sulla scena (inedita) con guido morselli - ART

annuncio pubblicitario
SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Area
Letteratura italiana
EX LIBRIS
INTINGI LA MENTE NEGLI INCHIOSTRI ALTRUI
DIRETTORE
NICOLA LONGO
(Roma-Tor Vergata)
Comitato scientifico
Mauricio Santana Diaz (USSP-Brasile)
Patricia Peterle (UFSC-Brasile)
Carmine Chiodo (Roma-Tor Vergata)
Raffaele Giglio (Napoli-Federico II)
Cristiana Lardo (Roma-Tor Vergata)
1
2 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Fabio Pierangeli
SULLA SCENA (INEDITA)
CON
GUIDO MORSELLI
UniversItalia
3
4 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
© Copyright 2012 - UniversItalia – Roma
ISBN 978-88-6507-317-9
A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile
è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con
qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.
SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
5
6 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
In scena con Guido Morselli
(Il trenino di latta)
7
8 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
INTRODUZIONE
9
A cento anni dalla nascita, 15 agosto 1912, e a
quasi quaranta dalla morte, molto deve ancora
venire alla luce delle opere, delle riflessioni, delle pagine giornalistiche, della biografia di quel
grande scrittore, sostanzialmente postumo, che
è Guido Morselli. Le sue carte (alcune delle quali, di carattere strettamente privato, ancora in
possesso degli eredi) vengono conservate al Centro per la Tradizione Manoscritta degli Autori
Moderni
e
Contemporanei,
fondato
all’Università di Pavia da Maria Corti e diretto
attualmente, con particolare attenzione a Morselli, da Maria Antonietta Grignani, a cui va la
mia più sentita gratitudine per aver liberalmente
concesso il lavoro sugli inediti morselliani qui
presentati e commentati, in attesa di una edizione vagliata dagli specialisti filologi di quella importante scuola. Diversi numeri della rivista di
riferimento del Centro, “Autografo”, hanno documentato negli anni il lavoro di archiviazioni,
fornendo, per merito di Elena Borsa e Sara
D’Arienzo un’ampia prospettiva del materiale
ancora non pubblicato1. Anche per la narrativa,
a cui è stato accordato il privilegio della pubblicazione presso Adelphi dal 1974, per la cura di
Valentina Fortichiari2, in avanti, con otto roSi tratta dei numeri di “Autografo”, sempre curati, per
quel che riguarda il Fondo Morselli, dalle bravissime Sara
D’Arienzo e Elena Borsa, 33, ottobre 1996, Tracce di cultura lombarda dell’Ottocento, sulla narrativa e la saggistica, il 37, Ipotesi su Morselli, sul teatro e cinema, e il numero II della Biblioteca di “Autografo”, Guido Morselli. I
percorsi sommersi, con numerose citazioni da inediti sui
vasti campi degli interessi morselliani.
2 Come tutti i lettori di Morselli sanno, a Valentina Fortichiari si devono la cura della opere, delle note ai libri saggistici finora editi, le due fondamentali monogra1
10 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
manzi (incluso quel Brave Borghesi pubblicato
solo nel primo volume della Collana Argo, di cui
il secondo, con i romanzi della maturità, non è
attualmente nei progetti Adelphi) si possono registrare gli abbozzi di due romanzi Uonna e Mia
celeste patria. La pubblicazione del Diario,
sempre per Adelphi, rimane monca di brani giudicati troppo privati, così come la gran parte degli epistolari, anche questi evidentemente di carattere privato, mai venuto alla luce, se non con
le citazioni emerse nei lavori di Valentina Fortichiari. Grazie a Linda Terziroli sono state pubblicate lettere a personaggi vari conservate dallo
scrittore dentro i libri della biblioteca personalecustoditi, per lascito degli eredi, al Fondo Morfie:Valentina Fortichiari, Invito alla lettura di Morselli,
Milano, Mursia, 1984 e Valentina Fortichiari, Guido Morselli. Immagini di una vita, Milano, Rizzoli, 2001. Tra le
prime monografie si rammenta, in particolare, Simona
Costa, Guido Morselli, Firenze, La Nuova Italia, 1981, Lessona Fasano, Guido Morselli. Un inspiegabile caso letterario, Napoli, Liguori, 2003 e l’importante studio di Paola
Villani sugli aspetti filosofico-religiosi, Il “caso” Morselli.
Il registro letterario-filosofico, Napoli, ESI, 1998. Punto
di riferimento resta il convegno di Gavirate, Guido Morselli dieci anni dopo, edito nel 1984 dallo stesso Comune
della casetta rosa, mentre una nuova stagione di studi si
inaugura con le brillanti monografie di Alessandro Gaudio, Morselli antimoderno, Caltanisetta, Sciascia, 2011 e
di Domenico Mezzina, Le ragioni del fobantropo, Bari,
Stilo, 2011. A Gaudio si deve l’importante cura della Morselliana, numero monografico della rivista on line “Rivista
di studi italiani”, n.2, 2009. Sul significato simbolico per
l’ambito culturale del Novecento della prospettiva postuma l’importante volume di Giulio Ferroni, Dopo la fine.
Sulla condizione postuma della letteratura, Torino, Einaudi, 1966 (poi anche con aggiunte l’editore Donzelli,
2010, Dopo la fine. Una lettura possibile). Un profilo di
Morselli, con antologia, da parte di Ferroni in Storia della
letteratura italiana, vol. IV, Torino, Einaudi, 1991.
INTRODUZIONE
11
selli di Varese3. A Pavia, si vedrà nel corso di
questo volume, sono custoditi interessanti epistolari con personalità del mondo cattolico e del
giornalismo.
Sul versante della saggistica religiosa, rimangono inediti i cospicui saggi Filosofia sotto la
tenda e Due vie della mistica, con altri più brevi,
meditati fin dagli anni della Guerra e almeno fino al 1956, anno della più acuta meditazione su
queste tematiche, in quella che la Fortichiari definisce crisi religiosa. Di queste tematiche mi sono occupato in vari articoli apparsi in rivista e
riuniti in Fabio Pierangeli, Incontro con Guido
Morselli, Associazione San Gabriele, Roma,
2003 e in un saggio sul carteggio Morselli-Padre
Mondin in uscita nel numero del dicembre 2012
di “Parole rubate”, rivista di uno tra gli studiosi
più intelligenti di Morselli, Rinaldo Rinaldi.
Altri appunti riprendono questo tema, in particolare Vangelo e peccato e Teologia in crisi, di
cui si sta occupando Paola Villani, con un volume di prossima uscita. Testimonianza della attività giornalistica di Morselli sono i ritagli di
giornale conservati, tra Varese e Pavia, attorno
al migliaio, ma altri sono sicuramente stati dispersi per utilizzi vari in sede creativa e saggistica. Oltre alle testate canoniche, di non poco conto come fonti certe del lavoro dello scrittore, si
segnalano le raccolte della rivista del Touring
Club e della National Geographic.
Il presente volume, dopo un capitolo introduttivo su quelle che ritengo alcune delle principali “icone” morselliane (immagini capaci di richiamare in ambiti assai diversificati temi ricorGuido Morselli, Lettere ritrovate, a cura di Linda Terziroli, Varese, Nuova Editrice Magenta, 2009.
3
12 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
renti, tra cui il trenino di latta dell’inedito “soggetto per un film” È successo a Linzago Brianza) rileva convergenze tra le opere edite e quelle
inedite, servendosi anche dell’ampia documentazione fornita dalle sottolineature autografe di
alcuni libri della biblioteca personale dello scrittore conservata nella Biblioteca civica di Varese.
Incontro con il comunista e il testo teatrale
L’amante di Ilaria (che ne è la continuazione diretta e le cui vicende rifluiscono nel Comunista),
Il comunista e Il secondo amore, a proposito del
finale, Roma senza papa e il soggetto di
un’opera teatrale Cose d’Italia, sul tema dei vizi
degli italiani, tra sarcasmo e amarezza, Dissipatio H.G. e la drammaturgia, solo manoscritta, Il
redentore, tramite le evidenti affinità di due
personaggi protagonisti, Nipic e Karpinsky. Attendo dall’Adelphi, ormai da un anno, una risposta sulla possibilità di pubblicare integralmente la produzione teatrale e, magari, anche le
due sceneggiature citate. Intanto ho dedicato
saggi specifici a tre opere teatrali inedite: Il redentore, Cesare e i pirati, Marx. Rottura verso
l’uomo4, che non mi sembra il caso di riprodurre
qui. Piuttosto mi preme, a vantaggio del lettore,
dare ordinatamente,
Per Il redentore rimando a: Una figura che si presta ad
un’azione simbolica, in Guido Morselli: io, il male e
l’immensità, edizione bilingue Italiano-Portoghese, con
Antonio di Grado e Andrea Santurbano, Rio de Janeiro,
Edizione comunità, 2012, per Cesare e i pirati: Cesare, la
storia, la piccola Afrodite nera, in Guido Morselli, in
Marx. Rottura verso l’uomo, sezione monografica della
rivista “Sincronie”, n. 14, 2004, per il Marx: L’inedito
Marx di Guido Morselli, “E’n guisa d’eco i detti e le parole”. Studi in onore di Giorgio Bárberi Squarotti, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006
4
INTRODUZIONE
13
quanto superficialmente, una ricognizione delle
cinque (o, se si vuole, sei con la brevissima
Tempi liceali) drammaturgie morselliane, rivisitate poi, nei vari capitoli, in ordine sparso, nei
confronti tematici e stilistici che si è detto.
Dedico poi al rapporto con i testi teatrali, partendo dalle annotazioni autografe su alcuni libri
della biblioteca personale, una prima divagazione su di un materiale vastissimo, che merita sicuramente altri interventi di questo tipo.
Di tre opere drammaturgiche si conserva un
ampio materiale documentario, manoscritto e
dattiloscritto, con varie stesure. Su preciso sfondo storico, due riguardano l’ ambiente “marxista”: L’amante di Ilaria ideale prosecuzione del
racconto lungo Incontro con il comunista, e i cui
personaggi rifluiscono in un episodio significativo, un racconto nel racconto all’interno del romanzo Il comunista.
La seconda drammaturgia sul mondo comunista, Marx. Rottura verso l’uomo, del 1968, si situa, distanziandosi cronologicamente dalle altre,
nella stagione della narrativa maggiore.
Altro episodio storico in Cesare e i pirati. Dei
due grandi uomini Marx e Giulio Cesare, si investigano i verisimili retroscena privati taciuti dalla grande storia, le influenze femminili, i patti
che potevano cambiare la storia (altro tema caro
a Morselli, si veda Contro-passato prossimo che
riscrive il finale della Prima Guerra Mondiale)
ma che non sono accaduti. In Cesare, perfino
poeta in quella bella isoletta delle Sporadi meridionali, a sud di Mileto, vince la ragion di Stato,
alla fine, contro i pirati (fatto storico) rappresentati di una società libera, esplicitata dalla ingenua limpidezza della fanciulla Purha, a cui il
condottiero romano aveva giurato amore eterno
14 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
e autonomia per il suo popolo. L’utopia, ben delineata nei tratti tipici della commedia, sfocia nel
sangue, nella ragione sinistra dell’istituzione,
della formalità. In un clima meta teatrale, con
inserti comici, con ritmi a volte troppo lunghi e
insistiti per il teatro, si ritrae Marx nei tempi difficili della giovinezza londinese, fino al tentativo
di accordo con cui Bismarck voleva legarlo a sé,
al fine di renderlo innocuo per la Prussia e propria arma vincente nelle altre nazioni, se la sua
dottrina rivoluzionaria avesse portato lo scompiglio, indebolendo gli Stati avversari.
Suggestiva la figura, avvolta da un alone di
pazzia “santa”, di sacro fuoco altruista, di Ilya
Nipic, nel Redentore, l’opera teatrale del 1956
denominata dall’erede Maria Bruna Bassi (probabilmente non accorgendosi dell’indicazione
autografo del titolo in un’altra pagina) secondo
l’ambientazione e il genere letterario Commedia
senza titolo. Nella Clinica di Oberstadt a Ostfalia, Germania del Sud-est il sett. 38.
Testo in tre atti, arrivato soltanto nella sua
versione manoscritta, fittamente lavorata, fino
alla metà dell’ultimo atto risulta piuttosto chiaro
l’andamento della vicenda, portata dallo scrittore ad una versione si direbbe quasi definitiva
(seconda cartellina conservata a Pavia). Con
molti richiami metateatrali, anticipando l’amato
Dürrenmatt dei Fisici, Nypic, di origine boema,
già con l’aura di santo, (“ha vissuto come un asceta, fin da ragazzo, praticando eroicamente la
carità verso gli uomini. Nella casa paterna ospitava i poveri, e la sua sostanza era spesa per
l’edificazione di un ospizio per i vecchi indigenti”) espone le sue idee umanitarie e religiose, accompagnato da vari segni divini, in un manicomio tedesco, durante il regime nazista. La di-
INTRODUZIONE
15
scussione, a cui sarà chiamato dalle sospettose
autorità cattoliche e protestanti (per una volta
insieme, in modo sinistramente significativo
contro di lui) riguarda il tema scottante di Morselli Unde malum?, con la netta avversione del
protagonista al dogma del peccato originale, sostituito dalla sostanziale non colpa degli uomini
che commettono il male per ragioni esterne alla
loro volontà. Il “santo”, mentre concretamente
aiuta ebrei a fuggire alla persecuzione, auspica,
nei suoi diversi monologhi, una riconciliazione
tra l’uomo e Dio, in cui però sia proprio il Signore, se vuole rimanere tale, a compiere un atto di
vicinanza, quasi di pentimento per aver ammesso il male nel mondo. Dei due possibili finale di
quest’opera, purtroppo incompleta, si parlerà
brevemente nel quinto capitolo.
L’interesse per il teatro di Morselli resta dunque vivo negli anni: L’amante di Ilaria data
1949 ma è concluso nel 1956, Cesare e i pirati,
Cose d’Italia e Il Redentore appartengono agli
anni ’50, il Marx al 1968.
Di Cose d’Italia, 1956, ci è pervenuta soltanto la
stesura narrativa del soggetto di cui si parlerà
nel capitolo specifico, ponendolo in analogia con
Roma senza papa; si tratta di una vivace commedia di costume, denominata non a caso “moralità”, soggetto teatrale, se si vuole dai risvolti
amarissimi sugli italiani, non lontano, nelle conclusioni, dai celebri motti di De Roberto e del
quasi contemporaneo Gattopardo di Tomasi di
Lampedusa, per cui si tratta, in ogni epoca storica, di cambiare tutto per non cambiare nulla.
Non basta infatti a trasformare la mentalità degli italiani il cambiamento repentino di Benito
Mussolini, dal regime autoritario alla Repubblica: il nuovo capo del governo democratico (del
16 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
resto succube in queste decisione di due donne,
dagli obiettivi opposti) cadrà miseramente, per
aver osato, dopo tanti benefici, caduto nella
trappola dei viscidi inglesi, di eliminare il totocalcio e le case di tolleranza!!! (analoghi brani
sarcastici sui vizi degli italiani si ritrovano successivamente nel romanzo Roma senza papa).
Non tanto quindi il compiacimento di “cambiare
la storia” quanto la constatazione della reiterazione di certi vizi atavici. A leggerla oggi, rivela
la capacità profetica e mimetica del genio segreto, ancora, in buona parte, da scoprire, ma sui
cui è rifiorito, negli ultimi anni, un vivo interesse, in particolare di giovani studiosi, come appunto la Terziroli, Alessandro Gaudio, Domenico Mezzina, Andrea Santurbano, accanto agli
studiosi “storici” e fedeli dell’autore e alla costituzione, intorno a Silvio Raffo, alla Terziroli, alla
nipote dello scrittore, la signora Loredana Visconti, dell’Associazione Piccola Fenice per la
divulgazione delle opere morselliane e il Premio
Morselli a Varese.
Rivedute, corrette e “sottoscritte”, inviate per
un eventuale utilizzo tra cinema e teatro, due
straordinarie sceneggiature, a mio avviso, dentro il linguaggio tecnico scelto, da porre insieme
ai capolavori morselliani. Il secondo amore, del
1950 e È successo a Linzago Brianza del 19701971. Se il primo si inserisce nell’atmosfera di
una città d’arte, Vicenza, in tematiche e stili
prettamente morselliani, con un finale riproposto, in altra chiave, ma con forti similitudini nel
Comunista (si veda il capitolo Aerei), il secondo,
della piena maturità, mi sembra rivelare un “altro” Morselli, capace di raccontare una storia
dell’hinterland milanese. Del Secondo amore si
riparlerà nel terzo capitolo. Nel “soggetto per un
INTRODUZIONE
17
film” È successo a Linzago Brianza5 (diviso in
due parti: A, trenta scene e B, ventiquattro scene), ritroviamo, a soli due anni dalla morte dello
scrittore, alcuni dei temi caratterizzanti
dell’intero itinerario di Guido Morselli:
l’iterazione del nome Walter; la possibilità o il
dovere di scegliere, all’inizio dell’azione, tra due
donne dai caratteri opposti, Vanda e Raffaella
(la scelta cade sulla più fragile, la prima!); la durezza del lavoro, che qui si incrocia con la sofferenza della malattia fisica e morale, della nevrosi, presunta o reale della protagonista, con lo
spettro dei farmaci eccitanti e delle droghe;
l’impossibilità di realizzare i propri desideri, noI materiali relativi al soggetto per un film È successo a
Linzago Brianza sono depositati, come le altre carte morselliane, al Fondo Guido Morselli del Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia, attualmente diretto da Maria Antonietta Grignani, per volontà degli attuali eredi dello scrittore, in particolare la signora Loredana Visconti. A
loro indirizzo di cuore la mia gratitudine. Si possiede una
stesura manoscritta, conservata in un ritaglio di giornale
da “La Prealpina” del 3 gennaio del 1971. Si tratta di un
lungo articolo che riferisce delle attività della Compagnia
dei Rabdomanti di Angelo Gaudenzi, sorta nel 1953. Il
manoscritto (LB1.1 secondo la numerazione del fondo) reca la data tra parentesi quadra S. T, 7-12-70 e in calce 3-171 m3. La cartellina che li custodiva era presumibilmente
stata usata in precedenza per altri lavori. La scritta in alto
riporta il titolo del romanzo Contro-passato prossimo,
biffato, come il titolo o sottotitolo Il trenino di latta. Nel
frontespizio del dattiloscritto, 33 fogli, solo recto, è indicato “È successo a Linzago Brianza. Soggetto per un film”.
Si possiede una ulteriore copia, con lievi correzioni manoscritte. Per la descrizione del materiale si rimanda a Elena
Borsa, Il fondo Guido Morselli: materiale inedito, in Ipotesi su Morselli, Autografo, n.37, 1998, p.121.
5
18 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
nostante l’impegno e la volontà di cambiamento:
la felicità è un lusso, parafrasando, negativamente, un titolo memorabile del saggio breve
più importante di Morselli. Lo scrittore, nella
sua riconosciuta abilità camaleontica, si confronta, con risultati estremamente positivi, con
un soggetto che solo la miopia dell’editoria italiana lascia ancora inedito. Sperimenta un terreno insolito, quello delle classi popolari attirate
da una prospettiva illusoria di agiatezza, in un
ambito storico legato alla attualità italiana. In
un titolo o sottotitolo non utilizzato, evocativo, Il
trenino di latta, si oggettivizza quel desiderio attraverso una immagine all pervading che richiama una passione biografica ben conosciuta
dai lettori di Morselli. Tale immagine si dilata,
per rimanere lo sfondo metonimico e metaforico
da cui deriva la sostanziale unità degli intenti e
delle azioni di questo inedito soggetto per film.
Per rispettare i necessari limiti di spazio di un
saggio in rivista, darò solo conto, in questo contesto, dello svolgersi della trama, con qualche
breve notazione.
Nelle prime battute si presenta Walter, impiegato alle ferrovie nella modesta posizione di addetto agli scambi, deviatore in una piccola stazioncina delle mitiche Ferrovie Nord, Linzago. Il ragazzo aspira al concorso di aiuto macchinista e
intanto continua, come nell’infanzia, a collezionare trenini.
L’ambiente della periferia milanese, le stesse
Ferrovie Nord, ci riportano a episodi del neorealismo, in particolare ai racconti di Giovanni Testori, compresi nel ciclo dei Segreti di Milano, al
film di Visconti tratto da quelle narrazioni, Roc-
INTRODUZIONE
19
co e i suoi fratelli. Se molto diversa risulta, rispetto a queste pagine morselliane, la durezza
corporale e la violenza di alcune situazioni, il carattere dei personaggi, l’ombra delle droghe e
della malavita, scendono a rendere tragico il destino del protagonista, animato da sentimenti
positivi, rafforzati, almeno all’inizio, da una fede
sincera.
L’alienazione da lavoro colpisce duramente la
coprotagonista della sceneggiatura, Vanda, che
lavora in fabbrica e fa uso di medicinali eccitanti, il NERVIVAL. Bella, ma fragile e vanesia, la
ragazza, fin dal nome, quello stesso della mitica
Osiris, sembra uscita dai racconti di Testori. La
dipendenza dagli eccitanti è all’origine favorita
dallo stesso padrone della fabbrica, in un intreccio tra fatica del lavoro e nevrosi che desta
l’interesse di Morselli.
Nel dialogo delle brevissime scene II e III, Morselli mette in grado il lettore di capire
l’orientamento della ragazza, rispetto alla più solida Raffaella. Tra le due compagne di lavoro in
fabbrica, Walter sceglie Vanda, ricevendone se
non amore, la scontrosa gratitudine per la devozione, nel miraggio di un matrimonio che la
renda indipendente dal padre e, in fin dei conti,
anche dal futuro marito, ben ponderata l’ indole
sottomessa e docile del ragazzo che va a sposare
(non prima di aver fissato i paletti per una convivenza non soffocante).
2 - L’interno della Tessitura. Dai telai in moto, il solito fracasso indiavolato. Vanda “stacca”, si rivolge all’operaia che
20 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
è in testa al suo telaio, le dice che non si sente bene. Non
riprende il suo posto, dove la sostituisce la Raffaella che
così deve fare doppio lavoro. Interviene la capo-reparto:
Vanda accusa un forte male di capo. “Sei nei tuoi giorni?”
“No, ma sto male lo stesso”.
La donna le porta una compressa, lei la manda giù subito,
poi torna al telaio
3 - L’intervallo della mensa, in Tessitura. La Raffaella osserva, all’amica: “Ne prendi troppe di quelle pillole”. Vanda: “A me non mi fanno male, anzi, mi levano il mal di testa e non mi fanno sentire tanto il rumore”. L’altra dissaprova: “Lo so, è per questo che i padroni ce le danno a gratis. Ma dopo è peggio. E tu ormai non puoi più farne a
meno”. “Pensa agli affari tuoi”, ribatte Vanda. “Pensa al
tuo Walter che ti piace tanto”.
Il dato sociologico si presenta perfettamente
realistico, in quel contesto, nella fiorente industria tessile del Lario, in una dimensione mediopiccola della provincia con le sue contraddizioni.
La linea demarcata dal passaggio a livello divide, fisicamente, il mondo di Vanda dalla passione di Walter per i treni. Appena varcata la soglia
della nuova casa, Vanda detta gli articoli di legge
da rispettare nel modo più assoluto per la loro
convivenza. Il padre di lei deve essere mandato
nella Casa di riposo. Non desidera, per ora, figli,
e soprattutto deve essere lasciata libera con i
medicinali. A chiudere il dialogo, scena 14, ecco
oggettivarsi l’ambito metaforico legato al trenino
di latta: ha la strada segnata, dopo un breve corsa si rovescia:
Vanda, interrompendolo:
- Io ho bisogno i miei prodotti speciali, e questa è
una cosa che tu non te ne devi occupare. Allora sì!
INTRODUZIONE
21
vado bene se devo ricominciare come con mio papà.
- Cosa è ‘sto discorso.
- È che tu pensi ai fatti tuoi e io ai miei. (Cambiando tono:) Mobili, verniciature, roba di casa, lì sei
padrone. Fa’ quello che a te ti piace, che io ci sto
sempre. (Indicando una scatola di cartone posata
sul davanzale di una finestra, unico oggetto visibile nel locale vuoto) Cos’hai dentro lì?
- Un trenino.
- Ah già, tu sei quello dei trenini.
Walter apre la scatola:
- Questo è quello che mi è più caro di tutti. E’ il
primo che ho avuto. E’ a molla, funziona ancora.
(Dispone i binari a formare un piccolo cerchio sul
pavimento, e il trenino a molla si mette a correre
intorno, finché dopo un momento deraglia e si rovescia).
L’attraversamento dei binari sembra impossibile, se non attraverso un “accidente” che sposta
decisamente l’ago del destino verso la registrazione cronachista, neutra e fredda del titolo: il
decadimento fisico e mentale della ragazza è inesorabile, con il suo cadere nelle maglie della
piccola malavita per procurarsi le pillole. Walter,
quasi subito nello sviluppo temporale del soggetto, che non prevede flashback, resta vittima
di un incidente sui binari. Diventato zoppo, deve
completamente rivedere i suoi desideri per adeguarsi alla condizione di menomato. I sogni
d’infanzia e adolescenza legati al trenino di latta
si infrangono contro un muro: succede a Linzago Brianza!
Deve adattarsi
a diventare sacrestano
dell’ospedale dove era in cura dopo l’incidente:
22 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
da buon cristiano, dopo una primo accenno di
disperata ribellione, accetta la sua condizione
ben diversa dal lavoro così fortemente desiderato di capo macchinista. Sposa Vanda e umilmente ne sopporta l’inquieta instabilità, fin quando
il dolore per la sorte della donna si fa insostenibile e la sua fede religiosa crolla. Sia pur in contesti e in vicende eterogenee, le due sceneggiature (questa e Il Secondo amore, di quasi
vent’anni precedente) ribadiscono la negazione
della felicità, l’impossibilità a realizzare i propri
sogni, dall’amore al lavoro. Abbandonando la tipica atmosfera borghese o intellettuale della
stragrande maggioranza delle opere creative,
Morselli ritrae personaggi popolari della periferia, sospesi tra campagna (valori ormai persi in
Vanda, strenuamente difesi in Walter, ma destinati alla sconfitta) e città tentacolare, regno del
vizio e dell’illusione.
Se il sogno di diventare macchinista non si avvera, il modellino della locomotiva in mano a Vanda diventa lo strumento per un altro vizio, quello delle scommesse legate al gioco del calcio
(come nel romanzo Roma senza papa e nella
pièce teatrale, inedita, Cose d’Italia, protagonista un Mussolini convertito alla democrazia per
volere delle sue amanti). A secondo su quale casella (1, X, 2), terminata la carica, il vecchio modellino si ferma, la ragazza appone i segni sulla
schedina. Sembra, con quella emblematica trovata, attirare la fortuna: ottiene una discreta
vincita che, tuttavia, ha l’effetto di condurla, alimentando l’illusione di benessere, con più de-
INTRODUZIONE
23
cisione nella strada già intrapresa della dipendenza dagli eccitanti. Sarà un esercizio progressivamente più drammatico, l’immagine stridente
tra il desiderio di vita e di identità espresso nei
sogni (il trenino di latta) e la dura realtà, segnata
dall’inadattamento della ragazza, facile posa della debolezza per far ricadere ogni fatica sul povero Walter. L’ambiguità del comportamento
della ragazza non si scioglie fino alla fine: è vittima del sistema e insieme furba, disonesta, o,
perlomeno, superficiale profittatrice. Proprio le
scene in cui si tenta di ammaestrare la fortuna
affidandosi alle traiettorie casuali del trenino,
evidenziano le contraddizioni della ragazza. Alla
fine di uno di questi esercizi, (scena quarta della
seconda parte, notevolissimo brano di prosa,
ben oltre la semplice costruzione di un soggetto)
Vanda grida di volere uccidersi, ma poi facilmente, con allegria, mentre Walter è allo stremo
(nella quinta scena, da considerare specchio rovesciato della precedente, il “bravo ragazzo” cerca conforto nel cappellano dell’ospedale che gli
ripete solo formule astratte), si lascia trascinare
da Vincenzo, un piccolo, spavaldo, contrabbandiere. Alla fine della prima parte, scena trenta,
dopo aver spiegato a Walter il meccanismo con
cui tenta la fortuna e, alle accuse di lui di non
riuscire a disintossicarsi, risponde di essere una
vittima: “Sono ammalata e non potevo lavorare”.
È potenzialmente figlia della società dei consumi
e del benessere, protende il suo sguardo verso la
città, Milano, dove infatti, in auto, per procurarsi le pillole, viene accompagnata da Vincenzo,
24 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
dopo aver perso il lavoro perché sorpresa a rubare gli eccitanti. Come sacrestano, Walter vive
esperienze di attivismo cattolico, di carità, e nello stesso tempo deve affrontare, tra scoraggiamenti e nuove trovate, la acuta sofferenza per
l’evolversi della situazione di Vanda. La sua, a
livello popolare, è pur sempre una dura crisi religiosa: la ragazza, invece di recepire i suoi continui gesti di attenzione, di carità, lo deride. Più
aumenta lo spirito di sacrificio e l’altruismo di
Walter, più la ragazza, capricciosa e a tratti bisbetica, sembra provar gusto a indirizzarsi verso
una vita superficiale, priva di valori.
Il passaggio a livello che divide i due giovani
coniugi viene alzato anche attraverso il dialetto:
per Walter riporta alle sane origini della campagna, per Vanda è un linguaggio ridicolo, da usare in modo ironico o, tutt’al più, per battibecchi
personali. La ragazza preferisce ascoltare la televisione (dal linguaggio omologante) mentre
Walter aggiusta, manualmente, con cura, i suoi
trenini. Così la malattia: Vanda la esibisce a piacimento per giustificare al marito la necessità
delle pillole.
Walter, dopo sofferta meditazione, decide di assecondare la moglie: le procura, tramite un medico amico, le pillole.
Siamo ormai in un territorio ideologico di piena
scristianizzazione. Morselli rimane acuto osservatore del fenomeno che doveva trovare sviluppo definitivo, tra vita pratica e storia del pensiero, nelle pagine di Teologia in crisi, in cui lo
scrittore auspica una maggiore vicinanza dei
INTRODUZIONE
25
teologi alla gente comune, interpretando così
anche lo spirito del Concilio Ecumenico. Ne è in
bilico la ragione stessa della vita, proprio rispetto al fatto stesso di concepirla. Walter vuole dei
figli. Vanda esige, preventivamente, prima di
sposarlo, la clausola di non averli prima di due
anni e snocciola senza vergogna al futuro marito
le litanie delle sue libertà, alle quali non rinuncia. Dal matrimonio d’amore si torna, nella società ormai omologata al consumismo, all’ideale
dell’assenza di fatica come obiettivo primario,
alla stipula di un contratto, a parti invertite: qui
è la donna a essere la più forte, capace anche di
giocare con il suo corpo, sia per non rimanere
incinta, sia per asservire l’uomo.
Si fa sentire la voce della televisione, Mike Bongiorno e i suoi quiz sono altro oggetto dei sogni,
nella incomunicabilità di fondo tra Vanda e Walter. Sono inserti realistici, notazioni di costume
sui vertiginosi cambiamenti della società italiana
di quegli anni, sul problema degli stupefacenti,
con la corrosiva descrizione del medico chiamato a intervenire. Morselli si dimostra ben cosciente del problema delle droghe a livello sociale, stigmatizzando, negativamente chi ci specula,
nella figura dell’ipocrita farmacista a cui Vanda
si rivolge con piglio deciso e ricattatorio. Le divergenze etiche tra moglie e marito esplodono
quando Vanda resta incinta: poteva essere la risoluzione positiva all’indolenza e alla fragilità
della donna, che invece non smette di far uso di
stupefacenti. Walter, duramente ammonito anche dalla madre, deve accorgersi della triste re-
26 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
altà. In un soggetto per un film, dove si riconosce la penna di un grande scrittore piuttosto che
di un esperto di sceneggiatura, Morselli inventa
un passaggio straordinariamente cinematografico. Immagina il suo Walter, fuori campo, assistere di seguito, in brevi sequenze martellanti, al
rifiuto dei personaggi secondari del dramma ad
aiutarlo nel tentativo di raddrizzare la depressione di Vanda. La ragazza viene descritta alla
fine della scena in questione, immobile, con gli
occhi dilatati, ancora una volta davanti al trenino di latta. Ci sono proprio tutti a dire di no alla
buona volontà, sempre più disperata di Walter:
medici, professori dall’insuperbito talento televisivo, la madre, il cappellano, la stessa Raffaella:
12 – Il Professore, in camice bianco. (In Ospedale, in piedi
davanti alla porta con la scritta: “PRIMARIO”). (Walter,
fuori campo, non si vede).
- No, amico, non abbiamo sanitari specializzati nella dissuefazione da psichedelici, allucinogeni o
stupefacenti in genere. A mio sommesso avviso,
comunque, bisogna puntare sull’environment
emotivo. Intendo nel clima psicologico in cui vive
il soggetto. In quanto alla gravidanza: anche se è
la prima, non credo possa giovare alla dissuefazione, al ricupero… Lei mi segue?
- E è logico. La gravidanza è meramente un fatto
della sfera fisiologica. L’abuso di stupefacenti appartiene alla sfera psichica, affettiva, volitiva. Lei
mi segue? Non può influire! A mio sommesso avviso.
INTRODUZIONE
27
Don Piero, in talare. In piedi davanti alla porta su cui si
legge. “ALLOGGIO DEL CAPPELLANO”. (Walter, fuori
campo, c.s)
- Ti te set ‘na testa de sass. Dura cervice. Tu dovevi
essere uno sposo missionario. Chiaro? Cosa conta
se aspetta un figlio? Anche la mia gatta la fa figli.
La coscienza religiosa del bene e del male, ci voleva. “Salvabitur mulier infideli per virum fidelem”.
E tu? In che modo hai catechizzato tua moglie? Te
‘l disaria mi, in che modo. E sei inserviente dei
misteri liturgici!
La Raffaella (la compagna di lavoro della Vanda). In abito
festivo, sui gradini della palazzina che ospita il “Cinematografo Elvezia”. (a Walter, invisibile, c.s.)
- Guardalo qui il Walter, che si ricorda di me! Perché è nei pasticci. No caro mio, io alla Vanda non
ci parlo nemmeno più. Dovrei invitarla, prenderla
con me? Ma caro Walter, io lavoro, sono mica una
viziosa. E alla festa, cerco di passarmela un po’, le
balorde nevrasteniche o giù di lì, come la Vanda,
sono mica divertenti, sai. Salve, ti saluto! Vieni
anche te a vedere il western, se vuoi!
La radiolina tascabile, posata su un banco in fondo alla
cappella dell’Ospedale (accanto al banco, una scopa e la
pattumiera). (Walter invisibile, c.s.)
- Radio della Svizzera italiana, stazione di Lugano.
Trasmettiamo la rubrica “Consultorio Coniugale,
conversazioni con le giovani coppie”.
- Amici, oggi ci sono tre letterine, tutte interessanti!
Vediamo un poco, ecco ce n’è una firmata “Carta
d’identità N° 00155.27”. Ci spiace di dover deludere lo sconfortato “marito lombardo”, che ci interpella. No, ancora non esistono prodotti farmaceutici, medicinali, utili per combattere la tendenza alla droga … Così, purtroppo, ci assicura il nostro consulente specializzato. E noi diciamo al
giovane marito lombardo: vuol bene a sua moglie?
Le dia dell’affetto, autentico affetto. Vedrà che sua
moglie non avrà più bisogno di cercare evasioni
28 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
proibite. Passiamo alla letterina seguente: Cesira,
da Mendrisio, scrive: Mi potete consigliare un
fornello a gas che sia sicuro anche se il latte si versa e la fiamma si spegne? Qui diamo risposta affermativa …
A ognuno di questi episodi segue un breve “flashback”,
sempre lo stesso per quattro volte: l’immagine (fissa, un
fotogramma isolato) della stanza in casa dei Marchiroli:
Vanda con la testa sulla tavola, immobile, gli occhi dilatati
e senza espressione, accanto al piccolo treno di latta, fermo sul cerchio dei binari. La scena descritta dalla madre
di Walter nel suo racconto al figlio, sequenza 10.
Lasciato solo da persone incapaci di uscire
dall’abito angusto della propria professione per
andare incontro a un’umanità ferita e bisognosa,
Walter, sull’orlo della disperazione, tenta un azzardo, ottenendo solo l’ira della moglie. Il padrone della fabbrica è stato severamente punito
dalla sorte: la moglie ha partorito due gemelli,
l’uno è morto immediatamente, l’altro è una
specie di mostriciattolo deformato. La causa è la
medesima della malattia di Vanda: aveva permesso alla moglie di assumere sostanze stupefacenti. Walter, con una scusa, atterrito dall’idea
che suo figlio possa avere gli stessi disturbi, avuto di nuovo le prove che Vanda non smette di assumere droghe, la porta a vederlo, dentro
l’incubatrice dell’ospedale. La donna, davanti a
quello spettacolo di deformità, finalmente scossa, accusa il destino e soprattutto proprio lui, il
suo ex Principale, della condizione da cui è segnata per sempre.
INTRODUZIONE
29
L’episodio non calcifica però l’affetto tra i due
coniugi. La rabbia e la fragilità di Vanda hanno
di nuovo la meglio.
La fine incombe, Walter le ha tentate tutte. Il
volto della ragazza rimane incorniciato da luci e
da ombre: la sua invettiva non è priva di fondamento, così come l’accusa alla madre di Walter e
ai responsabili della fabbrica di non averla aiutata, di considerarla alla stregua di una strega.
Non possiede un briciolo di forza di volontà per
sostenere una qualsiasi protesta per una condizione lavorativa più equa, trascinata dal miraggio di una vita agiata. Proprio nella scena finale,
mentre Walter, esausto, corre al suo destino,
come nulla fosse, intascando i soldi lasciati dal
marito (“Dà fuori di matto, il mio Walter”), se ne
torna allegra a Milano, con Vincenzo. I due binari corrono definitivamente per strade opposte.
Walter, con il fermo proposito di farla finita,
torna, come nelle prime scene, alla stazioncina,
all’alba e incontra l’amico e sindacalista Salvatore. Aspetto il 137, dice al vecchio collega, che poi
però lo vede incamminarsi non dalla parte della
banchina, ma da quella opposta. La frase doveva
essere interpretata alla lettera, dentro una amara ironia. La sagoma del treno “si precisa, ingrandisce”. Morselli non racconta l’impatto tra
quel treno in corsa e il povero corpo di Walter.
Preferisce racchiudere questa morte nel gesto
del segno della croce, rapido.
Ha un senso tutto questo?
Quello che arriva non è un trenino di latta, né
Walter può fermarlo da capostazione. I suoi so-
30 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
gni di macchinista si sono ben presto interrotti.
Come profetizzato da Vanda, la morte è l’eco di
un fatto di cronaca riportato sul quotidiano della
infima provincia: “È successo a Linzago Brianza”. A questa neutra registrazione, Morselli attinge per il titolo del suo soggetto per un film,
non utilizzando a tale scopo quell’immagine all
pervanding, nel bene e nel male, il trenino di
latta, correlativo oggettivo della felicità negata
nonostante il lodevole impegno e la buona volontà, quella di tanti personaggi morselliani come del loro autore: consapevolmente o inconsapevolmente si sentono privi di cinismo e cattiveria, bersagliati, ingiustamente, dal destino.
Nei due anni in cui, per motivi cronologici, ricordiamo lo “splendido” scrittore postumo, la rivista “In limine” che dirigo insieme all’amico
Roberto Mosena, si pregia di accogliere i contributi dei più fedeli e anche dei nuovi cultori di
Guido Morselli, lasciando “aperto” il numero,
anche grazie al suo carattere elettronico digitale,
da questo momento fino, almeno, al dicembre
2013. Iniziativa pensata da Roberto Mosena e
dal sottoscritto, a cui con passione ha prestato la
sua cura Alessandro Gaudio, per onorare dunque i cento anni dalla nascita, Bologna, 1912 e i
quaranta dalla morte, Varese, 1973, a cui invitiamo a partecipare tutti i lettori di questo volume, nella forma che riterranno più consona.
In una suggestiva commistione di comunicazione tramite la rete (che credo, eliminati i caratteri omologanti, sarebbe piaciuta a Morselli
per quegli aspetti di libertà di espressione e comunicazione rapida) e di memoria cartacea, le-
INTRODUZIONE
31
gata alla doverosa passione filologica verso un
autore che (ha ricordato Maria Antonietta Grignani) non può ribattere o ribadire o verificare
le scelte editoriali; la minuziosa, dilettantesca,
cultura onnivora documentata, nella scrittura
minuta, puntigliosa, nelle migliaia di pagine, di
ritagli, di glosse, di appunti sparsi su qualsiasi
tipo di carta, resa fragile, ingiallita, dal tempo e
questa risorsa in grado di ricordarlo attraverso
neutri monitor, da cui però si cerca di ricostruire
interamente la sua condizione, anche molto sofferta, di “riepilogo” degli uomini, culminata in
quella feroce responsabilità di sentirsi eletto o
condannato, nella personale dissipatio, di fronte
ad un mondo che non aveva voglia di ascoltare le
sue domande radicali, la sua pignola insistenza
per avere risposte non astratte sulle questioni
ultime: il senso della vita, del lavoro, del male,
della degenerazione delle ideologie e delle religioni, perfino della componente sacra e assoluta
dell’amore (sensuale e caritatevole insieme),
nelle beghe degli egoismi e della cattiveria umana, piccola e grande. Una forma utopica a volte
quasi ingenua e fanciullesca, ovvero la forma di
una intelligenza sensibile fuori standard, pericolosa per la rassegnata vita quotidiana di tutti, chi
più chi meno.
Il fervore degli studi recenti viene documentata anche dal numero monografico della rivista
“Studium” sugli aspetti religiosi6 (in uscita a setSu queste tematiche, in particolare di veda Valentina
Fortichiari, Guido Morselli. Immagini di una vita, cit.,
Francesco D’Episcopo, L’eresia del sentimento. Guido
Morselli: i saggi critici, Osciana, Pomigliano D’Arco, Osciana, 1998; Paola Villani, Il caso Morselli. Il registro letterario filosofico, cit e tra i saggi Carmine Di Biase, Guido
Morselli e il mistero del male, “Studium”, 2, 1978; Maria
6
32 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
tembre-ottobre 2012, con testimonianze e interventi di Tiziana Mainoli, che si avrà occasione di
citare nel prossimo capitolo, Linda Terziroli, Dino Azzalin, Plinio Perilli, Andrea Santurbano),
dal libro bilingue, italiano-portoghese, a tre voci,
Antonio Di Grado, Andrea Santurbano e il sottoscritto, del numero monografico dell’inserto
“Mosaico italiano” della rivista di Rio de Janeiro, “Comunità italiana”, presente nelle università e negli Istituti di Cultura di tutto il Brasile,
dalla intensa partecipazione ai Convegni del
Premio Morselli a Varese che nel 2012 ha raggiunto un livello internazionale e ha convocato
personalità di spicco acquisite agli studi morselliani, come i filosofi Fabio Minazzi e Giulio Giorello, con la partecipazione di Giorgio Pinotti di
Adelphi e Maria Antonietta Grignani; ha anche
prodotto un riconoscimento significativo, grazie
a Rinaldo Rinaldi, l’inserimento di Guido Morselli nel ruolo che gli spetta, ovvero tra i narratori italiani più importanti del secolo. Il profilo aPanetta, Da Fede e critica a Dissipatio H.G.: Morselli, il
solipsismo e il peccato della superbia, in “Rivista di Studi
italiani”, XXVII, 2, 2009,nel numero interamente dedicato a Morselli, a cura di Alessandro Gaudio; della stessa
Panetta, in uscita nel numero monografico di “In LimineGuido Morselli”, un ulteriore approfondimento di Fede e
critica in Morselli e Manzoni. Note a margine sulla morale cattolica; Rosa Maria Monastra, L’apocalisse ilarotragica di Guido Morselli, in AA. VV., Questo mondo, il
male, l’apocalisse, Catania, Città aperta, 2011. Paola Villani prepara una edizione commentata di Teologia in crisi,
in uscita il prossimo anno. Mi permetto di segnalare anche
il mio volume, quasi orgogliosamente semiclandestino, in
omaggio alla memoria di Morselli, Incontro con Guido
Morselli, Roma, Associazione San Gabriele, 2003. Una bibliografia completa nel volume monografico di Domenico
Mezzina, Le ragioni del fobantropo, cit.
INTRODUZIONE
33
cutissimo di Rinaldi figura infatti nel prestigioso
cofanetto in due volumi a cura di Rocco Morano,
Narratori del Novecento, Soveria Mannelli,
Rubbettino editore, 2012, insieme a Svevo, Moravia, Gadda, Calvino, Pasolini, Carlo Levi e pochi altri. In attesa delle decisioni sulla linea editoriale riguardo Morselli della Adelphi, la novità
più interessante resta il prezioso volume Guido
Morselli, Una rivolta e altri scritti (1932-1966),
Bietti, 2012, per la cura intelligente e appassionata di Alessandro Gaudio e Linda Terziroli che
raccoglie i brani “giornalistici” editi e dispersi su
varie testate, in alcuni casi vere e proprie narrazioni autonome. Conferma ulteriore, ma anche
sorprendente, di un talento raffinato, poliedrico,
capace di investire della sua sensibilità particolarissima aspetti della realtà dall’alto e dal basso,
senza una scala di valori precostituita.
Nell’editoriale del numero monografico “aperto” di “In limine” citavo alcune espressioni
dai ritagli di giornale conservati da Morselli e
ora, ben divisi per testate in apposite cartelline,
reperibile al Fondo Manoscritti di Pavia: una
specie di ritratto per interposta persona, come
nel caso di questa espressione di Carlo Bo, attribuita a Soldati per la pubblicazione del romanzo
Le due città, (“Corriere della sera”, del 6 dicembre 1964) che lo scrittore sottolinea:
Il rifiuto completo di quelle che sono le ragioni
della moda. L’unico modo di essere autentico era
proprio questo di non venir meno alle regole della
sua educazione letteraria a costo di apparire ingenuo […] Uno scrittore che corre incontro a degli
uomini in carne e ossa è uno spettacolo raro.
34 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Il 17 dicembre 1967, nell’articolo di Giovanni
Grazzini, Farfalle nella notte, (sintesi autografa
a penna: “Contro il prevalere della saggistica
sulla narrazione”), quando il noto articolista e
critico cinematografico si intrattiene sulla solitudine degli artisti, tema particolarmente sentito, Morselli sottolinea: “L’artista si integra spontaneamente nel mondo, senza bisogno di partecipare ai cocktails”. È un equivoco, aggiunge
Grazzini, farsi mondano per capire il mondo.
Sottolinea e indica ulteriormente con una freccia
Morselli: “Quando invece la letteratura è cognizione della realtà attraverso una esperienza individuale pagata spesso con dolore e fatica”. Non
serve credo commento: la parola dell’altro è efficacissima per descrivere, con intensità, lo “strano caso” Morselli.
Martedì 14 aprile, con un appunto a matita sotto
il titolo, Morselli definisce “ottimo” l’articolo di
Virgilio Lilli Cultura di moda. Trova una sponda
giornalistica tra le più autorevoli per una sua
convinzione, portata avanti negli anni e mai
smentita: il dilettantismo contro l’eccessivo specialismo, l’intelligenza, come qui Lilli, contro
una cultura “eccessivamente aggiornata” e alla
fine sovraccaricante, dove alla massa di informazioni acquisite non corrisponde un vero acume gnoseologico. Morselli sottolinea due passaggi inerenti alla narrazione, ma dunque la sua
approvazione sembra incondizionata. Leggiamo
l’icastico incipit di Lilli:
Mi piace l’intelligenza autonoma. Autonoma anche
dall’attualità della cultura. Mi piace l’intelligenza
perfino svincolata dall’informazione. Mi danno fastidio le intelligenze nelle quali il primo ruolo è assegnato all’aggiornamento. La presenza troppo affiorante della cultura eccessivamente aggiornata
INTRODUZIONE
35
toglie al talento l’attributo universale, lo trasferisce (e lo riduce) al particolare.
Quello che può sembrare un paradosso per un
giornalista, opinionista, reporter di grande valore, si spiega più avanti: se la cultura non può
stare senza intelligenza, può accadere viceversa.
La cultura deve essere lo sfondo su cui emerge la
limpidezza e l’intelligenza del giudizio. Più avanti, si legge: “il nostro secolo, ricchissimo di informazioni ovviamente nuove, ha un umanesimo più pregno di aggiornamenti culturali che di
intelligenza”. Il riflesso, tocca da vicino Morselli,
è nell’arte, in fin dei conti colta, “ma non illuminante nel senso costruttivo”. La moda culturale
soffoca l’originalità delle espressioni. Ecco le righe sottolineate da Morselli, nel punto in cui Lilli passa dall’arte figurativa ad altri generi, tra cui
la narrativa, i quali: “si risolvono anch’essi nella
mera adesione alla cultura di moda e ai suoi
standard”.
Ancora, sottolineato con una riga sul margine
destro: “Scrittori anche eccellenti hanno rinunciato all’intelligenza come osservatorio individuale, per non ‘essere tagliati fuori dalla storia’ e
cioè per il timore di non essere ‘culturalmente’
up date” 7.
Probabilmente poteva piacere a Morselli anche la staffilata finale contro le due ideologie preponderanti in quegli
anni, secondo la visione di Lilli, cattolicesimo e marxismo
che, pur non rinunciando al dogma, poggiano quasi esclusivamente sulle ragioni alla moda, ravvicinandone le opposte concezione. Lilli conclude “La forza della ‘cultura’
marxista è pari oggi solo alla forza della ‘cultura’ cattolica:
i due fideismi più aggiornati. La ragione – che è poi
l’intelligenza nella sua accezione unica, laica, senza tempo,
al di fuori degli involucri culturali d’attualità – sta divenendo, in tali condizioni, un pessimo affare”.
7
36 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Una pagina del Diario, giustamente ripresa più
volte dagli studiosi e dagli appassionati di Morselli (una frase del brano rimane lo slogan dei
depliant dell’anno centenario delle manifestazioni del Premio Morselli) aveva dieci anni prima, definito la vera cultura, distinguendola dalla
erudizione
(il rovescio
della
medaglia
dell’aggiornamento culturale senza intelligenza)
Ricordarla mi sembra il modo migliore per rimanere sulla scena accanto a Guido Morselli, sia
pur a sipario chiuso, ascoltando le sue parole, la
sua testimonianza, umanamente, per me (e spero di comunicarlo in qualche modo in questo volume) fondamentale8:
L’erudizione è un possesso statico, acquisito una
volta per tutte, che una salda memoria basta a
conservare. La cultura dell’individuo è sempre sul
farsi, o non è. L’uomo colto non è chi sa, ma chi
apprende. Un professore d’università che giudichi
di saperne già abbastanza per tener lezione ai suoi
allievi, o per compilare qualche articolo o relazione, e che dunque si esima dall’imparare ogni giorno qualcosa, dall’accrescere con la propria riflessione e meditazione ciò che sa, è più lontano dalla
cultura di un operaio che frequenta la scuola serale.
Non basta. A differenza dell’erudizione, la cultura
è un fatto non soltanto mentale. – È una qualità
che attiene al carattere, che presuppone
nell’individuo un certo atteggiamento. Si suol ripetere che la cultura genuina è, di norma, anche educazione dell’animo, e che ingentilisce i costumi,
che eleva il sentimento. Questo è vero, sebbene sia
un luogo comune.
[…]
Cólto – e non puramente erudito, quantunque
“sappia” molte cose – è l’uomo che sente il dovere
di alimentare il proprio spirito assiduamente, quo8
Guido Morselli, Diario, Milano, Adelphi, 1988, p. 185.
INTRODUZIONE
tidianamente: e che adempie a questo dovere verso di sé con diligenza, con tenacia, quali che siano
(e magari avverse, impropizie) le circostanze in cui
si trova a vivere.
37
38 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE.
ICONE MORSELLIANE
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
39
40 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Tu, ti
L’attesa di un incontro eccezionale, dai caratteri di un evento innovatore, avvertito come possibile metanoia, infiamma numerose pagine di
Guido Morselli. Nel passato, nel contro-passato,
nel divertimento o nella commedia, nella dissipazione e nella mancanza: quasi sempre nella
dimensione temporale, geografica, sentimentale
di un’epoca (privata o storica) al suo luminoso
crepuscolo. L’Evento, quello che merita la maiuscola per la sua unicità radicale, avviene, accade,
in una forma paradossale o addirittura rovesciata (la solitudine rispetto alla prospettiva di un
incontro) in quello che resterà l’ultima narrazione: Dissipatio H.G..
Prevede la “fine”1 dell’umanità, la sua scomparsa, rapimento, estinzione oppure assunzione
angelicata nel cielo della pace, preparato misteriosamente da una ignota Provvidenza. Un testimone rimane solitario a ripetersi le domande
di sempre in quella spettrale (e in certi momenti
grottescamente allegra) situazione: prescelto e,
quindi, redento o dannato ai tormenti della solitudine angosciosa?
Prima di questo Evento supremo raccontato
in Dissipatio H.G., Morselli, in modi diversi,
mette in scena l’attesa: si attende una visita o si
va a visitare qualcuno. Se si riesce a incontrarlo,
tangibilmente, come accade ai due Walter, protagonisti l’uno di Roma senza papa, con GioSi veda una pagina del Diario, Milano, Adelphi, 1988, da
pag. 329, in data 26 febbraio 1969, decisamente ironica,
sulla idea della fine che hanno gli uomini, e su quella di
Morselli che prevede invece una situazione a gambero, di
ritorno alle scimmie (il ritrovamento “dell’età dell’oro”).
1
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
41
vanni XXIV, l’altro di Contro-passato prossimo,
che deve incontrare l’Arciduca ereditario, il colloquio è breve. Una traccia nella nebbia, sulla
sabbia, destinata, a germogliare, nel primo caso,
solo per l’interiorità del protagonista, nel secondo, per fortuite circostanze, in mano ad altri (tra
cui un altro Walter, il grande Rathenau).
Non meno importanti, come vedremo, le attese e gli incontri di un terzo Walter, Ferranini de
Il comunista.
L’attesa angosciosa del medico chiude senza
soluzione il Dramma borghese, come, non senza
analogie con il romanzo precendente, quasi a
chiudere un cerchio ispirativo, Dissipatio H. G..
Newcomer, pragmatico e competente medico
americano, rappresenta il simbolo di una rinascita possibile, fisica e spirituale per Walter Ferranini, nella parte finale de Il comunista, romanzo dedicato al disgregarsi della autentica
“fede” comunista nelle beghe di potere della
Roma parlamentare dei primi anni Sessanta, intravista e sofferta (fino ad un processo subito a
causa di un intelligente saggio sulle condizioni
dei lavoratori) da un autentico attivista della base emiliana, Ferranini appunto. Sospeso tra il
cielo e la terra, su un aereo che lo riporta in Italia dagli Stati Uniti, Walter vorrebbe prolungare
quello stato di non scelta, ritardare il momento
di dirigersi verso una svolta. Anche in questo caso, il finale viene sfumato in un orizzonte di possibilità: non sapremo se Walter tornerà mai in
quella Roma corrotta, dopo la sosta in Emilia,
oppure (si veda il capitolo terzo Aerei), affonderà nell’Oceano, con un sorriso sulle labbra.
Tra i tanti altri protagonisti dell’opera di
Morselli, Purha aspetta Giulio Cesare (opera teatrale Cesare e i pirati), ma il “condottiero” tor-
42 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
nerà completamente trasformato, dopo aver anche lui vissuto una sospensione dei doveri della
“politica” nell’isola dei pirati, aver “congelato” la
sua ambizione cinica, rientrando spietatamente
nella maschera della ragion di stato; il simpatico
Warnebold, personaggio “minore” perfettamente in linea con l’idea morselliana del contropassato (critica alla storia e invenzione di
un’altra concreta e possibile verità non voluta
dagli stessi protagonisti, stretti in necessità estrinseche alle scelte veramente umane), attende
una risposta da Marx nell’opera teatrale dedicata al padre del marxismo2, per concludere un accordo che lo avrebbe reso famoso. Non deve attendere molto: il “filosofo” rifiuta le proposte di
Bismarck da lui presentate in qualità di ambasciatore di fiducia. La storia lo condanna al silenzio, all’ombra, all’attesa perenne: non avrà
occasioni di riscatto. Ridimensionato a piccolo
funzionario in pensione, avrà occasione di incontrare nuovamente Marx (e Bakunin) in incognito in un albergo per turisti in Svizzera. Luoghi ben noti ai lettori morselliani, gli alberghi
funzionano come territori di passaggio, magari
di divertimento e di vacanza (Divertimento
1889) ma pur sempre instabili. Claustrofobici
nel caso di Dramma borghese, tempio del turismo deleterio e divenuti veri e propri sepolcri
per il protagonista di Dissipatio H.G. che in
quelle stanze e corridoi deserti vive uno dei suoi
peggiori attacchi di terrore. In preda ad una inutile ribellione, si spinge fino a dar fuoco al relitto, altrettanto inutile, dell’albergo della regina
Vittoria.
Guido Morselli, Marx, rottura verso l’uomo, 1968, pubblicata a mia cura in “Sincronie”, VII, n.14, 2003.
2
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
43
Toccherà alla lieve, emozionante, charitas
dello scrittore segreto tentare di dar luce
all’oscuro Warnebold, come a tanti altri personaggi, primo fra tutti Walter von Allmenn, come
lui rimasti nell’ombra della storia3. Dipingo, dice
von Allmen, il Walter di Contro-passato prossimo, per me e per l’arte, non per il successo.
Klimt e Hodler lo incoraggiano. Questo romanzo, oggi famoso, che racconta la Prima Guerra
Mondiale in altro modo, contiene una specie di
apologo acutissimo e profetico in forma di dialogo con un editore. Passando dalla finzione alla
storia ci potremmo chiedere: chi incoraggiò
Morselli, chi lo aiutò con gli editori? Tra gli amici l’influente Dante Isella, suo concittadino, lo
scrittore Piero Chiara, che invece, in modo totalmente assurdo, lo detestava (forse era invidia)?. Per opposte motivazioni, nessuno dei due,
né altri intellettuali che si incrociarono con Morselli capirono la sua grandezza.
Il revival delle sue opere, favorito proprio da
Isella, suona come un risarcimento tardivo, postumo.
Morselli, testardamente, continua a lavorare
per sé (per capirsi e capire il mondo circostante)
e per l’arte, nonostante gli brucino le bocciature
clamorose, alcune arrivate quasi alla fine del
percorso editoriale, come Il comunista e proprio
Contro-passato prossimo.
I suoi romanzi e i suoi saggi scelgono situaIn un colloquio informale con la Fortichiari è emersa
l’esistenza di vari epistolari o tentativi di contatto con personalità del teatro, quali Grassi, Gassman, Buazzelli: per
ora, per volontà degli eredi da parte della famiglia Bassi, le
lettere restano inedite, giudicate “troppo personali”.
3
44 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
zioni e scenari diversi, caparbiamente; ripresentando da vari punti di vista, in episodi eterogenei alcune problematiche ritornanti, in una energia narrativa e speculativa eccezionale. Si
pensi ancora al divertissement di Divertimento
1889, con la regale figura di Umberto I intenta a
cercare una fuga dalla impegni del suo ruolo,
immergendosi nel clima della belle époque, presentendone la fine, ma dichiarando candidamente di godere dell’evasione di istanti irrecuperabili.
Cadenze favolistiche in cui però si ritrovano
temi costanti, le icone di cui si occupano i saggi
di questo volume, modesto, ma sentito omaggio
al genio segreto.
Torniamo al senso dell’attesa di un personaggio o di un evento salvifico che, dunque, si raffigura in molti modi, a cominciare dal simbolo
cristico a cui si allude nei personaggi medici o in
quelli capaci di abbracciare, fisicamente e moralmente. persone sbandate o ferite. A cominciare dal primo romanzo di Morselli, Uomini e amori.
La solitudine e l’attesa nel campo di guerra
calabrese nella quale il giovane Guido avvia la
sua speculazione, Filosofia sotto la tenda e Uomini e amori, è realmente un vasto, terribile teatro in cui risuonano domande, ingenue e radicali, eco di quella suprema, perché il male?
Alla noia dell’inazione, di transiti occasionali,
di non dimore, si sostituisce, bruciante, improvviso, il terrore dei raid nemici, della morte piovuta dall’alto.
Il medico resta impotente assistendo alla
strage, prende però consapevolezza della insostituibilità della sua missione caritatevole. Così, nel
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
45
capitolo finale di Uomini e amori, Saverio di
fronte alla morte di Vito ferito dalle schegge
provocate dal raid alleato.
In un amante appassionato dei treni, non è da
sottovalutare la valenza simbolica degli aerei di
cui ci occuperemo attraverso una sceneggiatura
inedita, Il secondo amore: terrore e morte
dall’alto, transizione possibile e veloce da un
passato ad un futuro altro, strumento privilegiato di una modernità lussuosa e futile
(l’aeroporto di Crisopoli-Zurigo).
L’attesa emerge disperata o ironica nei momenti della fine, dove il presentimento di una
epoca nuova, migliore, è flebile, se non assente.
Finis austriae in Contro-passato prossimo
(ma di quest’ultimo ne riparleremo). Belle époque in Divertimento 1889, dove la fuga di Umberto nasconde solo parzialmente le angosce di
un tempo di passaggio, nel quale l’euforia
dell’Unità d’Italia ha lasciato il posto a pesanti
conflitti sociali, di cui si avvertono presagi. Fine
del Millennio in Roma senza papa, fine tragica
degli ebrei e sterminio dei sudeti e degli ebrei
nel Redentore; distruzione dell’isola dell’utopia
in Cesare e i pirati; fine rocambolesca del fascismo “democratico” in Cose d’Italia, e ben tragica, preparata da una scena esemplare, rappresentativa della sofferenza senza senso dell’uomo,
il termine della vita in Dramma borghese.
Nel finale aperto di questo romanzo, il senso
della fine e quello dell’attesa, si concretizzano
nella aspettativa angosciosa di un chirurgo in
grado di operare la ragazza che ha tentato il suicidio.
Se Morselli volutamente ci lascia in dubbio
sull’esito del tentato suicidio senza chiarire se la
ragazza possa essere salvata dai medici, ben im-
46 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
presso rimane, nelle superba ironia del fobantropo, delineata dal recente libro di Domenico
Mezzina, che la tragicità di una attesa, di un evento miracoloso, viene facilmente sostituita dagli idoli popolari. La maggior parte degli uomini
non si pone domande, non vuole scendere negli
abissi della ricerca, dimentica facilmente le questioni sul senso della vita, se una malattia o una
sofferenza non ledono il quieto vivere. Ma gli idoli della dimenticanza rendono schiavi al potere delle mafie: in definitiva, per Morselli, l’uomo
se le va a cercare, si sottomette facilmente a chi
dona questa esistenza pacifica e un poco ottusa.
Nell’Italia del contro-passato (Cose d’Italia) o
del futuro letto con lo stesso metro di contro realtà possibile, non in chiave “fantasy”, di Roma
senza papa, ma anche nel presente, nella sceneggiatura del 1970 È successo a Linzago
Brianza, gli idoli sono i medesimi: il calcio (o
meglio il totocalcio, le scommesse) e le donne
facili e a pagamento (i bordelli, o simili, in termini attuali l’esibizione del corpo femminile a
tutti i livelli). Mai provare a eliminarli: anche il
più amato dei governi se dovesse legiferare in
merito alla abolizione delle scommesse legate al
calcio o alla prostituzione andrebbe incontro a
una sommossa della società civile a tutti i livelli.
Nella leopardiana fine del mondo in Dissipatio H.G., con l’indifferenza e a tratti l’allegria del
mondo animale, si racchiudono il senso della fine e l’attesa del buon amico medico, tra Beckett,
Dostoevskij, ricordi personali dall’ambito della
guerra. Il celeberrimo Karpinski ricapitola in sé i
caratteri dei medici apparsi nei precedenti romanzi morselliani, annullando nel proprio sacrificio i lati negativi: Saverio (Uomini e amori),
Vanetti (Dramma borghese), Newcomer (Il co-
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
47
munista) e altri ancora. Si attende l’evento, dentro l’Evento della sparizione dell’umanità, nella
città, Crisopoli-Zurigo, dell’opulenza che, peggio
di Roma dei governi, è disponibile a tutto, ad
ogni compra vendita, “ tranne ai miracoli”. Zavorrata dell’oro delle sue banche, non può “levitare nel meraviglioso, o anche
solo
nell’imprevisto”.
Affiora, in quel contesto, l’icona forse più
commovente di un volto femminile sospeso e in
equilibrio tra carnalità e spiritualità, ribadendo
l’“utopia” di Morselli: per riconoscere l’alterità
bisogna che il libero eros si coniughi con
l’esigenza spirituale. La mistica deve abbeverarsi
al corpo, la sensualità deve abbandonare le gelosie e gli egoismi per abbracciare, letteralmente,
il senso di limite, la paura della sofferenza e della morte.
Si tratta della figura appena accennata, ma
memorabile, della splendida Tuti: la donna del
primo impacciato amplesso sessuale, diventa il
Tu senza nome; l’attesa senza oggetto respira
con ansia nelle pieghe di un letto sgualcito dove
per la prima volta si è fatto l’amore4:
So di trovarla […] La trovo. In qualche modo, la
trovo: sul guanciale c’è l’impronta della sua testa, e
nel letto non sfatto, con la coperta ben rincalzata
c’è il peso lieve della sua persona. Mi siedo vicino
al letto, vicino alla mia povera Tuti.
[…]
Non c’è stato trapasso, malattia, agonia, angoscia.
Lei non ha lasciato la città che ha preso (per me) il
suo nome, né la sua casa, la sua camera; è qui, anche se non si offre ai miei sensi, stavolta, nemmeno alla mia vista. E non mi permette di darle una
carezza sui capelli, ancora biondi forse. Mi tolgo le
4
Dissipatio H.G., Milano, Adelphi, 1977, p. 50.
48 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
scarpe, la giacca, rimango in calzoni e bretelle.
Scusami, Tuti.
“A lei solo il massimo riserbo”
Torniamo a Von Allmen, protagonista di Contro-passato prossimo. La sua udienza con il Personaggio (l’Arciduca, effigie, forse, di un grande
editore prossimo al rifiuto?), viene rinviata. La
sua semplice e geniale idea, già consegnata alle
autorità competenti sta incontrando il favore dei
militari: la Edelweiss Exspedition, ovvero “la
fulminea ingegnosissima operazione militare
con cui gli austriaci conquistarono nel giro di
poche ore l’Italia settentrionale”, “di nascosto”
da lui che l’ha inventa tata e proposta, verrà applicata con stupefacente successo, capovolgendo
le sorti della guerra. Tutto per merito del caso (o
della necessità?): l’alto segretario dell’Arciduca,
quasi cieco durante fastidiose emicranie, erroneamente inserisce il plico di Walter tra la posta
vagliata positivamente e pronta per il Consiglio
di guerra. Successivamente alla approvazione
della sua proposta, tenuta segreta, Von Allmen,
Maggiore dell’Esercito, che intanto ci ha deliziato con visite culturali di alto livello, viene convocato
dal
Personaggio.
Poche
parole:
l’elaborazione della sua idea non spetta a lei, a
lei solo il massimo riserbo.
Allo stesso Guido è toccato in sorte il “dovere”
di quel riserbo, trasmesso ai suoi personaggi,
come Von Almenn, come il simpatico Righetti di
Cose d’Italia, come Warnebold. Riserbo ormai
intangibile.
Come Morselli i suoi saggi e i suoi romanzi,
Von Allmen continua a dipingere, diventa noto
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
49
critico d’arte. Quasi ad implicito contrasto con
quel riserbo-condanna, alla sua E. E partecipa
anche Erwin Rommel, che si dimostra giovane e
impeccabile stratega. Il futuro nazista ribelle,
dopo una eroica impresa aerea, scompare dalle
pagine del romanzo per lasciare, idealmente, il
posto, in una sinistra profezia, al suo superiore,
descritto nelle innocue vesti di pittore, per un finale, oltreché letterariamente strepitoso (in un
romanzo che forse, per i non appassionati di
guerra, presenta qualche lungaggine di troppo)
eccezionalmente significativo.
Con la vittoria delle forze del centro Europa,
Hitler, perché proprio di lui si tratta, resterà un
semplice pittore, nel contro-passato di Morselli,
eppure la sua presenza in questo contesto ha,
comunque, il potere di evocare il male assoluto.
Per arrivarci, lasciando al lettore che non lo
avesse ancora fatto, di inoltrarsi nella perfetta
geografia della Prima Guerra rivisitata in coerenza perfetta da Morselli, con il coro necessario
della politica, una volta che, grazie alle
Edelweiss Expedition, austriaci e tedeschi sono
risultati i vincitori, dobbiamo conoscere l’altro
protagonista, ancora un Walter, Rathenau, stratega e statista di primissimo ordine. Per Morselli, il più talentuoso e coerente della generazione
transitata in quegli anni, tra imbelli Kaiser, dubitosi politici, ottimi soldati, buoni amministratori di nazioni (tra i quali il nostro Giolitti, molto
meno il giovane Mussolini, il cui ritratto è impietoso, già protagonista, in vesti diverse, del
contro-passato di Cose d’Italia). Lasciato von Allmen al suo destino e così Rommel e vari altri
valorosi comandanti, il romanzo esalta l’idea
dell’unico vero “antagonista”, ma su due piani
diversissimi, dell’omonimo Walter. Semplifi-
50 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
cando, il tedesco Rathenau applica l’idea che,
quasi per gioco, era stata quella di Cesare
sull’isola di Farmacussa, poi vilmente abiurata,
quella della socialidarietà che, in Roma senza
papa, affascina don Walter, non dissimile alle
teorie dell’ “altro” Walter, il comunista, Ferranini: una lega di stati, fondata sui principi di solidarietà socialista; non comunista (bellissimo il
dialogo tra Rathenau e Lenin), quasi implacabilmente preda della dittatura del proletariato,
ovvero di pochi politici come già è chiaro
all’altezza temporale della messa in scena morselliana dell’immediato dopoguerra.
Scampando ad attentati, imprigionato, liberato dalla rivolta popolare contro la destra militare
dopo l’assassinio di Rosa Luxenbourg, Rathenau
tesse una faticosa trama diplomatica e infine ottiene di veder nascere la sua Nuova Europa Democratica, la UNOD, federazione di Francia,
Belgio, Italia, Germania, nucleo primario, in attesa di allargarsi, quando i tempi saranno maturi, ad altre nazioni. Quasi inutile sottolineare, in
tempi in cui si discute d’Unità dell’Europa, cento
anni dopo dalle vicende raccontate da Morselli a
suo modo, a seguito di ben altre vicende storiche, l’attualità di queste proposte di contropassato. Se, come spiegato nel bellissimo intermezzo sotto forma di dialogo, alle insidiose domande di una presunto editore, il contropassato non cambia la storia, può influenzare
per il futuro le coscienze degli uomini: è il caso
ad esempio del cammeo di Albert Einstein sulla
necessità della tolleranza religiosa.
Da questo punto di vista, il messaggio di Rathenau è tra i momenti più positivi della narrativa morselliana, ponendosi, a parte l’utopia generale sulla politica delle nazioni, a servizio di uno
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
51
dei problemi più gravosi per il singolo uomo: il
lavoro, proponendo una misura di solidarietà
anticapitalista e anticomunista, basata sulla solidarietà.
È l’uomo idea per eccellenza, con i suoi limiti
certo, con il suo autoritarismo, anche prepotente, ma la cui azione rimane coerente con gli ideali. Il suo sogno, realizzato, termina con lui, con
la sua stanchezza, a segnare comunque, realisticamente, dei limiti: l’epilogo, diviso in parti uguali tra i due Walter, non allenta, nonostante le
premesse, l’idea di una fine, prevedendo anzi
quella violenta intolleranza dalla quale prende le
mosse, tra tragedia e commedia, l’opera teatrale
Il redentore. Rathenau si ritira presto, dopo anni di prassi troppo assorbente, sente il bisogno
della meditazione (altra icona morselliana, mai
risolta, il difficile equilibrio tra contemplazione e
azione, etica pratica e speculazione filosofica,
mistica e carità). Il suo proposito di ritirarsi non
desta “rammarichi” eccessivi. I politici di media
intelligenza lo trovavano ingombrante e accaparratore. Il rude Rathenau lo sa bene: le istituzioni non si giovano dei personalismi. Ritirato
lui, a breve, un altro, osceno, grottesco, megalomane e tragicamente violento personalismo,
arriva al potere. Addio all’idea della lega degli
stati, retta da principi di una economia solidale:
si tratta della costante idea politica di Morselli,
inutilmente sbandierata dai suoi personaggi,
tutti, in diversi modi, schiacciati dal cinismo delle azioni di chi guida veramente la Storia.
A Dresda, ai primi di novembre, l’altro Walter, ormai divenuto critico d’arte a tempo pieno,
dimessosi dall’esercito, viene inviato a una mostra di pittura. Di ritorno, in treno, ritrova un
compatriota incontrato alla mostra. È pittore
52 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
anche lui, si chiama Adolph Hitler, parla di Genio della Storia, dell’orgoglio della Razza, di una
Arte che deve politicizzarsi, degli austriaci che
devono riunirsi sotto la Grande Madre ariana e
germanica.
Qualche mese dopo, Hitler apre una personale. Von Allmen non ci va, ha idee completamente
opposte sull’arte. Da quell’incontro casuale, avverte il clima viziato, soffocante di fine di
un’epoca. La morsa terribile della Storia, “sacro
mostro”, incombe5:
In uno dei suoi proliferanti diari intimi, Tagebuch
de Fine Austriae, si era segnato la sera stessa:
“Questo povero Paese, ora minacciato in un’altra
maniera, da un’altra parte. Non l’immaginavo, non
l’aspettavo. Non certo per mancanza di pessimismo”.
Von Allmen inizia a scrivere il diario della fine quando viene distrutta con un incendio quella bella chiesa barocca di Röschenen in Tirolo
davanti alla quale, in contemplazione, si era aperto il romanzo. È un presagio funesto per
l’Austria, a cui ne seguono altri, intonati al duello tra la Bellezza dell’Arte e l’avanzata della ideologia della Razza, dall’Austria alla Germania. A
Von Allmen, il frazionamento del vecchio impero in tanti stati non piace: “a un amico triestino
che gli aveva scritto annunciando una sua visita,
meditava di rispondere: Mi rincresce, ora non
siamo che degli estranei”. Eppure si definisce
uomo di sinistra. Un lettore del “suo” giornale
definisce “ingenui” i suoi interventi. Walter ripensa, come occasione sfumata, a tutte le vicen5
Contro-passato prossimo, Milano, Adelphi, 1975, p. 255.
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
53
de con cui si era aperto il romanzo, immagina
più attenzione nei suoi confronti, da parte
dell’imperatore, in un sogno ricorrente, anche
questo imprevisto. Del resto la sua origine, ribadisce a Francesco Giuseppe, non è nobile, i suoi
vengono dalla Svizzera, dalle montagne. Nel solito salotto da lui frequentato, non siede più
Freud, ma un suo allievo, Karl Abraham: Walter,
come Guido, guarda con sospetto alla psicoanalisi, ma “metodo e medico” non mancano di interesse. Ci prova e dopo cinque sedute, lascia un
assegno e fugge. A cosa? Davanti al suo passato
e al suo presente.
Nel Tagebuch aveva appuntato una specie di
massima per la vita (e la morte), entusiasmante,
in fin dei conti, lasciando da parte la retorica
dell’archeologia sentimentale. Potremmo essere
meno lugubri, scriveva, e renderci conto che viviamo al cento per cento “sino all’ultimo respiro,
vita psichica e organica che sia”. La morte riguarda solo i morti.
Gioco aperto, consapevolezza, teatrale, di essere tanti io diversi, per vivere, o almeno cercare
di vivere, sino all’ultimo respiro.
Per superare, traumi evidenti, che il terapeuta
elenca. Morselli non ha paura di mettersi a nudo, sul lettino della letteratura, nelle vesti di Von
Allmen, esplicitando, con il filtro del racconto
d’invenzione, alcuni suoi traumi: la Guerra, la
morte, drammatica, della madre a soli sei anni e
del padre a dodici (a Guido in realtà muore la
madre a dodici anni), il conflitto edipico chiarissimo, come chiarissimi i luoghi sostitutivi dei
genitori: la Natura materna, l’Imperatore (del
sogno), il mito dell’Austria, il padre, di cui sogna
la morte per il bene della nazione. Ora che è
morto però, quell’imperatore vorrebbe risusci-
54 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
tarlo. Risuscitare il Mito della felice Austria.
Morselli, genio segreto e creativo, non perde
la sua ironia, anche nella profonda disperazione6:
Niente nostalgia dei bei tempi: solo rimorso, pentimento. Amore, incestuoso, e morte, senso postumo di colpa, tentativo di redenzione. E perché
no, dopotutto? Può darsi. Può darsi anche questo.
Attesa, dissipazione, testimonianza
Dissipatio H.G., scritto, come è noto, nel
1973, pochi mesi prima del suicidio dello scrittore, narra la storia di un uomo che ha deciso di
scomparire, sottraendosi alla sostanziale “cattiveria” dell'umanità che lo circonda, organizzata
in bande e in mafie che minacciano la sua proprietà privata, interiore ed esteriore. Il suo villino immerso nel verde delle montagne (chiaro il
riferimento alla casetta di Gavirate, il suo personale eremo dagli anni cinquanta, assaltata dai
rumorosi turisti e dal moto-cross7) è nel mirino
Ivi, p. 261.
Guido Morselli si fa costruire una casa nel bosco sopra il
lago di Gavirate, a pochi chilometri da Varese, in quella
proprietà donata, per lascito testamentario, al Comune di
Gavirate e ora Parco Morselli. È il luogo della solitudine
minacciata a cui allude il romanzo estremo. Lassù lo ricordano vagamente, per lo più in sella al suo bellissimo
cavallo Zeffirino, taciturno, e spesso in compagnia di belle
donne.
Ecco come Maria Bruna Bassi, amica e prima erede testamentaria dello scrittore, descrive quel luogo in Valentina
Fortichiari, Invito alla lettura di Morselli, Milano, Mursia, 1984, p. 20: “Da un lato una fuga di ghiacciai e sopra
tutti il Monte Rosa gigantesco. Dall’altra e intorno soltanto grandi alberi e davanti un immenso prato, il laghetto
6
7
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
55
dei potenti di Crisopoli, la “Città-dell'Oro”, con
le sue 56 chiese e con un numero infinito di banche, in cui è raffigurata Zurigo. Il suo corpo, malato, è minacciato da una potente mafia radicata
nel mondo della medicina8.
Avevo deciso di uccidermi, anzitutto perché ero
vittima di una mafia. E dalla mafia non c’è scampo.
“Cominciò con una malattia”9. Sembrerebbe
verde dove Zeffirino capriuolava e lui si sdraiava sotto lo
sconfinato cielo in una smemorata solitudine. Amava il
suo podere che per anni fece coltivare con perizia di agricoltore [...] Mi raccontava di gruppi di leprotti che saltellavano lì intorno per nulla intimiditi della sua presenza, di
porcospini, di salamandre, di uccelli strani, di serpenti innocui e anche di vipere”.
Scrive la stessa Valentina Fortichiari, a p. 24:
“Negli ultimi anni Morselli era ossessionato dai rumori:
bande di motocrossisti pare si divertissero a scorrazzare
attorno alla sua casa, sul lieve rialzo erboso e nel bosco
circostante. L’isolamento lo aveva reso vigile e sensibile,
che persino gli sembrava di non poter dormire a causa del
fruscio sul tetto di qualche innocuo animale notturno. Refrattario alla civiltà come amò definirsi, nel 1973 dovette
fuggire il suo eremo violato [...] Non tornò alla grande villa familiare di Varese; ma abitò per qualche tempo in un
appartamentino presso la casa dei custodi [...] Lì morì suicida, nell’estate di quello stesso 1973, il 31 luglio, di ritorno da un breve soggiorno a Macugnaga. Fra la posta aveva
trovato due copie del manoscritto Dissipatio H. G. la sua
ultima fatica letteraria; di una terza copia non se ne seppe
più niente”.
Fatti questi trasfigurati o addirittura profetizzati nella tragica conclusione in Dissipatio H. G., dove quella solitudine, dentro un nido, una tana, un grembo diventa la condizione dell’uomo.
8Guido Morselli, Dissipatio H. G., Milano, Adelphi, 1977,
p. 20.
9Ibidem
56 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
malattia non grave, intrecciata con malesseri
apparenti o psicosomatici, finché l'anonimo narratore non è costretto a rivolgersi, per consiglio
dell’infingardo e interessato medico, a una lunga
trafila di specialisti. Netto e doloroso è l’abisso
tra il desiderio di essere curato con “un po’ d'umanità” e la constatazione della freddezza e del
calcolo con cui agiscono “gli specialisti”:
Cominciò con una malattia. Corporale, non mentale, vera, non immaginaria; cronicheggiante. Una
di quelle malattie, però, che lasciano vivere e, curate con un po' d'umanità, guariscono. In concreto, stavo guarendo. Il medico, a Crisopoli, che avrebbe dovuto curarmi, mi mandò invece da uno
specialista, e lo specialista da un radiologo[...].
Il brano continua con l'itinerario del malato
da uno specialista all'altro per concludere10:
Cose note a milioni di vittime, con le quali ero caduto nel racket della “diagnosi precoce”. Il fenomeno [...] ha le caratteristiche precise dell'estorsione mafiosa.
La pagina resta memorabile anche per la minuta descrizione dell'ambascia del malato che si
vede rimandare ogni volta l'aspettata sentenza,
quel “verdetto c’è o non c’è”,11 fino alla consapevolezza di essere soltanto oggetto di speculazione. Durissima la critica di Morselli, a questo
punto del romanzo, al sistema capitalistico, fondato sullo stesso tipo di asservimento, questa
volta essenzialmente psicologico, pronto, cinicamente, a far leva sulla evidente fragilità umana. Più che a scopo di lucro per asservirla etica10Ibidem
11Ivi
p.21.
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
57
mente a una umiliante schiavitù:
Non penso più a drammatizzare, ora; ma ho idea
che lo sfruttamento capitalistico, padrone su lavoratore, sia un ameno giuoco di società, a paragone
qualitativo con quest’altra sudditanza coatta. Inevitabile: a escludere la fuga funziona il più vischioso, e il più feroce, dei ricatti.
Mafia capitalistica giunta fino alle soglie della
sua proprietà privata, ora seriamente minacciata. Affiora per questa e altre ragioni l’idea del
suicidio. Per metterlo in pratica l’anonimo narratore prima sale verso l’alto a 1.600 metri
(cammino rovesciato rispetto a quello dantesco
e forse irrisione parodica della propria ricerca,
letteraria, di Dio) e poi scende, verso una fossa
piena d’acqua, chiamata il “lago della Solitudine”, nel tentativo di scomparirvi per sempre.
“Un dissolvimento nel nulla”, silenzioso: il corpo
non dovrà essere mai più trovato. Ma è proprio
il corpo, si ricorderà, la pura materia, a ribellarsi
alla morte, a decidere di vivere:
Mi sentivo bene, stranamente, irriducibilmente
bene. L’epilogo è in armonia con questo imprevedibile. Non ho agito. Sono stato agito dal senso organico, che è quanto dire: 85 chilogrammi di sostanza vivente non ubbidivano. Consci, a modo loro, della sentenza cui morire è cambiare materia,
non erano disposti a cambiare materia. Alle 0,45
stavo già tornando lungo il cunicolo.
Una volta al di fuori, ritorna alla sua casa e si
corica accanto alla sua amica “dall’occhio nero”,
quella pistola che lo accompagna nel “sonno
mortale” di un gelido abbraccio. Fin dalla mattina seguente, prima incredulo e poi certo, suo
malgrado, via via che gli indizi si fanno inconfu-
58 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
tabili, è costretto a rendersi conto di un incredibile contrappasso: se lui non è riuscito a sparire,
capace solo di carezzare la compagna
“dall’occhio nero” senza premere il grilletto, in
quello stesso istante (che ci sia una relazione?) è
l’umanità intera ad essersi misteriosamente dissolta, senza lasciare traccia alcuna, in quel mondo per il resto assurdamente rimasto intatto,
tanto che, emblematicamente, le rotative del
giornale per cui ha lavorato, sono ancora attive,
come segreterie telefoniche, televisori, nastri di
ogni tipo. Non improbabile, nell’elegante acume
di Morselli, nell’atmosfera concretamente, minutamente, surreale, che il colpo di pistola sia
partito davvero, e l’uomo si trovi sospeso in un
mondo a parte, non meglio identificato.
Incredulità, paura, rassegnazione, sarcasmo
grottesco, critica feroce, pietas i momenti descritti nel libro, riepilogativi di tutte le icone più
importanti della ispirazione morselliana, con la
ricerca spasmodica di una traccia di una umanità autentica, di cui non si sa descrivere, neanche
nella fantasia, i tratti, se non nel volto affiorante
del dottorino, doppiamente significativo a seguito della denuncia della mafia della medicina.
“Lasciati vedere”, il ritornello che accompagna
quella improvvisa solitudine, accertata da segni
inequivocabili e che sembra aver colpito l’intero
mondo umano le cui tracce si cercano disperatamente, ora attraverso i telefoni, ora in visite
lampo o più meditate, tra le quali spiccano quelle nei territori diversi del consorzio umano: dalle
malghe di montagna alla desolazione degli alberghi, al lussuoso aeroporto, alla inquietante
miniera, ennesima discesa ad inferos senza incontrare alcuna anima dannata.
Di certo la memoria culturale e il sapere eru-
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
59
dito non sanno spiegare questo assurda scomparsa dell’umanità: ritorna il tema del mistero
imperscrutabile, questa volta, a quanto sembra,
democratico: ricchi e poveri hanno subito il dissolvimento12:
L’ignoto mi è addosso, ecco sono solo, senza
scampo. Non ho aiuto, non ho consiglio. A chi
chiedere un esorcismo? Scienza, filosofia forse rimangono. In me, e sia pure al grado millesimale, e
in barlume. Ma non hanno previsto niente di quello che succede, e non ne sanno niente. Sono io a
sapere che, in ogni modo, ciò che succede non è
pensabile, va oltre. Una creatura umana non è fatta per trovarsi a questo. È la mia sola certezza.
Delle svariate citazioni presenti nel testo, valide come colloquio con i maggiori risultati (a
volte anche i peggiori) del pensiero umano, mi
sono occupato altrove. Qui sottolineo il sovrapporsi di due sentimenti dominanti nella camaleontica personalità di Guido Morselli e dei suoi
personaggi: sete di solitudine, di annientamento, sentendosi già dentro la moltitudine degli altri escluso o condannato a causa di un male non
commesso, e il desiderio di comunicare, di essere riconosciuto e accolto, “prediletto”, guardato
e custodito da un “volto” caritatevole, se non divino13.
Nel momento di crisi più profonda, della paura, del nichilismo, della possibile “fine” nell’idea
del suicidio o della malattia, di essere già morto,
12Ivi
p. 111.
riferiamo, lo si è capito, anche alle vicissitudini editoriali di Morselli in parte ricostruite nel testo citato della
Fortichiari e in Mario Baudino, Il gran rifiuto. Storie di
autori e di libri rifiutati dagli editori, Milano, Longanesi,
1991, pp. 102—108.
13Ci
60 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
affiora, da un tempo non cronologico, quel volto
misterioso che conserva i lineamenti del giovane
ufficiale medico realmente conosciuto da Morselli14:
Mi parlava spesso di queste sue drammatiche avventure [in guerra in Calabria] con un misto di
pena, e direi, di un vago rimpianto. Ricordava lucidamente fatti, personaggi, luoghi, soprattutto
l’ufficiale medico suo unico indimenticabile amico.
Il dottorino Karpinsky diventa l’icona più
rappresentativa dell’attesa, così diversamente
presente nei romanzi e in modo affine nel Redentore per il teatro: forse di origine ebraica, è
comunque figlio di tutte le chiese, riepiloga in sé
i lineamenti del Cristo buono e, soprattutto, con
le sue ferite, del Cristo patiens15:
Karpinsky, amico Karpinsky, non ho che te. Il
transfert non c’entra, tu lo sai bene. È che sono solo. Il mondo sono io, e io sono stanco di questo
mondo, di questo io. Lasciati vedere.
Lasciati vedere. Il ricordo affiora nei momenti
più neri, quando si capisce di essere dentro una
finalità malvagia: a quel terrore si era predestinati. Quella paura è stata creata per me, io ne
sono il centro e lo scopo, pensa il fobantropo,
non senza ragione.
Se tutto ora è paura, Karpinski, ai tempi della
degenza presso la sua clinica, gli aveva sussurrato dolcemente “guarirai”, anche se dovrai soffri14Ancora
dalla testimonianza della Bassi in Valentina Fortichiari, Immagini d’una vita, cit., p. 20.
15Guido Morselli, Dissipatio H. G., cit., p.138.
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
61
re. In quella compagnia, nella speranza di un
bene intravisto, il dolore “potrebbe” acquisire un
senso, almeno essere condiviso. Nel ricordare
quegli attimi di pietas, infatti, la sofferenza trova
il conforto di quell’affettuoso abbraccio: il dottorino, contravvenendo ai regolamenti, gli si era
seduto accanto, dopo aver raccolto nel giardino
della clinica fiori spontanei, di campo. Sono i
doni spirituali di questa figura cosi carnale e
umana, assai giovane, tanto da meritarsi
l’affettuoso nomignolo di dottorino.
Come Nipic, il messia povero del Redentore,
profetizza la sua morte, avverrà prima di quella
del suo degente e ormai amico. La situazione,
dentro l’Evento della fine e dell’attesa, non si
svolge meno paradossalmente: il dottorino è deceduto da tempo, assai prima della svaporazione
dell’umanità: si invoca, in lui, la presenza di un
morto, e la si avverte vicina, prossima: ricordati
di me.
Nipic muore nell’identico modo, e nello stesso
“spazio scenico” di Karpinski mettendosi in
mezzo ad un lite tra due infermiere: sappiamo
bene, e ci torneremo nel quinto capitolo, che si
tratta di gelosia tra due personaggi femminili invaghiti del santo. Nel romanzo, Morselli resta
generico, due anni dopo il loro primo incontro
Karpinski si era buscato un colpo di coltello
frapponendosi in una lite tra due infermieri (Nipic prende un colpo di rivoltella). Emorragia interna, ventiquattro ore di agonia. Attorno alla
morte di Nipic, Morselli (la ricostruzione del finale, purtroppo, rimane ipotetica) vuole costruire un evento, probabilmente sfumandone le caratteristiche in un’aura di riconosciuta santità.
La sua azione ha meravigliato positivamente, ha
stupito e, in qualche modo, convertito, alcuni al-
62 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
tri attori della commedia, in prima istanza il
medico direttore della clinica in cui l’azione si
svolge.
Anche Karpinski si rende capace, dovunque
sia ora, di dirigere le azione del fobantropo.
La descrizione fisiognomica del dottorino appare chiaramente tratta dai Vangeli (si confronti
con Newcomer e con lo stesso Nipic che, pur
non essendo medico, si trova in una clinicamanicomio in Germania, durante il nazismo)16:
Sentivo una voce, la sua. Karpinski, il medico che
mi curava, era un uomo intelligente. Indipendente
di idee, o almeno non conformista. E era umano.
Forse per questo non lo amavano. Assunto alla
clinica da poco e già in attesa di dover lasciare il
posto (e se ne andò prima della mia partenza), era
trattato male da Wanhoff, mal pagato, mal stimato; cose che seppi da altri, non da lui; lui si accontentava del suo lavoro, pareva soddisfatto, e del
resto di sé non parlava. Vedevo il suo visetto dalla
barba castana (una barba castana bella, folta, ma
che in lui era una stimmata), vedevo la personcina
poco nutrita, accanto alla mia alta e massiccia. E
teneva le due mani posate sul petto a me (in clinica non se lo sarebbe permesso), appese ai risvolti
della mia giacca.
Mi dona coraggio come allora, aggiunge il solitario protagonista, sento la sua voce viva: guarire dipende da lei, ripete come allora. Sembra
accorgersene troppo tardi.
In un contesto degradato, lacerato da diverse
ferite, si cerca l’incontro e la presenza del dottorino, nella certezza che lui, a sua volta, lo sta
cercando: anche se dovesse trattarsi di una allucinazione sarebbe “buona”. Karpinski è credente, ma risulta inutile cercarlo nelle chiese: citta16
Ivi, p.63.
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
63
dino di tutte le religioni stabilisce quello strano
incontro proprio dove tutto cospira a tacere
l’ineffabile, la salvezza: nel tempio del dio denaro, la Borsa di Zurigo. Se lui non viene in quelle
chiese, elencate con precisione, deve essere trattenuto altrove. L’appuntamento è rimandato di
poco, al Mercato, di fronte agli Uffici finanziari.
La ultime pagine di Dissipatio H.G. (lo scrittore dimostra un particolare talento tragico negli
explicit, come vedremo nel prossimo capitolo
per Uomini e amori e Dramma borghese dopo
aver qui considerato anche quello di Contropassato prossimo), quasi superfluo ricordarlo
tanto è evidente, divengono il luogo della fine;
ma anche, grazie a Karpinski e alla sua desiderata resurrezione, della palingenesi, della possibilità di una rinascita, magari dentro o oltre la
sparizione. Finale da accostare, per il romanzo
italiano, alla Coscienza di Zeno e a Palomar, in
questa ottica.
Libro feroce, dettato da una evidente instabilità psichica, genialità e sensibilità turbata dalle
viltà del prossimo, da rifiuti in vari campi, da
problematiche affettive, dominato dal terrore e
da una superba allegria nevrotica, rispetto a quei
modelli, grazie a Karpinski, conserva la dignità
di una attesa senza oggetto, di una apertura più
concreta, liberata, mi sembra, dalla componente
sarcastica viva in tutto il soliloquio.
Per cercare bisogna essere cercati (“ ‘En attendant Karpinski?’ Giusto il contrario. È Karpinski che aspetta me”) e per amare bisogna essere, prima, amati. Nonostante le ferite insanabili, anche le domande religiose, in questa atmosfera di capovolgimento della austera lezione di
Beckett (a cui non si risparmiano ironie, cfr il
sesto capitolo di questo volume), trovano imma-
64 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
gine, nel camice bianco e macchiato di sangue
del dottorino. Più certo della speranza, magari
in quei fili d’erba spuntati nel cemento, nel tempio della Borsa, gratuito dono (il Mercato dei
Mercati si trasformerà in campagna), come
quelli raccolto dal dottorino nella clinica, in cui
era scansato e mal tollerato17:
Non spero. Tuttavia sono venuto a Crisopoli per
vederlo (il mio primo incontro cosciente con lui) e
sento che lo vedrò. Vero e presente. […] Perché lui
non viene per rispondere a dubbi, per fare annunci. È il piccolo semplice uomo di allora. Viene
semplicemente, a cercarmi, e è già in cammino. La
mia è una certezza, non propriamente un'attesa, e
mi libera da ogni impazienza. Me ne sto a guardare, dalla panchina di un viale, la vita che in questa
strana eternità si prepara sotto i miei occhi. L’aria
è lucida, di un'umidità compatta [...] In tasca tengo, per lui, un pacchetto di Gauloises.
Se l’uomo, in Fede e critica, si rivela come “un
essere che ha bisogno di Dio”18 è necessario che
qualcuno lo riveli, amandolo. Bisogno che si traduce, come nel bel saggio La felicità non è un
lusso19, in quello, appunto, della felicità, parola
17Ivi
p. 154.
Morselli, Fede e critica, Milano, Adelphi, 1977, p.
18Guido
235.
19 Il saggio risale, secondo la datazione del dattiloscritto, al
17 settembre 1956, negli anni dunque in cui si svolge anche la stesura della trilogia di Fede e critica. Il saggio oggi
si può leggere, come segnalato, nel volume omonimo a cura di Valentina Fortichiari, Milano, Adelphi, 1994. Scrive
la curatrice, nelle note ai saggi, p.159: “Morselli sta attraversando una grave crisi mistico esistenziale. Lavora a due
saggi — entrambi centrati sul problema del male e della
sofferenza (Fede e critica e Due "vie" della Mistica, tuttora inedito) — e sulle pagine diaristiche ha ripreso con insistenza il tema del suicidio”.
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
65
così evidentemente descrittiva del desiderio umano, disconosciuta dagli pseudofilosofi parolai
e invece al centro della speculazione del sommo
Leopardi20:
Fossero stati persone di buon senso, i nostri sapienti avrebbero convenuto che la felicità è quella
cosa che abbisogna a ognuno di noi e che ognuno
persegue, dall’infanzia alla morte, e che non è il
caso di istituire una consorteria di "ricercatori della felicità", visto che tali siamo tutti quanti viviamo. Ma al buon senso i filosofi sogliono preferire il
paradosso [...] presentando la soddisfazione delle
nostre esigenze vitali come il programma di una
"élite", un "otium" da raffinati e quindi alcunché di
superfluo.. Invece, la felicità non è una cosa superflua, non è un lusso, e ciò per la buona ragione che
è necessaria per vivere.
Due "vie" della Mistica, il saggio inedito della
metà degli anni Cinquanta, autonomo ma pensato quale terza parte della trilogia Fede e critica, comunica il senso della necessità assoluta del
divino come compagnia stabile, concreta, che si
affianchi — in un abbraccio salvifico — alla stanchezza e alla prostrazione, segno indelebile della
condizione umana (per il cristiano conseguenza
del peccato originale). Cristo è esempio, unico
nella storia, come dimostrano le frasi del Vangelo i cui passi si commentano nel saggio21, di tale
20Guido
Morselli, La felicità non è un lusso, a cura di Valentina Fortichiari, Milano, Adelphi, 1994, p. 93.
21Risulta del tutto evidente che le sottolineature appartengono allo stesso periodo e formino l’intelaiatura della trilogia di Fede e critica. È altresì evidente, anche per
l’autorevole testimonianza della Fortichiari, come Morselli
sia colto da una “crisi religiosa”, scaturita innanzitutto
dall’attrazione" per la figura di Cristo quale appare nei
Vangeli.
66 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
salvifica misericordia che si esprime anche solo
con uno sguardo o un abbraccio. Abbraccio o
sguardo, è il pensiero di Morselli, capace di riportare l’individuo al momento sublime della
nascita, scoprendo la sua originaria creaturalità.
Leggiamo a p. 41 del dattiloscritto inedito, conservato al Centro di ricerca sulla Tradizione manoscritta di Autori moderni e contemporanei
dell’Università di Pavia:
Qualche volta ci sentiamo, in questa nostra vita,
dei doloranti nulla. Abbiamo torto. C’è stato uno
sguardo divinamente sagace che ci ha scrutati, e
per giustificarci, e a quello sguardo abbiamo rivelato una ricchezza di cui noi stessi non avevamo
sentore.
Se in Dissipatio H.G. si considera Karpinski
unico amico, in apertura in Due "vie" della Mistica22 Morselli è esplicito: è accaduto una volta
22I
manoscritti si presentano con cartelline separate con
date apposte anche per ogni revisione, mentre il dattiloscritto, con minime correzioni autografe a penna, come
consueto in Morselli, si compone di un originale e di due
copie in carta carbone. Il saggio si divide in VII capitoli. Il
primo e il secondo più tardi, del 1954, che, come si legge
nel frontespizio della cartellina di tali capitoli, ad opera
della D’Arienzo, sembrano essere scritti e corretti in un
lasso di tempo relativamente breve, rispetto invece ai
tempi lunghi di revisione degli altri, come il III e IV che
recano, come data più alta 23/10/51, con revisione
nell’autunno del 1954. Immediatamente salta agli occhi
ciò che diventa per noi un elemento di valutazione critica
importante: Morselli comincia il suo scritto per descrivere
la carità come cardine della vita cristiana, intento a dimostrarne l’assoluta contiguità, in barba alla dottrina di tanti
teorici nella Chiesa, con l’amore sensuale tra l’uomo e la
donna, che permette di salvarsi dalla tentazione della solitudine e dell’egoismo. È sant’Agostino, dopo la sua esperienza di grande convertito, ammirata, lo si è detto, dallo
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
67
nella storia che un uomo ha amato veramente,
innanzitutto, i peccatori e i malati. Il tema centrale del breve saggio vuole rispondere al quesito: come può l’uomo soddisfare il proprio desiderio di Dio (o, identicamente, della propria felicità)? Tutti hanno desiderato23, almeno una volstesso Morselli, ad aver accentuato questa divisione, per lo
scrittore assolutamente negativa, se non nefasta. Risalta
nello scritto il tentativo, proprio di tutta l’ispirazione di
Morselli, di unire la carne e lo spirito, aspetti della creatura umana inscindibili, come si vede anche nei due romanzi
iniziali, precedenti di alcuni anni a questa trilogia e nati
dall’esperienza tragica della guerra, Uomini e amori e Incontro con il comunista. Sui manoscritti i capitoli hanno i
seguenti titoli, che facciamo seguire alla data di inizio con
quella dell’ultima revisione: I Che cosa è mistica (dal
3/9/54 al 8/10/54); II La mistica e i suoi pericoli(dal
20/27 —9—54); III Amore e carità 23/10/51 al 23/3/53);
IV Carità e mistica (dal 23/10/51 al 28/1054) V Ascetismo
e Vangelo (non è chiara la data d’inizio revisione 2/XI
54); VI La "Piccola Chiesa" e l’idealismo cristiano (dal
13/3/51 al 1/4/52); VII La situazione dell’uomo moderno
(dal 17/5/52 al 12/54). Sul dattiloscritto appone i titoli a
mano cambiando i seguenti: I Due "vie" della mistica; II
Qualche osservazione sullo stesso tema (nella seconda
copia Qualche riflessione sullo stesso tema); III
Dell’amore (e dell’amore secondo i cristiani), IV rimane
senza titolo; VII I due problemi che dobbiamo risolvere.
“Uno degli aspetti del credere religioso, è il desiderio di
Dio” dichiara immediatamente Morselli, non riservato ad
anime nobili o particolarmente sensibili. Se infatti in alcuni mistici vige una specie di aristocrazia dello spirito
che talvolta si tramuta in misantropia, i Santi “non solo
non li odiarono [gli uomini] ma li amarono con passione.
Cercarono il loro Dio stando fra gli uomini, spesso lo cercarono entro gli uomini”. I mistici più autentici non tacciano questo aspetto altruistico, fedeli a Cristo, come Bonaventura che esclama: “Beati quello che lo videro in carne”. Nella biblioteca di Varese, dove sono conservati i testi
appartenuti a Morselli, è facile verificare la fonte principa23
68 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
ta nella vita, un rapporto diretto da uomo a uomo con Cristo, come è accaduto in quei tre anni
agli apostoli o alla gente comune che Lo incontrava. Desiderio, ci tiene a specificare Morselli
accingendosi a parlare di misticismo, che non
porta a “odiare” gli uomini (anzi alcuni mistici
“Lo cercano entro gli uomini”). Leggiamo ancora
dall’inedito, trovandoci tracce della voce di Karpinski quale figura riepilogativa dell’utopia
dell’Uomo carità, nei limiti in cui la società lo
costringe, come Nipic, alla emarginazione:
Qualcuno ci mormora dentro, con “quella” voce: vi
amo, volgetevi a me. Sono la vita nella sua perfezione, sono colui che vince il male e la morte, e voi
mi potete vedere e toccare. – Là bisognava essere,
lungo il suo cammino, in uno di quei villaggi della
Galilea.
le, con apparato bibliografico annesso, su cui lo scrittore
ha letto i mistici: I mistici del Duecento e del Trecento, a
cura di Arrigo Levasti. Milano—Roma, Rizzoli, 1935 (il
saggio iniziale di Levasti è postillato e sottolineato) e I mistici medievali, a cura di Giovanni Maria Bertin, Milano,
Garzanti, 1944. Già dal capitolo iniziale, si può notare come le frasi e gli esempi citati: l’immagine del fiume di Teresa d’Avila, i tre gradini dell’estasi di Bonaventura e Angela da Foligno, la mistica dell’ego di Echkart, l’esempio
del pesce di Caterina, sono tratti dall’antologia del Levasti.
Le sottolineature, come ho avuto occasione di rilevare, sono quasi sempre in funzione di un utilizzo nei romanzi o
nei saggi. Altresì evidente la ricerca, nei brani riportati nei
due testi e sottolineati da Morselli, dei due aspetti caratteristici della mistica: il desiderio di Dio e il Dio carità. In
Angela da Foligno, ad esempio o in Giordano da Pisa (come anche in Caterina in frasi sottolineate da Libro della
divina dottrina), che nelle sue Prediche, in un passo sottolineato da Morselli indica in Cristo, nella possibilità di
abbracciarlo, la modalità della soddisfazione di questo desiderio. O nella ripetizione, in diverse opere delle parole di
San Giovanni: Iddio è carità.
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
69
La stessa mistica cristiana appare scaturire da
una grande nostalgia: quell’uomo non si è più
“lasciato vedere” nella storia:
Rimpianto, invidia, desiderio cocenti. Non ci occorrono ispirazioni o conforti, non ci servono iniziazioni serafiche. Lui, ci manca.
Lui ci manca: “Lasciati vedere”.
Leggiamo ancora dalla pagina 2 del dattiloscritto inedito:
Dileguano le idee e le immagini della consueta pietà. Oggetti e figure familiari sembrano impicciolirsi e tacere nell’imminenza di un prodigio. Chiediamo lui, tangibilmente, senza intermediari né
veli. Chiediamo la polvere di quei sandali, l’orlo di
quella veste: desideriamo il Signore nella sua vivente presenza, e non sapremmo possederlo altrimenti. Il mondo si è ritratto, è lontano. O Signore, vieni; non ne saremo meno felici che il piccolo
pubblicano Zaccheo quando gli annunciasti: Oggi
verrò a casa tua.
Il lui è minuscolo, quasi a voler diminuire la
distanza con gli uomini, proposta a Dio
dall’eretico Nipic, quale risarcimento della sofferenza, per fondare un nuovo patto, una nuova
Alleanza.
Non sfugga il particolare dei sandali e della
polvere come sottolineatura dell’aspetto quasi
scandaloso con cui il divino si è presentato, nelle
vie del mondo, tutt’altro che sublimi. Del resto,
anche il dottorino Karpinsky veste abiti logori,
sgualciti, e, rimando cristico, come ha ben mo-
70 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
strato Rinaldo Rinaldi 24, perfino insanguinati.
Se il camice rappresenta esteriormente il mestiere del medico, i pantaloni sgualciti il carattere di Karpinsky (il corsivo è nostro)25:
Non spero. Tuttavia, sono venuto a Crisopoli per
vederlo (il mio primo incontro cosciente con lui) e
sento che lo vedrò. Vero e presente. Ritto nel suo
camice bianco, macchiato di sangue sul petto dove
l’hanno colpito. A braccia aperte. Ma la testa china
come quando, nella mia camera, mi ascoltava, appoggiato alla finestra; e sotto il camice spunteranno i calzoni sgualciti.
Morselli divide le opere dei grandi mistici in
due filoni principali (la prima “via” predilige
l’intelletto e finisce, nella ricerca del divino, per
esaltare l’io, nella seconda il soggetto si abbandona a quello che viene definito un raptus e, assecondando l’iniziativa divina, si identifica con
l’Infinito tutto. L’interesse precipuo di Morselli è
quello di distinguere forme che sottolineano
l’egotismo e quelle invece che permettono
l’incontro con Dio tale da permettere di poten-
24Rinaldo
Rinaldi I romanzi ad una dimensione di Guido
Morselli, in “Critica letteraria”, III, 1996. Affascinante
l’ipotesi di un ritorno della figura anche nella fine del romanzo, almeno il desiderio di Morselli di essere il primo
uomo che segue Cristo, fortuitamente, senza averlo voluto,
dopo il male, il dolore e il perdono, anche nel Regno dei
cieli, formulata da Laura Marraffa (nella sua tesi di laurea,anno accademico ‘96/’97, Università di Roma, Tor
Vergata), incentrata sui libri di Morselli riguardanti la religione nella biblioteca di Varese, L’assolo di Guido Morselli — Il pensiero, la cultura, "les livres de chevet" di uno
scrittore postumo.
25Guido Morselli, Dissipatio H.G., cit. p.154. Il corsivo è
mio.
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
71
ziare il rapporto amoroso con l’altro26), e si ritrova, spesso, a contrapporre un certo carattere personalistico alla umanità altruistica e solidale dei
brani dei Vangeli27, soprattutto negli incontri di
Gesù con i malati e i peccatori.
Il Vangelo conferisce all’uomo “una suprema
dignità” ma dentro un rapporto, “il rapporto”,
proprio perché è l’“entità spirituale a porsi di
fronte a noi”.
Di questo saggio, come delle citazioni e delle
presenze leopardiane in Dissipatio H. G., ci siamo occupati nel precedente libro dedicato al genio segreto, Incontro con Guido Morselli.
Questa introduzione alle icone morselliane,
riprendendo spunti già espressi in quella sede su
26La
prima via viene definita “ascensus”, la seconda “raptus”. Nella prima si corre verso la purificazione, “attraverso la solitudine, esaltazione dell’io il quale si interna e si
assimila all’Altro”. Nel “raptus” “tutto quanto costituisce e
distingue l’individuo è travolto e cancellato, l’individuo
torna a disperdersi nel divino, sentito come infinito Tutto,
totalità originaria”. Il procedere di Morselli è sempre
scandito dal dimostrare la superiorità della carità rispetto
alle forme dell’ego. La prima via sembra, come si dice a p.
9, “una mirifica esaltazione dell’io”, che diventa realtà assoluta e per cui gli altri non sono che ombre, nella seconda
via, “potremmo dire della "reimplicazione"” l’individuo è
travolto dalla forza dell’infinito, cancellato in quanto ego e
sensibile all’alterità anche umana. I grandi mistici per
Morselli appartengono a questa categoria.
27 Scrive a p. 16: “Il Vangelo appare un meraviglioso monumento elevato allo spirito religioso. Tutto quello che lo
spirito anelante al divino è in grado di chiedere, vi è contenuto”. Tuttavia è chiaro per Morselli che il testo evangelico non incita, non favorisce, alcuna delle vie mistiche e
certo non deve stupire, aggiunge, che se questo non potrà
mai, anche da un ateo, essere bandito nel futuro, forse del
pensiero mistico non rimarrà traccia. O meglio la mistica
avrà altre forme, già visibili nel moderno culto (mistico
appunto) dell’arte.
72 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Due vie della mistica e Dissipatio, costituisce idealmente il tramite tra le riflessioni maturate in
saggi pubblicati dal 1996 al 2000 e il nuovo interesse per il teatro e la narrativa di Morselli nei
saggi che qui presento.
Rimane evidente, si vedrà a proposito della icona centrale della sofferenza e per Il Redentore,
che il proseguo della meditazione di Morselli attorno all’Unde malum? accentua, con non pochi
riferimenti ai mistici oltreché ai teologi, il divario
tra l’Uomo Gesù e il Dio imperscrutabile la cui
azione provvidenziale è misteriosa e spesso iniqua, come si vedrà. Il legame tra queste pagine
dedicate a Cristo e Dissipatio, deve tener conto
di questa profonda ferita, di questa “crisi” perenne, ben presente nelle pagine di Roma senza
papa e del Redentore, fino alla ulteriore meditazione religiosa di Teologia in crisi, saggio non
portato a termine, della seconda metà degli anni
Sessanta, di prossima pubblicazione a cura di
Paola Villani per l’editore Kraus di Napoli.
Se la mistica non è altro, all’origine, che una
ricerca di un più stretto contatto con il divino,
con la bontà divina rappresentata da Cristo e se
per quelli che lo hanno visto non era altro che
andargli incontro, cercarlo, mentre, dopo, senza
di lui, i rischi sono molteplici, la Chiesa (anche
quella di Roma senza papa, forse proprio con le
eccezioni di don Walter e dello stesso Giovanni
XXIV in qualche misura), si è completamente
staccata dalla vita dell’uomo comune, dai suoi
veri problemi. L’attesa di un nuovo incontro
(Newcomer) sembra disperata
L'uomo minacciato dalla mafia del danaro e
della medicina, dal nichilismo, da un dirompente
desiderio di solitudine e di comunicazione
all’altro, vaga per il territorio della fine. In Dissi-
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
73
patio H. G., la necessità di “colui che ha cura” si
alterna con la rabbia disperata e le ragioni più
che legittime del fobantropo.
In Due "vie" della Mistica, Morselli aveva
commentato un brano del Mestiere di vivere, ora
attribuibile all'atmosfera di Dissipatio H.G.: c’è
infatti più cristianesimo in un agnostico (p.62):
giovane decadente dei giorni nostri, Cesare Pavese: “Tutto il problema della vita è dunque questo:
come rompere la propria solitudine, come comunicare con altri”.
Quella di Dissipatio è la condizione disperata
di un asceta per forza, che sente, quasi suo malgrado, Dio lontanissimo, imperscrutabile, che
tradisce l’uomo ammettendo il Male.
L’aggettivo più ricorrente che definisce l’uomo
di Dissipatio è “stanco”, con i suoi sinonimi. Come alla fine del primo capitolo quando si ritorna
dalla visita a Zurigo verso casa, in quello splendido rifugio anche esso diventato fossa e solitudine, stanchezza (p. 38 del dattiloscritto):
Mi incammino verso casa. Cinquanta minuti di salita, nel silenzio che fino a qualche giorno fa mi esaltava, di un viottolo fra i larici e gli abeti. Avanzo
con pena. Sono stanco. Tendo l’orecchio, mi guardo intorno. Ho paura.
E come nel XVIII capitolo, nella citata frase
del dottorino:
È che sono solo. Il mondo sono io, e io sono stanco
di questo mondo, di questo io. Lasciati vedere28.
28Ivi
p.138.
74 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
“Venite a me voi tutti che siete affaticati e
stanchi”, altra espressione di Cristo.
Il finale del romanzo sembra poi ricalcare
l’attesa (con urgenza e lucida disperazione) insita
in questa invocazione che chiude il brano iniziale
di Due "vie" della Mistica sulla nostalgia del non
esserci stato lungo quel cammino, in Galilea:
Affrettati dunque o Signore. Non hai detto: “Invocatemi e sarò con voi?” Alziamo gli occhi, attendiamo.
Il latente manicheismo del pensiero di Morselli, sinteticamente proposto nel bell'articolo di
cui si diceva, La felicità non è un lusso, ed espresso nel voluminoso secondo capitolo della
trilogia di Fede e critica, nei poli oppositori di
felicità e male, è sciolto nell'ammirazione della
storia degli incontri evangelici dove l’ultima parola non è il giudizio morale che poco o tanto
condanna, non è la colpa o la malattia ma la misericordia, immensa e gratuita verso l'uomo di
cultura come per l'uomo della strada. Misericordia che si rivela magari dentro particolari o episodi antisublimi come sottolinea anche, oltre agli esempi trascritti, di Due "vie" della Mistica,
un passaggio della seconda parte della trilogia di
Fede e critica, la sola finora edita e che dà il nome complessivo all'opera saggistica in tre capitoli. In questo testo, ammirato sopra ogni altro è
l’incontro estremo, sempre evangelico, sopra alla croce, tra Cristo e il buon ladrone, colui che
precede tutti i giusti nel regno dei cieli, a suggellare quell'interesse morselliano per i poveri e i
peccatori, assente nella mistica ed esemplare nel
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
75
Vangelo29:
Proprio nell'ora culminante della Passione s'incontra una figura che si solleva potente sul meschino livello comune, come per riscattare la nostra indigente natura. Intendo, il ladrone che si
converte [...] Il miracolo è puro miracolo, non ha
tramiti né strumenti [...] Il ladrone non solo scopre Dio in questo punto, ma lo riconosce incarnato
nella creatura che gli è accanto rea, secondo la
sentenza degli uomini, al pari di lui [..] L'ignoto
ladrone non ha alle spalle secoli di cristiana religiosità, e il dato soggettivo a cui la sua novella fede
si applica, è riassunto nello stesso sciagurato avvenimento che si sta verificando: non vi sono altri
dati esterni, e quello è cosi poco trascendente, così
poco sublime che egli, ribaldo meritatamente condannato, vi può prendere parte.
L’attesa, dunque, e l’improvviso cambiamento,
con quel riferimento capovolto a Beckett. Anche
il grande drammaturgo, alla richiesta di spiegare
il tema di Aspettando Godot cita il ladrone, in
un passo di Agostino:
C’è una meravigliosa frase di Agostino. Vorrei potermela ricordare in latino. È ancora più bella in
latino che in inglese. “Non disperare mai: uno dei
ladroni fu salvato. Non presumere niente: uno dei
ladroni fu dannato”30.
Si avverte, però, nel presente, la lontananza
vertiginosa dall’umanità di Cristo, ricadendo nelle
sabbie mobili del Dio che ammette il Male, la sofferenza, la malattia. Viene in mente, anche se non
può trattarsi dello stesso Mercato, un frase del
29Guido
Morselli, Fede e critica, cit., 159—160.
Citato in Federico Doglio, Teatro in Europa, vol.III. Milano, Garzanti, 1989, p.904.
30
76 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Diario, di tanti anni prima, 22 febbraio 1947:
Ieri sera prima di dormire ho riveduto me stesso,
quale poche ore avanti camminavo per la strada,
tornando a casa. Non avevo mai sentito così profonda pietà degli uomini come rivedendo
l’immagine di quest’uomo che attraversava la
piazza del Mercato.
Nel numero di “Studium” settembre-ottobre
2012 (scrivo queste righe prima dell’uscita di questo articolo) dedicato all’aspetto religioso di Morselli, la poetessa Tiziana Mainoli31, concittadina di
Guido, e da sempre sulle “tracce” di testimonianze autentiche sulla vita dello scrittore che possano
illuminare la sua personalità, riporta alcune
commoventi parole della sorella, Franca Papa, del
medico curante dello scrittore, Santino Papa, reScrive la Mainoli in Il dono della sofferenza:la fede assopita di Guido Morselli. Un’intervista rivelatrice (cito
dal PDF del numero di “Studium”, da me curato ma in uscita al momento di “licenziare” il presente volume): “Fu
nel 1984 che intervistai il dottor Santino Papa, medico curante di Guido Morselli, e sua sorella Franca; allora abitavo a Gavirate e un impulso personale mi induceva a ricalcare le orme dello scrittore: più mi addentravo nel personaggio Morselli, più mi rendevo conto dell’importanza di
conoscere l’uomo che a volte, nella creazione artistica,
prende le distanze e si allontana dai personaggi dei suoi
romanzi. L’essenza e l’esistenza: un divario a volte inconciliabile che trova corrispondenza nel difficile legame che
si viene a creare tra l’artista e l’opera d’arte.
Spesso stralci di vita possono raccontare più degli stessi
scritti, perfino dei diari, perché, sia nello scrittore che nel
lettore, prevale l’immaginario, un’influenza del coefficiente di distorsione del reale che può camuffare l’esistenza,
per quanto ciò sia difficile da identificare perché
l’inconscio scivola, con prudenza, attraverso le parole e si
riserva aree misteriose”.
31
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
77
lative agli ultimi anni di vita. Ne riporto due stralci, il primo relativo proprio a quella fede semplice
più volte critica da Morselli, eppure in questo caso, nelle parole della “signorina” (né la anziana
donna né il marito medico si sono mai sposati)
ragionevole:
Durante quell'incontro, la signorina mi rivelò alcuni episodi riguardanti lo scrittore (Guido Morselli) che, di tanto in tanto, frequentava la loro casa: con lei in particolare, trattava argomenti spirituali e condivideva esperienze collegate alla sofferenza e alla ricerca di fede. Questi argomenti suscitavano in lui un forte interessamento e, in alcuni casi, una sorta di venerazione per chi proprio
della fede aveva fatto il motivo di vita.
Morselli era affascinato, soprattutto, dall'incrollabile fiducia che la signorina riponeva nell'immenso potere d'aiuto e di intervento della Vergine Maria, che richiamava alla sua memoria l'immagine
della mamma perduta in tenera età. La signorina
Franca dipingeva la Madonna come madre benevola che tutto può e che nulla potrebbe negare ai
suoi figli che, umilmente e con fede, ricorrono a
lei. La signorina ricordava come, a questo proposito, il“signor Guido” spesso esclamasse, stupito
come un bambino: ‘davvero?’.
Il secondo proprio sulla sofferenza e la malattia: un incontro stupefacente per lo scrittore, che
si trova davanti un testimone, una persona di
carne capace di essere la concreta risposta alle
sue domande più tragiche e radicali. Mi sia consentita la lunga citazione, rimandando con convinzione alla lettura di tutto l’articolo, bellissimo, della Mainoli:
In seguito la signorina parlò un giorno allo scrittore di un certo Pierino, uno di questi "volontari"
78 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
che abitava alla Rasa, una località nei pressi di Varese.
Pierino Tonta era nato nel 1920; colpito nei primi
mesi di vita da una forma di poliomielite, non era
mai stato in grado di camminare e aveva la mano
destra completamente paralizzata; viveva da parecchi anni su una carrozzina, assistito da sua cognata Irma. Il Morselli dimostrò subito una viva
curiosità nei confronti di questa sfortunata e umilissima persona.
C’è questo ammalato, gli disse la signorina, che
desidera scrivere un articolo sulla gioia, ma vorrebbe che qualcuno lo aiutasse a scriverlo. “È da
cinquant’anni che sono su questa carrozzina, però
ho una gioia interiore talmente forte e vorrei
propagarla, vorrei esprimerla”, le aveva detto il
Tonta.
Allora venne qui il signor Guido e andammo insieme alla Rasa, dove abitava il Tonta.
Durante il viaggio di andata volle che gli descrivessi le condizioni del malato e dopo che glielo
ebbi spiegato, mi disse: “Ma signorina Papa, mi
fa incontrare un rudere lei… non ha mai trovato
un amico che gli abbia dato in mano una pistola e
gli abbia detto “cosa stai al mondo a fare, cosa
dai alla società?”, io eventualmente ho la pistola
nel cruscotto”.
Quando arrivarono, lei disse: “Guardi solamente
gli occhi di questo malato perché da lì scaturisce
il tutto, questa gioia interiore la si esprime attraverso gli occhi…”.
Lei lo precedette e disse a Pierino che gli aveva
portato un giornalista (sia lei che il fratello Santino, come molte altre persone, non conoscevano la
reale portata della produzione letteraria del Morselli anzi, alcuni ignoravano completamente la sua
identità di scrittore dato che lui non amava definirsi tale, in alcune occasioni preferì addirittura
sostenere di essere un agronomo).
A proposito di questo argomento il dottor Santino
mi disse una volta: “Io l’ho curato tanti anni senza
sapere cosa combinava su là, nell’eremo di Santa
Trìnita, non ho mai visto neanche sulla scrivania
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
79
dei gran fogli…non sapevo che avesse una produzione così ricca”
Il racconto di Franca Papa proseguiva così:
Sono andata di sopra e ho detto: Pierino, tu parla
sinceramente, di' tutto quello che ti senti e alla fine tireremo le somme. Poi l’ho aiutato a vestirsi,
l’ho messo in carrozzina perché stava ancora riposando, erano le tre del pomeriggio e l’ho portato in sala.
Come Guido arriva di sopra, entra, fa per dargli
la mano, ma la mano destra lui non può muoverla perché paralizzata e allora il signor Guido dice:“Abbattiamo le barriere, diamoci del tu.”
Perché lui agli umili e ai sofferenti era proprio vicinissimo. Le racconterò tanti altri fatti che conosco. “Tu cosa vuoi fare?”chiede al Tonta il signor
Guido.
“Io desidero fare un articolo sulla gioia perché
sento qui una forza, una gioia interiore che devo
dare agli altri”
“Quando hai sentito per la prima volta questa
gioia?”, interviene il signor Guido.
“L’ho sentita a Lourdes32. Ero andato che ero disperato, non per chiedere la grazia per me, ma per
le mie sorelle che erano malate di tumore. Ho fatto
25 anni di Lourdes e ho sempre chiesto per gli altri, mai per me..”
Prorompe il Morselli: “Ma cosa stai dicendo?Ma
non ti sei guardato allo specchio? Non hai mai detto “guarda come sono!”; ma è più che logico, più
che umano chiedere la grazia di guarire, la grazia
di camminare, la grazia di poter mangiare con la
mano destra….”
“No, questo no”, ribatte, con forza il Tonta.
Ma il signor Guido non era convinto e gli ripeté la
domanda ben quattro volte.
“Anche quest’anno sono andato, ma ho chiesto la
grazia per un ragazzo che ha un tumore, non l’ho
32
Cfr G. Morselli, Fede e critica, Milano, Adelphi Edizioni
1977, p.44, dove Morselli racconta della guarigione miracolosa di un amico che si era recato a Lourdes.
80 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
mai chiesta per me, ho sempre chiesto per gli altri.”
E quando per la quarta volta il signor Guido gli ha
chiesto “perché?” lui, con l’unica mano che poteva
muovere, la sinistra, batté un pugno sul tavolo e
disse:“No, questo non lo farò mai!”.
Allora il signor Guido mi dettò degli appunti e ne
uscì un articolo che fu spedito a Roma e pubblicato su’“ L’àncora” e in seguito su altri giornali.
Firmato Guido Morselli?
No, dal Tonta, perché il signor Morselli volle così.
Al ritorno i due si fermarono al caffè Volta di
sant’Ambrogio; la signorina Franca capì che Guido
era piuttosto scosso e lui le disse: “ Io oggi la devo
ringraziare perché non ho mai sentito in un malato un'accettazione così totale, un’ anima.”
Poi le chiese: “Ma come mai quest’uomo ha una
devozione così forte per la Madonna? Signorina
Papa, anche lei le è così devota?”
“Ma certo, io credo in Dio e nei piani di Dio prima
di tutto c’era la Vergine Santa!”
“Ma lei pensa che sia mediatrice, che possa dare…”
“Ma certo, una mamma non delude…”
Poi lui la accompagnò a casa.
L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE
81
“AFFANNARCI VERSO METE CHE
EGLI SA NON TOCCHEREMO MAI”.
Uomini e amori, Dramma Borghese,
la tradita utopia comunista
82 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
AFFANNARCI
83
Affannarci
“Ho pregato tutte le mattine, ma lui non guarisce. Perché?”.
Questa domanda ingenua quanto autentica e
radicale rivoltami da un bambino di dieci anni
potrebbe figurare nel Diario o nei romanzi di
Morselli. Perché si soffre?, è la stessa ingenua
domanda capitale di fanciullo la cui eco attraversa le età e percorre la saggistica, il teatro, la
narrativa, l’impegno giornalistico di Morselli. Il
disagio di fronte alla malattia, alle morti accidentali, del tutto immotivate, sono il risvolto
quotidiano della suprema domanda, Unde malum?. A Guido Morselli interessa proprio questo
risvolto personale, che riguarda anche l’uomo
della strada, non l’astrattismo dei filosofi. La sua
speculazione colta, sia pur non sistematica, scaturisce e vuole penetrare lì, a questo mistero dai
risvolti drammaticamente “pratici”.
Un aspetto di questo prototema, tra richiesta
di grazia, di perdono, di sanità fisica ed etica, risulta evidente tanto viene reiterata anaforicamente nella narrativa, in particolare attraverso
la rappresentazione della malattia, fisica o psicologica, e nel “bisogno” del medico “curante”, con
tratti significativamente cristici, evidenti in Karpinski come si è visto nel saggio introduttivo.
Condizione che ha il suo feroce risvolto nel peggiore ricatto umanamente possibile denunciato
da Morselli. Tanto la medicina rende profondamente umano il rapporto tra le persone, tanto
diventa atroce il raggiro e la disonestà, la cattiveria cinica quando si insinua nel contesto medico. La mafia della medicina, scrive lucidamente Morselli in Dissipatio H.G., si muove non solo
84 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
e non tanto per soldi, ma allo scopo di assoggettare per puro potere l’uomo che “ha bisogno”.
Specula sulla fragilità, sugli evidenti limiti della
condizione umana.
L’abbraccio tra uomini, nell’amore, in un arco
significativo, che va dalla richiesta di calore quasi animalesca al dono di un amore tendenzialmente spirituale e metafisico, potrebbe avere le
funzioni di una medicina, pratica e sperimentale.
Fragile e talora ambigua, l’orlo di una rovina
a cui si arriva per mancanza di altre risposte
concrete, in un territorio dove la teoria ha smesso di donare effetti terapeutici. L’immagine
dell’abbraccio non è secondaria, possedendo il
carattere adatto per contenere l’ideale ricercato
da Morselli: distruggere la barriera alzata dalla
società e dalle religione tra carnale e spirituale,
tra sesso e religione, tra passione amorosa e mistica. Desiderio che appare agli albori della saggistica (vedremo ancora) e in quelli narrativi, in
un romanzo, Uomini e amori, pubblicato solo
nel 1999, in coda a tutti gli altri, dunque, eccetto
Brave borghesi41, a tratti slegato nella trama, ma
con delle pagine già intense, tra le migliori della
narrativa morselliana. La vita delle coppie borghesi rappresentata nel romanzo intorno a due
personaggi principali, Saverio e Vito, l’uno più
Per le vicende legate a questo romanzo-inchiesta, singolare perla del Morselli camaleonte, capace di insinuarsi
con disinvoltura, nei panni di un giornalista del sud sbarcato a Milano, nell’animo delle B.B le brave borghesi, con
risultati del tutto diversi da un canone previsto) si veda
ora Alessandro Gaudio, Brave borghesi o dell’uso romanzesco del documento, “In Limine-Guido Morselli”, agostodicembre 2012.
41
AFFANNARCI
85
morigerato, l’altro tendente al trasgressivo, si
trascina infatti tra le beghe di sentimenti egoistici e tradimenti, finché il racconto sale di tono
attorno ai nuclei stringenti della ispirazione
morselliana. Li riassume la Fortichiari nella preziosa nota a Uomini e amori 42:
Nei primi due sottili quadernetti, autori spiritualmente affini di anni postuniversitari (Montaigne,
Manzoni, Rousseau, Proust, De Ruggiero, Rensi,
Croce) predispongono ancora un programma di
studio articolato su tre temi dominanti: il pensiero
estetico (lo storicismo, l’idealismo romantico), il
problema di Dio, l’esistenza del Male. In una frase
“dall’angoscia a Dio attraverso l’amore”. Toccato
precocemente, grazie a questi scrittori, il nodo
centrale di ogni umana esistenza (vivere=capire e
soffrire da soli), Morselli delimita i confini (artefede-natura) di una attività spirituale che diventa
motivo di sopravvivenza e insieme riserva privilegiata entro la quale sparire e negarsi al resto del
mondo, dell’umanità.
Riemergono trasfigurati momenti della biografia morselliana, la fastidiosa inattività della
postazione bellica della Calabria, i ripensamenti
del dopoguerra, l’attività giornalistica, svariati
sentimenti
contraddittori,
ora
attribuite
all’artista, Vito Antonicelli detto Cambria (coinvolto però anche in traffici poco puliti) ora al
medico e poeta Saverio Maggio. L’attrattiva indelebile della medicina si deve, è noto dai lavori
biografici della Fortichiari, alla figura di un positivo e altruista colonnello medico realmente conosciuto durante la Seconda Guerra. Personalità
Valentina Fortichiari, L’officina del primo romanzo, in
Guido Morselli, Uomini e amori, Milano, Adelphi, 1999,
p.429.
42
86 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
valorizzata nella sua componente salvifica, dove
l’arte della medicina predisposta alla cura del
corpo, si sposa naturaliter alla poesia e all’arte,
intese quali attività spirituali liberanti. Tuttavia,
realisticamente, in una scelta a mio avviso originale, da grande artista, mai portato alla idealizzazione, semmai a graffiare continuamente verità scontate, Morselli mostra più i limiti degli interventi, anche generosi, additando alla goffaggine e, talvolta, all’egoismo dei suoi protagonisti.
Se gli amori di Vito sono più turbolenti e sensuali, non privi di riflessioni totalizzanti e spirituali legate all’arte, da Lucia Weiss (altra protagonista del romanzo) all’ultima donna amata, figlia della primitività della terra calabrese, Saverio tenta, in un rapporto coniugale stabile insieme a Nene, di uscir fuori dall’egoismo, cercando, come il compagno d’armi, la perfezione
dell’amore, nell’abbraccio tra la carne e lo spirito. La via è difficilissima: i sentimenti descritti
da Morselli, in una narrazione ancora troppo
densa, sono molteplici: Saverio ad esempio soffre dopo aver accudito Nene malata prima e dopo il matrimonio, quando lei, guarita, si mostra
più indipendente da lui, dovrà provare la facilità
di cadere nell’attrazione della sensualità, e soprattutto, in forza delle sue convinzioni, accettare che la moglie ami un altro.
L’amore, l’abbraccio, la malattia, la presenza
del male, sono già i temi centrali, rilevabili nel
trapasso tra le prime speculazione filosofiche e il
primo romanzo anaforicamente ripetuti in molti
altri contesti. In un clima di freddo contagio, di
catastrofica perdita di riferimenti umani, si rintraccia nel primo romanzo l’icona più icastica e
riepilogativa, segnalata dalla critica e inserita tra
i prodotti migliori della ispirazione morsellia-
AFFANNARCI
87
na43, come si diceva nell’introduzione a questo
volume, consistente nella rappresentazioni di
una vera e propria “via crucis” della dispersione,
acuta in Dramma borghese44 e poi nel Comunista in identiche situazione. Non meno riusciti,
per drammaticità e rapidità, i finali delle due
sceneggiature inedite, con la morte dei protagonisti. Improvvisa quella di Cedric Noles de Il secondo amore (colpito da infarto sull’aereo che lo
porta verso il coronamento di una storia sospesa
tra realtà e memoria idealizzata, ne Il secondo
amore), meditata quella di Walter, il buon ragazzo prima deviatore alla stazione e poi sagrestano in È successo a Linzago Brianza, che si
suicida, ripetendo, sia pur in breve, la deambulazione nella nebbia, andando a morire contro
un treno in corsa (ossessioni frequenti del Walter e delle ferrovie).
In un clima apocalittico di disumanizzazione
(colpevoli o no la pena è troppo alta) in entrambi i romanzi si sta cercando un ospedale dove
gravemente malata (ma non si sa fino a che punto) è stata ricoverata una persona assai cara.
Ne Il comunista da quell’ospedale si entra da
malato ma si riesce ad uscire risanati, in qualche
modo. In Un dramma borghese si resta sulla
soglia di un finale aperto, sospeso tra la vita e la
Si veda almeno, Antonio Di Grado, Il borghese e
l’immensità, in Andrea Santurbano, Fabio Pierangeli, Antonio Di Grado, Io, il male e l’immensità, edizione bilingue italiano-portoghese, Rio de Janeiro, Editora Comunità, 2011.
44 Cfr. la recente ed efficace lettura del romanzo di Luigi
Weber, Il racconto della rimozione: Un dramma borghese di Guido Morselli, “In Limine-Guido Morselli”, agostodicembre 2012.
43
88 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
morte per la protagonista femminile, in attesa
del chirurgo.
Per le scene centrali della deambulazione
senza senso mentre qualcosa di grave accade,
una anticipazione in nuce si può rintracciare in
Uomini e amori. Saverio, assiste dall’alto a una
processione verso il monte Zocca e suo malgrado
si accorge di provare un piacere insano, alla
spalle delle persone che sta osservando. Sa bene
infatti che la loro fatica sarà inutile, la strada è
sbarrata da una frana e quei fedeli devoti e infervorati non potranno arrivare alla meta prefissata, la chiesetta dove venerano il santo patrono.
Accortosi della sua malizia, gli viene spontaneo
spostare le riflessioni su una analogia più ampia:
il cammino dell’uomo non è che questo andamento spastico, senza senso, destinato ad infrangersi di fronte ad una strada sbarrata.
Saverio denuncia a se stesso l’empietà delle
sue osservazioni, ma non sa ritirarle: è naturale
cedere alla tentazione di spingere la nostra mente fino alle soglie del mistero, magari ribellandosi violentemente alla sorte. Di fronte a questi eventi, e ad altri nei quali il “medico” è impotente, si può solo ammettere il mistero. Per Morselli
ciò è profondamente in contrasto con l’idea di
un Dio della carità, estraneo alla persona di Cristo raccontata dai Vangeli 45.
Utile riportare il brano e confrontarlo con i
Cfr. sugli aspetti religiosi la nota 6 dell’introduzione a
questo volume. Mi permetto di rimandare anche al volume di “Studium” settembre-ottobre 2012 da me curato
con interventi su questi aspetti di Mainoli, Terziroli, Villani (Teologia in crisi e Vangelo e peccato), Santurbano
(Roma senza papa) e alla prima parte di Una figura che si
presta ad un’azione simbolica, in Guido Morselli: io, il
male e l’immensità, cit.
45
AFFANNARCI
89
due episodi salienti del Dramma borghese e del
Comunista, distanti per luoghi e drammaticità
rispetto alla meta agognata (un ospedale, dei
malati), ma con il senso comune di qualcuno che
sta deridendo i nostri sforzi vani46:
Avvenne di un subito quello scompiglio che si osserva nelle file delle formiche quando un ostacolo
impreveduto e insormontabile si para contro a loro: una calca, un rimescolio tumultuoso e che a me
pareva, dall’alto, sproporzionato e anche comico;
sinché dopo una sosta che parve determinata da
incertezza, clero baldacchino suonatori e fedeli
volte le terga si incamminarono alla rinfusa per far
ritorno al villaggio. Questo stesso mio piacere,
pensavo, Dio assapora dacché ha popolato di esseri intelligenti e volitivi la sua creazione. In verità
Dio non “gheometrìzei”: più semplicemente, egli si
diletta ad assistere al nostro affannarci verso mete
che egli sa non toccheremo mai. Anzi, mi dissi, il
suo piacere deve essere ben superiore al mio, giacché egli stesso predispone sul nostro cammino gli
ostacoli su cui noi urtiamo.
Nel secondo romanzo di Morselli, Dramma
borghese, non mancano espliciti accenni a morti
inequivocabilmente volontarie, come avverte la
Fortichiari: il quindicenne, nipote della cameriera, annegato nel lago; la morte tragica e inutile
di Camus, in parallelo a quello che appare sempre di più un suicidio, quella della moglie del
protagonista; i tonfi sinistri nei navigli.
La sorte finale del narratore, in una costruzione teatrale, dove al fitto monologo si alternano dialoghi spesso tesi e ammiccanti, rimane la
dispersione, l’attesa angosciata. Nello svolgersi
improvviso dei fatti, subentrato alla accidia pre46
Uomini e amori, cit., p. 151.
90 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
potente di quelle lunghe riflessioni e dei dialoghi
futili, non gli è concesso sapere dove la figlia, feritasi con una pallottola (volontariamente o accidentalmente?) sia stata portata.
Ci sono due ospedali in quella piccola cittadina Svizzera dove padre e figlia (Mimmina), entrambi convalescenti, avevano deciso, dopo conduzioni di vita separate, di riunirsi. La nebbia è
fitta, rende tutto enigmatico (comprese le ragioni di quel gesto), il male prodotto e il male improvviso non permettono di ragionare, di ricordare. Eppure basterebbe poco per intuire: la ragazza è stata portata, su indicazione della cameriera, non in uno dei due ospedali ma nella clinica dove è stata operata pochi giorni addietro. Né
il suicidio né l’incesto (i due grandi temi latenti
del romanzo) paiono consumarsi interamente.
Solo sfiorati, a costruire, come ben appare a Simona Costa47, il labirinto finale, l’attesa prolungata dell’intervento del chirurgo, a cui sono affidate le sorti della ragazza, tra realismo e sospensione metafisica. Importa a Morselli descrivere
l’occlusione del dialogo, l’impossibilità di comunicare al di là degli egoismi e della libido: il
dramma da “borghese”, rischia di tracimare, inaspettatamente, nel tragico, sospendendosi
propri lì, di fronte al silenzio sacro della morte,
tra futilità, pulsioni sessuali, assurdità del destino, accesso, finalmente autentico, alle domande
ultime e radicali sul senso della vita. Un punto di
fuga alto questa attesa, al di là delle stesse fragilità soffocanti dei protagonisti, tipiche del
“dramma” come genere teatrale desublimato
dalla scelta di non rappresentare eroi; diventato
Simona Costa, Guido Morselli, Firenze, La Nuova Italia,
1981, pp. 47 e ss.
47
AFFANNARCI
91
il luogo privilegiato in cui la borghesia si celebra
e si discute, si osserva e osserva gli altri, spesso,
come nella scelta radicale di Morselli, esplorando le tare nascoste nelle famiglie, come nei migliori risultati di Ibsen e Strindberg
(quest’ultimo anche controverso e potente romanziere di violente e contorte storie di conflitti
generazionali). La definizione dell’ormai classico
testo sul teatro borghese di Peter Szondi 48 si adatta perfettamente alla scelta di Morselli: il
dramma è assoluto, ovvero non conosce nulla al
di fuori di sé, presenta la sfera dei rapporti intersoggetivi io/tu in una comunicazione serrata
e sempre esclusiva tra loro, fondata, ma qui
Morselli cerca di deviare attraverso la lezione
novecentesca di Bergson e scegliendo la narrativa, in una successione di presenti. Perfettamente
in linea con il dramma borghese è il peso delle
parole sulle azioni, della scena completamente
separata dal resto del mondo, lo scontro tra i
personaggi, in genere non molti. Lo scioglimenPeter Szondi, Teoria del dramma moderno, 1880-1950,
Torino, Einaudi, 1970. Sicuramente fondamentale per
Morselli, nella distinzione tra il dramma e tragedia. la lettura attenta, con fitte glosse e sottolineature della Nascita
della tragedia, segnata nel catalogo del Fondo Morselli
MOR 281 nella edizione Milano, 1927 a cura di Elisabeth
Foerster-Nietzsche. Nel frontespizio appunta efficacemente una sintesi del testo: “Un inno di stupita ammirazione
verso la prima grecità, morta con Euripide e Socrate”. Del
filosofo tedesco, Morselli possedeva 11 volumi. Sia pur poco sottolineata, anche l’edizione del teatro di Shiller, MOR
552/554, Milano, Istituto editoriale (s.d) come possiamo
evincere dalle sottolineature alla introduzione di Arturo
Farinelli (secondo cui Lessing inaugura il dramma borghese), anche questa opera ha determinato il giudizio
morselliano sulle forme teatrali dal romanticismo verso il
Novecento.
48
92 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
to o il trauma finale si risolve nel clima angoscioso dell’attesa, dove non sapremo se il gesto
della ragazza sia stato volontario o se si sia trattato di un incidente. Non per nulla nel convincente testo a cura di Annamaria Cascetta e Laura
Peja di introduzione alla drammaturgia, i tratti
salienti del dramma sono esplicati dalla Phèdre
e Hyppolite di Jean Racine49.
La dinamica in forza della quale si arriva a
questa scena conclusiva, vera e propria icona
morselliana, contiene elementi decisivi. Di fronte alla labilità psicologica e alla prorompente fisicità della figlia, appena operata di appendicite,
ma decisa ad avvicinarsi al padre, magari oltrepassando i limiti, l’uomo non ha altre soluzioni
se non la fuga, o nel passato ( nel penoso ricordo
della moglie, morta prestissimo, probabilmente
per suicido, a solo ventotto anni) o, all’opposto,
“scandalosamente”, accettando la compagnia,
quasi subito trasformata in avventura sessuale,
con Teresa, ragazzina coetanea e amica di
Mimmina.
Durante una di queste fughe, il narratore da
un bar chiama telefonicamente in albergo la figlia convalescente. La ragazza non risponde, ma
il padre non si preoccupa. Passa altro tempo, ha
l’istinto di richiamare al telefono, ma lascia trascorrere altro tempo. Subisce un avvertimento
“fisico” dal suo male, artritico e di stomaco, delle
fitte. Perentorie. Segni, che non ascolta. Mentre
la nebbia sale dal lago, scorge un incidente: una
autoambulanza e un auto ferme, con un infermiere che litiga con un militare americano a
causa di un tamponamento. Solo fitte, nessuna
Ingresso a teatro, a cura di Anna Maria Cascetta e Laura Peja, Firenze, Le Lettere, 2003, pp. 198 e ss.
49
AFFANNARCI
93
preoccupazione, apparentemente: tutto questo è
la commedia, o se si vuole, il dramma borghese,
inteso nel senso tecnico del genere teatrale, in
attesa dell’arrivo di un senso solenne, sublime,
tragico. Infatti, introdotto proprio da una rapida
visione del salotto vacuo (come poi le voci in lingua americana come sottofondo assurdo al gesto
di Mimmina) della non dimora alberghiera, arriva la tragedia, o l’accenno a quel che del tragico può rimanere in questo ambito moderno. La
scelta è quella della rapidità e dello smemorarsi50:
Il vestibolo ridondante e vuoto, in cui crocchi di
poltrone parodiavano una società. Al cancello
dell’ascensore, in ginocchio nel grembiale verde
un uomo che ne stava lustrando gli ottoni. “Interesserebbe mia figlia”, mi sono detto. In quel momento il portiere mi ha raggiunto e fermato.
- Prego non vada di sopra.
Radicalizzando verrebbe da dire che tutto, fino a quel momento, è stata parodia, giuoco delle
parti. La natura teatrale, fin dal titolo, è palese e
non sfugge agli studiosi: unità di luogo e di tempo, una sola settimana, dramma familiare, dialoghi e monologhi fitti, pochi personaggi. Mimmina, avverte il narratore, recita abilmente.
Annaspando nella nebbia, tra la ghiaia scivolosa e le reti metalliche del primo ospedale,
l’uomo sente una voce che tuona la verità ultima, in quel disastro fisico e mentale 51:
Un dramma borghese, in Guido Morselli, Romanzi, vol
I, Milano, Adelphi, 2002, p.907.
51 Dramma borghese, cit., p.909.
50
94 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
A separarvi, è stato quel vitale bisogno che prova
l’essere umano di uscire da un io per interferire,
assimilarsi, ossia sconvolgere, snaturare. E hanno
torto tutti quanti a non accorgersi di questa necessità (tutti, non lui), che amare è intervenire
nell’esistenza di un altro, annetterla, negarla: capisci?
Se il narratore aveva sfiorato le domande radicali quasi inconsciamente, in buona parte sottraendosi, ora si trova a viverle, scontando la sua
pena in quella notte orrenda, la cui alba, se ci sarà, non ci è concesso vedere. È il tempo di innalzare i punti interrogativi, con l’inevitabile ricordo della tragedia della morte della moglie. In un
aeroporto, altra scena ritornante, si veda il capitolo terzo su Il secondo amore e Il comunista,
cerca un posto in quel frangente disperato e altrettanto inaspettato, dopo l’incidente-suicidio.
Il dolore della situazione, in un innesto tipico di
Morselli, si vive nell’anima e nel corpo, prostrato
da una stanchezza umiliante, da attacchi velenosi del male:
Aveva ricevuto un telegramma, cercava un posto
su un aereo, almeno sino a Zurigo, e non glielo davano. Perché Carla (tua madre, tua madre) lo costringeva a tribolare così? Perché anche lei doveva
avverare la legge, che non è assurda come non è
assurdo niente di quello che accade; come lo sono,
viceversa, le velleità di sottrarsi, di fare eccezione.
(E io ho tentato di fare eccezione, ecco, in questo
ho sbagliato). Strette alle maglie della rete, le mie
dita dolgono. La nebbia ha l’odore tannico del castagno; di là non c’è che il bosco. Sono fuori strada.
Perche la sofferenza? Capita a tutti indistintamente o c’è chi fa eccezione? Morselli è essenziale, tagliente nel descrivere le tappe della via
AFFANNARCI
95
crucis e arrivare, stupendoci, a una sosta in
quella febbrile rincorsa. Giunto a una pineta, si
siede su una sdraio: sente di non essere comunque in ritardo, in una dimensione del tempo attinta dalla coeva lettura di Bergson. In questa
diversa dimensione Mimmina ha trovato il coraggio di aprire una porta52:
Che cosa ti sei fatta, Mimmina. Hai vissuto in poco
tempo tanti anni; io sono uscito, e un’ora dopo tu
eri più matura di me, più amara e più stanca, più
esperta. La tua vita si è logorata in un’ora.
Come accadrà in Dissipatio H.G., dove svariate volte il protagonista sbaglia strada, rispetto
anche alla razionalità diretta e “diritta”
dell’intento suicida, è l’istinto del corpo a riportare alla realtà, nel modo meno sublime possibile, lo stimolo nervoso di urinare. Riprende il
cammino, l’anima e la mente “vuote e sorde”,
finché, in quella pineta diventata infernale, si
accorge di “qual è l’angoscia dell’insetto prigioniero”, la riduzione alla bestialità ci rende uguali
nel sordido dolore e totalmente incapaci di seguire una direzione. Come prima rivolto alla
moglie, ora a Mimmina chiede: perché mi hai
ridotto così?
La scena è ancora lunga, la voce di uno sconosciuto sbuca nel buio e lo conduce dentro
l’ospedale, dove, tra l’altro, una suora prega. Ma
questa dimensione di umiltà non appartiene al
narratore, forse neanche a Morselli stesso (o forse sì se si legge l’articolo della Mainoli su “Studium” e la lunga citazione che ne ho tratta nel
finale del I capitolo di questo volume).
52
Ivi, p. 912.
96 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Anche quello è un labirinto: ma Mimmina
non c’è. Di fuori comincia a piovere, la tentazione è forte di lasciarsi cadere, abbandonarsi al
nulla, come nella scena gemella del Comunista.
Quando “non gli sembrava verosimile una presenza umana in quell’abbandono”, ecco che Eugenia lo trova. E il racconto, spietatamente,
quanto realisticamente, deve registrare la completa estraneità ai fatti dell’uomo, paralizzato,
incapace di commuoversi e poi davanti a Vanetti, il dottore che ha seguito la figlia fino a quel
momento e annuncia di dover avere pazienza
per l’arrivo del chirurgo, ammette di non avere
più un atomo di sostanza che non sia vinta, dolente. Proprio al medico spetta la chiusura del
romanzo: non annuncia né la salvezza né la morte di Mimmina, ma solo che bisogna attendere il
chirurgo. Né commedia né tragedia, come insegna Pirandello. In una terra di mezzo, di contaminazione, di urgenza per i personaggi, di superficialità per gli attori. La chiusa, con
l’accenno alla “attrazione” dei bambini e degli
adolescenti per le armi da fuoco, potrebbe ben
stare in una dimensione gemella ai Sei personaggi, dove il tema dell’incesto sfiorato è al centro della rappresentazione.
Dal punto di vista di una azione “quasi teatrale”, da questo romanzo, il secondo di Morselli, si
evince una straordinaria capacità di narrare partendo da una situazione topica di chiusura, (la
stanza d’albergo dove per lo più si svolge l’esile
trama) all’interno dei sentimenti, in cui sarebbe
facilissimo scivolare nella noia del melenso, in
ben trecento pagine di storia, con pochissimo
plot, se non le manifestazioni d’amore della ragazza verso il padre, sempre più sensuali, le fughe di lui, l’arrivo di Teresa, le meditazioni su e
AFFANNARCI
97
giù nel tempo-memoria. La tensione resta sempre alta, grazie ad una maturità di scrittura notevolissima, con della pagine di rilievo assoluto,
come quelle dell’approccio con Teresa, quando
sembra, rimanendo nel gergo teatrale, che tutto
possa concludersi in una vicenda-farsa di liceo,
dove la ragazzetta si innamora del padre della
amica del cuore, la quale, a sua volta, è innamorata più del lecito del proprio genitore. Peccando
semmai qualche volta di motivazione, ad esempio nell’avvicinamento con Teresa. Ma la descrizione dell’incontro è talmente precisa da far dimenticare qualche incongruenza. Del resto il realismo di Morselli non si conta nella consequenzialità, ma nell’armeggiare speditamente un
tempo altro, riflesso, meditato, vuoto di vere ragioni.
Il tenero abbraccio che vince la malattia è
tema centrale anche in Incontro con il comunista. L’illecito e il tabù sono, però, su piani differenti: Ilaria, come poi Ferranini, infrange attraverso l’eros, delle regole stabilite dalla società di
allora, non un tabù arcaico, spostandosi da un
versante
borghese
di
appartenenza
nell’ambiente proletario del comunista Gildo
Montobbio.
Chiedere un abbraccio salvifico costa caro.
Sembra un frutto proibito per l’uomo, rispetto
alla razionalità del gesto del suicidio come rivolta alla assurdità della condizione umana. Anche
Mimmina, con la sua indole che esige effusioni,
colla sua innocenza (il peccato, dice, è far piangere gli altri) col suo progetto incestuoso, agisce
all’inizio per compassione. O almeno così avverte l’impreparato (ai sentimenti) padre intellettuale, capace di inventare per sé uno straordinario
neologismo: lo stato d’animo della laminazione,
98 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
senza vera infelicità, senza rivolta, un logorarsi
quotidiano senza eroismi. La rivelazione per eccellenza dello stato borghese. Senza né bene né
male53:
Ripenso la mia vita monotona, senza urti né attriti, una vita a cui il mio prossimo non ha dedicato
altro che una incuriosita neutralità. O una distratta indulgenza.
Non resta davvero che mettersi a ridere.
Carla, la madre, avrebbe voluto uscire da
questa spirale. Si mostra la più cosciente e, per
questo, l’ombra del suicidio non la lascia. Figura
memorabile, come quella del medico Vanetti
(funzionale rimane quella di Teresa, con le
splendide pagine d’amore adolescente di cui si
diceva). Carla non riesce a fare a meno di porsi
le domande ingenue e radicali, in modo capovolto: perché tanta pienezza di felicità per noi a
confronto dell’immenso dolore di tante persone
nel mondo? La gioventù della donna, spezzata
quella sera, era stata illuminata da una fede vicina al misticismo. Come è possibile conciliare
l’idea del suicidio con questa fede? Il ricordo di
questa donna misteriosa è l’unico motivo di risveglio dal torpore “laminato” (bellissimo termine che indica la dispersione e l’assenza di ragionevolezza nell’agire quotidiano) della borghesia. Un dolore che assale sia l’anima che il corpo
e che Mimmina, a suo modo, sa alleviare, deviando dalla strada impervia imboccata dalla
madre: la malattia diventa il pretesto della ossessione incestuosa. Del pudore della Fedra di
Racine e della suprema contenzione di quella di
Alfieri, Mimmina non ha nulla. Se per alcuni
53
Ivi, p.638.
AFFANNARCI
99
studiosi il dramma borghese consiste nel guardare morbosamente dal buco della serratura, la
laminazione del padre, in effetti, consiste anche
nel non riuscire ad esimersi di rimanere incantato e nascosto di fronte al gesto della figlia di masturbarsi, a cui seguirà una delle numerose scenate di vero e proprio assalto carnale. La ragazza, da dispensatrice di tenerezza e compassione,
diventa una persona ingombrante da fuggire.
Arrivati per stare insieme perché convalescenti,
dopo una vita separata, dovranno, nei loro modi
diversi, lento quello del padre, impetuoso e istintuale quello della figlia, constatare “il dogma
insulso della solitudine inevitabile”, dopo alcuni
insidiosi passaggi da nursery. Lo “spettacolino”
di lei che fa la commedia diventa insostenibile,
ma non si sviluppa in tragedia se non poco prima della partenza, nei modi che si è descritti.
Tra le tante citazione che rimandano al teatro e
alla atmosfera di sensualità di fronte ad un tabù
nascosto e latente, scelgo la seguente, con la piccante lingua francese (quella di Moliere e
dell’amato Marivaux della arguta e intraprendente Silvia)54:
Eccola, la mia cara commediante. Che cos’ha da
querelarsi, da rimproverare? E poi, perché il francese. Termino di vestirmi. Mi godo il piacere, ancor nuovo, dell’abito che si stringe introno al corpo
e mi veste. […] Che sorta di guazzabuglio ci sia in
quell’anima non riesco a figurarmi. Eppoi, che
c’entra rivolgersi così a sua madre, d’un tratto,
come se fossi qui. Bisognerebbe dire che ha delle
compiacenze da commediante, ogni tanto. Se non
fosse troppo elementare per supporlo. […] Non mi
guarda; è buttata sul letto, i bei capelli sul cuscino
che le fanno matassa in cima alla testa, le braccia
54
Ivi, p.853.
100 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
abbandonate lungo il corpo. Ha tirato fuori dalla
vestaglina un garofano appassito, lo tiene in mano; un’Ofelia.
Mimmina, questo è il vero nocciolo della questione, rimane un enigma. Il metodo dello “psicologismo a scopo strettamente introspettivo”,
dell’“autoanalisi precisa”, per nettare e fare chiarezza, per assicurarsi una “intima pulizia” fallisce miseramente, dopo le fughe con Teresa, in
quella notte di fango.
Altri medici
Vanetti, il medico che ha in consegna Mimmina, con un ruolo importante per la dimensione finale dell’attesa, assume via via uno spessore
non soltanto funzionale allo svolgersi della vicenda principale, bensì attivo e autonomo. Anche agli occhi del protagonista acquista stima e
simpatia progressivamente. Diventa il bravo Vanetti, vedovo con cinque figli, di cui uno poliomielitico: il narratore pensa di superare la spinosa situazione con la figlia affidandola al medico, fiducioso che questi la consideri alla stregua
di una sesta figlia per l’amore che le ha dimostrato oltre il dovere professionale. Viene spontaneo, allora, frequentarlo anche fuori quelle
due stanze d’albergo comunicanti dove si svolge
gran parte del dramma.
In un primo incontro, Vanetti svela un risvolto importante della sua vita: possiede, a Losanna, una piccola industria di caramelle di cui si
vergogna pubblicamente, da stimato medico.
Eppure gli è necessaria per tirare avanti la numerosa famiglia in quel piccolo centro della pro-
AFFANNARCI
101
vincia svizzera, anche per una frode subita da
uno pseudo comitato finanziario-religioso. Vanetti, in questa circostanza, diventa un attore
che deve confessare, attraverso molte reticenze e
allusioni, una verità sincera, è l’albero superstite
di una nave che affonda nei gorghi, prigioniero
del falso salutismo illusorio nella crassa Svizzera
descritta poi in Dissipatio55:
Dacché si è aperto, punteggia le sue chiacchiere di
bislacche figure e interrogativi retorici: senza con
ciò renderle meno gustose, visto che per destino
l’uomo sinceramente commosso non suscita mai
che due effetti, o il tragico o il comico.
Morselli, come implicitamente dichiarato in
queste frasi, mescola tono “drammatico” a quello goffo e comico:
Mi confida che la sua vedovanza è forzata. Mòrtagli la moglie. Ha perso ogni capacità al contatto fisico con la donna. Ammalato, umiliato, odioso a se
stesso. In una villetta suburbana, a Losanna, si cela operosamente un istituto che dispensa accidentate illusioni agli sfiduciati di mezza Europa. Organoterapia, trapianti, effluvi elettrici persino, oltre a suggestione, ipnotismo e, s’intende, psicanalisi.
Il tragico, senza orpelli retorici di difesa, si inserisce in un banale discorso di diete.
All’improvviso. Il dottore deve aver fiatato, preso coraggio per dire qualcosa che gli urge, a
spiegazione della precedente difficile confessione, dichiara di trascinarsi nelle tenebre ma di
aver vissuto parte della vita in una luce meridiana. Racconta di una visione serafica, mistica, av55
Ivi, p.756.
102 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
venuta non in una chiesa, ma proprio nel caffè
dove stanno in quel momento cenando.
Tipica contaminazione tutta morselliana, dove campeggia il cartello sullo stipite della porta
con la scritta “Reparti pasticceria”, in quella luce
maestosa gli sono apparse in caratteri di fuoco
altre parole: “ecce Dominus ineffabilis”.
Potrebbe sembrare una farsa, eppure il dottore è convincente, serio. La consequenzialità della
scena è toccante. Morselli sceglie - lo farà sempre in casi analoghi - di agire come si esprime di
fronte al dottore il suo protagonista: “Ritengo
opportuno non fare commenti. Lui passa a raccontarmi della moglie morta”. Non c’è tempo di
rifiatare e ogni altra parola sarebbe fastidiosa56:
A diciotto anni, ero tutto uno slancio mistico –
conclude poi – Tutto rivolto al cielo. A venticinque, quando la conobbi, le donne mi erano
sconosciute, non ne avevo toccato una. Mi è
morta, e non ne ho più avuta una; e si che le
occasioni non mi mancano. Anche in questo
senso fisico, evidentemente io ero monogamo.
Quella morte, per me, è stata la fine. Ero
un’anima ardente e ho perso la fede, anch’io
come tutti. La fine, egregio signore, capisce?
Dio mi ha abbandonato.
Questi sono i veri motivi della perdita della
fede, intende chiaramente comunicarci lo scrittore, attraverso il suo personaggio, non quelli discussi inutilmente dai teologi (temi del carteggio
con il Padre Giovanni Battista Mondin57 e di
Ivi, p.868.
Rimando al mio: L’astrattismo dei teologi e l’ingiusta
sofferenza. Due libri dalla biblioteca di Guido Morselli,
“Parole rubate”, n.6, dicembre 2012. Padre Mondin, ancora attivo a Roma, all’Antonianum, ma che, contattato dalla
56
57
AFFANNARCI
103
Teologia in crisi, in quegli stessi anni). Vanetti
continua il suo discorso, riportandolo sulla sua
“vergogna”: quella sua cura del corpo giudicata
senza speranza (lo ripete con occhi sbarrati, con
toni che al giornalista appaiono terrificanti, quasi avessero risonanze diaboliche), per concludere con le domande:
Che cos’è la vita ormai, per me? Cinque figli che
crescono allo sbaraglio. Uno, infelice per sempre,
vittima di un male che non guarisce. Che cos’è la
mia vita? Dio mi ha lasciato, non ci sono più appelli dall’alto. Non ci sono più luci. Mi mancano i
principi e i fini supremi. Mi trascino. Tiro avanti
aspettando, ogni anno, l’estate per fare il mio mese
di crociera.
Dove ha peccato quel bambino vittima di un
male che non guarisce? Domande che Morselli si
pone ormai da più di un ventennio. Che rimbalzano in scene identiche in ambiti molto diversi,
magari con itinerari capovolti, come, ad esempio
in un breve inciso di Contro-passato prossimo,
nel personaggio di Ludovico Schwanthaler, a cui
muore un figlio “naturale”, ucciso perché sorpreso dal marito dell’amante. L’uomo, sentendolo come castigo della sua connaturata sregolatezza, lascia una brillante posizione militare per
farsi monaco benedettino. Pur non essendo cattolico, resta convinto di dover espiare in prima
persona. A Subiaco, ci fa sapere Morselli, l’uomo
trova la felicità (l’ispirazione potrebbe venire
anche dal noto romanzo di Fogazzaro Il santo,
Terziroli, ha dichiarato di non rammentare nulla di Morselli, non è l’unico teologo con cui Morselli instaura un dialogo, come vedremo nel quinto capitolo, con caparbietà e
insistenza, sul tema del male e del peccato originale, spesso ricevendo risposte evasive, imbarazzate o fuorvianti.
104 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
presente nella biblioteca personale dello scrittore). Lo ritroveremo più avanti, nel pieno delle
azioni belliche nella III parte del romanzo, a
svolgere, nella sua nuova veste, una azione diplomatica per conto del papa.
Saverio Maggio di Uomini e amori è medico.
Non molto stimato nell’ambiente (come Karpinski), possiede inclinazioni poetiche e letterarie
che lo rendono diverso dalla media borghese. E
ne è consapevole. Le ultime pagine del primo
romanzo di Morselli, ambientate durante la Seconda Guerra Mondiale, in Calabria dove i due
protagonisti del romanzo si ritrovano in un territorio scopertamente autobiografico, segnano
una sconfitta per la sua arte medica.
Ferito a morte è proprio Vito Antonicelli, detto Cambria, il coprotagonista dell’azione narrativa. Una incursione aerea degli alleati gli ha
procurato una ferita mortale e tocca a Saverio
constatare la gravita della situazione.
Ha già dovuto assistere impotente alla morte
di una bambina, Ada (come si vede elemento ricorrente in Morselli), per colpa di una piccola
ferita provocata da un chiodo arrugginito. Episodio che si lega, come una ombra, alle questioni
amorose di Vito, innamorato, anni prima, della
madre di Ada. Di fronte al male, alla guerra, alla
malattia, afferma un personaggio minore, non
serve dare teorie, si ha solo da scegliere un partito, ciascuno con la sua ostilità e la sua bellezza,
contrastarlo con l’azione o accettarlo con umiltà.
Come Vanetti, ancora prima di assistere
all’amico morente, Saverio dichiara di aver perso la fede. Il processo è lento rispetto al suo collega del Dramma borghese, le circostanze in cui
si trova nel conflitto bellico avvicinano però i
AFFANNARCI
105
due momenti in un silenzio attonito di tragedia.
Con Cambria, in fin dei conti conosciuto da vicino solo in quella casuale quanto forzata vita comune in Calabria, aveva discusso della ipocrisia
dei cattolici, insopportabile e ben rappresentata
dal rigido cappellano militare. Le sue meditazioni non sono diverse da quelle già rilevate nella saggistica religiosa e filosofica, durante e dopo
la stesura del romanzo.
Quella di Saverio è una vera e propria crisi,
accentuata dalla lontananza e dalla probabile infedeltà di Nene, la donna che ama.
Fedele alle sue posizioni sull’amore, aborrita
la gelosia come sentimento egoistico per eccellenza, il medico non era intervenuto in nessun
modo, apprese dalla suocera le “novità” sulla
moglie.
Tuttavia, “l’isolamento e le asprezze” di quei
mesi di solitudine, oltre a provocare stanchezza,
lo avevano inaridito. Dio gli appare lontano
(quanto risuona in bocca ai personaggi di Morselli questa constatazione!), inaccessibile, una
astrazione metafisica o qualcosa di meno ancora. La guerra non fa che dimostrare
l’irrazionalità degli eventi umani, in totale contrasto con l’idea di una divinità positiva. La sua
consuetudine di riferire ogni cosa alla Provvidenza era ormai solo un ricordo.
In questo contesto, arrivati dal cielo gli orrori
della guerra, sotto forma di bombardamenti con
i quali il tedio di quei mesi si interrompe, ma
con il peso di altri quattro morti, oltre Vito, non
rimane che l’esercizio del proprio dovere di medico. Saverio è cosciente che la sua pratica professionale non ne ha diminuito la sensibilità: se
il caso (e la necessità) vuole che non possa vegliare Vito fino all’ultimo minuto perché richia-
106 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
mato al capezzale di altri malati, l’utilità della
sua professione, l’umanità dignitosa dell’amico
morente dicono l’ultima parola in questo primo
finale, bellissimo e premonitore, della narrativa
di Morselli.
Ilaria, amante borghese. La guerra, gli
abbracci, il tradimento
Se Incontro con il comunista è ambientato
durante la Seconda Guerra Mondiale, con a fuoco la resistenza partigiana, l'introduzione alla
prima parte della trilogia di Fede e critica, ci indica la stessa fonte ispirativa nelle meditazioni
su quella esperienza tragica.
Filosofia sotto la tenda non ha carattere sistematico e non è neanche, precisa Morselli, un
diario di Guerra. Diario è, invece, Incontro con il
comunista, dove si alternano narrazione di avvenimenti con riflessioni in qualche passaggio
non dissimili, anche per lo stile, dagli appunti
della trilogia.
Nella prima pagina dattiloscritta del “libello”
saggistico, ancora inedito, la guerra è considerata una “silloge” certamente “deprecabile”, icasticamente simbolica “della immoralità e moralità
di questo nostro mondo”. Ciò induce all'approfondimento di una “categoria” necessaria a
comprendere l'esistenza stessa dell'umanità. Il
problema del male, assai dibattuto in sede teorica e speculativa, impegna, infatti, “direttamente
la sfera individuale” di ogni singolo uomo, ponendo delle domande che rimangono irrisolte.
Morselli, più avanti, a pag. 2 del dattiloscritto
inedito, riassume in una formula, poi ripresa an-
AFFANNARCI
107
che nell'apertura del volume edito di Fede e critica:
Il male assume per l'uomo l'aspetto della sofferenza, che è un fatto soggettivo, o senz'altro, relativo
all'individuo.
Come tutta la speculazione di Morselli sarà
chiamata a dimostrare, non c’è problema filosofico o religioso che si ripercuota più profondamente nella vita privata dell'uomo comune58.
Problema magari rimosso, finché la vita non lo
ripropone con evidenza di fronte al dolore o alla
morte di qualche persona cara. Motivo filosofico
che interessa, dunque, come nessun altro, l'uomo quotidiano, non in astratto, ma in vista di
una concreta risposta ai suoi bisogni. Con un
correlativo oggettivo tangibile a questa domanda
eterna: la malattia. Ne abbiamo parlato, ne riparleremo di nuovo.
Altre due osservazioni di Morselli, in sede
preliminare, vanno annotate. Intanto ogni discussione sulla morale deve, tentativamente, rispondere al quesito sul male, che si pone in termini “pratici”:
[Il male] Questa realtà così palesemente estrinseca, nella sua ineluttabilità, così efficace nel persuaderci della nostra natura di esseri limitati e subordinati — il male, in ogni suo aspetto — non può
tuttavia venire appresa, esplorata, se non negli effetti che ha in noi.
Attributi, “limitati” e “subordinati”, che i personaggi di Morselli ricevono quale sigillo battesimale, a cominciare dalla protagonista femmi58Nel
capitolo seguente si vedrà come questa idea è svolta
nel Comunista.
108 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
nile, Ilaria Delange, la scrittrice di Incontro con
il comunista, di cui si descrive la volontà, incontrato il comunista, di subordinazione alla figura
autorevole di lui, fisicamente, intellettualmente,
moralmente. Il male, e quotidianamente, il suo
correlativo oggettivo, ci pongono in una situazione di manchevolezza e di attesa che rispecchiano figuratamente la nostra natura, appunto,
limitata e subordinata. Dato, in sé, certamente
non
positivo,
da
cui
può
scaturire
un’inquietudine positiva e aperta verso il riconoscimento di una alterità da cui, evidentemente,
si dipende.
Se gli spiragli utopici e ottimistici, insieme ad
esempi folgoranti di grandi interpreti di tali esperienze, Agostino su tutti, non mancano nei
saggi sulla fede, la narrativa scende nell'attualità
scevra di modelli autorevoli. Rivelando in pieno
la fragilità interiore della natura umana, che non
può riposare se non sotto le ali di un uomo integrale, libero da tendenze individuali.
In questo senso le vicende di “comunisti”, diversamente da quelle dei borghesi perennemente in lotta con l’egoismo o con un falso eroismo
di matrice romantica, sono storie di una lunga
illusione di aver incontrato, durevolmente, questa integrità, nel campo ideologico e in quello affettivo.
Nell’Incontro con il comunista l’ultima pagina rivela crudamente il tradimento di Gildo
Montobbio: tanto lento l’itinerario della subordinazione della scrittrice, borghese, vedova quarantenne, Ilaria, alla statura morale e umana di
lui, il comunista, tanto breve e scarno, significativamente, il finale. Senza alcun commento e
giustificazione e neanche descrizione dello stato
d’animo di Ilaria, ella si accorge non vista, alla
AFFANNARCI
109
stazione, che lui, nel momento di ripartire per il
fronte, teneramente abbraccia un’altra donna: il
distacco da lei, pensa Ilaria, in una frazione di
secondo “deve essere stato penoso”. (E questa è
l’unica, tremenda, notazione psicologica che vanifica, in poche frasi, l'illusione d'amore. Il distacco da lei, è evidente il sottinteso, non è stato
così penoso. Non l’ha voluta alla stazione, perché — diceva — non voleva gli addii retorici,
commoventi, plateali: ora Ilaria comprende la
verità). Il dubbio sulla personalità di Gildo, affiorato debolmente nelle pagine precedenti, esplode in queste desolate frasi, scarne e avvelenate, senza nemmeno il conforto di un qualsivoglia commento e tantomeno giustificazione. Si
ha solo la sensazione di una incertezza, di un
pudore, come di una mano tremante
nell’impugnare quella pistola che di lì a poco
scaricherà il suo colpo violento e repentino, destinato a sconvolgere, autentica catastrofe tematica, nascosta in uno stile volutamente en bas,
ciò che gran parte del tessuto narrativo aveva
costruito fino a quel momento. Scena che dilegua velocemente, come la protagonista, che ora
ha solo voglia di fuggire59:
Non ho avuto bisogno di guardar meglio. Ho sentito che era lei. Non ho pensato a nascondermi, ero
vicina al muro e mi ci sono appoggiata; tanto, sapevo che non mi avrebbero vista. Ma quest'altro
distacco dev’essere stato penoso, per Gildo. Si sono stretti, baciati sulla bocca, lì in mezzo alla gente; un bacio che è durato qualche istante. Poi sono
uscita dalla stazione, ho camminato un poco prima
di prendere il tram. Il tram costeggiava il nostro
59Guido
Morselli, Incontro con il comunista, Milano, Adelphi, 1980, p. 126.
110 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
scalo merci, ho riveduto le due finestre di casa
“nostra”.
La narrazione/diario si interrompe poco dopo, dando la sensazione che la parola narrativa e
diaristica abbia avuto un impulso notevole in
quella stagione affettivamente importante, tornando ora al suo carattere meramente elencativo di fatti. Punta acuta di quello che presumibilmente è un grande dolore che non si evidenzia in una disperazione strillata, ma, piuttosto,
nella perdita completa di ogni energia vitale, di
ogni reattività alla sconfitta bruciante.
Senza soluzione di continuità, disinnescata,
volente o nolente, la grande delusione, prima di
concludersi, il diario ci attesta il ritorno alla
normalità con il rientro di Ilaria al suo albergo,
segno distintivo della classe d'appartenenza, più
volte sottolineato nel confronto con il palazzo
popolare dove vive Gildo, la “nostra casa”, il luogo dell'incontro d'amore.
“Appena entrata in camera, una chiamata al
telefono da Sussmilch”: si tratta di un tedesco,
fedele al Führer e compagno della migliore amica di Ilaria, Francesca. È invitata a una “riunione
per festeggiare il genetliaco del Führer” ma Ilaria rifiuta sia per il totale svuotamento di energie sia per la subordinazione vissuta nei confronti di Gildo che suona comunque, politicamente, come eredità positiva, nel rifiuto netto
dell'ambito borghese fascista, col quale del resto,
Ilaria non aveva avuto troppa simpatia neanche
agli esordi del romanzo.
Il diario, fin dalla prima pagina, si può considerare la descrizione di un periodo di convalescenza, quella di Gildo, amico e commilitone del
figlio di Ilaria, attraverso la lente di una improv-
AFFANNARCI
111
visata “assistente” del malato, sempre più coinvolta nella personalità di lui. Paradossalmente,
grazie anche alle sue cure, che finiscono, come si
è capito, in un affetto particolare e poi in una vero e proprio amore, Gildo guarisce dalle ferite di
guerra ed è pronto per tornare al fronte. I due
decidono di interpellare un amico, colonnello
medico, per prolungare la convalescenza e conseguentemente, la licenza di Gildo per rimanere
a Milano.
Non sembra una cosa difficile per il buon “colonnello P.” ma a questo punto il partito impone
a Gildo di rientrare al suo posto e, di conseguenza, alla sua missione nell'ambito della opposizione clandestina. Si sfiora, in queste pagine, ma
senza entrare nel merito, quello che invece nel
Comunista sarà uno dei termini del contenzioso
tra Ferranini e il suo partito: il rapporto tra l'affettività, la sfera cosiddetta privata e l'interesse
collettivo, che in fin dei conti, corrisponde ai
dettami del partito, o meglio alle direttive di
uomini preposti alla sua guida. Morselli in proposito pone un intelligente quesito, in cui è lecito osservare una certa ironia. Se infatti il vero
comunista deve rinunciare60 “a vagheggiare la
propria intimità” e individualità è innegabile che
figure come Gildo sono al di sopra della media
dei compagni proprio in forza della loro potente
individualità. E per questo portate a comandare,
a decidere.
Ecco come il diario descrive Gildo, nel pieno
della vicenda d'amore61:
60Ivi
61
p. 114.
Ivi p. 99.
112 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Uomo d'azione ma che ama le pause contemplative. Come è un sensuale che conosce lunghi intervalli di gelo. Limpido e talvolta impenetrabile, indubbiamente quest'uomo ha un'individualità non
confondibile, non riducibile.
Una descrizione a cui62
si accorda non so come, una fede che è di quelle
che tendono non solo a permeare una personalità,
ma sopraffarla [...] Non si può avere le idee che ha
Gildo senza sacrificare loro le inclinazioni, le abitudini, le anomalie, che fanno l'individuo nella sua
singolarità, nella sua insularità. E lui in qualche
modo deve accorgersene, se mi ha detto “Essere
soltanto comunisti non si può, certe volte bisogna
essere anche uomini”.
E, ancora, il rilevamento, ingenuo e significativo, di un forte contraddittorio, nell’ambito delle ideologie63:
Mi pare che il collettivismo livellatore nasconda
un'intima contraddizione: per vincere ha bisogno
anch'esso di uomini rilevanti, ma tali uomini incarnano proprio l'antitesi della dottrina per cui
combattono.
Note in linea con le osservazioni di Filosofia
sotto la tenda rispetto alle ideologie più fortunate del nostro secolo64.
Ivi p. 100.
p. 96.
64 Se ognuno ha il suo peculiare bene da compiere, corrispondente al suo modo di uscire dall’egoismo, per illuminazione, ed entrare nella sfera morale, vi è una entità che i
grandi (quelli illuminati dalla tensione extraegoistica) riconoscono essere una “Madre Natura” al di sopra del genere umano e la quale “dispone che ogni essere umano
abbia una situazione diversa, rispetto a lei e agli altri esse62
63Ivi
AFFANNARCI
113
Questa individualità permette a Gildo di
combattere delle battaglie, anche all'interno del
partito clandestino e di essere ascoltato. Poi, nel
Comunista, di diventare alto dirigente del partito, a Roma.
Emerge, allora, un carattere duro, taciturno e
enigmatico, fortemente volitivo. La donna ne è
attratta, anche se ben comprende di essere oggetto di sottili ipocrisie: Gildo si compiace di entrare nel suo letto per una missione ideologica,
che rientra “anche sotto le lenzuola” nella “finalità del partito”. Mentre fa l'amore, il compagno
Gildo “lavora” un avversario, lo conduce, amorevolmente, verso la giusta causa65:
Dovrei offendermi, ribellarmi? Vicino a Gildo io
sono felice. È stato Gildo a rivelarmi che nella parte della donna, ossia nella nostra subordinazione,
c'è un incanto indicibile, l'unica possibile felicità.
Le mie velleità di autonomia femminile sono un
ricordo lontano, e che talvolta ha persino del comico.
La subordinazione ad una personalità dominante, concetto attinto dal caro Amiel66, per afri, e perciò sia chiamato a percorrere una sua distinta parabola”. Le ideologia per Morselli tendono invece ad associare moralità all’ uniformità, al collettivismo, all’idea astratta di bene comune. (p. 27 e ss. del dattiloscritto di Filosofia sotto la tenda).
65Guido Morselli, Incontro con il comunista, cit., p. 100.
66Un altro dei libri chiave della formazione di Morselli
come la critica ha rilevato è presente nella biblioteca personale in francese, Henry Friedrich Amiel, Fragments
d’un journal intime, introduction de Bernard Bouvier, Paris-Geneve, Libraire Stock-George, 1927, nella catalogazione del Fondo Morselli come MOR 887-888, dove oltre
alla subordinazione si trovano i concetti di amore (anche
mistico e sublime) ed egoismo contrapposti fortemente
114 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
fetto è il contenuto primo, specifico, della lunga
illusione. Ed è la stessa parola che abbiamo trovata in Filosofia sotto la tenda in un senso obiettivamente più universale rispetto a questo
luogo dove è evidenziato dal carattere stesso della femminilità67. Affidarsi ad una personalità autorevole comporta anche l'accettazione delle sue
idee:Gildo diventa “missionario” del proprio
credo.
È questa autorevolezza nella affettività e nel
comportamento umano che apre a Ilaria la fiducia nella persona prima che nelle sue idee. Anzi
Gildo, in questo senso, è un comunista sui generis68, o se si vuole un vero comunista, capace di
sacrificare il proprio io per andare incontro
all'altro.
Se ne ha la prova più lampante quando la “individualità” di Gildo prevale sulla questione dei
“fascisti convertiti” che per lui vanno assolutamente ammessi nelle file del partito clandestino.
Il romanticismo utopico di Ilaria esalta le idee di
67Ricorda
Valentina Fortichiari, a pag. XXII della sua nota
a Guido Morselli, Diario, Milano, Adelphi, 1988: “A parte
certi percorsi autobiografici di ricerca, filoni omogenei di
studio o di semplice curiosità, la netta maggioranza delle
letture e delle citazioni era legata strettamente alla produzione scritta di Morselli, ne costituiva una sorta di lavoro
preparatorio-documentativo, una base di ispirazione e talvolta autentico modello sul quale costruire alcuni personaggi dei romanzi (come nel caso di Ilaria, nell’Incontro
con il comunista, tratteggiata attraverso la sensibilità di
Amiel), in questo contesto le riflessioni diaristiche diventano anche chiavi di lettura per comprendere l’intera sua
opera letteraria”.
68Cambierà
del tutto, finita la guerra, pienamente inserito
nell’ambiente affaristico romano, pur mantenendo la fede
comunista.
AFFANNARCI
115
Gildo, favorevole invece ad un perdono radicale.
Il “comunista” arriva addirittura a dichiarare
che il fascista pentito è il miglior compagno, il
più attivo.
Perentorio si presenta, in queste altre espressioni di Ilaria, il rapporto tra i due. La speciale
subordinazione di lei alla sua autorevolezza, alla
sua individualità69.
Ci vogliamo bene e ce lo dimostriamo; se volesse,
Gildo avrebbe in me un'adepta volenterosa, tanto
naturalmente mi sento portata a condividere ciò
che egli sente o pensa.
La subordinazione a Gildo, sempre si badi
bene per gli occhi innamorati di Ilaria, contiene i
fattori positivi del comunismo e travalica, come
parzialmente già considerato, questa ideologia,
in un territorio meno dogmatico 70:
Per la seconda volta, ascoltandolo, mi sono chiesta: ma è un comunista quest'uomo? [..]
Quest'uomo vede meglio dei suoi compagni, ha
delle idee che s'impongono, nell'interesse della
causa.
E infine un'altra notazione, sempre descrittiva della meraviglia di una donna, matura, vedova che scopre il vero amore a quarant'anni e ne
passa in esame, via via, come davanti ad uno
specchio, le sempre più avvincenti, straordinarie, qualità71:
Ivi, p. 98.
p. 96.
71Ivi, p. 102.
69
70Ivi,
116 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Mi è stato caro, invece, saperti nemico dichiarato
degli egoismi, delle menzogne che io mi vedevo intorno, in quello che era il mio mondo. Mi sembra
di doverti essere grata come all'uomo che mi ha
restituita a me stessa.
Poco dopo questa dichiarazione — con le stesse parole si potrebbe rivolgersi a una entità religiosa tramite un suo rappresentante sulla terra,
dichiarando d’aver ritrovata la fede — Gildo è
sorpreso da Ilaria, una prima volta, con la ragazza della “stazione”.
Significativo che il primo forte dubbio su Gildo, superato di slancio, venga proprio dopo una
totale dichiarazione di fiducia, quasi ad anticipare quello che il finale, poi, non dice, maschera
nello squallido silenzio delle cose ritornate uguali.
Ilaria lo perdona anche perché la vita “borghese”, senza di lui, è diventata arida, insopportabile. Una sensazione fisica: ancor prima di diventare amante di Gildo, e inconsciamente già a
causa di lui, rifiuta le proposte del suo editore,
Caggiani, figura rappresentativa degli ideali borghesi. Episodio significativo se si confronta con
l'abbraccio al centro della vicenda amorosa di Ilaria e Gildo. Qui l'individualità è sentita come
limite: tra le braccia di Caggiani, la donna sente
di non avere volto, di non essere se stessa. Ci sia
consentito il ricorrere ad una lunga citazione 72:
Io in piedi, fra le sue braccia, le nostre figure moltiplicate da quegli specchi, avevo idea di star compiendo un esercizio mondano, di dover muovere il
passo di una danza. Ricordo che mi sono guardata
la nuca come per accertarmi della acconciatura; la
72Ivi,
pp. 31 e 32.
AFFANNARCI
117
persona di Caggiani, aderente alla mia, spiegava
anche in quella posa e in quella tenuta un vigore
asciutto, un’impeccabile eleganza. Le sue mani mi
carezzavano la schiena, la bocca premeva progressivamente la mia, ma ancora ogni suo gesto era
esattamente misurato; corretto come l'anodina
fragranza di dentifricio spirante da quelle labbra
sottili e appena dischiuse. Tutto quel suo procedimento mi pareva ieri sera diviso in episodi, ridotto
all'astrattezza dei fotogrammi di un film. Aveva
vagamente il senso di una didascalia sopra un cartellone: l’amore illustrato in otto figure, o cosa simile [..]
Ed è stata, di quel frigido accostamento al piacere,
la prima sensazione che mi penetrasse: un brivido
di pena, affiorante da chissà che lontani ricordi
puerili: l'uomo contemplava i miei fianchi quasi
nudi e io ero già remota da lui e da me.
L’intimità dei ricordi dell'infanzia diventa qui
un muro di freddezza, come di due oggetti separati da una improvvisa glaciazione. Di tutt’altra
natura la splendida descrizione di un abbraccio
rivelatore tra i due nuovi amanti.
Ma per commentarlo è necessario tornare
all'inizio accennando all'altro elemento precipuo
che forma la natura dell'incontro: la malattia,
correlativo oggettivo del male e della guerra.
Gildo è abbracciato, letteralmente, per placare il freddo provocato dalla febbre, risalita dopo
un periodo di relativa buona salute.
La malattia di lui crea, all’inizio, una particolare situazione, che man mano, come si è capito,
si rovescerà nel suo opposto: l’uomo ferito, sia
pur non chiedendo aiuto, lo riceve gratuitamente dalla donna. Entrambi ne provano giovamento: lei si sente realizzata, prima ancora di presentire il sovrapporsi di un altro sentimento,
quello dell’amore. Lui, il comunista, senza lamentarsi, fedele alla durezza autorevole del suo
118 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
personaggio, riceve insperate e gradite attenzioni.
Gildo è in licenza a Milano, convalescente,
deve guarire dalle ferite provocate da schegge di
granate penetrate nel suo corpo e che danno, fisicamente, l'idea della vulnerabilità, nella continuità di quell'eccidio universale sul corpo del
singolo.
Roberto, il figlio di Ilaria, in una delle tante
lettere dal fronte parla ammirato alla madre di
“quel suo compagno d'armi che è ricoverato
all'ospedale militare di Baggio” 73. “Non ho mai
visto Roberto così sollecito per nessuno dei suoi
amici” commenta Ilaria, intravedendo quella solidarietà tra commilitoni, quella pietas che deriva dall'esperienza della guerra, dalla condivisione soprattutto di dolore e malattia.
L’uomo, scrive nella parte edita di Fede e critica, è un essere dipendente, nella sua fragilità.
E il Dio, è un appunto significato nel contesto
del discorso a cui ora non si accenna, è anche,
come recita il salmo 196, Dio della nostra salute.
“L'uomo come tale è stato definito: un essere che
ha bisogno di Dio74”.
Si tratta di un atteggiamento naturale, originario, proprio della “specie umana” nel caso
specifico di Gildo, magari sepolto da un carattere particolarmente forte e che riaffiora nella malattia, nonostante il comunista voglia mostrare
la propria abnegazione e indipendenza: “Domandare, attendere, anche nei rapporti umani è
sempre un subordinarsi75”, in una commistione
73Ivi
p. 9.
Morselli, Fede e critica, Milano, Adelphi, 1977, p.
74Guido
235.
75Ivi p. 234. Il corsivo è mio.
AFFANNARCI
119
tra la lezione evangelica e quella di Amiel.
D'altra parte in Fede e critica, come nei personaggi salvezza alla Karpinski, emergono le caratteristiche di quello che potremmo definire il
Dio Persona, “amabile” soprattutto con i malati
e i peccatori.
Il mondo borghese ne è l’antitesi. Quello comunista diverge nella sottolineatura del collettivismo, a scapito della ricezione della individualità irrepetibile di ogni persona.
Gildo non è sfiorato, al proposito, da nessun
dubbio, quando il partito, intromettendosi di
fatto anche nella sua “sfera” privata, gli ordina di
tornare al fronte dove potrà giovare all'attività
clandestina dei compagni.
Il diario di Ilaria disvela l’incontrarsi in un
territorio comune di due personaggi diversi per
esperienze e classe di appartenenza. Il territorio
del bisogno e della fragilità, antitesi, di fatto, di
ogni spocchiosa adesione a una certa ideologia o
prassi di vita.
Lo stile narrativo, asciutto e realistico nelle
descrizione d'ambiente e nei dialoghi tra i personaggi, riesce a trasformarsi nei momenti in cui
più pressante è la richiesta di aiuto, sia pur velata in Gildo, che reciprocamente i due si chiedono.
La convalescenza è momento privilegiato, favorevole all’“incontro”76:
Io sono felice di poter far qualcosa per
quest’uomo. Non ho mai creduto alla sincerità e
utilità della cosiddetta beneficenza: ma col Montobbio mi sembra che si sia stabilito un rapporto
diverso, senza unzione da parte mia, senza umiliazione da parte sua.
76Guido
Morselli, Incontro con il comunista, cit., p. 16.
120 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Così Ilaria nelle prime pagine del diario, dove
già viene alla luce il carattere della donna, il suo
bisogno di riconoscersi in qualcuno: “Mi sono
sentita attrarre a quell'uomo da un'improvvisa
pietà, irriflessa e profonda” 77.
La figura di lui è invece emblematica tra durezza e richiesta di pietà, nella malattia: è orfano, vive una crisi religiosa che lo porterà al pensiero di farsi frate, sente la vocazione sociale per
l'altro ed è ferito di guerra (elementi che in parte
passeranno in Walter Ferranini). La fragilità iniziale del suo corpo ferito è descritta con minuziosità78:
Il gesto con cui si è scoperto è stato così impaziente e brusco che mi è mancato il tempo di volgere il
capo. Prima che la suora gli rialzasse il lenzuolo, la
nudità del povero Montobbio si è rivelata per
qualche istante, pietosamente, con la laidezza miserabile che ha il sesso sulla carne inferma. [...] La
magrezza di quel corpo mi ha fatto pena.
Nudità, povertà e addirittura squallore “laido”
nel corpo umano: di per sé, materialmente, un
silenzioso grido di pietà che Ilaria raccoglie.
È un miscuglio di sacro e profano, di sentimentalismo e di nostalgia per una dimensione
evangelica dell'incontro tra uomini non infrequente in Morselli.
Se Fede e critica (nella sua completezza, in
particolare nell'ultima parte Due "vie" della Mistica) auspica la presenza di un uomo totale, incarnazione della carità universale, della misericordia, allontanandosi dall’immagine del Dio
77Ivi,
78Ivi,
p.21.
p. 20.
AFFANNARCI
121
imperscrutabile che ammette il Male, la presenza continua della malattia (psicologica e fisica)
nei romanzi, nelle due formidabili sceneggiature
per il cinema (dove il tema è centrale: Il secondo
amore, È successo a Linzago Brianza) e in parte
nel teatro (Il redentore), ne attesta e ne sottolinea allo stesso tempo l’urgenza e l'assenza, nella
descrizione, spesso commovente, della fragilità
umana. Lo abbiamo dovuto ribadire più volte,
tanto incarna la visuale più profonda della sofferta riflessione artistica e saggistica di Morselli.
In bilico tra questi due poli si muovono figure
positive ma laterali nell'azione dei romanzi. O
altre, come nel caso della storia d'amore di Gildo
e Ilaria, portate a vivere per un breve periodo un
sentimento di dipendenza o subordinazione, extra egoistico: “Mi sento in qualche modo impegnata verso quest'uomo, ancora infermo, ancora
inerme e solo” 79.
La guerra si rivela momento simbolico dell'esplosione del male/malattia opposto a quello
della pietà80:
Il racconto che Roberto mi fa nella sua ultima lettera dimostra semplicemente come la guerra metta l'individuo di fronte a delle brutali necessità, costringendolo a soffocare nel proprio cuore ogni istinto pietoso.
Uscire dall'ipocrisia e dall’egoismo consiste
per Ilaria nel rifiutare gli ideali della sua classe e
condividere l'amicizia di Gildo. Ancor prima di
averne compreso gli aspetti ideologici, cerca di
seguirne l’esempio. Tutto il resto appare vani79Ivi,
80Ivi,
p. 24.
p. 26.
122 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
tà81:
Ho avuto d'un tratto, guardando quei libri [ i suoi
romanzi ] la nozione precisa dell'inconsistenza del
mio lavoro [...] niente se non vanità e ozio. [...] Mi
accorgo che il gusto di scrivere mi abbandona senza rimedio non appena si delinei in me una crisi,
un disagio, breve o lungo che sia.
Parallelamente le pagine del Diario mettono a
fuoco la personalità di Gildo. Si scopre allora la
sua attività clandestina e la sua passata vocazione religiosa. Si discute sul comunismo, si affrontano con lui varie questioni. Si accenna alla degenerazione parallela dei due movimenti che
hanno come finalità precipua l'attenzione ai bisogni materiali e spirituali dell'uomo: il comunismo e il cristianesimo, quasi che la fragilità poi
esplosa nel singolo carattere dei protagonisti sia
anche quella delle grandi “ideologie” della storia.
Intanto Montobbio chiede ad Ilaria, per non
perdere l'assegnazione della casa popolare intestata al fratello, di trasferirsi, “formalmente”, da
lui. È il primo atto per trasformare, nel secondo
capitolo, quella casa, nella “nostra casa”.
La prima parte si chiude su di un breve episodio con Caggiani, che lascia alla donna un senso
di pena con quel suo discorrere elusivo, svagato,
sofisticato.
Ma soprattutto, con osservazioni di Ilaria sulla felicità, il cui avvertimento, dicono “i saggi” di
questo mondo, si lega all’entusiasmo di una età
giovanile. Prima di essa siamo bambini, dopo di
essa siamo adulti, trascrive leopardianamente
nel suo diario la donna, evidentemente ancora
nel guado, pur avendo superato i quaranta.
81Ivi,
p. 35.
AFFANNARCI
123
Quella crisi però si ripresenta ogni tanto, in
forma di moleste interrogazioni:
È giusto rassegnarci alle tenebre e al freddo: ma
non possiamo accogliere la luce e il calore nei rari
momenti in cui ci sono dischiusi, se tutto l’essere
vi aspira, con tutte le sue forze? 82
Significativo nello svolgimento delle sequenze
all'inizio della seconda parte il disvelarsi, reciproco, della malattia. Partendo da una ben nota
situazione di orfanità, anche questa caratteristica dolorosamente autobiografica di cui porteranno il notevole peso molti personaggi morselliani. Linda Terziroli, in un saggio profondo e intelligente83, trova la chiave interpretativa
dell’intero universo dello scrittore, alla luce della
prematura scomparsa della madre. Gildo diviene orfano dei genitori a soli tredici anni, e vive
parecchi anni in un ospizio salesiano. A Ilaria
confida di sentirla vicina alla figura materna,
morta quando era circa della sua stessa età.
Prima dell’abbraccio, e prima di diventare
l'amante del comunista, all'inizio della seconda
parte, anche Ilaria è malata, sia pur solo di una
febbre mestruale, frequente in lei, “inevitale tributo all’influenza”.
Inevitabile anche la visita medica, fredda,
professionale, quasi nociva dell'intimità, alla
quale Ilaria si sottopone suo malgrado: “mi son
dovuta sedere sul letto, quello mi ha palpata e
auscultata. E mi è parso un supplizio”.
Ancora con qualche linea di febbre Ilaria esce
Ivi p.54.
Linda Terziroli, “Quand l’amour meurt”. I personaggi
orfani di Guido Morselli, “In limine-Guido Morselli”, agosto-dicembre 2012.
82
83
124 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
per recarsi a casa di Montobbio aiutandolo nelle
pulizie. Gildo le mostra le foto di una donna, un
amore del passato. Ed ecco che si accende in Ilaria, insieme alla febbre, il morbo della gelosia,
sentimento comunque egoistico per Morselli.
Un terzo elemento, per altro classico, porta a
compimento la storia d’amore: una breve lontananza, per un viaggio clandestino di Gildo. Annota Ilaria, al suo ritorno, prima del grande passo, ricorrendo ancora ai ricordi d'infanzia84:
In queste poche settimane qualcosa di profondo e
prezioso è nato fra di noi, una dolce fraternità che
lega ciò che vi ha di migliore nei nostri cuori.
Quand'ero bambina, mio padre mi insegnava che
Dio sorride tutte le volte che nasce un affetto tra
gli uomini; oggi al Parco la natura col suo verde
nuovo ci sorrideva veramente.
Un affetto, propriamente un movimento che
conduce fuori da sé, al riconoscimento dell'altro.
Movimento che, per far sorridere Dio, dovrebbe
potersi applicare a tutti i rapporti, a tutti gli affetti.
L'amore per Ilaria, dopo averne conosciuto in
casa di Gildo l'aspetto sessuale, si rivela come
profonda obbedienza, subordinazione, ammirazione. Con la sensazione di aver ricevuto un dono, gratuito, non meritato. Tanto che si reca in
chiesa a ringraziare il Signore85. Un incontro che
né fatale né provvidenziale: nasce da un caso, ha
l'impronta della precarietà, pensa la donna.
Casualità, benevola e precaria. Circostanza
fortunosa
ed
episodica.
Il
territorio
dell’incontro, in quell’ultimo scorcio del raccon84Guido
85Ivi,
Morselli, Incontro con il comunista, cit., p. 63.
p. 79.
AFFANNARCI
125
to in cui i due protagonisti divengono amanti, è
coltivato in questi diversi territori. Il tono del
romanzo accentua la corda patetica quando due
fragilità si uniscono nell'eguale desiderio di
“guarigione”, rivelando l'originalità con cui Morselli esplora (e in futuro egualmente esplorerà) il
rapporto tra una mancanza evidente, rappresentata da una qualsivoglia motivata coscienza di
fragilità, e il desiderio di pienezza.
Il gesto dell'abbraccio è il più completo e nello
stesso tempo il più illusivo. Si scopre che il vero
possesso è tale nella dimensione extraegoistica.
Ma qual è il vero bene dell'altro, chi lo stabilisce? Domande inevase, implicite, mi sembra, nel
romanzo, che sceglie, come si è visto, la conclusione più amara e più realistica: l'incapacità del
vero possesso senza il tradimento, la fragilità, in
ultima analisi il male e l'egoismo, più forti di un
impeto iniziale.
La scena dell’abbraccio tuttavia si pone, silenziosamente, al di sopra di questo limite. Episodicamente.
Gildo ha la febbre, penetrata nelle ossa. Marchio indelebile della silloge del male. “Il ribrezzo
della febbre gli torceva il viso, la persona squassata dai brividi, spezzata alle reni dal male” 86.
La sua è una autentica richiesta di pietà (“Liberaci dal male”) all'interno di quell’orgoglio che
contraddistingue il suo carattere, la sua fede
comunista: “Non voleva coricarsi; se ne stava
seduto sul letto, batteva i denti e mi guardava
con gli occhi pietosi”.
A questo punto Ilaria ha una percezione acuta. È la sua presenza materiale, corporale, che
può rispondere a pieno alla richiesta di pietà e,
86Ivi,
p. 84.
126 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
insieme, costringere il malato recalcitrante
all'obbedienza. È un istinto: efficace e impotente, spirituale e corporale, umano e bestiale87:
Non so che istinto me lo abbia suggerito. Mi sono
spogliata, sono entrata io nel suo letto: occorreva
questo perché mi ubbidisse. Ci siamo tirati sopra
tutte le coperte che ho trovate in casa, il suo soprabito, persino il panno che era sulla tavola. Ma
la malaria gela le ossa e il sangue.
Ecco la glaciazione dell’umano dipinta in questa febbre alta, terribile, acuta e penetrante. E il
valore del corpo, naturale, istintuale. La nudità
che diviene fonte salutare se trasmessa, nel possesso di quel particolare abbraccio, all’altro:
Allora me lo sono preso tra le braccia, mi son tolta
le calze e il resto che avevo ancora indosso, l'ho
circondato, l'ho stretto, sentendo che gli avrei dato
anche di più del mio calore e del mio respiro, ne
avessi avuto il modo. Attraverso la stoffa della sua
camicia, il tremito freddo del suo corpo si comunicava al mio, e io non avevo più che un pensiero:
“Adesso io e Gildo siamo una cosa sola”.
“Una cosa sola”: termine felicemente utopico,
ricalcato sulla formula biblica e poi cattolica del
matrimonio88.
Mentre scrivo e sorveglio il fornello, penso che anche il nostro di oggi è stato amore di uomo e di
donna, amore carnale, questo non mi sarei figurata, che nel contatto si potesse possedere così.
L'incontro come apertura alla conoscenza non
87
Ibidem.
88Ivi,
p. 85.
AFFANNARCI
127
egoistica dell'altro che discopre in una dimensione più vera il proprio io. Il diario ha raccontato e racconterà ancora per qualche pagina, prima della catastrofe finale, fatti e discorsi illuminati da una meraviglia sempre più cosciente per
quell’incontro straordinario, in una trama quotidiana. Se la barriera egoistica è abbattuta, Dio
può sorridere.
Nella storia d'amore di Incontro con il comunista, come in altri momenti successivi,
l’abbraccio, per pochi attimi, può contenere l'intuizione commossa di un possesso nuovo nella
rivelazione della creaturalità, della dipendenza:
“L'uomo come tale è stato definito: un essere che
ha bisogno di Dio”. “Domandare, attendere, anche nei rapporti umani è sempre un subordinarsi”.
Lo stile del romanzo è compatto, il diario si
svolge su una mirabile sintesi dell’interiorità,
che permette comunque di passare alla osservazione esterna con andamento che non raramente
assurge a un’aura di sacralità, descrivendo corpi
su cui discende una reciproca commozione, autentica, anche se destinata a dissolversi nel giro
di pochi mesi. Con qualche concessione a parole
di prosa d’arte o arcaica stonate nel contesto,
Morselli, sulle orme degli amati francesi, dipinge
in modo originalissimo il rapporto tra il proletario e il mondo borghese, inserendovi, naturalmente, gli elementi già propri della sue riflessioni. È possibile avvicinarsi alla sostanza
dell’uomo integrale, come Ilaria e Roberto credono essere Gildo? Prima che comunista è un
uomo, sentiamo sussurrare dai due. Viceversa,
Gildo, sostiene che il vero comunista deve rinunciare al “foro interiore”.
128 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Proprio su questo, sul foro interiore, si costruisce il diario di Ilaria, la quale, amaramente
conclude, nella stirpe degli esclusi 89: “Non sorridere significa non vivere, e a questo diritto io
non sono ammessa”.
Con gli stessi personaggi si costruisce un testo per il teatro, inedito90, perfettamente comIvi, p. 126.
La storia dei rifiuti e delle ricerche di contatto con il
mondo artistico e della cultura deve ancora essere scritta.
Non è dato, purtroppo, sapere quando potrà essere noto o,
almeno, fruibile per gli studiosi, l’ampio repertorio epistolare di Morselli, per quel che riguarda la sua vicenda pubblica. In uno scambio di mail con Valentina Fortichiari ho
accertato che esistono lettere agli editori, agli attori (una
importante a Luchino Visconti verrà probabilmente pubblicata su “la Repubblica” quando questo libro sarà ormai
stampato) a responsabili culturali, in questi epistolari definiti di carattere “privato” e quindi non pubblicabili. Molto probabilmente ci sono accenni non lusinghieri a personaggi ancora viventi o la cui fama non deve essere messa
in discussione. Ci dobbiamo dunque attenere, con il rischio di essere smentiti clamorosamente dai fatti, a intuizioni rispetto a quello che la stessa Fortichiari ha pubblicato nelle sue opere saggistiche o biografiche. L’amante di
Ilaria come apprendiamo dal frammento contenuto nella
cartellina del Fondo di Pavia A I 1 viene spedita a Giorgio
Albertazzi il 18-1-1956 e, come attesta un altro appunto
del 26-1-1962, in A I 2.1., al teatro Sant’Erasmo di Milano.
Mi sembra chiaro quanto Morselli ritenesse la commedia
compiuta e di buon livello se negli anni continua a credere
in una sua realizzazione teatrale, magari dopo aver assistito ad uno spettacolo con una compagnia o attrice adatta al
ruolo. Si conservano, oltre a brani singoli, una prima stesura del canovaccio (su cinque fogli mss) AI 5, una seconda versione 8 fogli datata 27-4-49, un canovaccio più sintetico AI.7, vari fogli espunti, la prima stesura manoscritta
AI. 11, racchiuso in un foglio con la scritta tratta da un ritaglio di giornali, a caratteri cubitali “Ilaria”, con la data di
29-12-47 come quella terminale. Con molte correzione,
corrisponde sostanzialmente alla copia dattiloscritta, con
89
90
AFFANNARCI
129
piuto, L'amante di Ilaria, dove l'interesse di
Morselli si fissa su un doppio tradimento, personale e ideologico, facendo trasparire l’unica
legge del tornaconto, a cui, nel giro di pochi mesi, il comunista Gildo Montobbio, si converte. Se
si leggono in sequenza, come un trittico unitario,
le tre opere di ambiente comunista, Incontro
con il comunista, L’amante di Ilaria, Il comunista, per arrivare poi, nel 1968, alla commedia sul
padre del comunismo che, con uno stile ironico
e distaccato, introduce tematiche simili, su sfondo però completamente diverso, il tradimento di
Montobbio rivela ancora di più il suo carattere
l’articolazione delle scene invariata. Alla fine del manoscritto troviamo le due date che attestano la revisione: 2612-49 e sotto 30-12-55 M 3. Anche la copia fotostatica AI
15 porta le due date 1949-1955. Dal canovaccio di AI 6 si
rivelano particolari della vita di Ilaria da raccontare nel
“Primo Atto (e antefatto)” mentre poi sceglie di iniziare
dalla scena degli attestati di stima, quasi di figliolanza spirituale, tra Roberto e Gildo. Ilaria è la vedova del pittore
Gaudio Delange, dal quale veniva ripetutamente tradita.
Donna intelligente e scrittrice di successo, nella sua vivace
maturazione, tra amarezza e nuova coscienza, subite per
vent’anni queste umiliazioni, comincia una nuova esistenza nei primi anni della guerra, andando a vivere nella villa
paterna, dove si svolge gran parte dell’azione della commedia. Come infermiera volontaria, lavorando in Ospedale, incontra Gildo Montobbio, ferito da una scheggia, come si racconta nel romanzo Incontro con il comunista.
Come spesso avviene, Morselli scrive su carta riciclata,
questa volta della società Caffaro Elettrica e Elettrochimica che invita gli azionisti, nel momento difficile per il Paese, subito dopo la guerra ad aderire alla campagna per
nuove azioni partecipando all’Assemblea.
Rimane la copia dattiloscritta con tre riproduzioni, una in
copia carbone, con lievi correzioni. Cfr. Sara D’Arienzo,
Elena Borsa. Il fondo Morselli. Materiali inediti, in “Ipotesi su Morselli”, n.37 di “Autografo”, luglio-dicembre
1998.
130 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
emblematico, fondato su un retaggio mai sedato
di ammirata sudditanza verso i ricchi da cui si
aspetta un risarcimento, una volta pagato lo
scotto con il sacrificio della guerra partigiana.
L’importanza non secondaria attribuita dallo
scrittore a questa commedia si rivela nei vari
tentativi, in anni diversi, di interessare attori
(Albertazzi) e teatri. Sul dattiloscritto “campione” da cui derivano le altre copie (AI 12.1) campeggia a penna una significativa indicazione:
“Incipit novus ordo”, che potrebbe alludere alla
intrapresa attività teatrale, convergendo anche
sulla implicita tematica del rinnovamento, rispetto alla corruzione, virgiliana attesa-profezia
di un evento (in merito alla fortuna letteraria
mai realizzatosi).
Ignorando il finale della precedente narrazione diaristica, lo scrittore ci presenta di nuovo la
coppia Ilaria-Gildo convivente a Roma, tra il
1944 e il 1946. Insieme ai due romanzi, Uomini e
amori e Incontro con il comunista, siamo con
questo testo teatrale, al momento iniziale del
lungo itinerario creativo, con le due storie che
incrociano ancora una volta l’ambito borghese,
quello artistico (la scrittrice Ilaria), quello rivoluzionario, in un intreccio nel quale è singolare
notare la disposizione delle scene, con la curiosità di Morselli di andare a verificare cosa potrà
succedere se al tradimento d’amore (o di sesso,
se si vuole) sopraggiunge quello della ideologia,
convertita facilmente agli agi, se non agli ozi e ai
vizi, della vita parlamentare. In entrambe le opere,
notevole
rimane,
inizialmente,
l’ammirazione di Roberto, il figlio di Ilaria, per
Gildo, che porterà agli esiti più drammatici del
conflitto ideologico, lasciando Ilaria sullo sfondo. Montobbio diventa parlamentare e membro
AFFANNARCI
131
della Consulta (nel secondo atto), tale lo ritroviamo nel Comunista, tradisce con disinvoltura
gli ideali marxisti, intessendo trame di interesse
economico privato con il fratello di Ilaria, industriale in cerca di favori politici. Se Ilaria si trova
in una situazione ben difficile, e perde sicurezza
e slancio, il suo “amante”, di cui il titolo, rimane
la figura capace di condizionare l’agire degli altri
due protagonisti. Proprio nel riflesso della corruzione nelle azioni politiche di Gildo (mentre la
sua figura umana va via via scomparendo dalla
scena) si trova il contenuto principale della
drammaturgia. Si tratta, lo vedremo anche in
seguito, con Cesare e i pirati, Cose d’Italia e
Roma senza papa, di un’altra delle costanti tematiche di Morselli.
La figura di Roberto, perplesso da questo
comportamento e che vorrebbe invece attuare
integralmente i precetti marxisti, diventa protagonista, per assumere poi un ruolo decisivo
nell’itinerario di formazione di Ferranini: “convertito al comunismo dallo stesso Gildo, si trova
in posizione di rottura verso la dirigenza del partito”91, come poi lo ritroveremo nel Comunista.
Nella prima scena il giovane confida al quarantenne attivista tutta la sua ammirazione: mi
hai rigenerato, mi hai fatto rivivere, gli dice, deciso ad entrare nella sua brigata. Siamo nel
1944, e gli ideali si sono trasformati, con coraggio, nella azione partigiana contro il fascismo,
91Su
L’amante di Ilaria si veda A. Gimmi, Tra le commedie inedite di Guido Morselli. Il rovello del comunismo
dalla scena ai romanzi, in “Bollettino Società pavese di
Storia Patria”, 1997. Leggo a p. 455: “Non esiste più differenza tra borghese e comunista: entrambi [Riccardo e Gildo] inseguono il proprio meschino interesse”.
132 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
per entrambi. I due parlano entusiasticamente
di Ilaria: la figlia del magnate Mazzola, sorella
del gaudente Riccardo Mazzola, nelle file dei rivoluzionari, anch’essa “convertita” da Gildo. Ma
nella scena seguente veniamo a sapere che Roberto non sa che la madre e Gildo sono amanti.
Ilaria ha il problema di come confidarglielo. Gildo mostra già deleghe eccentriche al suo credo
comunista, ma non in un versante di socialidarietà, piuttosto di ambigui compromessi: non gli
dispiace il lusso borghese e dichiara di non volerlo distruggere, incita Ilaria a restare attaccata
al
modus
vivendi
della
sua
classe
d’appartenenza. La sua ideologia ha odore di officina e di caserma, la donna conservi la sua
classe, il suo fascino. Davanti a una amica del
fratello di Ilaria, confessa all’amante di avere un
debole per le contesse. Proprio quando Ilaria e
Gildo, rimasti soli in nella villa borghese dei
Mazzola, ricordano i tempi descritti nel romanzo, la malattia, l’innamoramento, Roberto li sorprende nella effusione amorosa.
Sia pur rimettendosi alla libertà individuale
della madre, punto insindacabile nell’ambito
della sua ideologia, per il ragazzo il colpo è durissimo, una tradimento anche da parte di Montobbio non rivelare l’intesa con la madre. Per il
momento però le ragioni della guerra contro il
fascismo prevalgono. L’atto si chiude con Roberto pronto a partire per le ultime battaglie partigiane.
Passati solo 18 mesi, con Gildo deputato, la
scena si sposta a Roma. Ilaria è la sua amante,
convivono anche se cercano di non turbare le
apparenze (stesso problema per Ferranini del
Comunista, il cui amore adulterino è tollerato
AFFANNARCI
133
dal partito purché non se ne parli e non esca alla
luce del sole). L’incrocio con le tematiche del
Comunista è evidente: questo testo per il teatro
segna il momento di passaggio tra le due narrazioni, così diverse sull’ambiente comunista in
contrasto con quello borghese (sarà anche la fidanzata di Roberto a doverlo lasciare per volere
della famiglia alto borghese) e anche con
l’affarismo della politica, del quale Morselli si rivela lucido profeta. Sfilano, appena Montobbio
diventa l’onorevole Montobbio, i petulanti con le
loro richieste e le ipotetiche amanti in cerca di
favori a cui, a quanto pare, Gildo si mostra sensibile. Riccardo Mazzola, fratello di Ilaria, infatti, la cui azienda prosperava vendendo armi, si
ritrova in crisi. Per superarla ha bisogno della
buona parola di un politico per vedersi assegnare un appalto dallo Stato per le ferrovie. Ovviamente si rivolge a Ilaria per chiedere una mediazione presso l’amante, che ha acquistato fama di
liberalità, rispetto invece all’andamento integro
della vita di Roberto. Pur non pesante dal punto
di vista drammaturgico, gli eventi ravvicinati nel
contesto storico evidenziano troppo schematicamente i personaggi figurali di situazioni, inscritti tuttavia in dialettiche importanti, quelle
tipicamente morselliane tra autenticità di una
idea e finalità egoistiche, tra l’azione umanitaria
e la pigra rassegnazione alla vita del compromesso.
Le ragioni di Montobbio, almeno all’inizio,
non sono del tutto censurabili: dopo anni di
stenti e sacrifici, cerca il benessere. La stessa
domanda che ci poniamo per Giulio Cesare, affiora per Montobbio, tenendo presente le differenze tra i due testi: è stato sincero, almeno
all’inizio dell’avventura partigiana o già mirava
134 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
al potere? I tratti del carattere rivelano da subito
una personalità forte, incline all’egoismo, ma rispetto al condottiero romano la prima fede appare sincera, almeno quella politica, come è successo per non poche personalità della sinistra.
Comunque sia, si lascia adulare facilmente dalla
“bella vita” e si trascina presto nella corruzione.
Altro momento di effetto drammaturgico notevole, si trova nello sfogo di Roberto con la madre dopo la pubblica deplorazione del partito
per il suo comportamento integralista: Gildo, riferisce con veemenza alla madre, è stato il più
intransigente. La rabbia del ragazzo per
l’ipocrisia altrui è ben giustificata, (p.32 del dattiloscritto):
Una giornata che mi insegnerà molte cose. Hai visto? Laura mi mette alla porta. E l’altro ieri, quando ci siamo incontrati, e in tutta questa settimana
che ha passato a Roma, non un accenno, non un
avvertimento. Un anno d’amore, lettere, promesse, “ti amo”, “son fiera di te”… Tutto ciò scomparso, dimenticato, dopo una ramanzina del papa. E
quegli altri là del Partito, che mi additavano alla
gioventù come esempio di nobile disinteresse, di
devozione alla Causa, per poi colpirmi a mia insaputa, senza darmi modo di dirmi una parola, di difendermi…
Lo scontro finale con Gildo è durissimo,
nell’arco di un anno e mezzo, gli ideali socialisti
sono stati del tutto accantonati, trasformati nella
dittatura dei rinunciatari, grida il ragazzo all’ex
comandante di brigata che risponde a tono evocando il realismo della politica.
Roberto deve subire anche un torto nella sfera affettiva: il mondo di Laura, la fidanzata che
ha deciso di lasciarlo, obbedendo agli ordini della famiglia, contraria all’unione con un “rivolu-
AFFANNARCI
135
zionario”, e quello di Gildo non sono poi così diversi nella ipocrisia. Si rivolge alla madre: siamo
alla pagina trentasei del dattiloscritto:
Dunque, hai veduto, hai sentito. Prima Laura, ora
Montobbio (Riflessivamente). Due mondi che si
dicono diversi, anzi opposti e che invece si assomigliano. La stessa miseria, da una parte e
dall’altra. La stessa viltà […] Viltà e miseria. Ci respingono, gli uni gli altri […] Ed anche giusto, forse. Siamo puniti. Dicevamo di voler seguire una
nuova fede. Parlavamo di una nuova identità da
foggiare. Ricordi come ci esaltavamo parlandone?
E invece no: in fondo, anche per noi, non era così.
In fondo io cercavo di soddisfare le mie ambizioni.
Madre e figlio si sentono mancanti. Hanno
cercato di superare l’egoismo, sperando (si ricordi il clima del dopoguerra, in una ideologia
della rinascita). Sembra che solo all’inizio di una
certa “azione” ci sia questa possibilità e che tutto, facilmente, si corrompa.
Ilaria, con la sua sfera affettiva, è nel mezzo
tra i due mondi: ha lasciato quello che appartiene a Laura con coraggio per varcare la soglia della libertà con Gildo. Ma è rimasta scottata in
modo non lieve da quel mondo non diversamente ipocrita, pur nell’indossare maschere diverse.
Gli tocca nella solitudine estrema una decisione,
che non sa darsi: pur avendo constatato i tradimenti di Gildo, è attaccata a lui, non può, fisicamente farne a meno. La donna emancipata, la
scrittrice, la donna innamorata si contendono la
sua anima. Roberto, intenzionato a mollare tutto, tornando a Milano, si riscuote, riprende la
lotta, contro l’intransigenza del partito: arriva la
notizia che alcuni giovani stanno manifestando a
suo favore. Aveva chiesto alla madre di seguirlo,
136 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
lasciando Gildo, di cui aveva rintracciato le prove di un vile tradimento: prono agli ordini del
Partito e per lasciarsi alle spalle il passato di povertà, sposerà una donna con la quale aveva avuto un figlio. Il ragazzo venuto ad avvertire Roberto le dona inaspettatamente l’opportunità di
una sospensione. Gildo tornerà a spiegarsi, accennando già di dover compiere quel passo per
pura formalità, per non danneggiare un bambino innocente. Anche Roberto tornerà, per parlare ancora, ma per il momento il trasferimento a
Milano non avviene. Finale dunque aperto, come molti di quelli a seguire, nella narrativa e in
teatro. La tensione nervosa è tutta esibita nella
crisi solitaria di Ilaria che, non decidendo, si
siede sconsolata tra le valigie.
Dalle vicende di Roberto Mazzola nel Comunista sappiamo che madre e figlio vivono insieme, abbandonati da Gildo, che ha perso del tutto
la luce della sua autorevolezza, e semmai emana
autorità solo per la disinvoltura con cui richiede
consensi e abilmente cerca di sfruttare la sua influenza parlamentare a fini personali. Immaginiamo dunque Ilaria in bilico e incerta, offesa
dal cinismo infedele del compagno.
Vale la pena di riportare l’ultima scena della
drammaturgia, la solitudine di Ilaria, in cui si riscontra la ferita per il tradimento, e un amore
sconfinato, lacerante: per il figlio e per Gildo:
Si trattiene qualche tempo nel mezzo, il viso chino, le braccia abbandonate lungo la persona. Sembra riscuotersi, muove qualche passo verso la porta di sinistra. Una stanchezza senza conforto traspare dai suoi gesti, ma si direbbe che sul suo
smarrimento prevalga finalmente una meccanica
volontà: prende una delle valigie addossate alla
parete, la trasporta verso il divano e ve la depone;
AFFANNARCI
137
ne solleva il coperchio. Il medesimo fa con un’altra
valigia. I suoi atti sono lenti, hanno un che di impersonale, di automatico. Si avvicina allo stipetto,
tra il caminetto e l’angolo in fondo a destra. Ne apre il primo cassetto dal basso, il secondo, il terzo.
Questo le arriva all’altezza del petto, ed ella vi si
appoggia, vi introduce entrambe le braccia, il viso
reclinato, gli occhi chiusi. Sembra che si aggrappi
a quel sostegno e non vi aderisca soltanto. Trascorrono alcuni istanti. Ilaria scuote il capo più
volte, come accennando di no, ma con rassegnazione, con tristezza. Infine si scosta, richiude pianamente il cassetto, e gli altri due successivamente. Una contraria decisione è subentrata in lei, e
tuttavia anche adesso ella sembra ubbidire, piuttosto che a un impulso suo, a una forza superiore, a
cui non le è dato resistere. Si accosta al divano, vi
si siede. Con la sinistra riabbassa, adagio, il coperchio di una delle valigie, poi quello dell’altra. Congiunge le mani un attimo, poi le schiude e vi immerge il viso; così, senza più moto, rimane, mentre cala la
tela
L'ampia riflessione sul comunismo di Guido
Morselli, a parte scritti sparsi, note del Diario,
altre pagine saggistiche, si compone dunque di
tre opere creative successive all'Incontro con il
comunista: due opere teatrali, e il romanzo capolavoro del 1964-1965, di cui ci occupiamo nel
prossimo capitolo.
Interessante, tra le molte note morselliane sul
comunismo, nel saggio Appunti sul marxismo,
pubblicato in due puntate su “Prealpina”, il 21
ottobre e il 12 novembre del 1949, ma scritto due
anni prima e ricopiato il 26 ottobre del 1948 92,
92Ora
figura nel libretto, sempre a cura della Fortichiari,
La felicità non è un lusso, Milano, Adelphi, 1994.
138 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
l’appunto riguardante il fattore economico con
cui, da Hegel a Marx, si leggono i conflitti: la
guerra per Morselli non è originata da fattori economici, piuttosto culturali e nazionalistici. I
giudizi seguenti mi paiono indicare chiaramente
dove lo scrittore si pone in una dimensione diversa dal marxismo: questo esige una preminenza assoluta, l'esigenza economica: l’arte, la moralità, la religione ne sono subordinate. Si tratta
di una concezione dei rapporti sociali da questa
esclusiva visuale: come ogni idea rigorosa, diventa dogmatica. A pagina 51 nell'edizione Fortichiari, Morselli dichiara la sua lontananza da
questa impostazione: “L’uomo non è quello
dell'idealismo né quello del materialismo, metafisico o critico; l’uomo è una congiunzione, non
dialettica, ma concreta, di esistenza e di individualità, vale a dire vita, symploké di opposti e
complementari”. L’istrionico spirito morselliano, nauseato dalle identità troppo granitiche,
aspira ad una comunanza di opposti e complementari, lontano dallo spirito scientifico del
marxismo, di cui pure accoglie istanze ideali,
specialmente sul tema della forza lavoro. Marx è
figlio di un'altra tendenza criticata da Morselli,
come emerge chiaramente nel Comunista e nella
commedia dedicata al padre del comunismo:
l’antropocentrismo romantico, nel suo legame
genetico con l'idealismo tedesco, capace di unificare, in Hegel, l'adorazione dello Stato con l'individualismo, di marca prettamente faustiana,
su cui si tornerà più avanti. La libertà nella “religione marxista”, consisterebbe nel sentirsi soggetto economico, subordinato a leggi economiche. Nel finale del saggio affiora un altro elemento centrale nel Comunista e nelle commedie
inedite: i seguaci continuatori dell’opera del Ma-
AFFANNARCI
139
estro non giovano al pensiero originario e bisogna constatare una generale ignoranza su quello
che veramente ha scritto il padre del comunismo
che ha, ad esempio, pagine profonde dedicate
all'esame della “forza lavoro”. Altro accenno,
quasi una velina per la commedia, vent'anni
prima, ci descrive un Marx intimo “dotato di una
delicata e affettuosa sensibilità”93.
Uno dei motivi del testo inedito sul fondatore
del comunismo, Marx. Rottura verso l'Uomo,
azione scenica, da me edito e di cui ho avuto occasione di intrattenermi altrove94, è la degradazione partitica della teoria nei seguaci del marxismo, con la scissione tra la faccia pubblica e
quella privata, presentata con ricchezza psicologica nel Comunista, vedremo, dove Walter Ferranini è un Roberto non solo consapevole dei
tradimenti affaristici e borghesi, ma della dialettica profonda tra male/malattia e idea progressista/ storicista, chiarita nella sua tragicità da una
citazione shakespeariana dal Macbeth95. L'originalità dell'”azione scenica” rispetto alle opere
precedenti è l'assunzione del punto di vista di un
protagonista consapevole della necessità di una
riduzione nella “prassi” del proprio messaggio
teorico, conquistato con lunga fatica di studio e
93Ivi,
p. 60.
esattamente il titolo del frontespizio del dattiloscritto (34 pagine solo recto con minime correzioni manoscritte). Cfr. Fabio Pierangeli, L’inedito Marx di Guido
Morselli, “E’n guisa d’eco i detti e le parole”. Studi in onore di Giorgio Bàrberi Squarotti, Alessandria, Edizioni
dell’Orso, 2006. Il testo è pubblicato, con saggi di Paolo
Mattei, Sara D’Arienzo, Valentina Fortichiari nel n. 14,
2004 della rivista “Sincronie”.
95Cfr. Guido. Morselli, Il comunista, Milano, Adelphi,
1976, p. 306.
94Riporto
140 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
povertà materiale. Marx di fronte a tale coscienza non mantiene un atteggiamento univoco: a
volte si mostra rabbioso, altre rassegnato, altre
ancora “utopico”, come nelle iniziali parole riportate da Engels sull’Opera trascendente ed eterna rispetto al suo autore.
La situazione del prologo è già emblematica,
dei motivi della commedia, tra citazioni testuali
del pensiero marxiano, qualche invenzione e le
simpatiche incursioni metateatrali. Marx, con gli
altri personaggi, coperto dalla nebbia del ricordo
(Morselli indica in un velo trasparente la risoluzione tecnica della situazione), se ne sta immobile, “come sospeso”, in fondo al palco, mentre
sul proscenio l'amico e discepolo Engels è intento ad informare il pubblico della sua intenzione
di rileggere, interpretare, dare un senso pratico
al messaggio del Maestro.
Motivo tutto morselliano, forse perfino un
poco scontato, qui intrecciato, con originalità,
alla ben conosciuta dialettica espressa magistralmente nell'introduzione ai Sei personaggi
in cerca d'autore: il drammaturgo sa con certezza che quella rappresentata non è più la sua opera, apparsa con i fantasmi dei personaggi. Ciascuno a suo modo, egualmente, divulgherà il
messaggio di Marx, anzi nel “modo” di compromesso analogo a quello che per forza si deve
raggiungere in teatro tra autore, regista, attori,
impresari, scenografi.
La scelta di “interpretare criticamente” la
biografia di Marx negli anni dalla piena maturità, dal 1867 in poi, risponde all'esigenza di cogliere la frattura tra pensiero e azione 96:
96Appunto
annotato curiosamente su di un foglio di giornale con la pubblicità del Cynar, conservato, insieme ad
AFFANNARCI
141
Sceglierà una delle due posizioni, illudendosi di
prendere anche l'altra: si illuderà di meditare operando o di operare meditando. Lui istintivamente
ha scelto la meditazione ha rinunciato all'operare.
L’ansia nostalgica, capace di incrinare la statua, si ripete nel fastidio e nell'attrazione di
fronte agli ospiti, tutti uomini di azione, dilettanti della teoria97, in una struttura scenica
semplice: dopo Lassalle, nel secondo atto Mazzini, nel quarto Bakunin. Nel terzo Warnebold,
ambasciatore di Bismarck, personaggio assai interessante, tra realtà e fantasia, che propone a
Marx un machiavellico accordo col Primo Ministro prussiano.
Nella costruzione di personaggi ritagliati sulle
loro idee (i personaggi citazione), con significativi “scarti” originali nell'intimo, Morselli accetta
il rischio di essere didascalico. Come molto esplicitamente vedremo nel Comunista, ad esempio nella opposizione tra i due blocchi culturali:
l’Est comunista e l’America del Nord, culla, falsamente libertaria, del capitalismo. Rischio calcolato, controllato, nella stragrande maggioranza delle opere, per inserire, in contesti non astratti, un fondale esistenziale, umanizzando
molto spesso personaggi celebri, in una luce intima. Nel Comunista, incontriamo Moravia,
altri svariati appunti e prove cassate, nella solita cartellina
riepilogativa, con manoscritti e dattiloscritti.
97Anche la dialettica dilettantismo/specialismo è uno degli
argomenti ritornanti della speculazione saggistica morselliana, fin dai tempi di Realismo e fantasia. Dilettantismo
è anche il titolo di un brano del 1950 di Morselli ora riprodotto in G. Morselli, I percorsi sommersi, a cura di Elena Borsa e Sara D’Arienzo, Novara, Interlinea, 1999.
142 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Nenni e un simpatico Giovanni Leone.
In una espressione che si presta a chiudere,
momentaneamente, il discorso,Vittorio Coletti98
sottolinea il carattere saggistico dei romanzi, tesi
a drammatizzare un pensiero, delle idee, delle
convinzioni, a mostrarne la genesi e la crisi, a
concretizzarle, a umanizzarle. E nello stesso
tempo quindi tradurre questi spunti teorici in un
soggetto, in un ben concreto individuo, che le discute, le svolge, le contraddice, favorito da situazioni tipiche.
98Vittorio
Coletti, Guido Morselli, in “Otto-Novecento”,
settembre-ottobre, 1978, p.99.
AFFANNARCI
AEREI
(Sweet love, renew thy force)
143
144 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
AEREI
145
Attacchi aerei
Per chi ha vissuto, da militare, le guerre del Novecento, resta indelebile nella memoria il soprassalto improvviso degli attacchi aerei. Sia pur
messi nel conto delle azioni belliche, arrivano a
sorpresa, mettendo a dura prova la resistenza
nervosa dei militari di stanziamento, magari
chiamati a lunghe attese di guardia, lontani dal
campo dell’azione.
La tecnologia più sofisticata si mette al servizio degli eserciti, creando una atmosfera di terrore o di costante minaccia che anche Guido
Morselli racconta, attingendo alla personale esperienza nella Seconda Guerra Mondiale in terra di Calabria, dove fu inviato, nei pressi di Catanzaro, nell’aprile del 1943.
L’azione fulminante che porta la distruzione
dall’alto contrasta con la vita del soldato in quel
luogo remoto, provocando traumi difficili da superare, registrati ancora da Morselli all’inizio
della stagione narrativa maggiore, con i ricordi
dell’esperienza bellica del narratore del Dramma borghese.
Non mancano aerei nei cieli della Prima
Guerra Mondiale descritta in Contro-passato
prossimo, pur nella predilezione evidente per le
strade ferrate.
In volo, si è visto in precedenza, si ritrae la sinistra figura di Erwin Rommel, chiamato a sorvolare con un piccolo aereo la galleria della
Edelweiss Exspedition, destinata, nella fervida,
realistica, fantasia di Morselli, a cambiare le sorti della Guerra. Insieme alla comparsa di un Hitler giovane ancora dedito alla pittura e già invaso dalle sue idee “razziste”, il romanzo presagi-
146 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
sce l’ascesa dei nazisti, dopo aver narrato come
si sarebbe potuta evitare. Prima di scomparire
dalla perfetta geografia del romanzo, Rommel
ricompare a bordo di un biplano.
Si accenna alle leggendarie imprese di
d’Annunzio, ma l’azione più clamorosa avviene
dall’altra parte della barricata. Gli inglesi catturano il Kaiser, con un modestissimo apparecchio, impiegato in una azione a dir poco “modesta” nell’impiego dei mezzi, quanto efficace nei
risultati.
Dell’aereo come strumento di guerra si ricordano le pagine di alcuni racconti e quelle, a mio
avviso fondanti, di Uomini e amori, le più vicine
cronologicamente e contenutisticamente alla esperienza biografica della guerra.
Ferito gravemente, nelle ultime pagine del
primo romanzo, è proprio uno dei protagonisti,
l’estroso e instabile Vito Antonicelli, detto Cambria. Un’incursione aerea degli alleati gli ha procurato la ferita mortale e tocca a Saverio, l’altro
protagonista, il primo degli importanti medici
della
narrativa
morselliana,
constatare
l’irreparabilità dell’evento.
In un presidio così limitrofo agli eventi bellici,
il tedio viene rotto da questi assalti improvvisi e
spesso efficaci degli Alleati, che rimarranno impressi nella memoria di Morselli tanto da essere
ritratti nella pagina fondamentale del romanzo,
in cui i due protagonisti devono ritrovarsi in
quel momento estremo. Compare in scena, letteralmente caduto dal cielo (il suo Vickers si è inabissato vicino al golfo di Squillace) un prigioniero inglese. Intellettuale, colto, residente in Italia,
lettore di inglese all’università, risponde al nome
di Cedric W. Mason. L’amicizia tra “nemici” si
salda attraverso piacevoli conversazioni culturali
AEREI
147
tra Saverio e il professore-paracadutista inglese.
Idillio culturale intenso quanto di breve durata,
stretto nella logica ferrea della guerra tra opposte fazioni: Mason viene trasferito altrove come
come prigioniero di guerra.
Un personaggio inglese, con lo stesso nome
Cedric (il cognome sarà Noles), si elegge a protagonista nella sceneggiatura inedita, vicina cronologicamente al romanzo, Il secondo amore
(1950). Un altro Cedric parlamentare inglese incontreremo nel Marx.
Opera convincente, omogenea, stilisticamente
originale Il secondo amore termina su una scena
degna del miglior Morselli, nel chiuso di un aereo. Il tema comune dell’amore, sia pur sviluppato in atmosfere non assimilabili, è avvertito
già nel titolo e nel sottotitolo: una mano, fatale,
impedisce l’evento epifanico del rinnovamento
dell’amore, come previsto nel verso incipitario
shakespeariano, posto da Morselli come emblema (e probabilmente anche come ipotesi di titolo unico della sceneggiatura stessa): Sweet love,
renew thy force.
È lecito pensare a una figura realmente incontrata che abbia potuto ispirare questi due
personaggi. Riprenderemo più avanti il discorso
sulla sceneggiatura; intanto annotiamo, immediatamente dopo la dipartita dell’inglese dallo
stanziamento calabrese di Timpone Mannella,
l’improvviso attacco aereo di uno stormo di
bombardieri alleati e l’incidente causato dalla
fretta ad un autocarro pieno di munizioni per
cercare di evitare danni durante l’incursione. La
descrizione è lucida, priva di retorica, rapida ed
efficace, con la rilevazione della paurosa vicinanza degli aerei all’accampamento. Siamo alla
fine del capitolo XII, Vito Cambria ha commesso
148 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
un’imprudenza, disubbidendo agli ordini: ha
sparato contro gli inglesi, rivelando la postazione esatta del plotone, unicamente addetto a segnalare l’eventuale sbarco. Ne pagherà le conseguenze con una punizione. Il finale è tutto per
lui: questa volta il bombardamento - bastano
quaranta secondi - è invasivo ed efficace. Cambria ferito a morte se ne va sereno, accompagnato dalle meditazioni e dalla profonda pietas di
Saverio (costretto, però, per adempiere ai suoi
doveri verso gli altri compagni feriti, a non essere accanto a lui nel momento del trapasso) e della sua “arte” medica, che può solo lenire il dolore.
Nei racconti raccolti nel bel volume a cura di
Valentina Fortichiari della Nuova Magenta di
Varese, Una missione fortunata e altri racconti,
il motivo viene riprese nel frammento di notevole rilievo Gli ultimi eroi, (pubblicato ne “Il Mondo” con il titolo di Irrenanstalt nel 1950). Narrazioni legate al femminile, ai mezzi di locomozione, dai soliti treni, alle auto, con tanto di reportage, quelli posti nella terza sezione del libro,
nel personale Grand Tour di Morselli.1 Il racconto lungo da cui prende il titolo l’intera silloge,
Una missione fortunata, si dipana, invece, lungo il tempo rallentato di una crociera.
Irrenanstalt: manicomio. Il titolo del racconto, pubblicato sul “Mondo”, segue un interesse
di Morselli di quegli anni, segnatamente con la
Come è noto, fiero contestatore del fenomeno del turismo moderno, quasi crudele nel determinare, nel narratore del “frammento-studio” Ipotesi narrative, i cinici motivi di diletto nel guardare da fermo (convalescente) il movimento degli altri, in attesa di un incidente, nella tentazione di procurarlo. Cfr il volume monografico di Alessandro Gaudio più volte citato.
1
AEREI
149
commedia Il redentore, ancora inedita e solo
manoscritta: qui però (al contrario dell’eretica
figura cristica protagonista della commedia) il
folle si crede ancora in guerra, la Seconda, con il
proposito di resistere fino alla fine dalla parte
dei nazisti, quando ormai gli alleati sorvolano
una Berlino ormai priva di difesa. Questa volta
la beffa avviene dall’alto: gli inglesi in ricognizione credono si tratti veramente degli ultimi incalliti resistenti soldati del Reich. Un precedente
assalto aveva abbattuto la scritta, appunto Irrenanstalt, e le insegne della Croce rossa. Viene
mandata l’artiglieria di terra, mentre i caccia aprono la strada. Una strage inutile, di quegli
uomini esaltati, spronati dalla follia più malata
che criminale di un certo Scölpke, falegname,
che li aveva addestrati tra quelle mura a una rigida disciplina e per cui il Kaiser regnava ancora. Alla vista dei carri armati, gli si buttano contro a fronte alta e ne vengono trucidati. Avevano
imprigionato, dopo i primi bombardamenti, i loro medici e si erano preparati alla guerra2:
Lo spostamento d’aria causato da un colpo da 149,
aveva ucciso in una volta quel bislacco stato maggiore, ma non lo aveva scompigliato; immersi nel
terriccio, erano in piedi e gerarchicamente disposti, gli elmetti assestati in capo. Si erano preparati
alla battaglia contro l’invasore, e parevano attenderne l’esito vittorioso. Chiusa nel fodero la bandiera bianca e d’oro con l’aquila prussiana, e accanto le stava il più giovane di quei morti; poco
meglio di un ragazzo, la mano sinistra orgogliosamente puntata alla piastrina che attestava il suo
grado: “Faehnrich”, alfiere.
Guido Morselli, Una missione fortunata e altri racconti,
Varese, Nuova Magenta, 1999, p. 90.
2
150 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
L’erba cresce su rottami di modernità
Da un altro punto di vista, in tempi di pace,
nel pieno boom consumistico, in un appassionato di treni (la casa di via Limido a Varese si trova
praticamente sopra la ferrovia, così come la collinetta di Santa Trinita nell’odierno Parco Morselli sovrasta le mitiche Ferrovie Nord), che aveva in progetto di realizzare una storia della ferrovia nella letteratura, gli aerei rappresentano
un simbolo della modernità più avanzata, con le
sue contraddizioni3. Il lettore di Morselli ricorda
perfettamente, a questo proposito, le rotative
ferme come altri macchinari in Dissipatio H.G. e
che nella Crisopoli delle banche il narratore protagonista ha un rapporto privilegiato con
l’aeroporto, dove cerca un contatto con gli uomini di quei paesi lontani, raggiunti quotidianamente dagli aerei. Il narratore abita nel verde
della montagna (raffigurazione evidente della
casetta rosa di Morselli nel bosco di Santa Trinita, che potremmo immaginare come il rifugio
utopico del Walden di Thoreau) e, quando è costretto a scendere in città, deve per forza passare
accanto all’aeroporto Teklon, simbolo stesso del
progresso tecnologico, del viaggio a scopo turistico o commerciale che raduna un gran numero
di persone di culture diverse. Se quello scalo è
uno dei crocicchi d’Europa, intercontinentale
Cfr.: Sara D’Arienzo, La chance del rinvio: auto, treni,
aeroplani, in Guido Morselli. I percorsi sommersi, a cura
di Sara D’Arienzo-Elena Borsa, Università degli Studi di
Pavia, Centro per la Tradizione Manoscritta di Autori Moderni e Contemporanei, Novara, Interlinea, 1998
3
AEREI
151
“oggi” è vuoto. “Vuoto di gente”4, come l’alta
montagna, in quella surreale condizione venuta
a crearsi con la scomparsa dell’umanità, almeno
di quella intorno a Crisopoli-Zurigo.
Luogo della folla e delle comunicazioni, luogo
della fretta, della impersonalità, del passaggio
veloce o del raggiungimento di mete lontane, più
di altri templi della modernità, desta impressione vederlo inanimato, come un mostro metallico
disteso in una imponente staticità. Non resta che
guardare in cielo, nella speranza (del tutto opposta rispetto alla impressione traumatizzante
dell’incursione dall’alto) di vedere atterrare un
bolide dell’aria, con il suo carico di gente ancora
viva, in movimento. In questo caso la supposta
scomparsa riguarderebbe solo quel territorio attorno a Crisopoli: dall’altra parte del mondo,
nulla forse è successo, gli uomini sono dediti alle
loro “normali” occupazioni.
L’attesa, vana, dura tutta la notte: cerca testardamente un motivo di speranza, qualcosa legato alla società nella sua tediosa routine di guasti e inceppi, invocata con urgenza metafisica e
nostalgia: scioperi simultanei dei piloti, dei doganieri, dei caffettieri, dei giornali. E invece in
diciotto ore nessun compagno d’attesa, tutto
nell’abbandono e la polvere comincia a coprire
con uno strato leggerissimo ma visibile quel luogo di perfezione. Dal cielo non arriva nulla: “Da
Nairobi, seguito a litaniare, dal Cairo, da Zagabria, da Caracas, da Atene. Verso Parigi, Teheran, Montreal, Mosca”. L’unica traccia, in questa
solitudine sempre più avvertita e sempre più
consapevole di averla in qualche modo favorita
Guido Morselli, Dissipatio H.G., Milano, Adelphi, 1977,
p. 42.
4
152 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
con la sua ricerca esistenziale di vivere isolato,
sono due valigie del sergente americano Black e
la jeep di lui, con il pieno di benzina che permettono al narratore di partire, alla volta della Undicesima Base americana (non in territorio svizzero, ma oltre il confine) di cui i giornali avevano parlato poco giorni prima a causa
dell’ammutinamento di alcuni soldati di colore.
Questa, come tutte le altre esplorazioni alla ricerca di tracce umane, fallisce, solo Karpinski lo
attende, ha bisogno e voglia di vederlo, si tratta
soltanto di interpretare i segni lasciati da lui, il
mitico dottorino, figura salvifica per eccellenza.
Nel V capitolo di Dissipatio l’aeroporto e, più
specificatamente, i suoi immensi hangar, il laboratorio di costruzione e manutenzione della tecnica avanzata rappresentano le nuove Cattedrali
dell’umanità civile. Ancora nel mezzo dell’attesa,
come un fedele in pellegrinaggio per chiedere la
grazie dell’apparizione (o meglio riapparizione)
dell’uomo, il narratore gli rende visita. Sono castelli irti di scale, ingombri di attrezzi, come le
rotative dei giornali in parte ancora attivi, con
una chiazza di cherosene e olio che cola fra i carrelli. Deve allontanarsi, il fumo della sua sigaretta rischierebbe di innescare l’incendio. La visione resta però potente e meravigliata, in questo
deserto urbano5:
La cattedrale, nell’intrico degli acciai traforati,
impalpabili che la sostengono, è bellissima; mi ha
tonificato. Contro ogni tecno fobia, quella mole garantisce per i suoi autori, e l’uomo non è reperibile. Come i cristiani di Costantinopoli minacciata
dai Turchi andavano a rimirare la loro gloriosa
5
Ivi, p. 43.
AEREI
153
Santa Sofia, e da quelle cupole e colonne cavavano
auspici di salvezza.
Il miracolo non avviene, lo spazio del sacro
non si addice a questo nuovo tempio, mentre resiste nel cuore dello scettico, ironico, disperato
narratore, capace di coltivare comunque un punto di intatta attesa dell’uomo, dell’amico.
Questa traccia lo conduce, dal tempio della
tecnologia aereospaziale, attraverso la Base americana, ad un luogo opposto, fatto di carne, di
passioni passeggere, di memorie struggenti legate alla fisicità. Il narratore, infatti, arriva casualmente alla città della Tuti, la donna di un
tempo, a cui, quindicenne, ha sacrificato “la verginità”.
“L’ignoto mi è addosso” suona l’incipit del capitolo XV. Le cattedrali della lotta alla paura
umana, del disegno di Icaro che si realizza, diventano questo segno di instabilità e paura. Non
più strumenti di morte, ma templi della diaspora
e dell’affollamento, dell’odioso turismo di massa.
Il comunista e i neri
Anche quando l’aeroporto è affollato, Morselli
non rinuncia di penetrarvi con la sua muta protesta, capace di rimbalzare a noi a mezzo secolo di
distanza. Si tratta del XIV capitolo del Comunista, il penultimo. Non è il primo viaggio importante di Ferranini nel romanzo: il suo soggiorno
nell’Unione Sovietica comunista ne acuisce il malessere, accompagnato, in una analogia ricca di
significati, da una malattia vera e propria. Così in
America, dove torna dopo parecchi anni, e in cui
154 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
ha vissuto contraddittoriamente il rapporto tra le
utopie del giovane comunista e le attrazioni del
consumismo. Si è sposato con una ricca “figlia del
capitale”, Nancy, che ora, gravemente ammalata
(si scoprirà solo in seguito che ha tentato il suicidio) lo vuole rivedere per quel che potrebbero essere un ultimo saluto. I due viaggi in aereo, andata e ritorno dagli Stati Uniti, determinano i destini del romanzo, con l’incontro con uno strambo
personaggio, prima vittima del sistema capitalistico e poi capace di inventarsi una modalità di
sospensione-ribellione eccentrica, sfruttando a
suo vantaggio i mezzi della tecnologia. Nel mezzo
tra le due scene dell’aeroporto, di Fiumicino e di
New York, la consapevolezza della sofferenza e
della assurdità della vita umana, si palesa di nuovo in quella via crucis nella neve in cerca
dell’ospedale di Nancy che è la replica della scena
analoga del Dramma Borghese, dove egualmente, dietro l’ombra di un tentato suicidio, il padre
cerca il ricovero dove è stata portata la figlia, in
una sequenza da labirinto infernale.
Walter, strascinandosi nel freddo e nella neve,
pensa: se morire è una semplificazione perché
bisogna camminare tanto. Sbattersi, fare fatica,
pensare? Ha assimilato, o meglio vissuto, in
prima persona, i pensieri di una delle più celebri
sentenze della storia del teatro e della letteratura
di tutti i tempi, dall’ultimo atto del Macbeth, riletti nel volantino distribuito a Fiumicino da uno
strambo personaggio, a nome Lamoureux.
Sviene. Si lascia andare nel fango. Aiutato da
un portoricano, giunge nello stesso ospedale di
Nancy, quello che stava cercando.
Non è infarto, solo un collasso. Un bravo medico si prende cura di Ferranini. Si chiama Newcomer, il nuovo arrivato: la sua diagnosi è per-
AEREI
155
fetta, capace di leggere la profonda relazione tra
malattia fisica e nevrosi.
Ferranini rivede Nancy, a ruoli invertiti: è lui
il malato. Troveranno insospettabili punti in comune.
Ma il romanzo volge al termine, gli States non
possono che essere una parentesi, il permesso di
soggiorno è scaduto. Ora è solo più stanco, tutto
è soppresso, livellato6:
Tornare? Avanzavano al passo, c'erano partenti
inquieti nella penombra dell'autobus: si profilava
il pericolo di fare tardi all'aeroporto. Tornare? [...]
Gli interessava di andare. Andare e basta. Gente
che lo aspettasse non ne aveva, scopi non ne aveva.
Prende l'aereo, ha cambiato “destinazione”,
non tornnerà nella corrotta Roma del Parlamento, ma atterrerà a Milano, per poi, con molta
probabilità, aspettare in Emilia gli sviluppi del
caso politico intorno alla sua persona (il saggio
sul lavoro pubblicato da “Nuovi Argomenti” deplorato dal partito).
Uno sguardo ai giornali: niente di nuovo nelle
ipocrisie quotidiane, nella sua vita, come in quella di tutti gli uomini7: “Respinse i giornali, si affibbiò la cintura. Pensò: mangio, poi mi addormento”.
L'ultimo pensiero viene rivolto al viaggiatore
nero incontrato all'andata 8: “Gli avrebbe fatto
piacere ritrovare il negro Lamoureux. Il ricordo
del viaggio di andata gli sorrideva, ci pensava
Guido Morselli, Il comunista, Milano, Adelphi, 1978,
p.,357.
7 Ivi, p., 359.
8Ibidem.
6
156 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
con nostalgia”.
Il personaggio che ha portato in scena, in quel
suo modo strambo, a caratteri cubitali, nel volantino distribuito in quel luogo dove la gente
non vuol pensare a nulla di drammatico, il messaggio tragico, come il messo delle antiche rappresentazioni, rompendo il consueto panorama
da aeroporto (quella descritta e scomparsa in
Dissipatio H.G.)9come luogo del passaggio frenetico e del turismo consumista: “Life's but a
walking shadow, a poor player. It is a tale told
by an idiot, full of sound and fury, signifying
nothing”.
Lamoureux è malato d'insonnia10. Vive sospeso nei cieli, aspettando di chiudere gli occhi e da
uno scalo all’altro distribuisce quei volantini 11:
“Bene, amico, io passo tre o quattro notti la settimana a tre miglia di altezza sopra l'Atlantico,
questo mi conforta. Qualche volta verso l'alba
riesco a chiudere gli occhi”. Il simpatico e logorroico negro si lamenta che Shakespeare non abbia fatto una tragedia sull'insonnia. Il Macbeth è
proprio la tragedia di chi non riesce a dormire!
Non ha tutti i torti Lamouroux. La sua storia, in
fin dei conti, è quella di una alienazione da lavoro, la problematica per cui Ferranini è da sempre
impegnato e per cui si sente, ormai, fuori dal partito,
completamente
sordo,
nonostante
l’ideologia sbandierata, alla vera condizione dei
lavoratori. La gente che viaggia si illude, sostiene
9Ivi
p., 306.
p., 309.
11 E quella di Morselli, stando a varie testimonianze, è similmente anche tragedia di nevrosi, acutizzata
dall’insonnia, provocata da rumori molto fastidiosi, infiltratisi nel suo eremo della pace, a Santa Trinita, accanto al
lago di Gavirate.
10Ivi
AEREI
157
il nero, di darsi da fare o di evadere: il loro viaggiare è supremamente inutile, come il culmine
della cosa inutile che è il loro vivere, dice a Ferranini. Il caso vuole che i due si ritrovino
sull’aereo che li porta verso gli Stati Uniti. Così
Walter apprende che Lamoureux ha avuto vita
buona per 12 anni, con l’invenzione di una agenzia per trovare alloggi. Poi “d’improvviso il vento
è cambiato”12 con una sporca malattia, nevrosi
d’angoscia. Guarisce, ma si ammala di un male
un “po’ meno grave, astenia depressiva con dissociazione” un male che permette le funzioni
primarie ma non di prendere sonno. Ecco allora
la eccentrica soluzione che ancora, al viaggio di
ritorno, dona un sorriso a Ferranini, mentre il
suo futuro resta del tutto incerto. Il romanzo si
conclude su quell’aereo, su questi pensieri. Con il
divertito ricordo del negro e del suo Macbeth. La
sentenza shakespeariana potremmo “tradurla”
sinteticamente usando un celebre titolo morselliano, la felicità non è un lusso, eppure degli insormontabili ostacoli ci impediscono di raggiungerla definitivamente.
Intanto Ferranini comprende la necessità di
lasciare gli Stati Uniti e Nancy (in definitiva la
donna è più “in salute” di lui), una vita che non
gli appartiene più, in alcun modo. Rimane in cerca di una identità, ben più complicata di una mera adesione politica al blocco stalinista o a quello
occidentale.
Non vuole atterrare a Roma e riprendere la vita parlamentare, ma non ha maturato una scelta
alternativa. Intanto cambia destinazione al suo
biglietto aereo e punta verso Milano: probabilGuido Morselli, Il comunista, Milano, Adelphi, 1976, p.
308.
12
158 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
mente, da lì, si concederà un periodo di riflessione nel paese d’origine, Vimondino, fino ad una
decisione definitiva. Magari rimanendo sospeso
per un poco, come Lamoureux, su quell’aereo.
Un finale aperto, con Walter che viaggia contro le
direttive del medico, per cui la salute era ancora
troppo precaria per affrontare una così impegnativa traversata. Morire d’infarto, dunque, non è
ipotesi scartabile tra quelle possibili. Tra il ricordo del nero del Macbeth, in quella cabina si compie il destino di Ferranini, quale che sia.
Dopo aver letto i giornali internazionali, con
nessuna notizia dal quel piccolo paese dai grandi
vizi, l’Italia, Walter si addormenta. La sua fantasia accarezza una soluzione più radicale di quella
di Lamoureux: “Bisogna che quel viaggio non finisse più, l’aereo si sarebbe dovuto fermare in
mezzo
all’Atlantico,
sprofondare
dentro
l’Atlantico. Lasciare lui immobile e equidistante”.
A Morselli il Macbeth appare una “ tragedia
classica” per eccellenza, come si evince facilmente dalle sottolineature alla introduzione alla edizione dell’opera shakespeariana presente nella
biblioteca personale dello scrittore. Nel testo, a
penna, (per solito indice di una rilettura e di una
utilizzazione in qualche contesto creativo o saggistico) sottolinea la famosissima frase della V
atto sc V e scrive accanto “una storia raccontata
da un idiota v. National Geographic, 1964,
p.641”.
Il particolare non è secondario, come anche
ho discusso nell’editoriale di “In limineMorselli”: le fonti di Morselli non sono solo libresche: in modo più libero, lo scrittore apprende anche molto dalle riviste, per esempio quella
del Touring, dai quotidiani, dai fatti di cronaca,
mettendoli in movimento, nella sua fantasia cre-
AEREI
159
atrice, sia con le letture della cultura ai più alti
livelli, sia con l’esperienza quotidiana, sia con
elementi centrali dei suo libri. La copia del “National Geographic” posseduta dallo scrittore non
risulta tra i numeri conservati al Fondo Morselli
di Varese. Comunque sia il nesso è lampante: la
frase riportata del Macbeth in bella evidenza
grafica nella rivista è ovviamente la medesima
richiamata nel testo e come il lettore di Morselli
sa bene, quella utilizzata nel penultimo capitolo
del Comunista, in un episodio centrale sia per lo
svolgersi della trama del capolavoro di Morselli,
sia per il messaggio finale. La lettura del reportage avviene infatti negli anni della stesura del
romanzo, ed è presumibile che dopo averla letta
o più probabilmente riletta nella rivista, Morselli
riprenda il testo shakespeariano, controlli la frase e apponga a margine il richiamo13.
Lo scrittore conservava (si può verificarlo del Fondo
Morselli a Varese) le annate del “National Geographic”,
citato anche nel Diario, fittamente annotate e ricche dei
famosi inserti (altri ritagli di giornale che se aggiunti ai
quasi ottocento di Pavia sono una cifra non trascurabile,
fogli manoscritti, appunti, cartoline e lettere, quest’ultime
raccolte in gran parte ancora dalla infaticabile Linda Terziroli).
La fondamentale citazione dal Macbeth deriva dal reportage The Britain that Shakespeare Knew, by Louis B.
Wright, director, Folger Shakespaeare Library, Washington, Illustratioons by National Geographic photografer
Dean Conger in “The National Geographic Magazine”, vol
125, May 1964 (pagine da 613 a 668, la citazione del Macbeth si trova a p.,647, con le foto della brughiera e del castelli scozzesi) una sostanziosa parte monografica dedicata
ai luoghi shakespeariani. Sul manoscritto del Comunista
accanto alla frase riportata, Morselli rimanda, con la tipica, minuta segnatura a matita, a tale reportage e così nel
volume del Macbeth, su cui, con ogni probabilità, in un
secondo momento, va a controllare la citazione. Proprio
13
160 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Del resto, proprio nello scorcio finale, dopo il
bellissimo brano in cui Ferranini lasciando gli
Stati Uniti vorrebbe vivere sospeso in volo come
il “nero di Macbeth” oppure naufragare con tutto l’aereo (brano che appare limpido, netto nel
manoscritto, come scritto di getto, su ispirazione
precisa, senza il tormento delle correzioni che
ricorrono fitte quasi dappertutto), il comunista
apre i giornali e paragona la risibile provincialità
dell’Italia al respiro dei rotocalchi esteri. Un
punto di vista esterno e da lontano, riassuntivo
della lunga, dolorosa esperienza di rinnovata
formazione del romanzo.
quel numero manca, purtroppo, al Fondo Morselli di Varese. Non sapremo mai, a meno di improbabili ricomparse, cosa lo scrittore sottolineasse o magari commentasse.
Chissà se lo stesso Morselli, per servirsene per il Comunista, aveva scorporato quel numero (non presente però a
Pavia, almeno allo stato attuale delle mie ricerche) oppure
qualche disonesto studioso se ne è appropriato, oppure, il
numero è andato disperso nei vari traslochi (come pochi
altri, in effetti).
Non è l’unico riferimento al “National” del finale del Comunista, traccia da seguire che indico agli studiosi e mi
riservo di approfondire, come del resto tutto quel che riguarda questi ritagli, di cui qui si parlerà solo in generale.
Si cita in particolare per la location di Filadelfia, nella scena capitale della ricerca dell’ospedale di Nancy, il volume
8 del 1960, a p. 8. (p,331 del manoscritto). Di nuovo,
all’inizio del capitolo XV la fonte è il medesimo magazine,
però a p.158. Si cita poi, a titolo di esempio, l’Enciclopedia
italiana, per la Rivoluzione americana il “Mondo” del 4-864, riviste mediche e il “Time”. Ancora il “National” del
settembre 1964 a proposito della attività militante di
Nancy. Lavoro non inutile per lo studioso compulsare i ritagli di giornale e le riviste possedute da Morselli: anche
in questo caso le sottolineature e le glosse risultano quasi
sempre riutilizzate, direttamente o indirettamente, nelle
opere creative o saggistiche, in una forma di suggestivo
dialogo a distanza.
AEREI
161
Il finale “aperto” lascia dunque Ferranini su
quell’aereo. Ritrae perfettamente la calma inquietudine (disperazione?) del protagonista e la
bellezza di questo finale, decisamente compiuto
in questa incompiutezza, sotto l’ombra shakespeariana. Scrive Valentina Fortichiari14:
Preparata, suggerita da una serie di considerazioni
pessimistiche, addirittura fallimentari nelle parole
di un negro […] il quale tra i banchi dell’aeroporto
distribuiva volantini stampati con versi di Shakespeare […] la morte sembra abbattersi sul protagonista, preannunciata dai dolorosi segnali cardiaci alle soglie dell’infarto. Il dubbio sul suo futuro
destino (la morte, il suicidio, la sopravvivenza) resterà alla conclusione del romanzo.
Sempre protagonista Walter Ferranini, con il
suo compagno di viaggio Theò, l’abbozzo di un
romanzo, Mia celeste patria, prevede un dirottamento, sull’asse Parigi-Torino. Accennata anche in Dissipatio tra le possibili sciagure moderne, il dirottamento e la morte in volo funzionano
allora come chance del rinvio, per usare il suggestivo termine del saggio della D’Arienzo, ma
sembrano riportare molto chiaramente l’idea di
una definitiva sospensione, cercata o incontrata
a seconda delle circostanze.
Valentina Fortichiari, Invito alla lettura di Morselli, Milano, Mursia, 1984, p. 83. Si veda anche Domenico Mezzina, Le ragioni del fobantropo. Studio sull’opera di Guido
Morselli, Milano, Stilo, 2011, 158 e ss.
14
162 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Infarto, esiste allora una medicina? (Ancora su Il comunista15)
Disegnando un affresco storico ampio e verisimile del mondo parlamentare comunista
nell'Italia della fine degli anni Cinquanta, Morselli rivela straordinariamente il suo carattere di
narratore delicatamente teso a “umanizzare” i
suoi personaggi. Nel Comunista giunge al culmine quel tipico coraggio del dire “ingenuo”, del
domandare su argomenti giudicati risibili dalla
falsa professionalità degli esperti in cose umane,
che è segno di intelligenza e sensibilità rara.
Troviamo, nel lungo romanzo, i topos vulgati
di quell’ambiente: gli integralismi, la ferrea dittatura del partito, l'ingerenza nelle vicende personali, la pigrizia e l'affarismo della vita parlamentare in cui rossi, bianchi e neri non sono diversi tra loro, la guerra fredda e la netta divisione, didascalica, tra la cultura comunista dell'Est
e quella capitalista degli States.
Tutto questo è complementare a un fondale, a
un'atmosfera, percepibile e non scritta, in cui si
muovono i personaggi. Emblemi di una teoria,
Mi sembra opportuno riportare in questo paragrafo alcune delle riflessioni del capitolo II, Barcollando nel fondale della fatalità. Il comunista, della mia raccolta di saggi morselliani, Incontro con Guido Morselli, Roma, Associazione San Gabriele, 2003. Proprio questo capitolo era
l’unico inedito di un volume a cui rimango molto affezionato (sia pur nella distanza che oggi rilevo da alcune riflessioni di allora, per altro da rivedere alla luce di inediti
conosciuti successivamente) proprio per il carattere di circolazione amichevole non soggetta alle limitative esigenze
del mercato editoriale, degli editori di serie A e serie B, del
bollino (spesso esteriore e legato a una normativa schematica, della scientificità.
15
AEREI
163
simboli di un modo di vivere, finché un vento
forte non spazza via intenti, decisioni, responsabilità, giudizi.
Walter Ferranini vive istanti di umanissima
“sperdutezza”16, come camminasse barcollando
dentro una fitta nebbia, ancora certo integralmente delle sue convinzioni etiche, non scaturite
da una teoria, ma da un’autentica vicinanza alla
gente.
Il fondale, nebbioso rimane l’emblematico ed
evidente simbolo cromatico della coscienza di
una crisi17 esistenziale.
16Bellissima
espressione di Giovanni Testori, citata da
Paolo Mattei: “‘Sperdutezza’, parola coniata per descrivere
quegli attimi in cui l’uomo lascia fare ad un Altro la sua
vita. Come un bambino che riposa in braccio a sua madre
[...] l’abbandonarsi a un’altra forza che compie e realizza
quello che l’uomo desidera” (“30giorni”, ottobre 2000). In
Morselli, la “sperdutezza” rimane sulla soglia dell’attesa,
di “lasciare fare ad un Altro”.
Paolo Mattei è autore della brillante tesi di laurea, Morselli e gli "incontri coi comunisti": tracce di un percorso
narrativo, discussa alla Terza Università di Roma, sul
mondo comunista in Guido Morselli. Con lui ho sfogliato i
libri di Morselli a Varese, gli appunti, i ritagli di giornale
conservati nella cartellina Il comunista a Pavia. Rimando
a questo lavoro per la ricchezza della documentazione (in
particolare sul Comunista), spunto per un brillante commento alle opere sul comunismo e sulla commedia Marx.
Per la documentazione sul comunismo di questo romanzo
si veda anche Guido Morselli, I percorsi sommersi, a cura
delle infaticabili Elena Borsa e Sara d’Arienzo, Novara, Interlinea, 1999, in particolare il capitolo, Il lavoro, la tecnica, la cultura.
17Scrive Giulio Nascimbeni, “Corriere della sera”, 14-91980, a proposito della duplicazione di romanzi di ambiente comunista: “Eppure, sia che affronti le ombre della
clandestinità, sia che parli delle Botteghe Oscure, Morselli
sembra affascinato dal nucleo di psicologie, di modi di vita, di affinità e conflitti che agita i suoi personaggi di mili-
164 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Con parole di Italo Calvino, severo critico del
Comunista, voglio dirne la rilevanza ultima. Per
sottolineare come nello stesso periodo in cui il
celebre scrittore di fatto bocciava, rimandando
ad altri consulenti editoriali, il dattiloscritto di
un semisconosciuto scrittore18, Guido Morselli
non era estraneo al dubbio, alla crisi, alla domanda. Sto parlando della Giornata d'uno scrutatore, ambientato nel 1953 e pubblicato nel
febbraio 1963. L'anno dopo Morselli scrive Il
comunista, ambientato nel 1959, scritto nel
1964-'65 e che uscirà postumo solo nel 197619.
Lo scrutatore militante del P.C.I., di fronte al
decadere, in pragmatismi o stanchezze varie,
della forza dell'originale messaggio, sia nel campo marxista che, intelligentemente, in quello
cattolico, vive la “nostalgia” di momenti iniziali
tanti. Forse per questo il tema dell’uomo comunista è
l’unica ripetizione nell’opera di uno scrittore che non si è
ripetuto mai”. Diciassette anni corrono tra i due romanzi,
ma nel mezzo, come si è visto, L’amante di Ilaria. Dal
1964, dopo Il Comunista, al 1973, Guido Morselli scrive
tutti gli altri suoi capolavori, con la sola eccezione di
Dramma borghese, del 1961-1962. Roma senza papa
(1966-7); Contro-passato prossimo (1970); Divertimento
1889 (1971) e Dissipatio H. G. (1973).
18Ora la lettera a Morselli si legge in I libri degli altri, Milano, Mondadori, 1991. La citazione della Giornata d’uno
scrutatore è tratta dal secondo volume di Romanzi e racconti, Milano, [I Meridiani] Mondadori, p. 15.
19Con l’ennesimo nulla di fatto, dopo due anni e mezzo
dalla stesura definitiva e dall’avvio delle “pratiche” per
l’eventuale pubblicazione, si concludeva la penosa vicenda
editoriale del Comunista, arrivato fino alle bozze di stampa per Rizzoli e insabbiato per un improvviso cambio al
vertice, complice una incomprensione dello scrittore che,
esasperato per il prolungarsi del tira e molla, ritirava il
manoscritto, quando forse poteva essere riesaminato dai
nuovi dirigenti.
AEREI
165
di attivismo spontaneo e si pone una cruciale
domanda:
Ricordava le sedi improvvisate dei partiti, piene
di fumo, di rumore di ciclostili [...] a distanza di
anni egli poteva cominciare a vederlo, a farsene
un'immagine, un mito [...] perché quell'epoca era
finita, e piano piano a invadere il campo era tornata l'ombra grigia della burocrazia [...] Dunque,
quello che conta d'ogni cosa è solo il momento in
cui comincia, in cui tutte le energie sono tese, in
cui non esiste che il futuro? Non viene per ogni organismo il momento in cui subentra la normale
amministrazione, il tran-tran? Anche per il comunismo - non poteva non domandarsi Amerigo anche per il comunismo sarebbe avvenuto? o stava
già avvenendo?
Lo stupore di una iniziale solidarietà, la dedizione spontanea agli altri e l'ombra grigia della
burocrazia. Stesso tema/dilemma in Ferranini:
attivista della base, vicino alla gente, approdato
al pigro e affaristico ambiente della Roma parlamentare, ne soffre il torpore, il ”tran tran”.
Anche nel campo degli affetti, dovrà constatare
che: “quello che conta d'ogni cosa è solo il momento in cui comincia”, o si desidera ancora da
lontano.
Non facendolo parlare in prima persona, ma
assumendo la natura intima del suo personaggio, Morselli ottiene una poetica prospettiva: se
il fondale della sua “sperdutezza” è la malattia,
l'analisi politica e umana sul lavoro è simile a
quella di un medico sul paziente. Con la differenza che il soggetto e l'oggetto della ricerca
coincidono. Medico e paziente sono la stessa
persona. Walter Ferranini, il comunista, perfino
antipatico per la sua incrollabile fiducia nell'ortodossia del partito, è malato.
166 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Proviamo a districare questo paradosso, ripassando gli eventi della vita di Ferranini.
L’intreccio narrativo, al presente, racconta, dopo
pochi mesi di esperienza parlamentare, le vicende di un “genuino elemento della base”, messo
in una crisi latente, sempre superata, da vari eventi “romani”, fino a un processo da parte della
dirigenza del partito per un articolo sul tema del
lavoro. A questo punto giunge la notizia di
Nancy, senza esitazioni, il comunista si imbarca
per gli States, con le disavventure delle malattia,
il ricovero, l’incontro con Newcomer. Scaduto il
visto, sull’aereo del ritorno, il romanzo si conclude, dopo aver descritto finemente ambienti
romani, emiliani, statunitensi, russi e una folla
di caratteri e personaggi di contorno.
Sono molti i flashback stranianti in cui la storia scivola inesorabilmente nel fondale, tra utopia e rimpianto, rappresentato poi, in modo insuperabile nella scena della via crucis verso
Nancy.
Walter deve “barcollare” nel grigiore di quella nebbia simbolica. E bisogna che lo faccia subito per rappresentare, icasticamente, un Giobbe perseguitato dalla sofferenza e dalla malattia
che rschi di perdere la fede. Se risulta uomo integro e austero nella descrizione di altri compagni nell'incipit del romanzo, sappiamo subito
della sua condizione di orfano (su questo argomento riflette in modo mirabile Linda Terziroli
nel più volte citato volume “In limine-Guido
Morselli”, 2012). Ha dovuto vagabondare e lavorare duro. È stato in Russia e in America, sempre a fianco dei lavoratori. Ha però una passione
per la biologia che lo avvicina di più al sentimento della natura di Morselli piuttosto che a quello
di Marx. Si è conquistato il favore popolare alle
AEREI
167
elezioni ed è sbarcato a Roma, dove il tedio e la
pigrizia lo bloccano, insieme al giudizio moralista sul costume borghese dei compagni. Studia,
con grande impegno, una nuova, più dignitosa,
legislazione del lavoro20: il fine della sua ricerca
teorica è rivolto all'uomo “fisico”, propriamente
al corpo fisico, dolorosamente provato dalle
condizioni di lavoro. Ecco il punto nevralgico del
libro:
la
sequenza
tragica
lavoro/dolore/malattia. Walter Ferranini è malato di
cuore (“miocardico recidivante da un quarto di
secolo”21) a causa delle durissime condizioni di
lavoro a cui si è sottoposto, per la sua condizione
di orfano e per la generosa azione verso gli altri
20Il
capitale, nella edizione citata nel capitolo precedente,
sembra il testo di Marx che ha offerto i maggiori spunti di
riflessione su questo tema, come segnala Paolo Mattei.
Morselli sottolinea icasticamente i passaggi in cui il lavoro
è definito mostruoso e l’individuo una molla meccanica,
quando la macchina subentra in modo massiccio.
L’obiezione, annotata a mano, è una velina per il romanzo,
in particolare per le pagine della visita in Russia: “Lo stesso fenomeno deplorevole si ha, però, anche nell’industria
di stato, e anche in regime comunistico. La satira di Chaplin in Tempi moderni colpiva anche la Russia sovietica e i
suoi stabilimenti”. Ancora poco più avanti, sulla alienazione delle macchine, obietta ugualmente, a margine
“Marx era comunista, voleva il comunismo. Ma questo assoggettamento che egli giustamente deplora dell’operaio
alla macchina, si evita, forse, nelle fabbriche delle quali
l’imprenditore è lo stato? [..] Ma come ha potuto Marx
non prevedere che l’industria non avrebbe cambiato il carattere passando dal regime capitalistico a quello collettivistico? (L’abolizione dei profitti privati non basta a rendere meno odioso il lavoro degli operai servi)”. Ovvero sia,
a guardare in campo lungo, la fatica del lavoro non verrà
abolita dalla dialettica marxiana: è il punto centrale
dell’analisi non ortodossa di Ferranini.
21Guido Morselli, Il comunista, Milano, Adelphi, 1976, p.
46.
168 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
lavoratori.
Il lavoro, per lui, è una condanna eterna che
nemmeno la dialettica marxista potrà annullare,
nel futuro trionfo del proletariato. Condanna per
una colpa non commessa22, o perlomeno non
adeguata a una punizione così pesante.
Walter, nei mesi romani, assomiglia a un pugile suonato, eppure fiero e integro, prima del
knock-out (sulla questione del lavoro).
Gli altri schiaffi non lo hanno mandato al
tappeto. Anzi, prima della fine del match, una
notizia lo riempie di nuova fiducia e guarisce il
malessere scaturito nel constatare due pesi e due
misure nell'ingerenza del partito nella sfera privata: è scelto per un viaggio in Russia, per seguire i lavori di un Congresso di scienziati (la sua
antica passione di biologo lo aveva portato a
scrivere a qualcuno di queste personalità).
L'entusiasmo è di breve durata: il fondale della malattia lo risucchia ben presto.
Arrivato nella terra del comunismo si ammala
per davvero e, guarito, constata che le personalità che cercava o sono già andate via dal Congresso o non sono mai arrivate. Contorni, ancora,
ben descritti, per arrivare al cuore. Qui si percepisce un altro battito stonato: Walter comprende
chiaramente che la condanna al lavoro è identica
nei paesi comunisti23 (il giovane russo che soffre
22Riflessione
centrale del pensare ingenuo in Fede e critica e perfino incarnata nel personaggio protagonista del
Redentore.
23 “Nei luoghi che hanno visto la grande Rivoluzione, a
Ferranini sembrava di non poter far niente di più degno
che studiare, imparare. Il suo problema tornava ad imporsi, il lavoro oggi, il lavoro eterno, lui avrebbe detto: un
problema che coincide con la vita stessa”, Guido Morselli,
Il comunista, cit., p. 249.
AEREI
169
di ulcera nervosa), in Italia (il compagno medico
Amoruso lo informa di identici casi di lavoratori
a Formia), negli States.
Non c’è dialettica che tenga. Intanto “Nuovi
Argomenti” gli ha pubblicato l'articolo sul lavoro, richiestogli da Moravia in persona, incontrato in casa Amoruso. Il partito non lo sa: richiesta
diligentemente l'approvazione, il plico gli torna
indietro perché la scrittura è illeggibile. Ferranini, con una leggerezza che gli costerà cara, lo
spedisce direttamente alla rivista di Moravia. Il
pugno secco si prepara con questo disguido, nella volontà stessa di seguire le rigide regole del
partito.
Ma esaminiamo gli altri bombardamenti,
quelli alla fine complementari, di costume 24,
all’integralità del “genuino elemento della base”.
Walter, preso nell'ingranaggio del capitalismo, quando era andato per combatterlo, vivendo un terribile sdoppiamento, ha sposato negli
States Nancy, figlia dell'italiano piccolo capitalista da cui lavorava. Tornato in sé, anche per un
cambiamento nella vita di lei, ritrova in Italia le
battaglie comuniste e il duro lavoro. È ora, a
Roma, l'amante di una donna sposata e separata
Nuccia. E questo non è bello. Non deve mostrar24Anche
la vita del P.C.I. in quei tempi di lotta tra stalinisti
e maggioranza (si vedrà il caso di Roberto Mazzola) è documentata dai ritagli di giornale conservati nella cartellina
del Comunista. Alcuni di questi riportano notizie di dibattiti accesi nelle sedi di Reggio, altri contengono l’accusa di
una severa militante che denuncia gli affari economici dei
compagni del partito nella medesima zona natale di Ferranini. Su sfondo mondiale il dibattito si riflette nel libro,
presente nella biblioteca Morselli e al solito sottolineato e
postillato, di Isaac Deutscher, Il comunismo tra Krusciov
e Mao.
170 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
si con lei. Richiamato più volte, barcolla, ma si
convince: vale di più l’unità del partito.
L’ingerenza si fa pesante, Nuccia è diffidata perché il marito la rivuole. E il marito è un alto dirigente del P.C.I., ora anche lui a Roma. Walter è
irritato, ma il partito è il partito. È pronto a sacrificarla25, ma ha un disperato bisogno di lei.
Non lo sa dire, balbetta. Un atavico pudore, più
solenne e granitico nelle persone di sicura fede,
chiede di non mostrarsi deboli, di reprimere le
lacrime. La donna glielo legge negli occhi. A
Nuccia non si può nascondere 26: “Hai due occhi
che chiedono pietà”.
Poi il processo durissimo del partito al giovane giudicato “estremista” che ben conosciamo,
Roberto Mazzola: in realtà il giovane applica alla
lettera i propositi della sua ideologia, risultando
scomodo alla logica di un partito entrato con disinvoltura nei compromessi della politica. Ferranini, insieme ad alti dirigenti, è chiamato ad
interrogarlo e poi a scrivere un rapporto, dove
deve essere indicato un giudizio perentorio: assoluzione o condanna. E se condanna, di quale
entità: richiamo o espulsione. Walter scrive due
volte la lettera, poi la corregge, barcolla: Mazzola ha le sue stesse posizioni, ma non può assol25Qualche
parola gli vien fuori, sempre in quel suo rimuginare, quando per la questione di Nuccia, barcolla fortemente e si chiede perché sempre a lui tocchi quel sacrificio: “Ma lo costruiamo lo stesso, il socialismo, anche se
Ferranini Walter ha un essere umano che si occupa di lui”,
Guido Morselli, Il comunista, cit., p. 198.
26Ivi p. 49. E in altro momento di forte crisi, p. 249: “Ma
lei aveva amore e intelligenza. Quelle collere in Walter
non erano mai immotivate, per futile che ne fosse il pretesto: lo aveva ben capito in quei pochi mesi. Erano segno di
delusione, di tristezza”.
AEREI
171
verlo, come aveva pensato una prima volta:
l’unità del partito conta di più e sa bene che i dirigenti lo vogliono condannare. È il culmine della purezza integralista (sia pur a danno di un altro “puro” come Mazzola) della sua fede: non farà mai nulla contro il partito e decide per l'ammonizione. Il partito decreterà invece
l’espulsione di Mazzola, che andrà a fondare un
nuovo raggruppamento leninista.
L’esempio di comportamento disinvolto, borghese e affaristico è rappresentato ovviamente
da Montobbio, di cui con L’amante di Ilaria abbiamo conosciuto la metamorfosi: ora lo vediamo a proprio agio nell'atmosfera romana, antagonista viscerale di Roberto Mazzola (che vive
con la madre che ha avuto il coraggio di lasciare
Gildo), integralista fino alla divergenza con il
partito27. In questo frangente, sia pur con motivazioni diverse se non opposte, Ferranini giunge
alle stesse conclusioni di Montobbio, condannando, di fatto il Mazzola all’espulsione, in nome della unità del partito. L’episodio sarà però
decisivo nelle riflessioni finali, ancora sull’aereo,
in quella posizione decisamente instabile e non
risolta su cui il romanzo si conclude, non concludendo le importanti questioni sollevate.
Altre piccole beghe, insieme a rinnovate amicizie, vengono a Walter dai compagni di Reggio,
per raccomandazioni, appoggi politici, segnalazioni. Insomma spietatamente (con alcuni tratti
perfino “didascalici”) viene rappresentato il
mondo politico nei suoi vizi e nelle sue virtù.
Niente di originale, anche dal punto di vista del27Queste
vicende, come si accenna nel precedente capitolo,
sono materia di un’opera teatrale inedita, precedente al
Comunista, L’amante di Ilaria.
172 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
la tecnica del romanzo, se non fosse per l'appiccicarsi di quel fondale in un ambiente verisimile,
senza il quale Morselli sarebbe caduto
nell’astratto.
Dal terzo capitolo in poi, il libro lievita, con
inevitabile cadute, s’intende, tramite le continue
incursioni nel ricordo. Belle le pagine sulla guerra di Spagna e poi sui primi tempi negli States,
dove il comunista arriva con intenti rivoluzionari. Meno convincenti quelle in cui viene catturato, nel fascino di Nancy, dalla malizia del capitalismo. La preoccupazione della verosimiglianza
frana in uno sgretolamento onirico, in un delirio
di malattia, e l’acquisizione della falsa impersonalità narrativa completa il quadro, nelle pagine
migliori, con pochi dialoghi e seguendo senza
sosta le impressioni di Walter, in una tenera terza persona.
Camera fissa, anche essa barcollante nel fondale, sulla spalla dell'operatore, fra la freddezza
tecnica del mezzo (la terza persona) e la commossa partecipazione/assimilazione spontanea
all'altro da sé, specialmente quando Ferranini è
malato.
Intanto, tornato dalla Russia, la crisi si avvicina. I giornali borghesi stigmatizzano l’“eresia”
di un parlamentare comunista, strumentalizzandola. Il partito per ora tace. Solo qualche
compagno lo deplora o lo incoraggia cautamente, prima della presa di posizione ufficiale. Walter vive un’assurda attesa, una nicchia di sospensione.
Un fiume di inchiostro lo investe, lui che non
era mai intervenuto a Roma, oscuro parlamentare della provincia, tanto che forse nemmeno il
supremo capo (dove è ritratto Berlinguer) lo avrebbe potuto riconoscere fuori dal parlamento.
AEREI
173
I giornali vedono giusto, nel loro tentativo di incrinare l’unità del P.C.I.. Parlano di concezione
fatalista. È vero: le vicende di Walter barcollano
nel fondale della fatalità28, deragliando
dall’ortodossia dialettica e finalistica del partito.
La parola ricorre altre volte, come nelle frasi29
dell’”ambiguo” Amoruso, in teoria d'accordo con
Walter sull'articolo, ma che non interverrà a suo
favore con i dirigenti. Proprio in un dialogo con
il dottore di Formia, Walter solleva le bende sulla ferita sanguinante della sua coscienza30:
Forse sono pessimista, per me il lavoro e i suoi
mali sono una delle facce della sofferenza che l'essere vivente deve per forza subire. [...] La necessità
del lavoro è un'espressione, io dico, della ostilità
attiva o inerte dell'ambiente. Come il terremoto e
la siccità, come la malattia, come il colesterolo che
intasa le arterie.
Amoruso è su questa linea, portavoce di ferme convinzioni di Morselli, nell’evidenziare co28Il
pensiero ingenuo sul tema della colpa/malattia è molto vicino alla concezione tragica greca, come la descrivono
Charles Moeller in Saggezza greca e paradosso cristiano,
Brescia, Morcelliana, 1951, e lo stesso Steiner, nella introduzione al suo classico saggio sulla “tragedia”, che avremo
modo di citare. Le parole del Redentore sottolineano questa vicinanza con lo spirito greco, anche se, come sostiene
introduttivamente l’autore, per mezzo del capocomico, la
commedia si limita a presentare i fatti, senza optare per le
idee radicali presentate nel personaggio protagonista (ma
del resto, senza nemmeno ripudiarle).
29 “Il Primo Maggio serve a ricordare che il lavoro è una
mortale fatalità”, Guido Morselli, Il comunista, cit., p. 185.
Ancora in un pensiero di Walter in Russia (p. 235) la fatalità del lavoro è “cruda”, senza confini geografici, di sistemi economici o politici.
30Guido Morselli, Il comunista, cit., p. 154.
174 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
me la violenza e l'ingiustizia siano forme “più
sottili di malattia, di aggressione da virus”.
Come mettere d’accordo questa visione con il
finalismo marxista? Amoruso risponderà per
lettera, qualche tempo dopo, liberando la teoria
di Marx ed Engels dalla presunzione di voler rispondere ad un quesito, come quello di Walter,
appartenente ad un’altra sfera: quella della felicità.
Esattamente, la felicità. La parola che Walter
non pronuncia e che sta dentro la sua ricerca: la
schiavitù del lavoro, della malattia, della fatalità
non rende felici.
Il pensiero ingenuo di Morselli ha contaminato il suo personaggio protagonista. In modo delicato e verisimile. Senza forzature. Adesso la
sfida è aperta. Walter Ferranini non è affatto polemico. Vorrebbe soltanto una risposta dai compagni, magari dagli alti dirigenti del partito. Ha
scritto tutto in quel suo articolo che Moravia ha
immediatamente pubblicato. Nella prima parte
sintetizza la sovranità dell'uomo sulla natura e le
cose nel pensiero di Marx ed esprime con cautela qualche riserva “perché l'esperienza quotidiana ci insegna che il mondo esterno e fisico, non
dipende da noi, ma proprio al contrario: noi dipendiamo da esso, in ogni istante e atto del nostro esistere”.
Per arrivare al cuore della questione del lavoro come condanna, sostituendo alla parola “alienazione” quella più comprensibile di “mortificazione”, sotto il segno della fatalità:
Non diversa (in fondo) è la pena del nostro dover
resistere ogni giorno alla malattia e all'invecchiamento, al disfacimento organico, e cioè sempre alla volontà ostile della natura, la quale ammette la
AEREI
175
vita soltanto per riannettersela: per distruggerla,
insomma.
Potremmo dire che anche queste situazioni di cui
siamo obbligati a difenderci, sono in un senso più
ampio “lavoro”. Il lavoro con la sua penosità è
dunque una condizione universale e insopprimibile. Senza riscatto.
L’articolo, scopertamente agli antipodi di un
antropocentrismo finalistico e illusorio, in pieno
spirito fatalista, evoca nel finale la tragedia di
Marcinelle31:
Lavoriamo agli ordini di, lavoriamo per, a vantaggio di un uomo, o un gruppo, o una classe. Ma se
anche questi scomparissero, la nostra sorte non
cambierebbe. Bisognerebbe seguitare a soffrire, a
subire. A Marcinelle, al primo allarme, venne
dall'alto, nella miniera che stava per crollare, l'ordine di sospendere il lavoro. E il “lavoro” cessò.
Ma quelle centinaia di uomini continuarono a lavorare, come prima, a scavare con i picconi e con
le mani, nella speranza di aprirsi un varco. E noi
siamo tutti come loro, siamo tutti a Marcinelle. I
padroni, di sopra, possono essere sostituiti, possono anche scomparire. Un giorno potremo anche
ricevere l'ordine di non lavorare più. E noi, invece,
saremo costretti a continuare.
Una malattia perenne. Walter è andato molto
oltre. Nel campo esistenziale e metafisico, dove
esattamente si pone il tragico, secondo la perfetta definizione di George Steiner32. Siamo malati,
31Ivi
p. 265.
tragedia è irreparabile”. Mi riferisco all’introduzione
del classico Morte della tragedia, in traduzione italiana di
Giuliana Scudder per Milano, Garzanti, 1965. Ma la versione l’originale, sia pur del 1961, risente, come è noto ed
evidente, della “tragedia” dei lager, da cui anche Morselli,
si è visto, trae origine per le speculazioni che si trovano
32“La
176 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
soffriamo. Barcolliamo su quel fondale. Anzi,
scaviamo con le mani nella speranza di aprirci
un varco. Esiste allora una medicina? Una luce
lontana, quel varco? Nel finale del romanzo, descritto in precedenza, balena l’intuizione di un
possibile annullamento, di una sospensione,
non lontanissima dall’idea del suicidio, definitivo annullamento di fronte all’evidenza che la felicità non è un lusso, eppure ancora una volta, la
mano d’acciaio stritola il desiderio e la rende
impossibile.
Amore (o morte) mostra la tua potenza
Una quindicina di anni prima del Comunista,
Morselli aveva descritto una morte in aereo, per
attacco cardiaco, tra il sonno e la veglia, come
sarebbe potuto accadere a Ferranini. Succede al
all’inizio del suo impegno di scrittore. A p. 8 si legge: “Dio
ha volto in bene le tribolazioni inflitte al suo servo: ha ricompensato Giobbe delle sue sofferenze. Ma dove c’è ricompensa, c’è giustizia, non tragedia. [...] Le strade di Dio
[nell’ebraismo e nel Cristianesimo] non sono né capricciose né assurde. Le potremo conoscere perfettamente se la
nostra
ricerca
sarà
illuminata
dall’obbedienza.
L’insistenza del marxismo sulla giustizia e sulla ragione è
tipicamente ebraica e Marx ripudiò in blocco il concetto di
tragedia. ‘La necessità’ dichiarò, ‘è cieca solamente quando non la si capisce. La tragedia ha origine
dall’affermazione opposta: la necessità è cieca, e incontrandola l’uomo resterà privo della vista’”. Anche sul tema
della colpa, Steiner ha parole illuminanti, mostrandoci,
indirettamente, come Morselli, in questo caso, sia molto
vicino allo spirito greco: “Nel pensiero ebraico la catastrofe è colpa morale specifica o mancanza di comprensione. I
tragici greci affermano che le forze che plasmano o distruggono la nostra vita si sottraggono al dominio della
ragione o della giustizia” (p.10).
AEREI
177
giornalista inglese Cedric Noles che da Roma sta
volando verso Milano per incontrare la donna
che lo ama. Si è accorto, sia pur tardivamente, di
amarla anche lui. Un mano di ferro,
nell’immagine icastica di Morselli, afferra il cuore dello sfortunato viaggiatore, stritolandolo.
Una beffa: aver deciso di legarsi per sempre a
quella ragazza e dover morire poco prima di poterla riabbracciare. Non è forse questo il racconto di un idiota, di un attore ubriaco? Eppure accade. Un momento ispirativo legato a Shakespeare crea un singolare legame con il finale del
Comunista. Capovolto. Se Ferranini vorrebbe
vivere una sospensione temporale (o forse infinita) lì nell’alto, come Lamoreoux, e quasi invoca la morte, Cedric Noles, dopo essere stato indeciso, tormentato dalle ombre del passato, in
definitiva irreali, deve constatare l’impossibilità
di realizzare un destino positivo.
Il titolo della sceneggiatura, Il secondo amore, sulla prima pagina-frontespizio della versione dattiloscritta è cassata. Resta leggibile il motto “Sweet love, renew thy force”33. Si tratta di un
verso del sonetto LXVI34.
I faldoni che conservano i materiali della sceneggiatura
vengono divisi in apposite cartelline, come il resto del materiale morselliano dopo il prezioso ordinamento della
D’Arienzo e della Borsa. Nella prima Isa 1 una versione
manoscritta della sintesi narrativa (risale al 22/IV/ 52,
quindi posteriore alla stesura teatrale) che in Isa 2 è dattiloscritta. In Isa 3 il testo manoscritto di 70 pagine, con la
data finale 3/10/50. In Isa 4 la versione dattiloscritta, di
34 pagine, sulla cartellina rossa che la conteneva si legge
“Il secondo amore” Commedia o soggetto per film” e in
alto “La 3°copia trattenuto dall’Ente Mostra Cinematografica”. Isa 5 contiene invece un ritaglio di giornale relativo
al successo della rappresentazione de Il seduttore di Fabbri, del 31/12/1955, evidentemente sentita come comme33
178 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
dia affine a questa, per la difficoltà di scegliere presentata
dal drammaturgo forlivese attraverso il suo protagonista
(con il metro della commedia brillante dalle conclusioni
etiche molto pertinenti) non solo tra due tipi di donna,
come qui in Morselli, ideale e reale, sensuale e spirituale,
ma aggiungendovi la terza, la perfetta compagna di vita.
Saranno le tre donne e a turno tradite, a denunciare
l’impossibilità di questo ideale e nello stesso tempo rimpiangendo l’amore e la grande umanità del “seduttore”.
Nella sinossi dattiloscritta tra altri particolari non decisivi
un tantino diversi, si insiste all’inizio sulle attrazioni della
Vicenza dei ricordi, “È l’atmosfera, l’incanto di allora che
egli cerca in quei luoghi. E la giovinezza gli si fa incontro,
non come un’ombra, ma nella fresca persona di Sandra”.
La disillusione per Bianca, qui la maestrina Ada, è molto
più consapevole, dopo i molto espliciti tradimenti, qui subito reali, senza ombra di dubbio. Il commento di Cedric è
ben più sarcastico di quello che troviamo poi nella stesura,
più consapevole, anche della illusione vissuta dopo, solo
ricordo, tolta tutta la parte dolorosa dei tradimenti. Resta
dunque amata non Ada-Bianca, ma la sua immagine lontana (ultima riga, primo foglio bozza ISA 2.1). Si notino
ancora le inserzioni metaletteraie o meta teatrali nei racconti di Cedric, nel suo voler rivivere con Bianca quel film
del tutto ideale della memoria, che però nella bozza è sfumato e invece nella stesura diventa elemento centrale, distanziando in qualche modo la consapevolezza qui espressa di Cedric, o per lo meno rischiando di riproporla per
ricaderci di nuovo con Bianca, trattata però, in quei momenti, solo come attrice, forse proprio per allontanarla:
“Così finì il romanzetto dell’ingenuo giovane Britanno –
conclude Cedric, rivolto alle due signore- Il quale Britanno, quando cessò di essere tanto ingenuo, si accorse di dover immensa gratitudine all’infedele. Poiché impedendogli
di realizzare il suo sogno, gli permise di serbarne intatto il
ricordo, un ricordo che egli ancora saviamente amministra, attingendovi con circospezione … S’intende che, pur
essendo tornato a più riprese a Vicenza, mi sono ben
guardato dal ricercare la mia bruna Beatrice”. C’è poi nella
bozza padre Virgilio, il guardiano dei Cappuccini, che la
esorta a dimenticare Cedric, divorziato e anziano, scena
che non compare nella stesura, così come un altro medico,
AEREI
179
Brown a Roma che lo visita, dicendo che non ha nulla di
grave a parte i reumatismi.
34 Sfogliando l’edizione dei Sonetti, Firenze, Sansoni, 1941,
a cura di Piero Rebora (Mor 1236 nella catalogazione del
Fondo Morselli a Varese) consultabile nella biblioteca personale ora al Fondo Morselli per registrare le sottolineature o le glosse, rileviamo l’interesse per gli enigmi
dell’identità legati all’universo shakespeariano. La data
apposta sul volume è il 13/11/41, il sonetto LXVI ispira il
titolo, o il motto, della sceneggiatura divulgata come Il secondo amore, dei primi anni Cinquanta, ed è molto probabile una rilettura di quel periodo. Nella introduzione di
Piero Rebora, lo scrittore, con le consuete sottolineature,
mostra di interessarsi alla questione inerente al misterioso
W. H a cui sono rivolti i “fervidi” 126 sonetti, e anche
all’altra misteriosa figura di dark lady, a cui si rivolgono
un’altra ventina di testi. Rebora, sottolineato da Morselli,
riporta anche l’espressione di Croce, per il quale Shakespeare è fortunato: non se ne sa nulla e quindi riesce ad
evitare “l’errata filologia del pettegolezzo”. Così anche Eliot, per Dante, sottolinea Morselli dall’introduzione di
Rebora: meno ne so del poeta e meglio è. Come non pensare al paradosso di un autore che legge queste parole da
perfetto sconosciuto, ma che si avvierà a diventare uno dei
casi più emblematici di autore postumo. Magari sentendosi riepilogo degli uomini, come pare alludere una nota
sempre dall’introduzione dove Rebora cita il parere di due
studiosi secondo i quali il bardo non fece che fingersi attore di sentimenti altrui, scrivendo la buona parte dei sonetti per commissione.
A fronte di questi enigmi, che poi sono i nodi cruciali e ancora irrisolti del dibattito attorno a Shakespeare, come in
altre situazioni, l’interesse di Morselli si concentra sulla
ricostruzione storica e sulle fonti, in particolare sugli influssi del Cinquecento italiana sulla grande tragedia shakespeariana.
Altro libro sottolineato e glossato nella biblioteca personale, è proprio quello del medesimo studioso interamente
dedicato a queste questioni: Piero Rebora, L’Italia nel
dramma inglese, dove, tra gli altri passi sottolineati, mi
pare sintetico quello della pagina 18, dove Rebora si esprime in questo modo:
180 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
La sceneggiatura è dedicata alla città di Vicenza, luogo principale dell’azione, capace di determinare alcune importanti decisioni dei protagonisti: “Questo racconto è dedicato a una delle
più belle e nobili città italiane, nella quale in
gran parte si svolge, e alla memoria di uno straniero che l’amò, e che per due volte v’incontro
l’amore”.
Frase che rafforza l’ipotesi della trasfigurazione narrativa di un “inglese” realmente conosciuto in circostanze legate alla Seconda Guerra
Mondiale.
Cedric Noles viene presentato poco meno che
cinquantenne, con una “giovanilità” del tutto
spontanea, con cui viene a contrasto la profondità dello sguardo, che rivela l’esercizio abituale
del pensiero meditativo e sagace. “Uno spirito
alacre, non però pratico: sfumature di accenti e
di atteggiamenti potrebbero far pensare a un intellettuale tendenzialmente spregiudicato, giunto all’età esperta in cui ogni vocazione s’intinge
di dilettantismo”. È giornalista, altro topos morselliano, inviato dalla sua agenzia in Italia. Conosce bene la lingua per aver vissuto a Vicenza,
un lungo periodo da giovanissimo soldato. Lavora a Roma, ma si sta curando ad Abano. Stufo di
“I contrasti drammatici, le passioni, i dubbi, i sacrifici e le
bestemmie ciniche consumavamo le storiche fibre della
narrazione italiana, i cui uomini sembrano nel’500 veramente gli attori di una immane tragedia” Non c’è da meravigliarsi, dunque, sostiene Rebora dell’interesse del bardo, ma anche dei suoi predecessori, per l’Italia rinascimentale. Anche in questo testo troviamo topos tipici delle
sue sottolineature; con le fonti, su cui il testo si basa, chiaro l’interesse per gli artisti minori, di cui diligentemente
segna a margine una breve biografia, e le date del susseguirsi storico o dei fatti letterari.
AEREI
181
quella vita da quasi malato, viene a Vicenza, per
ritrovare le atmosfere della sua giovinezza.
La ragazza che lo aspetta invano all’aeroporto
nel finale è figlia della città palladiana: Sandra
Zanolin, “di famiglia” per bene, sui 23 anni, intelligente e seria, qualità non comune, osserva
Morselli nella didascalia.
I due sono destinati ad incontrarsi immediatamente, nella città dell’arte: sequenze rapide,
mostrano una discreta abilità nella sceneggiatura cinematografica, tendono a dilatarsi in momenti lirici, attraversati da improvvise ventate
in stanze vuote, ombre di apparizioni, premonizioni di eventi. I dialoghi sono spesso lunghi, assai godibili (come tutta la sceneggiatura) alla lettura, da scorciare e sveltire per i tempi cinematografici. Fascinosa l’atmosfera, creata per sondare, attraverso le immagini cinematografiche,
l’inquietudine dei personaggi, la ricerca
dell’amore, ostacolato nell’inglese da un carattere rude, dall’insorgenza continua del ricordo che
lo lega a un momento irrepetibile della giovinezza, sia pur, in definitiva, umiliante. Ha vissuto,
subito dopo la Prima Grande Guerra, nei mesi
dell’insediamento a Vicenza, le giornate di un
grande amore, rimasto l’unica passione trascinante e memorabile, nonostante le tante avventure di poi e perfino un matrimonio andato in
malora.
Interessano a Morselli le potenzialità insite
nella tecnica cinematografica: nel narrare il
grande amore giovanile di Cedric, si raccomanda
all’eventuale regista di insistere sulla rievocazione di quei luoghi durante la guerra. Nel suo progetto sono molto di più di una semplice location.
Devono rappresentare la concretezza di un eden
perduto, il contrasto tra guerra, sangue e bellez-
182 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
za, in cui si muove una ragazza la cui immagine
è altrettanto lacerata tra idealità sublime e carnalità rozza.
Di fronte alla comprensione e alla dolcezza di
Sandra, altro tema capitale in Morselli, Cedric le
rivela di essere malato: arteriosclerosi e uricemia, da qui a due anni saranno molto evidenti. È
tutto vero, nel racconto dell’amore e in quello
della malattia? Cedric usa l’ammaliatrice arte
narrativa in tutti e due i campi per attirare a sé
Sandra, inconsciamente o coscientemente si
vendica dei torti subiti dall’altra? A un buon regista, Morselli consegna il compito di non svelare troppo, di lasciare in sospeso questi elementi
centrali, di far godere il più possibile gli attimi in
cui gli specchi ustori dell’amore riflettono volti
diversi e convergenti, complicati dal fatto che
Sandra vede in Cedric una figura paterna. Non si
dimentichi Dramma Borghese ma anche Uomini e amori e Incontro con il comunista, Realismo e fantasia, tra azione e diari: Sandra legge
nel libro di Cedric (scrittore e giornalista), avviando un altro possibile sdoppiamento tra realtà e scrittura. All’inizio, il testo, parla della razionalità che deve vincere sul sentimento. Presa
dalla lettura, infatti, esce in cerca dell’uomo.
Nella bella sequenza, Morselli immagina la stanza di lei aperta da una raffica di vento p.14:
“rendendo l’immagine di una intimità sconvolta
da una forza avversa e irresistibile”. Corre nella
pioggia all’albergo e vede un uomo portato via:
culmine della disperazione. Ma poi capisce che
non è Cedric. Lui al vedere lei disperata, bagnata
di pioggia, ha momenti di dolcezza e la ragazza,
innamorata seriamente, spera in una conclusione positiva del rapporto. Lui torna freddo e le
AEREI
183
dichiara che “l’amore è faticoso e che lei deve
aspirare ad altro”.
Sweet love, renew thy force, recita il verso
tratto dal sonetto 56 di Shakespeare. Un imperativo urgente, di rinascita dell’entusiasmo e della
passione da un torpore soffocante, in definitiva
quello di Cedric, ammaliato da un passato lasciato volutamente intatto, per non rischiare di
farlo scendere da un piedistallo reale, costruito
dal tempo passato, circa trent’anni, siamo nel
1949 all’inizio dell’azione a Vicenza, per renderlo
ideale, per pulirlo dalle grossolanità e dalle scorie.
Torpore che, lontanamente, assomiglia alla
morte o, per lo meno, a un’esistenza senza senso. Dopo aver fatto la conoscenza di Sandra in
modo casuale, l’uomo ne è attratto, ancora però
inseguendo in lei il sogno dell’altro amore. Volendo riviverlo, chiedendo, appunto, di rianimare la sua forza. Aiutata Sandra - la cui famiglia
alto borghese ha subito un dissesto economico
per il maldestro comportamento del padre, ad
un passo da farsi coinvolgere in traffici illeciti di
opere d’arte - a vendere un prezioso Canaletto, si
apre con lei e con una ricca vedova inglese, raccontando la storia di quell’amore, tutt’altro che
felice, se non nel ricordo e nella stigmatizzazione
dei momenti spensierati. La ragazza di
trent’anni prima, infatti, tradiva palesemente
l’ingenuo soldatino inglese, riuscendo poi a farsi
perdonare. Fino a un ultimo episodio, quasi
boccaccesco, in cui Bianca, questo il nome del
“primo” amore, si fa condurre all’ospedale da
campo degli eserciti, per amoreggiare con
l’ennesimo militare, fatto passare per un cugino
ammalato. Cedric, che l’aveva fatta travestire per
passare la zona interdetta ai civili, scopertala in
184 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
flagrante, questa volta non può tollerare. La
donna del resto non cerca scuse, anzi è lei, infine, a voler troncare definitivamente. Eppure da
quel tempo l’amore non è mai risorto così intenso. L’immagine ideale si è sostituita a quella reale. Cedric ne è consapevole, ma si rende complice del gioco dello sweet love, della sua irrazionale potenza che agisce cambiando i connotati al
reale. Sandra ne è a sua volta soggiogata, nonostante che Noles la tratti ora dolcemente ora ruvido e scostante, immerso nei suoi sogni. Al
culmine della sua paralisi ossessiva verso un
tempo perduto, chiede a Sandra di “essere” la
ragazza di allora, di tornare con lui nei luoghi
dell’amore, di riviverlo, recitando per lui il primo amore. Sandra è inorridita, ma poi si presta.
Ecco un brano dalla sequenza 11:
Esterno. Bassano Veneto. Il vecchio ponte di legno sul
Brenta- Cedric e Sandra lo percorrono lentamente, si
fermano ogni tanto per affacciarsi al parapetto.
Cedric (durante una di quelle soste) Ecco, amica mia, la
risurrezione si compie! Proprio qui, a metà del bel ponte
palladiano, la Bianca si fermò, per guardare l’acqua che
scorreva sotto di noi. Si appoggi anche Lei al parapetto,
Sandra.
Sandra (ubbidisce, come suggestionata da lui)
Cedric – Sì, così. E io, con insperata audacia, le cinsi la
cintura col mio braccio. Bianca era bruna, Lei è bionda,
ma la statura corrisponde, l’odore dei capelli giovani è lo
stesso. (Stringendola col braccio) Trent’anni, pensi:
trent’anni aboliti di colpo. E l’uomo di allora che La stringe, che si prepara a cercarle le labbra …
Sandra (scostandosi) Basta, Cedric, La prego.
Cedric – Che ha?
Sandra – Non voglio essere confusa con un’altra. (Si stacca dal parapetto e riprende a camminare).
Cedric (seguendola)- Oh non è un confondere, capisca! È
un trasfondere.
AEREI
185
Sandra – Non mi presto ai suoi esperimenti. Lei mi ignora, per …
Cedric (con improvvisa tristezza) No, Sandra, sbaglia. Lei
mi è cara; molto più che non creda … (Dopo una pausa)
Del resto è vero; è uno sperimento ridicolo. Persino un
poco lugubre … (Accennando a un vecchio mendicante
che li sta osservando, ritto all’estremità del ponte) Ha notato? Quest’uomo mi teneva d’occhio, si chiedeva di certo
che cosa si permettesse questo forestiero con una “putela”
che potrebbe essere sua figlia … Anche lui ha ragione. Il
tempo non si abolisce.
C’è una dolcezza e una malìa costante in queste scene, (l’occhio del mendicante che osserva,
ad esempio) piene di passione, di follia d’amore,
del furore del Macbeth, dell’assurdità della vita,
della irrazionalità dei sentimenti e della passioni, sia in Noles che in Sandra. La ragazza si mette contro la famiglia, rifiuta l’ottimo partito del
cugino avvocato, sfida le chiacchiere della città
per cercare di rimanere con Noles, troppo “anziano” per lei e, per di più, divorziato. Per una
famiglia della borghesia sia pur spiantata economicamente (in un appunto preparatorio Morselli si mostra interessato a studiare a fondo gli
ambienti adatti a questa classe) tutto questo è
intollerabile. In un’altra scena intensissima, ad
Abano, va a trovare Noles, convinta di voler essere sua, almeno per una volta. Cedric, da parte
sua, è convinto di vederla, segue un’ ombra, nel
parco, nelle stanze. Quando capisce che ha dato
carne ancora una volta ad una sua immagine,
ecco Sandra apparire. Rivolgimenti a ondate che
recitano bene il clima generale della sceneggiatura, con Cedric perennemente investito dalla
tentazione di chiudersi nei suoi ricordi, di impedire a Sandra di entrare in intimità con lui, di
sostituirsi all’immagine. Proprio durante
186 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
quest’episodio in albergo, Cedric riceve la notizia di dover tornare nella sede di Roma: il suo
comportamento rimane ambiguo, sospeso tra la
troppo sperimentata voglia di solitudine, di non
legarsi, e l’amore per Sandra, forse all’altezza di
quello “ideale” di cui cerca la forma e l’intensità
nel ricordo.
Citiamo dalla sequenza XV:
S’interrompe; sta squillando il telefono, l’apparecchio installato nella camera. È una comunicazione da Roma, e
parla il direttore dell’agenzia giornalistica da cui Cedric
dipende. Il direttore dovrebbe affidargli un incarico, lo
prega di anticipare il suo ritorno. Cedric non può che aderire; partirà il mattino seguente. Mentre riferisce a Sandra, c’è nella sua voce, del desiderio di essere giustificato,
un senso indistinto di sollievo. “Sì, - dice Sandra - fai bene
ad andare. È il tuo lavoro, è gran parte della tua vita”. Il
suo slancio è caduto, ella è di nuovo tranquilla, stupita
quasi di aver potuto chiedere tanto. E si lascia accarezzare
da Cedric, che la chiama “La mia brava bambina”. “Ti amo
anch’io – le dice; e non mi era ancora successo, da quel
lontano tempo che sai”. Ella capisce che Cedric è sincero,
quantunque non le prometta nulla, non accenni neppure
al loro futuro, non fissi alcun termine alla sua attesa.
Cedric a Roma frequenta il circolo degli inglesi, ritrova vecchi amici, tra cui il Maggiore Andrews, compagno del dopoguerra vicentino. Rievocano quegli anni, e anche l’amico ricorda in
lui un soldatino innamorato. Alla domanda di
Andrews se era andato a Vicenza a rivederla risponde affermativamente, sovrapponendo ancora l’immagine di Sandra a quella di Bianca. Il secondo amore, la rinascita, la forza sta risorgendo
in lui, deve pian piano, attraverso la lontananza,
abbattere un più remoto passato. Una notizia in
un giornale vicentino attira la sua attenzione: si
parla di lei, il vecchio amore, per una faccenda
AEREI
187
di case di cui, guarda caso, si occupa l’avvocato
cugino innamorato di Sandra. A Vicenza, la ragazza non perde l’occasione per conoscere Bianca, trent’anni dopo. Ha saputo anche lei casualmente, tramite il cugino, di quei fatti di cui hanno parlato i giornali, capitati sotto gli occhi di
Cedric. Abilmente si procura l’indirizzo e la va a
trovare. La sovrapposizione della immagine
concreta e attuale con quella idealizzata non potrebbe essere più drastica. Siamo nella sequenza
XIX:
Est. Pianerottolo, c.s. – Sandra è tornata sui suoi passi, ad
aspettare che la signora Bianca rincasi. Arriva invece una
donna ancor giovane seguita da tre bambini, la figlia e i
nipoti. Interpella Sandra con scarsa cortesia, poi entra in
casa lasciandola sul pianerottolo alla mercè dei tre piccoli
petulanti e ribaldi. Si ode finalmente dalle scale un ansimare sonoro: è l’anziana signora Bianca, che compie laboriosamente l’ascesa. Grassa, o meglio, sfatta, coi capelli di
un falso rossiccio in disordine e gli occhi piccoli e furbi
emergenti su spesse borse violacee: ecco la creatura che
Cedric aveva tanto amato, e alla quale Sandra tenta ora
richiamare l’immagine di lui. Sì, qualche cosa Bianca ricorda, vagamente; un soldatino inglese, un bel giovanotto
che l’accompagnava fuori nelle ore di libertà. Sì, sì era innamorato: ragazzate, sciocchezze, figuriamoci; non facevano quarant’anni in due! Ma come mai la signorina aveva
saputo? E che cosa cercava? Sandra è ancor più dolente
che sorpresa. “Voleva dirLe che … che quel soldato inglese
non l’ha dimenticata.” Si ferma: possibile parlare alla vedova Casorà di un ricordo imperituro, di un’ideale fedeltà
di trent’anni? Bianca Casorà, colei che fu il primo amore
di Cedric, la fissa interrogativa e sarcastica, nella sua stentorea volgarità-. Sandra si congeda scusandosi, umiliata
da quell’incontro nell’intimo della sua anima.
Sandra ha ormai deciso di trasferirsi a Milano. Non seguirà i genitori in Argentina, dove
sperano di riavviare una solida attività commerciale. Lavora come infermiera.
188 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Cedric, dopo alcuni episodi di vita romana,
sospeso tra i ricordi e la possibilità di aprirsi al
secondo amore, affinché renew thy force, viene
richiamato a Londra. Messo alle strette dalla notizia, finalmente si decide: vuole portare Sandra
con sé, in Inghilterra. Apre il cuore con l’amico
Andrews, lo vuole come compagno di viaggio e
testimone delle nozze: gli dimostrerà la serietà
delle sue intenzioni con una ragazza così giovane
e innamorata, che si merita quei riguardi.
Da qui in avanti si innesca, nella felicità infantile dei personaggi, la nota funebre di malattia e morte, sempre più insistente. Avvertita
Sandra, sia pur indirettamente, non poteva rispondere al telefono perché in sala parto, Cedric, come Ferranini, siede nel suo aereo, verso
Milano. Si sta addormentando, proprio come “il
comunista” e allora Andrews decide di alzarsi
per parlare con la hostess. Quella cabina diventa
per Cedric una prigione, definitiva.
Una morsa d’acciaio rende impossibile la realizzazione del desiderio della felicità. Nel rumore
dell’aereo in volo, incontra subito instabilità metereologica, Noles nell’impossibilità di farsi capire, scrive all’amico dei biglietti. Vi si legge: “Non
avevo mai provato, neanche da ragazzo, ad essere così felice”. Forse la felicità è un lusso, ci dobbiamo abituare a mangiare sciapo, secondo la
pregnante metafora nel più celebre degli articoli
di Morselli, da cui il titolo del libretto omonimo
a cura della Fortichiari, La felicità (il sale) non è
un lusso?
Il dolce amore è posto in scacco, definitivamente, da un tiranno più potente. È una storia
assurda, piena di stridore e di vento, quello che
ha soffiato lungo tutto il racconto e che raggiunge Sandra all’aeroporto, nella vana attesa del suo
AEREI
189
amore. Ferranini poteva morire allo stesso modo, sarebbe stato per lui quasi una liberazione
dall’angoscia. Qui, invece, l’amore non si rinnova, o meglio non si congiunge, non rinasce. Significativo il contrasto con il bambino che Sandra infermiera contribuisce a far nascere in questo finale. Si legga dalla sequenza 23°:
“L’intervento è felicemente conchiuso, e da una culla presso il letto operatorio una vagito segna l’alba di una nuova
vita. Sandra esce, la bocca ancora coperta dalla maschera
di garza, infilati i guanti di gomma: la si vedrà salire rapida le scale, entrare nella sua camera.
Camera di Sandra. – Ella si lascia cadere sopra una seggiola, le mani congiunte in grembo, il viso sollevato ed effuso di una gioia commossa e riconoscente. La raggiunge
la collega. Alla sua domanda Sandra risponde: “Sì, forse
parto”, e siccome quella sera è di turno, la incarica di
chiedere a nome suo in direzione che la sostituiscano dopo
le sei. “Debbo andargli incontro”, spiega.
Nulla può, nemmeno assisterlo nel trapasso,
per il suo Cedric, di cui, molte volte aveva dovuto constare la malattia, temendone la gravità,
come un triste presagio.
Auspicando una pubblicazione integrale della
sceneggiatura, rivista dai filologi del Centro di
Pavia, trascrivo le sequenze finali della scena
ventiquattresima, di cui Morselli sembra essersi
ricordato, componendo il suo capolavoro, Il comunista, lasciandolo addormentato e malato
come Cedric, in volo.
24° sequenza
[…]
Interno dell’apparecchio. – Nell’aspetto e nel gestire di
Cedric, un’impaziente felicità. Le formalità che precedono
190 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
la partenza; infine l’aereo rulla sul campo e s’innalza. Cedric vorrebbe conversare col compagno, e poiché ciò non è
possibile a causa del rumore dell’apparecchio, scarabocchia un pezzetto di carta e glielo passa: “Mrs Köln e i suoi
amici di Londra non immaginavano certo di rendermi un
servizio così grande.” Dopo poco, un altro breve messaggio: “Conoscerete una brava e bella e cara ragazza, un’ Italiana esemplare”. Il maggiore risponde a sua volta con un
altro biglietto: “Ci voleva tanto a deciderVi? Avete perduto
tre mesi!” L’apparecchio continua il suo volo. I consueti
piccoli incidenti della navigazione: un vuoto d’aria costringe l’aereo ad una subitanea discesa. Cedric e il maggiore si guardano ammiccando. Una “stewardess” circola
tra i passeggeri servendo cognac e tazze di camomilla. Ancora un messaggio di Cedric: “Non avevo mai provato, neanche da ragazzo, a essere così felice…” Andrews sorride e
accenna col capo. Più tardi il maggiore accosta il viso
all’oblò e informa che stanno compiendo la prima traversata dell’Appennino. La testa appoggiata all’indietro, e gli
occhi chiusi Cedric sembra tentare un sonnellino. Non riesce a dormire però, e infatti poco dopo dice al maggiore:
“Dobbiamo esserci alzati, molto più del normale…”. Trascorrono parecchi minuti. Andrews lascia la sua poltrona e
si spinge sino alla cabina in fondo, per sgranchirsi le gambe. Sono in viaggio da un’ora. Andrews si ferma allo sgabuzzino del bar, beve un whisky, poi si fa dare una bottiglia e bicchiere e risale il corridoio. Vorrebbe offrirne
all’amico, ma Cedric pare dormire, e allora egli ritorna
dalla stewardess e si trattiene a barattare due parole con
lei. La ragazza parla bene l’inglese e il maggiore è in vena
di confidenze. “Due ore fa non sapevo di dover partire. Accompagno un amico, che sta per sposarsi …”
Seduto al suo posto, la testa rovesciata indietro, Cedric è
immerso in una eternità di spasimo. Una mano ferrea, inumana, è scesa sul suo petto, in alto, a sinistra, l’opprime
con atroce violenza. Oh, non è il dolore di altre volte, diffuso fra il petto e la spalla; è una gravità enorme, rovente,
che si appunta al cuore. Una contrazione convulsa gli torce i muscoli e i nervi, dai piedi alla nuca, si propaga al cervello, lo sprofonda in un abisso di sofferenza angosciata e
lucida. “Andrews – egli riesce a chiamare – Andrews, per
favore”. Perché non gli risponde? È solo, forse? No; di là
del corridoio, separato da lui per un incalcolabile spazio,
intravvede la persona di un altro viaggiatore. È vero; è
AEREI
191
nell’aereo; sta andando a Milano da Sandra … Quel cupo
frastuono, sono i motori. O è il suo cuore, che batte a
spezzarsi? Da quanto tempo dura quel male, da quanto
tempo egli è lì? Le sue mani sono lontane, abbandonate
sulle ginocchia. Bisogna muoverle, bisogna lottare, difendersi. Tende la volontà, si raccoglie nello sforzo, gemendo;
ma le mani restano inerti, e solo un tremito percorre le dita che si chiudono adagio, si congiungono in un nodo che
nessuno scioglierà più. La sua ricca, fervida vita, tutto ciò
di cui essa era capace, si raccoglie quassù, nel suo petto,
sotto la stretta intollerabile. Non è più che un palpitare
spasmodico, e un rombo che a tratti si dilata in un immenso silenzio esterno, un mare di silenzio e di tenebre.
L’ombra di un pensiero vacilla in lui, qualche sillaba echeggia nella mente spenta: Milano, Sandra; poi l’ultima
coscienza si oscura e dilegua e un rantolo breve esce dalla
bocca dischiusa.
Interno. La camera di Sandra alla clinica – La ragazza si
sta preparando per uscire. Mentre si veste, apre la finestra
e vi si affaccia, a scrutare il cielo sopra di lei. Là in alto è
Cedric, di là giungerà fra poco. Ma la notte è già scesa,
fredda, nebbiosa. Ed ella si ritira, con nel viso
un’espressione d’incertezza e di pena.
Int. Di un autobus diretto verso il centro di Milano. - Sandra vi è appena salita. La raggiunge la collega, infermiera
come lei alla clinica, e le si siede vicino. “E così sei felice di
rivederlo?” le dice la collega. Ella non risponde; l’ansia è
ben maggiore della felicità in quella sua trepidante vigilia.
Int. Dell’aereo. – Andrews, che dal fono del corridoio sorge35 la testa, un poco inclinata da un lato, di Cedric, è intento a raccontare alla stewardess come il suo amico, scapolo irriducibile, si sia convertito all’amore e al matrimonio in una mattinata; e non sospetta che il suo amico è già
infinitamente lontano da lui e dalla piccola donna che lo
attende per diventare sua moglie. La stewardess dà
un’occhiata all’orologio: fra tre quarti d’ora saranno a Milano; Andrews, terminata la sigaretta, si decide a riguadagnare il suo posto. Si mette a sedere pian piano, per non
svegliare il compagno; e il corpo di Cedric si appoggia al
35
Errore materiale per scorge.
192 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
suo con un abbandono più greve di quello del sonno. Andrews lo scuote, lo solleva, comprende, e non vuol credere
ancora. È uno dei piloti di bordo che lo persuade. Si cerca
un medico fra i passeggeri. Non c’è; ma non importa: non
gioverebbe a nulla; le mani di Cedric sono già rigide e
fredde. E la stewardess, buona figliola, si segna e bisbiglia
la preghiera dei morti dopo che ha coperto il viso di Cedric
con un tovagliolo da tè, sul quale lugubremente spicca
l’emblema della Compagnia.36.
Alla fine del testo, su di un foglio a parte, Morselli scrive: “Eventuali omonimie o altri riferimenti a persone o
fatti della realtà, sono da considerarsi puramente fortuiti”.
36
AEREI
193
194 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
195
196 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Con il titolo Cose d’Italia. Moralità in tre atti e
un preambolo, si conserva al Centro per la Tradizione manoscritta di Autori Moderni e Contemporanei dell’Università di Pavia, in una cartellina unica, la stesura narrativa di soggetto per
un’opera teatrale che riguarda la vita privata di
Mussolini e le vicende del fascismo alla fine degli anni Trenta, in linea con la curiosità morselliana di guardare oltre la storia, dentro i vizi e le
virtù dei grandi uomini pubblici, rivisitati nella
loro positiva o negativa intimità, come Giulio
Cesare e, in seguito, Marx.
Valentina Fortichiari1 informa che la commedia fu spedita a Luchino Visconti. Il tema da
commedia brillante (per certi versi anche piccante) e satirica degli amori adulterini del Duce,
ammicca alle antiche forme teatrali delle “moralità” per condurci a motivi di stretta attualità,
dopo che un Mussolini convertito e amato da
tutto il popolo, capace perfino di trasformare la
dittatura in repubblica democratica, viene deposto e arrestato a causa di alcune scelte impopolari. La sentenza gnomica, pronunciata dalla voce fuori dal coro del simpatico, timido e inetto,
intellettuale-libraio, portavoce di Morselli, riSi veda Guido Morselli, La felicità non è un lusso, Milano, Adelphi, 1994, a pag. 158 nella nota della curatrice Valentina Fortichiari, riguardante l’articolo mai pubblicato
in vita Proposta per risolvere il problema del Mezzogiorno. Francamente mi riescono incomprensibili i motivi per
cui questa documentazione, eventualmente stornata dalle
pagine strettamente private, non è messa a disposizione
degli studiosi o appassionati di Morselli, a Pavia o Varese.
Viene il sospetto che coinvolgano personalità influenti della cultura, che hanno ordinato “il riserbo” più assoluto. In
particolare la cartellina dei rifiuti, a quanto pare conservata con precisione minuziosa dallo scrittore.
1
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
197
mane quella proverbiale di tanti romanzi storici
o delle commedie di costume: non cambia mai
nulla nel modo di pensare degli italiani, come si
vede quando si toccano interessi vivi quali il
bordello e le scommesse. Quando scrivo queste
note, alla fine dell’anno 2011, i maggiori quotidiani riportano la notizia della vigorosa ascesa
del fenomeno delle scommesse, con investimenti
notevoli a dispetto della crisi e ovviamente a discapito di altri consumi, con altrettanto vigore
calati, ad esempio, nelle vendite natalizie. Altra
notizia del giorno, destinata, con ulteriori sviluppi, ad accompagnarci durante tutto il 2012,
riguarda l’ennesima frode del calcio scommesse
in mano alla malavita internazionale. Anche in
questo caso, facendo di Roma un simbolo negativo, Morselli ha visto giusto, nella sua capacità
di leggere la storia e il futuro, avanti e indietro
nel tempo.
“Moralità” tecnicamente indica la forma
drammatica, diffusa nel teatro europeo del XVXVI, caratterizzata dalle forme dell’allegoria e
dall’astrazione, appunto a fini moralistici. Sviluppatasi soprattutto in Francia, fu pervasa da
motivi ironico satirici con allusioni giuridico politiche. Ebbe risonanza anche in altri paesi europei (in particolare Spagna e Portogallo), scarsa
in Italia. Nell’ Inghilterra del XVI secolo assai
diffuse le morality play, tra cui il celebre Everyman con i caratteri di critica morale al potere
ripresi da Morselli in altra chiave.
In questa forma teatrale si devono ricercare,
secondo la maggioranza degli studiosi, l’origine
del teatro moderno inteso come commedia,
mentre dai misteri deriverebbe la tragedia dei
secoli successivi al medioevo e all’umanesimo. Il
gusto di riscrivere la storia, l’interesse per il pe-
198 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
riodo nazi-fascista, la Seconda Grande Guerra in
cui è stato coinvolto, si radunano in questo soggetto, purtroppo non sviluppato ulteriormente,
attorno alla persona di Mussolini, con il traffico
di ambasciatori e di intrighi che ritroveremo,
sempre per il teatro, nel Marx. Qui lo storico accordo che avrebbe potuto cambiare la storia avviene, diversamente dal testo sul padre del marxismo nel quale l’accordo con Bismark non va in
porto. La fantasia di Morselli, diversamente anche dal coevo Cesare e i pirati, inventa una divertentissima contro-storia, anticipando il metodo che applicherà con straordinaria efficacia
in uno dei suoi capolavori Contro-passato prossimo.
Come già rammentato, nell’Intermezzo critico posto tra la terza e la quarta sezione del romanzo, Morselli immaginando un dialogo con
l’editore spiega di non gradire per il suo lavoro
l’etichetta fanta, ammiccante a escogitazioni rivolte all’avvenire. Si tratta invece (evidente
l’analogia con Cose d’Italia) di “res gestae, per
mostrare che erano gerendae” diversamente, si
polemizza (e si ironizza) su fatti e persone della
realtà. Modalità assai più impegnativa di quella
fantastica sul futuro, dove, si pensi anche al
Marx e al Cesare, in una ipotesi retrospettiva,
meno gratuita di quanto non sembri, si rintracciano le vite di uomini che avrebbero potuto vivere diversamente su quelle premesse, con esiti
assai più benefici per l’intera umanità.2
Come si vedrà nell’ultimo capitolo, il Galileo di Brecht
rimane per Morselli l’esempio di un tipo di lavoro sulla
storia in questa chiave, proveniente da quella Germania
che nella tesi di Contro-passato prossimo, non aveva avuto la coscienza del proprio ruolo di unificazione
2
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
199
In questo soggetto per una commedia o per
un film, le arti femminili hanno il potere di
cambiare il corso della storia ben più delle passioni ideali. Si intromettono nella scena politica,
cercando di cambiarla in meglio (nel caso della
prima amante), o per favorire altre nazioni (nel
caso della seconda amante, in realtà spia inglese).
La prima donna è Camilla, invasa, come altre
di Morselli, da una religiosità contaminata da
una spiccata sensualità, a cui non esita a far ricorso a favore di un ideale pacifista, nella convinzione di dover essere necessariamente, in
quel delicato frangente politico, la Beatrice
dell’Italia intera, la guida amorevole (e sensuale)
del Duce verso una nuova forma politica.
Sposata con il dott. comm. Pigliacci, alle insistenze di Mussolini, invaghito fino al ridicolo, si
concede solo dopo aver ottenuto precise promesse e garanzie: il proposito di entrare in guerra a fianco di Hitler non verrà attuato.
Dal secondo quadro del prologo sappiamo
che il Duce ha mantenuto la parola. L’analogia
con il condottiero romano dell’altra commedia si
rintraccia nell’idea della Lega di Stati liberi,
(l’idea politica persistente nelle opere di Morselli) lontani dai blocchi di potere e dalla schiavitù
all’economia, qui però dovuta direttamente
all’influenza della vulcanica e decisa Camilla. Si
tratta qui di una contro-storia educativa, ricordando la politica “coloniale” e stupidamente imperialista di Mussolini, esattamente all’opposto
dell’Europa. Con la sconfitta lasciava il passo a troppi vincitori, perdendo di fatto la possibilità di una unificazione
europea che avrebbe, tra l’altro, impedito l’affermazione
del nazismo.
200 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
della idea della Lega propugnata da Morselli anche in altre situazioni:
Quadro II
Pochi giorni più tardi.- A Palazzo Venezia, un angolo del noto salone presidenziale.
Mussolini riceve Camilla, divenuta testé la sua
amante. Riconoscente e felice, Mussolini manterrà
la promessa. Gli Italiani sono convocati sotto la
famosa balconata, per uno “storico annuncio”. Il
dittatore si affaccia al balcone per tenere al popolo, quello che verrà poi definito ufficialmente il discorso del “colpo di barra”. Fra le ovazioni che salgono dalla adunata oceanica, egli comunica che
non solo l’Italia proclama la propria neutralità con
la formazione della Lega del Mediterraneo, ma che
sta per iniziare una nuova epoca nella condotta
politica del Regime e nella vita della Nazione.
Due anni più tardi, nell’atto primo, il cambiamento appare radicale. L’idea di Morselli è di
renderlo immediatamente palese, con l’Italia a
capo della Lega Mediterranea, nella quale sta
per fare il suo ingresso anche l’Egitto, con i Paesi
Arabi.
In politica interna, il Regime segue ora una linea
di illuminate riforme, che lo porrà alla pari con gli
stati più progrediti: nazionalizzazione delle grandi
imprese, riforma agraria, redenzione del Mezzogiorno, giustizia fiscale, sviluppo dell’istruzione
popolare, ecc.
In una frase del Diario, un ironico Pavese sosteneva che avuta la libertà, i libertari, non sanno più che farsene. Un altro vizio degli italiani,
oggetto della “moralità” di Morselli: con il nuovo
indirizzo politico del Duce e il ripristino delle libertà civili le cospirazioni degli oppositori sono
destituite di senso. Possono svolgere la loro attività alla luce del sole e non hanno più idee per
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
201
una azione incisiva senza un nemico da combattere.
Di collaborare con il New Deal del Duce non
se ne parla nemmeno!!!!
Intanto:
Il Duce ha deciso di indire elezioni politiche generali, con l’ammissione dei partiti di opposizione, e
da svolgersi sotto controllo dei partiti stessi e di
delegati esteri per garantire una piena indipendenza di voto agli elettori.
La notizia porta al colmo lo sbigottimento dei presenti.
Nella bottega libraria di Demos (democrazia vera e
disinteressata) Righetti i membri dei partiti avversi a quello fascista (partito comunista, dei socialisti, dei democristiani, e dei liberali, con marchese
Claudio Veteri, divenuto antifascista intransigente
da quando il Duce ha decretato la fine dei latifondi) prevedono il larghissimo consenso dei suffragi
da cui saranno spazzati via.
L’ironia di Morselli è pungente:
Ciò che è peggio, non possono presentare un plausibile programma, in quanto tutti i punti su cui si
fondava la loro polemica avverso il Regime, sono
stati da questo fatti suoi; la pace, la giustizia sociale, il socialismo, le riforme. Ora per giunta il governo rientra di propria iniziativa nell’alveo parlamentare. Che cos’altro rimane da fare, se non
mettere l’antifascismo in liquidazione e “se ranger” disciplinatamente nella massa dei seguaci di
Mussolini?
Nessuno ascolta l’unica parola di buon senso,
quella pronunciata dal libraio Righetti, secondo
il quale quello di Mussolini è protezionismo e
paternalismo, un gioco di forza imposto gentilmente, senza risolvere le vere questioni: il popo-
202 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
lo deve saper agire da solo, non aderire al progetto di un altro, anche se tollerante. Gli inglesi
sentono, invece, forte la minaccia di una Italia
troppo autorevole nel bacino mediterraneo, non
legata alla logica del colonialismo ma a quella
dell’associazionismo. Ecco allora l’idea, con
l’aiuto degli italiani e di Veteri in particolare, di
far cadere Mussolini mettendolo contro le due
fondamentali istituzioni del Paese, la Chiesa e la
Monarchia. Dovrà essere ancora una donna a
convincerlo, chi meglio di Patricia, la moglie inglese dell’aristocratico e ricchissimo Veteri? Il
nome di Machiavelli affiora in questa farsa morale, dai toni da commedia brillante e satirica,
all’italiana, a cui Morselli, credo, non avrebbe
dato toni seriosi,3 con quel bamboccio di MussoDelle donne del Duce e della loro influenza sulla politica
italiana molto si è scritto. Tra le tante, a parte donna Rachele, le più importanti sono, alle due estremità della vita
pubblica di Mussolini, la Sarfatti e la Petacci. Di origina
ebraica, ispiratrice culturale, come è noto, la prima è stata
effettivamente determinante fino però ad una certa soglia
cronologica nelle scelte politiche del Duce e Morselli potrebbe averci pensato descrivendo Camilla. Sua la prima
biografia del Duce, uscita prima in Inghilterra nel 1925,
dove si insiste sul Mussolini al governo per migliorare gli
italiani. Dietro la figura di Cardace, segretario del partito,
potrebbe esserci un ammicco al più satireggiato dei fascisti, quell’ Achille Starace che effettivamente era segretario
del PNF quando comincia l’azione voluta da Morselli, Starace viene deposto dalla carica nel novembre del ’39, Cose
d’Italia inizia nella tarda estate dello stesso anno, per dire
fino a quella data tutto corrisponde. Probabile anche un
gioco sui nomi degli inglesi: l’ambasciatore inglese di quegli ultimi anni Trenta è Sir Percy Loraine e qui Percy Brokenley. Altresì noto è il discorso del “colpo di barra”, qui
piegato alla contro-storia. Il Totocalcio, in realtà, viene istituito ufficialmente subito dopo la guerra. L’allusione nel
testo al monopolio di stato allude al noto Istituto Gallup,
3
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
203
lini a rappresentare lo specchio dei vizi dei suoi
concittadini e quando vuole imporre (sempre
addomesticato dal fascino femminile) scelte impopolari, e giuste, verrà travolto.
La voce del vero contro-passato, come lo si è
compreso fin dalla prima battuta, è quella del
goffo intellettuale-libraio Righetti; se alle riunioni viene interpellato solo per offrire il caffè,
esprime concetti di puro e intelligente realismo
politico e, attraverso queste “astrazioni” delle vicende nazionali, parla, inascoltato come il suo
creatore, con autorevolezza.
Siamo all’atto secondo, Mussolini ha abolito i
Patti Lateranensi. Vi è dunque lo zampino di Patricia che ha sostituito la sedicente Beatrice nel
letto del Duce:
Righetti fa notare alla sua interlocutrice che non è
esatto che in Italia, come si suol dire, “non accada
mai nulla”. Rivolgimenti ce ne sono: solo, essi non
si propagano alla sostanza della vita nazionale, ridi George Horace Gallup, statistico statunitense che nel
1935 fonda il primo prototipo di una formula destinata ad
influenzare indelebilmente la nostra esistenza civile:
L’American Institute of Public Opinion e in seguito la Gallup Organization. La famosa Legge Merlin che decreta il
sigillo alla Case Chiuse, ebbe un iter lunghissimo, dieci
anni, dal 1948 al 1958, per la indomita lotta di Lina Merlin, costituendo un fenomeno di costume, al quale, con
tutta evidenza si rivolge l’ironia di Morselli in questo testo,
quando l’iter della legge era in procinto di vedere il traguardo finale. Tra le tante curiosità che emergono a rileggere quel dibattito, sfogliando i giornali d’epoca e cercando fonti Web, si rileva, già nel 1949, la protesta di un cittadino scapolo che inveisce contro lo Stato, che se vuole
essere così puritano, rinunci al Monopolio dei tabacchi,
alla gestione del gioco del lotto, proibisca la Sisal e i giochi
di azzardo di San Remo e del Casino di Venezia.
204 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
spetto alla quale veramente nulla cambia mai.
Perché il popolo, la sua mentalità, il suo costume,
restano estranei a ogni cambiamento.
Claudio Veteri, il marito, non ha esitato a “sacrificarsi” alla ragion politica; ma il popolo non
ha risposto negativamente come previsto dagli
inglesi alle mosse di Mussolini contro il Vaticano
e nemmeno l’ “operazione Quirinale” ha dato
luogo a esiti positivi.
Calma generale, nessuna velleità di resistenza, né
da parte dei principali interessati né da parte dei
presumibili loro fautori e difensori. Il Re e la famiglia reale hanno ammesso che “se l’aspettavano”.
Gli inglesi si vedono costretti a dare ragione,
indirettamente, all’oscuro Righetti, l’uomo che
guarda la storia, non ascoltato, con occhi più
penetranti e veri.
Questi italiani non sono dunque in grado di reagire, subiscono supinamente tutto quello che il loro
padrone impone? Non rimane ora che cercar di
mettere in azione l’ultima parte del piano.
Quest’ultima parte, non rientra nelle direttive che
sir Percy ha ricevuto da Londra: è soltanto il frutto
di una conversazione che egli ha avuto con il suo
barbiere romano. Si deve provare? Patricia è riluttante; si tratta di argomenti che le riescono sommamente sgradevoli, “shocking”. Infine si arrende.
Per amore dell’Inghilterra farà anche questo. Brokenleg se ne va, dopo aver reso omaggio alla benemerenze patriottiche di Patricia.
L’ultima carta degli inglesi si rivela quella decisiva. Patricia confida all’orecchio di Mussolini
la sua terza e più impegnativa proposta dettata
dai suoi connazionali. Il Duce resta perplesso,
così i suoi consiglieri. La donna non si scoraggia,
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
205
interviene e ancora una volta ha partita vinta, in
chiusura del secondo atto.
Ma interviene Patricia. Perora, insiste. La moralizzazione del Paese, dice esige che “questo” sia fatto,
e il più presto possibile. Impegna l’amor proprio
del dittatore, e allora costui non ha più esitazioni.
Darà gli ordini necessari, costi ciò che costi.
Sappiamo nel terzo atto prima gli effetti funesti della decisione di Mussolini e poi i suoi contenuti. L’Italia tutta è in rivolta, solo poche settimane dopo, i cittadini:
Non hanno tollerato i provvedimenti per la “moralizzazione” del Paese, vale a dire l’abolizione delle
case di piacere o “maisons closes”, e la soppressione delle scommesse al giuoco del calcio. Anche i
capi fascisti hanno tradito, e il loro pronunciamento si estende ai più vicini collaboratori del Duce,
che è rimasto solo.
La stessa Patricia si trova invischiata nella
sommossa e ne rimane prigioniera, con il Duce
che patteggia, senza dignità, una via di fuga,
rimpiangendo la mistica Camilla e promettendo,
se lasciato libero, di ritirarsi nell’eremo di Camaldoli. Ancora più emblematica l’ “astrazione”
di coloro (il movimento “Pro Libertate”, con gli
stessi fascisti avversi ai cambiamenti di Mussolini) che immediatamente litigano sul futuro della nazione, con discussioni alquanto teoriche e
sofisticate, come ne troviamo sempre quando
nei libri di Morselli si parla di politici:
La sinistra pretende che sia proclamata senz’altro
la repubblica sovietica d’Italia; altri sostengono
l’opportunità di un’annessione agli Stati Uniti;
qualcuno propende per affidare l’Italia a un consiglio d’amministrazione di albergatori svizzeri.
206 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Sono coloro che hanno fatto fuori il dittatore,
a pretendere, interrompendo i discorsi dei politici, che la gente voglia l’annullamento immediato dei provvedimenti che abolivano le “maisons
closes” e il totocalcio.
Il Comitato è titubante: non si può convalidare
una risoluzione presa dal dittatore, e d’altra parte,
come negare che l’abolizione risponda all’esigenza
di elevare i costumi del Paese? L’incertezza tuttavia dura poco; si fa osservare che ciò che preme è
rispettare la volontà nettamente espressa dagli Italiani contro l’abolizione. Questo impone la democrazia. Una recente inchiesta dell’Istituto Gallupp,
ha dimostrato che i nove decimi degli Italiani sono
favorevoli a mantenere le case di piacere e il totocalcio.
Si va nella direzione opposta di quella indicata da Righetti. A lui si consegna il finale
dell’opera, la vera essenza della moralità, con
una testardaggine ingenua rimasta del tutto inutilizzata.
La dittatura, egli dice, rimane sempre dittatura
qualunque cosa faccia, agisca per il bene o per il
male, e invece la democrazia non ha che una via da
seguire, se vuol essere coerente; senza altre mire e
preoccupazioni. Inoltre, dice Righetti, se c’è una
democrazia che tiene dietro alla volontà del popolo, c’è una democrazia che guida la volontà del popolo, anche suo malgrado, verso il progresso. Quale delle due preferire? Il dilemma è l’eterno problema dei governi che aspirano a essere democratici, ma non v’è dubbio circa il modo in cui dei galantuomini debbano risolverlo, per non ridurre la
democrazia a demagogia. –
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
207
Gli uomini d’azione hanno la meglio sui dubbi
subito fugati del Comitato di liberazione: le case
chiuse e il totocalcio verranno riammessi.
Il finale è tra il patetico e l’amaro, con Righetti che si imbatte in Patricia, braccata dagli uomini d’azione, che chiede aiuto al libraio ma non
smette i panni di una altezzosa alterigia, a cui
l’uomo, dimesso, ironico e mite, non replica, accettando di travestirla con alcuni suoi abiti per
tirarla fuori da quell’impiccio.
L’inettitudine di questo personaggio è perfino
troppo accentuata. Dai libri non si impara
l’azione, se le sue sentenze sono straordinariamente lucide, le umiliazioni subite pesanti. I vizi
degli italiani non cambiano, come del resto i
machiavellici intrighi degli inglesi dimostrano
che le vestigia del potere non sono molto diverse
fuori dal Paese, per lo meno nei tempi dei conflitti. Righetti resta tuttavia emblema del genio
segreto, a cui viene tolto il diritto di parola dal
comune chiacchiericcio fondato sui luoghi comuni, da quegli idoli senza aura sacra (molto
concreti in questo caso, gioco e sesso) che permettono di allentare la morsa della tragicità, in
una smemoratezza costante.
Lasciata una Roma sul ciglio del baratro della
Seconda Guerra Mondiale, in Roma senza papa,
ritroviamo la città eterna vicino al Duemila. Perso il duce democratico, la capitale d’Italia perde
anche il papa.
Riproponendo le domande ingenue e creaturali sull’Unde Malum?, ci presenta una città in
piena decadenza morale, in perfetta linea con il
soggetto Cose d’Italia, una sessantina di anni
dopo. In una pagina intera del romanzo, Morselli dimostra le sue ampie conoscenze teologiche
208 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
del pensiero a lui contemporaneo nei riflessi politici negli anni Sessanta, cercando di proiettarli
all’epoca per lui futura della fine del millennio.
In questo non è stato buon profeta, la situazione
sociale e religiosa, istituzionale, mi sembra molto diversa. Con grande acutezza ha però intravisto il processo di scristianizzazione in atto, con
una velocità che la Chiesa non ha capito, non ha
voluto capire, opponendo teorie, o stanchi inviti
ad un attivismo vuoto di ragione. La gente comune sente lontanissime le discussioni teoriche:
a quello che realmente le interessa, il male, la
sofferenza in prima istanza, la dottrina non sa
rispondere. Vi è un ateismo di fondo, anche in
chi pratica esteriormente la religione che preoccupa sinceramente Morselli, la cui anima tormentata mette pur sempre al primo posto le
questioni se non religiose, almeno spirituali.
In questa Roma torna don Walter vent’anni
dopo avervi soggiornato per completare la sua
formazione teologica. Come Ferranini, nell’altro
“campo” della milizia, è un puro, caduto in un
mondo di corrotti.
Il papa si è spostato a Zagarolo, nella fertile,
amara, vigile e divertita ipotesi di Morselli. Don
Walter è nella attesa di incontrarlo (si veda il
primo capitolo sull’attesa di incontri significativi): in questa dilazione, tra brani di diario (anche altrui), ricordi personali e episodi raccontati
da diversi momenti temporali, si trova il “sugo”
della storia. L’incontro con una personalità incombente, alla fine positiva, ma solo sfiorata,
quasi per una necessità ancora più stringente e
poco comprensibile, imperscrutabile.4
Si veda la convincente lettura del romanzo in Simona
Costa, Guido Morselli, Firenze, La Nuova Italia, 1981.
4
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
209
La città, più pigra e bonacciona della Zurigo
di Dissipatio, rimane lo specchio dei vizi
dell’umanità, come per certi versi, in ambito politico, ne Il comunista, con l’aggiunta di improbabili prospettive gnostiche o religiose diverse
dal cristianesimo, con impeti fragilmente restaurativi.
Passati settanta anni nelle intenzioni futuribili di Morselli, i due vizi principali che rappresentano gli italiani non hanno abbandonato la capitale, le cui bellezze sono in rovina, disertate dai
turisti: le donne sono ancora più smaliziate, si
permettono di abbordare gli uomini in pieno
giorno, le scommesse e il calcio rimangono
l’attrattiva principale della gente comune.
Uno dei capitoli più belli, il VI, micro racconto a sé stante, presenta un personaggio concretissimo e nello stesso tempo “astratto e rappresentativo”. Il suo nome, Esposti Enea, richiama
il mondo di Gadda, gli antichi fasti della città,
un’aria in fin dei conti libertaria, sotto lo scudo
esteriore del Vaticano, con tanti figli abbandonati alla ruota. La sua attuale indole rappresenta
l’arco storico ideato da Morselli per la sua Roma,
in perfetta continuità con quella lasciata dal Duce dopo le riforme (già lì era chiaro che il popolo
dovendo scegliere tra l’abolizione del Vaticano e
quella delle scommesse sul calcio avrebbe di
gran lunga optato per cancellare l’Istituzione
simbolo del cattolicesimo). Enea è percorso da
un misto di sentimenti da “temps perdu”; come
il popolo romano è scettico, ma possiede una ironia affettuosa altrettanto tipica. Ha fatto parte
delle guardie svizzere, ora, ovviamente, soppresse, con il Papa che vive nei motel di Zagarolo. In
privato, svolge il mestiere di massaggiatore. Don
Walter, altro intelligente accostamento tipico del
210 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Morselli che si è scelto di raccontare, dopo una
lunga e irrisolta discussione sull’Unde Malum,
denuncia il suo piccolo “male” quotidiano alla
gamba e va a curarsi da Enea, ottenendo, dai
suoi benefici massaggi, un effettivo giovamento.
Alla quarta seduta, Enea si confida con il padre 5.
Soffre di solitudine: non è scapolo, aveva moglie,
la moglie gli è scappata in Francia quattro anni fa,
non l’ha mai rivista. Soffre di frustrazione professionale. Era massaggiatore dei giocatori in una
squadra di calcio, viveva in margine alla ricchezza,
alla gloria, e se ne riverberava, appagato, contento.
Lo hanno messo fuori, gelosia di concorrenti, invidie. “Miserie. Miserie!”. “A Roma, guardi, una persona di valore non può emergere, non può affermarsi. La gente è cattiva, ti vuol male se emergi.
Le solite consorterie rovinano l’anima oltre
che la carriera del singolo. L’etica religiosa non
arriva a trasformare queste posizioni dure, sclerotizzate. I due Walter, a questa situazione, oppongono il cuore, la pietas, perfino il proprio
senso del limite, che li rende solidali alle gente
comune. Ecco il brano che riprende la logica capace di allontanare il duce benefico in Cose
d’Italia6:
Reverendo, il calcio è la molla della nazione, è il
motore della vita nazionale, e tutti addosso, a
sfruttare, a arraffare. Io solo, senza appoggi, col
Roma senza papa, Milano, Adelphi, 1992 (la prima edizione del 1974 “apriva” il caso Morselli, un anno dopo la
sua morte), p.51. Si veda l’attualizzante quanto intelligente
lettura del romanzo da parte di Andrea Santurbano nel
numero di “Studium” in uscita a ottobre 2012, più volte
citato, Papi, controstorie e silenzi: dal romanzo di Morselli al cinema di Moretti
6 Ivi, p.52.
5
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
211
solo merito del mio valore, che faccio? Chi mi dà
una mano a rientrare, chi mi raccomanda?
Le scommesse sono una delle componenti sostanziali del pianeta calcio, il riferimento
all’epoca mussoliniana è d’obbligo: Enea stigmatizza come il calcio sia il luogo degli intrighi, del
pasticcio, del malcostume radicato in Italia e
nella sua capitale, oggi come trent’anni fa.
Ha in cura la moglie del Commendatore, colui
che ha sotto controllo i tre settori chiave della vita pubblica: ministeri, appalti, sport. In questi,
anche solo per ripicche personali, vive e vegeta
la camorra, definita con sarcastica ironia l’altro
sport che ha tradizioni illustri in Italia.
Dissipatio H.G è vicina, con la sua feroce dolcezza. Tocca a don Walter, con questi personaggi, provare, anche per chi è inaridito dalla situazione per certi versi atroce, un senso di pietà cosmico, lottando in perfetta solitudine con i dubbi
personali sulla fede e gli altrui egoismi. Enea,
singolare romano tra le guardie svizzere, di fronte ad un sacerdote proveniente da quella regione, ricorda poi i dieci anni splendidi di quella
militanza, sembra quasi un altro mondo, prima
dello smantellamento, descritto con il solito gusto della precisione storica da Morselli. Poi lascia concludere il capitolo alla ritrovata benevolenza del suo personaggio, ritrovato almeno un
frammento d’origine inscritto nel suo nome.
Trova, Enea, una spiegazione positiva alla totale
cancellazione dei fasti papali: è giusto che per
“’annà” dal papa sia più semplice. Rimane faticoso ancora oggi, ma molto meno. Nonostante si
sia visto togliere un ottimo stipendio, rimediato
con una pensioncina, Enea riesce a vedere un lato buono, quello d’antica tradizione, dei romani
212 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
che, sepolto, si rivela, ad esempio, proprio
quando don Walter riesce a toccare ancora il
cuore della gente.
Non è finita, nel capitolo successivo, con ammicco a ben altre formule religiose, l’incipit è
ben chiaro nell’introdurre uno slogan: “Vivimur
et movemur” all’ombra del gioco del calcio. Analogamente alla commedia del Duce, non indirizzato da elementi erotici, il governo italiano negli
anni Settanta decide la riduzione allo stato dilettantistico delle squadre di calcio, togliendo ai
calciatori il 60% degli emolumenti. Anche in
questo caso si assiste alla rivolta popolare, da
Ferrara a Siracusa, l’Italia è portata sull’orlo della rivoluzione. Gli insorti occupano il Campidoglio, e viene proclamata la Repubblica autonoma
della Lazio (non del Lazio, regione, precisa Morselli nella ironica nota, ma “titolo” della squadra
romana). Tra i capi spicca quel frate Marcello da
cui la discussione del capitolo è iniziata sempre
nel racconto del buon Esposti. Fu il frate, ancora
giovane, a trattare con il Quirinale e ottenere il
massimo a cui si poteva aspirare, l’annullamento
della legge, dato che poi il presidente, aggiunge
Morselli, era un uomo scaltrissimo e tenacissimo, Amintore Fanfani. Evidentemente il noto
democristiano è più attaccato al potere dello
stesso duce, che cade in seguito al suo dirompente priapismo che non riesce a gestire adeguatamente.
Rispetto al finale di Cose d’Italia, ovviamente
con ben altri obiettivi letterari, in Roma senza
papa, presentando l’icona di sempre (l’Unde
Malum?) in un risvolto narrativo singolare, si
arriva a guardare con estrema positività la scelta
del papa di lasciare, non costretto come il duce
dalla sollevazione popolare, la opulenta residen-
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
213
za vaticana, per un oscuro e poco noto paesino
laziale.
Trascorsi cento trent’anni dalla breccia di
Porta Pia, si traguarda la consapevolezza (anche
se sembra essere solo il papa ad affermarlo con
l’esempio) di non essere confinati da un nemico
invasore, bensì di essere un polo umbilicum, dove il punto fisico si annulla in quello spirituale.
Già il germe utopico della socialidarietà, neologismo morselliano, rimanda alla proposta marxista e cattolica di una charitas concreta e non
teorica o egoista; poi l’attesa di comunicare con
il papa potrebbe aprire ad un progetto condiviso
di superamento delle paradossali e inutili concessioni della chiesa a tutto quello che la morale
moderna ha voluto. Dio non è teologo, Dio non è
prete, le conclusioni del breve incontro con un
personaggio che brilla più per desiderio di essere visto che per l’effettivo farsi vedere. La scena,
come vede bene Simona Costa, appare come
l’unica luce di speranza in pagine amare, paradossali, ironiche, grottesche. Figura potenzialmente salvifica, missionario dell’antiretorica, un
Uomo che ha delle antenne, si muove secondo
sensibilità, in un mondo quasi orrido: Giovanni
XXIV non ha però il gusto di comunicare, risvolto negativo del suo non essere teologo astratto e
della sua modestia e umiltà. Un ostacolo narrativo d’obbligo, nell’orizzonte morselliano, nel
quale solo alcune figure di medico, si è visto,
sembrano elevarsi completamente, subendo, per
questo, le durissime critiche del palazzo.
Il papa sembra vivere felicemente, di una gioia quasi profana, qui e ora, nonostante tutto. Sospeso tra un agire egoistico e la consapevolezza
di un’unica strada percorribile per non com-
214 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
promettersi con le mafie del mondo al di fuori
della suo paesetto periferico.
Anche qualora riesca a sintonizzarsi sull’onda
giusta di personaggio salvezza, manca sempre
qualcosa all’abbraccio duraturo, alla condivisione. Nelle riflessioni di don Walter, pur positivamente impressionato da quella figura al di sopra
degli schieramenti, un sentimento di vuoto, di
assenza. Probabilmente non di un singolo papa
ma di Lui, Cristo, l’Uomo carità di Fede e critica7:
Per intanto fisso questa mia esperienza, la sottraggo al fluttuare interno. Più che mai insidioso in
questo estremo di crisi che il mondo spirituale attraversa, in questa incertezza di ogni credente creatura. Un giorno, se spiritualmente sopravviveremo, ci tornerò. Quando la nostra comitiva rimise
piede in città, questa ci parve, o parve a me, diversa. L’assenza del grande Romano (non Giovanni o
Pio o Benedetto, ma Lui, impersonalmente e sovranamente), quella assenza, stata dianzi un’idea,
diveniva una misurabile lacuna, aperta nelle cose,
più che fra gli uomini. E le cose subivano disfacendosi.
Impasto singolare tra la materialità della città
di Roma, l’asfalto screpolato che si scioglie, e
l’assenza immateriale, spirituale, amara, a cui
non serve per riempirsi di ottimismo la notizia
trasmessa da un altoparlante di due temerari
svizzeri (quindi compaesani di Walter) che si
riempiono di gloria nel campo delle scoperte astronomiche. Piuttosto, se il romanzo non terminasse senza commento, potrebbe destare un
sorriso l’ultima immagine: “Una di quelle donne,
7
Roma senza papa, cit. p.181
ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA
215
al solito, si era tolta le scarpe. Saltellava sulle
selci, e rideva”.
216 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
NIPIC E KARPINSKI
NIPIC E KARPINSKI
217
218 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Se è vero che siamo tutti creature del buon Dio, e
che dunque è stato lui a volerci così, colle caratteristiche e coi bisogni che abbiamo – quando egli ci
manda una pena, un dolore, oltre a mostrarsi un
padre poco affettuoso, cade in patente contraddizione. Ossia nega la precedente volontà (la sua volontà creatrice), nega il fine a cui egli stesso, creandoci con quelle caratteristiche, con quei bisogni,
ci aveva destinati1.
Questo brano del Diario di Guido Morselli riassume il “sentimento predominante” da cui deriva l’ansia di approfondimento del principale
problema religioso, quell’Unde malum? avvertito in modo ravvicinato nei rapporti interpersonali dalla sensibilità acutissima di Guido Morselli. Il problema religioso2, al fondo del quale
1
Guido Morselli, Diario, Milano, Adelphi, 1988, p.,225, il
brano data 25 novembre1962. Si veda anche il commento,
nella nota 23 della curatrice del volume, Valentina Fortichiari, la quale informa sulla origine di queste riflessioni
nei primi anni Quaranta. Si tratta di una delle tante riflessioni sul problema nel Diario (quasi ossessivamente a
partire dal 1956) e negli scritti religiosi, di cui si darà breve conto per quel che riguarda le tematiche della commedia in esame. Il brano da cui si è citato conclude che anche
la sofferenza perfettiva, atta cioè a riparare altro male, è
ingiusta, ossia inutilmente crudele. Su queste problematiche mi permetto di rimandare ai miei lavori precedenti
raccolti in Incontro con Guido Morselli, Roma, Associazione San Gabriele, 2003, in particolare dal III al VI capitolo, Guido Morselli: io, il male e l’immensità, edizione
bilingue Italiano, Portoghese, con Antonio di Grado e Andrea Santurbano, Rio de Janeiro, Edizione comunità,
2011, L’astrattismo dei teologi e l’ingiusta sofferenza. Due
libri dalla biblioteca di Guido Morselli, in “Parole rubate”
n. 6, 2012.
2 Si veda almeno di Valentina Fortichiari, Invito alla lettura di Guido Morselli, Milano, Mursia, 1984 e Guido Morselli. Immagini di una vita, Milano, Rizzoli, 2001. In questo ultimo testo, a pag.134, viene riportata una lettera del
NIPIC E KARPINSKI
219
l’unico tragico motivo di inquietudine e di resistenza alla fede resta quello del male, come ogni
lettore pur superficiale di Morselli sa bene, viene
vissuto con profondità, passione, senza pregiudizi, nei suoi dettagli pratici, inerenti alla vita di
ogni giorno, quali gli affetti e le situazioni sociali, di cronaca sollevate dalla “sua” attualità. In
particolare quando si tratta di descrivere la sofferenza, propria e altrui, riflesso di quell’unico,
drammatico, dilemma.
La vasta produzione saggistica (a cui si aggiunge quella più propriamente giornalistica) in
definitiva considerevole anche in rapporto a
quella creativa se si mettono in conto i numerosi
inediti, si incentra in buona parte su queste problematiche e trova un suo risvolto creativo in
una commedia dal titolo, Il redentore, con protagonista lo slavo Nipic, figura cristica ed eretica
insieme.
L’importante testimonianza del fratello Mario, recentemente scomparso, trasferitosi presto
negli Stati Uniti, ancora inedita, raccolta da Linda Terziroli, attesta il ruolo decisivo, anche a livello di comunicazione orale con i familiari, della figura di Giobbe3 e il tentativo, quello stesso
25 settembre del 1971 alla sorella Maria, in cui lo scrittore
descrive, sia pur brevemente, il suo itinerario spirituale,
affermando di non essere mai stato ateo, di aver sempre
riconosciuto la funzione “perfino creativa, creatrice” della
religione e di essere ora, per dono di Dio, spontaneamente, su di un’altra sponda. Se si pensa alla data del gesto estremo, poco lontana, sia ha la sensazione di una oscillazione continua lungo tutto il corso della sua esistenza.
3 Ringrazio Linda Terziroli per avermi concesso la lettura
di una parte del file della bozza dell’intervista, ancora da
rivedere. Cito un passaggio fondante, dove Mario dichiara
il suo ateismo, proprio fondato sull’assurdità di un Dio
buono e i dubbi del fratello, mai risolti: “Giobbe era uno
220 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
del redentore, di riconciliare Dio con l’uomo,
magari attraverso il sacrificio di uomini di buona volontà come Nipic.
Sulla domanda perché si soffre si apre la lunga meditazione religiosa di Morselli, nell’inedito
Filosofia sotto la tenda, derivante dagli appunti
presi nella solitudine dell’isolamento prima sardo e poi calabrese, dovuta agli eventi bellici della
Seconda Guerra Mondiale. Ne rendono testimonianza profonda, sia pur nella asistematicità, voluta, a volte arruffata, con frequenti anacoluti di
pensiero (ci sia concessa l’espressione) diverse
pagine di Realismo e fantasia. Dialoghi, volume
uscito a spese del padre dello scrittore nel 1947
da Bocca editore. Il dialogo VII (e parte del IV)
di questo lungo saggio, in una significativa linea
di continuità, anticipa specificatamente le tematiche di Fede e critica, di cui si conosce un titolo
precedente, Imparare a credere. Opera pensata
in varie fasi, di cui, ancora oggi, si legge a stampa solo la seconda parte, pubblicata da Adelphi
nel 1977. Ripresi gli appunti del periodo della
Seconda Guerra Mondiale, in Filosofia sotto la
tenda, si passa per il più compiuto Fede e critica, da cui il titolo complessivo, redatto nel 19551956, e si arriva, nello stesso anno cruciale (lo
stesso del Redentore) per il cammino spirituale
di Morselli, a Due vie della mistica, ripresa e
ampliamento delle tematiche delle precedenti
meditazioni, per poi soffermarsi sulle diverse caratteristiche del misticismo (opposto alla semplicità altruistica del Vangelo). Dello stesso arco
di tempo, tra altre prove saggistiche, anche i due
dei suoi Leit-motiv. Questo riconciliare Dio con l’uomo
era un argomento su cui abbiamo discusso innumerevoli
volte. Lui aveva dei dubbi, io non ne avevo”.
NIPIC E KARPINSKI
221
importanti frammenti, riproposti opportunamente da Valentina Fortichiari, La felicità non è
un lusso e Capitolo breve sul suicidio4, in cui i
termini della riflessione religiosa sono condotti
sulle soglie di una disperazione latente. Delle
parti inedite dell’ambito di Fede e critica mi sono occupato altrove5 e spero di tornarci a pubblicazione avvenuta. Del 1968 quel Teologia in
crisi su cui si sofferma proficuamente Paola Villani6, aggiornamento sullo sviluppo del pensiero
teologico nel decennio successivo, di cui ci sono
pervenuti soltanto tre capitoli. Riportato alla luce da Linda Terziroli, l’importante carteggio con
Padre Battista Mondin, tra il ’68 e il ’69, in particolare sulla perscrutabilità (il Dio dei Vangeli)
e imperscrutabilità (il Dio di Pascal), discussa
anche nel Diario, del divino, che conclude con
l’amara constatazione che l’umanità dei Vangeli
Guido Morselli, La felicità non è un lusso, Milano, Adelphi, 1994. Nelle sue note ai testi di questa importante silloge di articoli e saggi morselliani, ordinati secondo un
criterio cronologico, la Fortichiari segnala per il saggio
omonimo della raccolta datato 17 settembre del 1956
(chiuso da poco il lavoro sul Redentore) che Morselli sta
attraversando “una grave crisi mistico esistenziale”, lavora
a Fede e critica e Due vie della mistica, torna a parlare del
suicidio nel Diario. Dello stesso anno, incluso nella raccolta, il Capitolo breve sul suicidio, 26 agosto 1956. Il tono di
La felicità non è un lusso, almeno nella prima parte, perde
la pacatezza di Fede e critica, con l’emergere di una più
sconsolata analisi sul male, sorretta da una ironia neanche
tanto velata verso il pensiero teologico e filosofico che, con
varie assurde posizioni, elimina il problema centrale
dell’esistenza, appunto l’impossibile felicità e l’evidenza
della sofferenza.
5 Cfr. Fabio Pierangeli, Incontro con Guido Morselli, Roma, Associazione San Gabriele, 2003.
6 Nel citato numero di “Studium”.
4
222 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
è una utopia7. Tra gli altri molteplici documenti
che attestano il ritornare nel tempo di queste
questioni, in fasi più o meno acute e stringenti,
lo scambio epistolare con padre Battista Mondin, opportunamente proposto da Linda Terziroli e scaturito dalla lettura di due testi, presenti
nella sua biblioteca personale, consultabili, con
interessanti sottolineature e glosse autografe,
nella biblioteca civica di Varese, presso il Fondo
Morselli.
Il primo volume, in ordine cronologico, Battista Mondin, Paul Tillich e la tramsmitizzazione
del Cristianesimo, Torino, Borla, 1967, numero
36 della collana Le idee e la vita, porta la data
autografa del 18-11-67. Seguendo il testo di
Mondin, nella sua esposizione piana, chiara,
tendente a esporre con oggettività il pensiero del
teologo protestante di Harward, lo scrittore estrapola, anche al di là del discorso complessivo,
tematiche di particolare interesse per la sua speculazione, in ascolto delle nuove tendenze teologiche che Mondin espone, in questo e nel successivo volume. La sottolineatura di pag. 30 introduce con particolare decisione la discussione:
“i concetti teologici tradizionali con cui viene
ancora espresso il messaggio cristiano sono assolutamente superati; l’uomo moderno non li
comprende più”. “Simboli” vuoti, continua
Mondin sottolineato da Morselli, sono ormai per
Guido Morselli, Lettere ritrovate, a cura di Linda Terziroli, Varese, Nuova Magenta, 2009. Tutto il volume, come
sottolineato dalla acuta introduzione delle Terziroli (da
pag. 27 in avanti riassume le varie tappe della riflessione
religiosa e del rapporto personale con la fede), è di grande
interesse, radunando materiale del Fondo Morselli della
Biblioteca Civica di Varese, per lo più conservato dalle
stesso scrittore dentro i libri della sua biblioteca.
7
NIPIC E KARPINSKI
223
Tillich peccato, paradiso, inferno e forse la stessa parola Dio, non significano nulla per la concretezza della vita della maggioranza degli uomini. Teologia in crisi, sintetizzerà Morselli nel
saggio che nasce da questa lettura: la questione
centrale della “morte” di Dio lo interessa ancora
una volta personalmente, come esperienza, non
in quanto aggiornamento teorico di dibattiti teologici. Difatti, Morselli, tra le tante annotazioni,
segnala una breve frase, per lui emblematica,
benché tutto sommato non centrale nel discorso
di Mordin: “l’ateo pratico, cioè tutti noi”. La sua
crisi personale si specchia con quella dell’uomo
moderno, con dolore, non ammettendo la possibilità della rassegnazione, senza rispondere ai
quesiti metafisici che riguardano il vivere quotidiano.
Il secondo volume presente nella Biblioteca
personale di Morselli esce poco dopo, sempre
per Borla, numero 40 della collana Le idee e la
vita. I teologi della morte di Dio, data lettura 75-68, apposta a matita sul testo. Nello stesso stile pacato e tendente a una ricostruzione oggettiva, vuole essere una sintesi del pensiero del cosiddetto ateismo cristiano, che dal filone protestante, incluso lo stesso Tillich, si radicalizza, in
particolare negli Stati Uniti, dando vita al paradosso di caratterizzarsi per voler salvare il Cristianesimo ammettendo la morte di Dio.
L’analisi è svolta ricorrendo al commento del
pensiero dei singoli autori, Robinson, Cox, Hamilton, van Buren, Altizer, Dewart, individuando la continuità di un processo nel passaggio,
lento, ma quasi inevitabile, dallo scetticismo,
all’agnosticismo, all’ateismo, fino ad indicare
quella scissione tra Cristo e Dio, a cui Morselli
arriva per altre strade, principalmente l’Unde
224 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
malum?, come ben sappiamo. La frase che apre
il capitolo in questione, nella capacità di trovare
formule da parte del Mondin, appare a Morselli
decisiva nel riprendere e ampliare ad altri teologi le problematiche del volume precedente:
“L’ateismo è la caratteristica più impressionante
della cultura moderna. L’incredulità ha oggi
conquistato tutte le dimensioni dello spirito”.
Più avanti, nella spiegazioni di Mondin delle
cause dell’ateismo, divise in speculative e pratiche, Morselli sottolinea: “nell’ordine pratico la
causa principale dell’ateismo è il progresso”, ovvero, secondo Mondin, per raggiungere la felicità l’uomo contemporaneo conta soltanto sulla
sua intelligenza e sulla capacità di procurarsi
successo e piaceri.
Nella pagina successiva, la 19, Morselli si oppone decisamente alle tesi di Mondin. L’appunto
appare fondamentale:
Ci sono ben altre ‘cause’: c’è per esempio
l’insofferenza dell’uomo di oggi, abituato ormai a
un senso democratico, o meglio etico-giuridico,
dell’autorità, verso l’arbitrio che bisogna per forza
vedere in un Dio responsabile di ciò che avviene
nel mondo (è tutta una serie di manifestazioni del
problema di Sant’Agostino unde malum? ma oggi
non è più un problema di teologia speculativa è
qualcosa di più importante).
Le rilevazione di Morselli, assai fitte, si intonano ad una amarezza rivelata in una ironia a
volte sottile a volte esplicita. Di fronte al problema sollevato nella glossa autografa, le discussioni di questi teologi appaiono asfittiche, ristagnanti, distanti dalla percezione della vita reale
di ogni uomo, ricalcate sulla vecchia metafisica e
capovolte. I problemi drammatici sollevati dalla
NIPIC E KARPINSKI
225
presenza o meno di Dio, sono ben altri: da questa deriva il distacco della gente dalla religione,
con l’indifferenza o, nei momenti difficili, nel
cercare di sostenersi attraverso persone o cose
“immanenti”.
In fin dei conti il tono delle glosse autografe
di Morselli sui testi di Mondin (a cui dedico un
saggio in uscita sulla rivista di Rinaldo Rinaldi
“Parole rubate” n. 6) sembra quello di un osservatore partecipe, intento però a sottolineare come questi diversi punti di vista costruiscano una
commedia delle interpretazioni umane su Dio,
un tema sempre giudicato, a questa altezza cronologica, irrisolvibile per quel che riguarda le
vere questioni scottanti, spesso eluse dai teologi8.
Nello sviluppo del pensiero morselliano si accentua la distanza tra il Dio del Vangelo, tra quel
Gesù storico ammirato senza remore e senza ripensamenti, e il Dio dei teologi, il Dio astratto, il
Dio creatore, lontanissimo dall’amore evangelico, quello nascosto di Pascal 9. Il discrimine, come evidenziato nel diario e in Fede e critica, resta proprio il Male del mondo, ammesso (o addiNella pagina bianca della quarta di copertina e in quella
precedente Morselli appunta note che servono per Teologia in crisi, di cui difatti segnala i capitoli, proprio nel verso della quarta di copertina “Piano del mio lavoro “Teologia in crisi” (14-5-68)
1) L’ateismo moderno
2) Il modernismo (e G.Gentile)
3) L’ateismo moderno di massa.
4) La teologia dell’ateismo cristiano
5) Il catechismo di Spinoza?
6) Conclusione
9 Cfr. nota 8.
8
226 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
rittura introdotto) da Dio, se si deve accettare la
Sua Onnipotenza, e l’inaccettabilità del peccato
originale.
Il problema capitale del Cristianesimo risiede
proprio, secondo l’appassionata speculazione di
Morselli, nella questione della natura dei rapporti tra Cristo e il Padre perché niente è così estraneo al Vangelo come le tortuosità dei teologi
che, lontane da quell’esempio, minacciano di diventare dogmi. Il “soffro dunque sono” porterà
Morselli, in un cammino non progressivo, ma
anzi ricco di accelerazioni e ripensamenti, a distanziare le due figure dell’Antico e del Nuovo
Testamento, in un contrasto insanabile, vissuto
personalmente con estremo dolore, non percepito con distacco intellettualistico, ma realmente
sofferto, con l’evidente allontanamento dalla via
maestra della Tradizione. Il 31 ottobre del 1949,
sempre nel Diario, ammetteva profeticamente
che l’arte più sincera si rende conto del male
connaturato al nostro essere: solo questa essenza rappresenta il fondamento di tutti i valori.
Il Diario e Fede e critica, esaminando i medesimi argomenti (il Male, la colpa e il peccato, la
sofferenza, la fede, la religiosità e il dubbio, la
razionalità dell’esperienza religiosa, la mistica)
assumono, tra loro, un tono ben diverso, da
spiegarsi fino a un certo punto con la differenza
dei rispettivi ambiti letterari. Nel Diario, nel carattere distintivo di riflessione privata, la sofferenza per il Male, per un bene perseguito e donato ma mai ripagato, anzi, quasi respinto e rimandato al mittente (come si evidenzia anche
nella narrativa matura) viene drammaticamente
sentita, urlata, denunciata. Nelle opere “teologiche” con il tono “lineare, piano, tollerante”della
saggistica, il dolore si avverte quale possibile via
NIPIC E KARPINSKI
227
alla umiltà, alla accettazione della fede, quasi
necessariamente, dopo il fuoco di fila implacabile, ma alla fine esausto, della critica puntigliosa
alle assurdità della fede (da cui il titolo Fede e
critica).
Almeno per i brani diaristici fatti conoscere
dalla Fortichiari, quella della carità sembra esperienza lontana, legata alla storicità dei Vangeli, messa in discussione dalla continua frustrazione di vedere i propri sforzi generosi ripagati
con l’egoismo. Non solo Morselli sente di appartenere alla “massa di dannati” a fronte dei pochi
eletti, ma si sente un privilegiato a rovescio, bersagliato dal caso e dalla sofferenza. La drammaticità urlata e l’urgenza di una soluzione dello
stile diaristico emergono raramente nella trilogia di Fede e critica, ad esempio nella nota quarta del capitolo IV10:
Il male che soffriamo su questa terra non rappresenta soltanto il motivo (ahinoi) dominante della
nostra pratica attività: è in linea teorica una questione che non si lascia risolvere. La sua presenza
costituisce un aspetto aberrante e sconcertante dei
nostri rapporti fra l’assoluto e il relativo; non si
vede come il mondo a cui apparteniamo, così palesemente irrazionale possa convivere con l’assoluto
(ove questo si intenda come fonte e principio di
razionalità), non si vede come possa esserne tollerato. L’insorgere del male sarebbe il secondo atto
di un cosmico dramma per cui il relativo, dopo essersi distinto dall’assoluto, si pone in opposizione
10Guido
Morselli, Fede e critica, Milano, Adelphi, 1977,
pag. 111. La nota continua sul medesimo tono: escluso
l’interesse della filosofia per un problema dichiarato insolubile, nella assoluta impossibilità di far discendere il razionale dall’irrazionale, conclude che, allorché soffriamo,
l’unica religione sussistente è quella che ammette il mistero.
228 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
all’assoluto medesimo; ora il fallimento dei tentativi di chiarire questi enigmi, ha certamente contribuito a far sì che la filosofia critica moderna si
inducesse a rinunciare alla metafisica e a concludere che i problemi inerenti, essendo insolubili,
non sono filosoficamente problemi.
Si tratta, indubbiamente, di uno dei centri
nevralgici dell’intera speculazione morselliana,
rifluita nelle opere creative: si esaminino in questo senso i romanzi, fino a quel Dissipatio H.G.
dove il tono ironico, lucidamente disperato, riproporrà, sul limitare, una identica questione:
l’umanità è salvata o dannata? L’unico uomo rimasto sulla terra sconta da solo la sua pena eterna o viceversa è l’unico redento? Non si spegne mai, parallelamente, l’attesa, se non la speranza, della carità incarnata in gesti e persone,
quale appare continuamente, sull’esempio
dell’amato Cristo, in vari momenti della Trilogia
e rappresentata compiutamente da Nipic, pur
sempre nella oscillazione tra la fede e
l’ammissione di accarezzare la più sublime delle
utopie. Perfino la bestemmia, nel bel capitolo a
questa dedicata in Fede e critica, può essere
considerata una voce che invoca e desidera una
bontà ormai distante.
Tra i motivi più profondi delle dolorose meditazioni di Morselli resta quello di non riuscire a
sottrarsi alla pena, al dolore della imperfezione
del suo stesso, originariamente gratuito, modo
d’amare il prossimo.
Scrive l’8 ottobre del 195911:
La sofferenza che io in questi giorni sto provando,
di nuovo (dopo i due amarissimi mesi di luglio e di
11
Guido Morselli, Diario, cit., p. 181.
NIPIC E KARPINSKI
229
agosto), non ha un fine, non ha uno scopo, come
non ha, nella mia condotta, una motivazione plausibile. Potrei in questi stessi giorni essere felice,
come d’altronde potrei essere morto. La mia sofferenza nasce da circostanze esterne, che potevano,
senza pregiudizio di nulla e di nessuno, essere occorse in modo del tutto diverso: nasce da esse, non
ne è spiegata o giustificata. La nostra vicenda umana è futilmente aleatoria, legata al gratuito e
all’accidentale, perché possa ispirarsi a un qualsiasi principio universale.
Il motto appeso sulla biblioteca personale:
Etsi omnes ego, sembra ulteriormente connotarsi con l’amara constatazione di esser lasciato solo a soffrire.
Deve essere Dio a riconciliarsi con l’uomo,
dando un segnale di voler riparare la evidente
contraddizione tra la sua Bontà e Onnipotenza e
la presenza del Male. Inutile allora anche la bontà e la preghiera, si arriva a scrivere più avanti,
nel Diario. Siamo nel gennaio (un lungo brano
su questi temi) e nel luglio del 1960: forse ripensando al suo personaggio lasciato incompiuto,
Nipic, Morselli potrebbe aver amaramente constatato l’inutilità del suo sacrificio, l’utopia irrealizzabile di veder incarnata una esistenza di carità, sempre torturato dall’idea, divenuta ossessione, di una ingiustizia verso la sua persona:
generosa nel donare, senza mai ricevere (si veda
nel Diario almeno ad esempio 3 maggio 1961, 6
agosto del 1963, 16 giugno 1969).
L’Unde malum?, nelle stesse domande che
assillano il Morselli uomo, e quindi saggista, ha
qui una declinazione precisa, dentro episodi
d’amore e sofferenza con risvolti carnali, sfondo
autobiografico delle riflessioni saggistiche e de Il
redentore. Coinvolge i sentimenti più intimi de-
230 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
gli uomini, come si è visto anche nel Diario.
Come è possibile, se l’amore umano avvicina a
Dio, viene da Dio, allo stesso modo dall’Ente divino provenga il Male? Dal Bene, dall’intenzione
di agire amorevolmente, può discendere il Male.12
12 Un
altro brano del Diario, benché scritto una quindici di
anni dopo la Trilogia, può spiegarne il meccanismo con
chiarezza, del resto percepibile anche altrove negli appunti saggistici sulla religione e la mistica: il Vangelo ci chiede
la carità, ovvero la benevolenza (cita anche il laico esempio di sacrificio del tutto gratuito di Salvo D’Acquisto che
non conosceva affatto le persone per le quali ha dato la vita salvandole) mentre l’amore “sensuale” è per sua natura
egoistico. Da questo punto di vista, come già si è detto, il
modello del Vangelo rimane punto di riferimento insuperabile, sia pur messo in crisi ripetutamente l’effettiva verità della natura divina di Cristo e dei suoi rapporti con il
Padre. Il 9 giugno del 1972, Morselli, richiamando tutti i
dubbi finora espressi a livello teologico, ribadisce l’unicità
del messaggio di carità e di amore (non egoistico), nettamente superiore a tutte le altre religioni, opponendosi con
queste argomentazioni umane e sentimentali anche a chi,
scientificamente, come il “solito” Bultmann, critica
l’autenticità dei Vangeli. Si veda ancora Guido Morselli,
Diario, cit., pag., 378: “La fede, annuncia il Vangelo, è
amore. Perché Dio stesso è amore, e per l’amore, si incarna. Ecco la rivoluzione evangelica, per cui si può dire che
con essa comincia non una nuova religione, ma “la” religione. Ammettiamo pure che le ‘precise parole di Gesù’
non siano giunte sino a noi, o addirittura che il “personaggio” non sia più recuperabile in senso storico. È esistito,
però, Qualcosa, o Qualcuno, che, per il tramite di alcuni
oscuri individui, ha operato quella rivoluzione. C’è stata
una ispirazione. Una rivelazione, una illuminazione. E se
non vogliamo ammetterle, dobbiamo comunque dire che
Qualcosa o Qualcuno ha comunicato a quegli oscuri individui una verità nuova. Rivoluzionaria. Che essi “non potevano” inventare. Di cui nessuno, prima, aveva avuto
nemmeno un sentore. Quel Qualcosa, quel Qualcuno, noi
lo chiamiamo Gesù. Gli riconosciamo un’esistenza, una
NIPIC E KARPINSKI
231
Padre Mondin non è l’unico referente di Morselli su queste cruciali questioni non risolte.
I tentativi di dialogare con i rappresentanti
della ortodossia cattolica sono molti, e non vanno sempre a vuoto. Morselli ne è comunque insoddisfatto. Tra le lettere conservate al Centro di
Pavia, troviamo un carteggio con Padre Dossi,
che insegna al Liceo Classico dell’Istituto Leone
XIII, frequentato dallo stesso scrittore. Il dialogo, sia pur con qualche reverenza formale, appare più arduo rispetto a quello con Mondin: i due
sembrano lasciarsi non con la stessa stima, quasi con rabbia. Morselli incalza il Padre proponendo minutamente le sue tesi, quelle di Fede e
critica, ma con più decisione, quasi esasperazione. Sul tema del peccato originale, che sarà al
centro della discussione teologica del Redentore,
scrive nella missiva del 5 ottobre del 1961:
È un punto dolente della teologia cristiana, sebbene sia il fondamento dell’immensa costruzione
dottrinale del cristianesimo; non certo del Vangelo, che non a caso lo ignora.
La impossibilità, psicologica e logica del peccato in
un mondo vergine, in creature che per ipotesi traevano la loro origine immediata da Dio stesso, è
un fatto abbastanza manifesto a chiunque ci rifletta un po’; e se ne era accorto il giovane Agostino il
quale, a proposito del diabolus ex machina introdotto, con ingenua scaltrezza, dal racconto del Genesi, si chiedeva: ma, e il diavolo, chi l’ha fatto? E
voce, una personalità. Mi pare che sia il minimo che possiamo fare, dinanzi ad una azione così potente. Noi stessi,
uomini del 2000, che abbiamo ipotizzato un problematico
Inconscio, e che stiamo per dare uno stato civile agli ordinatori elettronici […] Gesù è la fonte di quella verità che
ha rivoluzionato la fede. Che ha reso possibile la fede a
tutti gli uomini, solo che siano capaci di sentire amore. (9
giugno 1972)”.
232 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
se si è fatto da sé, chi gli ha messo la mala voglia di
farsi diavolo (Confessioni).
Da qui l’idea, che fa infuriare il Padre, che
ormai il primo peccato, come nel testo di Sertillanges, non è nemmeno più considerato dalle alte sfere ecclesiastiche e dai teologi, mentre la
problematica si tace ai comuni fedeli. In altri
termini rispetto a quello che sarà la dualità perscrutabile, imperscrutabile, anche a Dossi, Morselli pone la questione di un Dio antropomorfo,
quello di Bontà dei Vangeli, e di un Dio inaccessibile e ineffabile.
In sintesi. – Siamo ottimisti, le cose ci sembra vadano bene? C’è la Provvidenza, l’universo è affidato a un sapientissimo reggitore. Il Vangelo (con la
sua fede così dolcemente personalizzante, umanizzante) fa testo; Iddio è tanto simile a noi, da essere
capace di amare; egli ci ama, veglia a tutti i nostri
bisogni, spirituali e anche temporali.
Vogliamo mettere da parte l’ottimismo e vedere le
cose come vanno in realtà? Ci si accorge subito che
vanno a rotoli, che regna ovunque (dove c’entra
l’uomo, e dove l’uomo non entra affatto)
l’ingiustizia, il disordine. Obbiettivamente giudicando, bisognerebbe concludere che Dio non esiste, o è cattivo, oppure (come preferisce dirsi il
sottoscritto) che è “andato in vacanza”.. – Allora,
si ripiega sul Dio impersonale, sulla imperscrutabilità di Dio. “Volete giudicare Dio col vostro metro?” Del tenero Dio del Vangelo, non si parla più.
Al culmine della rabbia, o del sarcasmo, racconta di una donna anziana che scrive alla “Rivista delle missioni dei Gesuiti” dicendo che è a
letto da anni, ha tanto pregato e Dio non le dà
ascolto. Il padre teologo risponde, con parole inaccettabili per Morselli: la malattia è un bene
NIPIC E KARPINSKI
233
per lei, nessuno è in grado di capire perché, ma è
cosi. “Dio ha le sue vie imperscrutabili”.
Questa risposta potrebbe aver alimentato nello scrittore l’uso reiterato del termine imperscrutabile, a cui dedica una riflessione saggistica. Ecco il suo commento, rivolto a Dossi:
Le pare accettabile il modo di ragionare del suo
confratello, il quale, oggi, rispondendo alla lettrice
inferma, sostiene: bianco, per poi domani sostenere: nero? E cioè, Le par plausibile che oggi si predichi un Dio personale, padre delle sue creature,
accessibile alle nostre suppliche, comprensibile alle nostre menti, e il giorno dopo si predichi un Dio
preso in prestito dalla “teologia negativa”, o non
molto dissimile dal Dio di Spinoza?- Come farebbe
Lei a professarsi comunista e, insieme, liberale,
marxista e spiritualista?
La risposta di Dossi è sintetica quanto, dal
suo punto di vista, efficace:
Dio è inconoscibile nella sua vera Essenza, quella
che la nostra mente […] non riesce a conoscere in
maniera diretta; ma è perfettamente conoscibile
nel suo modo di agire con noi, in quanto ne abbiamo le prove che ci toccano.
La figura di Nipic, in questo contesto, assume
su di sé un rilevante aspetto del problema, un riflesso strettamente individuale, percepito acutamente da Morselli. Diventa il martire per eccellenza (nonostante la fine poco eroica) proveniente da quella terra per prima invasa dalla follia del nazismo.
Queste tematiche, l’abbiamo considerato nel
precedente capitolo, rifluiscono in momenti decisivi di Roma senza papa, in un contesto di una
Chiesa totalmente emancipata e succube dei co-
234 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
stumi mondani, dove sono destinati ad incontrarsi don Walter, sacerdote svizzero e il papa
Giovanni XXIV. Entrambi, per strade diverse, in
una atmosfera di desolazione umana, costituiscono una opposizione al grigiore e alla decadenza, ai paradossi di strambe dottrine. I problemi veri non vengono risolti, se non in forza
dell’attesa di incontrare questa figura carismatica. Si accenna più volte, da parte delle teorie più
avanzate della Chiesa, alla rinuncia al dogma del
peccato originale (quello che chiede Nipic), additando il Serpente come mera scusa per risolvere l’annoso problema dell’Unde Malum? chiamando in causa un ente esterno alla volontà di
Dio (tema più volte discusso da Morselli). Identico il riferimento a Pascal sulla dialettica Dio
perscrutabile e imperscrutabile nel cap. XVI e,
nel XI, sul dovere di Dio, sostenuto da Nipic, di
venire di nuovo incontro agli uomini, cambiando i rapporti, perché i doveri sono reciproci. A
pronunciare queste e altre convinzioni poco ortodosse (in un contesto però di svilimento totale
dell’etica cristiana non condiviso da don Walter)
come quella del male creato da Dio, è Marianito
Cortesao, frate brasiliano, in un improvvisato
comizio di fronte ad una San Pietro abbandonata dal papa (ha scelto Zagarolo, come si ricorderà) e dai turisti.
Di Nipic, protagonista del Redentore, in attesa, e con la speranza di veder pubblicata la
commedia, ho scritto altrove, sulla scia dei lavori
e della ricostruzione del manoscritto di Cristina
Faraglia. Questo personaggio, positivo, nel dono
della carità fino alla morte, dedito ai poveri, salvatore di ebrei, lui boemo, in territorio tedesco,
finisce, sospettato di attività anti tedesca, in un
manicomio, sorvegliato speciale dai nazisti.
NIPIC E KARPINSKI
235
Siamo nel settembre del 1938, alla vigilia della
guerra, con Hitler che ha già invaso i Sudeti, a
Oberstadt nella regione della Ostfalia, non lontano da Munster, citata nel testo), la sede arcivescovile tenuta, in quel momento, secondo la storia, dall’unico vescovo dichiaratamente ostile al
nazismo, Van Galen. Viceversa, Morselli, in linea
con i suoi laceranti dubbi di quel periodo, fa del
suo eroe un perseguitato anche dalla religione
ufficiale. Il vescovo e il pastore protestante (distanti su tutto e qui solidali) sottopongono Nipic
ad un processo-interrogatorio, in cui il santo risponde punto per punto, illustrando la sua contrarietà al dogma del peccato originale. Ci sembra molto plausibile che Morselli, attento allo
sviluppo delle fasi della Guerra, fosse a conoscenza del triste obiettivo nazista del T4,
l’eliminazione sistematica, dentro i manicomi,
delle persone non corrispondenti all’ideale ariano. Potrebbe essere uno degli spunti storici per
questa commedia, per altro ambientata in un
contesto preciso, caratterizzato dall’accenno alla
questione dei Sudeti. Nel prologo affidato al
“Capocomico”, voce dell’autore, Morselli ci annuncia di voler cambiare, per questa commedia,
la solita formula: qui i riferimenti, per trasposte
persone e luoghi, sono tutti veri, e parlano da sole, al di là dello schierarsi dall’una o dall’altra
parte dell’autore.
Vale comunque la pena di ricordare che Van
Galen si scaglia proprio, in prediche rimaste negli annali della storia, contro questa barbarie e si
erge decisamente contro il nazismo.
Al redentore vanno le simpatie di un ennesimo medico caro a Morselli: pragmatico, tendenzialmente ateo, Printz, il direttore della Clinica
dove si svolge l’azione drammaturgica. Questi
236 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
riconosce la validità e la generosità dell’azione di
carità (anche concretamente aiutando la fuga di
ebrei) di Nipic, sostenendola. In definitiva si
tratta dell’autentico frutto del messaggio dello
strano personaggio, rimasto ucciso non da mano
nazista (come una pantomima degli internati nel
manicomio aveva previsto) ma perché si getta
nel mezzo di un litigio tra due donne egualmente
innamorate di lui, prendendosi un colpo di pistola mortale. Non è purtroppo chiara la volontà
di Morselli per il finale: probabilmente si interrompe indeciso se far accadere “qualcosa di soprannaturale” sul corpo di Nipic, un segno miracoloso, oppure lasciare semplicemente al medico
il compito di dichiararne la vittoria, se non del
tutto eroica, umanamente limpida, rispetto ai
boia nazisti. La sua docilità è ormai definitiva,
dichiara il direttore della clinica ai tedeschi venuti ad arrestare il redentore, con quella sottile
ironia segno di superiorità rispetto agli ottusi
strumenti esecutori di una perversa strategia del
Male.
Nipic, personaggio rimasto nell’ombra (ancor
più di tutti gli altri, non essendo arrivata l’opera
neanche al dattiloscritto, almeno per le carte
messe a disposizione dagli eredi) avrà l’onore di
tornare per interposta persona in un’altra figura
salvifica, la più importante, che muore come lui,
intervenendo in una lite, letteralmente mettendo
il proprio corpo nel mezzo, offrendosi. Karpinski13, naturalmente. Tornando alle riflessioni del
primo capitolo, possiamo ben dire che il romanSulla origine di questa figura si veda Maria Panetta, Da
Fede e critica a Dissipatio H.G.: Morselli, il solipsismo e il
peccato della superbia, in “Rivista di Studi italiani”,
XXVII, 2, 2009
13
NIPIC E KARPINSKI
237
zo si sviluppa, anche narrativamente, sulle tracce del dottorino, andando nei posti in cui potrebbe aver dato l’appuntamento 14:
Karpinsky, amico Karpinsky, non ho che te. Il
transfert non c'entra, tu lo sai bene. È che sono solo. Il mondo sono io, e io sono stanco di questo
mondo, di questo io. Lasciati vedere.
Non per questo cessano le incertezze e le oscillazioni, i dubbi, ma sono pronunciati davanti
al volto di un amico, l’unico amico a cui, magari,
si può recitare, a memoria, una poesia.
Se Karpinski è medico, il riconoscimento della umanità piena e del sacrificio di Nipic ci viene
da Printz, che esercita con dedizione, sia pur a
volte rudemente, il medesimo mestiere, rivolto
alle malattie mentali. L’origine slava di Nipic e
Karpinski segna, nella sofferenza, la vicinanza
all’Uomo dei Vangeli, della carità, capaci, fino
all’estremo sacrificio. La morte del primo, in un
finale purtroppo solo abbozzato, non è affatto
eroica, come si diceva, portando alle estreme
conseguenze una fitta dolorosa avvertita più volte: cercando di fare il bene, in particolare con le
donne, crea discordie, amarezze, paure, egoismi.
Sue fedeli discepole, Luli e Misia, sono entrambe
innamorate della luce di salvezza che illumina il
volto di Nipic. Paiono (come dalla citazione nel
finale del testo) eroine uscite dal teatro o dai
racconti del grande Heinrich von Kleist (una
traccia importante per un ulteriore saggio, visto
l’ampia casistica, variegata, delle eroine del
drammaturgo del Principe di Homburg e di
Pentesilea, citato nel testo). La seconda, però,
14
Ivi, p. 138
238 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
ossessivamente, fino a deviare del tutto
dall’insegnamento stesso di Nipic per averlo solo
come “proprio” uomo. In quella che poteva essere la VI del III atto ecco lo scontro finale tra le
due donne e la morte di Nipic:
Scena VI
Fa il suo ingresso Misia
Ella sorprende Nipic mentre ancora accarezza il capo a
Luli. Questo spettacolo evidentemente la sconvolge.
LULI - Desidera qualcosa signorina Būrg?
MISIA - Questo è il mio posto di lavoro, sappia. Sono io
che le chiedo che cosa fa qui.
LULI - Parlavo con Ilja.
MISIA - Me ne accorgo. Parlava con Ilja e frattanto pensava di accaparrarsi i suoi favori indegnamente, subdolamente.
NIPIC - Misia, si calmi. Non parli così in mia presenza.
MISIA - La informo, Signor Nipic, che la donna a cui dedica la sua benevolenza è una maestra d'iniquità. Nel mentre civetta con lei la tradisce vigliaccamente. La denuncia
alla polizia.
LULI - Lei è pazza, Misia.
MISIA (A Nipic) - Ne avrà presto le prove. Il Gauleiter
Lippers la sta cercando, alla testa di una squadra della Gestapo.
NIPIC - Non è possibile, Misia, che dice?
MISIA (a Luli) - Si vedrà tra poco. Forse oggi stesso. E lo
dovrà a costei, che ieri si è recata alla polizia. Sono informata di tutto.
LULI - Ma si renda conto dunque! Sono stata alla procura
generale, sì, per...
MISIA (senza badarle) - Questa abbietta persona, questa
spia!
LULI - Per amor di Dio, taccia. Non sa quel che si dice.
Taccia per amor di Dio!
MISIA - Detesto il suo Dio, come detesto lei.
NIPIC – (Facendo eco,impotente), Odio fra le creature e
odio contro Dio... Nemmeno sui più vicini a me, la mia parola ha avuto efficacia.
LULI - Non le crede Ilya, vero? Me lo dica, per carità, su-
NIPIC E KARPINSKI
239
bito.
NIPIC - Non crederò mai. Misia è fuori di sé.
MISIA – (????)15 Non crede a me. Crede ciecamente a lei.
NIPIC- Luli è buona come anche...
MISIA (c.s. ,interrompendolo) - Sente dunque il bisogno
di difenderla?
LULI – (quasi scandendo) Ilya mi difende perché mi ama!
MISIA (sconvolta, ma come parlando tra sé, con improvvisa attonita certezza) - È così, è così...si amano
NIPIC (con energia) - Basta Misia. Lei fa soprattutto il suo
male.
MISIA - Che ti importa di me, Ilja, ormai…
LULI (aggressiva) - Ilja è vicino a me, perché sente come
me. Crediamo insieme, operiamo insieme. Egli è mio.
MISIA - Questo no, questo no. Per pietà. (Retrocede e si
appoggia allo scrittoio, come esausta, sopraffatta)
LULI - È mio.
MISIA (Lentamente) -Non l'avrai però... (È pallida e fredda; stende indietro la destra e solleva il coperchio del cofanetto che sta sullo scrittoio. Agisce con una calma attonita (?) gli occhi dilatati fissi sulla rivale, mentre Nipic la
segue con lo sguardo, sorpreso, senza saper muovere (?)
un gesto) Misia impugna la rivoltella, la spiana su Luli)
Non l’avrai ti dico! (E spara).
NIPIC Luli! (Con una balzo si è portato avanti, e riceve il
colpo in pieno petto. Ma non si abbandona subito, rimane
un attimo in piedi, sorretto alla vita dalla donna che gli è
dietro).
Riceve il colpo in pieno petto: il simbolo della
offerta di sé. Sia pur lacunosa, con parole di difficile interpretazione, il senso globale di queste
pagine si intende bene: non credo sia fare un
torto allo scrittore far circolare almeno per
grandi linee, il senso di questa commedia, sospesa tra tragico e comico, la cui conclusione
prevede la decisa presa di posizione del buon
I punti interrogativi segnalano delle parole ancora da
chiarire in vista di una auspicabile pubblicazione integrale
del testo.
15
240 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
medico Printz, rispetto a Nipic, nonostante le
sue convinzioni laiche. Come sostenevo altrove16, in questo riconoscimento del medico si riflette la grandezza di Nipic, sia pur in una morte
meno eroica di quella immaginata nella pantomima dei detenuti, per mano di Hitler in persona, che chiudeva il II atto. Alla fine del terzo, davanti ad un Prinzt decisamente sarcastico, i nazisti accorsi ad arrestare il redentore possono
solo constatare che egli è in pace, remissivo ai
loro ordini più di quanto si aspettino.
Karpinski riceverà in dote, con gli elementi
biografici noti, qualcosa di questi due personaggi: essendo medico, con una viva e profonda religiosità caritatevole, morendo in egual modo,
sacrificandosi non in modo eclatante. Polacco, e
forse ebreo, il narratore lo cerca in tutte le chiese, dentro e fuori se stesso. Quando, nei giorni di
degenza, gli aveva chiesto dove passasse la domenica, il dottorino aveva risposto quasi parafrasando i Vangeli “Venga con me lo saprà”.
Quel seguimi che non si è potuto realizzare, ennesimo, e forse decisivo, incontro mancato, visto
che Morselli lo propone nella scena conclusiva
di quello che resta il suo ultimo racconto. Come
Nipic profeta di una sua morte prima del tempo
e anche della “sofferenza” del narratore17:
Costeggio ancora una volta quell’isola che, nella
mia vita, è stato Karpinsky. Mi sforzo di ricomporUna figura che si presta ad una azione simbolica, in
Antonio Di Grado, Andrea Santurbano, Fabio Pierangeli
Guido Morselli: io, il male e l’immensità, edizione bilingue Italiano, Portoghese, Rio de Janeiro, Edizione comunità, 2011
17 Guido Morselli, Dissipatio H.G., Milano, Adelphi, p.,
113.
16
NIPIC E KARPINSKI
241
re Karpinsky nei particolari della sua figura (figura
fisica, e mi dico che la sua mediocrità, la sua trasandatezza nel vestire, avevano un significato), nel
suo comportarsi con me, con Wanhoff che lo odiava, con gli altri malati. Mi sforzo, ma i risultati sono scarsi.
Nel prato dietro la clinica un giardiniere falcia
l’erba: dalla finestra della camera io vedo Karpinsky andargli avanti, chinarsi a cogliere fiori
spontanei, fiori di campo. Sono steso, vestito, sul
mio letto; Karpinsky osserva: “Sì, la metterò in libertà presto, ma lei tenga presente che dovrà soffrire”. Cosa non ammessa dai regolamenti di
Wanhoff, Karpinsky ha accettato di sedersi al mio
tavolino in sala, mentre io pranzo. Gli chiedo,
chiacchierando, che età abbia, e scopro che di noi
due è lui il più giovane. “Eppure”, mi dice, “lei ha
da vivere tanto più di me”. Una previsione che si è
mostrata esatta (Ma come faceva lui a prevedere?)
Io sono ancora qui a penare. A purgare?
Dottor Karpinsky, penso, a voce alta: ricordati di
me.
Come si ricorderà, Karpinsky è perseguitato,
in una immagine capovolta e analoga a Nipic,
dal direttore della clinica, vessato e mal pagato
non smette di essere premuroso con i malati,
donandosi. Tiene le mani incrociate sul petto,
quasi fermando il tempo e lo spazio cinicamente
usuale in una dimensione di carità, divenendo il
simbolo stesso del sacrificio per gli altri. È un
uomo intelligente, anticonformista, sia pur colto; studioso di psicanalisi, tuttavia vuole fare a
meno del divano perché ama soltanto il rapporto
da uomo a uomo, diretto, con i malati, senza
nessun filtro di superiorità o di metodo scientifico. Amava, strano particolare, spia di una conoscenza autentica o un collage di più persone autorevoli, le moto di grossa cilindrata, con cui faceva lunghe scorribande, di duecento-trecento
242 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
chilometri. E naturalmente predilige le Gauloises, quelle dello splendido finale, di attesa, sospensione, utopia, con l’erbaccia che cresce nella
piazza del Mercato e il narratore che attende,
con in tasca proprio quelle sigarette, segno di
quella intimità, comunque interrotta dalla morte
di Karpinski, avvenuta due anni dopo la fine del
ricovero, in modo simile a quella di Nipic, per
altro in un asilo psichiatrico18:
Era più giovane di me. Due anni dopo, per puro
caso ebbi la notizia della sua fine. Si era frapposto,
buscandosi un colpo di coltello, in una lite fra infermieri, nell’asilo psichiatrico distrettuale. Emorragia interna, solo 24 ore di agonia.
Notizia, in definitiva, non particolarmente enfatizzata o sottolineata tra tutte le altre che riguardano Karpinsky: serve solo sapere che rimane in attesa, condannato o eletto, come colui
che ha chiamato ed aspetta di incontrarlo con in
tasca le Gauloises.
18
Ivi, p. 63.
NIPIC E KARPINSKI
243
244 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
IL TEATRO:
“UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”.
Divagazioni su alcuni testi della Biblioteca personale di Morselli.
Un sentito ringraziamento per il sollecito aiuto e
l’apporto culturale alla Biblioteca civica di Varese,
dove, nel Fondo Morselli, vengono custoditi i libri
appartenuti allo scrittore. In particolare alla direttrice dott.ssa Chiara Violini, ad Antonella Morelli e
a Valeria Massari.
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
245
Riepilogo, fuga, solitudine
Sono orgoglioso (è forse il mio unico orgoglio) di
sentirmi, in male e in bene, un riepilogo degli uomini1.
Così Guido Morselli scriveva nel Diario, circa
vent’anni prima di Dissipatio H.G..
Profeticamente, se si pensa che nell’ultimo
romanzo, scritto a un passo dalla morte, nel
1973, l’istrionico e camaleontico autore si immedesima in un ultimo uomo rimasto solo sulla
terra, tessendo un dialogo/monologo, fitto di ricordi libreschi e frasi celebri, con l’intera umanità, misteriosamente scomparsa.
Si tratta dell’ultimo, estremo, capitolo, con
tinte scopertamente autobiografiche, di una capacità non comune anche alla categoria degli
scrittori di celarsi dietro personaggi storici o
ambienti verisimili, per mandare messaggi originali e caratteristici. Sentendosi “un riepilogo
degli uomini” e nello stesso tempo preservando
gelosamente dagli “altri”, nella vita privata, la
sfera intima, fantastica. Costruendosi persino un
solitario eremo a Santa Trinita, la “casetta rosa”
che ci appare, come detto, una specie di bosco
salvifico come per Walden, protagonista
dell’omonimo romanzo di Thoreau, purtroppo
violato dalle mafie e dalla incuranza egoistica
della gente2.
1Guido
Morselli, Diario, a cura di V. Fortichiari, Milano,
Adelphi, 1988, p. 163. Il corsivo, anche nelle altre citazioni, è di Morselli.
2 Si tratta dell’efficace ritratto di Valentina Fortichiari, in
Ipotesi su Morselli, “Autografo”, n.37, 1998, p. 61. Si veda
la conclusione, palpitante e commovente, da pag. 71, sul
suicidio, a partire dalla rivisitazione della frase di Giusep-
246 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
In fuga da se stesso, ma più propriamente dagli
altri, da tutti coloro che minacciavano il suo mondo interiore, inaccessibile, difeso ad oltranza:
qualcuno provò a indagare nei suoi interessi, a
fargli domande, forse soltanto a chiedergli consigli
su possibili letture. Guido Morselli si sottraeva
pe Rensi, il filosofo amato da Morselli, apposta sulla sua
libreria: Etsi omnes, non ego. La frase originaria era Etiam omnes, ego non, in una tipica assimilazione “a memoria” usata in Dissipatio H.G. e un po’ dappertutto nella
sua opera. Sull’importanza di questa frase testamentaria il
saggio di Andrea Cortellessa “Es ist genug”. Guido Morselli sull’estrema soglia, “La Scrittura”, N. 4, inverno
1996/7. Su Thoreau in questa chiave lo splendido intervento di Rinaldo Rinaldi, Oltre la fine. Labirinti e profezie
di Guido Morselli, in Narratori del Novecento, tomo II, a
cura di Rocco Mario Morano, Soveria Mannelli (Cosenza),
Rubbettino, 2012: “Quando il vorticoso labirinto di “attimi” si arresterà nell’’istante’ della ‘felicità’ o ‘pienezza di
vita’ in cui ‘viviamo veramente’, quello che Thoreau di
Walden (libro fondamentale per Morselli) chiama ‘the
bloom of the present moment’, diventerà infatti visibile il
mondo nuovo: quello annunciato dal fantasma salvifico e
cristico del medico Karpinski nel finale di Dissipatio H.G.,
quello che trasformerà il labirinto in un nuovo inizio rimettendo al loro posto tutti i pezzi del gioco”.
Thoreau indica la svolta, il momento decisivo in cui dalla
sofferta via crucis del perdersi nel labirinto della crisi di
identità, davanti al minotauro della nevrosi, avviene la miracolosa metanoia dallo spazio chiuso a quello aperto. Da
questa metamorfosi interiore, vissuta in solitudine, il protagonista acquista coscienza dell’altro da sé.
In Morselli la sparizione del genere umano e la scoperta di
essere rimasto solo al mondo, sostiene molto giustamente
Rinaldi, è narrata “oltre la soglia”, (si ricordi l’episodio
della pistola subito dopo il tentato suicidio), se non post
mortem almeno da un “precipizio”, dalla vertigine di una
esperienza profonda sospesa tra il qui terreno e un altrove
non ancora raggiunto. Come non essere d’accordo, a
cent’anni dalla nascita di Guido Morselli, entrando nel
quarantesimo dalla morte con queste finali parole di Rinaldi? “I suoi romanzi, fuori da spazio e tempo, hanno
davvero la voce dell’Apocalisse”.
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
247
fingendo di non aver capito, divagando o cambiando improvvisamente discorso, oppure allontanandosi di colpo.
Il gusto istrionico e teatrale si coniuga perfettamente con il costume di appropriazione e rifacimento creativo delle citazioni (vero e proprio
colloquio con i libri letti, tra sarcasmo e struggimento, nella solitudine di Dissipatio) e della
riscrittura della storia, asse portante anche del
teatro, con protagonisti Giulio Cesare, Carlo
Marx, Benito Mussolini3, sullo “stilema” caratteristico del “contro-passato”, ovvero il momento
in cui la storia poteva, molto realisticamente
(Cesare, in parte Marx) o molto paradossalmente (Mussolini) prendere una piega diversa, in direzione di una mediazione culturale e sociale
guidata da uomini capaci di orientare, annientandolo, lo spirito egoistico verso il bene comune. Nel teatro, tuttavia, se si eccettua il redentore, personaggio, però, d’invenzione, sia pur figurale di molti “martiri” della storia, il tentativo di
cambiamento in meglio risulta del tutto fallimentare, per ragioni diverse in ogni testo.
Giova ricordare, nel capitolo finale, quello che
si è detto nell’introduzione: l’interesse per il teatro non è occasionale o sporadico, occupando,
con la stesura dei sei testi, un ampio arco cronologico, dal primo abbozzo di una commedia di
costume, dell’agosto del 1943, Tempi liceali al
1968 del Marx. Rottura verso l’uomo4. In questo
3Giuseppe
Pontiggia, Prefazione a G. Morselli, Diario, cit.,
p. XV.
4Nel mezzo le altre prove inedite, interessanti nel presentare commisti i temi portanti di Morselli del male/malattia; colpa/redenzione e in cui si fa un uso molto
efficace del teatro nel teatro, con un primo intervento e-
248 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
arco di tempo, rivede la sua prima “compiuta”
commedia (L'amante di Ilaria) dal 1949 al 1956,
e compone le altre tre ancora inedite, Cesare e i
pirati (prima stesura nel 1951 poi, con varie riprese, fino alla metà del 1956), Cose d'Italia
(1956) e Il redentore, 19565. I principali filoni
dell’universo morselliano producono opere teatrali6: le due commedie di ambito marxista,
l’una nell’idea del contro-passato, l’altra della
commedia di costume; Il redentore, dell’ambito
splicativo del Capocomico, prima dell’inizio dell’azione
scenica e soprattutto con un’intensa rappresentazione, organizzata da due pazienti del manicomio dove l’opera è
interamente ambientata, che profetizza il finale, in conclusione del secondo dei tre atti previsti.
5 La cartellina denominata “Lavori per il teatro e il cinema” attesta la contiguità tra le sceneggiature e i testi teatrali, nel caso de Il secondo amore (qui non datato, ma nel
manoscritto si legge: 28-3-‘50 e come data di correzione
15-4-50. Nella cartellina rossa che lo conteneva, la data è
spostata ancora in avanti: 3-10-‘50) e di Cose d’Italia (datato 23-6-‘56), adattabile ad entrambe le arti. L’amante di
Ilaria porta la data del 5-1-1950 e 16-1-’56 “manoscritto
definitivo”. Cesare e i pirati, 21-11-’51. Da segnalare anche
la traduzione di Marivaux, Il gioco dell’amore del caso,
27-1-’50.
6 Cfr.: Annalisa Gimmi, Tra le commedie inedite di Guido
Morselli. Il rovello del comunismo dalla scena ai romanzi, in “Bollettino Società pavese di Storia Patria”, 1997. La
recente scoperta del Redentore, scrive giustamente la
Gimmi, “occupa un posto di rilievo tra le composizioni
sceniche - e non solo -, perché con la sua presenza colma
una lacuna nelle tematiche morselliane trattate nelle differenti vesti di saggio, di narrazione e di testo teatrale. In
questo lavoro viene affrontato il problema della fede, in
particolare della teogonia da cui Morselli era particolarmente attratto e che aveva gia approfondito nel saggio Fede e critica di quello stesso anno 1956, anno del “ritiro”
dello scrittore nella casa di Santa Trinita, che è coinciso
con una profonda crisi religiosa”.
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
249
religioso cristiano; Cesare e i pirati nell’ottica
delle rivisitazioni poetiche della storia (quali Divertimento 1889 e Contro-passato prossimo), la
moralità in tre atti e un prologo Cose d’Italia
che, rivolgendosi a momenti più vicini nel tempo, fermandosi sulla figura di Mussolini, contiene, lo abbiamo esaminato, elementi di attualità
precisi, come il “vizio” nazionale delle scommesse e del totocalcio.
Il 3 marzo del 1954 scriveva nel Diario, evidenziandolo in corsivo:
L’Italia è quel paese dove è estremamente facile
fare quello di cui non si ha diritto, estremamente difficile fare quello di cui si ha diritto.
Segue, a due mesi di distanza, un’importante
sintesi di progetti per il futuro. Nel primo “il
crepuscolo dei re” si potrebbe leggere, come invita la Fortichiari, il futuro Divertimento 1889,
del terzo “psicologia del celibato”, la stessa curatrice del volume ricorda il giovanile triumvirato
degli scapoli a cui solo Guido rimase fedele, per
il quarto, sulla traccia dell’”ottimismo” ne rimangono tracce indirette, ma non determinanti,
nella narrativa.
Il secondo trova realizzazione artistica ancora
in alcuni passaggi del Divertimento, in Brave
Borghesi, nell’impianto di Dissipatio H.G., più
genericamente, ma soprattutto in Cose d’Italia
(che ne poteva essere l’immediata realizzazione)
e Roma senza papa, di cui abbiamo considerato
le importanti convergenze.
Come attesta un episodio del primo romanzo,
Uomini e amori, (trascritto in un primo abbozzo, come consuetudine di quegli anni, anche nel
Diario) l’interesse per il teatro è vivo fin
250 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
dall’inizio della produzione creativa di Morselli.
Nel personaggio temporaneamente chiamato
Sandro, e poi definitivamente Vito Antonicelli
detto Cambria, descrive attitudini biografiche, in
una sorta di specchio, da quel palcoscenico, in
una platea immaginata, e desiderata, ancora
pronta all'applauso. “Un qualche cosa di istrionico” caratterizza questo personaggio anche fuori dal teatro, attore naturaliter e “anti-mimico”7,
capace di considerare un aspetto critico della
professione artistica: “non osò più, dopo quella
scoperta, classificarsi (come s’era compiaciuto
per l'innanzi) tra le nature psicologicamente
semplici”. Vi sono però anche aspetti diversi, più
sofferti evidenziati nel primo romanzo attraverso la figura di Vito: l’immedesimazione con il
sentire altrui può creare uno spaesamento, la
mancanza di unità nel comportamento, se non
superficialità. Morselli in Uomini e amori e più
compiutamente in un fondamentale passaggio di
Dramma borghese inventa, come si è già detto,
un pregevole neologismo: laminazione per indicare una continuità con il teatro della tortura,
secondo la celebre definizione di Giovanni Macchia, del teatro pirandelliano.
L’uomo, torturato da un sentimento di lacera7Guido
Morselli, Diario, cit., p. 54. Vale la pena di leggere,
nelle stesse pagine, un passo dove si può intravedere
l’abbozzo di un prontuario per il buon attore: “Da tempo si
conosceva questa attitudine e più volte aveva sentito desiderio del palcoscenico. Nondimeno quel saggio rappresentò anche per lui una rivelazione, e che gli dischiuse un
nuovo e inatteso aspetto della sua personalità [...] qualche
cosa di istrionico, una compiacenza del gesto e
dell’inflessione [...] e sia pure che in lui un tal gusto fosse
caratteristicamente anti-mimico, rivolto cioè a esprimere
con i mezzi semplici e sobri”.
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
251
zione, cerca un centro affettivo e intellettuale
che ne ricomponga gli sparsi elementi 8, come si
è visto fin dal primo capitolo, ponendo attenzione sulle trame degli incontri desiderati e mancati. In questa nostra epoca, scrive il 20 luglio del
1960, ci sono mancate le “guide spirituali”, mentre, e si considerino ancora le commedie e Roma
senza papa, tra farsa e tragedia, di “meneurs”, di
inviati della Provvidenza, in sede politica, ne abbiamo avuti fin troppi! Tema novecentesco vissuto con originalità dai personaggi di Morselli,
per esempio nella meditazione di Vito, il cui appellativo di multi anime è sinonimo di passività
rispetto agli accadimenti della storia, personale
e pubblica (la Seconda Guerra Mondiale)9.
Il brano della recita per beneficenza di Uomini e amori con protagonista Vito offre altri segnali importanti sulla idea di teatro di Morselli.
Il luogo della rappresentazione è un “piccolo e
illustre teatro milanese”, si mette in scena una
commedia capostipite di un genere detto grottesco. Con ogni probabilità si allude a La maschera e il volto di Luigi Chiarelli, citata nel Diario,
commedia di “mezzo fra la moralità e la farsa”:
definizione di un genere ibrido che rivela anche
un gusto ben presente ne Il redentore e in Cose
Si veda anche più avanti, una specie di riepilogo di queste riflessioni in chiave filosofica all’inizio del XVI quaderno, dal febbraio del 1968.
9 Guido Morselli, Uomini e amori Milano, Adelphi, 1999,
pag.,336. Proprio durante queste riflessioni, la luce solare
radeva il piazzale dove si trovava Vito, componendo
quell’effetto di laminazione intravista quale metafora della
coscienza della passività dell’artista. In Dramma borghese
l’immagine, senza allusioni al paesaggio, come si è visto
nel secondo capitolo, viene direttamente attribuita alla
condizione esistenziale del narratore.
8
252 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
d’Italia, e in qualche scena anche nel Marx.
Cambria si dimostra originale, stupisce tutti,
sebbene in un primo momento abbia avuto la
tentazione di “ruggereggiare” con una condotta
scenica peculiare. Tutti ma non lui stesso: è cosciente della propria attitudine istrionica, un
compiacimento e una tendenza, inconsapevole,
a recitare. Il 5 luglio del ’46, Morselli indica ancora nel grande attore pirandelliano Ruggero
Ruggeri un modello di quella “attrattiva che
hanno sempre esercitato su di me i grandi attori”. Rivelatosi con Aligi della Figlia di Iorio, il
grande attore dal portamento signorile, “un certo ineffabile alone d’interiorità” fu il modello estetico per tutta una generazione e con le doti
appena citate, stigmatizzate dalla storica “Enciclopedia del teatro” di Silvio D’Amico, poteva
piacere al raffinato Morselli. Passando da Wilde,
Sardou, Bracco, Shakespeare e approdando a Pirandello nella piena maturità dal 1918 del Giuoco delle parti al 1935 di Non si sa come, recitando nel Tutto per bene, Il piacere dell’onestà, Enrico IV, Sei Personaggi in cerca d’autore del
1925. Pur contrario, quale attore “all’antica”, al
teatro di regia italiano, lavora, ormai ottantenne,
in spettacoli che Morselli avrebbe potuto vedere:
per esempio a Milano nella Basilica di San Paolo, nel 1946, nei panni di Becket nell’Assassinio
nella cattedrale di Eliot, nello stesso anno per
Strehler Pick-Up Girl di Shelley, con Visconti
nell’Oreste (1949).
L’interesse per gli attori si esplica in un brano
del 17 ottobre del 1947. Morselli si dilunga sulla
“transcodifica”, si direbbe oggi, dalla parola
scritta, in un autore puntiglioso nelle descrizioni
come Alessandro Manzoni, al cinema, per il noto
film tratto dal capolavoro manzoniano da Mario
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
253
Camerini (citato per altro anche in Incontro col
comunista, quando Ilaria si chiede se Gildo è interessato ai classici letterari italiani e magari ha
potuto vedere la riduzione cinematografica dei
Promessi sposi10). Lo spunto è l’interpretazione
di Don Abbondio da parte di Armando Falconi
nella scena del XXXIII capitolo dopo che il prete
rivede Renzo e ne ha una reazione di meraviglia
scontenta. L’attore, per esempio interpretando il
“corrugò le ciglia” o lo “strinse le labbra”, rispetto alla “precisa sinteticità” della scrittura a
stampa, si trova davanti “col suo volto” a qualcosa di ben più complesso, di più preciso e personale. Il drammaturgo e il buon regista lo sanno:
la didascalia teatrale, per lo più, non palesa indicazioni di gestualità per gli attori, spetta al loro
mestiere di sapere interpretare la parola del testo scritto. Ne consegue l’ovvia constatazione
per cui il romanzo o il racconto sono sempre, per
quanto lo scrittore possa essere meticoloso, un
impreciso canovaccio per chi si accinga a trasportare la scena al cinema o al teatro. I linguaggi dell’arte, conclude Morselli, sono dunque
differenti e incomunicabili: ciò che è arte per
l’una non lo è per l’altra.
L’arte dell’attore affascina Morselli. Perfino
all’eccentrico e positivo Giovanni XXIV di Roma
senza papa piacciano gli artisti di strada, mentre accenni alla lirica e al teatro, frequentati dai
vari personaggi dei romanzi, si trovano in numerosi episodi narrativi. Importante la citazione,
nello stesso romanzo romano, di uno spettacolo
in scena a Roma mentre don Walter si trova nella capitale in attesa di incontrare il Papa: I fisici
Guido Morselli, Incontro col comunista, Milano, Adelphi, (1980), 1995, p. 38.
10
254 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
di Dürrenmatt, come già accennato in precedenza.
Sin dall'aprile del 1944, Morselli appunta una
riflessione sul teatro nel teatro di Pirandello,
sottolineando l'importanza della dialettica vita/forma e mostrando di comprendere profondamente il messaggio pirandelliano, commentando, nell'introduzione ai Sei personaggi in
cerca d'autore, “l'inganno della comprensione
reciproca”. Ventiquattro anni più tardi si mostrerà in grado di portare originalmente a compimento, in uno scritto per il teatro, il Marx, ciò
che qui è definito il “gusto di riflettere in un certo senso l'opera teatrale in se stessa” e, più avanti, il carattere di noi moderni che “ci siamo sforzati di drammatizzare la creazione, di fare d'essa
stessa opera d'arte”11. Maschere e travestimenti,
espressioni e situazioni attinte dal mondo del
teatro testimoniano ulteriormente una vicinanza
non occasionale. Umberto I, di Divertimento
1889, deve travestirsi per uscire dal suo ruolo
soffocante e per concedersi una vacanza alle sue
responsabilità. Morselli, abilmente giocando con
il lettore, ben cosciente della fine tragica del re,
gli permette di cambiare abito, di inventare mete “fittizie”, nella sensazione che la bugia che si
presta meglio è la più banale, in un clima da
commedia alla Goldoni o alla Marivaux, tra incontri galanti e pericolosi errori che lo portano,
sempre in incognito, nelle mani della polizia
svizzera. In definitiva, come ben chiarito verso la
fine dell’eccellente “divertimento”, la libertà per
il re è essere se stesso: per farlo, paradosso teatrale, deve travestirsi e incappare in tutti gli equivoci della commedia. Anche il giornalista che
11Ivi,
p. 81.
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
255
riesce a carpire il segreto del re deve agire in incognito, assumere una maschera (“tutti i panni
sono buoni per camuffare il giornalista”), comportarsi da spia, per capire fino in fondo il gioco
di Umberto e dare notizia sui giornali del suo
travestimento. L’uomo resta perfino deluso a
vedere quel re in abiti borghesi, circondato da
una “corte dei miracoli”, pur riconoscendolo inequivocabilmente, gli appare insignificante.
Non mancano pagine sui vizi italiani, già esaminate in Cose d’Italia, visti oltre le Alpi, in quegli
alberghi ben noti ai lettori morselliani un poco
isolati della Svizzera, dove incontriamo anche
Marx e Bakunin, in anni non molto distanti e
dove, tra gli altri, si ambienta la scena a due di
Dramma Borghese. In questo romanzo (come
già il titolo richiama, rifacendosi a una delle
modalità sceniche e drammaturgiche più note, il
dramma borghese, appunto) l’impianto teatrale
si rivela nella struttura - attraverso lunghi monologhi, dialoghi serrati e il susseguirsi delle
scene e degli ambienti - come nei contenuti, con
il rimosso che assurge presto a tema centrale,
nel climax ascensionale dei rapporti tra i due
protagonisti, padre e figlia, con un passo scandito da un senso pieno del tragico moderno,
quando la ragazza è in fin di vita per un probabile tentativo di suicidio, in un finale tra i più intensi di Morselli. In Brave borghesi esplicitamente citato un tipo di teatro alla George Bernard Shaw, capace di rilevare, in sequenze brillanti, quanto profondamente satiriche, i costumi
dell’epoca, denudando la esteriore buccia moralista, come lo stesso Morselli, con esiti imprevisti, riesce con efficacia a proporre, attraverso la
bizzarra inchiesta del giornalista protagonista di
questo ennesima eccentrica prova letteraria di
256 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
capacità camaleontica.
Attorno alla metà degli anni Cinquanta, dunque, gli anni delle sofferte (anche se mai abbandonate) riflessioni sul senso del male, si intensifica l’interesse per la drammaturgia, per la fotografia e il cinema amatoriale come prospettiva
diversa per osservare la realtà, in alternativa alla
scrittura.
Decennio in cui la storia del teatro registra
spettacoli memorabili in Italia, in buona parte a
Milano, per merito del Piccolo Teatro, con le recensioni autorevoli da parte dei quotidiani maggiori, in particolare, per il “Corriere della Sera”
di R.S (Renato Simoni) e del suo successore, dal
1952, Eligio Possenti, e per il “Giorno” Roberto
De Monticelli, personalità di spicco della cultura
italiana, seguiti da Morselli, insieme alle rubriche teatrali della “Prealpina”, del “Mondo” e
“L’Espresso”, con interesse indubbio come attestano i ritagli di giornale conservati al Centro
Manoscritti, molti dei quali sottolineati e talvolta postillati a margine.
Accanto al consolidarsi del teatro di regia,
giungono gli echi delle avanguardie (termine assai generico, come è noto, in quel periodo, includendo anche il teatro definito dell’assurdo,
Ionesco e Beckett, ad esempio) europee e americane che Morselli mostra di conoscere nel Marx.
Intorno a Brecht
Dagli ultimi anni Cinquanta ai Sessanta, dopo
qualche annata di relativo silenzio, si registra
un’ampia fortuna scenica dei testi di Brecht.
L’interesse per questo autore coinvolge Morselli
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
257
sia sul piano biografico (il marxismo, la fuga dalla Germania, il rientro a Berlino Est, le varie
contestazioni di natura politica subite per il silenzio rispetto alla rivolte sedate con la forza dal
regime con l’intervento dei russi) che sul piano
strettamente artistico, mostrando una particolare predilezione per l’operazione di recupero della storia nel Galileo e per lo lo stile miscidato caratteristico del teatro epico.
Il celebrato allestimento de L’opera da tre
soldi per la regia di Strehler va in scena al Piccolo Teatro nel febbraio del 1956: si potrà parlare
di vera prima italiana del testo, dopo
l’adattamento e l’ampia rielaborazione di Corrado Alvaro e Alberto Spaini, per la regia di Anton
Giulio Bragaglia e l’interpretazione di Armando
Falconi e una “furtiva” apparizione con la regia
di Vito Pandolfi e il giovanissimo Gassman al teatro Argentina di Roma, come saggio della Regia
Accademia drammatica nel 1943.
Un testo, presente nella biblioteca personale,
da
cui
Morselli
trae
il
gusto
dell’anticonformismo, di mandare all’aria le morali correnti, l’ironia corrosiva che Brecht riprende dalla fonte settecentesca del teatro inglese, The Beggar’s Opera, inserendoci la sua visione programmatica e didascalica estranea al
nostro.
La Vita di Galileo con Buazzelli, per la regia
di Strehler, solca le scene del Piccolo nel 1963: lo
stile epico brechtiano si incontra con il rigore e
la poesia del grande regista. L’interpretazione di
Buazzelli è salutata come la sua più alta (si ricorda anche, in precedenza, un memorabile
Mercadet, nell’opera omonima di Balzac), rendendo perfettamente la solitudine del grande
scienziato. Evento che lascia traccia in Morselli,
258 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
intento alla stesura dell’ultima commedia come
attestato da appunti manoscritti e ritagli di giornale, che si rivolgerà all’attore per un giudizio
sul Marx, ricevendone apprezzamento sul testo,
ma giudizio negativo sulla teatrabilità12.
L’opera da tre soldi di Brecht, nella traduzione di Enrico Castellani per Einaudi (l’edizione di
Morselli porta la data del 1961) è senz’altro un
punto di riferimento per il Marx e per l’opera di
Morselli in generale, sia per gli spunti tematici,
che per la sintesi tra gli stili, dall’alto e dal basso.
La copia in possesso dello scrittore nella sua biblioteca presenta rare sottolineature. Appare evidente una modalità costante, ovviamente con
eccezioni, che contraddistingue il lavoro di Morselli nei libri della sua biblioteca personale. Il
procedimento delle glosse, riguarda, in linea generale, libri di carattere storico letterario filosofico, divulgativo o saggistico. Per una forma di
rispetto verso un modello autorevole, il procedimento risulta differente nei volumi creativi,
nei quali, indicando spesso il periodo di lettura,
Morselli si limita a individuare (a futura memoria e un possibile riutilizzo) la pagina di interesse nell’indice, alcune volte con glosse autografe.
Il segno rosso, distinto da quello a matita, o più
raramente il blu, indica con molta probabilità
una seconda lettura, magari in compagnia della
Bassi. Nel caso del testo brechtiano, l’interesse si
appunta al linguaggio sboccato e ammiccante
del popolo13.
Cfr: Valentina Fortichiari, Guido Morselli: Marx rottura verso l’uomo, “Sincronie”, anno VII, vol. 14.
13 A p.,32, nella II scena segnala nella didascalia: Mac,
“con un fulmineo gesto, stende a terra Mattia” e la battuta
di Macheat. “ Tieni la lingua a posto”. Così più avanti, al12
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
259
Dall’Opera da tre soldi potrebbe derivare
l’idea dello striscione finale che riprende quella
dei cartelloni dove vengono proiettati il titolo e
anche le strategie dell’happening, in uno sguardo suggestivamente teso a creare delle pertinenti
analogie in istanze diverse di teatro.
Negli anni Sessanta, grazie al Piccolo Teatro e
ad altre iniziative culturali, come il grande Convegno Internazionale organizzato dal GoetheInstitute nel ’68, il drammaturgo tedesco vive
probabilmente il culmine di quella florida stagione. I ritagli di giornale conservati da Morselli
registrano episodi particolari, perfettamente in
linea con il suo temperamento, costantemente
alla ricerca di elementi di contro-passato, non
certo facile alleato dei momenti di gloria e di incensamento di qualsivoglia artista. Così troviamo ad esempio un ritaglio dal titolo Hanno tolto
i denti al pescecane di Brecht, del 9 marzo del
1963, dal “Corriere della sera”, che commenta
come il cinema abbia “tradito” la drammaturgia,
proprio a partire da quelle famose metafore che
il titolo riprende, all’inizio dell’Opera da tre soldi. L’oggetto dell’articolo di Vittorio Brunelli è il
film diretto da Wolfgang Staudte dalla piéce di
Brecht, con protagonista Curd Jurgens. L’unica
sottolineatura di Morselli va nella direzione che
poi si ingigantisce in un altro ritaglio di giornale,
non estranea ai temi del Marx, dove l’ombra di
Brecht aleggia in varie modalità, anche contratro interesse per il linguaggio da trivio, sempre di Mac p.,
37, in un tipico fraseggio di metafore sballate: “Ah, mangi
la trota col coltello, nevvero? Giacobbe, è inaudito! Chi si
comporta così non è altro che un maiale”. E nell’Atto Terzo VII Peachum” Ma io ho scoperto che coloro che posseggono sulla terra possono sì provocare la miseria, ma non
possono contemplarla”.
260 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
stanti. La frase evidenziata con la sottolineatura
è la seguente, nel brano conclusivo in cui
l’articolista ricorda le vicende dell’Opera da tre
soldi sotto il nazismo, la fuga del drammaturgo
dalla Germania e, finita la guerra: “(la scelta che
fece) di andare a vivere a Berlino Est, fino alla
morte, che sopravenne nel 1956”.
Dall’”Espresso” del 16-1-1966, Morselli conserva l’articolo di Salvo Mazzolini, Barricate solo a teatro; si racconta delle polemiche scatenate, ancor prima di essere rappresentato allo
Schiller Theater di Berlino Ovest, dall’opera di
Gunter Grass I plebei provano la rivolta, nella
quale è chiaramente effigiato il drammaturgo
incerto e poi cosciente di non dare alcun appoggio agli operai che protestavano contro il regime
comunista, di non aver pronunciato parola di
fronte alla chiara ingerenza sovietica. Morselli
potrebbe anche aver rilevato, in vista del Marx,
per il diverbio centrale tra pensiero e azione, il
fatto che il Chef, il Capo, la figura che molto
chiaramente richiama a Brecht, prova il Coriolano di Shakespeare, la scena nella quale la plebe si ribella ai patrizi. Quando entrano i veri operai in lotta, il Capo non trova di meglio che
fargli recitare quella parte, trattenendoli a lungo,
mentre fuori la polizia, con una dura repressione
costringe i manifestanti a ritirarsi. Entrati in
teatro, gli aguzzini, alla fine dell’opera, vengono
ugualmente chiamati a interpretare il ruolo degli
oppressori. I grandi ideali di Brecht rimangono,
insomma, dentro il perimetro chiuso della finzione, l’azione rivoluzionaria spetta ad altri.
Grass, con grandi proteste degli scrittori
dell’altra parte del muro, con in testa la vedova
di Brecht, la sua attrice Helene Weigel, insinua
la collusione tra il drammaturgo e il potere re-
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
261
pressivo, la famosa politique d’abord così spesso
denunciata dal nostro.
Troviamo, dell’anno precedente, “Corriere
della sera”, 12-2-’65, anche un’altra importante
voce italiana che esprime un punto di vista su
Brecht: Enzo Bettiza, Le mummie perfette di
Brecht, dove lo scrittore istriano, con sottile ironia (specie quando si parla della sua “erede” Helene Weigel, pur con il rispetto per la grandezza
del tedesco), ne riepiloga la fortuna presso il regime di Berlino Est, che gli ha perfino donato
quel teatro ora in mano, appunto, alla efficiente
e attivissima vedova. Indicando nel Galileo e in
Madre Coraggio, i capolavori, innervati di una
potenza drammatica rara, ne rileva anche delle
scorie di un gretto sociologismo, considerato, in
generale, il limite dell’operazione teatrale brecthiana. Assai interessante il finale dell’articolo,
nel quale lo scrittore giornalista contrappone a
questo “classico paludato” (e un poco sopravvalutato) l’evento più straordinario del teatro di
quegli anni: il capolavoro di Peter Weiss: Persecuzione e morte di Jean Paul Marat, rappresentato dal gruppo di attori dell’ospizio di Charenton sotto la regia del signor Sade. Chissà se
Morselli ha qui ripensato al Redentore, la sua
opera teatrale inedita che quasi dieci anni prima
aveva anticipato molto delle idee di Weiss: la recita in manicomio, un personaggio scandaloso
(sia pur per altre vicende), la persecuzione e la
morte di un simbolo di libertà.
Tornando indietro nel tempo, Morselli conservava però anche due articoli encomiastici,
nell’anno della morte di Brecht, vergati da due
diversamente autorevoli scrittori e intellettuali:
Elémire Zolla e Italo Calvino. La sottolineatura
di quattro righe dell’articolo del primo, rafforza-
262 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
no l’idea di Morselli di interpretare la forma
commedia come modalità moderna di rappresentare i nodi problematici della contemporaneità, nell’impossibilità di riproporre la sublimità del tragico del teatro antico o di quello shakespeariano.
L’articolo di Zolla titola: L’emancipazione
della commedia, con questa frase estremamente
lucida, all’inizio, che deve aver colpito Morselli:
“Non creò quindi personaggi a tutto tondo, poiché, in un momento storico in cui un personaggio non si raggiunge più attraverso la partecipazione affettiva, soltanto rischiosamente rivivendone la malattia è dato plasmarla”. Dall’articolo
di Calvino, voce in crisi in quegli anni di metà
del decennio Cinquanta per le ingerenze violente
dell’impero comunista sovietico, sui tentativi
democratici di Ungheria e Polonia, si ricavano
dati storicamente importanti, anche per la storia
della cultura, in quel momento così delicato per
gli intellettuali di sinistra. Lo scrittore loda
Brecht, andando oltre il consueto dovuto tributo
per una autorevole figura appena scomparsa, valorizzando la sua idea di arte d’invenzione, rispetto alla teoria sociologica del rispecchiamento divulgata da Lukàcs, l’ osannato guru del
marxismo in letteratura.
Il drammaturgo, per Calvino, è il fautore di
generi spuri, del teatro epico, del costante intervento tra l’oggetto della rappresentazione e il
pubblico, accorto a tener sempre viva questa
partecipazione, impedendogli di ascoltare passivamente, come splendidamente nel Galileo, capolavoro assoluto anche per Morselli.
Altro ritaglio di giornale depositato al Fondo,
del 7 ottobre del 1962, proviene dal “The New
York Times Book Reviev”, a firma Harold Clur-
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
263
man, su due testi critici statunitensi che intendono stabilire il significato di avanguardia o
nuova avanguardia. Il secondo, di David Grossvogel si merita una più articolata attenzione del
giornalista-critico e anche quella di Morselli, accomunando Brecht, Ionesco e Beckett. Morselli
sottolinea i tre nomi, il fatto che siano
all’avanguardia in modi molto diversi, Brecht
conservando intento didattico, ma volge la sua
attenzione all’incomunicabilità propria del teatro di Ionesco che ha, altro passaggio sottolineato, dei padri artistici in Strindberg e Pirandello.
Dal Metateatro alle (pseudo) avanguardie
Nel marzo del 1955 trionfa a Milano, al Piccolo teatro, Processo a Gesù di Diego Fabbri, la cui
struttura inquisitoria dentro il meccanismo del
teatro è oggetto di una battuta nel Marx di Morselli, proprio in un contesto metateatrale. Documentato l’interesse di Morselli per Il seduttore dell’autore forlivese, andato in scena al Piccolo alla fine di quello stesso anno, con la regia di
Franco Enriquez, con Giorgio Albertazzi14: anche in questo caso si tratta di un dramma profondo, sotto la veste di commedia brillante, stile
ibrido che piace a Morselli. Su queste tematiche,
ma in altra chiave, il Don Giovanni involontario
Quella stagione del ‘55 aveva visto impegnati nella stagione teatrale i due attori successivamente interpellati per
il Marx: Tino Buazzelli con il Lorenzaccio di De Musset,
regia di Squarzina, e a più riprese Vittorio Gassman, con
due messe in scene tra le più celebrate della sua carriera
teatrale: Edipo re e Kean da Dumas
14
264 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
di Brancati15, andato in scena ancora nel 195616.
Per la regia di Squarzina, nel 1961, per lo Stabile
di Genova, Veniva allestita un’altra commedia
sul Don Giovanni di un autore, George Bernard
Shaw, che Morselli mostra di ben conoscere, facendone in Brave borghesi, come si è detto, uno
dei più acuti descrittori dei costumi del suo
tempo. In Uomo e Superuomo, come in parte
nell’originalissimo romanzo-inchiesta, il seduttore del mito diventa subalterno al vitalismo della donna. Con “farsa e tragedia” si definisce una
grottesca azione di guerra nel bel racconto Gli
ultimi eroi (pubblicato sul “Contemporaneo”, 22
febbraio 1953, raccolto nel volume della Nuova
Magenta, Una missione fortunata), in uno straordinario incipit. Formula valida per l’intero arco dell’ispirazione morselliana, che dal teatro
passa alla narrativa e perfino alla saggistica e al
giornalismo. Farsa tragica è il motto di Ionesco
per Le sedie, andato in scena, per la compagnia
Parenti-Lecoq, sempre al Piccolo di Milano nel
1956, insieme a La cantatrice calva, suscitando
scalpore e polemiche. Tre anni prima, passando
quasi inosservati, due attori francesi avevano
portato in Italia Aspettando Godot. (Finale di
partita va in scena due anni dopo, nel ’63 Giorni
Del testo di Vitaliano Brancati conserva la recensione di
Eligio Possenti, “Corriere della sera” del 10-6-1956, del
Don Giovanni involontario che, all’articolista, del resto
con tutta evidenza, appunto per il carattere involontario e
anche seccato, assomiglia poco al Burlador de Sevilla,
semmai conserva qualche tratto di quello di Byron, altro
testo presente nella biblioteca personale di Morselli.
16 Andato in scena per la prima volta nel 1943, al Teatro
delle arti di Bragaglia, fu interrotto dalle squadre fasciste
aizzate dai giovani del GUF perche giudicato critico nei
confronti del regime.
15
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
265
felici). L’interesse per i due autori di una avanguardia ormai entrata nella storia del teatro come “classica” è documentato nella Biblioteca
personale del nostro. Il testo di Beckett, come si
ricorderà, viene citato nel finale di Dissipatio
H.G.: in un clima di attesa immaginato ancora
più estremo per quel senso di solitudine, vi è però una certezza capace di capovolgere l’assunto
del grande drammaturgo irlandese. Si è “certi”,
lucida certezza tragicomica e umanamente luminosa, che sia Karpinski ad attendere il narratore, a lasciare dei segni, per farsi incontrare.
Rimasto unico al mondo deve solo concentrarsi
e capire in quale luogo avverrà tale epifania.
Non è dunque nascosta una certa ironia verso la
“immortale” fortuna del testo di Beckett, che ritroviamo puntuale nella edizione della biblioteca
personale, Torino, Einaudi, 1964, con
l’introduzione di Carlo Fruttero. Nella pagina 5,
l’attento
lettore
sottolinea:
“inesistente
l’intreccio, soppressa ogni linea di narrazione” e
alla 6: “Attraverso un lunghissimo giro, che passa per gli inevitabili Proust, Joyce e Kafka, Beckett è ritornato al bozzetto, al componimento
della quinta elementare, come alla frazione più
ridotta, essenziale della letteratura”. Il drammaturgo irlandese interessa Morselli per la qualificazione di punta avanzata in un processo di assottigliamento di valori e di espressioni, che si
tramuta nella difficoltà, o impossibilità, di comunicazione. Tutto questo, ancora una volta, attraverso un gusto ironico, da commedia: importante la notazione di Fruttero sulla strategia del
lavoro di Beckett: ha raggiunto un grande pubblico facendo anche ridere. L’humour et le néant
è la definizione di Beckett secondo Maurice Nadeau.
266 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Morselli condivide il punto di vista di Fruttero sui tentativi inutili e ideologici di assimilare
Godot, ad una visione politica, con la costruzione di una immagine di Dio-Godot, rispetto ai
due che lo attendono, in cui una parte della critica si convince di vedere la piccola borghesia
che se ne lava le mani e in Pozzo il capitalista
che sfrutta il proletario Lucky. Neanche il tentativo di spiegare l’opera Vangelo alla mano convince Fruttero. Morselli commenta a matita sopra la pagina, la 11, con la sottile ironia che gli
conosciamo: “Tentativi di fare di Bec (r’)k un
Brecht o un Paul Claudel”. Poco sotto sottolinea
la conclusione di Fruttero: “dopo mezzo secolo
di decadentismo sempre più precipitoso egli raccoglie ciò che hanno seminato i suoi predecessori”. E ancora sottolinea un passaggio nella conclusione di Fruttero:
“Quel che è certo è che essa esprime nel modo
più estremo che mai sia stato tentato sulla scena
una condizione di cui, in diversa misura, ciascuno di noi ha coscienza, e che ci presenta una
immagine schiacciante della vita (o, se si vuole,
della “civiltà occidentale quale si è ridotta oggi)”17.
Alla fine dell’opera, p. 111, scrive a matita tre
righe di assoluta lucidità:
Questo Beckett può essere un “furbo” che ha sfruttato la dabbenaggine dei borghesi (ipnotizzati dalle “avanguardie” come la colomba dai serpenti). O
può essere un furbo in altro senso: uno che ha voluto far la satira di questi stessi borghesi (e di queA p. 56, appunta: (si tratta del lungo monologo di Lucky
che inizia “Considerata l’esistenza così come appare dai
recenti lavori pubblici di Poinzon”): “Rabelais ha un altro
scolaro, Beckett dopo Joyce”.
17
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
267
sta stessa cultura). Poco cambia il risultato – e al
giudizio critico. E buona notte al secchio – e agli
esegeti.
Lo humour è dunque anche di Morselli, sarcastico con i critici ideologi o inventori, e in parte anche con quelle che allora venivano considerate avanguardie. Si comprende anche la frase
rovesciata e in definitiva allora ironica del passaggio di Dissipatio su Aspettando Godot.18
Di Ionesco, nella copia del Rinoceronte, Torino, Einaudi, 1964, Morselli può leggere
l’introduzione del critico teatrale del “Giorno”,
Roberto De Monticelli, sul frontespizio appunta
anche “Cfr un commento di G. Calogero, su Il
Mondo, 19-7-60.
Sottolinea a p. 7 “il disperato solipsismo intellettuale” (vedi le cronache) e nella stessa pagina:
“L’assassino è in realtà una immagine delle alienazioni cui gli uomini sono sottoposti nelle società moderne”. Il brano sottolineato è più lungo
e parla del conformismo capace di chiudere gli
occhi in un cammino verso l’annientamento, che
somiglia molto all’uso della parola alienazione
nell’universo morselliano.
A p. 8 sottolinea l’intelligente notazione di De
Monticelli, su di un piano esistenziale:
Nessuna società ha potuto abolire la tristezza, nessuna politica ci può liberare da un malessere esiL’unico ritaglio di giornale conservato nel volume contiene la recensione del “Corriere” di Radice sulla messa in
scena, a cura dello Stabile di Torino, di Giorni felici, per
l’interpretazione di Laura Adani. La corta linea a lato di
Morselli, sottolinea non i contenuti della commedia ma,
come abitudine, un concetto generale: “Beckett supera di
gran lunga gli scrittori della così detta avanguardia ai quali fu spesso avvicinato per ragioni di comodo”.
18
268 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
stenziale, dalla paura della morte, dalla nostra sete
d’assoluto; è la condizione umana che determina
la condizione sociale e non viceversa.
De Monticelli commenta, riportando il pensiero del drammaturgo: “qualsiasi società, per
perfetta che sia, implica una spersonalizzazione
dell’uomo, spinta talvolta ‘fino all’alienazione totale e all’ingresso nella irresponsabilità collettiva’”. Due piccole correzioni del testo fanno pensare o a una lettura in lingua originale o a precisazioni opportune: nella didascalia del secondo
atto, in apertura, leva “organismo statale” e inserisce “ente”, scena prima atto secondo a “impiegato quadro” corregge e mette “d’ordine”.
Nel 1960, sempre con Tino Buazzelli (tra i
protagonisti Tino Carraro e Sara Ferrati), compare una delle commedie più convincenti di un
drammaturgo prossimo per vicinanza geografica
e formulazione del genere tragicomico come il
solo capace di descrivere i drammi moderni: La
visita della vecchia signora di Dürrenmatt. Del
1965 la rappresentazione de I fisici, tragicommedia probabilmente non a caso citata in Roma
senza papa. Ambientato in manicomio nel secondo dopoguerra, riporta l’attenzione sull’uso
da parte del potere delle conquiste scientifiche,
in particolare sulle potenzialità devastanti del
nucleare e ha più di un elemento in comune con
Il redentore, scritto quasi dieci anni prima da
Morselli, sul piano delle libertà oggettive e della
politica transnazionale.
A Milano avrebbe facilmente potuto vedere in
azione il Living Theatre di Julian Beck e Judith
Malina nel 1961 con The Connection, salutati
come la vera novità del teatro mondiale. Alla fi-
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
269
ne del decennio, proprio nel 1969, la messa in
scena italiana di Paradise now inquieta anche
un critico intelligente come De Monticelli, che
aveva ben apprezzato il gruppo, è ancora teatro
o cerimonia collettiva all’aperto? Morselli, sia
pur già completato il testo teatrale, poteva facilmente aver letto quella recensione.
Nel Marx si accenna all’happening, già comparso in una nota sentenziosa del diario19:
“L’happening (c.d.) non è forse anch’esso un ‘figlio’ del mai tramontato storicismo?”. Operazioni di rottura e di avanguardia sembrerebbero riportare per Morselli antiche e logore idee antropocentriche del mondo: in questo caso però bisogna tener conto quale espressione di
happening Morselli avesse di fronte. Se la prima
definizione di happening come di uno spettacolo
caratterizzato da una pluralità di espressioni artistiche verrà coniata nel 1959 da Allan Kaprow,
il termine assumerà via via definizioni più generiche, contraddittorie e talvolta improprie.
Personaggi e maschere
Il prologo del Redentore, come quello del
Marx, o il “Preambolo” di Cesare e i pirati si
muovono in una direzione metateatrale.
Il redentore, ambientato, si è visto in precedenza, in un sanatorio, la clinica Oberstadt a Ostfalia con al centro una figura carismatica di eretico (nega il peccato originale ed è chiamato
Messia da una voce dall’alto dei cieli), si apre
con un discorso apologetico del Capocomico e
termina con una rappresentazione teatrale dove
19
Guido Morselli, Diario, cit. p., 272.
270 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
la figura messianica viene trucidata dal diavolo
in persona, nelle vesti di Hitler, probabile anticipazione del vero finale, visto che il religioso è
perseguitato dalle SS su commissione delle autorità religiose, mentre riscuote straordinario
successo nei degenti della clinica, gli organizzatori dello spettacolo/verità.
“Io, signori miei, devo fare una premessa opposta: la vicenda che stiamo per rappresentarvi è
veridica”, afferma il Capocomico nel Prologo, alludendo alla nota formula, per altro assai usata
da Morselli nei sui testi per il teatro e il cinema,
ma non in questa delicata circostanza: il racconto
è puramente immaginario e qualunque riferimento rechi è da considerarsi puramente fortuito”. Sono dunque i fatti a parlare, proprio attraverso il teatro, come, vedremo più avanti,
nell’Amleto.
Anni dopo, sulla sua copia dei Sei personaggi
pirandelliani, nell’edizione del 1963 della Biblioteca moderna Mondadori, praticamente intonsa,
Morselli sottolineava solo tra Gli attori della
Compagnia nella presentazione Il DirettoreCapocomico, Il Primo Attore, Il Direttore di scena. Un’altra indicazione autografa riguarda Enrico IV, sotto il titolo e rimanda ad un articolo su
“Il Mondo”, 7-4-64. La lettura o la rilettura del
testo si deve presumibilmente far risalire a quello
scorcio di tempo. Sono gli anni del nuovo impulso delle rappresentazioni pirandelliane, in particolare della Compagnia dei giovani. Intorno agli
anni del Marx, tenendo conto delle preziose note
della Fortichiari che ci informano dei contatti
morselliani con attori, registi, impresari (senza
tuttavia mettere a disposizione degli studiosi il
prezioso materiale di riferimento), Morselli potrebbe aver visto o comunque tenuto conto della
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
271
messa in scena di Gassman di Questa sera si recita a soggetto, del 1962, con quella ribellione
degli attori rispetto al regista riprodotta nel testo
sul padre del comunismo. L’anno prima
l’importante edizione di Orazio Costa con Tino
Carraro dell’Enrico IV, e del 1964 Sei personaggi
in cerca d’autore della De Lullo, Valli, Falk, Albani, la prima vera interpretazione moderna,
sganciata da quegli anni Venti e tuttavia estremamente fedele alla poetica pirandelliana 20.
Ad un giudizio complessivo su Pirandello si
arriva negli anni del Marx, precisamente in un
appunto del 10 maggio 1967. Ritornando al tema
centrale della dialettica della “maschera e il volto”, Morselli, polemicamente, argomenta che
molto meno si parla del tema ossessivo, del sostrato immutabile del pirandellismo: il sesso,
non in quanto amore o in quanto teoria freudiana, ma rispetto all’onore “a’ fama mea”.
Quello che conta è il diritto di proprietà amorosa o
coniugale, comunque sessuale, diritto di proprietà,
la cui violazione, intollerabile, è invariabilmente il
primo motore del macchinismo dialettico-retorico
che si suole chiamare pirandellismo: il contrasto
essere-apparire. La soprastruttura che io direi intellettualistica, di una sfera umana ferma fuori
della storia, estranea a ogni realtà spirituale. Chiusa nel mito ingenuo e crudele della “fama mea”
La predilezione per la tecnica metateatrale
permette di incrociare a piacimento i toni della
commedia, anche brillante, utilizzati nella narrativa, alla serietà dei motivi più suoi, quelli delle
Si veda la nota di Roberto De Monticelli sul “Giorno”
del 4 marzo 1964, ora in ID., Le mille notti del critico,
Roma, Bulzoni, 1997.
20
272 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
domande creaturali e radicali. La principale,
perché si soffre, risulterà argomento centrale
nella azione religiosa di Nipic, Il redentore.
Nella edizione citata del fondo conserva un
appunto sul retro di una busta da lettera, che segnala quattro opere di Pirandello, 6 [a numero]
personaggi in cerca d’autore, Questa sera si recita a soggetto, Ciascuno a suo modo, Enrico
IV, e tra parentesi (Mario Apollonio): i temi
dell’identità, della pazzia e la tecnica metateatrale si confermano, qualunque fosse lo scopo del
foglietto, gli interessi maggiori per il teatro pirandelliano. Della storica rappresentazione del
capolavoro pirandelliano da parte della compagnia De Lullo-Valli-Falk-Albani, Morselli conserva un ampio articolo recensorio a firma di
Raul Radice, dal “Corriere della sera” del 4 aprile del 1964 dal titolo Al teatro di via Manzoni. I
“Sei personaggi” di Luigi Pirandello. Sembrerebbe sottolineato, sia pur alquanto scolorito, il
passaggio in cui l’articolista richiama, nel laboratorio pirandelliano dei personaggi, sia il dolore che la compiutezze della sua realizzazione
drammaturgica, nell’attimo in cui ne è pienamente illuminato: “L’avvilimento e lo sdegno”.
Sempre del ’64, il 5-4-64, conserva un articolo a
firma Eugenio Montale fortemente critico nei
confronti di Pirandello. Morselli sottolinea i passaggi emblematici: “non so se abbiano ragione i
critici che preferiscono i suoi racconti” (Montale
parla del presunto capolavoro di Così è (se vi
pare)) e poco più avanti: “Osservo pure che I sei
Personaggi e l’Enrico IV malgrado i grandi successi lasciano delusi coloro che si provano a rileggerli”. Montale si difende rispetto ad un precedente articolo in cui tracciava una personale
storia letteraria italiana a partire dal suo gusto,
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
273
molto, ovviamente, criticata e dibattuta, con, tra
gli altri, l’intervento di Carlo Terron (allora noto
uomo di teatro) a favore dei “bastonati”
d’Annunzio e Pirandello. Del 23-10-66 sull’ “Espresso”, di Sandro De Feo, Morselli legge e
conserva il ritaglio dedicato al Come tu mi vuoi,
di Albertazzi-Proclemer. L’anno prima del
Marx, un altro ritaglio di giornale conservato
nella stessa edizione, a firma Raul Radice per il
“Corriere”, valorizza la prova della Proclemer
nella stessa edizione del Come tu mi vuoi.
Se per De Feo la messa in scena tradisce lo
spirito pirandelliano, la recensione di Radice è
positiva, nel delineare come lo spettacolo sia costruito
per
evidenziare
le
potenzialità
dell’attrice, la quale non le smentisce, con il
pubblico che la acclama calorosamente. Proprio
del ’68, il 2 febbraio, al San Babila, va in scena
Questa sera si recita a soggetto, con Tino Carraro (Hinkfuss), la cui recensione, al solito nel
“Corriere”, Morselli conserva nella medesima
edizione delle Maschere nude. Si parla di una
vera e propria rissa tra attori e regista, autentici
alterchi, quali troveremo, per altri motivi, nel
Marx. Del resto, nel 1967, cadeva il centenario
della nascita di Pirandello: il “Corriere” conservato da Morselli, in occasione della ricorrenza, il
25 di giugno, dedica uno speciale all’insigne siciliano, chiamando ad intervenire, tra gli altri,
Carlo Bo e Renato Barilli, insieme a Raul Radice,
a cui si affida l’articolo riassuntivo della carriera
teatrale dell’agrigentino che conclude con la giusta constatazione che i grandi del teatro, da Calderon, a Corneille, a Goldoni, a Marivaux, fino
274 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
agli ultimi Genet e Weiss, hanno sentito la fascinazione del teatro nel teatro 21.
Come si è accennato, ai testi teatrali di Morselli si può affiancare una traduzione dall’amato
Marivaux, Il Giuoco dell’amore e del caso.
L’opera del francese si applica perfettamente a
documentare la volontà di contaminazione dei
generi anti moderna22, e antitradizionalista, recuperando l’autenticità del teatro, la sua origine.
Il teatro, rito a cui partecipa l’intera polis, svela
la verità, dietro alla farsa e ai camuffamenti, ricorrendo alla pantomima (come nel caso del Redentore), a personaggi inventati. Si occupa di
temi sacri e solenni, come la morte, la vita, la
fratellanza, aggiungendovi però, dal teatro contemporaneo (Pirandello, Beckett), l’impressione
della vastità e complessità degli eventi, che sfuggono sempre a interpretazioni univoche.
Non priva di necessità e profondità la valenza
delle situazioni del caso nella commedia brillante o in quella di un Marivaux o di un Goldoni
(anche le commedie del nostro più grande autore “comico” conoscevano in quegli anni ottime
interpretazioni “milanesi”) rispetto alle necessità tragiche che la Storia propone: Morselli, mi
sembra, è ben consapevole di questa stridente
contraddizione da cogliere nell’esistenza come
negli stessi meccanismi del teatro. Di Marivaux,
Morselli possedeva l’opera Pierre De Marivaux
Letto nella significativa data del 20-1-54, la recensione,
nella solita recensione del “Corriere della sera” della “Serata pirandelliana”, in cui si recitavano alcune novelle del
siciliano: L’imbecille, La Giara (con Romolo Valli e Tino
Carraro), La patente.
22 Cfr. Alessandro Gaudio, Morselli antimoderno, Caltanissetta, Sciascia editore, 2011.
21
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
275
Le Jeu de l’Amour et du Hasard. Comèdie avec
introduction et notes per Maria Olivero, Charles
Signorelli Editeur Milan, segnata con la data autografa al 4-10-1945. Nel frontespizio segnava a
matita, come consuetudine: “non più l’amore
classico e non ancora l’amore romantico” di seguito, separata da un rigo tratteggiato: “cfr: Mlle
de Maupin di Gautier, II, 39”. Il riferimento
primo è al Sandro “per Arlecchino cfr. La commedia dell’arte e Sandro, che sarà, come indicato dal Diario, uno dei protagonisti di Uomini e
amori, col nome variato in Vito, a cui si dà una
patente di attore, almeno come talento naturale,
in un breve ma significativo inserto. Definisce
“Lisetta una Dulcinea”. Appunta poi una frase
che torna nell’introduzione alla sua versione della commedia: “la sc. dell’atto 3° fra Dorante e Lisetta, è una delle scene più belle della commedia
di tutti i tempi”.
Non è impossibile, tuttavia, sia pur sotto la
determinazione del caso (che regna sovrano nella commedia), o peggio della più violenta volontà umana, usare la recita per svelare gli eventuali
colpevoli, o per indicare una verità importante,
il messaggio dell’intera piéce.
La fervida genialità di Morselli crea, ad esempio, come si è visto, per Il redentore, due finali,
uno verso la commedia, l’altro verso la tragedia,
ma tra loro convergenti, per mezzo della tecnica
metateatrale (usata abbondantemente più tardi
in Marx. Rottura verso l’uomo23) volendo, preSi veda ancora Guido Morselli, Marx. Rottura verso
l’uomo, in “Sincronie”, anno VII, n.14, luglio-dicembre
2003. Di Pirandello e del metateatro si discute fin dalle
prime pagine del Diario, in particolare, riguardo la prefazione ai Sei Personaggi, il 22 aprile del 1944. Mi permetto
23
276 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
sumibilmente, accostarli, metterli insieme, come
usa la vita.
Il teatro verità. Shakespeare
La lettura dell’Amleto è attestata nella copia
della Biblioteca personale (avrebbe potuto vederlo con un giovanissimo Vittorio Gassman,
nella originale versione di Bacchelli, andata in
scena nel 1956)24.
Nel volume dell’Amleto (data a matita nel
frontespizio GM 1932) nella introduzione di Raffaello Piccoli, per le edizione Firenze, Sansoni,
1927, a p. VI sottolinea come la poesia sia una
potenza sempre nuova, in particolare suggestiona lo scrittore l’espressione “una rivelazione
perpetua” e poi a pagina VII “Vi sono perciò libri
(musiche, pitture, statue, pensieri) che non noi
giudichiamo, ma che giudicano noi”. Anche nella
pagina successiva, sottolinea con un segno a sinistra a matita un lungo brano sull’educazione
poetica necessaria all’umanità che, per il prefatore, è l’essenza delle opere di Shakespeare e in
particolare di Amleto. Dopo altri brani di questo
tipo sottolineati, Morselli, riguardo alla struttura della tragedia, annota, con la solita sottolineatura, questo altro passaggio: “simile, nella sua
molteplice varietà, allo stesso tragico discorso
della vita” e più sotto “Ma il poeta non ha altra
rimandare di nuovo al mio L’inedito Marx di Guido Morselli, in “E’n guisa d’eco i detti e le parole”. Studi in onore
di Giorgio Bárberi Squarotti, Alessandria, Edizioni
dell’Orso, 2006
24 Morselli possedeva due edizioni diverse dell’Amleto,
come segnalato ne il fondo Morselli, Catalogo a cura della Biblioteca Civica, Varese, La Tipotecnica, 1984, p.253.
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
277
ragione dalla (sottolineato di nuovo) ragion poetica”.
A p. XIII sottolinea: “Il poeta drammatico, in
fondo, come ogni poeta, non esprime se non se
stesso, il suo mondo, la musica della sua anima;
ma attraverso una trasfigurazione in cui immagini d’altre creature umane, così concrete e salde
da illudere lo spettatore, si compongono in una
molteplice armonia analoga a quella semplice
dei suoni e degli accenti. Dove la pura lirica non
è che monodia, la lirica drammatica è una ordinata sinfonia; e ciascuna delle persone del
dramma, quasi uno strumento dell’orchestra”.
Gli piace l’espressione “paese tragico” della Danimarca e per Amleto quella di “anima sensibile”. E così, la suggestiva espressione di p. XX
“nella orrenda catastrofe in cui sembra non più
agiscano le individuali volontà degli uomini, ma
una inesorabile Provvidenza”. Ancora sulla poesia del linguaggio tragico, p., XXI, “che si individualizza, traducendosi inconsapevolmente nel
linguaggio di chi l’ascolta”. La poesia influenza
la storia: non passa inosservato un altro topos
della critica shakespeariana, anche qui esposto
dal curatore: il cambiamento radicale di atmosfera rispetto all’ottimismo rinascimentale e il
fatto che la tragedia di Amleto possa essere considerata la versione moderna dell’Orestiade.
Con una annotazione autografa a piè di p. XXIII,
scrive evidenziando la pagina: “Cfr L’Oreste di
Eschilo”. Un richiamo nel quale lo scrittore ritrova il “suo” punto di vista: il rapporto tra pensiero e azione sviluppato nel teatro. A p. XXIV
sottolinea “egli sa di non poter mai assolvere in
un atto particolare” egli sa di poter agire nella
278 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
tragedia ma gli è preclusa “quella azione appunto, che sola egli sente come dovere morale”. 25
A proposito di ricerche e di enigmi del passato, in questa edizione dell’Amleto, Morselli conservava un ritaglio del solito “Corriere della sera” a firma di Eugenio Montale.
A p. XXVI sottolinea il fatto che Amleto rimpiange un
paradiso originario, quello adamitico che è “il mondo
dell’azione ingenua, dell’azione anteriore al sorgere della
coscienza morale” e XXVIII “Il male non è male se non in
quanto sa d’esser male” così XXXI la debolezza di Amleto
non è generica incapacità di agire ma “sentimento della
inadeguatezza della sua coscienza all’azione moralmente
giustificata”. Ancora a p. XXII, in questo florilegio di frasi
fondanti un certo atteggiamento tra l’uomo e la nuova realtà, in quel passaggio epocale di cui si è detto, evidenzia
la frase “Noi obbediamo a quella ‘divinità che dà forma ai
nostri fini, comunque noi li abbozziamo”. Nella pagina seguente (XXXXII): “La catastrofe non è l’opera d’Amleto,
ma dell’oscura Provvidenza” “Perché l’ordine morale si ristabilisca, bisogna che il peccatore operi la propria rovina
e il proprio castigo.” Tra le rade segnature nel testo, di solito nella lingua originale, notiamo il gusto di Morselli
nell’annotare versi divenuti proverbiali, quali il celeberrimo “Fragilità il tuo nome è donna” dove indica una data
24-12-60, e l’altrettanto celebre “C’è qualcosa di putrido in
Danimarca e il motto indimenticabile: “Parole Parole Parole”. Per gli aspetti teatrali, valorizza la meditazione del
giovane principe sul mestiere dell’attore, sottolineando a
più riprese l’oggetto scatenante, come si ricorderà, del
monologo: Ecuba, per la quale, lontano personaggio di
tragedia, l’attore si commuove in modo così plateale. “Le
cose mortali non li commuovano affatto”, l’altra famosa
sentenza evidenziata da Morselli, nel pieno del contrasto
tra la scena e la realtà.
Nelle note segna la fonte di Saxo Grammaticus e le definizioni del teatro con o senza le classiche unità, specie quella
di luogo: senza poem unlimited e il fatto che la fonte potrebbe essere italiana, per esempio l’assassinio di Luigi
Gonzaga col veleno nell’orecchio.
25
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
279
L’articolo, Sotto il nome di Shakespeare sarebbe nascosto Lord Derby. Una ricerca di paternità che dura da due secoli, con la data autografa di lettura del 2-2-51, riassume, con la verve
ironica di Montale, l’annosa questione della attribuzione delle opere del bardo e sulla identità
dello stesso. Morselli, con la sua tipica sottolineatura a “freccia” a margine della frase e anche
con il tratto a matita sotto la frase, evidenzia del
lungo discorso, l’ipotesi che la figura identificata
con il sommo tragico “fu una semplice ‘cooperativa’ di autori elisabettiani”, press’a poco, ricorda Montale, la tesi del Robertson fondata sulle
diseguaglianze stilistiche dell’universo shakespeariano.
Più avanti, con solo una segno nel margine
destro, Morselli sottolinea il passaggio in cui
Montale elogia la “illusiva” semplicità dei
drammi di Shakespeare, tale che potrebbe permettere di esclamare “è l’uovo di Colombo, mi ci
metto io a scrivere!!” Tale illusione è la maggior
conferma della grandezza di un’opera, commenta Montale (che di traduzioni in “società” se ne
intendeva!). Ancora Morselli sottolinea, sotto le
parole, “un vocabolario di 24 mila parole” che
nell’articolo si dice difficilmente attribuibile al
figlio di un beccaio e il formidabile còte bète che
anima da capo a fondo l’opera del grande inglese
o di chi per lui. Delle rappresentazioni
dell’Amleto, sempre nel medesimo spazio del
quotidiano milanese a firma R. S., Morselli conserva, sembrerebbe senza particolari segnature,
la recensione allo spettacolo allestito al Manzoni, con scelte moderne che quasi tutte convincono l’articolista, per la regia di Tyron Guthrie e
l’interpretazione di Alec Guiness, applauditissima dal pubblico milanese.
280 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Da Cesare a Cesare (e i pirati)
Dei quattordici volumi di Shakespeare presenti nella biblioteca di Morselli, ritengo che la
lettura del Giulio Cesare, commento e cura di
Aldo Ricci, Firenze Sansoni, 1929, con testo a
fronte, sia stata tenuta presente nella scrittura
drammaturgica di Cesare e i pirati che, come
specificato dallo stesso Morselli nel dattiloscritto, si avvale dalle fonte primaria, storica, di
Plutarco, Vita di Cesare , I e II. La
forte etica che si scorge chiaramente nella commedia, riporta all’immortale testo del bardo, la
cui lettura, o se la mia ipotesi è giusta, rilettura,
è attestata nel mezzo delle stesure della commedia. Si tratta di momenti e di ambiti molto diversi della storia del condottiero romano, ma il
tema di fondo, che oltrepassa il singolo episodio,
converge su elementi costitutivi, come una breve
analisi su questo testo sembra evidenziare.
Nell’introduzione di Aldo Ricci, sottolinea innanzitutto che “Cesare non è il protagonista” (p.
XVI). Nella seguente memorizza il personaggio
di “ Marc’Antonio” e a XIX “quello che conta
non è Cesare, l’uomo in carne e ossa, ma lo spirito di Cesare, il cesarismo. Bruto stesso lo capisce”. A p. XX, la frase a mio avviso decisiva:
Giulio Cesare rappresenta un momento critico nella lotta tra i due grandi principi politici che non
hanno ancora fatto la pace, che mai la faranno, ma
che, trasformandosi costantemente nelle loro forme esteriori, ora chiamandosi autocrazia e governo costituzionale, ora legittimismo e ora repubblica, ora bolcevismo e democrazia, continueranno a
contendersi in eterno le sorti della società umana.
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
281
La stessa logica muove Cesare, anni prima,
contro Farmacussa, l’isola in cui lui stesso, in bilico tra un sentimento autentico, divertimento,
mascherata ipocrita, momento di svago, aveva
issato una bandiera di libertà dalle regole ciniche della politica, formato, con altri popoli limitrofi quella lega di solidarietà che appare non di
rado nei testi morselliani del contro-passato o
del contro-futuro, come possibile riferimento di
equilibrio per una convivenza pacificata e solidale tra i popoli. (Nel corso della commedia Morselli ci conduce, con sempre maggiore insistenza, alla coscienza che in quei giorni di Farmacussa l’ambizioso Cesare si è solo voluto divertire, “credendoci” un poco forse, ma mai uscendo
veramente da quel gioco con una intenzione autentica di liberarsi dalle sue “ambizioni” di condottiero e duce). In questo senso, sottolinea
Morselli, il Giulio Cesare del bardo padre del teatro moderno assume un significato politico (p.
XXI). La tragedia è insomma, si legge a p. XXII,
con la sottolineatura “un episodio della lotta tra
repubblicanesimo e Cesarismo”. La pagina seguente contiene una data di lettura, o rilettura,
che rafforza la nostra ipotesi: “4-1-54” e contiene
questa espressione sintetica, proprio nella direzione che si diceva: “lo spirito della Repubblica,
il repubblicanesimo in lotta col Cesarismo. E v’è
appunto l’ironia amara in questa scena”: Morselli sottolinea particolarmente l’ironia tragica,
indicando chiaramente una sua idea, direi preponderante, di fare teatro. L’introduttore allude
alla morte di Cesare che non porterà affatto alla
Repubblica, ma al suo contrario. La scrittura
drammaturgica di Cesare e i pirati, per quanto
possiamo dedurre dalle carte, come già decreta-
282 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
to dalle prime ordinatrici degli inediti morselliani al Fondo di Pavia, va dal 1951 al 1956. In
mezzo, Morselli legge o, più probabilmente, rilegge il Giulio Cesare di Shakespeare, trovandovi conferme e ispirazioni, rispetto alla storia attinta da Plutarco. Bruto è, dunque, il personaggio più importante, ma lui, sottolinea ancora
Morselli in modo significativo (p. XXVII): non è
uomo della politica e del potere è un uomo di
studi: “L’uomo di studi non può essere trapiantato impunemente nel mondo dell’azione senza
trovarsi a disagio: tanto meno un uomo dedito
agli studi astratti come Bruto. La sua logica non
è infatti di questo mondo” Vive in un mondo tutto suo, a un livello differente dal resto degli uomini.
Anche Shakespeare, come ben sottolineato
nelle note a questa edizione, si ispira a Plutarco
(cosa dimenticata da Auerbach, secondo Morselli).
Conferma a questa lettura del Giulio Cesare,
Morselli la trova nell’articolo del “Corriere della
sera” conservato nel libro, Mor 1229, e con la data autografa a matita 21-11-’53, “Piccolo Teatro.
Giulio Cesare di Shakespeare”, dove tra le altre
note sulla tragedia, l’articolista si sofferma
nell’evidenziare
l’appartenenza
dell’opera
all’ambiente romano, ma ricca di tematiche più
universali, partendo dalla fonte di Plutarco e descrivendo, in particolare nella figura di Bruto,
una tragedia profondamente umana, preludio
all’Amleto.
Inseriti nel volume delle Opere di Shakespeare, Mor. 422, si trovano invece la recensione al
Riccardo III, sempre dal “Corriere della sera”,
del Piccolo Teatro, con la regia di Strehler, con
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
283
data autografa, a matita in alto, va. ‘2.’50, il recensore è il solito r.s (Renato Simoni).
Del Macbeth si è detto in precedenza, in relazione al finale del Comunista, così dell’edizione
dei Sonetti, tra i quali il sonetto LXVI ispira il titolo, o il motto, della sceneggiatura Il secondo
amore, dei primi anni Cinquanta, ed è molto
probabile una rilettura di quel periodo. Le sottolineature nell’introduzione di Piero Rebora, si
diceva, riguardano i problemi di identità, prettamente inerenti alla maschera e al teatro. Secondo l’espressione di Croce ripresa da Rebora,
Shakespeare è fortunato: non se ne sa nulla e
quindi riesce ad evitare “l’errata filologia del pettegolezzo”. Così anche Eliot, per Dante, sottolinea Morselli: meno ne so del poeta e meglio è.
Come non pensare al paradosso di un autore che
legge queste parole da perfetto sconosciuto, ma
che si avvierà a diventare uno dei casi più emblematici di autore postumo? Magari sentendosi
riepilogo degli uomini, come pare alludere una
nota sempre dall’introduzione dove Rebora cita
il parere di due studiosi secondo i quali il bardo
non fece che fingersi attore di sentimenti altrui,
scrivendo la buona parte dei sonetti per commissione26.
A fronte di questi enigmi, che poi sono i nodi
cruciali e ancora irrisolti del dibattito attorno a
Shakespeare, come in altre situazioni, l’interesse
di Morselli si concentra sulla ricostruzione storiCon data autografa a matita 14-3-53, nel testo dei Sonetti, troviamo un ritaglio di giornale con la recensione
alla edizione a cura di Alberto Rossi che apriva la einaudiana Nuova collana di poeti tradotti con testo a fronte. A
distanza di quasi quindici anni, l’interesse per questo testo
rimane vivo.
26
284 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
ca e sulle fonti, in particolare, sugli influssi del
Cinquecento italiano sulla grande tragedia shakespeariana.
Altro libro sottolineato e glossato nella biblioteca personale, è proprio quello del medesimo
studioso27, interamente dedicato a queste questioni: Piero Rebora, L’Italia nel dramma inglese, dove, tra gli altri passi sottolineati, mi pare
sintetico quello della pagina 18: “I contrasti
drammatici, le passioni, i dubbi, i sacrifici e le
bestemmie ciniche consumavamo le storiche fibre della narrazione italiana, i cui uomini sembrano nel Cinquecento veramente gli attori di
una immane tragedia”.
Non c’è da meravigliarsi, dunque, sostiene
Rebora, dell’interesse del bardo, ma anche dei
suoi predecessori, per l’Italia rinascimentale.
Anche in questo testo troviamo i topoi tipici delle sue sottolineature; con le fonti, su cui il testo
si basa, chiaro l’interesse per gli artisti minori, di
cui diligentemente segna a margine una breve
biografia, e le date del susseguirsi storico o dei
fatti letterari.
Su Shakespeare, tra gli altri, Morselli si trova a discutere
anche con l’Auerbach di Mimesis (Einaudi, 1964 nella edizione del fondo MOR 1584-1585) altro testo fittamente
annoto e glossato, non sempre positivamente (lo ritiene
un diario di lettura, dotto, documentato, ma estrememante soggettivo) condividendone la visione della contaminazione degli stili. Nella grandezza del Giulio Cesare, Morselli annota che già gli antichi avevano scritto non banalmente del condottiero, ad esempio Plutarco. Perché Auerbach non se ne occupa? Morselli lo aveva invece già utilizzato una decina di anni prima per la sua riuscita commedia.
27
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
285
Faust o della necessità di agire
Come si è visto, Morselli indica nel grande attore pirandelliano Ruggero Ruggeri un modello
di quella “attrattiva che hanno sempre esercitato
su di me i grandi attori”28. Nell’ultimo romanzo,
Dissipatio H.G., un accenno all’attore giapponese29 in quel contesto di riepilogo e solitudine, di
28Ivi,
p.104.
Si veda, a proposito di travestimenti, i saggi di Rinaldo
Rinaldi contenuti in “In limine” e in “Rivista di studi italiani”, nei già più volte citati numeri dedicati interamente
a Morselli. All’inizio del saggio per la “Rivista di studi italiani”, Individuo e caso, Rinaldi scrive: “Pensiamo a Re
Umberto I del Divertimento 1889, dissociato dalla propria
figura ufficiale o dal suo “mestiere” di sovrano e trascinato
dal desiderio mai completamente esaudito di “cambiare
mondo”.Il punto estremo è toccato dal protagonista
dell’abbozzato romanzo Uonna, non tanto un androgino
quanto un individuo assolutamente privo di caratteri sessuali, sia primari che secondari: non ha organi genitali interni od esterni [...]. Non ha nemmeno desideri sessuali,
complessi edipici, rimossi’. L’ambivalenza non è insomma
positiva ma puramente negativa, un’assenza di tratti che
‘sposta’ il personaggio in una sorta di limbo, lo sospende
dalle normali attività dell’esistenza, lo fa esistere come
non-esistente. Già il protagonista di Dissipatio H. G., del
resto, marcava la sua eccezione (la sua solitudine fisica e
metafisica) con il travestimento: ‘Mi infilerò il collant, un
(superfluo) reggicalze a roselline celesti, e le mie gigantesche mutandine di pizzo. Da qualche giorno uso dessous
da donna, scelti al Grande Emporio.
La mia pinguedine, che è aumentata, non si adatta male a
questi accessori inusuali, anche se le masse muscolari
gonfiano pericolosamente il nylon delle calze. La sera spogliandomi non ho turbamenti, né fisici né psichici, quelle
gambe pelose e poderose sono soltanto claunesche, sotto il
velo nero. [...] Nessun autoerotismo, comunque; in me la
sessualità non mi è mai parsa deviante, e da un pezzo, ora,
langue, come deve. Se mai, imito il grande attore giappo29
286 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
cui si è molto discusso in questo volume, richiama e chiude un paragone costante, diretto o
indiretto, alla teatralità camaleontica della scrittura, analoga a quella della propria stessa identità: “Se dovessi giudicar me stesso dovrei concludere che in me ci sono diverse “personalità diverse”. Spesso però l’evidenza di una staticità
rinchiusa in una apatia forzata dalle circostanze
esteriori, soffoca questa mobilità dello spirito e
della assimilazione all’umano. Altro che attivismo, l’essere umano combatte contro una staticità connaturata.
Nei mesi in cui Morselli scrive Marx, si intensificano gli accenni polemici al faustismo, simbolo del romanticismo antropocentrico e di questo attivismo onnicomprensivo, di cui sarà accusato anche il padre del comunismo. Propongo
alla lettura e alla riflessione il seguente brano,
per poi sviluppare, attraverso i testi posseduti da
Morselli, il tema faustiano. Non sfugga, tuttavia,
al di là dell’utilizzo nel presente saggio, la profondità delle notazioni morselliane, degne di accostamento a pagine critiche dei nostri migliori
nese Omagàta, il quale interpretava unicamente ruoli di
donna, in vesti da donna’.
La suggestione giapponese, proveniente dal grande saggio
nipponico di Roland Barthes L’Empire des signes, dà rilievo appunto allo straniamento, alla separazione fra ruolo
ed essenza, fra la maschera e il volto. Ma la più perfetta
incarnazione del misfit morselliano è forse quella di Umberto I che viaggia per la prima volta in incognito e per
“divertimento”, in Svizzera: ‘Stavolta qualche cosa di nuovo. Un incognito che non sarebbe stato una burla. Trasformarsi in un signor X, Y o Z: rinascere, quindi, o cambiare mondo. All’estero per giunta, dove ciò poteva non
essere illusorio, e durare’”.
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
287
scrittori, magari all’Umorismo di Pirandello30:
Quando parliamo di “insensibilità” o di “disinteresse”, di solito noi ci riferiamo a una minore sensibilità o a un blando interesse [...] non consideriamo che la nostra ignoranza e impassibilità di
fronte alla stragrande maggioranza dei “dati” pos30Ivi,
pp. 308-310. Come non ricordare, nelle parole testamentarie, estreme, di Morselli, quelle altrettante scarne, di una esemplare dignità laica, di Pirandello?: “Dispongo che mi sia data sepoltura nel cimitero di Giubiano
(Varese), non nella cappella di famiglia, bensì in terra aperta, con una tomba semplicissima, senza alcuna struttura sovrastante, senza ornamenti né simboli. (Basterà una
cornicetta di pietra tutto intorno). Una lastra di pietra con
il mio nome e nient’altro. Alla mia morte nessun avviso ne
sarà dato ai giornali, né mediante comunicazioni o partecipazioni personali. Il funerale avrà luogo nella maniera
più semplice e disadorna, senza alcuna solennità o funzione ecclesiastica, senza fiori né corone o simili”, in Valentina Fortichiari, Guido Morselli: immagini di una vita, cit.
p., 124. Stessa idea della terra, della semplicità e, perfino
identica, la richiesta di non pubblicizzare l’evento in uno
scrittore Nobel e accademico d’Italia, giunto al sarcasmo
feroce della gloria (“pagliacciate, pagliacciate”), e in uno
scrittore di grande talento, in vita sconosciuto e frainteso.
Di Pirandello nella biblioteca personale, al solito annotati
e con inserti, Il fu Mattia Pascal, Milano, Mondadori
1937, alcuni volumi dalle mondadoriane Maschere nude
(Il berretto a sonagli, La giara, Il piacere dell’onesta, Sei
personaggi in cerca d’autore, Enrico IV) e dalle Novelle
per un anno (il primo volume mondadoriano; Candelora,
Firenze, Bemporad, 1929). Tra gli inserti di giornale conservati nella cartellina Marx, in una data, il 26/3/68, in
cui Morselli lavorava ancora al testo, si conserva un ritaglio di giornale con l’annuncio di un adattamento televisivo di novelle di Pirandello, protagonista quel Tino Buazzelli, il nome è sottolineato, a cui invierà, poco tempo dopo, la commedia. Sul ritaglio vi è allegata una ricevuta di
una lettera spedita alla Rai l’indomani: mittente è lo scrittore. E. Borsa, in op. cit., commenta, ma non so su quali
basi, che l’intento di Morselli doveva essere polemico.
288 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
sibili, o anche soltanto delle effettive esperienze altrui, ossia dei nostri simili - è autentica, totale occlusione. Quei dati, quelle esperienze, non ci “sono” per noi, e noi non ci siamo per esse. Non importa che per altri individui costituiscano la trama
del “quotidiano”: noi, qui, siamo morti; e non vi è
ragione di chiamare questa morte metaforica. È
morte parziale, ma effettiva. [...] A volte “ci restringiamo”. La sofferenza, e cioè la privazione, la
vecchiaia, l'oblio, il disapprendere quello che abbiamo acquisito, le mille continue forzate rinunce,
ci bloccano e, in definitiva, ci “riducono”, riducono
la nostra piccola sfera vitale, questa essendo uguale all'ambito delle nostre esperienze. C'è un bilancio, è vero, un equilibrio, ma nell'insieme siamo
più statici di quanto non ci voglia far credere il
faustismo o volontarismo degli eterni romantici
[...] Ognuno di noi [...] è vincolato ad un suo minuscolo frammento di realtà e di fatto non ne esce.
Siamo individui, manteniamo una coerenza o stabilità psichica (e organica) proprio perciò. [...] Determinazione è negazione, il nostro status di individui suppone questi esigui confini, siamo fatti di
esclusione, di occlusione... La vita è occlusione più
uno spiraglio, ma l'occlusione non ci è meno essenziale di ciò che la interrompe, di quello spiraglio.
Le sottolineature e le glosse nelle edizioni del
Faust possedute da Morselli aprono spiragli su
un germe importante della ispirazione di Morselli, ampiamente proposta nel Marx, e che riguarda l’intera stagione di passaggio tra Settecento e Ottocento, fino al pieno romanticismo,
rappresentato dalla figura del Don Giovanni di
Byron. Si legga questo passaggio, nel noto saggio
di Taine sul Don Giovanni, valorizzato con sottolineature da Morselli, dove Faust e Manfred
rappresentano la consapevolezza del superamento tanto dei miti antichi, quanto del Cristianesimo, altro tema di estremo interesse in quegli
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
289
anni della speculazione morselliana.
Nella introduzione al Faust di Guido Manacorda, lo scrittore legge e sottolinea a p. XXVI:
Tolto dunque il Finale, se pure soltanto per
l’omaggio poetico e umano reso a quel ‘limite’ e a
quella ‘solidità’ che viene dalla tradizione, tutta la
dottrina del Faust, in quanto naturismo, energetismo trasformistico, immanenza dinamicodialettica e autonomismo, si trova necessariamente fuori del Cristianesimo (questa parola ulteriormente sottolineata).
Manacorda aggiunge che, se c’è un richiamo,
deve considerarsi puramente mitologico: la dimensione religiosa dell’avvenimento cristiano si
riduce, al massimo, a una favola.
Morselli ne è consapevole, le sue sottolineature si dirigono in questa direzione, come a p. 17,
di questa edizione, Milano, Mondadori, 1949,
nella frase: “Come Tutto nel Tutto s’intesse!
Come ogni cosa nell’altra opera vive” dove i segni di evidenziazione a lato sono due. A p. 18,
molto significativamente per l’interpretazione
del Marx, evidenzia una parola chiave: “Superuomo”.
L’importanza di questi passaggi è ribadita
dalla data di lettura 12-3-54: Morselli riflette su
Dio, con tutta evidenza: sono, quelli seguenti, gli
anni cruciali dell’approfondimento delle questioni religiose, nella Trilogia di Fede e critica.
In questa chiave, si comprende l’insistenza sul
brano di Studio 1 dove Faust rilegge il motto del
Vangelo “In Principio era il verbo” entrando nel
can can col barbone: “In principio era l’Azione”
è il nuovo incipit, entrambi i motti sono sottolineati da Morselli che sotto, a matita, appunta
“per il commento, v. pgg, 494-5”. In queste pa-
290 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
gine richiamate da Morselli, troviamo delle importantissime conferme al tema del Marx, ma
anche sullo sfondo del plot de L’amante di Ilaria, con il più esplicito inno allo “Streben” e
all’Azione perenni, “la professione solenne della
fede faustiana”. Il faustismo è nato, e avrà una
influenza decisiva nell’Ottocento che “rivivrà infatti in tutti i movimenti sociali del secolo scorso
e s’agiterà ancora in quelli del nostro secolo.
Pragmatismo angloamericano e neoidealismo
italiano ne segnano ancora oggi in due divergenti direzioni le propaggini”.
Morselli attribuisce a Marx questo richiamo e
anche questa debolezza in riferimento alla mancanza dell’azione che contraddistingue la sua
biografia, a favore dello studio e della riflessione
intellettuale, in un equilibrio difficile che costituisce uno dei temi centrali dell’azione scenica
sull’autore del Capitale. In una nota della pagina
seguente Morselli è attento a rilevare il risvolto
nella storia della filosofia di questa dinamica,
composta di reciproci scambi: influssi si trovano
nel volontarismo kantiano e nell’attivismo. In
quella pagina dello Studio 1 del Faust, rimane il
segnalibro in seta, e mi piace immaginare, visti
gli evidenti richiami convergenti, che lì sia rimasto, nonostante i necessari spostamenti, nei decenni successivi alla morte31.
A testimoniare l’importanza di queste pagine, Morselli,
sempre in Studio 1, sottolinea un’altra delle frasi proverbiali, p.53: “Faust con Mefistofele: dell’al di là poco mi
può importare” e ancora a 54, la ancora più celebre espressione, rivolta all’effimero attimo: “fermati dunque, tu
sei tanto bello”31. Alla pag. 55 a matita, a voler racchiudere
l’intera scena: “una professione tipica di faustismo”, ancora Faust e Mefistofele, con due linee sulla destra segna
“L’animo mio ormai guarito dalla scienza, non dovrà più
31
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
291
chiudersi a nessun dolore; quel che è toccato in sorte a
tutta l’umanità, io voglio godere entro me stesso. Voglio
con lo spirito attingerla, quell’umanità, nel più alto e nel
più profondo, e che il suo bene e il suo male s’addensino
entro il mio petto. E dilatare me stesso fino al suo se stesso, e alla fine, come lei e con lei, fare naufragio”. Le iterate
frasi del diario, essenza di uno spirito naturaliter istrionico, fino alla consapevolezza di poter rappresentare un riepilogo degli uomini, possono avere, una accezione faustiana, che si porta dietro, dunque, l’accezione negativa del
Marx, ma anche il tentativo valoroso di conoscere meglio
la propria e l’umanità in genere.
Nella bibliografia contenuta in questa edizione del Faust,
segnala la versione metrica di Giuseppe Bigi Sansoni
1900, che difatti si trova nella sua biblioteca (ne parliamo
più avanti) delle note, al prologo in cielo p.463, in rosso, la
curiosa situazione delle cavallette e delle cicale che Goethe
confonde, volutamente o no, perché le une non cantano e
le altre non hanno gambe lunghe. Sempre in rosso (potrebbe essere la rilettura in funzione del Marx?) p. 464 segna lo Streben, la cui definizione, sia pur non sottolineata,
è, per il curatore del volume, “pensiero e volontà protesi
allo scopo, forte passione che li accompagna. I verbi italiani non lo rendono che in parte”. Ancora (477) segnala
quelli che per il curatore sono i titani tedeschi Lutero, Fichte e Nietzsche, non Goethe 482 “Ubermensch”: il termine e insieme con esso lo spirito nietzschiano è nato”. Nella
pagina 502 sottolinea che i temi del vero Faust rimangono
il tumulto, la prova, e la dialettica dell’amore e dell’odio,
del piacere e del dolore e insomma della vita. L’edizione
Biagi, presenta anche alcune indicazioni di lettura segnate
nell’indice, e riguardanti la scansione cronologica delle
parti del Faust a cui fa riferimento l’introduzione di Augusto Franchetti, dove appunto lo scrittore sottolinea le date
delle varie fasi successive. Nel testo, ricco di richiami alla
edizione esaminata in precedenza, il motto rovesciato del
Vangelo di Giovanni, conduce la riflessione di Morselli a
incontrare il pensiero di Nietzsche. Solo non posando mai
la testa per riposare, l’uomo si afferma, ma secondo Morselli in modo superficiale, tanto che questa modalità “romantica” diviene, come sappiamo, uno degli idoli critici
dello scrittore, tanto lontano dal suo modo di interpretare
l’esistenza. Anche nel consueto, ed interessantissimo indi-
292 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Diversi ritagli di giornale vengono conservati
da Morselli nelle pagine delle edizioni del Faust.
In occasione del bicentenario dalla nascita, nel
ritaglio conservato in Mor 1567, il “Corriere della sera”, con data 28 agosto 1949, incarica Giovanni Papini, Bonaventura Tecchi, Guido Piovene e altri di ricordare l’autore del Faust. Tecchi
(Poeta da riscoprire) stigmatizza quella che per
Morselli diventa, abbiamo visto, una ossessione
critica: Goethe diventato nella idea critica dominante, il creatore della vita attiva, dello Streben,
dello sforzo continuo di operare. Le rare sottolineature riservate solo a questo articolo, nonostante la larga notorietà anche degli altri articolisti (Bo e Piovene), dimostrano l’interesse sulla
questione che anche Tecchi accetta come un dato di fatto, nella frase sottolineata da Morselli:
Non siamo neppure di quelli che, scrive Tecchi,
“pensano si possa ritornare a un razionalismo
illuministico pre-romantico”. Impegnato a cercare una traccia religiosa in Goethe, lo scrittore e
germanista la trova in un appunto del 1797, in
cui si riporta la frase di Ippocrate sottolineata da
Morselli “Gli uomini debbono imparare a conoscere dal visibile l’invisibile”. Dal “Tempo” di
Milano, con data 13 settembre 1949, l’ampio
stralcio presenta un intervento di Carlo Bo, Il
messaggio goethiano, quello di Maffio Maffii,
proprio sulla storia del Faust, un passo antologico di una lettera a Shiller, e un articolo a firma
di Evel Gasparini, nel quale troviamo l’unica sottolineatura di Morselli, nel brano in cui si discuce delle cose notevoli alla fine del libro, Morselli riassume,
rimandando alla pagina specifica (la 53): “‘In principio era
l’azione’ non il Verbo!” Ribadito, tra le altre sottolineature,
da quella del IV atto della seconda parte: “Tutto è l’atto”.
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
293
te della sostanziale estraneità di Goethe maturo
alla vicende dei moti nazionali. I fenomeni di legami a partiti e Chiese erano estranei a Goethe,
commenta Gasparini, riportando la frase che interessa Morselli, “Egli soleva dire che l’incendio
di una casa è una vera disgrazia, ma la ‘rovina
della patria’ è solo una frase”32.
Altro articolo interessante, conservato dentro
un volume fittamente sottolineato e glossato, La
nascita della tragedia di Nietzsche, presente
nella biblioteca morselliana nella edizione Milano, Monanni, 1927, vol. 6 delle Opere, a cura e
con introduzione di Elisabetta FoersterNietzsche. L’articolo, di Thomas Mann, Pagine
sparse, 26 settembre 1954, “Corriere della sera”,
presenta alcune sottolineature, importanti. Diviso in tre sezioni, la prima parte riguarda il Werther, di cui allo scrittore interessa la rottura degli schemi consolidati, il ribellismo e soprattutto
il tema del suicidio, tra biografia e scrittura. Dopo averlo più volte tentato prima della stesura
del romanzo, ricorda Mann, il giovane Goethe,
dice di esser rinato e di essere maturato proprio
grazie alla scrittura. Così, sottolinea Morselli:
“egli non si era poi ucciso, si era anzi liberato dal
desiderio della morte proprio scrivendo il suo
romanzo”. Sottolinea ancora, poco più avanti,
Del 1949, sette settembre, data autografa, un articolo
sulla “Prealpina” di Bruno Vignola, intitolato semplicemente Goethe, dove Morselli, con il suo tipico uncino mostra di voler rammentare due passaggi, entrambi allusivi
della gloria raggiunta, fin dagli anni di Weimar, ma da cui,
seconda sottolineatura, aveva voluto sottrarsi, per non finire come Voltaire “fatto morire ‘à force de gloire’”. Altri
ritagli riguardano le messe in scena del Faust, con difficoltà a volte insormontabili di coglierne sinteticamente
l’essenza.
32
294 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
questa frase conclusiva di Mann: “Ma proprio
mentre sentiva l’animo suo alleviato e come rischiarato, avendo trasformato la realtà in poesia33, altri giovani cadevano nel tragico equivoco
e immaginavano di dover trasformare la poesia
in realtà, di imitare il romanzo fino a sopprimersi”. Rimandando ad altra occasione il commento alla seconda sezione dell’articolo (Nietzsche e la musica) e in generale la discussione
sulle glosse della Nascita della tragedia, di non
secondaria importanza, riporto le frasi finali di
Mann, sottolineate da Morselli. Si discute, sia
pur brevemente, di Morale, tema caro ai due
scrittori: il tedesco all’apice della gloria, tradotto
in tutto il mondo, ospite con una rubrica del più
importante quotidiano italiano, e l’altro sconosciuto che, per una ventina di anni ancora rimarrà tale, fino alla morte per suicidio. Gesto estraneo a quella inquietudine giovanile alla Werther e alla Ortis, ma forse, in qualche modo, legato, in maniera capovolta rispetto alla smania
della gloria, al rapporto scrittura-vita. Impressionante, comunque, rispetto alle tematiche
dell’ultimo romanzo, e proprio al gesto finale di
Morselli, la chiusura di Mann, che argomenta
quanto la moralità sia suprema esigenza, perfino
volontà, di vita, ma anche un perpetuo correggere e ordinare ciò che è libero, un ammonire continuamente per trovare il modo di raccogliersi e
riflettere. Si può chiamare, questa attività, saggezza (e il suo contrario sarà follia), religiosità (e
il suo contrario sarà pagana animalità) nobiltà
(da qui Morselli sottolinea fino alla fine
dell’articolo):
Morselli sottolinea al margine sinistro il brano, e sottolinea anche sotto le frasi segnalate dal corsivo.
33
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
295
e il suo contrario sarà la volgarità che si trova a
suo agio nella vita terrena, e non conosce una patria più alta. E, veramente, esistono uomini di tale
volgarità, di tale immortale bramosia e capacità di
vivere, che a stento si riesce a pensare che possano
essere in qualche modo partecipi di quella sublimazione dell’essere che ci può dare solo la morte.
Solo la morte può dare la sublimazione
dell’essere: la sua evaporazione, inventerà Morselli, meno deciso di Mann a decretare che si
tratti di una liberazione, opponendo l’ipotesi di
una condanna eterna. Resta il comune dato della
dura critica alla volgarità di quelle mafie pronte
a rendere in schiavitù la vita umana, come per il
narratore di Dissipatio H.G.
La fondazione dell’importanza del faustismo
in sede filosofica, Morselli la considera sottolineando e glossando fittamente il testo di Lorenzo Giusso, Il ritorno di Faust, che reca la data
autografa di una prima lettura iniziata il 14-6-41,
con una rilettura del il 23-2-45. Si tratta di una
rassegna critica di pensatori e filosofi che, in diverso modo, hanno ripreso o discusso il faustismo, in buona parte rispetto al motivo di una azione esasperata, tesa alla conquista di un io superiore capace di dominare le sorti del mondo.
Nell’indice segnala i seguenti autori: Simmel,
Giuliano Benda, Chesterton, e tutti i filosofi che
vanno sotto un segmento denominato da Giusso
Difesa dell’Occidente. Come abitudine, costruisce il suo indice per la memoria delle cose notevoli, appuntando, tra l’altro, per la pagina 133 le
caratteristiche di “faustismo, titanismo, religione dell’azione”. A p. 74 crea un altro efficace titoletto sintetico “L’atto puro è parente stretto
dello slancio vitale di Bergson, della Will zur
296 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Hacth nietzschiana”. Più sotto, riassume ancora
lo spirito del testo di Giusso, rilevando l’esposta
analogia tra “Atto puro gentili amo”, l’elan vital,
l’action blondeliana, Will zur Hacth nietzschiana considerandole, in linea con quanto detto in
precedenza, le radici del principio d’azione della
civiltà moderna e del capitalismo. Attenzione
particolare per Splengler, e la concezione della
storia “come cieco circolo di distruzione, privo di
ogni provvidenziale, come un misterioso eterno
Ritorno, che le civiltà compiono governate da
ferree leggi che le fanno nascere, espandersi,
tramontare, morire. La teoria splengleriana può
apparire come la specifica ideologia del dopoguerra”. Su Splengler anche un foglietto autografo conservato nel volume, piuttosto fitto, più
di trenta righe, che ne riassumono il pensiero intorno alla nozione di civiltà faustiana, sottolineata e ben visibile, al centro del foglietto. Sul retro, ma molto più sintetico, in quattro righe,
riassume il pensiero di Max Stirner.
Tra le altre frasi sottolineate, spicca
l’appellativo di dandy per Baudelaire, Wilde e
Nietzsche e l’attestazione di un forte spirito romantico in Gentile, per il quale, legge e sottolinea a p.62, nota quella “febbre titanica e demoniaca di plasmare la realtà secondo la propria
immagine”, ma anche, stigmatizzando una differenziazione importante, a p.71 “l’anti intellettualismo di Gentile è risoluto e radicale”. Nello stile
tendente alla retorica del Giusso, Morselli intravede positivamente le coordinate di un filone di
pensiero che attraversa un secolo, fino alla Seconda Guerra Mondiale, come a p. 76: “scrosciante ditirambo alla attività umana, in una celebrazione dell’uomo e della storia, in una smisurata professione di fede nelle forze generatrici
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
297
dello Spirito. L’ideale morale che promana da un
siffatto sistema è infatti il ripudio più energico e
radicale dell’ascetismo o del quietismo buddista
o platonico cristiano”. Non importa tanto al nostro di seguire Giusso anche su strade piuttosto
impervie e poco credibili nella interpretazione
distorta di certi autori, come lo stesso Bergson.
L’obiettivo ultimo è condiviso da Morselli con
trasporto, a prescindere, mi sembra, dalla valutazione dei singoli autori. Si tratta dell’avvento
di un nuovo romanticismo faustiano, con le coordinate dello sviluppo tecnologico moderno (la
pagina è la 103): “Una tale filosofia è tutta compenetrata dall’esaltante idea dello sviluppo, del
Progresso, del superamento”. È l’idea di fondo
che Morselli assimila e riproduce perfino nella
commedia dedicata a Marx34.
Con Simmel, l’esperienza dell’attività dello Spirito, si
evolve, come riassume la sottolineatura di Morselli a
p.112: “in Simmel si compie il trapasso dell’idealismo nel
relativismo”, lo “Spirito non è per lui uno ma molteplice”
(112). E ancora, cinque pagine più avanti: “Il pensiero di
Simmel è un’audace costruzione edificante sull’orlo del
precipizio scettico”. Nel margine inferiore, appunta: “cfr. il
problematicismo di A. Banfi”, in una ulteriore prosecuzione e attualizzazione di questo studio del Giusso sul faustismo. Dopo il Benda, difensore del razionalismo, si riparla
tramite Tilgher della religione faustiana che secondo il critico filosofo è diventata la mistica del nostro tempo, la vera religione del XIX secolo, di una società fondamentalmente industriale. Proprio in Tilgher, il cui pensiero viene
riassunto in questo testo, Morselli può riconoscere la linea
che da Goethe e Ficthe attraversa l’idealismo per trasformarsi, agli inizi del Novecento “in un impetuoso e orgiastico vitalismo” (quest’ultima parola è sottolineata da
Morselli) e può essere definito alla fine nei termini visti da
Splengler. I due grandi tedeschi per Tilgher, sono i due
fondatori della religione attivistica, la quale ha trasportato
Dio dalla cattedrale all’officina, la santità dall’asceta
34
298 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Sul volume Le esperienze di Wilhelm Meister,
a cura di R. Pisaneschi e A. Spaini, Bari, Laterza,
1913-1915, appare la data, Varese 27-12-39. A p.
6 nella introduzione annota subito in alto “La
Theatralische Sendung”. Morselli sembra accordare il proprio assenso al tessuto connettivo delle diverse “esperienze” del protagonista del testo
goethiano, l’assoluto valore formativo del teatro.
A p. 9 evidenzia “E questa occupazione gli era
immensamente gradita e piacevole, poiché ovunque poteva impiegare ed esercitare gran parte delle cognizioni e delle idee, secondo le quali
s’era comportato fin’allora”. Si riferisce, appunto, al teatro.
A p.11, si rileva che il risveglio del teatro tedesco sia dovuto allo Sturm und Drang e che questa opera nella prima parte della composizione
ne rappresenta pienamente lo spirito, lo Sturm
“trionfante”. In seguito, con i tre anni in Italia e
l’iniziale scrittura della più meditata Ifigenia,
(come sottolinea Morselli), Goethe si libera dallo
Sturm e abbraccia lo spirito dell’arte classica,
che non cerca antagonismi, “ma di costruirsi in
sé”. Così, nel 1794, il romanzo rinasce. A p. 15
Morselli mostra di voler ricordare una frase del
giovane Meister “La trama del mondo è intessuta dalla necessità e dal caso; la ragione
dell’uomo si pone tra i due e sa dominarla; essa
considera il necessario come la base del suo essere; l’accidentale ella sa rivolgerlo, guidarlo e
utilizzarlo”.
all’industriale. La conclusione del testo, con le sottolineature di Morselli, poche ma calibrate, riguarda una personalità con cui lo scrittore farà i conti anche in futuro: Giuseppe Rensi.
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
299
Nell’ultima pagina, ripetendo il rito consueto
di evidenziare nella introduzione i temi cari, sottolineare poco o nulla nell’opera e riportare di
nuovo nell’indice i suoi motivi di interesse o
tracciando a matita, alla fine del libro o in terza
di copertina, una breve sintesi, scrive: “Analisi
dell’Amleto Libro IV cap. III, XIII, XIV, Libro V
cap IV, V. A p. 321, infatti, sottolinea “non c’è
tratto della fisionomia con cui Shakespeare presenta il suo Amleto”; due pagine dopo sottolinea
la vicenda del caso e della fatalità, la prima del
romanzo, la seconda più del dramma (si tratta
del capitolo VII del libro quinto), ma anche la
questione tecnica” Come da un musico si richiede che egli possa, fino ad un certo grado, suonare a prima vista; così anche ogni attore, anzi ogni uomo ben educato, deve esercitarsi a leggere
a prima vista, ad afferrare tosto da un dramma,
da una poesia, da un racconto il suo carattere e
recitarli con prontezza” aggiunge che il mandare
tutto a memoria non serve se non si entra nello
spirito.
Sempre sull’ultima pagina scrive allora richiamando la p. 321 “intenzione dell’autore e
immaginazione dell’attore”. Di seguito: “romanzo e dramma 322-323 lettura a prima vista di
una composizione poetica”.
Nel secondo volume, quasi privo di segni distintivi e sottolineature, in fondo, si legge un appunto autografo che rimanda alla p. 100: “La
dimensione della donna nella sua casa”. Sotto
un’altra frase, non del tutto decifrabile, ma il cui
significato vuole evidenziare ed elogiare, nel testo di Goethe, la padronanza femminile
all’interno della casa.
300 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Altri ritagli e sottolineature
Alcuni degli interessi morselliani per i classici
della letteratura italiana per il teatro si possono
rilevare dalle sottolineature del testo di Silvio
D’Amico, Il teatro italiano, Milano, Treves,
1927, adatto, nell’ottica dello scrittore, ad acquisire una conoscenza di base della storia teatrale,
allargandola a quella europea, attento anche ad
approfondire alcune figure “minori”, molto in
voga in anni passati ma poi dimenticati, come
Ercole Morselli e Vincenzo Tieri, per esempio in
Taide dove trova la figura del Don Giovanni.
Con la solita precisione, nella sua proverbiale,
testarda, volontà di comprendere al meglio,
quando si parla di autori stranieri non conosciuti, Morselli si va a documentare e riporta a matita una breve scheda degli autori in questione. Si
vede, a titolo di esempio, le “schede” autografe
di Vildrac e poi di Claudel:
Charles Vildrac: Poeta e drammaturgo ispirato alla
concezione di una laica terrena bontà, che, diffusa
tra gli uomini, varrebbe a rendere migliore la loro
vita. Donde un lieve ottimismo”.
Paul Claudel: “Di professione diplomatico, è stato
ambasciatore a Tokio e Washington). Poeta (con
versetti alla maniera della Bibbia) estetico (Ars
Poetique, 1907), drammaturgo. Si professa cattolico e nemico del materialismo, nell’arte fa appello
all’ordine classico. Ma gli si rimproverano anarchia estetica, decadentismo, sensualità, concessioni al simbolismo. I suoi lavori 1909 e 1912 sono
pervasi da un caldo lirismo che v’introduce
l’atmosfera del “mistero” anche quando riproduce
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
301
l’ambiente di oggi, sono idealizzati da una magia
trasfiguratrice35.
I numerosi ritagli di giornale conservati in
questo volume contribuiscono ulteriormente ad
attestare l’interesse non secondario di Morselli
per le rappresentazioni teatrali. Si tratta nella
quasi totalità di recensioni, per autori anche minori, stranieri, in particolare francesi, di cui, con
l’eccezione di Pirandello, non possedeva testi
35
Qua e là, sottolineature sparse ci aiutano a capire ulteriormente gli interessi morselliani. A p. 15, il saggista indica Giuseppe Giacosa come interprete della borghesia del
nuovo secolo. Sottolinea il nostro: “Correva esattamente
l’anno 1900: il secolo si chiudeva; e la borghesia d’Italia,
nella sua capitale borghese, riconosceva, con felice compiacimento, se stessa”. Come le foglie né è l’emblema.
A p. 312 segna come “importante”: “Il Dramma non si risolve con la visione: La visione nel teatro drammatico,
serve a commentare la Parola; ma è la parola che conta”.
Gli interessa Glauco del suo omonimo Ercole Luigi Morselli (segna il 1910 di Glauco), nel tono “tipicamente crepuscolare” e in una nota di p. 88 sottolinea ancora il tono
tra riso e pianto del suo omonimo: “basta, del resto, pensare al titolo di quella sua raccolta: storie da ridere e da
piangere”. Il suo contenuto è pressoché cristiano conclude
D’Amico, con il plauso di Morselli. Su Pirandello memorizza in particolare un giudizio sui Sei personaggi a p. 105
“ In questo dissolversi, dunque, del principio d’identità, in
questo variare della personalità umana (e del mondo
ch’essa pensa) e ancora, nella pagina seguente, la constatazione che “Pir è lo straziato poeta del soggettivismo e
della relatività: ossia di questo nostro sciagurato tempo,
che ha perduto la fede in una realtà, in una verità oggettiva”. Fa un cerchio sulla p. 131: si parla di Cosi è (se vi pare) dell’Innesto, di Due in una, del Piacere dell’onestà, Ma
non è una cosa seria, La sagra del Signore della Nave:
unite, mi sembra di poter affermare dalla serie di sottolineature, per il tema dell’amore e della maschera del femminile in queste commedie.
302 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
nella biblioteca personale. Rarissime le sottolineature, ma presumibilmente la scelta di conservare tali ritagli risponde ad un gusto che può
darci, se non linee estetiche assolute, qualche
conferma. Senz’altro la curiosità per la commedia, soprattutto quella di ambito borghese. Tra
gli articoli di maggior respiro, troviamo nel
“Corriere della sera” del 30 novembre 1949
l’articolo di Benedetto Croce dedicato a Henri
Becque e il teatro francese dell’800, dove, partendo da esperienze personali di serate teatrali a
Napoli, ricorda i vari Dumas, Sardou, Augier,
Thibaudet, per soffermarsi appunto su Becque.
Spazio anche per il tema del Don Giovanni, rivisitato da Lavedan ne il Marchese di Priola, con
quella conclusione diversa dai classici del mito:
la condanna è alla malattia, ad una progressiva
paralisi. Della commedia italiana Morselli conserva eco, sempre nelle recensioni del “Corriere
della sera”, a firma di Simoni di autori oggi per
lo più dimenticati: del febbraio del ’44 Albertina
di Valentino Bompiani (storia drammatica nelle
forme della commedia degli amori e dei tradimenti), Scandalo sotto la luna di Palmieri, Paparino di Dino Falconi (definita farsa dallo stesso autore), Con loro di Guglielmo Zorzi (porta la
data del 2.2.49), L’oro matto di Silvio Giovaninetti, la bella commedia di Ezio D’Errico (siamo
ormai nel 1951, il 20 di febbraio), Ricordo
dell’avvenire, con il ricco industriale che prevede in sogno il tradimento della moglie e cerca in
tutti i modi si evitarlo, avvicinando il “futuro” rivale, ma senza successo. I due, in circostanze del
tutto casuali, si incontrano, e in preda ad una
forza superiore, non riescono a sottrarsi
all’amore, esattamente come previsto nel sogno,
nei gesti e nell’ambiente che li circonda. Tro-
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
303
viamo recensioni di Eligio Possenti (in particolare Il successo, da Bologna il 15-3-56 e da Milano,
24-11-56 il titolo è sottolineato da Morselli nella
prima recensione) e l’ampio articolo di Bernard
Berenson del 17 giugno del 1956, per il centenario di Alfredo Testoni, l’autore del fortunato
Cardinale Lambertini. Di Ugo Betti, con la recensione del più noto Corruzione al palazzo di
giustizia, rappresentata sempre all’Odeon, Morselli conserva anche il ritaglio, sempre a firma R.
S. della Favola di Natale, rappresentata
all’Odeon, commedia dalle intenzione gaie: “onesta sì, ma non intimidita dal pudore”. Della
commedia borghese, del lontano 14 febbraio
1941, di cui, insieme a La maschera e il volto,
potrebbe essersi ricordato in Uomini e amori,
nel brano della recita, La crisi di Marco Praga,
versione italiana del dramma borghese europeo.
Dell’articolo, senza firma, resta memorabile
l’interpretazione dell’attore che più affascina
Morselli, Ruggero Ruggeri, insieme a Paola Borboni. Con “vivissimo e vibrante successo” dopo
la recita l’attore, di cui il Vito Cambria del primo
romanzo segue le orme, incanta il pubblico recitando poesie, Il Canto notturno del pastore errante dell’Asia, Congedo di Carducci, Bacco e
Arianna di Redi. Su un’altra interpretazione di
Ruggeri, l’8-1-41, ne Il maestro, di Bahr, vale la
pena di riportare l’entusiastico commento del
solito Renato Simoni.
La purezza semplificante, e la raccolta e limpida
potenza della sua arte, quel finito e perfetto della
sua tecnica, al servizio di una intelligenza inquieta
e accesa e appassionata che scruta, indaga, sceglie,
vigila, costruisce, hanno una volta di più trionfato.
304 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
La trama della commedia potrebbe aver attratto Morselli, a partire dal personaggio protagonista, un grande chirurgo, pieno dell’orgoglio
della sua arte, effettivamente eccezionale, anche
se, sembra, priva di titolo accademici, considerato che non avrebbe conseguito neanche la laurea. Tradisce la moglie e ad un certo punto ne
viene tradito. In fine dei conti, il dottore se ne fa
una ragione, in nome di una reciproca libertà.
Ma quando la donna lo abbandona, le teorie non
valgono più, il medico perde le staffe, travolto
dalla superbia. Tuttavia un
piccolo dottore giapponese, che è una delle figure
più divertenti della commedia, gli dimostra che è
bello rinunciare all’orgoglio, non credersi superiori alle passioni che la natura ha posto in noi, e sentire che i fili della nostra esistenza sono mossi
dall’alto.
Di Pirandello, sempre nel medesimo spazio
riservato alle recensioni dal “Corriere della sera”, troviamo, senza indicazione della data, recensioni di Simoni a Lazzaro, La ragione degli
altri, e con data autografa, segno, presumibilmente, di maggiore interesse, la recensione al
Così è (se vi pare), 14-6-52, indicata tra i capolavori assoluti di Pirandello dall’articolista. Altro
grande autore italiano, citato nel diario, e molto
rappresentato, anche a Milano fino agli anni
Sessanta, Vitaliano Brancati su cui si intrattiene
il più volte citato saggio di Antonio Di Grado nel
volume bilingue su Morselli dell’editore brasiliano Edizioni Comunità. Qualche anno prima,
nella recensione di Eligio Possenti, il 16-2-49, si
interessa alla figura di un donnaiolo incorreggibile, nella commedia di Jaen Anouilh, Ardelia o
la margherita, in scena all’Odeon. Definita
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
305
commedia della bestialità umana, Possenti auspica un ritorno alla descrizione della purezza,
in un momento in cui, in diversi campi (la politica, la società, gli affetti) non si parla d’altro che
di cose “sporche”. Di Denis Amiel, 29.3.44, il ritaglio con la recensione di La tua giovinezza,
nello stesso ritaglio del 13-1-50 Margherita di
Salacrou e La carozza del S.S Sacramento di
Merimèe, recitate nella stessa serata al Teatro
Nuovo. Ancora notizie delle commedie di Noel
Coward, e dal Piccolo Teatro, con data autografa
sulla recensione del “Corriere” del 10-1-50, della
commedia di Giraudoux, Intermezzo, con protagonista Isabella, maestra supplente, con i suoi
scolari e l’apparizione di un fantasma. Dell’ 8-251, Harwey, di Mary Chase, commedia estrosa,
che prevede, con una sottolineatura di Morselli,
un personaggio eccentrico, fuori dalla logica
borghese della sua famiglia. La sua “pazzia” consiste nel parlare con un personaggio “inventato”
un coniglio alto un metro ottanta. Quando la sorella lo porterà in manicomio, lui apparirà così
calmo e saggio e lei così agitata da invertire le
parti e gli esiti voluti. La donna verrà internata,
mentre il fratello sarà portato fuori, con tutti gli
onori. Di seguito, però, la commedia avrà altri
colpi di scena, ma fonderà comunque la sua forza nel personaggio ingenuo dell’amico del coniglio. Simoni commenta richiamando, tema importante per Il redentore, come assai spesso il
teatro si sia ispirato ai “matti” o presunti tali, e
cita La cena delle beffe di Benelli, come prototipo di grande successo. Altre commedie straniere
segnalate nei ritagli la Nata ieri di Garson Kanin, autografata il 27-5-50 Luciana e il macellaio di Marcel Aymè, torbidamente sensuale per
quei tempi, come denota la recensione, sia pur
306 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
lodativa della interpretazione (con la regia) della
mitica Tatiana Pavlova, coadiuvata da Luigi Almirante, l’intensa Salpati verso l’ignoto di Sutton, del 13-12-51, con l’applaudita performance
di Emma Gramatica, nella quale le chiacchiere
futili e velenose sulle distinzioni e gli odi classisti vengono completamente annullate alla fine
del primo atto dalla coscienza che la nave salpa
verso l’ignoto, appunto, ma che tutti i passeggeri, senza eccezioni, sono democraticamente già
morti. Dei grandi autori del teatro mondiale,
Morselli conserva le recensioni di Claudel
L’annuncio a Maria, il “dramma borghese” di
Eliot, Cocktail Party, L’Elettra di Sofocle, nella
traduzione di Quasimodo, messa in scena al Piccolo teatro, con Lilla Brignone diretta da Strehler, Inquisizione di Diego Fabbri, data autografa 29-1-50, di cui si interesserà, in particolare al
Seduttore e per la tecnica metateatrale del processo a Processo a Gesù, come già osservato. Altra rappresentazione memorabile, di quel Visconti tenuto d’occhio come possibile referente
per i propri testi teatrali e le sceneggiature, Morselli conserva la recensione del “Corriere” al capolavoro di Tennesse Williams, Un tram che si
chiama desiderio, della compagnia Morelli-De
Lullo-Falck, ritaglio datato 20-4-51.
Di Silvio D’Amico, Morselli possedeva nella
biblioteca personale anche l’Ibsen, Milano, Treves, 1928. Interessa Morselli l’atmosfera protestante del drammaturgo, la sostanza della Riforma che, per il celebre critico teatrale di cultura e fede cattolica, si compone di regole dure, intolleranti, a volte ossessionanti. D’Amico ne sintetizza le conseguenze, che danno avvio al libero
pensiero con, sottolinea Morselli da p., 3, la “ri-
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
307
bellione alla Regola trascendente, rivendicazione della coscienza sovrana, culto dell’io”. In sintonia con i suoi interessi per le opere teatrali in
cui si congiungono diversi generi, Morselli si
mostra interessato in particolare all’andamento
e allo stile del Peer Gynt, annettendo importanza alla definizione di “poema drammatico” a p.
18. A matita, in fondo alla pagina, invita al paragone con il Liolà di Pirandello.
Ancora, a matita, una interessante annotazione autografa, quella a p. 21, dove D’Amico si intratteneva sulle novità del teatro ibseniano: “verismo, sì, ma che per oggetto ha la profonda anima dell’uomo, e che si risolve in una critica
mordente a quanto di fittizio presenta la società
umana di oggi”. Superfluo sottolineare quanto,
alla luce delle sue opere, Morselli possa sottoscrivere, anche al di là di Ibsen, questo giudizio.
Nella parte superiore di p. 38 ancora a matita,
appunta una frase di Anatole France per cui tutto il romanzo, il narrare è autobiografico, accanto
all’osservazione
di
D’Amico
sull’autobiografismo dei maggiori personaggi
della maturità del grande scandinavo: da Osvaldo a Rubek fino, curiosamente all’indietro, a
Brand. Nel libro, Morselli conserva, dal “Corriere della sera” del gennaio 1941, una recensione
assai
positiva
di
Casa
di
Bambola
nell’allestimento di Eligio Possenti, con protagonista Laura Adani. L’articolo non presenta
sottolineature o glosse. Proprio nel volume di
Casa di Bambola, Mor 1469, Milano, Treves,
1928, Morselli lascia un foglietto in cui riporta il
primo dialogo tra Nora e il marito, Helmer, in
cui, in fondo, troviamo già gli elementi
dell’opera: il Natale, cuore della famiglia borghese, dei suoi affetti reali, nella donna, e delle
308 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
ipocrisie esteriori, lui, la questione economica,
con Helmer che rinfaccia, con gesti affettuosi ma
ben decisi, alla moglie di sperperare soldi in regali. Non è dato sapere a cosa potesse servire
questa ricopiatura. Forse anche una verifica della lunghezza dei propri testi, considerato che alla
fine del foglio con queste sette battute dei due
coniugi Morselli segna: “pag. 5 (17 righe stampate ½ pagina)”. Risale al gennaio 1941 il ritaglio
conservato da Morselli della rappresentazione
della Casa di Bambola, purtroppo non completo
e senza indicazione di firma e testata.
Siamo tornati, dunque, dopo questa appassionante, almeno per chi scrive, cavalcata nel
grande teatro mondiale, per quel che è stato
possibile con gli occhi di Guido Morselli, agli
anni dell’apprendistato dello scrittore. Da qui a
poco si sarebbe misurato con le tecniche del teatro, con Tempi liceali, con L’amante di Ilaria,
con la traduzione da Marivaux e via via con gli
altri testi teatrali, continuando, come si è cercato
di testimoniare, a formulare giudizi non banali
sulla ribalta teatrali di quegli anni. Ricordo, uno
su tutti, il giudizio sul teatro di Beckett, in qualche modo artisticamente utilizzato nella nota
pagina di Dissipatio H.G., non senza ironia. Aveva sperimentato diversi rifiuti, anche teatrali,
di cui purtroppo abbiamo tuttora scarse notizie,
essendo ancora oggi per volontà degli eredi della
famiglia Bassi (a quanto mi è dato di capire da
uno scambio di mail con la Fortichiari) “impubblicabile” la cartellina dei rifiuti e i carteggi personali e con eminenti personaggi, evidentemente molto potenti (anche se presumibilmente defunti). È evidente che questo volume si presta a
smentite clamorose, quando i carteggi verranno
alla luce. Del resto Guido Morselli è stato sarca-
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
309
sticamente abilissimo a depistare studiosi pedanti e filologi incalliti nella sua Dissipatio. Sono felice se dal punto di spazio e tempo in cui si
trova, potrà sorridere delle imprecisioni e fragilità, donarci quella sua tipica, sofferta, leggerezza.
310 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Indice dei nomi
(si escludono i personaggi delle opere di Morselli,
anche qualora siano “storici”, quali ad esempio Mussolini, Giulio Cesare, Marx)
Adani, Laura p. 262 (n), p. 306
Albani, Elsa p. 271
Albertazzi, Giorgio p. 128 (n), p. 130, p. 263, p. 273
Alvaro, Corrado p. 257
Agostino (Sant’) p. 66, p. 75, p. 109, p. 223, p. 230
Alfieri, Vittorio p. 98
Altizer, Thomas p. 223
Amiel, Henry Friedrich p. 113, p. 113 (n), p. 113, p.
118
Angela da Foligno, 68 (n)
Anouilh, Jean p. 304
Apollonio, Mario p. 272
Auerbach, Erich p. 281, p. 283 (n)
Augier, Marc p. 301
Azzalin, Dino p. 32
Balzac, Honoré de p. 256
Barberi Squarotti, Giorgio p. 12, p. 138 (n), p. 276
(n)
Barilli, Renato p. 273
Barthes, Roland, 286
Bassi (famiglia), p. 42 (n), p. 307
Bassi, Maria Bruna p. 14, p. 54 (n), p. 60 (n), p. 258
Baudelaire, Charles p. 295
Baudino, Mario p. 59
Beck, Julian p. 268
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
311
Beckett, Samuel p. 46, p. 62, p. 74, p. 255, pp. 263273, p. 307
Becque, Henri p. 301
Benda, Giuliano p. 295, p. 297 (n)
Berenson, Bernard p. 302
Bergson, Henri p. 91, p. 95, p. 294, p. 296
Bertin, Giovanni Maria p. 68 (n)
Betti, Ugo p. 302
Bettiza, Enzo p. 261
Bigi Sansoni, Giuseppe p. 290 (n)
Byron, George Gordon Noel p.288
Bo, Carlo p. 33, p. 273, p. 292, p. 292
Bompiani, Valentino p. 302
Bonaventura da Bagnoregio (San) p. 67 (n)
Bongiorno, Mike p. 25
Borboni, Paola p. 302
Borsa, Elena p. 9, p. 9 (n), p. 17 (n), p. 129 (n), p.
141 (n), p. 150 (n), p. 163 (n), p. 177 (n), p. 287 (n)
Bouvier, Bernard p. 112 (n)
Bracco, Roberto p. 252
Bragaglia, Anton Giulio p. 257, p. 264 (n)
Brancati, Vitaliano p. 264, p. 264 (n)
Brecht, Bertolt p. 197 (n), pp. 256-266, p. 311
Brignone, Lilla p. 305
Brunelli, Vittorio p. 259
Buazzelli, Tino p. 42 (n), p. 257, p. 263 (n), p. 268
Byron, George Gordon p. 263 (n), p. 287
Calderon de la Barca, Pedro p. 273
Calogero, Guido p. 266
Calvino, Italo p. 32, p. 163, p. 261, p. 262
Camerini, Mario p.253
312 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Camus, Albert p. 89
Carducci, Giosuè p. 302
Carraro, Tino p. 268, p. 271, p. 274 (n)
Cascetta, Annamaria p. 92, p. 92 (n)
Castellani, Enrico p. 257
Caterina da Siena p. 67
Chaplin, Charlie p. 166
Chase, Mary p. 304
Chesterton, Gilbert Keith p. 295
Chiara, Piero p. 42
Chiarelli, Luigi p. 251
Claudel, Paul p. 266, p. 300, p. 305
Clurman, Harold pp. 261-262
Coletti, Vittorio p. 142, p. 142 (n)
Coward, Noel p. 303
Corneille, Pierre p. 273
Cortellessa, Andrea p. 246 (n),
Corti, Maria p. 9
Costa, Orazio p. 270
Costa, Simona p. 10 (n), p. 90, p. 90 (n), p. 208,
p.214
Croce, Benedetto p. 85, p. 179 (n), p. 283, p. 302
D’Acquisto, Salvo p. 230 (n)
D’Amico, Silvio p. 252, p. 300, p. 301 (n), p. 306, p.
307
D’Annunzio, Gabriele p. 145, p. 272
Da Pisa, Giordano p. 67 (n)
D’Avila, Teresa (Santa) p. 67 (n)
D’Arienzo, Sara p. 9, p. 9 (n), p. 66 (n), p. 129 (n), p.
139 (n), p. 141 (n), p. 150 (n), p. 161, p. 163 (n), p.
177 (n)
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
313
De Feo, Sandro p. 273
De Lullo, Giorgio p. 273, p. 307
De Monticelli, Roberto p. 255, p. 267, p. 268, p. 269,
p. 271 (n)
D’Episcopo, Francesco p. 31 (n)
De Roberto, Federico p. 15
D’Errico, Ezio p. 301
De Ruggiero, Guido p. 85
Deutscher, Isaac p. 169 (n)
Di Biase Carmine p. 31 (n)
Di Grado, Antonio p. 12 (n), p. 32, p. 87 (n), p. 218
(n), p. 240 (n), p. 304
Doglio, Federico p. 75 (n)
Dossi (Padre) pp. 231-233
Dostoevskij, Fëdor p. 46
Dumas, Alexandre p. 262 (n), p. 300
Dürrenmatt, Friedrich p.14, p. 254, p. 267
Eliot, Thomas Stearns p. 251, p. 282, p. 305
Engels, Friedrich p. 139, p. 173
Enriquez, Franco p. 263
Eschilo p. 276
Euripide p. 91 (n)
Fabbri, Diego p. 177, p. 263, p. 305
Falconi, Armando p. 253, p.257
Falconi, Dino p. 301
Falk, Rossella p. 270, p. 271, p. 305
Faraglia, Cristina p. 233
Farinelli, Arturo p. 91 (n)
Fasano, Lessona p. 10 (n)
Ferrati, Sara, p. 268
314 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Ferroni, Giulio p. 10
Fichte, Johann Gottlieb p. 290 (n)
Foerster-Nietsche, Elisabeth p. 90 (n), p. 292
Fogazzaro, Antonio, 103.
Fortichiari, Valentina p. 9, p. 10 (n), p. 11, p. 31 (n),
p. 43 (n), p. 54 (n), p. 55 (n), p. 59 (n), p. 64 (n), p.
65 (n), p. 85, p. 85 (n), p. 88, p. 113 (n), p. 127 (n), p.
137 (n), p. 139 (n), p. 147, p. 160, p. 160 (n), p. 187,
p. 195, p. 195 (n), p. 218 (n), p. 221, p. 221 (n), p.
227, p. 244 (n), p. 249, p. 258 (n), p. 270, p. 287 (n),
p. 308
France, Anatole p. 307
Franchetti, Augusto p. 290 (n)
Fruttero, Carlo p. 265, p. 266
Gadda, Carlo Emilio p. 32, p. 209
Gallup, George Horace p. 203
Gasparini, Evel p. 292, p. 293
Gassman, Vittorio p. 42 (n), p. 257, p.263
Gaudenzi, Angelo p. 17 (n),
Gaudio, Alessandro p. 10 (n), p. 16, p. 30, p. 31 (n),
p. 33, p. 84 (n), p. 128 (n), p. 148 (n), p. 274 (n)
Genet, Jean p. 273
Gentile, Giovanni p. 225 (n), p. 295
Giacosa, Giuseppe p. 301 (n)
Gimmi, Annalisa p. 131 (n), p. 248 (n)
Giorello, Giulio p. 32
Giovaninetti, Silvio p. 301
Giovanni (San) p. 67 (n)
Giusso, Lorenzo p. 295, p. 296, p. 297
Goethe, Johann Wolfgang p. 258, p. 290 (n), p. 291,
p. 292, p. 292 (n), p. 296 (n), p. 297, p. 298
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
Goldoni, Carlo p. 254, p. 273, p. 274
Grass, Gunter p. 260
Grassi, Paolo p. 42
Grazzini, Giovanni p. 34,
Grignani, Maria Antonietta p. 9, p. 17 (n), p. 32
Grossvogel, David p. 263
Guiness, Alec p. 278
Guthrie, Tyron p. 278
Hegel, George Wilhem Friedrich p. 137
Ibsen, Henrik p. 91, p. 305, p. 306
Ionesco, Eugène p. 256, p. 263, p. 264, p. 267
Isella, Dante p. 42
Joyce, James p. 264, p. 265 (n)
Jurgens, Curt, 259
Kafka, Franz p. 264
Kaprow, Allan p. 269
Kleist von, Heinrich p.237
Lessing, Gotthold Ephraim, p.91
Levasti, Arrigo p. 68 (n)
Levi, Carlo p. 32
Lilli, Virgilio p. 34, p. 35 (n)
Loraine, Percy p. 202
Lukàcs, György p. 261
Lutero, Martin p. 290 (n)
Macchia, Giovanni p. 250
Machiavelli, Niccolò p. 201
315
316 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Maffii, Maffio p. 291
Mainoli, Tiziana p. 32, p. 76, p. 76 (n), p. 77, p. 88
(n), p. 95
Malina, Judith p. 268
Manacorda, Guido p.289
Mann, Thomas p. 293, p. 294, p. 295
Manzoni, Alessandro p. 32, p. 85, p. 252, p. 272
Marivaux, Pierre Carlet de Chamblain p. 99, p. 247
(n), p. 254, p. 273-275, p. 308
Marraffa, Laura p. 70 (n)
Massari, Valeria p. 244
Mattei, Paolo p. 139 (n), p. 164 (n), p. 167 (n)
Mazzolini, Salvo p. 260
Merimèe, Prosper p. 304
Merlin, Lina p. 203 (n)
Mezzina, Domenico p. 10, p. 16, p. 32 (n), p. 45,
p.161
Minazzi, Fabio p. 32
Moeller, Charles p. 173 (n)
Molière p. 99
Monastra, Maria Rosa p. 32 (n)
Mondin, Giovanni Battista (Padre) p. 11, p. 102, p.
102 (n), p. 220, p. 221, p. 223, p. 224, p. 231
Montaigne (Michel Eyquem de) p. 85
Montale, Eugenio p. 272, p. 278, p. 279
Morano, Mario Rocco p. 33, p. 245
Moravia, Alberto p.33, p. 140, p. 168, p. 173
Morelli, Antonella p. 244
Moretti, Nanni, p.210
Morselli, Ercole Luigi p. 300, p.301
Morselli, Mario, p. 218
Mosena, Roberto p. 30
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
317
Nadeau, Maurice p. 265
Nascimbeni, Giulio p. 163 (n)
Nietzsche, Friedrich Wilhelm p. 90, p. 291 (n), p.
293, p. 296
Olivero, Maria p. 274
Osiris, Vanda p. 19
Pandolfi, Vito, p. 256
Panetta, Maria p. 31 (n), p. 236 (n)
Papa, Franca p.76, p. 76 (n), p. 78, p. 80
Papa, Santino p. 76, p. 76 (n), p. 78
Papini, Giovanni p. 291, p.296
Pascal, Blaise p. 220, p. 224, p. 233
Pascoli, Giovanni
Pasolini, Pierpaolo p. 32
Pavese, Cesare p-73, p. 199
Peja, Laura p. 92, p. 92 (n)
Perilli, Plinio p. 32
Pierangeli, Fabio p. 11, p. 86 (n), p. 138 (n), p. 220
(n), p. 239 (n)
Pinotti, Giorgio p. 32
Piovene, Guido p. 292
Pirandello, Luigi p. 96, p. 254, pp. 263-274 (n), p.
287 (n), p. 301, p. 301 (n), p. 304, p. 307
Pisaneschi, Rosina p. 297
Plutarco, p. 279, p. 281, p. 283 (n)
Pontiggia, Giuseppe p. 247 (n)
Possenti, Eligio p. 256, p. 264 (n), p. 302, p. 304, p.
307
Praga, Marco p. 302
318 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Proclemer p. 272
Proust, Marcel p. 85, p. 264
Rabelais, François p. 265 (n)
Racine, Jean p. 92, p. 98
Radice, Raul p. 267, p. 272, p. 273
Raffo, Silvio p. 16
Rebora, Piero p. 179 (n), p. 180 (n), p. 284, p. 285
Rensi, Giuseppe p. 85, p. 245 (n), p. 297 (n)
Ricci, Aldo p. 280
Rinaldi, Rinaldo p. 11, p. 32, p. 70, p. 70 (n), p. 224,
p. 246 (n), p. 284 (n)
Ruggeri, Ruggero p. 252, p. 284, p. 302
Rossi, Alberto p. 282 (n)
Rousseau, Jean-Jacques p. 85
Santurbano, Andrea p. 12 (n), p. 16, p. 32, p. 86 (n),
p. 88 (n), p. 209 (n), p. 217 (n), p. 240 (n)
Sardou, Victorien p. 252, p. 302
Sarfatti, Margerita, p.202.
Scudder, Giuliana p. 174
Shakespeare, William p. 155, p. 158 (n), p. 179 (n),
p. 183, p. 252, p. 260, p. 276, pp. 277-284, p. 299 p.
312
Shelley, Percy Bysshe p. 251
Shiller, Friedrich p. 91, p. 291
Simmel, Georg p. 295, p. 297 (n)
Simoni, Renato, p. 256, p. 289, pp. 302-304
Socrate p. 91 (n)
Soldati, Mario, p.33
Spaini, Alberto, p. 257
Spengler, Oswald p. 296, p. 297 (n)
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
319
Squarzina, Luigi p. 263 (n), p. 264
Staudte, Wolfgang p.258.
Streheler, Giorgio p. 251, p. 257, p. 282, p. 298
Steiner, George p. 173 (n), p. 175, p. 175 (n)
Stirner, Max p. 296
Strindberg, August p. 91, p.262
Svevo, Italo p. 32
Shaw, George Bernard p. 255, p. 264
Strindberg, August p. 90, p. 262
Szondi, Peter p. 91, p. 91 (n)
Taine, Hyppolite p. 287
Tecchi, Bonaventura p. 292
Terron, Carlo p. 273
Terziroli, Linda p. 10, p. 16, p. 32, p. 33, p. 88 (n), p.
102 (n), p. 123, p. 123 (n), p. 166, p. 219, p. 219 (n),
p. 223, p. 223 (n)
Testoni, Alfredo p. 302
Testori, Giovanni pp. 18-19, p. 163 (n)
Thibaudet, Albert p. 301
Thoreau, Henry David p. 150, p. 245, p. 246 (n)
Tieri, Vincenzo p. 300
Tilgher, Adriano p. 296 (n)
Tomasi Di Lampedusa, Giuseppe p. 15
Tonta, Pierino p. 76, p. 77, p. 78, p. 79
Valli, Romolo p. 270, p. 271, p. 273 (n)
Vignola, Bruno p. 292 (n)
Vildrac, Charles p. 300
Villani, Paola p. 10 (n), p. 11, p. 31 (n), p.72, p.221
Violini, Chiara p. 244
Visconti, Loredana p. 17 (n)
320 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Visconti, Luchino p. 18, p.128, p. 196, p. 252
Voltaire p. 292
Weber, Luigi p. 86 (n)
Weigel, Helene p. 260, p.261
Weiss, Lucia p. 85
Weiss, Peter p. 261, p. 274
Wilde, Oscar p. 252, p. 296
Williams, Tennesse p. 305
Wright B., Louis p. 158 (n)
Zolla, Elémire p. 261, p. 262
Zorzi, Guglielmo p. 302
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
321
322 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
INDICE
Introduzione .................................................7
L’attesa e i luoghi della fine. Icone
morselliane ................................................ 38
Tu, ti ........................................................................ 40
“A lei solo il massimo riserbo” .......................... 48
Attesa, dissipazione, testimonianza ................ 54
“Affannarci verso mete che egli sa non
toccheremo mai”.
Uomini e amori,
Dramma Borghese, la tradita utopia
comunista ................................................... 81
Affannarci .............................................................. 83
Altri medici .......................................................... 100
Ilaria, amante borghese. La guerra, gli
abbracci, il tradimento.......................................106
Aerei
(Sweet love, renew thy force) ................... 143
Attacchi aerei ....................................................... 145
L’erba cresce su rottami di modernità ...........150
Il comunista e i neri ............................................ 153
Infarto, esiste allora una medicina? (Ancora su
Il comunista) ........................................................ 162
Amore (o morte) mostra la tua potenza ........ 176
Roma senza duce e senza papa .................. 193
Nipic e Karpinski ...................................... 216
Il teatro: “Un riepilogo degli uomini”. ..... 244
Riepilogo, fuga, solitudine ............................... 245
IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”
323
Intorno a Brecht ................................................. 256
Dal Metateatro alle (pseudo) avanguardie... 263
Personaggi e maschere...................................... 269
Il teatro verità. Shakespeare ............................ 276
Da Cesare a Cesare (e i pirati) ......................... 280
Faust o della necessità di agire ....................... 285
Altri ritagli e sottolineature ............................. 300
324 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI
Finito di stampare in proprio
nel mese di settembre 2012
UniversItalia di Onorati s.r.l.
Via di Passolombardo 421, 00133 Roma Tel: 06/2026342
email: [email protected] – www.unipass.it
Scarica