Pianeta Un pianeta è un corpo celeste che orbita attorno ad una stella, ma che, a differenza di questa, non produce energia tramite fusione nucleare, e la cui massa è sufficiente a conferirgli una forma sferoidale, laddove la propria dominanza gravitazionale gli permette di mantenere libera la sua fascia orbitale da altri corpi di dimensioni comparabili o superiori. Tale definizione è entrata ufficialmente nella nomenclatura astronomica il 24 agosto 2006, con la sua promulgazione parte Astronomica Internazionale. In dell'Unione precedenza non esisteva una definizione un'atavica (derivante indicazione astronomia greca) per cui si ufficiale precisa, da ma dall'antica considerava pianeta qualunque corpo celeste, dotato di massa significativa, che si muovesse su orbite fisse. Nell'antichità, come rivela l'etimologia del termine pianeta (dal greco antico plànētes astéres, stelle vagabonde), venivano considerati tali tutti gli astri che si spostavano nel cielo notturno rispetto allo sfondo delle stelle fisse, ovvero la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno escluse le comete che venivano considerate fenomeni atmosferici. Nel XVI secolo, con l'affermarsi del sistema eliocentrico, divenne chiaro che Luna e Sole non condividevano in realtà la natura fisica e le caratteristiche orbitali proprie degli altri pianeti, e, al contrario, la Terra stessa doveva essere annoverata nella lista. Nel 1781 venne scoperto il primo pianeta che non era noto agli astronomi greci: si trattava di Urano. Nei successivi 150 anni sarebbero stati individuati, in 1 Origine del nome del pianeta Terra: poiché la Terra fu classificata tra i pianeti solo nel XVII secolo, ad essa non è generalmente associato il nome di una divinità. Nelle lingue romanze il suo nome deriva dalla parola latina "terra";mentre nelle lingue germaniche dalla parola *erþā, da cui derivano le forme Earth in inglese, Erda e, la più recente, Erde in tedesco, Aarde in olandese e Jorde nelle lingue scandinave; tutte col significato di "suolo". In greco si è preservato il nome originario: Gea o Gaia) Mitologia successione, altri due pianeti, Nettuno e Plutone; quest'ultimo è stato annoverato tra i pianeti dalla scoperta, nel 1930, al 2006, anno in cui venne promulgata la nuova definizione di pianeta. A partire dal 1801, inoltre, vennero progressivamente scoperti oltre centomila corpi di dimensioni subplanetarie orbitanti attorno al Sole principalmente nella regione di spazio compresa fra l'orbita marziana e quella gioviana (la cosiddetta fascia principale); sebbene in un primo tempo designati come pianeti, questi corpi, in virtù del loro numero sempre crescente, vennero presto definiti come una classe di oggetti a sé, gli asteroidi. Fra di essi, solo poche decine sono caratterizzati da una forma approssimativamente sferica. Lo schema dei nove pianeti classici rimase inalterato fino agli anni novanta del XX secolo; alla fine del 2002, tuttavia, le moderne tecniche osservative avevano già permesso l'individuazione di oltre cento corpi di questo tipo, fra pianeti extrasolari e planetoidi ghiacciati orbitanti nelle regioni periferiche del sistema solare esterno. Nel caso di questi ultimi, in particolare, la scoperta di corpi dalle dimensioni confrontabili o addirittura superiori a quelle di Plutone (il più piccolo dei nove pianeti) riaccese un forte dibattito sulla necessità di promulgare una definizione precisa di pianeta. Il problema nasceva dal fatto che la classificazione dei corpi celesti derivava in parte dall'astronomia dell'antica Grecia, che si limitava a chiarire che un pianeta era un qualsiasi corpo celeste che si muovesse lungo orbite ("schemi") fisse. Questa descrizione era stata limata col tempo fino a quella corrente, che tuttavia peccava in vaghezza e in genericità. I nomi dei pianeti nella cultura occidentale sono derivati dalle consuetudini dei Romani, che in ultima analisi derivano da quelle dei Greci e dei Babilonesi. Nell'antica Grecia, il Sole e la Luna erano chiamati Helios e Selēnē; il pianeta più lontano era chiamato Phàinōn, il "più luminoso"; il penultimo pianeta era Phaéthon, il "brillante"; il pianeta rosso era indicato come Pyróeis, l'"ardente"; il più luminoso era conosciuto come Phōsphóros, il "portatore di luce", mentre il fugace pianeta più interno era chiamato Stílbon, "lo splendido". Inoltre, i Greci associarono ogni pianeta ad una divinità del loro pantheon, gli Olimpi: Helios e Selene erano i nomi sia dei pianeti, sia degli dèi; Phainon era sacro a Crono, il Titano che generò gli Olimpi; Phaethon era sacro aZeus, figlio di Crono; Pyroeis ad Ares, figlio di Zeus e dio della guerra; Phosphoros era retto da Afrodite, la dea dell'amore; mentre Hermes, messaggero degli dei e dio dell'apprendimento e dell'ingegno, dominava Stilbon. L'abitudine greca di dare i nomi dei propri dèi ai pianeti derivò quasi certamente da quella dei Babilonesi, che indicavano Phosphoros con il nome della propria dea dell'amore, Ishtar; Pyroeis dal dio della guerra, Nergal; Stilbon dal dio della saggezza, Nabu, e Phaethon dal capo degli dei, Marduk. Le concordanze tra i due sistemi di nomenclatura sono troppe, perché essi possano essere stati sviluppati in modo indipendente. La corrispondenza tra le divinità, ad ogni modo, non era perfetta. Per esempio, Nergal fu identificato con Ares; tuttavia, Nergal era per i Babilonesi il dio della guerra ed anche delle pestilenze e dell'oltretomba. Oggi, i nomi utilizzati per designare i pianeti nella maggior parte delle culture occidentali derivano da quelli delle divinità olimpiche, spesso in una versione mutuata dalla mitologia romana. Infatti, l'influenza dell'Impero romano prima e della Chiesa cattolica poi ha portato all'adozione dei nomi in latino. Inoltre, il pantheon romano, in conseguenza della comune origine indoeuropea, aveva numerose similitudini con quello greco, sebbene mancasse di una ricca tradizione narrativa. Durante l'ultimo periodo della Repubblica romana, gli scrittori romani attinsero ai miti greci e li estesero alle proprie divinità, al punto che i due pantheon divennero quasi indistinguibili. In seguito, quando i Romani studiarono i testi di astronomia dei Greci, assegnarono ai pianeti i nomi delle proprie divinità: Mercurio (per Hermes), Venere (per Afrodite), Marte (per Ares), Giove (per Zeus) e Saturno (per Crono). Quando nei secoli XVIII e XIX furono scoperti nuovi pianeti, la comunità internazionale scelse di proseguire nella tradizione e furono nominati Urano e Nettuno. Secondo una credenza originatasi in Mesopotamia, ma sviluppatasi nell'Egitto ellenistico ed in seguito diffusasi anche tra i Romani, le sette divinità da cui i pianeti erano nominati si prendevano cura degli affari della Terra con turni orari, stabiliti in base alla distanza dal nostro pianeta nell'ordine seguente: Saturno, Giove, Marte, il Sole, Venere, Mercurio e la Luna. Il giorno era poi intitolato al dio che ne reggeva la prima ora, così al giorno dedicato a Saturno (che reggeva la prima ora del primo giorno e della settimana) seguiva quello dedicato al Sole (che reggeva la venticinquesima ora della settimana e la prima del secondo giorno), a cui seguivano i giorni dedicati alla Luna, a Marte, Mercurio, Giove e Venere. Quest'ordine è stato quindi ripreso dall'ordine dei giorni della settimana nel calendario romano che sostituì il ciclo nundinale e che ancora oggi è preservato in numerose lingue e culture. Nella maggior parte delle lingue romanze, i nomi dei prime cinque giorni della settimana sono traduzione diretta delle originarie espressioni latine: ad esempio da lunae dies derivano lunedì, in italiano; lundi in francese, lunes in spagnolo. Differentemente è accaduto per il sabato e la domenica, i cui nomi hanno subito l'influsso della tradizione della Chiesa. Nelle lingue germaniche, invece, nei nomi di questi due giorni è stato preservato il loro significato originario. A titolo di esempio, le parole inglesi Sunday e Saturday tradotte letteralmente significano: "giorno del Sole" e "giorno di Saturno"; analogamente è accaduto per il lunedì. I nomi dei restanti giorni della settimana, invece, sono stati riassegnati a dèi considerati simili o equivalenti alle corrispondenti divinità romane. Il modello maggiormente accettato dalla comunità scientifica per spiegare la formazione dei sistemi planetari è il modello della nebulosa solare, formulato originariamente, come arguibile dal nome, per spiegare la formazione del sistema solare. In accordo con il modello standard della formazione stellare, la nascita di una stella avviene attraverso il collasso di una nube molecolare, il cui prodotto è la protostella. Non appena la stella nascente conclude la fase protostellare e fa ingresso nella pre-sequenza sequenza principale (fase di T Tauri), il disco che ne ha mediato l'accrescimento diviene protoplanetario; la sua temperatura diminuisce, permettendo la formazione di piccoli grani di polvere costituiti da roccia (in prevalenza silicati) e ghiacci di varia natura, che a loro volta possono fondersi tra loro per dar luogo a blocchi di diversi chilometri detti planetesimi Se la massa residua del disco è sufficientemente grande, in un lasso di tempo astronomicamente breve (100.000–300.000 anni) i planetesimi possono fondersi tra loro per dar luogo a embrioni planetari, detti protopianeti, i quali, in un arco temporale compreso tra 100 milioni e un miliardo di anni, vanno incontro ad una fase di violente collisioni e fusioni con altri corpi simili; il risultato sarà la formazione, alla fine del processo, di alcuni pianeti terrestri. La formazione dei giganti gassosi è invece un processo più complicato, che avverrebbe al di là della cosiddetta frost line (chiamata in letteratura anche limite della neve). I protopianeti ghiacciati posti oltre questo limite possiedono una massa superiore e sono in maggior numero rispetto ai protopianeti esclusivamente rocciosi.[ Non è completamente chiaro cosa succeda in seguito alla formazione dei protopianeti ghiacciati; sembra tuttavia che alcuni di questi, in forza delle collisioni, crescano fino a raggiungere una massa superiore alle 10 masse terrestri – M⊕ – (secondo recenti simulazioni si stima 14-18), necessaria per poter innescare un fenomeno di accrescimento, simile a quello cui è andata incontro la stella ma su scala ridotta, a partire dall'idrogeno e dall'elio che sono stati spinti nelle regioni esterne del disco dalla pressione di radiazione e dal vento della stella neonata. L'accumulo di gas da parte del nucleo protopianetario è un processo inizialmente lento, che prosegue per alcuni milioni di anni fino al raggiungimento di circa 30 M⊕, dopo di che subisce un'imponente accelerazione che lo porta in breve tempo (poche migliaia di anni) ad accumulare il 90% di quella che sarà la sua massa definitiva: si stima che pianeti come Giove e Saturno abbiano accumulato la gran parte della loro massa in appena 10.000 anni. Gli impatti con i planetesimi, così come il decadimento radioattivo dei loro costituenti, hanno riscaldato i pianeti in formazione, causandone una parziale fusione. Ciò ha permesso che il loro interno si sia differenziato conducendo alla formazione di un nucleo più denso, di un mantello e di una crosta. (si veda anche il paragrafo Differenziazione interna). Nel processo, i pianeti terrestri, più piccoli, hanno perduto la maggior parte della loro atmosfera; i gas perduti sono stati in parte reintegrati da quelli eruttati dal mantello e dagli impatti di corpi cometari. I pianeti più piccoli in seguito hanno continuato a perdere la propria atmosfera attraverso vari meccanismi di fuga. Si è scoperto inoltre che la metallicità, ovvero l'abbondanza di elementi più pesanti dell'elio, è un parametro importante nel determinare se una stella possegga o meno pianeti. Si ritiene che sia meno probabile che una stella povera di metalli, appartenente alla popolazione stellare II, possa essere circondata da un sistema planetario articolato, mentre le probabilità aumentano per le stelle ricche di metalli, appartenenti alla popolazione stellare I. © Wikipedia