collettivi
in Cassazione, cit., 9 ss.
183
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1237.
184
Cass. 2 novembre 1991, n. 11660, in Giust. civ., 1992, I, 2431.
81
ma non è disciplinata l’ipotesi, tipica del lavoro pubblico, in cui colui che “aspiri” a
diventare dipendente185, come può avvenire a seguito della partecipazione ad un
concorso pubblico, maturi un diritto all’assunzione non rispettato dal datore, o quella
inversa di assunzione illegittima, perché effettuata senza il rispetto delle norme
procedurali e sostanziali.
Ovviamente, bisogna precisare che i due casi possono anche presentarsi
congiuntamente quando un soggetto, senza averne titolo, occupi il posto di lavoro di
altro soggetto avente diritto; casi in cui, peraltro, vertendo il giudizio su un rapporto
sostanziale plurilaterale, non può che postularsi la necessità del litisconsorzio ai sensi
dell’art. 102, comma 2, Cod. Proc. Civ., ogni qual volta la pronuncia su di esso non
possa essere efficace, neppure tra i partecipanti al giudizio, se non in quanto resa nei
confronti di tutti i soggetti186. La pronuncia del giudice avrà ad oggetto, dunque, un
unico diritto all’assunzione nei confronti di più parti che aspirano ad esserne titolari e
ha effetto costitutivo ed estintivo riferiti rispettivamente al diritto all’assunzione e
all’assunzione illegittima187.
Nell’ambito del lavoro pubblico privatizzato, il diritto all’assunzione, come
diritto a che venga costituito il rapporto di lavoro, può venire in rilievo, ed è questa
l’ipotesi più controversa, quando, esaurita la procedura concorsuale, si giunga
all’approvazione della graduatoria. Il riconoscimento di un tale diritto, che nella fase
antecedente alla privatizzazione, era stato negato dalla prevalente giurisprudenza del
185
Lo esclude la giurisprudenza maggioritaria ex multis v. Cass., 16 maggio 1998, n. 4953, in Orient.
Giur. Lav, 1998, 311.
186
C. Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, I, Giappichelli, Torino, 2005, 334. D. Borghesi,
La giurisdizione del giudice ordinario, cit, 1235.
187
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit, 1235.
82
Consiglio di Stato188, è ancora dubbio in dottrina e in giurisprudenza.
Potrebbe rilevarsi, prima facie, che un riconoscimento in tal senso esporrebbe
ad una divergenza di disciplina tra pubblico e privato non facilmente giustificabile sul
piano sistematico, tanto da indurre a riconoscere unicamente valore processuale al
comma 2 dell’art. 63 D.Lgs. n. 165/2001 che, nulla aggiungendo in termini di pretese
azionabili, autorizza semplicemente il giudice a pronunciare nei confronti del datore
pubblico anche sentenze costitutive, con la conseguenza che il riferimento al diritto
all'assunzione ed alle sentenze costitutive del rapporto di lavoro contenuto nell'art. 63
deve leggersi quale elemento avente «mera portata ricognitiva di fattispecie giuridiche
già rinvenibili nell'attuale ordinamento giuridico»189.
Tuttavia è innegabile, e in questo senso la disparità di trattamento potrebbe
giustificarsi, che nel caso dell’impiego pubblico, e diversamente dal lavoro privato
ove è quasi inesistente, la procedura concorsuale rappresenta lo strumento di selezione
obbligatorio e necessario ex art. 97 Cost. rispettivamente per l’aspirante per l'accesso
al lavoro e per la pubblica amministrazione per il reclutamento.
In ossequio alle regole privatistiche trasposte nel rapporto di lavoro pubblico,
dovrebbe ritenersi che un diritto all’assunzione dell’aspirante possa sorgere solo
quando l’amministrazione abbia formulato una proposta diretta alla conclusione di un
accordo preliminare all’assunzione; solo in questi casi, e non anche quando manchi la
proposta, l’avente diritto può, contro l’inerzia della pubblica amministrazione,
188
Con riferimento al vincitore di concorso per la copertura di un posto v. Cons. Stato 9 marzo 1995,
n. 315, in Consiglio di Stato, 1995, I, 349 e Cons. Stato 23 aprile 1998, n. 478, in Consiglio di Stato,
1998, I, 617.
189
Così L. Zappalà, Le trasformazioni del lavoro pubblico nel prisma delle politiche di reclutamento.
Il caso del “diritto all’assunzione”, in Lav. Pubbl. amm., 2000, 284 ss. richiamata da R. Vianello,
Pubblico impiego privatizzato e posizioni giuridiche transgeniche, in Lav. pubbl. amm., 2000, 5, 923,
nota a Trib. Pordenone, 8-20 marzo 2000.
83
attivarsi e richiedere una pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro ed,
eventualmente, l’annullamento di quello del soggetto che non ne abbia titolo190.
Tale regola è valida sia nel caso di assunzione diretta (ad esempio i soggetti
inseriti in una graduatoria da utilizzare nei casi di posti scoperti in organico) sia nel
caso di assunzione previo espletamento di una procedura concorsuale quando, a
seguito della proclamazione del vincitore, deve essere emanato un atto negoziale
valido come proposta contrattuale della pubblica amministrazione191.
In altre parole, il vincitore del concorso può agire innanzi al giudice ordinario
soltanto se l’amministrazione abbia preventivamente formulato una proposta
contrattuale a chi risulta essere il primo in graduatoria che ha il pregio di far nascere
un vero e proprio diritto all’assunzione azionabile innanzi al giudice ordinario192.
Ovviamente tale diritto deve ritenersi configurabile anche quando la pubblica
amministrazione prima dell’espletamento della procedura concorsuale, formuli
proposte negoziali dirette all’assunzione.
A riguardo è bene rilevare che la maggior parte dei bandi, se non tutti, delinea
con estrema precisione il contenuto essenziale delle obbligazioni reciproche del futuro
contratto di lavoro, individuando la posizione da ricoprire, il trattamento retributivo e,
addirittura, l'invito alla stipula del contratto definitivo di lavoro.
L’opinione generalmente condivisibile, anche per tali motivi, è che il lavoratore
pubblico, in quanto selezionato per concorso, abbia il vantaggio d'avere un vero e
190
D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 40; L. Zappalà, Le
trasformazioni del lavoro pubblico nel prisma delle politiche di reclutamento. Il caso del “diritto
all’assunzione”, cit., 291 ss., nota che in questi casi dovrebbe chiedersi una sentenza di accertamento e
non costitutiva.
191
Così O. Forlenza, Sui concorsi decide il giudice amministrativo, in Guida al diritto, 2005,
Dossier, 5, 121.
192
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1236.
84
proprio diritto soggettivo, dal momento dell’approvazione della graduatoria, al posto
di lavoro che, per mezzo del bando, la pubblica amministrazione ha definitivamente
dichiarato disponibile193. La fonte di tale diritto è poi individuata ora nella figura del
contratto preliminare, che verrebbe ad esistenza all’atto di approvazione della
graduatoria194, ora in quella di un offerta al pubblico195, al momento dell’emanazione
del bando. Le soluzioni sembrano in astratto condivisibili anche se i ragionamenti che
ne stanno alla base non sono andati esenti da qualche perplessità. Ci si chiede ad
esempio come possa il bando, rientrante nella fase discrezionale amministrativa,
assurgere ad istituto civilistico e in che momento possa dirsi perfezionato il contratto,
sia esso preliminare o definitivo. Si rileva, inoltre, che se l’instaurazione del rapporto
seguisse realmente l’approvazione della graduatoria, la sentenza da chiedere al
giudice sarebbe d’accertamento e mai costitutiva del diritto all’assunzione196.
Ancora più problematica risulta la questione della configurabilità di un diritto
all'assunzione del soggetto idoneo in una precedente procedura concorsuale.
L'ipotesi può determinarsi a seguito di rinuncia o decadenza del vincitore o per
ulteriori posti resisi successivamente disponibili che potrebbero dar luogo allo
scorrimento della graduatoria ancora valida o indurre l'amministrazione a bandire un
nuovo concorso, con evidenti ripercussioni sull'individuazione del giudice
competente.
193
In dottrina, D. Iaria, L'ambito oggettivo della giurisdizione del giudice del lavoro e del giudice
amministrativo dopo i decreti legislativi n. 80 e n. 387 del 1998, cit., 288; M. Navilli, Concorsi e posti
riservati, utilizzo di graduatorie vigente a scorrimento e giurisdizione del giudice amministrativo, cit.,
1129; M. Rusciano, Pubblico impiego e giudice ordinario: la costituzione «iussu iudicis» del rapporto
di lavoro, nota a ord. Trib. Napoli 24 marzo 1999, in DML, 2000, 1, 131. In giurisprudenza v. Trib.
Napoli 10 febbraio 2001, in Orient. Giur. Lav., 2001, 203.
194
Trib. Taranto 11 luglio 2002, ord., con nota di D. Casale, in Lav. pubbl. amm., 2002, 5, 778.
195
Trib. Grosseto 14 novembre 2000, n. 451, in www.altalex.com; Cass., sez. un., 12 marzo 2003, n.
3658, in Giust. civ. Mass., 2003, 511.
196
D. Casale, Nota a tribunale del 11/07/2002, in Lav. pubbl. amm., 2002, 5, 778;
85
Per l'orientamento che è emerso come prevalente, il candidato ritenuto idoneo è
titolare di una posizione soggettiva di mera aspettativa, e non di diritto soggettivo, cui
corrisponde la facoltà dell'amministrazione di valutare discrezionalmente se
provvedere alla copertura dei posti vacanti mediante l'utilizzo di una graduatoria
ancora vigente o attraverso l'espletamento di un nuovo concorso197.
La posizione non è, tuttavia, condivisibile per gli stessi motivi anzidetti, ovvero
quando l'amministrazione abbia già formulato una proposta di assunzione, ovvero nei
casi in cui nel bando sia espressamente previsto lo scorrimento della graduatoria198, o
lo stesso scorrimento sia stato già deliberato dall'amministrazione procedente 199.
In linea più generale, però, l'attribuzione di un vero e proprio diritto soggettivo
all'assunzione in capo all'idoneo potrebbe ricavarsi dalle norme, contenute nelle
finanziarie, che prevedono l'ultrattività delle graduatorie concorsuali200 ma soprattutto
alla luce del processo di privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici
ove «l'interesse legittimo pretensivo all'assunzione si è trasformato in un vero e
proprio diritto soggettivo all'assunzione medesima che l'interessato sembra poter far
valere attraverso un'azione di carattere costitutivo»201
.
197
Cons. Stato, 10 gennaio 2007, n. 53, sez. V, in Foro amm. CDS, 2007, 2, 557, con nota di S.
Monzani, La ultrattività della graduatoria non comporta in capo alla pubblica amministrazione un
obbligo di assunzione per «scorrimento»; Cons. Stato, sez. VI, 12 settembre 2006 n. 5320, in Dir.
Giust., 2006, 91; Cass., sez. un., 5 marzo 2003, n. 3252, in Foro it., 2003, I, 2346; In dottrina v. M.
Navilli, Graduatorie concorsuali nel pubblico impiego: giurisdizione, diritto degli idonei allo
scorrimento e derogabilità della contrattazione collettiva, cit., 686.
198
Tar Campania, Napoli, sez. V, 17 gennaio 2006 n. 683, in Foro amm. Tar, 2006, 309.
199
Cass., sez. un., 29 settembre 2003 n. 14529, cit.
200
R. Di Pace, Graduatorie concorsuali ed idonei, in Giorn. dir. Amm., 2002, 1, 54.
201
G. Vitale, Nota a a Tribunale Taranto, 9 dicembre 2002, e Tribunale Napoli, 20 febbraio 2002, in
Lav. pubbl. amm., 2003, 2, 387.
86
CAPITOLO III
QUESTIONI CONTROVERSE
IN MATERIA DI GIURISDIZIONE
SOMMARIO: 3.1 Controversie «concernenti l’assunzione al
lavoro» vs controversie relative alle «procedure concorsuali per
l’assunzione». - 3.2 Le progressioni verticali. - 3.3 Le procedure di
mobilità e di stabilizzazione del personale. - 3.4 Le graduatorie del
personale della scuola. - 3.5 Il conferimento e la revoca degli incarichi
dirigenziali. - 3.6 La repressione della condotta antisindacale del datore di
lavoro pubblico. - 3.7 L'anomalia della giurisdizione domestica: i
dipendenti degli organi costituzionali.
3.1
Controversie «concernenti l’assunzione al lavoro» vs controversie
relative alle «procedure concorsuali per l’assunzione»
L'adozione da parte del legislatore di una giurisdizione “bipolare” in materia di
concorsi e assunzioni, ha imposto agli interpreti, come prima descritto, una necessaria
opera di coordinamento tra la regola generale di cui al comma 1 dell'art. 63 D.Lgs. n.
165/2001 che affida al giudice ordinario la cognizione sulle controversie inerenti
«l'assunzione al lavoro» e l'eccezione di natura oggettiva prevista al comma 4 dello
stesso articolo che riserva al giudice amministrativo la cognizione sulle controversie
relative alle «procedure concorsuali per l'assunzione».
Al di là dell'impostazione che si ritenga di dover seguire, sia essa rappresentata
83
dal criterio di riparto per situazioni soggettive lese o da quello per materie, confortata
o meno dalla configurabilità dell'atto di approvazione della graduatoria quale
spartiacque tra le due giurisdizioni, la norma impone un'ulteriore riflessione, dal
momento che non è ancora pacifico il significato da attribuire all'espressione
«procedure concorsuali per l'assunzione».
Detto in altri termini: è operazione logico-giuridica necessariamente
preliminare, ai fini dell'individuazione della giurisdizione competente, l'indagine sulla
riconducibilità delle diverse procedure selettive alla nozione di quelle «concorsuali
per l’assunzione». Se si è in presenza, infatti, di una vera e propria procedura
concorsuale, essa dovrà essere conosciuta dal giudice amministrativo o, al più, si
applicherà, nel senso sopra precisato, il discrimen tra le due giurisdizioni
rappresentato dall' “atto di approvazione della graduatoria”; in caso contrario, deve
convenirsi che le altre tipologie di “assunzioni” e di selezione siano da destinare
interamente alla cognizione del giudice ordinario, rientrando appieno sotto l'egida del
comma 1 dell'art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001.
Per quanto riguarda le procedure di avviamento dalle liste di collocamento di
cui alla lettera b) dell'art. 35 D.Lgs. n. 165/2001, previste per i profili professionali
per cui non è richiesto un titolo di studio superiore a quello della scuola dell’obbligo,
o quelle per l'avviamento delle categorie protette, la giurisprudenza sembra orientata
nel senso di escludere tali procedure di selezione dal novero delle procedure
concorsuali vere e proprie ed, argomentando le decisioni ora sull'assenza di una
comparazione delle capacità dei candidati202, ora sulla carenza di una discrezionalità
202
Tar Parma Emilia Romagna, 8 febbraio 2001, n. 46; Tar Milano Lombardia, 11 febbraio 2010, n.
376.
84
amministrativa della P.A.203, depongono per la devoluzione al giudice ordinario delle
relative controversie.
Bisogna chiarire, invero, che le sentenze citate fondano il ragionamento –
esplicitamente o implicitamente – sul riparto di giurisdizione in base alle posizioni
soggettive fatte valere in giudizio ovvero ritengono che la posizione del soggetto che
contesti il “non avviamento al lavoro”, per ingiusta esclusione dalla graduatoria,
faccia valere il suo “diritto al lavoro” o il suo “diritto all'assunzione”.
Diversamente argomentando potrebbe, invece, concludersi che tali ipotesi di
assunzioni siano procedure concorsuali, se è vero che «il concorso di cui parla l'art.
97 Cost. richiede, certamente, l'accertamento di idonee capacità ma non esclude che si
possa e debba tener conto del bisogno»204.
Tuttavia, un altro interrogativo è d'obbligo. L'art. 97 Cost. sancisce che agli
impieghi delle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, “salvo i casi
stabiliti dalla legge”. Potrebbe essere una lettura tranquillizzante quella secondo cui
sia l'avviamento al lavoro sia il collocamento mirato dei disabili siano le eccezioni
stabilite con legge al principio del concorso. Il primo, infatti, è disciplinato dalla legge
56 del 1987, il secondo dalla legge 68 del 1999. Se la deroga al principio del concorso
può unicamente operare «in presenza di peculiari situazioni giustificatrici,
nell'esercizio di una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire
il buon andamento della pubblica amministrazione [...] ed il cui vaglio di
costituzionalità non può che passare attraverso una valutazione di ragionevolezza
203
Cass., sez. un., 23 novembre 2000, n. 1203, in Giust. civ. Mass., 2000, 2232; Cass., sez. un., 15
maggio 2003, n. 7507, in Foro It., 2003, I, 2346; Cass., sez. un., 6 giugno 2005, n. 11722, in Foro It.,
2006, 749; Cass., sez. un., 31 gennaio 2008, n. 2277, in Foro amm. CDS, 2008, 2, I, 366; Cass., sez.
un., 3 novembre 2009, n. 23202, in Giust. civ. Mass., 2009, 11, 1535.
204
M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit, 176.
85
della scelta operata dal legislatore»205 è chiaro che simili principi possono ben
attagliarsi alle selezioni rivolte a determinate categorie di soggetti legislativamente
individuate.
Una conferma in tal senso sembrerebbe giungere dallo stesso art. 35 D.Lgs.
165 del 2001 che, al comma 1, lettera b) e al comma 2 distingue chiaramente queste
“diverse” ipotesi selettive dalla prima di cui alla lettera a) che richiama le “procedure
di selezione”.
A ciò si aggiunga che potrebbe deporre nel senso su indicato lo stesso DPR n.
487/1994 che nel regolare l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni
opera una netta distinzione tra: a) concorso pubblico aperto a tutti per esami, per titoli,
per titoli ed esami, per corso-concorso o per selezione mediante lo svolgimento di
prove volte all'accertamento della professionalità richiesta dal profilo professionale di
qualifica o categoria, avvalendosi anche di sistemi automatizzati; b) mediante
avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento tenute dagli uffici circoscrizionali
del lavoro che siano in possesso del titolo di studio richiesto dalla normativa vigente
al momento della pubblicazione dell'offerta di lavoro; c) mediante chiamata numerica
degli iscritti nelle apposite liste costituite dagli appartenenti alle categorie protette di
cui al titolo 1 della legge 2 aprile 1968, n. 482, e successive modifiche ed
integrazioni. È fatto salvo quanto previsto dalla legge 13 agosto 1980, n. 466.
Riflessioni più articolate, anche per l'attenzione da ultimo mostrata dalla
giurisprudenza, richiedono, invece, le selezioni dirette alla progressione di carriera, la
materia delle procedure di mobilità e di stabilizzazione del personale e quella delle
graduatorie del personale della scuola, destinate alla trattazione che segue.
205
Corte cost., 21 aprile 2005, n. 159, in Foro amm. CDS, 2005, 4, 982.
86
3.2
Le progressioni verticali
Tutt'altro che sopito è il dibattito sulle controversie concernenti le procedure
selettive finalizzate alla progressione di carriera con particolare riferimento al riparto
di giurisdizione. Si rende, così, utile una breve ricostruzione dell’articolato percorso
evolutivo compiuto dalla giurisprudenza in materia.
In una prima fase d’applicazione, la constatazione dell'assenza di qualsiasi
componente pubblicistica o autoritativa nelle vicende de quo, che rientrano, invece, a
rigore, nell'ambito degli atti di natura gestionale e privatistica, aveva condotto la
Cassazione a devolvere alla giurisdizione del giudice ordinario le relative
controversie206 anche se realizzate «attraverso una vicenda selettiva di tipo
concorsuale»207. Alle medesime conclusioni era, peraltro, pervenuto lo stesso
Consiglio di Stato208, che aveva riservato alla giurisdizione amministrativa le sole
controversie concernenti le procedure volte all’instaurazione ex novo del rapporto di
lavoro.
Con gli interventi legislativi propri della fase della seconda privatizzazione,
volti a rafforzare «la concentrazione del contenzioso in capo al giudice ordinario», si
dava, così, «evidenza autonoma e distinta allo sviluppo professionale rispetto al
reclutamento, assumendosi con chiarezza diversità di collocazione e di regime
giuridico»209.
206
Cass., sez. un., 26 giugno 2006, n. 9334, in Giust. civ., 2003, I, 786; Cass., sez. un., 21 febbraio
2002, n. 2514, in Lav. pubbl. Amm., 2002, 3-4, 589 ss., con nota di G. Gentile, Sul riparto di
giurisdizione nei concorsi riservati al personale delle pubbliche amministrazioni.
207
Cass., sez. un., 11 giugno 2001, n. 7859, in Foro it., 2002, I, 2996.
208
Cons. Stato, sez. VI, ord. 27 agosto 2002, in Cons. St., 2002, n. I, 1786.
209
A. Corpaci, Pubblico e privato, cit., 375 ss.
87
La già fragile stabilità delle soluzioni adottate210 trovava però il suo punto più
debole nella materia dei concorsi “misti” ovvero nelle selezioni aperte a candidati
esterni, ma con riserva di posti per il personale interno già dipendente.
Investita della questione, nel dichiarare manifestamente infondata, con
riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell' art. 68
D.Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, nella parte in cui non devolve al giudice ordinario la
giurisdizione in ogni controversia riguardante il rapporto di lavoro privatizzato alle
dipendenze di amministrazioni pubbliche, la Corte Costituzionale giunge a
considerare erroneo il presupposto secondo cui la procedura selettiva in questione
avrebbe differente natura per i concorrenti in quota di riserva e per quelli esterni,
trattandosi, viceversa, sia per gli uni che per gli altri, di una procedura concorsuale di
assunzione nella qualifica indicata nel bando.
Dal principio della necessità del concorso, quale regola generale e strumento più
idoneo ed imparziale per garantire la scelta dei soggetti più capaci, si fa discendere
una sostanziale equiparazione delle procedure strumentali alla costituzione del
rapporto a quelle finalizzate alla vicenda strettamente lavoristica della progressione
professionale. E censurando, così, l'iniziale orientamento della giurisprudenza, si dà il
via ad una sorta di vis actractiva della giurisdizione amministrativa: il concorso
cosiddetto “misto” integra una vicenda selettiva che deve considerarsi come «unitaria,
aperta all’esterno»211.
Il dictum della Corte Costituzionale in materia di concorsi “misti”, riapriva,
210
Alcuni tribunali erano già di diverso avviso: Trib. Palermo 19 settembre 2002, in Lav. pubbl.
amm., 2003, 134; Trib. Latina, 20 marzo 2003, ivi, 2003, 379.
211
Corte cost. 4 gennaio 2001, n. 2, in Lav. pubbl. amm., 2001, 367, con nota di E. Gragnoli,
Concorsi “riservati” e giurisdizione; in dottrina v. R. Giovagnoli, La giurisdizione in materia di
concorsi interni, in Mass. giur. lav., 2004, n. 1-2, 118; M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit.,
177.
88
però, il dibattito anche sui concorsi puramente interni. Il netto revirement, in un’ottica
di armonizzazione - e anche oltre l’armonizzazione212 - del sistema di riparto della
giurisdizione con l’orientamento espresso dalla Consulta213, si registra, nel 2003, ad
opera delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per cui l’art. 63, comma 4,
D.Lgs. n. 165 del 2001, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo
le controversie in materia di procedure per l’assunzione dei dipendenti pubblici, fa
riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione del
rapporto di lavoro ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del
personale già assunto ad una fascia o area superiore214. La tutela giurisdizionale,
quindi, viene frazionata e segue una sorta di casistica differenziata: a) giurisdizione
del giudice amministrativo nelle controversie relative a concorsi finalizzati alla prima
assunzione dei soli candidati esterni; b) identica giurisdizione nelle controversie
relative a concorsi “misti”, restando irrilevante che il posto da ricoprire sia compreso
o meno nell’ambito della medesima area funzionale alla quale sia riconducibile la
posizione di lavoro di interni ammessi alla procedura selettiva, poiché, in tal caso, la
circostanza che non si tratti di passaggio ad area diversa viene vanificata dalla
presenza di possibili vincitori esterni; c) ancora giurisdizione amministrativa quando
si tratti di concorsi per soli interni215 che comportino passaggio da un’area funzionale
212
Nota A. Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e
progressioni in carriera, cit., 375 che con la sentenza a Sezioni Unite, «la limpidità e coerenza del
quadro ricostruttivo subisce (una) netta rottura».
213
Corte cost. 4 gennaio 2001, n. 2, cit.
214
Cass. 15 ottobre 2003, n. 15403, in Lav. pubbl. amm., 2003, 504 con nota di L. Sgarbi, La
Cassazione ci ripensa: sui concorsi interni ha giurisdizione il giudice amministrativo.
215
Sulla cui legittimità v. Corte cost. 6 luglio 2004, n. 205, in www.giurcost.it ove si legge « Questa
Corte ha costantemente riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di
reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza
dell'amministrazione (tra le molte, sentenze n. 34 del 2004, n. 194 del 2002 e n. 1 del 1999). La regola
del pubblico concorso può dirsi rispettata solo quando le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie
ed irragionevoli forme di restrizione dell'ambito dei soggetti legittimati a parteciparvi. Nella
89
ad un’altra, spettando, poi, al giudice del merito la verifica della legittimità delle
norme che escludono l’apertura del concorso all’esterno; d) residuale giurisdizione del
giudice ordinario nelle controversie attinenti a concorsi per soli interni, che
comportino il passaggio da una qualifica ad un’altra, ma nell’ambito della medesima
area funzionale216.
Anche la Cassazione assimila, in sostanza, alle procedure concorsuali per
l’assunzione le procedure selettive dirette a permettere l’accesso del personale già
assunto all’area superiore, configurando il passaggio come una sorta di assunzione
nella nuova qualifica indicata dal bando.
Eppure la casistica delineata dalla Cassazione con la pronuncia del 2003 non è
stata rispettata: quei confini sono stati da subito varcati in diverse direzioni, dando
prova della scarsa persuasività del percorso argomentativo che ne sta alla base e delle
difficoltà interpretative insite nel riferimento al sistema delle aree e delle qualifiche,
definite per via contrattuale.
Nella giurisprudenza di merito, si è ritenuto che la Cassazione, nel parlare di
area o fascia funzionale, non intendesse compiere una sorta di rinvio alle
classificazioni del personale attualmente previste dai contratti collettivi, ma piuttosto
volesse riferirsi alla qualifica, da intendersi come livello funzionale di inquadramento
connotato da un insieme di mansioni con relative responsabilità, con la conseguenza
«che non possono attribuirsi al giudice ordinario indistintamente tutte le controversie
giurisprudenza costituzionale si sottolinea, altresì, che il principio del concorso pubblico, pur non
essendo incompatibile – nella logica di agevolare il buon andamento dell'amministrazione – con la
previsione per legge di condizioni di accesso intese a consentire il consolidamento di pregresse
esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione, tuttavia non tollera – salvo circostanze
del tutto eccezionali – la riserva integrale dei posti disponibili in favore di personale interno».
216
V. anche Cass., sez. un., 26 febbraio 2004, n. 3948, in Foro amm.CDS, 2004, 1321; nello stesso
senso si era espresso Cons. Stato, sez. VI, 12 luglio 2004, n. 5070, in Foro amm. CDS, 2004, 2244. M.
Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit., 177.
90
attinenti ai concorsi per soli interni che prevedano il passaggio da una qualifica
all'altra nell'ambito della medesima area»217.
Il Consiglio di Stato, inoltre, pur dichiarando apertis verbis di voler aderire a
tale orientamento, afferma la giurisdizione amministrativa anche in relazione alle
procedure riservate agli interni comportanti l'accesso a posizioni superiori nell'ambito
della stessa area218 ritenendo rilevante il profilo della novazione del rapporto di lavoro
cioè l'ingresso allo svolgimento di nuove mansioni, di diverso e più ampio contenuto.
Il punto debole della materia rimane, come evidente, quello del riferimento alle
declaratorie contrattuali. In merito, deve rilevarsi che contro l'apoditticità219 con cui i
giudici hanno valutato «le non univoche disposizioni della contrattazione collettiva in
materia di inquadramento professionale, senza con ciò trarre tutte le conseguenze
della equiparazione fra concorso e progressione professionale»220 la giurisprudenza
più recente si è orientata nel senso che sarà compito del giudice verificare se, «al di là
delle parole adoperate dagli stipulanti del contratto, risulti realmente definito un
sistema di classificazione strutturato in aree omogenee, tale che i rispettivi profili
professionali, seppur differenziati in livelli, siano riconducibili ad un patrimonio
professionale almeno potenzialmente identico per tutti i lavoratori che vi
appartengono» e quindi stabilire se «il passaggio da un'area all'altra comporti la
modifica delle mansioni richiedendo un diverso grado di autonomia e responsabilità
217
Trib. Roma 10 giugno 2005, in Lav. Giur., 2006, 160 con nota di V. De Carlo, Accesso a nuova
qualifica del dipendente pubblico tramite concorsi interni e riparto di giurisdizione.
218
Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2005, n. 2872, in Cons. St., 2005, 981.
219
M. Navilli, Giurisdizione e procedure concorsuali per interni: tra progressione professionale
enovazione oggettiva dei rapporti, in Lav. Pubbl. Amm., 2009, 5, 848 ss.
220
G. Ricci, La corte di Cassazione e le progressioni «orizzontali»: un caso di giurisprudenza pro
domo sua?, in Riv. It. Dir. Lav., 2008, 2, 384 ss.
91
del dipendente»221 e, quindi, detto in altri termini, se il passaggio comporti anche un
mutamento delle mansioni verso altre non equivalenti a precedenti222.
La questione si è posta con particolare importanza nel Comparto Ministeri ove
da un lato si è sostenuto che il passaggio da un livello all'altro, seppur all'interno della
medesima area, realizzando l'accesso a nuove funzioni, richiederebbe la procedura
concorsuale223; dall'altro, le Sezioni Unite della Cassazione hanno recentemente
confermato la sicura riferibilità al categorie contrattuali, ritenendo sussistente la
giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie relative a concorsi interni
riguardanti la progressione verso una qualifica superiore appartenente all'ambito della
stessa area224.
Innanzi ad una giurisprudenza, seppur equivoca, ma ormai consolidata 225 sulla
221
Da ultimo, Cass., sez. un., 12 ottobre 2009, n. 21560, in Lav. pubbl. amm., 2009, n. 5, 842 con
nota di M. Navilli, Giurisdizione e procedure concorsuali per interni: tra progressione professionale e
novazione oggettiva dei rapporti, cit. Cfr. comunque M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit.,
179, secondo cui il giudice «ha comunque il potere di verificare se veramente c’è o no l’equivalenza
dichiarata».
222
V. anche Cons. Stato 31 marzo 2011, n. 574, Foro amm. TAR, 2011, 3, 962 secondo cui «in sede di
riparto di giurisdizione, per concorso pubblico deve intendersi non solo quello aperto a candidati
esterni, ma anche quello riservato ai dipendenti ai fini delle progressioni verticali di particolare rilievo
qualitativo, restando affidata in tal caso la selezione all'esercizio dei poteri pubblici e ai procedimenti
amministrativi; per i concorsi interni, la giurisdizione è quindi determinata dall'esito della verifica in
ordine alla natura della progressione verticale, restando riservato all'ambito dell'attività autoritativa
soltanto il mutamento dello status professionale, non le progressioni meramente economiche, né quelle
che comportano sì il conferimento di qualifiche più elevate, ma comprese tuttavia nella stessa area,
categoria, o fascia di inquadramento, e caratterizzate, di conseguenza, da profili professionali omogenei
nei tratti fondamentali, diversificati sotto il profilo quantitativo piuttosto che qualitativo».
223
P. Sordi, Il giudice ordinario e le procedure selettive e concorsuali nel lavoro pubblico, in Lav.
Pubbl. Amm., 2005, 02, 289 ss. In giurisprudenza v. Tar Lazio, I, 4 novembre 2004, n. 12370, in Lav.
Pubbl. Amm., 2005, 110; Trib. Palermo 17 dicembre 2009, in Arg. Dir. Lav., 2010, 6, 1326 ss., con nota
di A. Miscione, L’equivalenza delle mansioni nel pubblico impiego ai fini del principio di
concorsualità.
224
Cass., Sez. un., 25 maggio 2010, n. 12764, in Riv. it. Dir. Lav., 2011, 1, 93 ss. con nota di A.
Astengo, Concorsi interni e giurisdizione: una nuova pronuncia delle Sezioni Unite.
225
Soprattutto della giurisprudenza costituzionale, v. tra le più recenti Corte Cost. 29 maggio 2002, n.
218, in Lav. pubbl. Amm., 2004, 471 con nota di M. D’Aponte, La centralità del concorso pubblico
quale unica modalità di accesso all'impiego: una rassegna di giurisprudenza; Corte Cost. 23 luglio
2002, n. 373, in Lav. pubbl. Amm., 2002, 571, con nota di M. Montini, Progressioni in carriera,
concorsi aperti agli esterni e "buon senso"; Corte Cost. 24 luglio 2003, n. 274, in Dir. e giust., 2003,
33, 51.
92
necessità del vero e proprio concorso anche per la progressione in carriera dei
dipendenti pubblici, intesa come accesso a posizioni e mansioni nuove, per cui sia
necessario un accertamento d’idoneità, è stato puntualmente notato che il problema da
risolvere a monte potrebbe essere quello dell’«equivalenza». «Le mansioni
equivalenti sono già dovute e non sono nuove: l’idoneità è stata già accertata, perché
bisogna essere capaci in ogni momento di svolgere qualunque mansione equivalente,
senza ulteriori prove»226.
Oggi, tale assunto, unitamente all'impostazione inaugurata dalla Cassazione,
sembra trovare piena conferma nella «Riforma Brunetta»227 che, nell'ambito di
un'ampia opera di decontrattualizzazione, definisce al dettaglio le modalità delle
progressioni verticali e della valutazione.
Il nuovo articolo 52, comma 1-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, come modificato
dall'art. 62 comma 1 del D.Lgs. n. 150 del 2009, dispone: «I dipendenti pubblici, con
esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie,
conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali.
Le progressioni all'interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività,
in funzione delle qualità culturali e professionali, dell'attività svolta e dei risultati
conseguiti, attraverso l'attribuzione di fasce di merito. Le progressioni fra le aree
avvengono
tramite
concorso
pubblico,
ferma
restando
la
possibilità
per
l'amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio
226
M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro2, cit., 177.
D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, intitolato “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia
di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni”. In termini di legificazione di tali principi si esprime M. Miscione, Dialoghi di diritto
del lavoro2, cit., 177. Nello stesso senso V. Luciani, Il principio di concorsualità tra assunzioni e
progressioni in carriera, in L. Zoppoli (a cura di), Ideologia etecnica nella riforma del pubblico
impiego, Editoriale Scientifica, 2009, 317 ss.
227
93
richiesti per l'accesso dall'esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50
per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva conseguita dal
dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione
economica e dell'attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l'accesso all'area
superiore».
In base a tale norma, dunque, «all’interno della stessa area, le progressioni
avvengono senza vero e proprio concorso ma con una selezione in base alle qualità
culturali e professionali, all’attività svolta ed ai risultati conseguiti. Invece, per le
progressioni fra le aree è necessario il concorso pubblico, ma con possibilità di riserva
di posti per non oltre il 50% a favore del personale interno, dando rilevanza alla
valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni»228.
La nuova norma dovrebbe così chiarire tutti i dubbi, in vista dell'adeguamento
da parte della contrattazione collettiva229. La stessa sembra, però, riproporne di nuovi.
Il comma 1-ter, infatti, stabilisce che «per l'accesso alle posizioni economiche apicali
nell'ambito delle aree funzionali è definita una quota di accesso nel limite
complessivo del 50 per cento da riservare a concorso pubblico sulla base di un corsoconcorso bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione». Si deve
ritenere che l'accesso a queste “posizioni apicali” nell'ambito della stessa area seguirà
due percorsi differenti. Da un lato, infatti, i candidati già dipendenti parteciperanno ad
228
Le osservazioni sono di M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit., 178.
Si veda in proposito l'art. 65 del D. Lgs. n. 150/2009 e l'art. 5 del D. Lgs. 1 agosto 2011, n. 141
cd. “Correttivo alla Riforma Brunetta” secondo cui «l’adeguamento dei contratti collettivi integrativi è
necessario solo per i contratti vigenti alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo, mentre
ai contratti sottoscritti successivamente si applicano immediatamente le disposizioni introdotte dal
medesimo decreto». In generale, sul problema della immediata o meno applicabilità della Riforma
Brunetta v. in giurisprudenza Trib. Torino, sez. lav., decreto 2 aprile 2010, in Lav. Pubbl. Amm., 2010,
1, 91 ss.; Trib. Torino, sentenza 2 aprile 2010; Trib. Salerno, decreto 19 luglio 2010; Trib. Lamezia
Terme, decreto 7 dicembre 2010; Trib. Trieste, decreto 5 ottobre 2010. In dottrina, ex multis F. Carinci,
Il secondo tempo della Riforma Brunetta, cit., 1065.
229
94
una selezione interna (che dovrebbe essere non concorsuale), mentre i candidati
esterni parteciperanno ad un concorso pubblico bandito dalla SSPA, con evidenti
conseguenze in materia di riparto di giurisdizione.
Tutto ciò premesso, non può non condividersi l'opinione di chi, giudicando una
forzatura la «ripubblicizzazione» delle procedure di avanzamento operata dalla
Cassazione, ha contestato la sussunzione dell'ipotesi del passaggio ad una categoria o
fascia superiore nell'ambito di pertinenza dell'art. 97, comma 3, della Costituzione230.
La disposizione da ultimo citata, infatti, è chiara nel riferire, e nel richiedere, le
procedure concorsuali per l'accesso al lavoro. La stessa Corte Costituzionale, qualche
anno indietro, in relazione ad una questione in cui veniva denunciata l'illegittimità
costituzionale per contrasto con il comma 3 dell'art. 97 Cost., facendo proprio il dato
testuale, ne dichiarava la manifesta infondatezza «sol che si consideri che la norma
invocata come parametro costituzionale concerne l'accesso nella
pubblica
amministrazione, mentre le disposizioni della legge impugnata riguardano il
reinquadramento in qualifiche superiori del personale già in servizio»231.
Ma al di là dell'interpretazione letterale, se si esclude, come qui si ritiene, che
l’art. 97 Cost, comma 3, imponga la natura pubblicistica della procedura di
progressione professionale, facendo, anzi, salvi «i casi previsti dalla legge» 232 sembra
chiaro che le selezioni in questione, in quanto atti di natura privatistica e di gestione
del rapporto di lavoro, rientrino appieno nell’area di applicazione del comma 1
dell’art. 63 D.Lgs. n. 165/2001 e, dunque, nell’ambito della cognizione del giudice
230
A. Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e
progressioni in carriera, cit., 380.
231
Corte cost., 25 luglio 1990, n. 369, in www.giurcost.it
232
F. Carinci, Errare humanum est, perseverare autem diabolicum, in Lav. pubbl. amm., 2002, 208.
95
ordinario. E ancora, anche volendosi ammettere che l'art. 97, comma 3, arrivi a
comprendere le progressioni in carriera, esso non osta comunque alla scelta operata
dal legislatore della riforma233, nel senso di volerle assoggettare alle «regole
giuridiche del settore privato»234.
Per il personale già assunto in servizio, l’acquisizione della nuova categoria
superiore mediante procedura selettiva trova fondamento nel rapporto di lavoro in
essere235 e ne costituisce lo sviluppo, comportando una mera modificazione del
contenuto dell’obbligazione di lavorare e non una modifica della pianta organica,
secondo
la
vecchia
concezione
del
pubblico
impiego
come
elemento
dell'organizzazione amministrativa236.
Sembra convincente, così, l’affermazione di chi, richiamando l’orientamento
relativo alle progressioni verticali nel settore privato, ritiene che nella materia in
questione non vi sia alcuna componente novativa237, ma solo una modificazione del
rapporto, del suo contenuto professionale e delle sue modalità di esecuzione.
Le procedure di reclutamento o per l’assunzione, se ontologicamente diverse da
quelle interne strumentali alla progressione in carriera 238, essendo evidente anche la
diversa collocazione sistematica239, non possono rientrare nell’unica eccezione di
natura oggettiva alla giurisdizione ordinaria prevista dal legislatore al comma 4
233
A. Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e
progressioni in carriera, cit., 380.
234
S. Battini, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Padova, 2000, 575.
235
P. Sordi, I concorsi interni nel pubblico impiego privatizzato, in Nuovo dir., 2000, 155.
236
Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e
progressioni in carriera, cit., 375.
237
E. Gragnoli, Concorsi interni ed unicità del rapporto, in Corti calabr., 2003, n. 5, 7. Contra E.A.
Apicella, Rinnovate incertezze in tema di giurisdizione sui concorsi interni nella pubblica
amministrazione, in Giust. civ., 2005, I, 2618.
238
L’affermazione è di G. Ferraù, Quale giudice è competente per i concorsi interni dei pubblici
dipendenti?, cit., 359.
239
A. Corpaci, Pubblico e privato nel lavoro con le amministrazioni pubbliche: reclutamento e
progressioni in carriera, cit., 375.
96
dell’art. 63 D.Lgs. 165/2001.
Per quanto detto, la norma in questione non avrebbe dovuto essere interpretata,
anche dal legislatore, così estensivamente da ricomprendere qualsiasi procedura
selettiva, concorsuale o valutativa, in qualsiasi modo denominata. Se non si vuole
alterare il senso dei primi interventi del legislatore della privatizzazione volti a
«contenere la giurisdizione amministrativa a tutto pro della ordinaria»240, essa
dovrebbe, a rigore, abbracciare la sola ipotesi della selezione volta «all’assunzione»,
intesa come primo accesso, in assoluto, al lavoro241.
Se la ricostruzione operata, nonostante l'espressa smentita giunta dalla Riforma
Brunetta che ha in materia operato una sorta di interpretazione autentica, fosse
corretta, rimarrebbe irrisolta, pur sempre, la questione dei concorsi misti.
Accettando l’impostazione secondo cui la progressione in carriera è certamente
di competenza del giudice ordinario, si dovrebbe ammettere che i partecipanti ad un
concorso misto possano adire il giudice ordinario o il giudice amministrativo a
seconda che siano già dipendenti dell’amministrazione o solo aspiranti tali242, con seri
F. Carinci, Una riforma “conclusa”. Fra norma scritta e prassi applicativa, cit., 4.
D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 8; L. Sgarbi, Mansioni ed
inquadramento dei dipendenti pubblici, Cedam, Padova, 2004, 233 ss; A. Garilli, Le controversie sui
concorsi e sulla progressione verticale: riparto di giurisdizione, discrezionalità amministrativa e poteri
del giudice ordinario, cit., 3; M. Navilli, Graduatorie concorsuali nel pubblico impiego: giurisdizione,
diritto degli idonei allo scorrimento e derogabilità della contrattazione collettiva, cit., 687; M. Clarich
e D. Iaria, La riforma del pubblico impiego, cit., 574; M.G. Garofalo, Il trasferimento di giurisdizione
nel lavoro pubblico, cit., 514.
242
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1224. La possibilità di partecipazione
degli esterni è decisiva: M. Miscione, Dialoghi di diritto del lavoro, cit., 178 (ivi cit.). Per una diversa
ricostruzione, secondo cui il criterio che presiede al riparto di giurisdizione è da individuarsi
nell’origine contrattuale o meno della posizione soggettiva fatta valere, nell’ambito dei concorsi misti,
le posizioni degli “interni” possono considerarsi «estranee al rapporto contrattuale già in atto …di
modo che dovranno qualificarsi come posizioni di interesse legittimo, necesssariamente tutelabili solo
davanti al giudice amministrativo» v. V. Ferrante, Il riparto di giurisdizione in tema di concorso e
progressione di carriera, cit., 250.
240
241
97
dubbi di legittimità costituzionale243. Se si ritenesse, invece, d’accogliere
l’impostazione
opposta,
dell'attrazione
delle
controversie
nell'ambito
della
giurisdizione amministrativa, bisognerebbe ammettere che il tipo di tutela
giurisdizionale dipenderebbe da un elemento del tutto estrinseco e accidentale 244e cioè
dalla sola eventualità che al concorso partecipino soggetti esterni.
L'aporia è, certamente, giustificata dalla necessità di evitare «contrasti di
giudicati in relazione alle differenti impugnative giurisdizionali proposte da vari
soggetti»245 ma è il segno, ancora una volta, di come il criterio di riparto così
delineato riesca facilmente ad entrare in crisi, mostrando tutte le contraddizioni su cui
esso si basa246.
3.3
Le procedure di mobilità e di stabilizzazione del personale.
Anche in relazione alle procedure di mobilità e di stabilizzazione, così come
per altri istituti del pubblico impiego, si è posto il problema dell'individuazione della
giurisdizione competente, costituito dal prius logico e cronologico della questione
dell'inquadramento delle suddette procedure nell'ambito di quelle «concorsuali», di
cui al comma 4 dell'art. 63 D.Lgs. n. 165/2001, idonee a radicare la giurisdizione
amministrativa.
Per quanto riguarda le prime, coerentemente alla ricostruzione della disciplina
243
Tar Catania Sicilia, 24 novembre 1999, n. 467, in Foro it., 2000, III, 39.
G. Ferraù, Quale giudice è competente per i concorsi interni dei pubblici dipendenti?, cit., 360.
245
A. Garilli, Le controversie sui concorsi e sulla progressione verticale: riparto di giurisdizione,
discrezionalità amministrativa e poteri del giudice ordinario, cit., 3.
246
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1224.
244
98
sostanziale che vede l'istituto della mobilità247 quale cessione di contratto di lavoro 248
del dipendente tra una Amministrazione di provenienza e quella di destinazione, la
giurisprudenza maggioritaria ha evidenziato con linearità che esse non determinano la
costituzione di un nuovo rapporto di pubblico impiego o una nuova assunzione, ma
semplicemente la modificazione soggettiva del rapporto di lavoro già in essere, con
continuità del suo contenuto. Conseguentemente, trattandosi di atto di gestione del
rapporto di lavoro, il relativo contenzioso appartiene alla giurisdizione ordinaria249.
La soluzione giunge, però, più di recente, dalle Sezioni Unite della
Cassazione250 secondo cui la mobilità «integra una modificazione soggettiva del
rapporto di lavoro, con il consenso di tutte le parti, e quindi una cessione del
contratto»; infatti «in materia di riparto di giurisdizione nelle controversie relative al
pubblico impiego contrattualizzato solo le procedure selettive di tipo concorsuale per
l'attribuzione a dipendenti di p.a. della qualifica superiore, che comportino il
passaggio da un'area ad un'altra, hanno una connotazione peculiare e diversa,
assimilabile alle "procedure concorsuali per l'assunzione", e valgono a radicare - ed
ampliare - la fattispecie eccettuata rimessa alla giurisdizione del giudice
amministrativo di cui al comma 4, dell'art. 63 citato D.Lgs.; fuori da questa ipotesi
non opera detta fattispecie eccettuata del comma 4, dell'art. 63 e conseguentemente si
riespande la regola del primo comma della medesima disposizione, che predica in
generale la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie aventi ad oggetto il
lavoro pubblico privatizzato». Le procedure di mobilità, che comportino una mera
247
Per una ricostruzione storica si rinvia a S. Mainardi e M. Miscione, La mobilità, in F. Carinci
(diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, I ed., I, Milano, 1995, 582 ss.
248
Cass., sez. un., 12 dicembre 2006, n. 26420, in Giust. civ. Mass., 2006, 12.
249
Cons. Stato, sez. V, 26 ottobre 2009, n. 6541, in Red. Amm. CDS, 2009, 10; Tar Trieste Friuli
Venezia Giulia, sez. I, 19 maggio 2011, n. 252, in Foro amm. TAR, 2011, 5, 1542.
250
Cass., sez. un., 9 settembre 2010, n. 19251, in Foro amm. CDS, 2010, 9, 1831.
99
modificazione soggettiva del rapporto di lavoro e non già la costituzione di un nuovo
rapporto mediante una procedura selettiva concorsuale, rientrano, così, appieno nella
giurisdizione ordinaria.
Significativa appare, in tal senso, una pronuncia del giudice amministrativo che,
nel dichiarare il difetto di giurisdizione in materia, fa proprio il criterio di riparto per
materia, affermando la scarsa rilevanza dell'indagine sulla natura della «posizione
soggettiva del privato fatta valere con il ricorso e che interloquisce con il presunto
potere amministrativo»251.
Ma la pronuncia appena citata risulta interessante per un ulteriore profilo ed, in
particolare, in relazione al contrasto di giudicato, venutosi a creare di recente
nell'ambito della magistratura amministrativa siciliana. Nel caso di specie, infatti, il
ricorrente richiedeva che si procedesse a paralizzare la procedura concorsuale indetta
dall'amministrazione, in dipendenza del preliminare accoglimento della sua istanza di
mobilità. Il profilo strettamente lavoristico, costituito dal diritto del dipendente a
vedere evasa la sua richiesta si intreccia, dunque, inevitabilmente, con la sindacabilità
della scelta dell'amministrazione a bandire una procedura concorsuale per
l'assunzione. Per il giudice, però, la sussistenza dell'atto amministrativo impugnato (la
nuova selezione) non pregiudica l'impostazione secondo cui, essendo la mobilità un
evento modificativo di un rapporto di lavoro già instaurato, essa appartiene alla sicura
competenza del giudice ordinario. L'obbligo al preventivo movimento, che è l'oggetto
principale e prioritario del giudizio, se ritenuto sussistente, «consentirà la declaratoria
incidentale della illegittimità nella nuova procedura selettiva e, quindi, come
espressamente richiama la norma espressa all'art. 68 D.lgs.vo 29/1993 (ora art. 63
251
Tar Catania Sicilia, sez. II, 21 maggio 2002, n. 884, in www.altalex.it
100
D.Lgs. n. 165/2001), la possibilità di disapplicazione da parte del G.O del
provvedimento che la dispone».
Lo stesso Tar di Catania in una vicenda simile, con riferimento ai concorsi e
alle procedure di mobilità in ambito sanitario del Bacino Orientale della Sicilia, ha
recentemente ribadito il proprio indirizzo, dichiarando che «appartiene alla
giurisdizione del giudice ordinario la questione afferente il ricorso avverso un bando
pubblico per la copertura di posti di dirigente medico asseritamente elusivo del diritto
alla mobilità del ricorrente, in quanto il ricorso, sebbene diretto formalmente contro
un bando di concorso, ha come petitum sostanziale l'accertamento di un diritto
soggettivo di un dipendente pubblico a ricoprire un posto vacante per mobilità
volontaria»252. La decisione risulta in totale controtendenza a quanto espresso qualche
giorno prima, con riferimento al Bacino Occidentale e in relazione - cosa ancor più
grave - agli stessi ricorrenti, dalla sezione palermitana.253 In linea con quanto espresso
in altre passate pronunce254, il Tar Palermo ha, invece, ammesso l'impugnabilità
innanzi al giudice amministrativo da parte di chi aspiri a ricoprire un certo posto
mediante mobilità dell'atto che disponga la copertura di quel posto mediante pubblico
concorso e ha, conseguentemente, proceduto alla sospensione del nuovo bando di
concorso, considerandolo illegittimo alla luce dell’art. 30, comma 2 bis, D. Lgs. n.
165/2001 che obbliga l'amministrazione al previo esperimento delle procedure di
mobilità255.
Sul primo dei ricorsi incrociati annunciati, si è già espresso il Cons. Giust.
252
253
254
255
Tar Catania Sicilia, Sez. II, 16 maggio 2011, n. 1256, in Foro amm. TAR, 2011, 5, 1762.
Tar Palermo Sicilia, 20 aprile 2011, ordinanza n. 327, in www.giustiziamministrativa.it
V. Cons. Stato, sez. V, 21.7.1995, n. 1131, in Foro Amm., 1995, 1547.
Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 2 dicembre 2009, n. 2634.
101
Amm. Sicilia che, nel respingere l'appello contro l'ordinanza di sospensione del Tar
Palermo, ne ha condiviso, sostanzialmente, l'impostazione256.
Per quanto concerne le procedure di stabilizzazione previste dalle ultime leggi
finanziarie257 la giurisprudenza maggioritaria ha evidenziato che esse costituiscono
indubbiamente una modalità di assunzione nella pubblica amministrazione diversa
dalle procedure concorsuali vere e proprie. Esse, infatti, non si basano su una scelta
comparativa fra più aspiranti, ma sull'esigenza, legislativamente espressa, di
consolidare posizioni lavorative a tempo determinato che hanno avuto una certa
durata in un determinato arco temporale. In alcuni casi, si è proceduto
all'assimilazione delle procedure in questione all'avviamento al lavoro258 essendo esse
preordinate all'inserimento in apposita graduatoria, in base di criteri fissi e prestabiliti,
di tutti gli aspiranti in possesso di determinati requisiti259.
Sulla scorta di queste motivazioni, il giudice munito di giurisdizione non può
che essere quello ordinario260.
Solo un orientamento minoritario in giurisprudenza ha ritenuto sussistente la
giurisdizione
amministrativa,
sul
presupposto
della
riconducibilità
della
stabilizzazione alle vicende di tipo concorsuale261.
256
Cga Sicilia, 28 luglio 2011, n. 761, in www.giustiziamministrativa.it
V. Legge 27 dicembre 2006, n. 296.
258
Tar Latina, sez. I, 24 settembre 2008, n. 1240, in Foro Amm. Tar, 2008, n. 9, 2492; Tar Genova,
Sez. II, 20 dicembre 2008, n. 2173, in Foro Amm. Tar, 2008, n. 12, 3329.
259
Cass. Civ., sez. un., 7 luglio 2010, n. 16041, in Giust. Civ. Mass, 2010, 78;
260
Trib. Trani, sez. lav., 18 luglio 2011, n. 4430, in Red. Giuffrè; 2011; Tar Catanzaro Calabria, sez.
II, 7 luglio 2011, n. 968, in Red. amm. TAR, 2011, 7-8; Tar Roma Lazio, sez. III quater, 13 marzo 2008,
n. 2304, in Foro it., 2008, III, 229, con nota di A. M. Perrino, Dalla flessibilità al rigore: la parabola
del contratto a termine nel lavoro pubblico contrattuale; Tar Bologna Emilia Romagna, sez. I, 19
giugno 2008, n. 2696, in Lexitalia.it, 2008, 6.
261
Cons. Stato, Sez. V, 10 agosto 2010, n. 5541, in Red. Amm. CDS, 2010, n. 7; Appello Firenze, 16
luglio 2010, in Arg. Dir. Lav., 2011, 1, 186 ss., con nota di A. Lima, La stabilizzazione dei lavoratori a
termine e la nozione di procedura concorsuale ai fini dell'attribuzione della giurisdizione; Tar Puglia
19 gennaio 2008, n. 125, in Foro It., 2008, III, col. 419;
257
102
All'interno di quest’ultimo, si inserisce una recente pronuncia del Consiglio di
Giust. Amm. della Sicilia secondo cui «sono devolute alla giurisdizione del giudice
amministrativo le controversie concernenti la stabilizzazione, effettuata ai sensi
dell'art. 1, comma 558 l. 27 dicembre 2006 n. 296, quando venga proposta domanda
di annullamento della relativa graduatoria stilata a conclusione di apposita procedura
selettiva»262. Fondando la propria decisione da un lato, sugli indici formali e
sostanziali, caratteristici della concorsualità in cui si estrinsecano poteri “tecnicodiscrezionali” e, dall'altro, sull'espressa qualificazione della domanda da parte del
ricorrente in termini di “annullamento”, ha così ritenuto sussistente la giurisdizione
amministrativa.
Innanzi ad una giurisprudenza più o meno consolidata, parte della dottrina, con
considerazioni che possono, in astratto, essere estese anche alle procedure di
mobilità263, ha sottolineato come spesso per l'esperibilità delle procedure di
stabilizzazione sia necessario un preventivo momento comparativo fra diversi i
aspiranti al posto di ruolo, «attesa l'inadeguatezza dei mezzi finanziari a disposizione,
ed il limitato numero di posti, determinato, quanto meno, dalle capienze delle piante
organiche»264.
Secondo questa ricostruzione, dunque, innanzi ad un numero superiore di
domande di stabilizzazione rispetto ai posti resisi disponibili, l'amministrazione deve
prevedere criteri selettivi per operare la scelta degli aspiranti dipendenti. Conseguenza
262
Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giur., 19 maggio 2011, n. 366, in Foro amm. CDS, 2011, 5, 1703.
M. Miscione, Mobilità fra p.a.: effetti indiretti di sentenza di accertamento, in Lav. Giur., 2001, 7,
663 ss. secondo cui la procedura concorsuale potrebbe essere necessaria «se partecipassero più
concorrenti ... per posti in diversa amministrazione».
264
F. G. Dauno Trebastoni, Le stabilizzazioni nella L. 27.12.2006 n. 296: profili di giurisdizione e di
incostituzionalità, relazione al Convegno organizzato dall'A.G.I. “Le novità in materia di pubblico
impiego: tra leggi, memorandum e disegni di legge”, Catania, 21 aprile 2007, in www.giustiziaamministrativa.it.
263
103
di tale assunto è la sussistenza della giurisdizione amministrativa265.
La ricostruzione, tuttavia, non appare convincente. Al di là delle considerazioni
di carattere generale, per cui non sembra potersi dubitare che le procedure de quo
esulino dall'area di pertinenza del comma 4 dell'art. 63, essa sembra dipendere da una
circostanza che, sebbene nella prassi si verifica con frequenza, risulta del tutto
estrinseca ed accidentale, ovvero l'esubero delle domande rispetto ai posti disponibili.
Tuttavia un'annotazione è d'obbligo. Potrebbe, infatti, dubitarsi della legittimità
dell'accesso alle pubbliche amministrazioni, con riferimento all'art. 97 Cost., del
personale “stabilizzato” che non abbia mai partecipato a procedure concorsuali per
l'assunzione.
La questione si inserisce nella problematica più generale della conformità a
legge delle assunzioni a termine nel pubblico impiego, in assenza di procedure
concorsuali, ma pur sempre nel rispetto dei principi del buon andamento e
dell'imparzialità266 e della non irragionevolezza267.
265
D. Serra, L. Busico, La stabilizzazione dei precari del pubblico impiego, in Lav. Giur., 2009, 12,
1204 ove si richiama in giurisprudenza Tar Milano Lombardia, sez. III, 29 gennaio 2009, n. 1011, in
Lexitalia.it, 2009, 2.
266
Sull'argomento in generale v. L. Zappalà, La trasformazione del lavoro pubblico nel prisma delle
politiche di reclutamento. Il caso del “diritto all’assunzione”, cit., 280-281; B. Gagliardi, Principio del
pubblico concorso e professionalità dei pubblici funzionari, in Foro amm. CDS, 2009, 12, 2799
secondo cui «se il concorso si impone a prescindere dal regime di diritto pubblico o di diritto privato,
esso è del pari indipendente dalle caratteristiche concrete del rapporto: a tempo determinato o
indeterminato, pieno o parziale. La costituzione di un rapporto a tempo determinato, o disciplinato da
una c.d. «forma contrattuale flessibile» per rispondere ad «esigenze temporanee ed eccezionali», può al
più giustificare una semplificazione della procedura, che deve comunque rispondere ai principi di
adeguata pubblicità, imparzialità, economicità e celerità, rispetto delle pari opportunità, ecc. (d.lg. n.
165 del 2001, cit., art. 36, comma 2)». In giurisprudenza v. Cass., sez. un., 15 gennaio 2010, n. 529, in
Red. Giust. civ. Mass., 2010, 1 per cui «in tema di impiego pubblico, sono devolute alla giurisdizione
del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 63, comma 4, D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, le controversie
in materia di procedure concorsuali per l'assunzione a tempo determinato di personale di una Comunità
montana, posto che a dette procedure si applicano le norme generali, discendenti dal principio di cui al
comma 3 dell'art. 97 cost., che governano la gestione dei concorsi pubblici, le quali non hanno ragione
di essere derogate per il solo fatto che l'assunzione sia stata effettuata con contratti a termine, in
funzione dell'esecuzione di uno specifico progetto, ed il bando di concorso abbia considerato una
selezione per soli titoli, senza prevedere lo svolgimento di prove d'esame».
104
La stessa Cassazione, nell'affrontare la questione, ha cercato di tracciare alcune
coordinate entro le quali il problema dovrebbe trovare soluzione.
In particolare, le Sezioni Unite, per sostenere la sussistenza della giurisdizione
ordinaria, hanno fissato i seguenti principi:
«a) i processi di stabilizzazione (tendenzialmente rivolti ad eliminare il
precariato venutosi a creare in violazione delle prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 165 del
2001, art. 36), sono effettuati nei limiti della disponibilità finanziarie e nel rispetto
delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di programmazione triennale dei
fabbisogni (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 6);
b) la deroga delle normali procedure di assunzione concerne il carattere di
assunzione riservata e non aperta, ma non il requisito del possesso del titolo di studio
per l'accesso dall'esterno nelle singole qualifiche previsto dai sistemi di
classificazione, né la regola del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 1, dell'accesso
tramite procedure selettive, siccome la stabilizzazione di personale che non abbia
sostenuto "procedure selettive di tipo concorsuale", è subordinata al superamento di
tali procedure; le procedure selettive sono escluse soltanto per il personale assunto
obbligatoriamente o mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento
(procedure previste da norme di legge);
c)
conseguentemente, le amministrazioni, con riguardo al personale da
stabilizzare che ha già sostenuto "procedure selettive di tipo concorsuale" (è questa
l'ipotesi che ricorre nel caso di specie), non "bandiscono" concorsi, ma devono
limitarsi a dare "avviso" della procedura di stabilizzazione e della possibilità degli
267
Corte cost. 10 maggio 2005, n. 190, in Foro Amm., 2005, 1329; Corte cost. 9 novembre 2006, n.
363, in Giur. It., 2008, 1, 39.
105
interessati di presentare la domanda;
ci)
d) la legge, quindi, non attribuisce all'amministrazione il potere di
selezionare il personale mediante prove di esame o valutazione di titoli professionali,
dovendosi procedere, ove le domande siano superiori al numero di assunzioni a tempo
indeterminato decise, esclusivamente alla formazione di una graduatoria secondo
l'ordine di priorità desumibile dalle stesse disposizioni normative (maturazione del
requisito di tre anni; maturazione
dello stesso requisito presso diverse
amministrazioni; contratto anteriore al 29 settembre 2006 e requisito dei tre anni
ancora da maturare) e sulla base dell'anzianità di servizio, potendosi ammettere
soltanto la previsione di ulteriori titoli, anche riferiti all'esperienza professionale, per
il caso di pari anzianità.
e) la regolamentazione legislativa, pertanto, sottraendo le procedure di "
stabilizzazione " all'ambito di quelle concorsuali di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art.
63, comma 4, nonché alle ipotesi "nominate" di poteri autoritativi nell'ambito del
lavoro pubblico (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1), colloca le controversie
inerenti a tali procedure nell'area del "diritto all'assunzione" di cui all'art. 63, comma
1»268.
Riassumendo, dunque, se mai possa residuare uno spazio alla giurisdizione
amministrativa in materia di procedure di stabilizzazione, esso dovrebbe riguardare,
come è stato ribadito recentemente, solo quelle procedure selettive cui
l'amministrazione «può far ricorso … per individuare il personale da assumere» ove
manchi il presupposto essenziale costituito dal superamento di precedenti procedure
selettive di tipo concorsuale. Laddove, invece, quest'ultimo si sia realizzato,
268
Cass., sez. un., 7 luglio 2010, n. 16041, in Giust. civ. Mass., 2010, 7-8, 1020.
106
l'amministrazione «non deve bandire alcun concorso ma solo dare avviso dell'avvio
della relativa procedura e della possibilità per gli interessati di presentare la domanda»
ed
3.4
il
relativo
contenzioso
è
conosciuto
dal
giudice
ordinario269.
Le graduatorie del personale della scuola
All’interno del panorama interpretativo sulle procedure concorsuali per l'assunzione,
già di per sé alquanto incerto, si inserisce l’ulteriore questione della giurisdizione sul
contenzioso relativo alle graduatorie del personale ATA e del personale docente della
scuola, per cui si assiste ad una consistente proliferazione delle pronunce
giurisprudenziali da parte dei tribunali amministrativi e di quelli ordinari.
Si rende necessario, dunque, ai fini di questa trattazione, qualche cenno sulla
legislazione scolastica in materia di assunzioni.
Il reclutamento del personale ATA è affidato, ai sensi degli artt. 553-557 del
D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297270 ad un sistema a "doppio canale": i posti vacanti e
disponibili sono, infatti, ripartiti nella misura del 50% tra i concorsi per titoli ed esami
e le graduatorie permanenti a formazione e gestione provinciale; queste ultime
vengono integrate periodicamente con l'inserimento di coloro che hanno superato le
prove dell'ultimo concorso per titoli ed esami, senza essere risultati "vincitori di
posto", nonché di coloro che hanno chiesto il trasferimento dalla corrispondente
graduatoria permanente di altra provincia; oltre all’inclusione dei nuovi aspiranti, è,
poi, previsto l’aggiornamento del punteggio di coloro che sono già ricompresi nella
269
Cass., sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1778, in Giust. civ. Mass., 2011, 1, 112.
Intitolato «Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, relativo ai concorsi
per soli titoli».
270
107
graduatoria, attraverso la presentazione dei nuovi titoli nel frattempo maturati.
Una disciplina sostanzialmente analoga
era
prevista dalla
originaria
formulazione dell’ art. 401 dello stesso D.Lgs. n. 297/1994 per il personale docente
della scuola di ogni ordine e grado.
Prescindendo qui dalla ricognizione di tutte le tappe legislative che, con ritmo
incalzante e irregolare271 si sono succedute negli ultimi anni, basterà accennare al fatto
che dopo il superamento del doppio sistema di reclutamento, realizzato con
l’istituzione, nel 1999272, di un’unica graduatoria permanente, periodicamente
aggiornata, la finanziaria del 2007273 ha previsto la “cristallizzazione” della
graduatoria stessa, significativamente denominata “ad esaurimento”274: è inibito
l’ingresso di nuovi candidati esterni ma è fatta salva la facoltà gli aspiranti già
utilmente collocati di aggiornare periodicamente il punteggio.
Fatta questa premessa, per comprendere la natura giuridica di tali procedure e
conseguentemente riprendere il discorso sulla individuazione della giurisdizione
competente, sarà necessario partire dall’esame della più recente giurisprudenza in
materia, dalla quale si può senz’altro rilevare una progressiva tendenza a definire in
maniera sempre più specifica e dettagliata la nozione di “procedura concorsuale per
Strettamente connessi con l’evoluzione legislativa in materia di abilitazione all’insegnamento, per
cui si rinvia alla dettagliata ricostruzione di L. Sposato, Graduatorie a esaurimento e riparto di
giurisdizione. L’amministrazione-datore di lavoro tra poteri “privati” e pubbliche “virtù”, articolo del
3 settembre 2009, pubblicato in www.altalex. com
272
Legge 3 maggio 1999, n. 124, intitolata «Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico».
273
Legge 27 dicembre 2006, n. 296, la cui finalità è quella di «dare adeguata soluzione al fenomeno
del precariato storico e di evitarne la ricostituzione, di stabilizzare e rendere più funzionali gli assetti
scolastici, di attivare azioni tese ad abbassare l’età media del personale docente» (art. 1, comma 605,
lett. c).
274
Fatte salve anche dalla normativa successiva cioè dalla finanziaria per l’anno 2008 (L. 24
dicembre 2007 n. 244) che, rimettendo alla potestà regolamentare del MIUR la disciplina dei requisiti e
delle modalità in merito alla formazione iniziale ed all’attività procedurale per il reclutamento del
personale docente, reintroduce il meccanismo della procedura concorsuale (concorso ordinario) da
bandire con cadenza biennale.
271
108
l’assunzione”. Sono generalmente definite strictu sensu “concorsuali” quelle
procedure che iniziano con l’emanazione di un bando, che sono caratterizzate dalla
valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria,
la cui approvazione individuando “i vincitori”, rappresenta l’atto terminale del
procedimento275.
Se questi sono i tratti caratterizzanti il concorso per l’accesso al pubblico
impiego, necessario, secondo il dettato costituzionale di cui all’art. 97 Cost., è chiaro
che non dovrebbe restarvi compresa la fattispecie dell’inserimento in apposita
graduatoria di tutti coloro che siano in possesso di determinati requisiti – ancorché
derivanti dalla partecipazione a precedenti concorsi – che è preordinata al
conferimento dei posti di lavoro che solo eventualmente si renderanno disponibili276.
Per la giurisprudenza maggioritaria, l’assenza di un bando, di una procedura di
valutazione e, soprattutto, dell'atto di approvazione, collocano l'ipotesi al di fuori
della fattispecie concorsuale: spetta, dunque, al giudice ordinario tutelare
pretesa all'inserimento e alla
la
collocazione in graduatoria; pretesa che ha ad
oggetto la conformità a legge degli atti di gestione nella graduatoria utile per
l'eventuale assunzione277.
Tale principio sarebbe ormai incontroverso, anche nella giurisprudenza
amministrativa278, per le controversie relative alle graduatorie del personale ATA.
275
Ex multis Cass., sez. un., ord. 13 febbraio 2008, n. 3399, inedita; Cass., sez. un., ord. 3 febbraio
2004, n. 1989, in Lav. pubbl. amm., 2004, 1, 226 con nota di G. Misserini, Assunzione in ruolo del
personale ATA della scuola e conseguente riparto di giurisdizione; Cass., sez. un., 22 luglio 2003, n.
11404, in Giust. civ., 2004, fasc. 3, I, 816; Cass., sez. un., 23 novembre 2000, n. 1203, in Giur. It.,
2001, fasc. 5, 1035; Trib. Bari, 26 agosto 2008, inedita.
276
Cass., sez. un., 20 giugno 2007, n. 14290, in Rep. Foro it., 2007, voce “Impiegato dello Stato e
pubblico” [3440], n. 288.
277
Ex multis Cass., sez. un., ord. 13 febbraio 2008, cit.
278
Tra le più recenti, TAR Brescia Lombardia, sez. II, 19 maggio 2009, n. 1052, si spinge ad
109
In relazione al personale docente, invece, solo da ultimo, dopo una serie di
oscillazioni, è stata raggiunta una linea comune, condivisa dal giudice amministrativo
e da quello ordinario279.
Innanzi ad una consolidata giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite 280,
seguita da alcune pronunce del Tar281, ferme nel devolvere le controversie in
questione al giudice del lavoro, non sono, infatti, mancate, ricostruzioni, nella
giurisprudenza amministrativa
di segno opposto282, secondo cui «la corretta
assegnazione dei punteggi e il riconoscimento dei titoli costituiscono momenti
autoritativi di una procedura selettiva, finalizzata al reclutamento, a cui corrispondono
interessi legittimi al rispetto dei parametri di legalità, imparzialità e buon andamento
dell'amministrazione»
certamente
rimessi
alla
cognizione
del
giudice
amministrativo283.
Alla ricostruzione del giudice ordinario, fondata non solo sull'assenza dei
requisiti
caratterizzanti il concorso ma anche sui pilastri della riforma di
privatizzazione come gli art. 5 e 63 del D. Lgs. n. 165/2001, si è così, da sempre,
affermare che in tali ipotesi «vengono in questione atti che non possono che restare compresi tra le
determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato».
279
Si segnalano in materia di graduatorie di circolo e d'istituto due pronunce contrastanti dei tribunali
di merito: Trib. Taranto, 7 febbraio 2002, in Lav. Giur., 2002, 12, 1176 con nota di G. Misserini,
Giurisdizione e tutela d'urgenza in materia di supplenze scolastiche e Trib. Modica, ord., 15 gennaio
2010, in Lav. Giur., 2010, 8, 815, con nota di A. Ferruggia, Itinerari interpretativi a confronto: la
giurisdizione nel conferimento di supplenze nella scuola.
280
Cass., sez. un., 8 febbraio 2011, n. 3032, in Dir. Giust., 2011, 0, 42, con nota di L. G. Papaleo,
Qual è il giudice “naturale” in tema di G.A.E.?; Cass., sez. un., 10 novembre 2010, n. 22805, in Giust.
civ. Mass., 2010, 11, 1424; Cass., ez. un., 16 giugno 2010, n. 14496, in Guida al diritto, 2010, 47, 70;
Cass., sez. un., ord. 13 febbraio 2008, cit., che faceva seguito a Cass. n. 11563 del 2007, inedita, e a
Cass. 20 giugno 2007, n. 14290, in Giust. civ. Mass., 2007, 6.
281
Tar Bologna Emilia Romagna, 21 ottobre 2009, n. 1928, in Red. Amm. TAR, 2009, 10 e Tar
Catania Sicilia, 24 novembre 2009, n. 1925, in Red. Amm. TAR, 2009, 11.
282
Cons. Stato, ad. plen., 24 maggio 2007, n. 8, in Guida al diritto, 2007, 25, 87, con nota di O.
Forlenza, Non convince l'attribuzione di giurisdizione dipendente dall'attività vincolata della "Pa";
Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2005 n. 2207 e Cons. Stato, sez. VI, 22 giugno 2004 n. 4447, in Foro
amm. CDS, 2004, 1807; Cons. Stato, sez. VI, 23 settembre 2002, n. 4838.
283
Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2009, n. 7617, in www.orizzontescuola.it.
110
contrapposta la lettura più classica e tipicamente amministrativa, che fa leva sulla
configurabilità di un potere autoritativo del datore pubblico e sulla consistenza di
interesse legittimo della posizione soggettiva azionata dal ricorrente.
In qualche isolata pronuncia del Consiglio di Stato284, per sostenere la
giurisdizione amministrativa, si è anche adoperato l'appiglio della mutata normativa
che ora prevede la “cristallizzazione” della graduatoria che diventa così definitiva e
“ad esaurimento”. Era stato, infatti, correttamente notato che mentre la graduatoria,
ultimata la procedura concorsuale vera e propria, subisce un processo di c.d.
cristallizzazione285 essendo possibile la sua utilizzazione solo per la sostituzione di un
vincitore rinunciatario ovvero per la copertura di eventuali posti della dotazione
organica resisi disponibili successivamente all'indizione nei rigorosi limiti temporali
di validità della stessa graduatoria, le graduatorie permanenti per l'accesso nei ruoli
della scuola non si consolidano mai286, dovendo le stesse essere periodicamente
aggiornate e dunque essendo le stesse "fisiologicamente" mutevoli 287. L'argomento
non sembra però essere decisivo: la “cristallizzazione” delle nuove graduatorie “ad
esaurimento” equivale alla mancata possibilità di accesso dall’esterno da parte di
nuovi
aspiranti,
essendo
invece
espressamente
tenuto
fermo
il
diritto
all’aggiornamento del punteggio di coloro che sono già utilmente collocati in
graduatoria. Nulla sembra, dunque, essere cambiato da un punto di vista procedurale:
le graduatorie “ad esaurimento” non sembrano presentare caratteristiche diverse
284
Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2009, n. 7617, in www.orizzontescuola.it.
R. Di Pace, Graduatorie concorsuali ed idonei, in Giorn. dir. amm., 2002, 53.
286
L. Flore, Le graduatorie permanenti del personale A.T.A. della Scuola non sono un pubblico
concorso, in Lav. pubbl. amm., 2006, 2, 414.
287
G. Misserini, Assunzione in ruolo del personale ATA della scuola e conseguente riparto di
giurisdizione, in Lav. pubbl. amm., 2004, 226.
285
111
rispetto a quelle precedenti288 e non giustificano, conseguentemente, un mutamento
delle regole sulla giurisdizione.
Solo recentemente, a seguito della rimessione della questione all'Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato, da parte della VI sezione, il supremo giudice
amministrativo ha ritenuto di doversi allineare alla Cassazione, non solo sotto il
profilo del risultato, ma anche, e soprattutto, delle argomentazioni utilizzate. Alla
plenaria, infatti, che rigetta la lettura interpretativa offerta dalla sezione remittente
volta ad incardinare la giurisdizione amministrativa, appare evidente che nella
fattispecie della giusta posizione o collocazione nella graduatoria permanente o ad
esaurimento degli insegnanti, con riguardo alla natura della attività esercitata e alla
posizione soggettiva attiva azionata vengono in considerazione atti che non possono
che restare ricompresi tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del
datore di lavoro privato di fronte ai quali sussistono soltanto diritti soggettivi. Non
può, inoltre, per gli stessi giudici, allargarsi la nozione di procedura concorsuale, ai
sensi e per gli effetti dell'art. 63, comma 4, così da ricomprendere anche fattispecie a
quella estranea, caratterizzate dall'assenza di un bando, di una procedura di
valutazione e di una approvazione finale di graduatoria289.
In virtù di tali considerazioni, deve ritenersi indubbiamente che tali controversie
- relative all’accertamento del diritto al collocamento o alla rettifica del punteggio e,
più in generale, alla “gestione” del personale in graduatoria - rientrino appieno tra
Così L. Sposato, Graduatorie a esaurimento e riparto di giurisdizione. L’amministrazione-datore
di lavoro tra poteri “privati” e pubbliche “virtù”, cit., secondo cui la novità legislativa non ha
conseguenze tanto sulle modalità di selezione in sé, ma sulla scelta di fondo di ristrutturare – una volta
esaurite le posizione in graduatoria – i meccanismi di immissione in ruolo dei docenti e di assegnazione
delle supplenze.
289
Cons. Stato, ad. Plen., 12 luglio 2011, n. 11, in Urb. Appalti, 2011, 9, 1117, con nota di G. Ferrari
e L. Tarantino, La Plenaria sul riparto di giurisdizione in tema di procedure concorsuali per
l'assunzione nel pubblico impiego.
288
112
quelle concernenti, genericamente, l’assunzione al lavoro (comma 1, art. 63, D.Lgs. n.
165/2001) e non tra quelle più specifiche delle procedure concorsuali per l’assunzione
(comma 4, art. 63, D. Lgs. 165/2001).
A ciò si aggiunga che è, probabilmente, anche fuorviante individuare la
giurisdizione competente, come fa la giurisprudenza, a seconda della previsione o
meno di alcune regole - emanazione di un bando, valutazione comparativa dei
candidati, compilazione finale di una graduatoria - che governano la procedura di
selezione del personale. Un simile ragionamento esclude sì la riconducibilità di una
procedura selettiva alla tipologia di quelle “concorsuali”, ma dimentica o sottovaluta
che un ulteriore elemento scriminante è rappresentato dalla successiva locuzione “per
l’assunzione”. In altre parole, una procedura concorsuale dovrebbe essere conosciuta
dal giudice amministrativo anche in mancanza di quegli elementi qualificatori, se
“finalizzata all’assunzione”; diversamente, una procedura non direttamente finalizzata
“all’assunzione”, come il caso in esame delle graduatorie del personale scolastico,
non dovrebbe appartenere alla giurisdizione amministrativa anche in presenza di
alcune di quelle regole “concorsuali”.290
290
Si veda ad esempio il caso dei concorsi interni e delle progressioni di carriera: M. Navilli,
Graduatorie concorsuali nel pubblico impiego: giurisdizione, diritto degli idonei allo scorrimento e
derogabilità della contrattazione collettiva, cit., 686, sottolinea come il riferimento alla finalità
dell'assunzione, interpretato come primo accesso al lavoro, sia stato determinante in giurisprudenza per
escludere la competenza giurisdizionale amministrativa dalle controversie inerenti procedure selettive
che costituiscono solo sviluppi professionali di carriera e trovano il loro fondamento in un rapporto di
lavoro oramai costituito e in ordinaria evoluzione. Successivamente la Cassazione ha radicalmente
mutato indirizzo: Cass., sez. un., 15 ottobre 2003, n. 15403, con nota di L. Sgarbi, La Cassazione ci
ripensa: sui concorsi interni ha giurisdizione il giudice amministrativo, cit.
113
3.5
Il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali
Con la privatizzazione del pubblico impiego, com'è noto, è stata attuata una
vasta opera riformatrice della dirigenza pubblica, nell’ambito della quale la materia
del conferimento degli incarichi ha, da sempre, costituito un nodo centrale ed alquanto
controverso.
Questo deriva certamente dalla posizione in cui essi si collocano: rappresentano,
infatti, la cerniera fra la disciplina privata del rapporto lavorativo e la rilevanza
pubblicistica dell’organizzazione291.
Tutti gli interventi legislativi succedutisi incessantemente, a partire dagli anni
’90 fino ad oggi292, hanno inteso valorizzare i principi della meritocrazia, della
legittimazione professionale del dirigente e della distinzione tra politica e
amministrazione, trasformando sostanzialmente il modello burocratico, dove il
dirigente è custode della legittima esecuzione amministrativa, con un modello di tipo
manageriale, in cui il dirigente è il gestore delle risorse umane e responsabile dei
291
A. Pioggia, Il principio di distinzione e gli atti di incarico dirigenziale. Giurisdizione e natura del
potere impiegato, in Astrid, 2007, 4. Di carattere “anfibio” parla G. D'Alessio, Gli incarichi di funzioni
dirigenziali, in F. Carinci (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche,
Commentario, Giuffrè, Milano, 2000, 714.
292
Si ricorda da ultimo la nuova disciplina della dirigenza contenuta nella Riforma Brunetta D.Lgs.
n. 150 del 2009 e parzialmente modificata con il d. l. ”Tremonti” n. 78 del 2010 su cui in dottrina v. S.
Battini, La Riforma Brunetta del lavoro pubblico, in Gior. Dir. Amm., 2010, 1,5; A. Boscati, Il
conferimento di incarichi dirigenziali e il nuovo sistema di accesso alla dirigenza, in Giur. it., n.
12/2010; . Carinci, Il secondo tempo della riforma Brunetta: il d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, cit.; B.
Caruso, Le dirigenze pubbliche tra nuovi poteri e responsabilità (il ridisegno della governace nella p.a
.italiane) in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’antona”, IT , n. 104, 2010; G. D'Alessio, Le norme sulla
dirigenza nel decreto legislativo di attuazione della legge delega n. 15/2009, in Astrid-online, 15
novembre 2009; Id., Incarichi dirigenziali: Tremonti “corregge” Brunetta, in Astrid, 2010, 2; A.
Garilli, Il dirigente pubblico e il sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa
della P.A. in Giur. It., n. 12/2010; S. Mainardi, Il “dovere” del dirigente di sanzionare il demerito: il
procedimento disciplinare, in Giur. It., n. 12/2010; M. Martone, La c.d. riforma Brunetta e il ruolo
strategico del dirigente nella realizzazione dei suoi obiettivi, in Giur. It., n. 12/2010; M. Persiani,
Introduzione a Il tema della riforma della dirigenza pubblica, in Giur. It., n. 12/2010; R. Salomone, La
responsabilità dirigenziale oltre i confini della prestazione individuale, in Giur. It., n. 12/2010.
114
risultati293.
La ricostruzione della dirigenza in chiave privatistica, incisivamente attuata con
i D.Lgs. nn. 80 e 387 del 1998, risulta perfettamente coerente con la devoluzione al
giudice ordinario delle controversie relative al conferimento degli incarichi
dirigenziali, espressamente richiamati dall'art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001.
Eppure i numerosi dubbi avanzati in dottrina e in giurisprudenza sul versante
della disciplina sostanziale si sono inevitabilmente ripercossi sul profilo processuale
relativo all'individuazione della giurisdizione competente.
Il punto di partenza è, come noto, l’art. 19, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001
secondo cui il conferimento degli incarichi si scinde in due atti diversi: il
conferimento vero e proprio, che può assumere, a seconda dei casi, la forma del
decreto del Presidente della Repubblica, il decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri o la determinazione del dirigente preposto all’ufficio dirigenziale generale,
cui accede un contratto ove – prima della novella del 2002 - erano definiti l’oggetto,
gli obiettivi, la durata e il trattamento economico. Una delicata questione
interpretativa riguardava, già allora, la natura dell'atto di conferimento dell’incarico.
L'ampio
dibattito
sviluppatosi
intorno
all'argomento
vedeva
contrapposte
principalmente la tesi della natura amministrativa del provvedimento a quella della
concezione privatistica dell'atto stesso, in quanto inerente alla gestione del rapporto di
lavoro. Una posizione intermedia distingueva tra atti di conferimento degli incarichi
apicali, considerati provvedimenti amministrativi, e quelli attributivi dell’incarico ai
dirigenti di base, considerati atti privatistici294.
293
294
Così S. Cassese, Il sofisma della privatizzazione del pubblico impiego, cit., 30 ss.
Per una ricostruzione delle varie opinioni vedi G. Nicosia, La dirigenza statale tra fiducia, buona
115
Coerentemente all'impostazione pubblicistica, in punto di giurisdizione
venivano prospettate diverse soluzioni.
Si è affermato il mantenimento di una tutela binaria, amministrativa per l’atto
d’incarico impugnato dal terzo aspirante all’incarico e ordinaria per il contratto ad
esso collegato concernente le controversie ipotizzabili tra il dirigente assunto ed il
datore di lavoro295. D'altra parte, facendo leva sulla devoluzione per materia al giudice
del lavoro, si è ritenuta la concentrazione del contenzioso sugli incarichi dirigenziali
su questo giudice cui spetterebbe il potere di cognizione anche sugli atti
amministrativi, comprensivo anche di quello di annullamento296.
In merito a tale ultimo punto si è anche espressa la Corte Costituzionale che ha
dichiarato priva di fondamento la questione di costituzionalità dell’art. 18 del decreto
legislativo 29 ottobre 1998, n. 387, nella parte in cui ha devoluto al giudice ordinario
le controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, con
riferimento agli artt. 76 e 77 Cost. per asserito eccesso di delega rispetto all’art. 11,
comma 4 lett. g), l. 59/1997 che non avrebbe prefigurato una giurisdizione esclusiva
del giudice ordinario estesa anche agli interessi legittimi nella materia in esame297.
La Corte non ha dubbi in ordine alla legalità e coerenza dell'attribuzione al
giudice ordinario delle controversie relative al conferimento di incarichi dirigenziali.
fede ed interessi pubblici, in Dir. Lav. Rel. ind., 2003, 253.
295
G. D'Alessio, Gli incarichi di funzioni dirigenziali, in F. Carinci e M. D’Antona (diretto da), Il
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, cit. 774. In giurisprudenza v. Trib. Parma, 28
marzo 2001, in Giust. it., n. 4-2001, 4; Trib. Napoli, 10 dicembre 1999, in Lav. pubbl. amm., 2001, 254.
296
F. Miani Canevari, Privatizzazione del pubblico impiego e giurisdizione del giudice ordinario, in
Lav. pubbl. amm, 2001, 769.
297
Trib. Genova, ord. 22 settembre 2000, n. 753, in Lav. pubbl. amm., 2001, 181. Nel senso della
giurisdizione esclusiva del giudice ordinario v. in giurisprudenza Corte di Appello L'Aquila, 8 gennaio
2002, in Lav. pub. amm., 2002, 625; Tar Friuli Venezia Giulia, 18 dicembre 1999, 1282, in Lav. pub.
amm., 2001, 224; Pret. Roma, 20 maggio 1999, in Giust. civ., 2000, I, 269; Trib. Roma, recl. 12 ottobre
2000, in www.formez.it; Trib. Potenza, ord. 16 novembre 1999, in Lav. pub. amm., 2001, 230.
116
Tuttavia non può non notarsi come essa abbia, innanzitutto, bypassato il problema
della natura giuridica dell'atto di conferimento affermando che «quale sia la
configurazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti ed in particolare quello
dei dirigenti ... certamente il legislatore delegante e quello delegato, in attuazione
della delega, hanno voluto modellare e fondare tutti i rapporti dei dipendenti della
amministrazione pubblica (compresi i dirigenti) secondo il regime di diritto privato
del rapporto di lavoro»298; e come, in secondo luogo, non sembra trovare soluzione in
merito alla natura della giurisdizione del giudice ordinario. Per un verso, infatti,
nell'asserire che «resta rimesso alla scelta discrezionale del legislatore ordinario suscettibile di modificazioni in relazione ad una valutazione delle esigenze della
giustizia e ad un diverso assetto dei rapporti sostanziali - il conferimento ad un
giudice, sia ordinario, sia amministrativo, del potere di conoscere ed eventualmente
annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti,
secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste», sembra ipotizzare
una cognizione esclusiva299 del giudice ordinario; ma per altro, subito dopo, pare
accantonare questa ipotesi, affermando che «il legislatore ha voluto che, sia pure
tenendo conto della specialità del rapporto e delle esigenze del perseguimento degli
interessi generali, le posizioni soggettive degli anzidetti dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, compresi i dirigenti di qualsiasi livello, fossero riportate, quanto alla
tutela giudiziaria, nell’ampia categoria dei diritti di cui all’art. 2907 Cod. Civ. come
intesa dalla più recente giurisprudenza di legittimità»300.
298
Corte cost. 23 luglio 2001, n. 275, in Lav. pubbl. amm., 2001, 619.
Questa è la lettura di G. D'Alessio, Incarichi dirigenziali, riparto di giurisdizione e poteri del
giudice ordinario, in Lav. pubbl. amm., 2001, 3-4, 631 ss.
300
L'anomalia delle motivazioni è messa così in evidenza da D. Iaria, Il riparto di giurisdizione nel
299
117
La ricostruzione in chiave pubblicistica è stata giustamente avversata da
un'attenta dottrina, e avallata da alcune pronunce giurisprudenziali 301, secondo cui la
natura contrattuale degli incarichi dirigenziali dovrebbe trasmettersi «all'atto di
conferimento
fa[cendo] assumere agli atti amministrativi che ne accompagnano
l’attribuzione funzione meramente ricognitiva o, comunque, tale da farli assorbire
dall’accordo stipulato tra amministrazione e dirigente»302.
La stessa Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sull'argomento, ha
chiarito che il conferimento dell’incarico dirigenziale «costituisce esso medesimo
esercizio di un potere privato, perché presuppone già compiute dai competenti organi
di indirizzo le scelte organizzative di tipo strutturale, identificative dell’ufficio alla cui
copertura il conferimento stesso è destinato» e ha, dunque, affermato la giurisdizione
ordinaria303.
A seguito della riscrittura dell’art. 19 ad opera del D.Lgs. 145/2002, il dibattito
si è riacceso ed acuito, poiché è stata sostenuta una sorta di “ripubblicizazzione” 304
degli incarichi dirigenziali, il cui atto di conferimento, qualificato come
«provvedimento», sarebbe un atto amministrativo, restando al contratto la sola
funzione di definire il trattamento economico305, con il conseguente pericolo di un
«diffuso ricorso alla giurisdizione di legittimità»306.
contenzioso
del
lavoro
alle
dipendenze
della
pubblica
amministrazione,
in
www.fondazioneforensefirenze.it
301
Corte d’Appello di L’Aquila, 8 gennaio 2002, cit.
302
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1225
303
Cass., sez. un., 11 giugno 2001, n. 7859, in Foro it., 2002, I, 2996.
304
Così è definita da G. D’Alessio, B. Valensise, Incarichi di funzioni dirigenziali, in F. Carinci, L.
Zoppoli (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2004, cit., 1061.
305
G. D’Auria, La privatizzazione della dirigenza pubblica, fra decisioni delle corti e ripensamento
del legislatore, in Foro it., 2002, 2965.
306
L. Oliveri, la legge 145/2002 e gli effetti sulla giurisdizione relativa al conferimento degli
incarichi dirigenziali, in Giust. Amm., 2002, 1155.
118
A sostegno di questo indirizzo si è schierato, già all'indomani dell'entrata in
vigore del D.Lgs. n. 145/2002, il Dipartimento della Funzione Pubblica nella cui
Circolare del 31 luglio del 2002 si legge «Nel nuovo assetto normativo della
dirigenza, l’atto di conferimento dell’incarico assume connotazione provvedimentale,
ponendosi
come
determinazione
conclusiva
di
un
apposito
procedimento
amministrativo, nel quale si manifesta l’interesse pubblico correlato al perseguimento
degli obiettivi definiti dall’organo di indirizzo politico-amministrativo. La legge
qualifica espressamente l’atto di assegnazione delle funzioni dirigenziali come
provvedimento, ponendo in rilievo il carattere unilaterale della determinazione … Ne
deriva che l’attività riguardante il conferimento degli incarichi, anche in mancanza di
apposita disciplina di dettaglio, è assoggettata ai principi generali del procedimento
amministrativo, con particolare riguardo alle regole partecipative ed all’obbligo
dell’amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti destinatari
dell’atto conclusivo»307.
Nello stesso senso, si è espressa parte della dottrina che ha letto nell'intervento
legislativo un rafforzamento del valore dell'atto di conferimento rispetto al
contratto308: il primo assume rilievo centrale; il secondo, l'accordo negoziale, è
relegato al piano meramente accessorio ed ausiliario, destinato a regolare solo gli
aspetti patrimoniali.
Secondo
un
orientamento
opposto,
invece,
nonostante
l'apparente
«ammministrativizzazione» non può rilevarsi «un'inversione della tendenza alla piena
307
Circolare pubblicata nella G.U. 5 agosto 2002, n. 183.
C. D'Orta, Gli incarichi dirigenziali nello Stato dopo la L. 145/2002, in Lav. pubbl. amm., 2002,
6, 929, secondo cui «appare ben difficile poter attribuire all'atto di conferimento-preposizione alle
funzioni dirigenziali forma e sostanza diverse da quelle del provvedimento amministrativo».
308
119
“privatizzazione” del rapporto di lavoro anche della dirigenza»309.
E' vero, infatti, che l'impostazione privatistica del rapporto di lavoro
dirigenziale, infatti, non può essere incrinata né dal «tutto sommato debole argomento
costituito dal nomen iuris (“provvedimento”)» né dal «ridimensionamento del
contenuto assegnato al contratto»310.
In primo luogo, infatti, non può essere determinante il dato letterale che
qualifica l’atto di conferimento come “provvedimento” perché ove volesse
considerarsi insuperabile bisognerebbe, a fortiori, ritenere non casuale il fatto che il
legislatore non abbia fatto seguire il termine “provvedimento” dall’aggettivo
“amministrativo”311 costantemente presente, invece, nelle norme che disciplinano gli
atti di esercizio del potere pubblico312; in secondo luogo, non essendo plausibile che il
contratto individuale sia deputato alla sola determinazione del compenso, potendo
facilmente esporsi ad eccezioni di nullità, potrebbe ritenersi tranquillizzante una
lettura che considera il provvedimento come una proposta unilaterale di incarico, la
cui accettazione ha l'effetto che il provvedimento venga inglobato dal contratto313.
Queste considerazioni possono essere integrate da significativi dati sistematici.
Sono così sembrati decisivi sia l'art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001 che attribuisce al
309
M. P. Chiti, La legge Frattini e il riparto di giurisdizione, in Lav. pubbl. amm., 2003, 2, 246. Nello
stesso senso, v. G. D'Alessio, La legge di riordino della dirigenza: nostalgie, antilogie ed amnesie, in
Lav. pubbl. amm., 2002, 02, 213 secondo cui il ricorso ad un una qualificazione in senso pubblicistico
degli atti di conferimento degli incarichi - al di là dei problemi di coerenza con quello che anche di
recente è stato definito come il «contesto della generalizzata privatizzazione del rapporto di impiego
dei dirigenti» - può essere, eventualmente, giustificato in termini di opportunità (se non altro, al fine di
porre termine alla querelle sviluppatasi negli ultimi anni attorno alla natura di tali atti), ma non si può
affermare che esso costituisca una scelta giuridicamente ed istituzionalmente obbligata.
310
A. Corpaci, Il nuovo regime del conferimento degli incarichi dirigenziali e la giurisdizione sugli
incarichi dirigenziali, in Lav. pubbl. amm., 2003, 2, 225.
311
L. Menghini, La disciplina degli incarichi dirigenziali, in Lav. Pubbl. Amm., 2002, 06, 1005 ss.
312
Cass. 20 marzo 2004, n. 5659, in Lav. Pubbl. Amm., 2004, 153 ss. con nota di A. Boscati, Atto di
conferimento dell'incarico dirigenziale: la Cassazione ne riafferma la natura privatistica.
313
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1230.
120
regime pubblicistico «i modi di conferimento della titolarità» degli uffici, non il loro
concreto conferimento sia l'art. 5, comma 2, dello stesso decreto ove si afferma la
natura privatistica delle «determinazioni per l'organizzazione degli uffici e per la
gestione dei rapporti di lavoro» «nell'ambito ... degli atti organizzativi di cui
all'articolo 2, comma 1».
Dal combinato disposto delle due norme citate si è così
correttamente ricavata la natura privatistica dell'atto di conferimento che
dovrebbe
oggi svolgere la «funzione di determinare con maggiore precisione l'oggetto della
prestazione da lui dovuta (oggetto e durata dell'incarico, obiettivi da perseguire) sul
quale misurare, successivamente, l'esatto adempimento delle sue obbligazioni»314.
Alla linea “privatistica” ha mostrato di aderire apertis verbis il giudice di
legittimità per cui, secondo la disciplina contenuta nell'art. 19, D.Lgs. n. 165/2001 sia con riguardo al testo originario, sia a quello modificato dall'art. 3 della l. 145/2002
- i provvedimenti di conferimento sono adottati dall’amministrazione con la capacità
ed i poteri del privato datore di lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 2, t.u. 165/2001.
Nel passare in rassegna le molteplici opinioni espresse, tutte suffragate da
argomentazioni indubbiamente consistenti, alla fine, la Corte conclude nel senso di
escludere la configurabilità di poteri e interessi legittimi: «soltanto la prospettiva del
potere privato e dei diritti consente, infatti, di tutelare la pretesa del dirigente a che
l'amministrazione tenga comportamenti positivi in adempimento di obblighi formali e
sostanziali, eventualmente specificati dalle clausole generali di correttezza e buona
fede»315.
314
Così M. G. Garofalo, La dirigenza pubblica rivisitata, in Lav. pubbl. amm., 2002, 885; nella
giurisprudenza di merito v. Trib. Venezia, ord. 8 giugno 2000, in Lav. pub. amm., 2001, 248; Trib.
Bologna, 23 aprile 2001, in Lav. Giur., 2001, 1059.
315
Nello stesso senso in dottrina v. B. Cimino, La giurisdizione sugli incarichi dirigenziali: la
121
L'argomento decisivo è, per la giurisprudenza, lo stesso art. 63 D.Lgs. n.
165/2001, rimasto immutato a seguito della riforma del 2002, che si concilia
perfettamente con il carattere privatistico dell’attribuzione dell’incarico dirigenziale e
che conferma la giurisdizione del giudice ordinario, «anche se, per avventura, il
provvedimento di cui
all’art. 19, comma 2, del D.Lgs.165/2001 avesse natura
amministrativa»316.
Il dato processuale è essenziale nelle motivazioni della Corte che, è bene
sottolinearlo, nel vagliare l'ipotesi di attribuzione di giurisdizione esclusiva al giudice
ordinario rinviene una persuasiva negazione nella formulazione dell'art. 63, comma 1,
ove si richiama espressamente non il potere di annullamento ma solo quello di
disapplicazione degli atti amministrativi "presupposti" e si specificano i poteri del
giudice ordinario con riferimento ai "diritti tutelati" e non certo agli interessi legittimi.
Com'è stato correttamente osservato, la Corte di Cassazione «messa di fronte
alla chiara lettera della legge, quale recepita dall'art. 63, comma 1, che attribuisce alla
giurisdizione ordinaria il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la
responsabilità dirigenziale, all'alternativa di riconoscerli quali provvedimenti
amministrativi (così configurando una giurisdizione esclusiva per materie, quindi dei
diritti e degli interessi) o declassarli ad atti privatistici (così rimanendo fedele alla
concezione classica di una giurisdizione dei diritti), ha optato per questa seconda
scelta»317.
Scelta comprensiva di una lettura delle norme che, riconducendo il potere di
posizione del Consiglio di Stato, in Giorn. Dir. Amm., 2006, 9, 992 per cui il potere datoriale non è
arbitrario, ma limitato dai canoni della buona fede e della correttezza nell'agire privato.
316
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1227.
317
F. Carinci, La privatizzazione del pubblico impiego alla prova del terzo Governo Berlusconi:
dalla Legge 133/2008 alla Legge n. 15/2009, cit., 949.
122
conferimento degli incarichi nella categoria dei poteri privati, sembra «costituire il
giusto punto di equilibrio tra le esigenze di flessibilità (perseguite con la
"privatizzazione") e quelle di garanzia del personale dirigenziale, con risultati
conformi ai precetti costituzionali»318.
La posizione così espressa, nonostante qualche contraria pronuncia da parte
della giurisprudenza amministrativa319, è stata ribadita in altre pronunce ove si legge
che «anche nell’assetto normativo delineato dalla l. 15 luglio 2002 n. 145…è devoluta
al giudice ordinario…con pienezza di tutela delle situazioni giuridiche coinvolte, la
cognizione di tutte le controversie concernenti il conferimento e la revoca di incarichi
dirigenziali…trattandosi in ogni caso di atti che concernono il funzionamento degli
apparati, appartenenti alla gestione dei rapporti di lavoro ed assunti con la capacità e i
poteri del privato datore di lavoro»320.
Il dato certo è che «se c'era una implicita illusione che la riqualificazione
pubblicistica in termini di provvedimento di qualsiasi atto di conferimento potesse di
per sé provocare una modifica della giurisdizione, questa era mal fondata alla luce
della oramai concorde giurisprudenza costituzionale, amministrativa, ordinaria. Nella
318
Cass. 20 marzo 2004, n. 5659, cit. Anche se nota F. Carinci, La privatizzazione del pubblico
impiego alla prova del terzo Governo Berlusconi: dalla Legge 133/2008 alla Legge n. 15/2009, cit.,
questa appa(re) forzata rispetto ad una lettura sia storica sia sistematica della legge, nonché distonica
con riguardo alla crisi del criterio di ripartizione tradizionale, quale basato sulle posizioni soggettive e
non sulle materie; ma quel che qui conta è che la Corte di Cassazione ha finito per privilegiare nella
qualificazione degli atti contestati proprio la giurisdizione loro riservata, sì da qualificarli come
privatistici a prescindere dalla provenienza da un soggetto pubblico e dalla forma di provvedimenti
amministrativi in virtù dell'essere impugnabili di fronte alla magistratura ordinaria».
319
V. Tar Bari Puglia, sez. II, 14 dicembre 2001, n. 7900, in Foro amm., 2002, 3320; Cons. Stato,
sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2706, in Foro amm. CDS, 2005, 1412.
320
Cass., ord. 9 dicembre 2004, n. 22990, in Giust. Civ., 2005, I, 1392; v. anche Cass., sez. lav., 6
aprile 2005, n. 7131, in Foro it., 2005, I, 3071 con nota di G. D'Auria, Brevissime su incarichi e fedeltà
dei dirigenti statali; Cass. 22 febbraio 2006, n. 3880, in Mass. Giur. Lav., 2006, 796 con nota di E. M.
Barbieri, Considerazioni sulla tutela dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni davanti al giudice
ordinario; Cass., sez. Lav., 14 aprile 2008, n. 9814, in Foro it., 2009, 11, I, 3074, con nota di G.
D'Auria, Dirigenti pubblici: garanzie nel conferimento degli incarichi e tutela reale contro i
licenziamenti illegittimi (con brevi note sulla riforma della dirigenza nella "legge Brunetta").
123
nuova logica di una giurisdizione ridistribuita anche per materie, perdono valenza
selettiva sia la qualificazione dell'atto in termini di pubblico o di privato, sia la
ricostruzione della posizione protetta in termini di interesse legittimo o diritto
soggettivo»321.
La decisa ed univoca presa di posizione della giurisprudenza sembra dare,
dunque, per scontato che, avendo l'atto di conferimento natura privatistica, esso può
essere certamente annullato dal giudice ordinario che fa uso dei suoi normali poteri di
accertamento costitutivo322.
Diversamente,
aderendo
alla
tesi
della
natura
amministrativa
del
provvedimento, se si esclude la prospettabilità di una giurisdizione esclusiva del
giudice ordinario, deve convenirsi sull'azionabilità del potere di disapplicazione,
fuoriuscendo ogni altra soluzione dai confini tracciati dal legislatore e dalla
giurisprudenza.
L'impasse può allora essere superata aderendo a quella soluzione ermeneutica,
pienamente condivisibile, secondo cui l’atto di conferimento, sia esso privatistico o
pubblicistico, al momento dell'accettazione del dirigente viene recepito a tutti gli
effetti nel contratto. Una volta che il giudice ordinario, chiamato in causa, abbia
proceduto, nell'ambito dei suoi poteri, all'annullamento del contratto, non sarà più
necessaria alcuna azione nei confronti dell'atto di conferimento, poiché difficilmente
esso potrà esplicare effetti pregiudizievoli tali da rendere necessario l’annullamento e
321
F. Carinci, Regola maggioritaria, alternanza e bulimia riformatrice, in Lav. pubb. amm., 2002,
06, 837 ss.
322
C. Cordella, La natura giuridica dell'atto di conferimento dell'incarico dirigenziale e I problemi
di giurisdizione, in Lav. pubbl. amm., 2000, 392; Per F. Carinci, Regola maggioritaria, alternanza e
bulimia riformatrice, cit., 837 ss. se l'atto è «direttamente e immediatamente lesivo di un diritto del
singolo» esso sarà «annullabile a tutti gli effetti».
124
anche la disapplicazione323.
Ulteriori interrogativi sono stati posti nei casi in cui, per procedere alla nomina
del dirigente, si proceda preliminarmente a procedure di selezione volte ad
individuare il soggetto più idoneo all’incarico da ricoprire, poiché, ancora una volta,
se trattasi di procedure concorsuale finalizzata all’assunzione, le relative controversie
sarebbero attribuite al giudice amministrativo ai sensi del comma 4 dell'art. 63.
L’art. 63, invero, non sembra lasciare margini di dubbio nell’attribuire, senza
possibilità di eccezioni, tutte le controversie concernenti il conferimento e la revoca
degli incarichi dirigenziali al giudice ordinario.
E', così, stata affermata la giurisdizione ordinaria in merito al conferimento
degli incarichi sanitari di secondo livello, sul presupposto che in tali procedure la
commissione è chiamata ad esprimere non una valutazione comparativa tra gli
aspiranti ai fini della redazione di una graduatoria ma solo un giudizio di idoneità dei
medesimi a ricoprire l’incarico dirigenziale, mentre il conferimento dell’incarico, ad
opera del Direttore Generale, avviene nell’ambito di poteri di scelta espressivi della
capacità datoriale di diritto privato dell’ente sindacabile soltanto sotto il profilo delle
regole di correttezza e buona fede324.
Le selezioni di cui trattasi non possono, condivisibilmente, essere qualificate
come procedure concorsuali o altre ad esse assimilabili, dirette alla formazione di una
graduatoria e alla proclamazione di un vincitore, cui spetta un diritto all’assunzione, e
come ha chiarito il Consiglio di Stato “l’individuazione del nominando avviene sulla
323
D. Borghesi, La giurisidzione del giudice ordinario, cit., 1228.
Cass., sez. un., 15 maggio 2003, n. 7623, in Foro it., 2003, 3384; Cons. Stato, sez. V, 12
novembre 2003, n. 7231, in Foro Amm. CDS, 2004,154 con nota di M. Montini, Gli incarichi di
direzione di struttura complessa e i dirigenti medici: questione di giurisdizione e natura degli atti della
relativa procedura; contra Tar Bologna, sez. I, 07 marzo 2001, n. 195, in Ragiusan, 2002, 223-4,420;
Tar Lazio, sez. III, 17 dicembre 2001, n. 11405, in Foro Amm. CDS, 2002, 171.
324
125
base di una scelta di carattere essenzialmente fiduciario…escludendo che il
conferimento costituisca esercizio di attività amministrativa funzionalizzata e non
anche
di
attività
libera,
riconducibile
alla
capacità
di
diritto
privato
dell’amministrazione”325.
Più recentemente è stato chiarito espressamente che deve essere devoluta al
giudice ordinario la controversia concernente la selezione del dirigente per la
copertura dell'incarico, anche laddove la scelta sia confinata nell'ambito di una lista di
soggetti idonei in quanto dotati dei requisiti necessari poiché essa è il frutto di una
scelta comparativa di carattere non concorsuale in quanto non caratterizzata dallo
svolgimento di prove o selezioni sulla base di una "lex specialis", né dalla
compilazione di una graduatoria finale326.
Deve infine indubbiamente convenirsi con un’attenta posizione dottrinale,
suffragata da parte della giurisprudenza327,
secondo cui, anche nel caso di
conferimento dell’incarico dirigenziale previa selezione che assuma le cadenze del
pubblico concorso, rimarrebbe ferma la giurisdizione ordinario. La previsione
legislativa, infatti, che attribuisce al giudice ordinario le controversie in materia di
incarichi dirigenziali prevale su quella più generale che devolve al giudice
amministrativo le controversie relative alle procedure concorsuali finalizzate
all’assunzione328. Diversamente, dovrebbe riconsiderarsi la validità del criterio
dell'approvazione della graduatoria quale spartiacque tra le due giurisdizioni.
325
Cons. Stato, sez. V, 29 agosto 2005, n. 4402, in Cons. Stato, 2005, I, 1304.
Tar Napoli Campania, sez. VII, 20 gennaio 2009, n. 224, in Foro amm. Tar, 2009, 1, 196.
327
D. Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, cit., 26; Tar Friuli Venezia
Giulia, 18 dicembre 1999, in Lav. pubbl. Amm., 2001, 927, con nota di R. Salomone, Gli incarichi di
funzioni dirigenziali nel pubblico impiego; contra Tar Catanzaro Calabria, 26 ottobre 1999, in Giust.
Civ., 2000, 270.
328
Così D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit, 1229.
326
126
3.6
La repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro
pubblico
La tematica relativa al riparto di giurisdizione in materia di repressione della
condotta antisindacale del datore di lavoro pubblico è una questione annosa che, solo
di recente, come si dirà avanti, pare abbia trovato approdo. Essa si è sviluppata
trasversalmente rispetto a quella più generale, e prioritaria, concernente la possibilità
e l'opportunità di esportare lo speciale meccanismo processuale ex art. 28 St. lav. per
la definizione delle controversie relative alla lesione dei diritti alla libertà e all’attività
sindacale, nell'universo del lavoro pubblico.
Dopo un lungo e faticoso cammino percorso dalla giurisprudenza329 le Sezioni
Unite della Cassazione, con una serie di sentenze del 1984, tracciano per la prima
volta il quadro della tutela contro la condotta antisindacale del datore pubblico.
In particolare, secondo la Suprema Corte, sussisteva: a) nel settore del pubblico
impiego statale, la giurisdizione del giudice ordinario in tema di diritti sindacali in
senso stretto, che poteva essere adito solo nelle forme ordinarie; b) nel settore degli
enti pubblici economici, la giurisdizione del giudice ordinario in tema di diritti
sindacali in senso stretto, che poteva essere adito, in questo caso, con il procedimento
speciale ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori, in applicazione dell’art. 37 dello
Statuto stesso; c) nel settore del pubblico impiego, statale e non, nel caso in cui la
condotta antisindacale avesse inciso su diritti sindacali facenti capo ad un dipendente
pubblico,
la
giurisdizione
esclusiva
del
329
giudice
amministrativo,
secondo
V. Cass., sez. un., 6 maggio 1972, n. 1380, in Foro it., 1972, I, col. 1201; Cass., sez. un., 27
novembre 1974, n. 3872; Cass. 27 marzo 1975, n. 1158; Cass. 8 aprile 1975, n. 1267; Cass. 18
dicembre 1975, n. 4163; v. soprattutto Corte cost. 18 maggio 1976, n. n. 188, in Foro it., 1976, I, col.
1415 e Corte cost. 5 maggio 1980, n. 68, in Foro it., 1980, I, col. 1533 che dichiarano la non
utilizzabilità del perocedimento ex art. 28 St. lav. da parte del sindacato dei dipendenti statali.
127
un’interpretazione “evolutiva” o “adeguatrice” dell’art. 29 del T.U. delle leggi sul
Consiglio di Stato; per evitare ogni “irrazionale possibilità di contrasto di giudicati su
una medesima situazione giuridica”, configurabile ove fosse consentito alle
associazioni sindacali di proporre l’azione innanzi al giudice civile330.
Con l'ipotesi sub c) si optava, dunque, per una sorta di vis actrativa della
giurisdizione amministrativa, nel caso di condotta “plurioffensiva” ovvero di
comportamento allo stesso tempo lesivo dei diritti del sindacato e dei diritti del
lavoratore, come ad esempio, secondo la casistica giurisprudenziale, in caso di
licenziamento o di trasferimento per motivi antisindacali331.
In simili casi, come è stato correttamente osservato, la tutela - innanzi al giudice
ordinario per i diritti sindacali in senso stretto e a quello amministrativo nel caso di
condotta plurioffensiva – avrebbe corso il rischio di un frazionamento, nonostante
l'identità delle posizioni soggettive332. A ciò si aggiunga la persistente difficoltà a
distinguere tra condotta mono e plurioffensiva, laddove, invero, quei comportamenti
che comunemente sono considerati “unioffensivi” finiscono sempre una qualche
interferenza con i diritti individuali o comunque sono tali solo “apparentemente” 333.
330
Cass., sez. un., 26 luglio 1984, nn. 4411, 4399, 4397, in Foro it., 1984, 2105.
Cass., sez. un., 17 febbraio 1992, n. 1916, in Mass. Giur. Lav., 1992, 12; Cass. 27 luglio 1990, n.
7589, in Dir. Prat. Lav., 1991, 1287.
332
A. Proto Pisani, Nota a Cass., sez. un., 26 luglio 1984, nn. 4411, 4399, 4397, 4390, 4389, 4386, in
Foro it., 1984, I, col. 2111.
333
E' stato autorevolmente notato che «i casi meno frequenti sono sempre stati quelli di
“unioffensività”, con lesione di diritti esclusivamente del sindacato senza interferenza diretta sui
singoli» v. M. Miscione, Garantismo d’effettività nella condotta normalmente plurioffensiva, inedito,
pagg. 6-8, dattiloscritto. Riportando alcuni esempi (trattative con sindacati di comodo, spostamento
unilaterale delle bacheche sindacali, trattamenti collettivi discriminatori) l'A. non può fare a meno di
notare come in concreto in tutti questi ci sia sempre qualche interferenza con i diritti dei singoli
lavoratori, come avviene, soprattutto, nel caso emblematico della violazione degli obblighi
d’informazione, ove si chiede normalmente la rimozione degli effetti a favore anche dei singoli
lavoratori. Con particolare riferimento al pubblico impiego v. M. Rusciano, La condotta antisindacale
della pubblica amministrazione, in Lav. Dir., 1992, 39 che riporta il contrasto giurisprudenziale sulla
materia dei permessi sindacali che se ritenuti quale diritto sindacale in senso stretto rientrano nella
331
128
Ciononostante, la sistemazione giurisprudenziale così tracciata ha influenzato il
legislatore che, con il successivo intervento legislativo del 12 giugno 1990, legge n.
146 in tema di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, ha
espressamente codificato il frazionamento della tutela giurisdizionale dei diritti
sindacali334.
L’articolo 6 della suddetta legge ha, infatti, inserito all’art. 28 St. lav. due
ulteriori commi ove, con una equiparazione totale delle amministrazioni statali agli
enti pubblici economici, è stato previsto il ricorso al pretore, in funzione di giudice del
lavoro, in tema di repressione della condotta antisindacale, e la giurisdizione
amministrativa sul procedimento speciale, non solo quando il comportamento
denunciato fosse lesivo di situazioni soggettive inerenti al rapporto di impiego, ma se
ed in quanto le organizzazioni sindacali intendessero ottenere la rimozione dei
provvedimenti lesivi. In sostanza, al criterio della causa petendi (plurioffensività della
condotta), già di per sé alquanto labile, viene aggiunto l'ulteriore discrimen relativo al
petitum sostanziale, coincidente con la richiesta della rimozione del provvedimento
lesivo unitamente alla cessazione del comportamento antisindacale335.
Come ha affermato la giurisprudenza successiva, l'art. 6 della legge n. 146/1990
ha, sostanzialmente, introdotto un «nuovo sistema di riparto della giurisdizione in
materia di condotta antisindacale relativa a rapporti di pubblico impiego» dato che la
giurisdizione amministrativa, «pur in presenza di comportamento antisindacale
plurioffensivo, è attualmente limitata ai soli casi in cui il sindacato intende ottenere
giurisdizione ordinario; se considerati diritti sindacali correlati a diritti individuali rientrano nella
giurisdizione amministrativa.
334
Così A. Proto Pisani, La tutela dei diritti sindacali nel pubblico impiego avanti le Sezioni Unite,
in Foro italiano, 1984, I, 2105.
335
V. F. P. Luiso, La repressione della condotta antisindacale dopo la riforma della legge sullo
sciopero nei servizi pubblici, in Riv. it. dir. Lav., 2001, 03, 247.
129
non solo l'ordine di desistere dalla condotta antisindacale ma anche la rimozione degli
effetti del comportamento antisindacale plurioffensivo»336.
Nonostante il diverso avviso della dottrina337, secondo la giurisprudenza, le due
forme di tutela non avrebbero generato problemi di interferenze, proseguendo
autonomamente l’una dall’altra dato che, secondo la giurisprudenza, le due azioni
sarebbero diverse per i soggetti, per il petitum e per la causa petendi338 e la possibilità
di conflitto di giudicati nel caso di condotta plurioffensiva, era risolta attribuendo una
specie di “vis attractiva” alla giurisdizione amministrativa «rispetto ai diritti
sindacali,
che
pure
costituiscono
l’oggetto
principale
della
tutela,
solo
occasionalmente estesa alle situazioni soggettive individuali»339.
Difficilmente, inoltre, il criterio del petitum si sostanzia in una libera scelta del
sindacato di adire la giurisdizione ordinaria o quella amministrativa340 poiché nei casi
«in cui l'unica manifestazione del comportamento antisindacale dedotto in giudizio
consista nell'avvenuta adozione di provvedimenti che incidono direttamente sulla
posizione soggettiva del pubblico dipendente con interferenza diretta nella sfera
giuridica del sindacato, atteso che, in tale ipotesi, anche se l'organizzazione sindacale
non abbia chiesto espressamente la revoca del provvedimento adottato nei confronti
del dipendente, la richiesta di immediata cessazione del comportamento antisindacale
336
Ex multis Cass., sez. un., 24 agosto 1999, n. 592, Mass. Giur. Lav., 1999, 1289.
G. Ghezzi, Prime riflessioni in margine alla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, in
Riv. Giur. Lav., 1990, I, 157 ss. secondo cui non può escludersi il contrasto fra il giudicato del giudice
del lavoro, adito dal sindacato che non scelga di chiedere la rimozione degli effetti, e del Tar adito dal
lavoratore.
338
Così R. Vaccarella, B. Sassani, Profili processuali, op.cit., p.470; vedi anche Cass., sez. un., 17
febbraio 1992, n. 1916, in Notiz. Giur. Lav., 1992, 372.
339
B. Sassani, Giurisdizione ordinaria, poteri del giudice ed esecuzione della sentenza nelle
controversie di lavoro con la pubblica amministrazione, cit., 429.
340
A. Riccobono, Condotta antisindacale e riparto di giurisdizione nell'impiego pubblico non
privatizzato, in Arg. Dir. Lav., 2011, 4-5, 1042.
337
130
comporta, ai sensi del comma 1 del citato art. 28, la rimozione dei relativi effetti, per
cui il giudice è chiamato non solo a valutare la legittimità del comportamento
suddetto, ma anche, al fine di rimuovere gli effetti di tale condotta, a disporre la
revoca dei provvedimenti incriminati, revoca che rientra nella esclusiva competenza
del giudice amministrativo»341. Il problema, già noto, che qui si ripropone è quello
della ammissibilità di una pronuncia di mero accertamento dell'antisindacalità della
condotta342, volto ad ottenere un provvedimento «esemplare per il futuro»343.
Il nuovo testo dell’art. 68 del D.Lgs. n. 29/1993, così come congegnato nella
seconda fase della privatizzazione, segnando la fine della giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, ha devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario, in
funzione di giudice del lavoro, le controversie relative alla repressione della condotta
antisindacale delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art.28 della legge 20
maggio 1970, n. 300 e ha, così, sancito la piena utilizzabilità del procedimento
speciale nel pubblico impiego, senza alcun riferimento alla plurioffensività o meno
della condotta, dato che anche la giurisdizione sul rapporto di lavoro spetta allo stesso
giudice344.
Gli ultimi due commi dell’art. 28 dello Statuto non sono stati, però,
esplicitamente
espunti, tant’è vero che la dottrina maggioritaria ha ritenuto che
341
Cass., sez. un., 12 marzo 1993, n. 3019, in Inf. Prev., 1993, 658; Cass., sez. un., 10 maggio 1995,
n. 5117, in Foro it., 1996, I, 186; Cass., sez. un., 29 ottobre 1997, n. 10635, in Orient. giur. Lav., 1997,
942.
342
Cass., 8 ottobre 1998, n. 9991, in Lav. giur., 1999, 655, con nota di R. Nunin, Sull’ammissibilità di
una sentenza di mero accertamento della condotta antisindacale; in Mass. giur. lav., 1999, 34, con nota
di N. De Marinis, I diritti di informazione sindacale nel pubblico impiego. Ammissibilità e limiti della
tutela ex art. 28 St. lav.; in Riv. it. dir. lav., 1999, II, 697, con nota di P. Albi, Condotta antisindacale,
pronuncia di mero accertamento e tutela dei c.d. diritti di informazione e consultazione sindacale nel
settore pubblico.
343
M. Rusciano, La condotta antisindacale della pubblica amministrazione, cit., 41.
344
V. Cass., sez. un., ord. 24 gennaio 2003, n. 1127, in Foro it., 2003, I, 1071.
131
l’enunciazione generale dell’art. 68 citato non fosse in grado di abrogare
implicitamente il sistema di doppia tutela, e che quindi questo doveva ritenersi ancora
valido per quei rapporti di lavoro pubblico ancora rimessi alla giurisdizione
amministrativa345. Conseguentemente, solo per i rapporti di lavoro non privatizzati,
s'incardina la giurisdizione amministrativa nel caso di condotta plurioffensiva e di
richiesta di rimozione del provvedimento lesivo.
Solo una ben attenta, anche se minoritaria, ha sostenuto l'implicita, ma totale,
abrogazione degli ultimi due commi dell'art. 28 St. Lav., anche in relazione al
personale non privatizzato346.
L'ultima posizione citata ha sostanzialmente ricevuto un avallo dallo stesso
legislatore che ha provveduto ad abrogare esplicitamente gli ultimi due commi
dell’art. 28, con l’art. 4 della legge 11 aprile 2000, n. 83347 facendo così venir meno lo
stesso criterio discretivo della giurisdizione identificato nella richiesta di rimozione
del provvedimento lesivo.
D'altro
canto
non
poteva
argomentarsi
diversamente,
anche
prima
dell'intervento normativo del 2000; prima del 1998, infatti, anno della devoluzione
quasi totale al giudice ordinario della materia del pubblico impiego, non è mai stata
345
R. Vaccarella Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico impiego e
sull'arbitrato in materia di lavoro, cit., 720; B. Sassani, Il passaggio alla giurisdizione ordinaria del
contenzioso sul pubblico impiego: poteri del giudice, esecuzione della sentenza, comportamento
antisindacale, contratti collettivi in Cassazione, cit., 17; A. Manna F. Manna, La giurisdizione nelle
controversie in materia di pubblico impiego, cit., 123.
346
M. D'antona, Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro dopo la "seconda
privatizzazione" del pubblico impiego (osservazioni sui d.lgs. n. 396/1997, n. 80/1998 e n. 387/1998),
cit., 629; M. Miscione, La giurisdizione esclusiva del giudice del lavoro sulla condotta antisindacale,
in L. Menghini, M. Miscione, A. Vallebona, La nuova disciplina dello sciopero nei servizi pubblici
essenziali, Cedam, Padova, 2000, 154 ss.; G. Trisorio Liuzzi, Controversie relative ai rapporti di
lavoro, cit., 1848.
347
Intitolata “Modifiche ed integrazione della legge 12 giugno 1990, n.146, in materia di esercizio
del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona
costituzionalmente tutelati”.
132
posta in discussione la giurisdizione ordinaria relativa ad una condotta plurioffensiva,
mancante della richiesta di rimozione del provvedimento lesivo, seppur relativa ai
dipendenti non privatizzati; quando, invece, è stato fatto cadere, per espresso volere
legislativo, il criterio del petitum, si è cercato di far rivivere un criterio di riparto
soggettivo fra “privatizzati” e non. Deve, quindi, condividersi l'opinione secondo cui
l'art. 4 della legge n. 183/2000, abroga espressamente, con effetto dichiarativo, ciò che
già era implicito nel sistema348.
Sul punto è, pure, intervenuta nel 2003 un'ordinanza della Corte Costituzionale
che, nel decidere sulla questione di legittimità dell’art. 63 D.Lgs. n. 165/2001 in
relazione agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Genova, si
è così espressa: «se è vero che il criterio di riparto della giurisdizione, introdotto
dall'art. 6 della l. n. 146 del 1990 in epoca in cui sussisteva la giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo (criterio per il quale la giurisdizione spettava al giudice
amministrativo ovvero al giudice ordinario secondo che con l'azione ex art. 28 della l.
n. 300 del 1970 il sindacato avesse chiesto, o non, la rimozione degli effetti incidenti
sul pubblico dipendente), era idoneo a razionalmente operare anche a seguito della
c.d. privatizzazione del pubblico impiego, dal momento che a tale “privatizzazione”
erano sottratti i rapporti di cui all'art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 80 del 1998 (oggi art.
3 del D.Lgs. n. 165 del 2001), è anche vero che l'espressa abrogazione – ad opera
dell'art. 4 della l. n. 83 del 2000 – del comma primo del citato art. 6 della l. n. 146 del
1990 (che quel criterio aveva codificato) non fa sorgere questioni di legittimità
costituzionale, bensì esclusivamente di interpretazione sistematica della norma
348
M. Miscione, La giurisdizione esclusiva del giudice del lavoro sulla condotta antisindacale, cit.,
155-156.
133
denunciata»349.
L'interpretazione sistematica della Corte è, però, alquanto, incerta e non priva di
una certa dose di salomonicità350 laddove ritiene possibile sia un’interpretazione nel
senso che l’art. 63 comma 4 devolva tuttora al giudice amministrativo tutte le
controversie relative ai rapporti di lavoro ex art. 3 d.lgs. 165/2001 e quindi, anche
quelle ex art. 28 St. Lav. - rimanendo in vita la distinzione tra monoffensività e
plurioffensività della condotta datoriale - o nel senso di devolvere in ogni caso al
giudice ordinario tutte le controversie in materia di condotta antisindacale, anche se
plurioffensive e se riguardanti il settore non privato del pubblico impiego.
Alla situazione di perdurante incertezza, cui non ha voluto dar soluzione la
giurisprudenza costituzionale, ha posto fine la Cassazione, a Sezioni Unite351, adita
con ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, dopo che il Tribunale di
Roma352, chiamato a pronunciarsi sull'antisindacalità della condotta della Banca
d'Italia, che aveva modificato unilateralmente il Regolamento del Personale nella
parte relativa alle fasce di reperibilità degli assenti per malattia, aveva con due decreti,
declinato la propria giurisdizione.
Per la suprema Corte con l'abrogazione espressa dei commi 6 e 7 dell'art. 28 St.
lav., «il legislatore ordinario ha "fatto pulizia", esprimendo la volontà che la regola
della giurisdizione in materia di controversie promosse da sindacati ed aventi ad
oggetto condotte antisindacali di pubbliche amministrazioni sia solo quella - netta e
349
Corte cost., ord. 9-24 aprile 2003, n. 143, in Lav. pubbl. amm., 2003, II, 525 con nota di F.
Lunardon, Condotta antisindacale, rapporti di lavoro non privatizzati e giurisdizione ordinaria.
350
A. Riccobono, Condotta antisindacale e giurisdizione, cit., 1047.
351
Cass., sez. un., ord. 24 settembre 2010, n. 20161, in Arg. Dir. Lav., 2011, 4-5, 1022 ss. con
commento di A. Riccobono, cit.
352
Trib. Roma, sez. lav., 15 dicembre 2008 e 2 febbraio 2009, in Mass. Giur. Lav., 2009, 408 ss. con
nota di G. Bauzulli.
134
chiara - dell'art. 63, comma 3, d.lgs. 165/2001, senza più l'interferenza data dalla
particolare ipotesi in cui l'associazione sindacale chieda la rimozione di un
provvedimento che incida su posizioni individuali di dipendenti pubblici regolate
ancora con atti amministrativi e non già con atti di gestione di diritto privato». Una
significativa e convincente argomentazione è ricavata a contrario dal mancato
intervento di modifica legislativa: se lo stesso legislatore avesse voluto far venir meno
solo alcune delle fattispecie previste dal settimo comma dell'art. 28 Stat. lav., lo
avrebbe riformulato, ridimensionandolo e specificandolo.
Con una decisione complessa, ma chiara e lineare, la Corte afferma che non
sussiste alcuna esigenza costituzionale per derogare alla regola della giurisdizione del
giudice ordinario. Dopo il trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario, così
come realizzato nel 1998, e dopo l'abrogazione dei commi 6 e 7 dell'art. 28 Stat. lav.
«la giurisdizione del giudice ordinario costituisce una "cognizione incondizionata”,
ossia senza che ci sia più l'eccezione della giurisdizione del giudice amministrativo
nell’ipotesi in cui, nel previgente quadro normativo, tale eccezione era predicabile e può aggiungersi - senza che residui neppure quell'eccezione che era predicabile nel
periodo di tempo in cui è stato ancora vigente il settimo comma dell'art. 28 Stat. lav.
nel contesto dell'intervenuto trasferimento alla giurisdizione del giudice ordinario
delle
controversie
relative
a
comportamenti
antisindacali
delle
pubbliche
amministrazioni».
Una delicata questione che si pone nell'ambito della materia qui trattata, ma
tipica del solo rapporto di pubblico impiego, concerne, come già accennato, il
contenuto della pronuncia del giudice ordinario sull'atto attraverso cui si realizza la
condotta antisindacale. La domanda che ci si pone è la seguente: nel caso in cui il
135
giudice, accertato il comportamento, ordini la cessazione e la rimozione degli effetti,
l’atto antisindacale viene travolto o, anche nel procedimento speciale, vale il limite
per il giudice ordinario della disapplicazione?
La poca giurisprudenza sul punto, nonostante le divergenze circa la natura del
provvedimento in cui si sostanzia l'antisindacalità, ritiene possibile l'annullamento da
parte del giudice ordinario. Così si è ritenuto non vigente il divieto di annullamento
del provvedimento amministrativo, nel caso di contestazione mossa da un sindacato di
pubblici dipendenti riguardo alla sua esclusione dalle trattative svolte dall'Aran ai fini
di un rinnovo contrattuale, senza deduzione della lesione anche di posizioni soggettive
di pubblici dipendenti353. Da questa ipotesi, in dottrina, si è distinta quella in cui il
comportamento sindacale leda anche la posizione del lavoratore, per cui deve ritenersi
operante il principio generale secondo cui il sindacato del giudice ordinario, anche
nelle controversie relative alla condotta antisindacale, ha ad oggetto il rapporto di
lavoro e gli atti assunti con i poteri del privato datore di lavoro, «non quelli
amministrativi, che, tutt’al più, rispetto a i primi sono presupposti»354 e che quindi
può solo conoscere ai fini della disapplicazione.
In altra pronuncia, si è riconosciuto genericamente lo stesso potere di
annullamento, anche qualora sia richiesta l'eliminazione dell'atto stesso e dei suoi
effetti, che investono sia la sfera del sindacato, sia quella dei singoli lavoratori, sulla
base della connotazione privatistica dell'atto antisindacale del datore di lavoro
pubblico che è omologo a quello scorretto del datore di lavoro privato355.
Una soluzione più decisa e radicale è stata avanzata da quella dottrina che legge
353
354
355
Cass., sez. un., 22 luglio 1998, n. 7179, in Giust. civ. Mass., 1998, 1571.
D. Borghesi, La giurisdizione del giudice ordinario, cit., 1239.
Cass., 24 gennaio 2003, n. 1127, in Giust. Civ. Mass., 2003, 179.
136
attentamente nella devoluzione al giudice ordinario delle controversie relative alla
repressione della condotta antisindacale del datore pubblico, l'istituzione di una
giurisdizione esclusiva, con riguardo ai soggetti destinatari, privatizzati e non, e con
riferimento al potere di annullamento e di condanna del giudice del lavoro nei
confronti degli atti antisindacali356.
3.7
L'anomalia della giurisdizione domestica: i dipendenti degli
organi costituzionali
Riflessioni separate meritano le controversie relative al rapporto di lavoro dei
dipendenti degli organi costituzionali che non rientrano nell'ambito delle pubbliche
amministrazioni interessate dalla riforma di privatizzazione e dalla devoluzione al
giudice ordinario. In un'ottica tradizionalista, l'esonero dalla nuova disciplina che ha
interessato le pubbliche amministrazioni, è disceso direttamente dalla “riserva di
regolamento” e dall' “autodichia”357 di cui godono il Senato della Repubblica e la
Camera dei Deputati (v. i regolamenti di questi organi emanati ex art. 64 Cost.), la
Presidenza della Repubblica (v. D. P. R. 76/1977 e successive modificazioni, con le
precisazioni che si diranno), e la Corte Costituzionale (v. regolamenti emanati in base
all'art. 14 della l. 87/1953). Ne consegue, così, l’inammissibilità di intromissioni della
legge e, a fortiori, di atti normativi del Governo, nell’autonomia regolamentare loro
356
M. Miscione, La giurisdizione esclusiva del giudice del lavoro sulla condotta antisindacale,cit.,
158.
357
C. D'Orta, F. Garella, Le amministrazioni degli organi costituzionali, ordinamento italiano e
profili comparati, Roma-Bari, 1997, capp. 1 e 4.
137
riconosciuta358.
L’autodichia, garantita dall’ordinamento italiano agli organi costituzionali, si
riferisce, però, non solo all'autonomia organizzativa e contabile ma anche alla potestà
di auto-giurisdizione per risolvere le controversie insorgenti fra essi medesimi e il
personale dipendente: essa, infatti, trova espressione non solo e non tanto sul piano
normativo ma anche, e soprattutto, sul versante applicativo «delle norme stesse,
incluse le scelte riguardanti la concreta adozione delle misure atte ad assicurarne
l’osservanza»359. L’esigenza di garantire l’autonomia degli organi suddetti dai
condizionamenti esterni provenienti è avvertita, così, nei confronti di tutti i poteri
statuali: l’indipendenza guarentigiata non esplica la sua efficacia solo nei confronti
degli altri organi costituzionali, e nei confronti della Corte dei conti per ciò che
concerne il controllo contabile, ma, soprattutto, per ciò che qui più preme rilevare, nei
confronti dei giudici ordinari e amministrativi per la tutela dei dipendenti dei diversi
organi costituzionali360.
Il riconoscimento della giurisdizione domestica, aveva - ed ha tutt’ora - una
rilevanza teorica e pratica di non poco conto dato che, per un verso, rappresenta
un'anomalia di un sistema in cui la competenza giurisdizionale nella difesa dei diritti
civili e politici è oramai la regola aurea sancita dall'art. 24 Cost.361; per l'altro, i
rapporti di lavoro dei dipendenti degli organi costituzionali, benché spesso disciplinati
attraverso istituti ripresi dal T.U. Del 1957, dalla legge quadro del 1983 o dalle leggi
della privatizzazione, costituiscono “un'eccezione dell'eccezione”: se l'eccezione alla
358
A. Tursi, L'ambito di applicazione della riforma, cit., 26.
Corte cost., 24 giugno 1981, n. 129, in Giur. Cost., 1981, I, 1281.
360
M. Navilli, Il personale degli apparati serventi delle assemblee parlamentari, in F. Carinci, V.
Tenore, Il pubblico impiego non privatizzato, Giuffrè, 2007, 225.
361
Ibid., 228.
359
138
devoluzione al giudice del lavoro delle controversie relative ai dipendenti pubblici è
costituita dal mantenimento dei rapporti non contrattualizzati sotto il controllo del
giudice amministrativo, il contenzioso lavoristico dei dipendenti degli organi
costituzionali esula dall'una e dall'altra giurisdizione; anzi, come meglio si
specificherà, sfugge a qualsiasi sindacato di organi giurisdizionali, essendo riservato
ad appositi organi interni deputati a dirimere qualsiasi controversia relativa al
rapporto di lavoro.
Per quanto riguarda il Parlamento, l'autodichia, affermatasi nei confronti del
potere regio e perpetuatasi sotto spinte le di autoconservazione o autotutela362 anche
con l’instaurazione dell’ordinamento costituzionale, è stata avallata dalla stessa
giurisprudenza costituzionale sia per quanto riguarda la competenza esclusiva
giurisdizionale sugli atti regolamentari interni sia per ciò che concerne la
giurisdizione domestica sui ricorsi presentati dal personale dipendente.363.
Nel giungere alla conclusione della piena e compiuta legittimazione dell'
indipendenza “guarentigiata”, però, la stessa Corte Costituzionale non ha fatto altro
che «considerare unitariamente l'attività delle Camere, mettendo sullo stesso piano
quello riguardante il processo di formazione delle leggi … e l'attività inerente al
funzionamento ed alla organizzazione delle Camere medesime»364. Non ha
sostanzialmente considerato uno dei principi cardine su cui si fonda la giurisdizione:
la terzietà del giudice.
Con riferimento alla Camera dei Deputati, in particolare, la Cassazione si è
362
R.Dickmann, Autonomia e capacità negoziale degli organi costituzionali. L'esperienza delle
Assemblee parlamentari, in Riv. trim. dir. Pubbl., 1997, 410.
363
Corte cost. 23 maggio 1985, n. 145, in Foro it, 1986, I, c. 366; Corte cost. 10 luglio 1981, n. 129,
cit.
364
G. Minutoli, Il rapporto d'impiego con gli organi costituzionali tra autonomia dell'organo e tutela
del dipendente, in Foro amm. 1995, 781 ss.;
139
orientata nel senso di ritenere l'autodichia in tema di controversie che attengono ai
rapporti di lavoro dei dipendenti e alle procedure concorsuali per l'assunzione di
nuovo personale, non suscettibile di disapplicazione da parte del giudice ordinario,
sottratta, altresì, al sindacato di legittimità costituzionale in ragione dell'indipendenza
garantita alle Camere del Parlamento da ogni altro potere, e conseguentemente al
ricorso straordinario per cassazione proposto avverso decisioni emanate, nelle
predette controversie, dalla sezione giurisdizionale dell'Ufficio di Presidenza della
Camera dei deputati365.
Ovviamente, deve ritenersi escluso il rapporto di lavoro instaurato tra un
parlamentare ed il suo segretario collaboratore diverso da quello intercorrente tra i
dipendenti della Camera dei deputati e la Camera stessa, che esulando dalla c.d.
"autodichia", è devoluto alla cognizione dell'autorità giudiziaria ordinaria ex art. 409
n. 5, Cod. Proc. Civ.366. Analogamente, spettano alla giurisdizione ordinaria, e non
alla giurisdizione domestica, le controversie concernenti il rapporto di lavoro dei
dipendenti dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati, non esistendo
nell'ordinamento una norma avente fondamento costituzionale, sia pure indiretto
attraverso il regolamento parlamentare, che autorizzi la deroga al principio della
indefettibilità della tutela giurisdizionale e non potendosi estendere, perché norma
eccezionale di stretta interpretazione, l'art. 12 del regolamento della Camera dei
deputati riguardante i dipendenti della Camera, anche in considerazione della natura
politica svolta dai suddetti gruppi367.
365
Cass., sez. un., 10 giugno 2004, n. 11019, in Giust. civ. Mass., 2004, 6.
Cass. 26 maggio 1998 n. 5234, in Foro it., 1998, I, 2872.
367
Cass., sez. un., 24 novembre 2008, n. 27863, in Giust. Civ., 2009, 12, 2691 con nota di F. Buffa e
Cass., sez. Lav., 14 maggio 2009, n. 11207, in Riv. it. Dir. Lav., 2010, 4, 879, con nota di A. Raffi, Il
366
140
In linea all'altro ramo parlamentare, con riferimento al Senato, è stata ribadito
che, ai sensi dell'art. 12 del regolamento del 17 febbraio 1971, le controversie inerenti
al rapporto di lavoro del personale dipendente esulano dalla cognizione sia del giudice
ordinario che del giudice amministrativo, in quanto spettano in via esclusiva al Senato
e ai suoi organi368.
Sul punto, come era auspicabile, si è recentemente pronunciata anche la Corte
di Strasburgo che, nel caso “Savino e altri”, ha dichiarato sussistente la violazione
dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo in relazione
all'attuale configurazione del sistema di giustizia interna della Camera dei deputati dal
momento che le controversie tra cittadini o tra cittadini ed enti devono
necessariamente essere esaminate da giudici indipendenti e non obbligatoriamente da
giudici incardinati in apparati che rispondano alla classica nozione di potere
giudiziario369.
Analoghe perplessità, sono state riproposte in dottrina370 per quanto riguarda
l'autonomia, incontroversa nella giurisprudenza, della Corte Costituzionale che è
«competente in via esclusiva a giudicare sui ricorsi dei propri dipendenti», secondo
quanto disposto dall'art. 14, comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 62.
Nell’ambito degli organi costituzionali la Presidenza della Repubblica è l’unica
cui non sia stata riconosciuta né in via diretta (come per la Corte Costituzionale) né
indiretta (come per le Camere) la guarentigia dell’auto-giurisdizione. La stessa ha da
sempre sostenuto che gli atti provenienti dagli organi supremi dello Stato non
rapporto di lavoro alle dipendenze dei gruppi parlamentari e la cd. autodichia della Camera dei
deputati.
368
Cass. 19 novembre 2002 n. 16267, in questa Giust. Civ., 2003, I, 2429,
369
V. Cedu, 28 aprile 2009, n. 14 caso Savino e altri c. Italia, in www.camera.it
370
S. M. Cicconetti, Corte Europea dei diritti dell'uomo e autidichia parlamentare, in Giur. it., 2010.
141
dovrebbero essere sindacabili da alcun potere ad essi estraneo, sulla base di un regime
di sovranità comune a tutti gli organi costituzionali371.
La Corte di Cassazione ha sempre rigettato tale impostazione. In una delle
pronunce in cui ha dichiarato sussistente la giurisdizione amministrativa in ordine alle
controversie tra la Presidenza della Repubblica e il proprio personale, ha
espressamente dichiarato che la «Costituzione assicura a tutti la tutela giurisdizionale
dei propri diritti ed interessi legittimi, sicché le limitazioni a tale regola generale
devono essere espressamente previste (e sorrette da adeguata giustificazione)»372.
Tale risposta negativa delle Sezioni Unite non ha, invero, preso in esame,
perché ratione temporis a quella controversia non applicabili, i riflessi che, sulla
questione della giurisdizione, potevano assumere i Decreti nn. 81 ed 89 del 1996. Con
i decreti in parola, infatti, sono stati istituiti presso la Presidenza della Repubblica un
Collegio Giudicante, competente a decidere i ricorsi in primo grado, che è composto
da un Consigliere di Stato, da un consigliere della Corte d’appello e da un
referendario della Corte dei conti (designati rispettivamente dai Presidenti del
Consiglio di Stato, della Corte d’appello e della Corte dei conti) e da due dipendenti
della Presidenza della Repubblica (di cui uno designato dal Segretario generale e
l’altro sorteggiato nell’ambito di una terna eletta da tutti i dipendenti); e un Collegio
di appello, competente in secondo grado, che è composto da un Presidente di sezione
del Consiglio di Stato, da un consigliere di Cassazione e da un consigliere della Corte
dei conti (designati rispettivamente dai Presidenti del Consiglio di Stato, della Corte
371
A. Sandulli, Spunti problematici in tema di autonomia degli organi costituzionali e di giustizia
domestica nei confronti del loro personale, in Giur. it., 1977, 1, 1836 ss.
372
Cass., sez. un., 17 dicembre 1998, n. 12614, in Foro it., 1999, I, c. 366; Tale orientamento è stato
seguito anche dalla IV sezione del Consiglio di Stato con la sentenza del 3 marzo 1997, n. 178, in
Giust. civ. Mass., 1998, 1592.
142
di cassazione e della Corte dei conti).
La nuova articolazione della struttura giudicante e la previsione di una
procedura che sembra ricalcare esattamente quella prevista innanzi al giudice
amministrativo hanno così indotto un recentissimo revirement delle Sezioni Unite
della Cassazione373 che hanno riconosciuto fondamento costituzionale indiretto al
potere della Presidenza della Repubblica di riservare, mediante regolamento, alla
propria cognizione interna le controversie di impiego del personale soprattutto quando
siano garantite le condizioni di precostituzione, imparzialità ed indipendenza che
presidiano all'esercizio della giurisdizione ordinaria; condizioni, aggiunge la Corte,
che trovano perfetta corrispondenza nei principi di cui agli artt. 25, 104, 107 e 108
della Costituzione. Tali requisiti, evidenziati come essenziali per la legalità di una
giurisdizione interna dalla Corte Europea, la quale avuto un peso decisivo nel
cambiamento di rotta della giurisprudenza374, sembrano, alla Cassazione, assistere il
disegno perseguito dai decreti Presidenziali nn. 81 e 89 del 1996.
Al di là di puramente teoriche considerazioni sull'effettiva corrispondenza degli
ora articolati sistemi di giurisdizione domestica creati ad hoc sia dalla Presidenza
della Repubblica, sia dalla Camera dei Deputati375, non può non dubitarsi dell'assoluta
connotazione privilegiata dell'attribuzione del potere di auto-giurisdizione dagli esiti
inutili, «non essendo affatto essenziale per assicurare effettività alla posizione di
373
Cass., sez. un., 17 marzo 2010, n. 6529, in www.cassazione.it
P. Carluccio, L'autodichia della Presidenza della Repubblica, in Giorn. Dir. Amm., 1, 2011, 57.
375
Ancor prima che intervenisse la definitività della sentenza della Corte Europea dei diritti
dell'uomo, la Camera dei Deputati ha provveduto a modificare il proprio regolamento, v. G.
Malinconico, I “codici di procedura” dell'autodichia della camera dopo la Decisione n. 14/2009 della
Corte europea dei diritti dell'uomo. Guida alla lettura delle modifiche di tutela giurisdizionale della
Camera dei deputati, in www.judicium.it
374
143
autonomia ed indipendenza degli organi costituzionali»376, ma, soprattutto, nefasti,
laddove determina un inammissibile vuoto di tutela per coloro che dovrebbero essere
“comuni” lavoratori.
376
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