Patologia della vulva e della vagina

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CAPITOLO
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Patologia
della vulva
e della vagina
ANTONIO AMBROSINI
IN
LEOPOLDO BECAGLI
SINTESI
◗ La vulva è sede di molteplici affezioni di tipo dermatologico, malformativo, tumorale.
◗ La sintomatologia di quasi tutte le affezioni vulvari, neoplastiche e non, è assai aspecifica e rappresentata essenzialmente da prurito, bruciore, dispareunia.
◗ Le dermatosi vulvari (psoriasi, dermatite seborroica, lichen planus) rappresentano circa il 5-7% di tutte le patologie vulvari.
◗ Il lichen scleroso e l’iperplasia cellulare squamosa (conseguente a dermatiti irritative o atopiche croniche) sono considerate lesioni a potenziale evoluzione neoplastica, anche se la possibilità di una loro evoluzione è calcolata attorno al 3-5%.
◗ Le neoplasie intraepiteliali risultano in progressivo aumento, in modo particolare quelle conseguenti ad infezione da HPV. La terapia è prevalentemente basata sulla chirurgia escissionale.
◗ Le neoplasie invasive rappresentano il 3-5% dei tumori ginecologici, colpiscono generalmente pazienti in età avanzata e
nell’80% dei casi sono tumori di origine squamosa. La terapia è prevalentemente chirurgica ed attuata in base allo stadio clinico-chirurgico, ma si avvale anche di terapie complementari o adiuvanti (radioterapia e chemioterapia).
◗ La vagina è sede di patologie malformative (setti), infiammatorie (vaginiti) e tumorali.
◗ I tumori invasivi della vagina sono rari: mentre quelli squamosi colpiscono prevalentemente pazienti anziane, il sarcoma botrioide interessa pazienti in età pediatrica.
MALATTIE DELLA VULVA
Affezioni dermatologiche
La vulva è un organo cutaneo e come tale soggetto ad affezioni dermatologiche presenti in altri distretti corporei;
tuttavia la dislocazione, la fisiologia e la funzione di quest’organo genitale determinano spesso quadri morfologici
caratteristici e specifici che richiedono un approccio multidisciplinare.
PSORIASI
La psoriasi è una comune dermatosi cutanea papulosquamosa ad andamento cronico ed eziologia ignota, che
si manifesta in soggetti geneticamente predisposti. L’area
inguino-genitale può essere interessata isolatamente da
tale processo morboso, tuttavia un’attenta ispezione di
tutta la superficie corporea, specialmente a livello delle su-
perfici flessorie degli arti (gomiti e ginocchio) e del cuoio
capelluto, spesso rivela altri siti coinvolti. A livello vulvare
è localizzata generalmente alla cute pelosa della faccia
esterna delle grandi labbra e del monte di Venere. Le placche tipiche della psoriasi, a limiti netti, translucide, circondate da un modesto eritema e ricoperte da squame argentee sono meno evidenti nella localizzazione vulvare,
per la maggiore traspirazione e i microtraumi da frizione
ripetuta, per cui anche il segno di Auspitz (la comparsa di
microemorragie puntiformi conseguenti al grattamento) è
meno frequente. Il sintomo prevalente è il prurito a cui segue il grattamento, causa di lesioni escoriative che rendono possibile il sovrapporsi di infezioni. La diagnosi differenziale si pone con le dermatiti da contatto e allergiche.
Il trattamento si avvale dell’utilizzo di emulsioni a base di
cortisone di differente potenza, in relazione all’entità della malattia.
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pici, in tal caso ha diametro superiore a sei millimetri e presenta pigmentazione e margini irregolari. Tali lesioni necessitano di sorveglianza vista l’associazione con il rischio
di melanoma cutaneo.
Altra frequente lesione pigmentata della vulva è rappresentata dalla cosiddetta iperpigmentazione reattiva che
costituisce una risposta ad un processo infiammatorio cronico e/o ad un persistente fenomeno irritativo e traumatico. L’iperpigmentazione può essere diffusa in donne obese, diabetiche e affette da infezioni cutanee croniche prevalentemente di tipo micotico; non richiede alcun trattamento.
Figura 12.1 Vulvite irritativa.
DERMATITE SEBORROICA
La dermatite seborroica è un’affezione cutanea eritematodesquamativa a carattere infiammatorio cronico ed eziologia sconosciuta, che colpisce prevalentemente le aree ricche di ghiandole sebacee (cuoio capelluto, viso dietro le
orecchie, regione sternale). La vulva può essere interessata
nelle zone più ricche di follicoli, con lesioni modicamente
desquamanti con lamelle furfuracee. Le eruzioni cutanee,
ad andamento ricorrente, sono spesso precedute da stress
emozionali, infezioni, affaticamento. Talora asintomatica, è
tuttavia il prurito il segno più costante, quando sia coinvolta la regione vulvare; il conseguente grattamento produce
lesioni escoriative soggette a impetiginizzazione, prevalentemente di tipo micotico. Norme igieniche (uso di indumenti in fibra naturale) ed emulsioni a base di cortisone
rappresentano i presidi terapeutici.
LESIONI PIGMENTATE
La lentiggine è una comune lesione scura della cute che
appare a livello vulvare nelle donne giovani e di mezza età.
Frequentemente multiple, queste lesioni sono rappresentate da macchie scure, piatte, di dimensioni variabili; presenti sia a livello della cute che della mucosa vulvare. L’aspetto delle lentiggini è simile a quello del nevo giunzionale, alla melanosi superficiale, al carcinoma basocellulare
pigmentato ed al carcinoma in situ, dai quali devono essere differenziate mediante biopsia escissionale.
Anche la presenza di nevi melanocitici è un’evenienza
abbastanza comune a livello vulvare. Le caratteristiche cliniche ed istologiche sono simili a quelle dei nevi di altre sedi cutanee. Generalmente il nevo comune acquisito ha forma simmetrica, è rotondo od ovalare, con pigmentazione
uniforme e a limiti regolari. Talora può mostrare segni ati-
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DERMATITI E DERMATOSI IRRITATIVE ED ALLERGICHE
La vulva, per le sue caratteristiche anatomiche, è altamente sensibile ad insulti di tipo chimico, fisico ed immunologico. Le dermatiti sono una patologia infiammatoria cutanea a decorso acuto o cronico e vengono distinte in forme
irritative da contatto e in forme allergiche o atopiche (Figura 12.1). Le dermatiti irritative trovano come fattori causali
agenti di qualsiasi natura con effetto irritante (Tabella 12.1).
Le dermatiti atopiche si verificano in soggetti che hanno sviluppato una sensibilizzazione allergica per certe sostanze
chimiche. Clinicamente le forme acute, sia irritative sia atopiche, sono caratterizzate da eritema, edema, microvescicole, essudazione e lesioni da grattamento, in quanto il
prurito rappresenta il sintomo prevalente. In caso di cronicizzazione, la cute vulvare diventa bruno grigiastra, presenta aree di lichenificazione e di ispessimento cutaneo (tipo
“pelle di elefante”), determinando istologicamente il quadro della iperplasia cellulare squamosa (ICS). Frequentemente questa patologia giunge alla osservazione del ginecologo in fase cronica, in quanto spesso tali pazienti tendono all’autoprescrizione di sostanze o medicamenti che
determinano solo un momentaneo beneficio e favoriscono
così l’instaurarsi di un circolo vizioso, prurito-grattamentoprurito, responsabile della cronicizzazione. Generalmente
si arriva alla diagnosi sulla base di un’accurata anamnesi e
di un’attenta ispezione. Qualora la diagnosi differenziale
con dermatosi o altre affezioni vulvari risulti difficoltosa,
può essere utile eseguire una biopsia in anestesia locale. La
terapia consiste nel riconoscimento e nella rimozione dell’agente irritante o allergico, e l’uso di corticosteroidi topici
può accelerare la risoluzione del quadro.
LICHEN PLANUS (LP)
Il lichen planus o lichen ruber planus è una dermatosi caratterizzata dalla presenza di papule pruriginose poligonali,
confluenti in placche, di colorito violaceo e con sottili strie
bianche superficiali (strie di Wickham) (Figura 12.2a). In genere interessa le donne di età compresa tra i 30 e 60 anni
in precise aree, tra cui la cute delle superfici flessorie degli
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Tabella 12.1
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AGENTI IRRITANTI RESPONSABILI DI DERMATITI IRRITATIVE O DA CONTATTO
Azione
Agenti
Chimica
Ossidanti: acqua ossigenata, ipocloriti, nitriti, sostanze iodate
Acidi ed alcali
Solventi: alcol, etere, cloroformio
Cheratolitici: acido acetilsalicilico, resorcina
Detergenti
Fisica
Microtraumatismi
Variazioni ambientali: biancheria intima sintetica, indumenti occlusivi antitraspiranti, assorbenti, salvaslip
Biologica
Vegetali
Animali: punture di insetto
arti superiori, la regione ano-genitale e le mucose. Si tratta, probabilmente, di una malattia autoimmune, in cui un
processo citotossico linfocito T mediato, scatenato da uno
stimolo antigenico esogeno (farmaci, metalli, virus tipo
HCV), attacca e distrugge i cheratinociti. Si associa ad altre patologie viscerali della stessa natura, tipo colite ulcerosa ed epatite cronica attiva postvirale. Il coinvolgimento
vulvo-vaginale può far parte di un rash generalizzato o essere isolato. A livello vulvare si riconoscono tre varianti cliniche:
a
Lichen plan s
1) classica: prevalentemente localizzata sul monte di Venere, sulle grandi e piccole labbra; il principale sintomo lamentato è il prurito, responsabile della disseminazione
della malattia (fenomeno di Koebner), anche se talvolta
può essere asintomatica;
2) erosiva, detta anche sindrome gengivale vulvo-vaginale
per le sedi colpite, a tendenza persistente e progressiva
con atrofia, perdita della architettura vulvare e stenosi
vaginale; il principale sintomo è il dolore urente, fonte di
dispareunia nelle pazienti sessualmente attive (al con-
b
Figura 12.2 a) Lichen planus; b) e lichen scleroso. (Da Atlante di Anatomia, Fisiopatologia e Clinica. Masson S.p.A. an Elsevier Company. All rights reserved.)
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trario la mucosa gengivale risulta solitamente asintomatica);
3) ipertrofica, la meno comune a livello vulvare, appare come una area di cute biancastra atrofica estesa che coinvolge i solchi interlabiali e le piccole labbra.
La diagnosi di LP si basa sull’aspetto clinico e, a volte, sulla biopsia utile per distinguere il LP da altre malattie erosive tipo le malattie bollose, il lichen scleroso, il VIN, il LES,
il malattia di Behçet. La terapia si basa sull’utilizzo di corticosteroidi topici o sistemici; le forme erosiva ed ipertrofica
sono, comunque, spesso resistenti al trattamento.
Manifestazioni cutanee di patologie
sistemiche
A livello vulvare si possono presentare lesioni, per lo più a
carattere ulcerativo, espressione di patologie sistemiche. Il
morbo di Crohn è una patologia di origine sconosciuta
che colpisce l’apparato gastro-intestinale; le lesioni anogenitali, caratterizzate inizialmente da ipertrofia ed edema
labiale e successivamente da ulcerazioni con formazioni
asessuali e fistolose, possono precedere le manifestazioni
intestinali della malattia. Il trattamento di tali lesioni prevede l’uso prolungato di metronidazolo e corticosteroidi topici.
Anche il malattia di Behçet è una patologia infiammatoria cronica ricorrente, caratterizzata da ulcerazioni genitali
ed orali collegate ad infiammazioni oculari e lesioni cutanee di tipo vasculitico.Tali manifestazioni si associano talora ad artriti, tromboflebiti, colite ulcerosa, meningo-encefaliti. Le ulcerazioni vulvari prevalenti alle piccole labbra presentano un’area centrale gialla e necrotica, edema periferico e sono spesso dolorose. La terapia si avvale dell’uso di
corticosteroidi sistemici ed intralesionali oltre che di antibiotici ed anestetici locali.
Tabella 12.2
CLASSIFICAZIONE
DELLE ALTERAZIONI EPITELIALI
VULVARI NON NEOPLASICHE
(ISSVD 1987)
Lichen
• Lichen sclerosus
• Lichen (ruber) planus
• Lichen simplex cronico
Iperplasia cellulare squamosa
Altre dermatosi
• Psoriasi
• Pemfigo bolloso
• Dermatite seborroica
L’elevata (10-62%) concomitante presenza nelle sue adiacenze di un carcinoma invasivo ha, per molto tempo, conferito a tale dermatosi un significato di lesione precancerosa, ma sulla base dei dati della letteratura fondati su studi
prospettici, si è attualmente concordi nel ritenere che il potenziale oncogeno sia basso (1-4%). Gli studi più recenti
indicano un coinvolgimento del sistema immunitario nella
patogenesi del LS: la presenza nel derma di linfociti T attivati e di cellule dendritiche nella epidermide, l’aumento di
cellule di Langerhans e la frequente associazione a questa
malattia di altre patologie autoimmunitarie quali la vitiligine, l’alopecia aerata, le tiroiditi, sembrano avvalorare tale
orientamento.
L’aspetto tipico di questa dermatosi cutanea è rappresentato da una lesione biancastra più o meno estesa, diffusa nell’area vulvo-perineale e madreperlacea, presente su una
cute atrofica per effetto della riduzione dello spessore dell’epidermide. La progressiva atrofizzazione e la sclerosi del
derma, conseguenti ad un’aumentata attività proliferativa e
collageno-sintetica dei fibroblasti, portano ad un aggravamento del quadro clinico con atrofia di strutture anatomiche (scomparsa delle piccole labbra e fimosi del clitoride)
e/o fusione delle stesse (conglutinazione tra piccolo e gran-
ALTERAZIONI VULVARI NON NEOPLASTICHE
Tali lesioni, caratterizzate da un’alterazione cronica del trofismo cellulare e definite in passato con il termine di distrofie, sono state classificate nel 1987 dalla ISSVD (International Society for the Study of Vulvar Disease) come malattie non neoplastiche della cute e delle mucose vulvari (Tabella 12.2).
LICHEN SCLEROSO (LS)
Il LS è una malattia infiammatoria cronica che può interessare sia la cute sia le mucose prevalentemente genitali (Figure 12.2b e 12.3): nel 90% dei casi è coinvolta la regione
vulvare come unica sede. Può insorgere in qualunque fase
della vita, ma si riscontra più frequentemente in peri-postmenopausa. Questa dermatosi da sola rappresenta il 1020% delle malattie epiteliali non neoplastiche della vulva.
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Figura 12.3 Lichen scleroso.
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de labbro), producendo un progressivo restringimento dell’introito vaginale. In alcune aree della cute e della mucosa
vulvare sono evidenziabili inoltre lesioni ipercheratosiche.
La sovrapposizione di fattori flogistico-infettivi è responsabile dei cosiddetti LS eritematosi, di difficile differenziazione con il lichen planus.
La sintomatologia tipica è rappresentata da prurito intenso, sensazione di secchezza, dispareunia. Anche se raramente, il LS può essere asintomatico, ciò che determina un
ritardo nella diagnosi della malattia e la progressione della
stessa in forme più gravi.
La terapia si avvale dell’uso di corticosteroidi topici ad elevata potenza quale il clobetasolo propionato allo 0,05% o
mometasone (0,1%). L’impiego di antistaminici ed anestetici non porta ad una riduzione della sintomatologia, mentre è indicato l’uso di creme emollienti e idratanti. L’utilizzo del testosterone propionato topico, raccomandato negli
anni 1970-1980, sembra non rappresentare una terapia efficace per questa patologia. La chirurgia è mutilante e non
risolve gli effetti della malattia. Vista la possibile, seppure
modesta, evolutività neoplastica è necessario un periodico
follow-up di queste pazienti.
IPERPLASIA CELLULARE SQUAMOSA
Spesso il quadro del LS si collega a lesioni caratterizzate da
un ispessimento dell’epidermide, associato ad aree biancastre o rosate, ricoperte da uno strato cheratinico più o meno spesso, che configura l’iperplasia cellulare squamosa
(ICS). Nel contesto di tali lesioni, l’esame istologico può
evidenziare una condizione di atipia cellulare, generalmente lieve o moderata, senza i caratteri tipici dell’infezione da
HPV (si vedano le neoplasie intraepiteliali della vulva). Essendo queste particolari neoplasie intraepiteliali effetto di
un processo flogistico reattivo cronico, non presentano regressione spontanea, bensì tendenza alla progressione
neoplastica invasiva, prevalentemente in donne anziane, e
quindi necessitano di terapia escissionale e follow-up.
Circoncisione e infibulazione
La circoncisione femminile (Figura 12.4) è una mutilazione
dei genitali esterni praticata in molte zone dell’Africa e dell’Asia per motivi religiosi e culturali. L’Organizzazione
Mondiale della Sanità la classifica secondo quattro tipi di
procedure:
1) il Tipo I consiste nella clitoridectomia parziale o totale;
2) il Tipo II prevede la clitoridectomia associata alla parziale o totale escissione delle piccole labbra;
3) il Tipo III (infibulazione) include la clitoridectomia, la
parziale o totale escissione delle piccole labbra ed una
incisione delle grandi labbra con riappaiamento dei
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margini rimanenti, al fine di creare un neointroito vaginale ristretto;
4) il Tipo IV, cui appartengono altre forme di incisioni,
ustioni e manipolazioni dei genitali esterni.
Il fine di tali pratiche è la credenza che, se eseguite in tenera età (5-12 anni), possano contribuire a preservare la castità e la fertilità prematrimoniale, come pure a migliorare
l’igiene e accrescere il piacere del partner durante i rapporti sessuali. Ancora oggi tali mutilazioni vengono spesso
eseguite da personale non sanitario secondo tecniche rudimentali e in assenza di sterilità, per cui le complicazioni
immediate più frequenti sono rappresentate da emorragie,
infezioni e sepsi. Esistono anche complicanze a lungo termine, specie nel Tipo II e III, quali stenosi del meato uretrale, ritenzione urinaria, infezioni genito-urinarie ricorrenti, fibrosi, cheloidi, ascessi vulvari, fusioni labiali e conseguente ematocolpo. Le complicanze ostetriche sono più
frequenti nel Tipo III e sono sia antepartum (impossibilità
di monitorare la gravidanza con l’esplorazione vaginale),
che intrapartum (prolungamento del periodo espulsivo e
aumento del rischio di lacerazioni ed infezioni vaginali) o
postpartum (alterata cicatrizzazione di episiotomia, emorragia e sepsi). Per prevenire tali complicanze, come pure
per migliorare la dispareunia, si può intervenire con la
deinfibulazione chirurgica, consigliabile almeno prima di
un’eventuale gravidanza.
Cisti vulvari
La cisti della ghiandola del Bartolini rappresenta la patologia cistica di più frequente riscontro vulvare (Figura
12.5). È dovuta all’espansione intraluminale del dotto
escretore per ostruzione del dotto stesso secondaria a
molteplici cause (trauma ostetrico, atresia, infezione e
conseguente edema). Si tratta quindi di cisti da ritenzione.
Si manifesta come tumefazione rotondeggiante, di consistenza teso-elastica nella parte inferiore esterna del grande labbro.
La sintomatologia dipende dalle dimensioni e dalle possibili complicanze (ascessualizzazione, fistolizzazione). Sono infatti asintomatiche se piccole, provocano tensione,
difficoltà al coito e alla deambulazione se di grosse dimensioni. In caso di infezione diventano dolenti e compaiono segni di flogosi locale, talora generale con febbre.
La terapia è chirurgica e consiste nell’asportazione della
cisti a meno che non sia in atto un processo infiammatorio; in questi casi è indicata la marsupializzazione con
svuotamento dell’ascesso, con possibili recidive del processo.
Altre formazioni cistiche sono frequentemente riscontrabili nella regione vulvare: sono per lo più cisti da inclusione
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Female Circumcision
Rimozione
del clitoride
e del prepuzio
Escissione
del clitoride
e parte delle
piccole labbra
Tipo I: Clitoridectomia
Tipo II: Clitoridectomia e parziale
escissione delle piccole labbra
Incisione delle
grandi labbra
e loro avvicinamento
al di sopra dell’uretra
e introito vaginale
(infibulazione)
Totale escissione
del clitoride
e delle piccole labbra
Escissione del clitoride e delle piccole labbra
e incisione delle grandi labbra nel tipo III e IV
I 2/3 delle grandi
labbra sono
chiuse al di sopra
dell’uretra
e introito vaginale
Apertura
L’introito
vaginale è
praticamente
inaccessibile
Apertura
Tipo III: Infibulazione parziale
Tipo IV: Infibulazione totale con piccola
apertura posteriore per il passaggio
delle urine e del sangue mestruale
Figura 12.4 Circoncisione femminile. (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology and Women’s Health. Published by Elsevier Inc. All rights
reserved.)
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Cisti della ghiandola del Bartolini
Cisti del canale di Nuck
Cisti da inclusione
Figura 12.5 Alcuni esempi di cisti vulvari. (Da Atlante di Anatomia, Fisiopatologia e Clinica. Masson S.p.A. an Elsevier Company. All rights reserved.)
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labbra, e più frequenti a livello del vestibolo. Nella maggior
parte dei casi sono asintomatiche e l’incisione, o meglio
l’exeresi, rappresenta la terapia indicata in caso di sintomatologia irritativa o al sovrapporsi di processi infettivi. Le
cisti del dotto di Malpighi Gartner o cisti mesonefritiche, localizzate a livello imenale o nel terzo medio delle
grandi labbra, sono piccole formazioni teso-elastiche a
contenuto sieroso mucinoso, che esitano dai residui del
dotto di Wolff. Le cisti del canale di Nuck (Figura 12.5)
sono cisti sierose, localizzate nella metà superiore del
grande labbro che originano per mancata obliterazione
della porzione distale del diverticolo peritoneale, che segue il legamento rotondo sino alla inserzione sul grande
labbro. Per entrambe queste ultime formazioni cistiche è
indicata l’exeresi chirurgica.
Figura 12.6 Cisti da inclusione: cisti sebacee.
Malformazioni imenali
(Figura 12.5) e noduli intradermici di piccole dimensioni a
contenuto giallastro denso e cremoso; cisti sebacee (Figura
12.6), presenti in genere sia sulle piccole sia sulle grandi
L’imene imperforato costituisce una frequente anomalia
ostruttiva congenita dell’efflusso vaginale (0,1% dei nati
vivi) (Figura 12.7). Secondo alcuni Autori, l’imene imperforato sarebbe l’esito di un’abnorme invasione mesodermica
Imperforate
hymen
Figura 12.7 Imene imperforato. (Da Atlante di Anatomia, Fisiopatologia e Clinica. Masson S.p.A. an Elsevier Company. All rights reserved.)
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della porzione uro-genitale della membrana cloacale, altri
parlano di un’insufficiente apoptosi o di un inappropriato
ambiente ormonale; tuttavia, di certo, è stata notata la presenza di una ricorrenza familiare.
L’imene imperforato può essere sintomatico già in periodo
neonatale, favorendo la comparsa di mucocolpo per l’accumulo delle secrezioni vaginali fetali sotto l’influsso estrogenico materno. Se misconosciuto fino al menarca, l’imene
imperforato si presenta con dolori addominali ciclici ingravescenti, amenorrea primaria, ritenzione urinaria, stipsi e
lombalgia. Ematometra ed ematocolpo sono frequenti e si
può arrivare fino all’ematosalpinge e occasionalmente all’endometriosi intraddominale, per flusso retrogrado.
La diagnosi si effettua con:
1) attento esame del vestibolo: l’imene imperforato appare come una sottile membrana traslucente (bluastra
se vi è ematocolpo) che protrude con la manovra di
Valsalva;
2) palpazione addominale e rettale, per evidenziare una
massa in sede pelvica;
3) ecografia, per stabilire la reale estensione della raccolta
intravaginale.
Anomalie anatomiche che rientrano nella diagnosi differenziale dell’imene imperforato sono: adesioni labiali acquisite, imene stenotico, setti vaginali ostruenti o parzialmente ostruenti (longitudinali o trasversi), cisti vaginali,
agenesia vaginale (sindrome di Mayer-Rokitansky-KusterHauser), insensibilità agli androgeni (femminilizzazione
testicolare). La correzione è chirurgica: imenotomia a croce
lungo i diametri diagonali dell’imene per evitare lesioni
uretrali; tale intervento, nella paziente asintomatica, viene
generalmente differito alla pubertà, epoca in cui la stimolazione estrogenica ne favorisce la riparazione chirurgica e la
guarigione. È opportuno ricordare anche di indagare sulla
possibile presenza di anomalie dell’apparato urinario, data
l’origine embriologica comune dal seno uro-genitale.
L’imene imperforato è comunque l’estremo di uno spettro
di variazioni della configurazione imenale. Si parla, infatti,
di imene anulare, settato, ipertrofico, a mezzaluna, cribroso, navicolare (con un orifizio disposto anteriormente)
rigido ecc. Questi raramente sono sintomatici prima del
menarca, tuttavia, la variante navicolare può provocare sintomatologia di tipo urinario (perdite, ritenzione ed infezioni
urinarie). Qualche volta la configurazione cribriforme si associa a mucocolpo ed eventuale piomucocolpo, per risalita
di batteri patogeni attraverso le microperforazioni. All’epoca del menarca non creano grossi disturbi se si eccettua la
difficoltà nell’inserimento dei tamponi, in particolare nel
caso delle anomalie stenosanti quali l’imene cribroso. Lo
stesso tipo di problema è creato dall’imene rigido, tipico
delle atlete, che può rientrare in un quadro di ipoestrogeni-
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smo da eccessiva attività fisica. La paziente affetta da imene
a bande lamenta, invece, di non riuscire ad estrarre il tampone precedentemente inserito. La varietà ipertrofica può
essere fonte di dispareunia. Tali forme, ovviamente, vanno
distinte dal vaginismo involontario grazie ad un’attenta
ispezione genitale. Spesso sono misconosciute alla nascita
perché l’ispezione della regione ano-genitale, pur essendo
parte dell’esame obiettivo neonatale, è resa difficoltosa sia
dalle ridotte dimensioni dei genitali, sia dall’influenza degli
estrogeni materni che, rendendo ipertrofiche le piccole labbra, contribuiscono ad occultare il vestibolo. La conoscenza
della morfologia imenale più comune e delle sue varianti è
utile, non solo per diagnosticare le patologie che possono
essere da loro favorite, ma anche per evitare grossolani errori nella diagnosi di abuso sessuale in minore.
Adesioni labiali
Le adesioni labiali sono relativamente comuni nella popolazione femminile in età pediatrica (1-2% tra i 3 mesi ed i 6
anni di età). Di solito asintomatiche, vengono diagnosticate
nel corso di un’ispezione genitale di routine. Solo occasionalmente simulano un’incontinenza postminzionale, per
via di un residuo urinario intrappolato, che solo in ortostatismo riguadagna l’efflusso fisiologico. L’eziopatogenesi è
probabilmente di natura infiammatoria o irritativa locale
(pannolino, detergenti) responsabile della perdita dell’epitelio labiale superficiale; la successiva guarigione, dato il basso tasso estrogenico infantile, avviene con la costituzione di
aderenze fibrose tra le labbra. Generalmente, anche se non
trattato, si risolve spontaneamente alla pubertà. Nei casi
gravi si utilizzano estrogeni topici e in caso di insuccesso, la
lisi chirurgica. Le ricorrenze sono, comunque, comuni.
Lesioni traumatiche vulvari
Le lesioni traumatiche vulvari possono essere distinte in lesioni da traumi accidentali e lesioni sessuali.
Le lesioni da traumi accidentali possono provocare lacerazioni di vario grado, estensione e profondità, che possono
coinvolgere organi limitrofi (ano, vagina e uretra) e fratture
ossee. In assenza di soluzione di continuo si può verificare
la comparsa di ematoma. I provvedimenti terapeutici varieranno in base alla gravità delle lesioni: in caso di traumi superficiali con presenza di solo ematoma, è sufficiente applicare una borsa del ghiaccio per almeno 24 ore, consigliare il
riposo, per evitare l’estendersi della lesione, ed effettuare lavaggi con soluzioni disinfettanti. In caso di lesioni più gravi
con estese soluzioni di continuo, è necessario intervenire
con punti di sutura.
Per quanto riguarda le lesioni da traumi sessuali, particolare attenzione deve essere posta in presenza di lesioni an-
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che minime a livello genitale in bambine ed adolescenti al
fine di escludere un abuso sessuale, avvalendosi, eventualmente, della consulenza di un medico legale.
Tumori benigni
La vulva è frequentemente la sede di neoformazioni benigne presenti in altre sedi cutanee. L’emangioma con le varianti piana tuberosa e cavernosa è una neoplasia di origine vascolare su base malformativa frequente nelle bambine, ma può comparire anche in età adulta. È una tumefazione di colorito rosso violaceo o bluastro, spesso rilevata,
a superficie liscia o finemente rugosa (angiocheratoma).
Queste neoformazioni, più frequentemente asintomatiche,
a causa della loro ubicazione e in conseguenza a traumi accidentali, talora possono dare origine a sanguinamenti e ad
infezioni secondarie; solo in questi ultimi casi è indicata
l’exeresi chirurgica.
Anche i polipi fibroepiteliali (acrocordon) sono formazioni di relativo frequente riscontro vulvare; sessili o peduncolati presentano un asse fibrovascolare rivestito da cute “rugosa”talora iperpigmentata. Di solito asintomatici, la
loro rimozione bioptica può essere indicata al fine di consentire una diagnosi differenziale.
La cheratosi seborroica è una comune lesione esofitica
talora papillare della cute, di colorito marrone nero che
può simulare, per la pigmentazione, un melanoma. Si sviluppa in qualsiasi parte del corpo con particolare frequenza a livello vulvare, specialmente nelle donne in postmenopausa. Le ghiandole sebacee non hanno alcun
ruolo nella formazione dell’escrescenza; il termine seborroico è riferito alla sua apparenza. Sono asintomatiche e
la loro escissione è indicata solo a scopo di diagnosi differenziale.
nel 2004 dalla stessa Società, ha apportato ulteriori modifiche alla definizione delle VIN, facendo rientrare in esse solo le forme squamose, eliminando la VIN 1, attualmente
descritta come lesione condilomatosa o da effetto citopatico da HPV e riservando al termine VIN solamente le lesioni precedentemente classificate come VIN 2 e 3 o VIN 3
differenziata (Tabella 12.4). La vera lesione evolutiva e preneoplastica viene così classificata non in gradi, ma secondo
parametri istomorfologici: le neoplasie intraepiteliali squamose, quindi, secondo la classificazione del 2004 (Tabella
12.5) vengono suddivise in:
1) forme non differenziate (classic, usual type: 90% ) in cui
rientrano le pregresse VIN2,VIN 3, basaloidi, bowenoidi
e miste, generalmente associate ad infezione da HPV;
2) forme differenziate (simplex, differentiated type: 10%) generalmente non associate all’HPV, spesso misconosciute e a più alto rischio evolutivo oncogeno.
I rari casi di VIN che non possono essere classificati né come differenziate, né indifferenziate vengono denominate
VIN NOS (unclassified type).
Tabella 12.3
Squamocellulari
• VIN 1: Displasia lieve
• VIN 2: Displasia media
• VIN 3: Displasia grave/carcinoma in situ (CIS)
Non squamocellulari
• Morbo di Paget (intraepiteliale)
• Melanoma in situ
Tabella 12.4
Neoplasie della vulva
NEOPLASIE VULVARI INTRAEPITELIALI
Le neoplasie vulvari intraepiteliali (VIN) sono dovute ad
una proliferazione delle cellule epiteliali che mostrano alterazioni cito-architetturali di maturazione e atipie nucleari accompagnate da un numero variabile di mitosi.Tale definizione è sinonimo di displasia, lieve, moderata e grave/carcinoma in situ, analogamente alla terminologia utilizzata
per le lesioni della portio. La classificazione VIN è stata
adottata nel 1986 dalla International Society for the Study
of Vulvar Disease (ISSVD), includendo le forme squamose
(suddivise in 3 gradi sulla base dell’estensione e della gravità delle anomalie nell’ambito dell’epitelio vulvare) e VIN
non squamose (malattia di Paget e melanoma vulvare in situ) (Tabella 12.3). Una classificazione successiva, proposta
272
NEOPLASIE VULVARI
INTRAEPITELIALI (ISSVD 1986)
MODIFICHE
ALLA CLASSIFICAZIONE VIN
Classificazione 1986
Classificazione 2004
VIN 1
VIN 2
VIN 3, differenziated
–
VIN
VIN, differenziated type
Tabella 12.5
CLASSIFICAZIONE VIN 2004
VIN non differenziato (classic – usual type)
• tipo bowenoide
• tipo basaloide
• tipo misto
VIN differenziato (simplex – differentiated type)
• tipo bowenoide
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Patologia della vulva e della vagina
Le forme non differenziate sono spesso riscontrabili in
donne giovani (< 45 anni), in un contesto di condilomatosi piana o florida, spesso correlate a lesioni analoghe cervicali e vaginali (CIN, VaIN); il rischio di progressione neoplastica è basso e possono andare incontro a regressione
spontanea. I ceppi virali generalmente riscontrati sono
l’HPV 6, 11, 18. L’aspetto clinico, meglio evidenziabile mediante lente di ingrandimento o utilizzando il colposcopio
(vulvoscopia), rileva un quadro di epitelio bianco, variamente ispessito ed ipercheratosico, ed anomalie vascolari;
frequentemente sono lesioni multicentriche. L’incremento
registrato negli ultimi anni delle VIN è legato soprattutto a
queste forme, che appaiono strettamente associate ad altre
malattie trasmesse sessualmente (condilomi, herpes genitale, HIV ecc.).
Le forme di VIN differenziate, non HPV correlate, sono riscontrabili più frequentemente in un contesto di iperplasia
cellulare squamosa e/o di lichen scleroso, sono presenti in
fasce di età più avanzate (> 45 anni) e sono caratterizzate
da lesioni con aspetto francamente ipercheratosico, rilevato, leucoplasico, spesso iperpigmentato, prevalentemente
monofocale e di notevole estensione. Queste forme sembrano avere una maggiore propensione alla progressione
neoplastica.
I sintomi prevalenti in entrambe le forme di VIN differenziate ed indifferenziate sono il prurito, il bruciore, il senso
di fastidio, anche se talora sono asintomatiche.
L’aspetto clinico e vulvoscopico è assai vario: lesioni bianche, rosse, iperpigmentate, rilevate, piane, atrofiche, ipercheratosiche, verrucose. Ne consegue la necessità di un’attenta mappatura e conseguente accertamento bioptico,
eventualmente multiplo. È raccomandabile l’esecuzione di
biopsie di ampiezza e profondità (con bisturi, punch di
Keye, elettrodi ad ansa) tali da escludere l’invasione stromale, specie nelle lesioni unificali nelle pazienti anziane.
La localizzazione della VIN sulla cute ricoperta da peli impone un approfondimento maggiore del trattamento, in
considerazione della profondità raggiunta dagli annessi
piliferi.
L’orientamento terapeutico attuale può essere così sintetizzato:
1) stretto follow-up in caso di biopsie sospette o positive
(VIN non differenziato), specie in donne giovani, gravide, con lesioni simil-condilomatosiche;
2) terapia medica (nelle forme non differenziate) a base di
sostanze immunomodulanti (imiquimod in crema) in
centri di riferimento nell’ambito di trial randomizzati;
3) terapie chirurgiche escissionali (vulvectomia superficiale totale o settoriale, ampia escissione locale con bisturi a lama fredda, escissione con ansa o ago a radiofre-
12
quenza) e distruttive (vaporizzazione Laser), utilizzate singolarmente o in associazione. È consigliabile prediligere le tecniche escissionali per poter ottenere un
reperto istologico definitivo al fine di escludere un’iniziale invasione stromale (frequenza 2,5-18%). Altre terapie (bisturi a ultrasuoni e terapie fotodinamiche, mediante la stimolazione con lunghezze d’onda assorbite da una sostanza fotosensibilizzante applicata sulla
zona da trattare) sono ancora in fase di sperimentazione.
Il morbo di Paget vulvare si manifesta generalmente in
età postmenopausale, localizzandosi prevalentemente nelle aree cutanee e determinando una sintomatologia pruriginosa insistente.
In genere, il morbo di Paget vulvare si comporta clinicamente e biologicamente come un CIS e a volte può essere
la prima manifestazione di un adenocarcinoma invasivo
degli annessi ghiandolari vulvari. Spesso la localizzazione
vulvare rappresenta l’espressione di un quadro neoplastico
diffuso a isotipo ghiandolare (nel 45% dei casi sono contemporaneamente presenti altre neoplasie: colo-rettali,
cervicali, renali, mammarie).
L’aspetto clinico è una lesione singola o multifocale, di colorito rossastro e aspetto eczematoso, spesso rilevato, nel
cui contesto sono presenti aree ipercheratosiche, con margini ben identificabili.
La diagnosi si basa sulla presenza delle tipiche cellule di
Paget nel contesto dell’epitelio (cellule epidermiche differenziate isolate o raggruppate a nidi negli strati intermedi
dell’epitelio).
La terapia è chirurgica escissionale; l’incidenza delle recidive anche a distanza, data la peculiarità della malattia, è altissima: necessario quindi un follow-up ininterrotto.
CARCINOMA INVASIVO
Il carcinoma della vulva costituisce il 3-5% di tutte le
neoplasie dell’apparato genitale femminile. È prevalentemente una neoplasia dell’età avanzata, con maggiore incidenza nella sesta, settima decade di vita. Il più elevato riscontro delle forme intraepiteliali vulvari intorno alla quarta-quinta decade di vita, frequentemente HPV-correlate,
non conferma l’ipotesi che le forme invasive rappresentino
una progressione dei VIN; infatti all’elevato incremento
delle forme intraepiteliali registrato negli ultimi anni non
ha fatto riscontro un aumento corrispondente di forme invasive. Per lo più il carcinoma invasivo della vulva si trova
associato a lesioni quali il lichen scleroso e/o l’iperplasia
cellulare squamosa. Tuttavia nel 15-20% dei casi, a tale
neoplasia è associata un’infezione da HPV16-18 che interessa donne con età inferiore ai 60 anni ed è correlata a lesioni preinvasive. Il carcinoma della vulva si manifesta con
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GINECOLOGIA
sintomatologia aspecifica: prurito e bruciore locali, raramente con perdite ematiche. A seguito della scarsità e della modesta rilevanza dei sintomi, tali pazienti giungono alla osservazione del medico spesso tardivamente. Le lesioni
presentano una notevole variabilità macroscopica, con forme e proliferazione sia esofitica rilevata e/o ulcerata, sia
endofitica, nodulare (Figura 12.8 e 12.9). Un’accurata ispezione diretta è di solito in grado di rilevare lesioni di sospetta natura neoplastica. Mediante l’ispezione e la palpazione dovranno essere definiti l’estensione della lesione,
l’eventuale coinvolgimento di organi limitrofi (uretra, vagina, ano) e la presenza di adenomegalie inguinali. Infine,
l’esame istologico eseguito mediante biopsie multiple effettuate sulla lesione principale e su eventuali lesioni associate deve consentire un’adeguata stadiazione clinica. Una
volta definita la natura invasiva della lesione sono consigliabili ulteriori accertamenti al fine di un adeguato piano
terapeutico:
1) colpocitologia e colposcopia, per escludere la presenza
di lesioni squamose associate cervico-vaginali;
2) esami ematochimici di routine;
3) Rx torace;
4) TAC addominale per indagare linfonodi inguinali e pelvici;
5) cisto-rettoscopia in caso di sospetto interessamento di
questi organi.
Il trattamento elettivo del carcinoma vulvare è di tipo chirurgico, ma per la maggior parte degli stadi III e IV, alla chirurgia viene associata la radioterapia. Gli elementi che condizionano la radicalità e l’estensione dell’intervento dipendono dallo stadio della malattia (Tabella 12.6).
Negli ultimi anni l’estensione dell’escissione cutanea si è
andata via via riducendo, in quanto i dati della letteratura
Figura 12.8 Carcinoma in situ.
274
indicano come il fattore predittivo più importante per la
comparsa di recidive locali sia un margine di resezione libero da tumore di non meno di un centimetro, rendendo
così l’intervento meno mutilante e meno soggetto a complicanze. L’impiego di tecniche più conservative è stato infatti proposto allo scopo di migliorare la qualità della vita in
termini di salute fisica e psico-sessuale. Gli interventi utilizzati sono così riassunti:
1) lesioni allo stadio iniziale (T1A): ampia escissione
bioptica purché in presenza di margini liberi superiori al
centimetro;
2) lesioni T1B e T2: vulvectomia totale con linfoadenectomia inguinale femorale radicale omolaterale in caso di
lesione laterale (il margine mediale giunge a meno di un
centimetro dalla linea mediana della vulva) o bilaterale
in caso di lesione mediana;
3) lesioni localmente avanzate (T3 e T4A): vulvectomia
radicale con estensione della resezione alle strutture
coinvolte o vulvectomia radicale con eviscerazione parziale o totale, più radioterapia adiuvante inguinale e pelvica associata o meno a chemioterapia (mitomicina C e
5-fluorouracile);
4) tumore inoperabile: radioterapia inguinale e pelvica.
Sono in corso degli studi sull’attendibilità della biopsia del
linfonodo sentinella, definito come il primo linfonodo di
drenaggio della regione interessata dalla neoplasia: si assume che lo stato anatomo-patologico del linfonodo sentinella sia rappresentativo degli altri linfonodi regionali,
quindi, se negativo, potrebbe essere predittivo dell’assenza
di metastasi.
La maggior parte delle riprese di malattia sono localizzate
nell’area vulvo-perineale (recidive locali); insorgono entro
Figura 12.9 Carcinoma squamocellulare invasivo.
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Patologia della vulva e della vagina
Tabella 12.6
12
STADIAZIONE CLINICO-CHIRURGICA DEL CARCINOMA DELLA VULVA FIGO/TNM 1995
Stadio
Definizione
TNM
0
Carcinoma in situ: VIN 3
Tis
IA
Tumore di diametro ≤ 2 cm, confinato a vulva e/o perineo con invasione stromale non
superiore a 1 mm. Assenza di metastasi linfonodali.
T1a N0 M0
IB
Tumore di diametro ≤ 2 cm, confinato a vulva e/o perineo con invasione stromale superiore a 1 mm. Assenza di metastasi linfonodali.
T1b N0 M0
II
Tumore di diametro > 2 cm, confinato a vulva e/o perineo. Assenza di metastasi linfonodali.
T2 N0 M0
III
Tumore di qualsiasi diametro con interessamento di 1/3 distale di uretra e/o vagina e/o
ano e/o metastasi linfonodali inguinali monolaterali.
T3 N0 M0
T3 N1 M0
T1 N1 M0
T2 N1 M0
IVA
Tumore che invade una o più delle seguenti strutture: 1/3 prossimale dell’uretra, mucosa vescicale, rettale, sinfisi pubica e/o metastasi linfonodali inguinali bilaterali.
T1 N2 M0
T2 N2 M0
T3 N2 M0
T4 N0-2 M0
IVB
Metastasi a distanza, comprese le metastasi linfonodali.
T1-4 N0-2 M1
24 mesi dall’intervento primario e sono in genere ben controllate da un’adeguata resezione chirurgica. La sopravvivenza è strettamente legata allo stadio di malattia in cui viene fatta la prima diagnosi e varia dopo 5 anni dal 90%, in
pazienti al primo stadio, al 30% in pazienti al quartostadio.
ALTRI TUMORI INVASIVI DELLA VULVA
Oltre al carcinoma epidermoide, che rappresenta più
dell’80% dei tumori vulvari, si possono riscontare altre
neoplasie istologicamente distinte.
Il melanoma rappresenta il 6-10% dei tumori vulvari ed il
3-7% di tutti i melanomi; è una neoplasia tipica dell’età
avanzata e prende origine da preesistenti lesioni pigmentate, generalmente a carico delle piccole labbra. Anche
per i melanomi vulvari l’elemento prognostico più significativo è il grado di infiltrazione del derma e del sottocutaneo.
Il basalioma o carcinoma a cellule basali rappresenta il
2-4% dei tumori vulvari, istologicamente è sovrapponibile
al basalioma di qualsiasi altro distretto cutaneo, colpisce
prevalentemente le grandi labbra, ha un decorso lento e
scarsa tendenza all’invasione.
I sarcomi sono molto rari a livello vulvare; possono svilupparsi dal tessuto fibroadiposo, muscolare o vascolare. Tra
questi i più frequenti sono i rabdomiosarcomi ed i leiomiosarcomi.
Infine l’adenocarcinoma della vulva, neoplasia rara, può
insorgere, nella maggior parte dei casi, dalla ghiandola del
Bartolini o meno frequentemente da annessi cutanei, da
ghiandole minori o da ghiandole simil mammarie e rappresentare la forma invasiva della malattia di Paget.
MALATTIE DELLA VAGINA
Secchezza vaginale e vaginiti atrofiche
Le vaginiti atrofiche sono delle flogosi vaginali recidivanti, il cui primum movens risiede in una prolungata riduzione
degli estrogeni circolanti, che, oltre a stimolare l’indice mitotico epiteliale vaginale, ne determinano anche una copiosa produzione di glicogeno. I lattobacilli di Doderlein
sia utilizzando tale glicogeno, con produzione di acido lattico che acidifica il pH vaginale, sia per un meccanismo di
competizione biologica, rendono l’ambiente ostile alla proliferazione di germi patogeni. Al contrario, una prolungata
carenza estrogenica comporta l’atrofia dell’epitelio vaginale, con riduzione del glicogeno ed alcalinizzazione del pH
vaginale per rarefazione del lattobacillo di Doderlein dalla
flora saprofitica vaginale, condizione questa che facilita lo
sviluppo di infezioni da batteri patogeni (soprattutto di origine intestinale), tra cui i più frequenti sono stafilococchi,
streptococchi, difteroidi e coliformi. La stessa involuzione
in senso atrofico interessa anche l’epitelio delle vie urinarie, per cui si parla in genere di atrofia uro-genitale che favorisce la comparsa di cistiti ricorrenti. La principale condizione responsabile di carenza estrogenica prolungata è la
menopausa, in cui si assiste ad un drammatico calo degli
estrogeni (principalmente estradiolo) da livelli di circa 120
pg/ml fino a 18 pg/ml. Tra le altre cause si annoverano l’allattamento, l’ovariectomia, la chemioterapia, la radioterapia, l’uso di farmaci ad azione antiestrogenica. I principali
sintomi di vaginite atrofica sono: secchezza vaginale, prurito, bruciore, dispareunia, perdite ematiche postcoitali,
leucorrea o xantorrea maleodorante, infezioni urinarie con
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GINECOLOGIA
disuria, ematuria, pollachiuria. È importante non etichettare subito come vaginite atrofica una sintomatologia genitourinaria nella donna in postmenopausa; infatti ci sono
molte condizioni da cui va differenziata:
1) vaginiti infettive (Candida, Trichomonas);
2) vaginosi batterica;
3) vaginiti irritatative/allergiche da detergenti, saponi, salvaslip, lubrificanti, indumenti non traspiranti;
4) sindrome di Sjögren.
La diagnosi si basa sull’attenta ispezione dei genitali esterni
alla ricerca dei segni di atrofia vulvo-vaginale; in particolare
sono segni di involuzione, a livello vulvare: ridotta elasticità
e turgore cutaneo, diradamento dei peli pubici, secchezza e
riduzione delle labbra. L’epitelio vaginale atrofico appare
pallido, lucido, assottigliato e fragile. Accertata la alcalinizzazione del pH vaginale, gli esami colturali e la colpocitologia
possono essere di ausilio nel rilevare evidenze di Candida,
Trichomonas o vaginosi batterica; la valutazione del livello
degli estrogeni sierici può essere di aiuto nelle forme di menopausa precoce. In caso di perdite ematiche postcoitali sono richieste ulteriori indagini ai fini di escludere una neoplasia. Il trattamento si basa oltre che sulla antibiotico-terapia
mirata e su precise norme igienico-comportamentali, anche
sull’utilizzo di estrogeni topici a fini preventivi e, se necessario, sulla terapia ormonale sostitutiva.
Lacerazioni vaginali
Le lacerazioni vaginali rientrano in un quadro di lesioni perineali ingravescenti generalmente classificate secondo la
profondità:
• I grado: lacerazioni della sola mucosa vaginale e della
cute perineale;
• II grado: coinvolgimento dei muscoli perineali;
• III grado: coinvolgimento dello sfintere anale;
• IV grado: lacerazioni della mucosa rettale con esposizione del lume.
Le lacerazioni vaginali sono secondarie a complicanze
ostetriche (parto operativo distocico o episiotomia), a decelerazione improvvisa contro un ostacolo (caduta da
bicicletta) o a coito forzato. La eziopatogenesi di tali lesioni risiede, infatti, in un’improvvisa trazione sui tessuti dell’organo di entità tale da superarne le capacità espansive
elastiche. La profondità e l’estensione delle lacerazioni dipendono dall’entità della trazione, dal tipo di trauma e dall’elasticità del tessuto stesso. Complicanze acute possono
essere rappresentate da profuse emorragie (specie nel postpartum), ematomi intra- e retroperitoneali occulti, infezioni per contaminazione con materiale fecale (temibile la
fascite necrotizzante), lesioni uretrali e malattie sessual-
276
mente trasmesse, nel caso di stupro. Complicanze croniche
possono essere date da incontinenza dello sfintere anale,
dispareunia, fistole retto-vaginali e conseguenti vaginiti ricorrenti.
Setti vaginali
I setti vaginali, trasversali o longitudinali, rappresentano
anomalie dello sviluppo embriogenetico vaginale (alterata
fusione e canalizzazione dei dotti di Müller e del seno urogenitale).
I setti trasversali (Figura 12.10) sono i più comuni; possono essere completi,parziali e con sede variabile,ma più frequentemente si ritrovano alla giunzione tra terzo medio e
terzo superiore della vagina (46%). Quando sono localizzati nella parte superiore della vagina sono più spesso incompleti, anulari o ad arco, di spessore attorno a qualche
millimetro e con orifizio variabile da 1 mm a più di 1 cm,ma
sufficiente al passaggio del flusso mestruale.A volte possono manifestarsi leucorrea e sanguinamento intermestruale
per la ritenzione a monte della stenosi, ma il sintomo che
più spesso richiama l’attenzione è la dispareunia, abitualmente primaria. Al contrario, se i setti sono situati nella
parte inferiore, sono più comunemente completi e, data la
sede, possono essere confusi con l’imene imperforato ed
essere fonte di apareunia oltre che di amenorrea primaria,
criptomenorrea e di dolori pelvici ricorrenti con ematocolpo ed ematometra. Importante da considerare è il calibro
del resto della vagina: talvolta il setto è una situazione isolata nel contesto di una cavità vaginale normale ma, non di
rado, si associa ad un’ipoplasia vaginale globale. La diagnosi si basa sull’esplorazione vagino-rettale, l’ecografia,
la vaginoscopia (se presente un orifizio che ne permette
l’esecuzione) e la vaginografia. Si raccomandano anche
una pielografia endovenosa e l’ecografia renale dal momento che, nel 20-30% dei casi, possono coesistere anomalie di sviluppo del tratto urinario. Ai fini di pianificare
adeguatamente l’intervento, preoperativamente, va esclusa un’aplasia vaginale segmentale e determinato con precisione il livello della anomalia (ecografia pelvica e, se necessario, RMN). Infatti per un setto basso l’approccio è vaginale, nel caso di un setto alto può essere necessario il ricorso ad un approccio simultaneo addomino-vaginale. Il
tipo di intervento è simile sia nel caso di setti perforati che
imperforati; l’indicazione e il timing all’intervento variano,
invece, a seconda del tipo di setto trasverso: se incompleto
lo si corregge solo se sintomatico oppure in vista di un futuro parto per via vaginale, per prevenirne possibili lacerazioni e successiva stenosi cicatriziale; se completo lo si corregge sempre.
I setti longitudinali non sono molto comuni (0,2-0,5‰);
possono essere parziali o completi: in quest’ultimo caso la
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g
12
p
Setto vaginale trasversale
più comunemente situato
tra il terzo superiore e i 2/3
inferiori del canale vaginale
Il setto appare
come una tasca
vaginale cieca
Canale vaginale
Anello imenale
Aspetto clinico del setto
Il setto ha generalmente spessore
inferiore al centimetro, può avere
sede variabile e può presentarsi
completo o incompleto
Dilatazione della cavità
uterina e della vagina
da parte del sangue
mestruale (ematocolpo)
Setto vaginale
trasversale
L’ematocolpo rappresenta
una complicazione del setto
vaginale trasversale
Figura 12.10 Setti vaginali trasversali. (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology and Women’s Health. Published by Elsevier Inc. All rights
reserved.)
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vagina si presenta doppia, condizione che di solito si ritrova in associazione a duplicazione di altri organi (vescica e
utero). La diagnosi è basata sull’esame bimanuale ed ispezione speculare meticolosa per non misconoscere un setto
alto. Anche per i setti longitudinali il tipo di intervento dipende dalla presenza o meno di malformazioni associate
(uterine). L’indicazione ed il timing ricalcano a grandi linee
i precedenti. La divisione di un setto vaginale ostruente
può essere eseguita per via vaginale e, di solito, non è richiesta la laparoscopia.
Cisti vaginali
Le cisti vaginali sono formazioni benigne di origine congenita o acquisita.
Le cisti congenite traggono origine, principalmente, dall’evoluzione di residui embrionari: in particolare, quelle derivanti dal mesonefro (dotto di Gartner) sono a contenuto sieroso, rivestite da epitelio cuboidale e localizzate prevalentemente a livello della parete vaginale laterale; quelle derivanti dal paramesonefro (dotto di Müller) hanno
contenuto mucinoso e sono rivestite da epitelio cilindrico.
Le cisti acquisite, che sono anche le più comuni, sono da
inclusione epidermale. La loro patogenesi è legata all’inclusione, per disseminazione, nei piani profondi, di un
frammento di mucosa vaginale nel corso della sutura di
una perineotomia o di una lacerazione vaginale da parto,
per cui, in questo caso, la cisti sarà tappezzata da epitelio
squamoso.
Le cisti vaginali possono avere una dimensione variabile
tra 1 e 5 cm. In genere sono asintomatiche, ma talvolta possono essere fonte di dispareunia e, se di dimensioni cospicue, protrudere dal vestibolo o determinare sintomatologia
urinaria di tipo ostruttivo. All’esame pelvico possono essere visibili o solo palpabili attraverso la parete vaginale. So-
Tabella 12.7
no richieste una biopsia e tecniche di imaging per escludere una forma maligna (specie se la massa appare solida) ed
un eventuale coinvolgimento di vescica o uretra. In genere
la cisti rimane stabile per cui è sufficiente un periodico follow-up. Se sintomatiche possono essere asportate chirurgicamente in maniera radicale.
Neoplasie della vagina
CARCINOMA DELLA VAGINA
Il carcinoma primitivo della vagina è raro e rappresenta
l’1-2% di tutte le neoplasie ginecologiche. È caratteristico
dell’età avanzata ed interessa prevalentemente la sestasettima decade di vita. Le lesioni intraepiteliali della vagina
(VaIN) hanno subito negli ultimi anni un significativo aumento di incidenza non corrispondente, peraltro, ad un incremento delle forme invasive. L’eziologia di queste forme
è correlata ad infezioni da HPV e spesso si associa alla contemporanea presenza di neoplasie intraepiteliali in altra sede del tratto genitale femminile (cervice, vulva). Il trattamento non può che essere personalizzato in rapporto all’estensione, alla localizzazione, all’età e alle condizioni generali della paziente; può prevedere quindi escissione o distruzione locale, interventi chirurgici più estesi o brachiterapia.
Le forme invasive insorgono più comunemente nel terzo
superiore della vagina, l’istotipo più frequente è il carcinoma squamoso. La sintomatologia prevalente è rappresentata dal sanguinamento, più raramente da dolore pelvico o da
disturbi di tipo urologico per coinvolgimento della parete
anteriore, tuttavia spesso le pazienti risultano asintomatiche. Lo stadio clinico (Tabella 12.7) è strettamente correlato
all’estensione della neoplasia a livello della mucosa vaginale. Il trattamento chirurgico è limitato alle pazienti in stadio
STADIAZIONE DEL CARCINOMA DELLA VAGINA FIGO/TNM
Stadio
Definizione
TNM
0
Carcinoma in situ
Tis N0 M0
I
Tumore confinato alla parete vaginale
T1 N0 M0
II
Tumore esteso ai tessuti paravaginali ma senza estensione alla parete pelvica
T2 N0 M0
III
Tumore esteso alla parete pelvica
T1-T3 N1 M0
T3 N0 M0
IV
IVA. Il tumore invade la mucosa vescicale o rettale e/o si estende oltre la pelvi
(l’edema bolloso non è sufficiente per classificare il tumore in IV stadio)
IVB. Metastasi a distanza
T4, ogni N, M0
N = linfonodi regionali:
• per i 2/3 superiori della vagina: N1 = metastasi nei linfonodi inguinali monolaterali
• per il terzo inferiore della vagina: N1 = metastasi nei linfonodi inguinali monolaterali
• per il terzo inferiore della vagina N2 = metastasi nei linfonodi inguinali bilaterali
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Ogni T, ogni N, M1
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Patologia della vulva e della vagina
I e II, in casi selezionati e nelle recidive dopo la terapia primaria e consiste in una isterectomia radicale più colpectomia radicale e linfoadenectomia pelvica. Se la neoplasia insorge nel terzo inferiore dalla vagina, il trattamento è simile a quello dei tumori della vulva con una linfoadenectomia
estesa anche ai linfonodi inguinali. La radioterapia (transcutanea ad alta energia e la curieterapia) in questa neoplasia ha un ruolo determinante anche come trattamento primario in quanto, spesso, sono colpite pazienti anziane in
condizioni di salute non ottimali per poter affrontare un intervento chirurgico radicale. Essa assicura un buon controllo locale della malattia e buoni risultati nelle pazienti che
abbiano attività sessuale. L’integrazione chemio-radioterapia sta prendendo piede, anche se l’impatto in termini di
sopravvivenza è da dimostrare e non vi è accordo sullo
schema radio-chemioterapico da adottare.
SARCOMA BOTRIOIDE
Il sarcoma botrioide, variante embrionale del rabdomiosarcoma, è la più comune neoplasia maligna vaginale dell’età
pediatrica presentandosi, in genere, prima degli 8 anni di
età, con un picco verso i 2 anni. Sporadici sono i casi segnalati tra gli adolescenti. In età fertile predilige la cervice,
mentre in postmenopausa il corpo uterino. Si presenta come una massa polipoide sulla parete anteriore vaginale che
si accresce a grappolo d’uva, protrudendo dall’introito.
Grossolanamente lo si può ritrovare in due forme strutturali: solido e multicistico a grappolo d’uva (dal greco botrys,
grappolo). Il sintomo tipico è un sanguinamento vaginale
anomalo, data la sua friabilità. Entra in diagnosi differenziale con forme benigne quali il papilloma, il polipo fibroepiteliale ed il rabdomioma, per cui la diagnosi richiede una
biopsia. Il comportamento biologico è molto aggressivo.
Dopo una iniziale fase di crescita locale, metastatizza ai
linfonodi inguinali, pelvici, retroperitoneali e mediastinici,
come pure ai polmoni, pericardio, fegato, rene e ossa. Mentre in passato l’approccio terapeutico più usato era la exenteratio pelvica (con percentuale di sopravvivenza a 5 anni,
pari al 10-35%) attualmente si preferisce ricorrere ad un
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trattamento più conservativo, pur nel controllo della malattia, che prevede un ciclo di chemioterapia neoadiuvante
(vincristina ed actinomicina D e ciclofosfamide), seguito da
chirurgia conservativa (isterectomia radicale e vaginectomia) o RT (in caso di inoperabilità). La prognosi dipende
dallo stadio clinico: alcuni studi parlano di una sopravvivenza a 3 anni per gli stadi I e II, pari al 66-85%.
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