SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Area Letteratura italiana EX LIBRIS INTINGI LA MENTE NEGLI INCHIOSTRI ALTRUI DIRETTORE NICOLA LONGO (Roma-Tor Vergata) Comitato scientifico Mauricio Santana Diaz (USSP-Brasile) Patricia Peterle (UFSC-Brasile) Carmine Chiodo (Roma-Tor Vergata) Raffaele Giglio (Napoli-Federico II) Cristiana Lardo (Roma-Tor Vergata) 1 2 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Fabio Pierangeli SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI UniversItalia 3 4 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © Copyright 2012 - UniversItalia – Roma ISBN 978-88-6507-317-9 A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro. SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI 5 6 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI INTRODUZIONE INTRODUZIONE In scena con Guido Morselli (Il trenino di latta) 7 8 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI INTRODUZIONE 9 A cento anni dalla nascita, 15 agosto 1912, e a quasi quaranta dalla morte, molto deve ancora venire alla luce delle opere, delle riflessioni, delle pagine giornalistiche, della biografia di quel grande scrittore, sostanzialmente postumo, che è Guido Morselli. Le sue carte (alcune delle quali, di carattere strettamente privato, ancora in possesso degli eredi) vengono conservate al Centro per la Tradizione Manoscritta degli Autori Moderni e Contemporanei, fondato all’Università di Pavia da Maria Corti e diretto attualmente, con particolare attenzione a Morselli, da Maria Antonietta Grignani, a cui va la mia più sentita gratitudine per aver liberalmente concesso il lavoro sugli inediti morselliani qui presentati e commentati, in attesa di una edizione vagliata dagli specialisti filologi di quella importante scuola. Diversi numeri della rivista di riferimento del Centro, “Autografo”, hanno documentato negli anni il lavoro di archiviazioni, fornendo, per merito di Elena Borsa e Sara D’Arienzo un’ampia prospettiva del materiale ancora non pubblicato1. Anche per la narrativa, a cui è stato accordato il privilegio della pubblicazione presso Adelphi dal 1974, per la cura di Valentina Fortichiari2, in avanti, con otto roSi tratta dei numeri di “Autografo”, sempre curati, per quel che riguarda il Fondo Morselli, dalle bravissime Sara D’Arienzo e Elena Borsa, 33, ottobre 1996, Tracce di cultura lombarda dell’Ottocento, sulla narrativa e la saggistica, il 37, Ipotesi su Morselli, sul teatro e cinema, e il numero II della Biblioteca di “Autografo”, Guido Morselli. I percorsi sommersi, con numerose citazioni da inediti sui vasti campi degli interessi morselliani. 2 Come tutti i lettori di Morselli sanno, a Valentina Fortichiari si devono la cura della opere, delle note ai libri saggistici finora editi, le due fondamentali monogra1 10 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI manzi (incluso quel Brave Borghesi pubblicato solo nel primo volume della Collana Argo, di cui il secondo, con i romanzi della maturità, non è attualmente nei progetti Adelphi) si possono registrare gli abbozzi di due romanzi Uonna e Mia celeste patria. La pubblicazione del Diario, sempre per Adelphi, rimane monca di brani giudicati troppo privati, così come la gran parte degli epistolari, anche questi evidentemente di carattere privato, mai venuto alla luce, se non con le citazioni emerse nei lavori di Valentina Fortichiari. Grazie a Linda Terziroli sono state pubblicate lettere a personaggi vari conservate dallo scrittore dentro i libri della biblioteca personalecustoditi, per lascito degli eredi, al Fondo Morfie:Valentina Fortichiari, Invito alla lettura di Morselli, Milano, Mursia, 1984 e Valentina Fortichiari, Guido Morselli. Immagini di una vita, Milano, Rizzoli, 2001. Tra le prime monografie si rammenta, in particolare, Simona Costa, Guido Morselli, Firenze, La Nuova Italia, 1981, Lessona Fasano, Guido Morselli. Un inspiegabile caso letterario, Napoli, Liguori, 2003 e l’importante studio di Paola Villani sugli aspetti filosofico-religiosi, Il “caso” Morselli. Il registro letterario-filosofico, Napoli, ESI, 1998. Punto di riferimento resta il convegno di Gavirate, Guido Morselli dieci anni dopo, edito nel 1984 dallo stesso Comune della casetta rosa, mentre una nuova stagione di studi si inaugura con le brillanti monografie di Alessandro Gaudio, Morselli antimoderno, Caltanisetta, Sciascia, 2011 e di Domenico Mezzina, Le ragioni del fobantropo, Bari, Stilo, 2011. A Gaudio si deve l’importante cura della Morselliana, numero monografico della rivista on line “Rivista di studi italiani”, n.2, 2009. Sul significato simbolico per l’ambito culturale del Novecento della prospettiva postuma l’importante volume di Giulio Ferroni, Dopo la fine. Sulla condizione postuma della letteratura, Torino, Einaudi, 1966 (poi anche con aggiunte l’editore Donzelli, 2010, Dopo la fine. Una lettura possibile). Un profilo di Morselli, con antologia, da parte di Ferroni in Storia della letteratura italiana, vol. IV, Torino, Einaudi, 1991. INTRODUZIONE 11 selli di Varese3. A Pavia, si vedrà nel corso di questo volume, sono custoditi interessanti epistolari con personalità del mondo cattolico e del giornalismo. Sul versante della saggistica religiosa, rimangono inediti i cospicui saggi Filosofia sotto la tenda e Due vie della mistica, con altri più brevi, meditati fin dagli anni della Guerra e almeno fino al 1956, anno della più acuta meditazione su queste tematiche, in quella che la Fortichiari definisce crisi religiosa. Di queste tematiche mi sono occupato in vari articoli apparsi in rivista e riuniti in Fabio Pierangeli, Incontro con Guido Morselli, Associazione San Gabriele, Roma, 2003 e in un saggio sul carteggio Morselli-Padre Mondin in uscita nel numero del dicembre 2012 di “Parole rubate”, rivista di uno tra gli studiosi più intelligenti di Morselli, Rinaldo Rinaldi. Altri appunti riprendono questo tema, in particolare Vangelo e peccato e Teologia in crisi, di cui si sta occupando Paola Villani, con un volume di prossima uscita. Testimonianza della attività giornalistica di Morselli sono i ritagli di giornale conservati, tra Varese e Pavia, attorno al migliaio, ma altri sono sicuramente stati dispersi per utilizzi vari in sede creativa e saggistica. Oltre alle testate canoniche, di non poco conto come fonti certe del lavoro dello scrittore, si segnalano le raccolte della rivista del Touring Club e della National Geographic. Il presente volume, dopo un capitolo introduttivo su quelle che ritengo alcune delle principali “icone” morselliane (immagini capaci di richiamare in ambiti assai diversificati temi ricorGuido Morselli, Lettere ritrovate, a cura di Linda Terziroli, Varese, Nuova Editrice Magenta, 2009. 3 12 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI renti, tra cui il trenino di latta dell’inedito “soggetto per un film” È successo a Linzago Brianza) rileva convergenze tra le opere edite e quelle inedite, servendosi anche dell’ampia documentazione fornita dalle sottolineature autografe di alcuni libri della biblioteca personale dello scrittore conservata nella Biblioteca civica di Varese. Incontro con il comunista e il testo teatrale L’amante di Ilaria (che ne è la continuazione diretta e le cui vicende rifluiscono nel Comunista), Il comunista e Il secondo amore, a proposito del finale, Roma senza papa e il soggetto di un’opera teatrale Cose d’Italia, sul tema dei vizi degli italiani, tra sarcasmo e amarezza, Dissipatio H.G. e la drammaturgia, solo manoscritta, Il redentore, tramite le evidenti affinità di due personaggi protagonisti, Nipic e Karpinsky. Attendo dall’Adelphi, ormai da un anno, una risposta sulla possibilità di pubblicare integralmente la produzione teatrale e, magari, anche le due sceneggiature citate. Intanto ho dedicato saggi specifici a tre opere teatrali inedite: Il redentore, Cesare e i pirati, Marx. Rottura verso l’uomo4, che non mi sembra il caso di riprodurre qui. Piuttosto mi preme, a vantaggio del lettore, dare ordinatamente, Per Il redentore rimando a: Una figura che si presta ad un’azione simbolica, in Guido Morselli: io, il male e l’immensità, edizione bilingue Italiano-Portoghese, con Antonio di Grado e Andrea Santurbano, Rio de Janeiro, Edizione comunità, 2012, per Cesare e i pirati: Cesare, la storia, la piccola Afrodite nera, in Guido Morselli, in Marx. Rottura verso l’uomo, sezione monografica della rivista “Sincronie”, n. 14, 2004, per il Marx: L’inedito Marx di Guido Morselli, “E’n guisa d’eco i detti e le parole”. Studi in onore di Giorgio Bárberi Squarotti, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006 4 INTRODUZIONE 13 quanto superficialmente, una ricognizione delle cinque (o, se si vuole, sei con la brevissima Tempi liceali) drammaturgie morselliane, rivisitate poi, nei vari capitoli, in ordine sparso, nei confronti tematici e stilistici che si è detto. Dedico poi al rapporto con i testi teatrali, partendo dalle annotazioni autografe su alcuni libri della biblioteca personale, una prima divagazione su di un materiale vastissimo, che merita sicuramente altri interventi di questo tipo. Di tre opere drammaturgiche si conserva un ampio materiale documentario, manoscritto e dattiloscritto, con varie stesure. Su preciso sfondo storico, due riguardano l’ ambiente “marxista”: L’amante di Ilaria ideale prosecuzione del racconto lungo Incontro con il comunista, e i cui personaggi rifluiscono in un episodio significativo, un racconto nel racconto all’interno del romanzo Il comunista. La seconda drammaturgia sul mondo comunista, Marx. Rottura verso l’uomo, del 1968, si situa, distanziandosi cronologicamente dalle altre, nella stagione della narrativa maggiore. Altro episodio storico in Cesare e i pirati. Dei due grandi uomini Marx e Giulio Cesare, si investigano i verisimili retroscena privati taciuti dalla grande storia, le influenze femminili, i patti che potevano cambiare la storia (altro tema caro a Morselli, si veda Contro-passato prossimo che riscrive il finale della Prima Guerra Mondiale) ma che non sono accaduti. In Cesare, perfino poeta in quella bella isoletta delle Sporadi meridionali, a sud di Mileto, vince la ragion di Stato, alla fine, contro i pirati (fatto storico) rappresentati di una società libera, esplicitata dalla ingenua limpidezza della fanciulla Purha, a cui il condottiero romano aveva giurato amore eterno 14 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI e autonomia per il suo popolo. L’utopia, ben delineata nei tratti tipici della commedia, sfocia nel sangue, nella ragione sinistra dell’istituzione, della formalità. In un clima meta teatrale, con inserti comici, con ritmi a volte troppo lunghi e insistiti per il teatro, si ritrae Marx nei tempi difficili della giovinezza londinese, fino al tentativo di accordo con cui Bismarck voleva legarlo a sé, al fine di renderlo innocuo per la Prussia e propria arma vincente nelle altre nazioni, se la sua dottrina rivoluzionaria avesse portato lo scompiglio, indebolendo gli Stati avversari. Suggestiva la figura, avvolta da un alone di pazzia “santa”, di sacro fuoco altruista, di Ilya Nipic, nel Redentore, l’opera teatrale del 1956 denominata dall’erede Maria Bruna Bassi (probabilmente non accorgendosi dell’indicazione autografo del titolo in un’altra pagina) secondo l’ambientazione e il genere letterario Commedia senza titolo. Nella Clinica di Oberstadt a Ostfalia, Germania del Sud-est il sett. 38. Testo in tre atti, arrivato soltanto nella sua versione manoscritta, fittamente lavorata, fino alla metà dell’ultimo atto risulta piuttosto chiaro l’andamento della vicenda, portata dallo scrittore ad una versione si direbbe quasi definitiva (seconda cartellina conservata a Pavia). Con molti richiami metateatrali, anticipando l’amato Dürrenmatt dei Fisici, Nypic, di origine boema, già con l’aura di santo, (“ha vissuto come un asceta, fin da ragazzo, praticando eroicamente la carità verso gli uomini. Nella casa paterna ospitava i poveri, e la sua sostanza era spesa per l’edificazione di un ospizio per i vecchi indigenti”) espone le sue idee umanitarie e religiose, accompagnato da vari segni divini, in un manicomio tedesco, durante il regime nazista. La di- INTRODUZIONE 15 scussione, a cui sarà chiamato dalle sospettose autorità cattoliche e protestanti (per una volta insieme, in modo sinistramente significativo contro di lui) riguarda il tema scottante di Morselli Unde malum?, con la netta avversione del protagonista al dogma del peccato originale, sostituito dalla sostanziale non colpa degli uomini che commettono il male per ragioni esterne alla loro volontà. Il “santo”, mentre concretamente aiuta ebrei a fuggire alla persecuzione, auspica, nei suoi diversi monologhi, una riconciliazione tra l’uomo e Dio, in cui però sia proprio il Signore, se vuole rimanere tale, a compiere un atto di vicinanza, quasi di pentimento per aver ammesso il male nel mondo. Dei due possibili finale di quest’opera, purtroppo incompleta, si parlerà brevemente nel quinto capitolo. L’interesse per il teatro di Morselli resta dunque vivo negli anni: L’amante di Ilaria data 1949 ma è concluso nel 1956, Cesare e i pirati, Cose d’Italia e Il Redentore appartengono agli anni ’50, il Marx al 1968. Di Cose d’Italia, 1956, ci è pervenuta soltanto la stesura narrativa del soggetto di cui si parlerà nel capitolo specifico, ponendolo in analogia con Roma senza papa; si tratta di una vivace commedia di costume, denominata non a caso “moralità”, soggetto teatrale, se si vuole dai risvolti amarissimi sugli italiani, non lontano, nelle conclusioni, dai celebri motti di De Roberto e del quasi contemporaneo Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, per cui si tratta, in ogni epoca storica, di cambiare tutto per non cambiare nulla. Non basta infatti a trasformare la mentalità degli italiani il cambiamento repentino di Benito Mussolini, dal regime autoritario alla Repubblica: il nuovo capo del governo democratico (del 16 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI resto succube in queste decisione di due donne, dagli obiettivi opposti) cadrà miseramente, per aver osato, dopo tanti benefici, caduto nella trappola dei viscidi inglesi, di eliminare il totocalcio e le case di tolleranza!!! (analoghi brani sarcastici sui vizi degli italiani si ritrovano successivamente nel romanzo Roma senza papa). Non tanto quindi il compiacimento di “cambiare la storia” quanto la constatazione della reiterazione di certi vizi atavici. A leggerla oggi, rivela la capacità profetica e mimetica del genio segreto, ancora, in buona parte, da scoprire, ma sui cui è rifiorito, negli ultimi anni, un vivo interesse, in particolare di giovani studiosi, come appunto la Terziroli, Alessandro Gaudio, Domenico Mezzina, Andrea Santurbano, accanto agli studiosi “storici” e fedeli dell’autore e alla costituzione, intorno a Silvio Raffo, alla Terziroli, alla nipote dello scrittore, la signora Loredana Visconti, dell’Associazione Piccola Fenice per la divulgazione delle opere morselliane e il Premio Morselli a Varese. Rivedute, corrette e “sottoscritte”, inviate per un eventuale utilizzo tra cinema e teatro, due straordinarie sceneggiature, a mio avviso, dentro il linguaggio tecnico scelto, da porre insieme ai capolavori morselliani. Il secondo amore, del 1950 e È successo a Linzago Brianza del 19701971. Se il primo si inserisce nell’atmosfera di una città d’arte, Vicenza, in tematiche e stili prettamente morselliani, con un finale riproposto, in altra chiave, ma con forti similitudini nel Comunista (si veda il capitolo Aerei), il secondo, della piena maturità, mi sembra rivelare un “altro” Morselli, capace di raccontare una storia dell’hinterland milanese. Del Secondo amore si riparlerà nel terzo capitolo. Nel “soggetto per un INTRODUZIONE 17 film” È successo a Linzago Brianza5 (diviso in due parti: A, trenta scene e B, ventiquattro scene), ritroviamo, a soli due anni dalla morte dello scrittore, alcuni dei temi caratterizzanti dell’intero itinerario di Guido Morselli: l’iterazione del nome Walter; la possibilità o il dovere di scegliere, all’inizio dell’azione, tra due donne dai caratteri opposti, Vanda e Raffaella (la scelta cade sulla più fragile, la prima!); la durezza del lavoro, che qui si incrocia con la sofferenza della malattia fisica e morale, della nevrosi, presunta o reale della protagonista, con lo spettro dei farmaci eccitanti e delle droghe; l’impossibilità di realizzare i propri desideri, noI materiali relativi al soggetto per un film È successo a Linzago Brianza sono depositati, come le altre carte morselliane, al Fondo Guido Morselli del Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia, attualmente diretto da Maria Antonietta Grignani, per volontà degli attuali eredi dello scrittore, in particolare la signora Loredana Visconti. A loro indirizzo di cuore la mia gratitudine. Si possiede una stesura manoscritta, conservata in un ritaglio di giornale da “La Prealpina” del 3 gennaio del 1971. Si tratta di un lungo articolo che riferisce delle attività della Compagnia dei Rabdomanti di Angelo Gaudenzi, sorta nel 1953. Il manoscritto (LB1.1 secondo la numerazione del fondo) reca la data tra parentesi quadra S. T, 7-12-70 e in calce 3-171 m3. La cartellina che li custodiva era presumibilmente stata usata in precedenza per altri lavori. La scritta in alto riporta il titolo del romanzo Contro-passato prossimo, biffato, come il titolo o sottotitolo Il trenino di latta. Nel frontespizio del dattiloscritto, 33 fogli, solo recto, è indicato “È successo a Linzago Brianza. Soggetto per un film”. Si possiede una ulteriore copia, con lievi correzioni manoscritte. Per la descrizione del materiale si rimanda a Elena Borsa, Il fondo Guido Morselli: materiale inedito, in Ipotesi su Morselli, Autografo, n.37, 1998, p.121. 5 18 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI nostante l’impegno e la volontà di cambiamento: la felicità è un lusso, parafrasando, negativamente, un titolo memorabile del saggio breve più importante di Morselli. Lo scrittore, nella sua riconosciuta abilità camaleontica, si confronta, con risultati estremamente positivi, con un soggetto che solo la miopia dell’editoria italiana lascia ancora inedito. Sperimenta un terreno insolito, quello delle classi popolari attirate da una prospettiva illusoria di agiatezza, in un ambito storico legato alla attualità italiana. In un titolo o sottotitolo non utilizzato, evocativo, Il trenino di latta, si oggettivizza quel desiderio attraverso una immagine all pervading che richiama una passione biografica ben conosciuta dai lettori di Morselli. Tale immagine si dilata, per rimanere lo sfondo metonimico e metaforico da cui deriva la sostanziale unità degli intenti e delle azioni di questo inedito soggetto per film. Per rispettare i necessari limiti di spazio di un saggio in rivista, darò solo conto, in questo contesto, dello svolgersi della trama, con qualche breve notazione. Nelle prime battute si presenta Walter, impiegato alle ferrovie nella modesta posizione di addetto agli scambi, deviatore in una piccola stazioncina delle mitiche Ferrovie Nord, Linzago. Il ragazzo aspira al concorso di aiuto macchinista e intanto continua, come nell’infanzia, a collezionare trenini. L’ambiente della periferia milanese, le stesse Ferrovie Nord, ci riportano a episodi del neorealismo, in particolare ai racconti di Giovanni Testori, compresi nel ciclo dei Segreti di Milano, al film di Visconti tratto da quelle narrazioni, Roc- INTRODUZIONE 19 co e i suoi fratelli. Se molto diversa risulta, rispetto a queste pagine morselliane, la durezza corporale e la violenza di alcune situazioni, il carattere dei personaggi, l’ombra delle droghe e della malavita, scendono a rendere tragico il destino del protagonista, animato da sentimenti positivi, rafforzati, almeno all’inizio, da una fede sincera. L’alienazione da lavoro colpisce duramente la coprotagonista della sceneggiatura, Vanda, che lavora in fabbrica e fa uso di medicinali eccitanti, il NERVIVAL. Bella, ma fragile e vanesia, la ragazza, fin dal nome, quello stesso della mitica Osiris, sembra uscita dai racconti di Testori. La dipendenza dagli eccitanti è all’origine favorita dallo stesso padrone della fabbrica, in un intreccio tra fatica del lavoro e nevrosi che desta l’interesse di Morselli. Nel dialogo delle brevissime scene II e III, Morselli mette in grado il lettore di capire l’orientamento della ragazza, rispetto alla più solida Raffaella. Tra le due compagne di lavoro in fabbrica, Walter sceglie Vanda, ricevendone se non amore, la scontrosa gratitudine per la devozione, nel miraggio di un matrimonio che la renda indipendente dal padre e, in fin dei conti, anche dal futuro marito, ben ponderata l’ indole sottomessa e docile del ragazzo che va a sposare (non prima di aver fissato i paletti per una convivenza non soffocante). 2 - L’interno della Tessitura. Dai telai in moto, il solito fracasso indiavolato. Vanda “stacca”, si rivolge all’operaia che 20 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI è in testa al suo telaio, le dice che non si sente bene. Non riprende il suo posto, dove la sostituisce la Raffaella che così deve fare doppio lavoro. Interviene la capo-reparto: Vanda accusa un forte male di capo. “Sei nei tuoi giorni?” “No, ma sto male lo stesso”. La donna le porta una compressa, lei la manda giù subito, poi torna al telaio 3 - L’intervallo della mensa, in Tessitura. La Raffaella osserva, all’amica: “Ne prendi troppe di quelle pillole”. Vanda: “A me non mi fanno male, anzi, mi levano il mal di testa e non mi fanno sentire tanto il rumore”. L’altra dissaprova: “Lo so, è per questo che i padroni ce le danno a gratis. Ma dopo è peggio. E tu ormai non puoi più farne a meno”. “Pensa agli affari tuoi”, ribatte Vanda. “Pensa al tuo Walter che ti piace tanto”. Il dato sociologico si presenta perfettamente realistico, in quel contesto, nella fiorente industria tessile del Lario, in una dimensione mediopiccola della provincia con le sue contraddizioni. La linea demarcata dal passaggio a livello divide, fisicamente, il mondo di Vanda dalla passione di Walter per i treni. Appena varcata la soglia della nuova casa, Vanda detta gli articoli di legge da rispettare nel modo più assoluto per la loro convivenza. Il padre di lei deve essere mandato nella Casa di riposo. Non desidera, per ora, figli, e soprattutto deve essere lasciata libera con i medicinali. A chiudere il dialogo, scena 14, ecco oggettivarsi l’ambito metaforico legato al trenino di latta: ha la strada segnata, dopo un breve corsa si rovescia: Vanda, interrompendolo: - Io ho bisogno i miei prodotti speciali, e questa è una cosa che tu non te ne devi occupare. Allora sì! INTRODUZIONE 21 vado bene se devo ricominciare come con mio papà. - Cosa è ‘sto discorso. - È che tu pensi ai fatti tuoi e io ai miei. (Cambiando tono:) Mobili, verniciature, roba di casa, lì sei padrone. Fa’ quello che a te ti piace, che io ci sto sempre. (Indicando una scatola di cartone posata sul davanzale di una finestra, unico oggetto visibile nel locale vuoto) Cos’hai dentro lì? - Un trenino. - Ah già, tu sei quello dei trenini. Walter apre la scatola: - Questo è quello che mi è più caro di tutti. E’ il primo che ho avuto. E’ a molla, funziona ancora. (Dispone i binari a formare un piccolo cerchio sul pavimento, e il trenino a molla si mette a correre intorno, finché dopo un momento deraglia e si rovescia). L’attraversamento dei binari sembra impossibile, se non attraverso un “accidente” che sposta decisamente l’ago del destino verso la registrazione cronachista, neutra e fredda del titolo: il decadimento fisico e mentale della ragazza è inesorabile, con il suo cadere nelle maglie della piccola malavita per procurarsi le pillole. Walter, quasi subito nello sviluppo temporale del soggetto, che non prevede flashback, resta vittima di un incidente sui binari. Diventato zoppo, deve completamente rivedere i suoi desideri per adeguarsi alla condizione di menomato. I sogni d’infanzia e adolescenza legati al trenino di latta si infrangono contro un muro: succede a Linzago Brianza! Deve adattarsi a diventare sacrestano dell’ospedale dove era in cura dopo l’incidente: 22 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI da buon cristiano, dopo una primo accenno di disperata ribellione, accetta la sua condizione ben diversa dal lavoro così fortemente desiderato di capo macchinista. Sposa Vanda e umilmente ne sopporta l’inquieta instabilità, fin quando il dolore per la sorte della donna si fa insostenibile e la sua fede religiosa crolla. Sia pur in contesti e in vicende eterogenee, le due sceneggiature (questa e Il Secondo amore, di quasi vent’anni precedente) ribadiscono la negazione della felicità, l’impossibilità a realizzare i propri sogni, dall’amore al lavoro. Abbandonando la tipica atmosfera borghese o intellettuale della stragrande maggioranza delle opere creative, Morselli ritrae personaggi popolari della periferia, sospesi tra campagna (valori ormai persi in Vanda, strenuamente difesi in Walter, ma destinati alla sconfitta) e città tentacolare, regno del vizio e dell’illusione. Se il sogno di diventare macchinista non si avvera, il modellino della locomotiva in mano a Vanda diventa lo strumento per un altro vizio, quello delle scommesse legate al gioco del calcio (come nel romanzo Roma senza papa e nella pièce teatrale, inedita, Cose d’Italia, protagonista un Mussolini convertito alla democrazia per volere delle sue amanti). A secondo su quale casella (1, X, 2), terminata la carica, il vecchio modellino si ferma, la ragazza appone i segni sulla schedina. Sembra, con quella emblematica trovata, attirare la fortuna: ottiene una discreta vincita che, tuttavia, ha l’effetto di condurla, alimentando l’illusione di benessere, con più de- INTRODUZIONE 23 cisione nella strada già intrapresa della dipendenza dagli eccitanti. Sarà un esercizio progressivamente più drammatico, l’immagine stridente tra il desiderio di vita e di identità espresso nei sogni (il trenino di latta) e la dura realtà, segnata dall’inadattamento della ragazza, facile posa della debolezza per far ricadere ogni fatica sul povero Walter. L’ambiguità del comportamento della ragazza non si scioglie fino alla fine: è vittima del sistema e insieme furba, disonesta, o, perlomeno, superficiale profittatrice. Proprio le scene in cui si tenta di ammaestrare la fortuna affidandosi alle traiettorie casuali del trenino, evidenziano le contraddizioni della ragazza. Alla fine di uno di questi esercizi, (scena quarta della seconda parte, notevolissimo brano di prosa, ben oltre la semplice costruzione di un soggetto) Vanda grida di volere uccidersi, ma poi facilmente, con allegria, mentre Walter è allo stremo (nella quinta scena, da considerare specchio rovesciato della precedente, il “bravo ragazzo” cerca conforto nel cappellano dell’ospedale che gli ripete solo formule astratte), si lascia trascinare da Vincenzo, un piccolo, spavaldo, contrabbandiere. Alla fine della prima parte, scena trenta, dopo aver spiegato a Walter il meccanismo con cui tenta la fortuna e, alle accuse di lui di non riuscire a disintossicarsi, risponde di essere una vittima: “Sono ammalata e non potevo lavorare”. È potenzialmente figlia della società dei consumi e del benessere, protende il suo sguardo verso la città, Milano, dove infatti, in auto, per procurarsi le pillole, viene accompagnata da Vincenzo, 24 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI dopo aver perso il lavoro perché sorpresa a rubare gli eccitanti. Come sacrestano, Walter vive esperienze di attivismo cattolico, di carità, e nello stesso tempo deve affrontare, tra scoraggiamenti e nuove trovate, la acuta sofferenza per l’evolversi della situazione di Vanda. La sua, a livello popolare, è pur sempre una dura crisi religiosa: la ragazza, invece di recepire i suoi continui gesti di attenzione, di carità, lo deride. Più aumenta lo spirito di sacrificio e l’altruismo di Walter, più la ragazza, capricciosa e a tratti bisbetica, sembra provar gusto a indirizzarsi verso una vita superficiale, priva di valori. Il passaggio a livello che divide i due giovani coniugi viene alzato anche attraverso il dialetto: per Walter riporta alle sane origini della campagna, per Vanda è un linguaggio ridicolo, da usare in modo ironico o, tutt’al più, per battibecchi personali. La ragazza preferisce ascoltare la televisione (dal linguaggio omologante) mentre Walter aggiusta, manualmente, con cura, i suoi trenini. Così la malattia: Vanda la esibisce a piacimento per giustificare al marito la necessità delle pillole. Walter, dopo sofferta meditazione, decide di assecondare la moglie: le procura, tramite un medico amico, le pillole. Siamo ormai in un territorio ideologico di piena scristianizzazione. Morselli rimane acuto osservatore del fenomeno che doveva trovare sviluppo definitivo, tra vita pratica e storia del pensiero, nelle pagine di Teologia in crisi, in cui lo scrittore auspica una maggiore vicinanza dei INTRODUZIONE 25 teologi alla gente comune, interpretando così anche lo spirito del Concilio Ecumenico. Ne è in bilico la ragione stessa della vita, proprio rispetto al fatto stesso di concepirla. Walter vuole dei figli. Vanda esige, preventivamente, prima di sposarlo, la clausola di non averli prima di due anni e snocciola senza vergogna al futuro marito le litanie delle sue libertà, alle quali non rinuncia. Dal matrimonio d’amore si torna, nella società ormai omologata al consumismo, all’ideale dell’assenza di fatica come obiettivo primario, alla stipula di un contratto, a parti invertite: qui è la donna a essere la più forte, capace anche di giocare con il suo corpo, sia per non rimanere incinta, sia per asservire l’uomo. Si fa sentire la voce della televisione, Mike Bongiorno e i suoi quiz sono altro oggetto dei sogni, nella incomunicabilità di fondo tra Vanda e Walter. Sono inserti realistici, notazioni di costume sui vertiginosi cambiamenti della società italiana di quegli anni, sul problema degli stupefacenti, con la corrosiva descrizione del medico chiamato a intervenire. Morselli si dimostra ben cosciente del problema delle droghe a livello sociale, stigmatizzando, negativamente chi ci specula, nella figura dell’ipocrita farmacista a cui Vanda si rivolge con piglio deciso e ricattatorio. Le divergenze etiche tra moglie e marito esplodono quando Vanda resta incinta: poteva essere la risoluzione positiva all’indolenza e alla fragilità della donna, che invece non smette di far uso di stupefacenti. Walter, duramente ammonito anche dalla madre, deve accorgersi della triste re- 26 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI altà. In un soggetto per un film, dove si riconosce la penna di un grande scrittore piuttosto che di un esperto di sceneggiatura, Morselli inventa un passaggio straordinariamente cinematografico. Immagina il suo Walter, fuori campo, assistere di seguito, in brevi sequenze martellanti, al rifiuto dei personaggi secondari del dramma ad aiutarlo nel tentativo di raddrizzare la depressione di Vanda. La ragazza viene descritta alla fine della scena in questione, immobile, con gli occhi dilatati, ancora una volta davanti al trenino di latta. Ci sono proprio tutti a dire di no alla buona volontà, sempre più disperata di Walter: medici, professori dall’insuperbito talento televisivo, la madre, il cappellano, la stessa Raffaella: 12 – Il Professore, in camice bianco. (In Ospedale, in piedi davanti alla porta con la scritta: “PRIMARIO”). (Walter, fuori campo, non si vede). - No, amico, non abbiamo sanitari specializzati nella dissuefazione da psichedelici, allucinogeni o stupefacenti in genere. A mio sommesso avviso, comunque, bisogna puntare sull’environment emotivo. Intendo nel clima psicologico in cui vive il soggetto. In quanto alla gravidanza: anche se è la prima, non credo possa giovare alla dissuefazione, al ricupero… Lei mi segue? - E è logico. La gravidanza è meramente un fatto della sfera fisiologica. L’abuso di stupefacenti appartiene alla sfera psichica, affettiva, volitiva. Lei mi segue? Non può influire! A mio sommesso avviso. INTRODUZIONE 27 Don Piero, in talare. In piedi davanti alla porta su cui si legge. “ALLOGGIO DEL CAPPELLANO”. (Walter, fuori campo, c.s) - Ti te set ‘na testa de sass. Dura cervice. Tu dovevi essere uno sposo missionario. Chiaro? Cosa conta se aspetta un figlio? Anche la mia gatta la fa figli. La coscienza religiosa del bene e del male, ci voleva. “Salvabitur mulier infideli per virum fidelem”. E tu? In che modo hai catechizzato tua moglie? Te ‘l disaria mi, in che modo. E sei inserviente dei misteri liturgici! La Raffaella (la compagna di lavoro della Vanda). In abito festivo, sui gradini della palazzina che ospita il “Cinematografo Elvezia”. (a Walter, invisibile, c.s.) - Guardalo qui il Walter, che si ricorda di me! Perché è nei pasticci. No caro mio, io alla Vanda non ci parlo nemmeno più. Dovrei invitarla, prenderla con me? Ma caro Walter, io lavoro, sono mica una viziosa. E alla festa, cerco di passarmela un po’, le balorde nevrasteniche o giù di lì, come la Vanda, sono mica divertenti, sai. Salve, ti saluto! Vieni anche te a vedere il western, se vuoi! La radiolina tascabile, posata su un banco in fondo alla cappella dell’Ospedale (accanto al banco, una scopa e la pattumiera). (Walter invisibile, c.s.) - Radio della Svizzera italiana, stazione di Lugano. Trasmettiamo la rubrica “Consultorio Coniugale, conversazioni con le giovani coppie”. - Amici, oggi ci sono tre letterine, tutte interessanti! Vediamo un poco, ecco ce n’è una firmata “Carta d’identità N° 00155.27”. Ci spiace di dover deludere lo sconfortato “marito lombardo”, che ci interpella. No, ancora non esistono prodotti farmaceutici, medicinali, utili per combattere la tendenza alla droga … Così, purtroppo, ci assicura il nostro consulente specializzato. E noi diciamo al giovane marito lombardo: vuol bene a sua moglie? Le dia dell’affetto, autentico affetto. Vedrà che sua moglie non avrà più bisogno di cercare evasioni 28 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI proibite. Passiamo alla letterina seguente: Cesira, da Mendrisio, scrive: Mi potete consigliare un fornello a gas che sia sicuro anche se il latte si versa e la fiamma si spegne? Qui diamo risposta affermativa … A ognuno di questi episodi segue un breve “flashback”, sempre lo stesso per quattro volte: l’immagine (fissa, un fotogramma isolato) della stanza in casa dei Marchiroli: Vanda con la testa sulla tavola, immobile, gli occhi dilatati e senza espressione, accanto al piccolo treno di latta, fermo sul cerchio dei binari. La scena descritta dalla madre di Walter nel suo racconto al figlio, sequenza 10. Lasciato solo da persone incapaci di uscire dall’abito angusto della propria professione per andare incontro a un’umanità ferita e bisognosa, Walter, sull’orlo della disperazione, tenta un azzardo, ottenendo solo l’ira della moglie. Il padrone della fabbrica è stato severamente punito dalla sorte: la moglie ha partorito due gemelli, l’uno è morto immediatamente, l’altro è una specie di mostriciattolo deformato. La causa è la medesima della malattia di Vanda: aveva permesso alla moglie di assumere sostanze stupefacenti. Walter, con una scusa, atterrito dall’idea che suo figlio possa avere gli stessi disturbi, avuto di nuovo le prove che Vanda non smette di assumere droghe, la porta a vederlo, dentro l’incubatrice dell’ospedale. La donna, davanti a quello spettacolo di deformità, finalmente scossa, accusa il destino e soprattutto proprio lui, il suo ex Principale, della condizione da cui è segnata per sempre. INTRODUZIONE 29 L’episodio non calcifica però l’affetto tra i due coniugi. La rabbia e la fragilità di Vanda hanno di nuovo la meglio. La fine incombe, Walter le ha tentate tutte. Il volto della ragazza rimane incorniciato da luci e da ombre: la sua invettiva non è priva di fondamento, così come l’accusa alla madre di Walter e ai responsabili della fabbrica di non averla aiutata, di considerarla alla stregua di una strega. Non possiede un briciolo di forza di volontà per sostenere una qualsiasi protesta per una condizione lavorativa più equa, trascinata dal miraggio di una vita agiata. Proprio nella scena finale, mentre Walter, esausto, corre al suo destino, come nulla fosse, intascando i soldi lasciati dal marito (“Dà fuori di matto, il mio Walter”), se ne torna allegra a Milano, con Vincenzo. I due binari corrono definitivamente per strade opposte. Walter, con il fermo proposito di farla finita, torna, come nelle prime scene, alla stazioncina, all’alba e incontra l’amico e sindacalista Salvatore. Aspetto il 137, dice al vecchio collega, che poi però lo vede incamminarsi non dalla parte della banchina, ma da quella opposta. La frase doveva essere interpretata alla lettera, dentro una amara ironia. La sagoma del treno “si precisa, ingrandisce”. Morselli non racconta l’impatto tra quel treno in corsa e il povero corpo di Walter. Preferisce racchiudere questa morte nel gesto del segno della croce, rapido. Ha un senso tutto questo? Quello che arriva non è un trenino di latta, né Walter può fermarlo da capostazione. I suoi so- 30 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI gni di macchinista si sono ben presto interrotti. Come profetizzato da Vanda, la morte è l’eco di un fatto di cronaca riportato sul quotidiano della infima provincia: “È successo a Linzago Brianza”. A questa neutra registrazione, Morselli attinge per il titolo del suo soggetto per un film, non utilizzando a tale scopo quell’immagine all pervanding, nel bene e nel male, il trenino di latta, correlativo oggettivo della felicità negata nonostante il lodevole impegno e la buona volontà, quella di tanti personaggi morselliani come del loro autore: consapevolmente o inconsapevolmente si sentono privi di cinismo e cattiveria, bersagliati, ingiustamente, dal destino. Nei due anni in cui, per motivi cronologici, ricordiamo lo “splendido” scrittore postumo, la rivista “In limine” che dirigo insieme all’amico Roberto Mosena, si pregia di accogliere i contributi dei più fedeli e anche dei nuovi cultori di Guido Morselli, lasciando “aperto” il numero, anche grazie al suo carattere elettronico digitale, da questo momento fino, almeno, al dicembre 2013. Iniziativa pensata da Roberto Mosena e dal sottoscritto, a cui con passione ha prestato la sua cura Alessandro Gaudio, per onorare dunque i cento anni dalla nascita, Bologna, 1912 e i quaranta dalla morte, Varese, 1973, a cui invitiamo a partecipare tutti i lettori di questo volume, nella forma che riterranno più consona. In una suggestiva commistione di comunicazione tramite la rete (che credo, eliminati i caratteri omologanti, sarebbe piaciuta a Morselli per quegli aspetti di libertà di espressione e comunicazione rapida) e di memoria cartacea, le- INTRODUZIONE 31 gata alla doverosa passione filologica verso un autore che (ha ricordato Maria Antonietta Grignani) non può ribattere o ribadire o verificare le scelte editoriali; la minuziosa, dilettantesca, cultura onnivora documentata, nella scrittura minuta, puntigliosa, nelle migliaia di pagine, di ritagli, di glosse, di appunti sparsi su qualsiasi tipo di carta, resa fragile, ingiallita, dal tempo e questa risorsa in grado di ricordarlo attraverso neutri monitor, da cui però si cerca di ricostruire interamente la sua condizione, anche molto sofferta, di “riepilogo” degli uomini, culminata in quella feroce responsabilità di sentirsi eletto o condannato, nella personale dissipatio, di fronte ad un mondo che non aveva voglia di ascoltare le sue domande radicali, la sua pignola insistenza per avere risposte non astratte sulle questioni ultime: il senso della vita, del lavoro, del male, della degenerazione delle ideologie e delle religioni, perfino della componente sacra e assoluta dell’amore (sensuale e caritatevole insieme), nelle beghe degli egoismi e della cattiveria umana, piccola e grande. Una forma utopica a volte quasi ingenua e fanciullesca, ovvero la forma di una intelligenza sensibile fuori standard, pericolosa per la rassegnata vita quotidiana di tutti, chi più chi meno. Il fervore degli studi recenti viene documentata anche dal numero monografico della rivista “Studium” sugli aspetti religiosi6 (in uscita a setSu queste tematiche, in particolare di veda Valentina Fortichiari, Guido Morselli. Immagini di una vita, cit., Francesco D’Episcopo, L’eresia del sentimento. Guido Morselli: i saggi critici, Osciana, Pomigliano D’Arco, Osciana, 1998; Paola Villani, Il caso Morselli. Il registro letterario filosofico, cit e tra i saggi Carmine Di Biase, Guido Morselli e il mistero del male, “Studium”, 2, 1978; Maria 6 32 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI tembre-ottobre 2012, con testimonianze e interventi di Tiziana Mainoli, che si avrà occasione di citare nel prossimo capitolo, Linda Terziroli, Dino Azzalin, Plinio Perilli, Andrea Santurbano), dal libro bilingue, italiano-portoghese, a tre voci, Antonio Di Grado, Andrea Santurbano e il sottoscritto, del numero monografico dell’inserto “Mosaico italiano” della rivista di Rio de Janeiro, “Comunità italiana”, presente nelle università e negli Istituti di Cultura di tutto il Brasile, dalla intensa partecipazione ai Convegni del Premio Morselli a Varese che nel 2012 ha raggiunto un livello internazionale e ha convocato personalità di spicco acquisite agli studi morselliani, come i filosofi Fabio Minazzi e Giulio Giorello, con la partecipazione di Giorgio Pinotti di Adelphi e Maria Antonietta Grignani; ha anche prodotto un riconoscimento significativo, grazie a Rinaldo Rinaldi, l’inserimento di Guido Morselli nel ruolo che gli spetta, ovvero tra i narratori italiani più importanti del secolo. Il profilo aPanetta, Da Fede e critica a Dissipatio H.G.: Morselli, il solipsismo e il peccato della superbia, in “Rivista di Studi italiani”, XXVII, 2, 2009,nel numero interamente dedicato a Morselli, a cura di Alessandro Gaudio; della stessa Panetta, in uscita nel numero monografico di “In LimineGuido Morselli”, un ulteriore approfondimento di Fede e critica in Morselli e Manzoni. Note a margine sulla morale cattolica; Rosa Maria Monastra, L’apocalisse ilarotragica di Guido Morselli, in AA. VV., Questo mondo, il male, l’apocalisse, Catania, Città aperta, 2011. Paola Villani prepara una edizione commentata di Teologia in crisi, in uscita il prossimo anno. Mi permetto di segnalare anche il mio volume, quasi orgogliosamente semiclandestino, in omaggio alla memoria di Morselli, Incontro con Guido Morselli, Roma, Associazione San Gabriele, 2003. Una bibliografia completa nel volume monografico di Domenico Mezzina, Le ragioni del fobantropo, cit. INTRODUZIONE 33 cutissimo di Rinaldi figura infatti nel prestigioso cofanetto in due volumi a cura di Rocco Morano, Narratori del Novecento, Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2012, insieme a Svevo, Moravia, Gadda, Calvino, Pasolini, Carlo Levi e pochi altri. In attesa delle decisioni sulla linea editoriale riguardo Morselli della Adelphi, la novità più interessante resta il prezioso volume Guido Morselli, Una rivolta e altri scritti (1932-1966), Bietti, 2012, per la cura intelligente e appassionata di Alessandro Gaudio e Linda Terziroli che raccoglie i brani “giornalistici” editi e dispersi su varie testate, in alcuni casi vere e proprie narrazioni autonome. Conferma ulteriore, ma anche sorprendente, di un talento raffinato, poliedrico, capace di investire della sua sensibilità particolarissima aspetti della realtà dall’alto e dal basso, senza una scala di valori precostituita. Nell’editoriale del numero monografico “aperto” di “In limine” citavo alcune espressioni dai ritagli di giornale conservati da Morselli e ora, ben divisi per testate in apposite cartelline, reperibile al Fondo Manoscritti di Pavia: una specie di ritratto per interposta persona, come nel caso di questa espressione di Carlo Bo, attribuita a Soldati per la pubblicazione del romanzo Le due città, (“Corriere della sera”, del 6 dicembre 1964) che lo scrittore sottolinea: Il rifiuto completo di quelle che sono le ragioni della moda. L’unico modo di essere autentico era proprio questo di non venir meno alle regole della sua educazione letteraria a costo di apparire ingenuo […] Uno scrittore che corre incontro a degli uomini in carne e ossa è uno spettacolo raro. 34 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Il 17 dicembre 1967, nell’articolo di Giovanni Grazzini, Farfalle nella notte, (sintesi autografa a penna: “Contro il prevalere della saggistica sulla narrazione”), quando il noto articolista e critico cinematografico si intrattiene sulla solitudine degli artisti, tema particolarmente sentito, Morselli sottolinea: “L’artista si integra spontaneamente nel mondo, senza bisogno di partecipare ai cocktails”. È un equivoco, aggiunge Grazzini, farsi mondano per capire il mondo. Sottolinea e indica ulteriormente con una freccia Morselli: “Quando invece la letteratura è cognizione della realtà attraverso una esperienza individuale pagata spesso con dolore e fatica”. Non serve credo commento: la parola dell’altro è efficacissima per descrivere, con intensità, lo “strano caso” Morselli. Martedì 14 aprile, con un appunto a matita sotto il titolo, Morselli definisce “ottimo” l’articolo di Virgilio Lilli Cultura di moda. Trova una sponda giornalistica tra le più autorevoli per una sua convinzione, portata avanti negli anni e mai smentita: il dilettantismo contro l’eccessivo specialismo, l’intelligenza, come qui Lilli, contro una cultura “eccessivamente aggiornata” e alla fine sovraccaricante, dove alla massa di informazioni acquisite non corrisponde un vero acume gnoseologico. Morselli sottolinea due passaggi inerenti alla narrazione, ma dunque la sua approvazione sembra incondizionata. Leggiamo l’icastico incipit di Lilli: Mi piace l’intelligenza autonoma. Autonoma anche dall’attualità della cultura. Mi piace l’intelligenza perfino svincolata dall’informazione. Mi danno fastidio le intelligenze nelle quali il primo ruolo è assegnato all’aggiornamento. La presenza troppo affiorante della cultura eccessivamente aggiornata INTRODUZIONE 35 toglie al talento l’attributo universale, lo trasferisce (e lo riduce) al particolare. Quello che può sembrare un paradosso per un giornalista, opinionista, reporter di grande valore, si spiega più avanti: se la cultura non può stare senza intelligenza, può accadere viceversa. La cultura deve essere lo sfondo su cui emerge la limpidezza e l’intelligenza del giudizio. Più avanti, si legge: “il nostro secolo, ricchissimo di informazioni ovviamente nuove, ha un umanesimo più pregno di aggiornamenti culturali che di intelligenza”. Il riflesso, tocca da vicino Morselli, è nell’arte, in fin dei conti colta, “ma non illuminante nel senso costruttivo”. La moda culturale soffoca l’originalità delle espressioni. Ecco le righe sottolineate da Morselli, nel punto in cui Lilli passa dall’arte figurativa ad altri generi, tra cui la narrativa, i quali: “si risolvono anch’essi nella mera adesione alla cultura di moda e ai suoi standard”. Ancora, sottolineato con una riga sul margine destro: “Scrittori anche eccellenti hanno rinunciato all’intelligenza come osservatorio individuale, per non ‘essere tagliati fuori dalla storia’ e cioè per il timore di non essere ‘culturalmente’ up date” 7. Probabilmente poteva piacere a Morselli anche la staffilata finale contro le due ideologie preponderanti in quegli anni, secondo la visione di Lilli, cattolicesimo e marxismo che, pur non rinunciando al dogma, poggiano quasi esclusivamente sulle ragioni alla moda, ravvicinandone le opposte concezione. Lilli conclude “La forza della ‘cultura’ marxista è pari oggi solo alla forza della ‘cultura’ cattolica: i due fideismi più aggiornati. La ragione – che è poi l’intelligenza nella sua accezione unica, laica, senza tempo, al di fuori degli involucri culturali d’attualità – sta divenendo, in tali condizioni, un pessimo affare”. 7 36 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Una pagina del Diario, giustamente ripresa più volte dagli studiosi e dagli appassionati di Morselli (una frase del brano rimane lo slogan dei depliant dell’anno centenario delle manifestazioni del Premio Morselli) aveva dieci anni prima, definito la vera cultura, distinguendola dalla erudizione (il rovescio della medaglia dell’aggiornamento culturale senza intelligenza) Ricordarla mi sembra il modo migliore per rimanere sulla scena accanto a Guido Morselli, sia pur a sipario chiuso, ascoltando le sue parole, la sua testimonianza, umanamente, per me (e spero di comunicarlo in qualche modo in questo volume) fondamentale8: L’erudizione è un possesso statico, acquisito una volta per tutte, che una salda memoria basta a conservare. La cultura dell’individuo è sempre sul farsi, o non è. L’uomo colto non è chi sa, ma chi apprende. Un professore d’università che giudichi di saperne già abbastanza per tener lezione ai suoi allievi, o per compilare qualche articolo o relazione, e che dunque si esima dall’imparare ogni giorno qualcosa, dall’accrescere con la propria riflessione e meditazione ciò che sa, è più lontano dalla cultura di un operaio che frequenta la scuola serale. Non basta. A differenza dell’erudizione, la cultura è un fatto non soltanto mentale. – È una qualità che attiene al carattere, che presuppone nell’individuo un certo atteggiamento. Si suol ripetere che la cultura genuina è, di norma, anche educazione dell’animo, e che ingentilisce i costumi, che eleva il sentimento. Questo è vero, sebbene sia un luogo comune. […] Cólto – e non puramente erudito, quantunque “sappia” molte cose – è l’uomo che sente il dovere di alimentare il proprio spirito assiduamente, quo8 Guido Morselli, Diario, Milano, Adelphi, 1988, p. 185. INTRODUZIONE tidianamente: e che adempie a questo dovere verso di sé con diligenza, con tenacia, quali che siano (e magari avverse, impropizie) le circostanze in cui si trova a vivere. 37 38 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE. ICONE MORSELLIANE L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 39 40 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Tu, ti L’attesa di un incontro eccezionale, dai caratteri di un evento innovatore, avvertito come possibile metanoia, infiamma numerose pagine di Guido Morselli. Nel passato, nel contro-passato, nel divertimento o nella commedia, nella dissipazione e nella mancanza: quasi sempre nella dimensione temporale, geografica, sentimentale di un’epoca (privata o storica) al suo luminoso crepuscolo. L’Evento, quello che merita la maiuscola per la sua unicità radicale, avviene, accade, in una forma paradossale o addirittura rovesciata (la solitudine rispetto alla prospettiva di un incontro) in quello che resterà l’ultima narrazione: Dissipatio H.G.. Prevede la “fine”1 dell’umanità, la sua scomparsa, rapimento, estinzione oppure assunzione angelicata nel cielo della pace, preparato misteriosamente da una ignota Provvidenza. Un testimone rimane solitario a ripetersi le domande di sempre in quella spettrale (e in certi momenti grottescamente allegra) situazione: prescelto e, quindi, redento o dannato ai tormenti della solitudine angosciosa? Prima di questo Evento supremo raccontato in Dissipatio H.G., Morselli, in modi diversi, mette in scena l’attesa: si attende una visita o si va a visitare qualcuno. Se si riesce a incontrarlo, tangibilmente, come accade ai due Walter, protagonisti l’uno di Roma senza papa, con GioSi veda una pagina del Diario, Milano, Adelphi, 1988, da pag. 329, in data 26 febbraio 1969, decisamente ironica, sulla idea della fine che hanno gli uomini, e su quella di Morselli che prevede invece una situazione a gambero, di ritorno alle scimmie (il ritrovamento “dell’età dell’oro”). 1 L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 41 vanni XXIV, l’altro di Contro-passato prossimo, che deve incontrare l’Arciduca ereditario, il colloquio è breve. Una traccia nella nebbia, sulla sabbia, destinata, a germogliare, nel primo caso, solo per l’interiorità del protagonista, nel secondo, per fortuite circostanze, in mano ad altri (tra cui un altro Walter, il grande Rathenau). Non meno importanti, come vedremo, le attese e gli incontri di un terzo Walter, Ferranini de Il comunista. L’attesa angosciosa del medico chiude senza soluzione il Dramma borghese, come, non senza analogie con il romanzo precendente, quasi a chiudere un cerchio ispirativo, Dissipatio H. G.. Newcomer, pragmatico e competente medico americano, rappresenta il simbolo di una rinascita possibile, fisica e spirituale per Walter Ferranini, nella parte finale de Il comunista, romanzo dedicato al disgregarsi della autentica “fede” comunista nelle beghe di potere della Roma parlamentare dei primi anni Sessanta, intravista e sofferta (fino ad un processo subito a causa di un intelligente saggio sulle condizioni dei lavoratori) da un autentico attivista della base emiliana, Ferranini appunto. Sospeso tra il cielo e la terra, su un aereo che lo riporta in Italia dagli Stati Uniti, Walter vorrebbe prolungare quello stato di non scelta, ritardare il momento di dirigersi verso una svolta. Anche in questo caso, il finale viene sfumato in un orizzonte di possibilità: non sapremo se Walter tornerà mai in quella Roma corrotta, dopo la sosta in Emilia, oppure (si veda il capitolo terzo Aerei), affonderà nell’Oceano, con un sorriso sulle labbra. Tra i tanti altri protagonisti dell’opera di Morselli, Purha aspetta Giulio Cesare (opera teatrale Cesare e i pirati), ma il “condottiero” tor- 42 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI nerà completamente trasformato, dopo aver anche lui vissuto una sospensione dei doveri della “politica” nell’isola dei pirati, aver “congelato” la sua ambizione cinica, rientrando spietatamente nella maschera della ragion di stato; il simpatico Warnebold, personaggio “minore” perfettamente in linea con l’idea morselliana del contropassato (critica alla storia e invenzione di un’altra concreta e possibile verità non voluta dagli stessi protagonisti, stretti in necessità estrinseche alle scelte veramente umane), attende una risposta da Marx nell’opera teatrale dedicata al padre del marxismo2, per concludere un accordo che lo avrebbe reso famoso. Non deve attendere molto: il “filosofo” rifiuta le proposte di Bismarck da lui presentate in qualità di ambasciatore di fiducia. La storia lo condanna al silenzio, all’ombra, all’attesa perenne: non avrà occasioni di riscatto. Ridimensionato a piccolo funzionario in pensione, avrà occasione di incontrare nuovamente Marx (e Bakunin) in incognito in un albergo per turisti in Svizzera. Luoghi ben noti ai lettori morselliani, gli alberghi funzionano come territori di passaggio, magari di divertimento e di vacanza (Divertimento 1889) ma pur sempre instabili. Claustrofobici nel caso di Dramma borghese, tempio del turismo deleterio e divenuti veri e propri sepolcri per il protagonista di Dissipatio H.G. che in quelle stanze e corridoi deserti vive uno dei suoi peggiori attacchi di terrore. In preda ad una inutile ribellione, si spinge fino a dar fuoco al relitto, altrettanto inutile, dell’albergo della regina Vittoria. Guido Morselli, Marx, rottura verso l’uomo, 1968, pubblicata a mia cura in “Sincronie”, VII, n.14, 2003. 2 L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 43 Toccherà alla lieve, emozionante, charitas dello scrittore segreto tentare di dar luce all’oscuro Warnebold, come a tanti altri personaggi, primo fra tutti Walter von Allmenn, come lui rimasti nell’ombra della storia3. Dipingo, dice von Allmen, il Walter di Contro-passato prossimo, per me e per l’arte, non per il successo. Klimt e Hodler lo incoraggiano. Questo romanzo, oggi famoso, che racconta la Prima Guerra Mondiale in altro modo, contiene una specie di apologo acutissimo e profetico in forma di dialogo con un editore. Passando dalla finzione alla storia ci potremmo chiedere: chi incoraggiò Morselli, chi lo aiutò con gli editori? Tra gli amici l’influente Dante Isella, suo concittadino, lo scrittore Piero Chiara, che invece, in modo totalmente assurdo, lo detestava (forse era invidia)?. Per opposte motivazioni, nessuno dei due, né altri intellettuali che si incrociarono con Morselli capirono la sua grandezza. Il revival delle sue opere, favorito proprio da Isella, suona come un risarcimento tardivo, postumo. Morselli, testardamente, continua a lavorare per sé (per capirsi e capire il mondo circostante) e per l’arte, nonostante gli brucino le bocciature clamorose, alcune arrivate quasi alla fine del percorso editoriale, come Il comunista e proprio Contro-passato prossimo. I suoi romanzi e i suoi saggi scelgono situaIn un colloquio informale con la Fortichiari è emersa l’esistenza di vari epistolari o tentativi di contatto con personalità del teatro, quali Grassi, Gassman, Buazzelli: per ora, per volontà degli eredi da parte della famiglia Bassi, le lettere restano inedite, giudicate “troppo personali”. 3 44 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI zioni e scenari diversi, caparbiamente; ripresentando da vari punti di vista, in episodi eterogenei alcune problematiche ritornanti, in una energia narrativa e speculativa eccezionale. Si pensi ancora al divertissement di Divertimento 1889, con la regale figura di Umberto I intenta a cercare una fuga dalla impegni del suo ruolo, immergendosi nel clima della belle époque, presentendone la fine, ma dichiarando candidamente di godere dell’evasione di istanti irrecuperabili. Cadenze favolistiche in cui però si ritrovano temi costanti, le icone di cui si occupano i saggi di questo volume, modesto, ma sentito omaggio al genio segreto. Torniamo al senso dell’attesa di un personaggio o di un evento salvifico che, dunque, si raffigura in molti modi, a cominciare dal simbolo cristico a cui si allude nei personaggi medici o in quelli capaci di abbracciare, fisicamente e moralmente. persone sbandate o ferite. A cominciare dal primo romanzo di Morselli, Uomini e amori. La solitudine e l’attesa nel campo di guerra calabrese nella quale il giovane Guido avvia la sua speculazione, Filosofia sotto la tenda e Uomini e amori, è realmente un vasto, terribile teatro in cui risuonano domande, ingenue e radicali, eco di quella suprema, perché il male? Alla noia dell’inazione, di transiti occasionali, di non dimore, si sostituisce, bruciante, improvviso, il terrore dei raid nemici, della morte piovuta dall’alto. Il medico resta impotente assistendo alla strage, prende però consapevolezza della insostituibilità della sua missione caritatevole. Così, nel L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 45 capitolo finale di Uomini e amori, Saverio di fronte alla morte di Vito ferito dalle schegge provocate dal raid alleato. In un amante appassionato dei treni, non è da sottovalutare la valenza simbolica degli aerei di cui ci occuperemo attraverso una sceneggiatura inedita, Il secondo amore: terrore e morte dall’alto, transizione possibile e veloce da un passato ad un futuro altro, strumento privilegiato di una modernità lussuosa e futile (l’aeroporto di Crisopoli-Zurigo). L’attesa emerge disperata o ironica nei momenti della fine, dove il presentimento di una epoca nuova, migliore, è flebile, se non assente. Finis austriae in Contro-passato prossimo (ma di quest’ultimo ne riparleremo). Belle époque in Divertimento 1889, dove la fuga di Umberto nasconde solo parzialmente le angosce di un tempo di passaggio, nel quale l’euforia dell’Unità d’Italia ha lasciato il posto a pesanti conflitti sociali, di cui si avvertono presagi. Fine del Millennio in Roma senza papa, fine tragica degli ebrei e sterminio dei sudeti e degli ebrei nel Redentore; distruzione dell’isola dell’utopia in Cesare e i pirati; fine rocambolesca del fascismo “democratico” in Cose d’Italia, e ben tragica, preparata da una scena esemplare, rappresentativa della sofferenza senza senso dell’uomo, il termine della vita in Dramma borghese. Nel finale aperto di questo romanzo, il senso della fine e quello dell’attesa, si concretizzano nella aspettativa angosciosa di un chirurgo in grado di operare la ragazza che ha tentato il suicidio. Se Morselli volutamente ci lascia in dubbio sull’esito del tentato suicidio senza chiarire se la ragazza possa essere salvata dai medici, ben im- 46 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI presso rimane, nelle superba ironia del fobantropo, delineata dal recente libro di Domenico Mezzina, che la tragicità di una attesa, di un evento miracoloso, viene facilmente sostituita dagli idoli popolari. La maggior parte degli uomini non si pone domande, non vuole scendere negli abissi della ricerca, dimentica facilmente le questioni sul senso della vita, se una malattia o una sofferenza non ledono il quieto vivere. Ma gli idoli della dimenticanza rendono schiavi al potere delle mafie: in definitiva, per Morselli, l’uomo se le va a cercare, si sottomette facilmente a chi dona questa esistenza pacifica e un poco ottusa. Nell’Italia del contro-passato (Cose d’Italia) o del futuro letto con lo stesso metro di contro realtà possibile, non in chiave “fantasy”, di Roma senza papa, ma anche nel presente, nella sceneggiatura del 1970 È successo a Linzago Brianza, gli idoli sono i medesimi: il calcio (o meglio il totocalcio, le scommesse) e le donne facili e a pagamento (i bordelli, o simili, in termini attuali l’esibizione del corpo femminile a tutti i livelli). Mai provare a eliminarli: anche il più amato dei governi se dovesse legiferare in merito alla abolizione delle scommesse legate al calcio o alla prostituzione andrebbe incontro a una sommossa della società civile a tutti i livelli. Nella leopardiana fine del mondo in Dissipatio H.G., con l’indifferenza e a tratti l’allegria del mondo animale, si racchiudono il senso della fine e l’attesa del buon amico medico, tra Beckett, Dostoevskij, ricordi personali dall’ambito della guerra. Il celeberrimo Karpinski ricapitola in sé i caratteri dei medici apparsi nei precedenti romanzi morselliani, annullando nel proprio sacrificio i lati negativi: Saverio (Uomini e amori), Vanetti (Dramma borghese), Newcomer (Il co- L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 47 munista) e altri ancora. Si attende l’evento, dentro l’Evento della sparizione dell’umanità, nella città, Crisopoli-Zurigo, dell’opulenza che, peggio di Roma dei governi, è disponibile a tutto, ad ogni compra vendita, “ tranne ai miracoli”. Zavorrata dell’oro delle sue banche, non può “levitare nel meraviglioso, o anche solo nell’imprevisto”. Affiora, in quel contesto, l’icona forse più commovente di un volto femminile sospeso e in equilibrio tra carnalità e spiritualità, ribadendo l’“utopia” di Morselli: per riconoscere l’alterità bisogna che il libero eros si coniughi con l’esigenza spirituale. La mistica deve abbeverarsi al corpo, la sensualità deve abbandonare le gelosie e gli egoismi per abbracciare, letteralmente, il senso di limite, la paura della sofferenza e della morte. Si tratta della figura appena accennata, ma memorabile, della splendida Tuti: la donna del primo impacciato amplesso sessuale, diventa il Tu senza nome; l’attesa senza oggetto respira con ansia nelle pieghe di un letto sgualcito dove per la prima volta si è fatto l’amore4: So di trovarla […] La trovo. In qualche modo, la trovo: sul guanciale c’è l’impronta della sua testa, e nel letto non sfatto, con la coperta ben rincalzata c’è il peso lieve della sua persona. Mi siedo vicino al letto, vicino alla mia povera Tuti. […] Non c’è stato trapasso, malattia, agonia, angoscia. Lei non ha lasciato la città che ha preso (per me) il suo nome, né la sua casa, la sua camera; è qui, anche se non si offre ai miei sensi, stavolta, nemmeno alla mia vista. E non mi permette di darle una carezza sui capelli, ancora biondi forse. Mi tolgo le 4 Dissipatio H.G., Milano, Adelphi, 1977, p. 50. 48 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI scarpe, la giacca, rimango in calzoni e bretelle. Scusami, Tuti. “A lei solo il massimo riserbo” Torniamo a Von Allmen, protagonista di Contro-passato prossimo. La sua udienza con il Personaggio (l’Arciduca, effigie, forse, di un grande editore prossimo al rifiuto?), viene rinviata. La sua semplice e geniale idea, già consegnata alle autorità competenti sta incontrando il favore dei militari: la Edelweiss Exspedition, ovvero “la fulminea ingegnosissima operazione militare con cui gli austriaci conquistarono nel giro di poche ore l’Italia settentrionale”, “di nascosto” da lui che l’ha inventa tata e proposta, verrà applicata con stupefacente successo, capovolgendo le sorti della guerra. Tutto per merito del caso (o della necessità?): l’alto segretario dell’Arciduca, quasi cieco durante fastidiose emicranie, erroneamente inserisce il plico di Walter tra la posta vagliata positivamente e pronta per il Consiglio di guerra. Successivamente alla approvazione della sua proposta, tenuta segreta, Von Allmen, Maggiore dell’Esercito, che intanto ci ha deliziato con visite culturali di alto livello, viene convocato dal Personaggio. Poche parole: l’elaborazione della sua idea non spetta a lei, a lei solo il massimo riserbo. Allo stesso Guido è toccato in sorte il “dovere” di quel riserbo, trasmesso ai suoi personaggi, come Von Almenn, come il simpatico Righetti di Cose d’Italia, come Warnebold. Riserbo ormai intangibile. Come Morselli i suoi saggi e i suoi romanzi, Von Allmen continua a dipingere, diventa noto L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 49 critico d’arte. Quasi ad implicito contrasto con quel riserbo-condanna, alla sua E. E partecipa anche Erwin Rommel, che si dimostra giovane e impeccabile stratega. Il futuro nazista ribelle, dopo una eroica impresa aerea, scompare dalle pagine del romanzo per lasciare, idealmente, il posto, in una sinistra profezia, al suo superiore, descritto nelle innocue vesti di pittore, per un finale, oltreché letterariamente strepitoso (in un romanzo che forse, per i non appassionati di guerra, presenta qualche lungaggine di troppo) eccezionalmente significativo. Con la vittoria delle forze del centro Europa, Hitler, perché proprio di lui si tratta, resterà un semplice pittore, nel contro-passato di Morselli, eppure la sua presenza in questo contesto ha, comunque, il potere di evocare il male assoluto. Per arrivarci, lasciando al lettore che non lo avesse ancora fatto, di inoltrarsi nella perfetta geografia della Prima Guerra rivisitata in coerenza perfetta da Morselli, con il coro necessario della politica, una volta che, grazie alle Edelweiss Expedition, austriaci e tedeschi sono risultati i vincitori, dobbiamo conoscere l’altro protagonista, ancora un Walter, Rathenau, stratega e statista di primissimo ordine. Per Morselli, il più talentuoso e coerente della generazione transitata in quegli anni, tra imbelli Kaiser, dubitosi politici, ottimi soldati, buoni amministratori di nazioni (tra i quali il nostro Giolitti, molto meno il giovane Mussolini, il cui ritratto è impietoso, già protagonista, in vesti diverse, del contro-passato di Cose d’Italia). Lasciato von Allmen al suo destino e così Rommel e vari altri valorosi comandanti, il romanzo esalta l’idea dell’unico vero “antagonista”, ma su due piani diversissimi, dell’omonimo Walter. Semplifi- 50 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI cando, il tedesco Rathenau applica l’idea che, quasi per gioco, era stata quella di Cesare sull’isola di Farmacussa, poi vilmente abiurata, quella della socialidarietà che, in Roma senza papa, affascina don Walter, non dissimile alle teorie dell’ “altro” Walter, il comunista, Ferranini: una lega di stati, fondata sui principi di solidarietà socialista; non comunista (bellissimo il dialogo tra Rathenau e Lenin), quasi implacabilmente preda della dittatura del proletariato, ovvero di pochi politici come già è chiaro all’altezza temporale della messa in scena morselliana dell’immediato dopoguerra. Scampando ad attentati, imprigionato, liberato dalla rivolta popolare contro la destra militare dopo l’assassinio di Rosa Luxenbourg, Rathenau tesse una faticosa trama diplomatica e infine ottiene di veder nascere la sua Nuova Europa Democratica, la UNOD, federazione di Francia, Belgio, Italia, Germania, nucleo primario, in attesa di allargarsi, quando i tempi saranno maturi, ad altre nazioni. Quasi inutile sottolineare, in tempi in cui si discute d’Unità dell’Europa, cento anni dopo dalle vicende raccontate da Morselli a suo modo, a seguito di ben altre vicende storiche, l’attualità di queste proposte di contropassato. Se, come spiegato nel bellissimo intermezzo sotto forma di dialogo, alle insidiose domande di una presunto editore, il contropassato non cambia la storia, può influenzare per il futuro le coscienze degli uomini: è il caso ad esempio del cammeo di Albert Einstein sulla necessità della tolleranza religiosa. Da questo punto di vista, il messaggio di Rathenau è tra i momenti più positivi della narrativa morselliana, ponendosi, a parte l’utopia generale sulla politica delle nazioni, a servizio di uno L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 51 dei problemi più gravosi per il singolo uomo: il lavoro, proponendo una misura di solidarietà anticapitalista e anticomunista, basata sulla solidarietà. È l’uomo idea per eccellenza, con i suoi limiti certo, con il suo autoritarismo, anche prepotente, ma la cui azione rimane coerente con gli ideali. Il suo sogno, realizzato, termina con lui, con la sua stanchezza, a segnare comunque, realisticamente, dei limiti: l’epilogo, diviso in parti uguali tra i due Walter, non allenta, nonostante le premesse, l’idea di una fine, prevedendo anzi quella violenta intolleranza dalla quale prende le mosse, tra tragedia e commedia, l’opera teatrale Il redentore. Rathenau si ritira presto, dopo anni di prassi troppo assorbente, sente il bisogno della meditazione (altra icona morselliana, mai risolta, il difficile equilibrio tra contemplazione e azione, etica pratica e speculazione filosofica, mistica e carità). Il suo proposito di ritirarsi non desta “rammarichi” eccessivi. I politici di media intelligenza lo trovavano ingombrante e accaparratore. Il rude Rathenau lo sa bene: le istituzioni non si giovano dei personalismi. Ritirato lui, a breve, un altro, osceno, grottesco, megalomane e tragicamente violento personalismo, arriva al potere. Addio all’idea della lega degli stati, retta da principi di una economia solidale: si tratta della costante idea politica di Morselli, inutilmente sbandierata dai suoi personaggi, tutti, in diversi modi, schiacciati dal cinismo delle azioni di chi guida veramente la Storia. A Dresda, ai primi di novembre, l’altro Walter, ormai divenuto critico d’arte a tempo pieno, dimessosi dall’esercito, viene inviato a una mostra di pittura. Di ritorno, in treno, ritrova un compatriota incontrato alla mostra. È pittore 52 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI anche lui, si chiama Adolph Hitler, parla di Genio della Storia, dell’orgoglio della Razza, di una Arte che deve politicizzarsi, degli austriaci che devono riunirsi sotto la Grande Madre ariana e germanica. Qualche mese dopo, Hitler apre una personale. Von Allmen non ci va, ha idee completamente opposte sull’arte. Da quell’incontro casuale, avverte il clima viziato, soffocante di fine di un’epoca. La morsa terribile della Storia, “sacro mostro”, incombe5: In uno dei suoi proliferanti diari intimi, Tagebuch de Fine Austriae, si era segnato la sera stessa: “Questo povero Paese, ora minacciato in un’altra maniera, da un’altra parte. Non l’immaginavo, non l’aspettavo. Non certo per mancanza di pessimismo”. Von Allmen inizia a scrivere il diario della fine quando viene distrutta con un incendio quella bella chiesa barocca di Röschenen in Tirolo davanti alla quale, in contemplazione, si era aperto il romanzo. È un presagio funesto per l’Austria, a cui ne seguono altri, intonati al duello tra la Bellezza dell’Arte e l’avanzata della ideologia della Razza, dall’Austria alla Germania. A Von Allmen, il frazionamento del vecchio impero in tanti stati non piace: “a un amico triestino che gli aveva scritto annunciando una sua visita, meditava di rispondere: Mi rincresce, ora non siamo che degli estranei”. Eppure si definisce uomo di sinistra. Un lettore del “suo” giornale definisce “ingenui” i suoi interventi. Walter ripensa, come occasione sfumata, a tutte le vicen5 Contro-passato prossimo, Milano, Adelphi, 1975, p. 255. L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 53 de con cui si era aperto il romanzo, immagina più attenzione nei suoi confronti, da parte dell’imperatore, in un sogno ricorrente, anche questo imprevisto. Del resto la sua origine, ribadisce a Francesco Giuseppe, non è nobile, i suoi vengono dalla Svizzera, dalle montagne. Nel solito salotto da lui frequentato, non siede più Freud, ma un suo allievo, Karl Abraham: Walter, come Guido, guarda con sospetto alla psicoanalisi, ma “metodo e medico” non mancano di interesse. Ci prova e dopo cinque sedute, lascia un assegno e fugge. A cosa? Davanti al suo passato e al suo presente. Nel Tagebuch aveva appuntato una specie di massima per la vita (e la morte), entusiasmante, in fin dei conti, lasciando da parte la retorica dell’archeologia sentimentale. Potremmo essere meno lugubri, scriveva, e renderci conto che viviamo al cento per cento “sino all’ultimo respiro, vita psichica e organica che sia”. La morte riguarda solo i morti. Gioco aperto, consapevolezza, teatrale, di essere tanti io diversi, per vivere, o almeno cercare di vivere, sino all’ultimo respiro. Per superare, traumi evidenti, che il terapeuta elenca. Morselli non ha paura di mettersi a nudo, sul lettino della letteratura, nelle vesti di Von Allmen, esplicitando, con il filtro del racconto d’invenzione, alcuni suoi traumi: la Guerra, la morte, drammatica, della madre a soli sei anni e del padre a dodici (a Guido in realtà muore la madre a dodici anni), il conflitto edipico chiarissimo, come chiarissimi i luoghi sostitutivi dei genitori: la Natura materna, l’Imperatore (del sogno), il mito dell’Austria, il padre, di cui sogna la morte per il bene della nazione. Ora che è morto però, quell’imperatore vorrebbe risusci- 54 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI tarlo. Risuscitare il Mito della felice Austria. Morselli, genio segreto e creativo, non perde la sua ironia, anche nella profonda disperazione6: Niente nostalgia dei bei tempi: solo rimorso, pentimento. Amore, incestuoso, e morte, senso postumo di colpa, tentativo di redenzione. E perché no, dopotutto? Può darsi. Può darsi anche questo. Attesa, dissipazione, testimonianza Dissipatio H.G., scritto, come è noto, nel 1973, pochi mesi prima del suicidio dello scrittore, narra la storia di un uomo che ha deciso di scomparire, sottraendosi alla sostanziale “cattiveria” dell'umanità che lo circonda, organizzata in bande e in mafie che minacciano la sua proprietà privata, interiore ed esteriore. Il suo villino immerso nel verde delle montagne (chiaro il riferimento alla casetta di Gavirate, il suo personale eremo dagli anni cinquanta, assaltata dai rumorosi turisti e dal moto-cross7) è nel mirino Ivi, p. 261. Guido Morselli si fa costruire una casa nel bosco sopra il lago di Gavirate, a pochi chilometri da Varese, in quella proprietà donata, per lascito testamentario, al Comune di Gavirate e ora Parco Morselli. È il luogo della solitudine minacciata a cui allude il romanzo estremo. Lassù lo ricordano vagamente, per lo più in sella al suo bellissimo cavallo Zeffirino, taciturno, e spesso in compagnia di belle donne. Ecco come Maria Bruna Bassi, amica e prima erede testamentaria dello scrittore, descrive quel luogo in Valentina Fortichiari, Invito alla lettura di Morselli, Milano, Mursia, 1984, p. 20: “Da un lato una fuga di ghiacciai e sopra tutti il Monte Rosa gigantesco. Dall’altra e intorno soltanto grandi alberi e davanti un immenso prato, il laghetto 6 7 L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 55 dei potenti di Crisopoli, la “Città-dell'Oro”, con le sue 56 chiese e con un numero infinito di banche, in cui è raffigurata Zurigo. Il suo corpo, malato, è minacciato da una potente mafia radicata nel mondo della medicina8. Avevo deciso di uccidermi, anzitutto perché ero vittima di una mafia. E dalla mafia non c’è scampo. “Cominciò con una malattia”9. Sembrerebbe verde dove Zeffirino capriuolava e lui si sdraiava sotto lo sconfinato cielo in una smemorata solitudine. Amava il suo podere che per anni fece coltivare con perizia di agricoltore [...] Mi raccontava di gruppi di leprotti che saltellavano lì intorno per nulla intimiditi della sua presenza, di porcospini, di salamandre, di uccelli strani, di serpenti innocui e anche di vipere”. Scrive la stessa Valentina Fortichiari, a p. 24: “Negli ultimi anni Morselli era ossessionato dai rumori: bande di motocrossisti pare si divertissero a scorrazzare attorno alla sua casa, sul lieve rialzo erboso e nel bosco circostante. L’isolamento lo aveva reso vigile e sensibile, che persino gli sembrava di non poter dormire a causa del fruscio sul tetto di qualche innocuo animale notturno. Refrattario alla civiltà come amò definirsi, nel 1973 dovette fuggire il suo eremo violato [...] Non tornò alla grande villa familiare di Varese; ma abitò per qualche tempo in un appartamentino presso la casa dei custodi [...] Lì morì suicida, nell’estate di quello stesso 1973, il 31 luglio, di ritorno da un breve soggiorno a Macugnaga. Fra la posta aveva trovato due copie del manoscritto Dissipatio H. G. la sua ultima fatica letteraria; di una terza copia non se ne seppe più niente”. Fatti questi trasfigurati o addirittura profetizzati nella tragica conclusione in Dissipatio H. G., dove quella solitudine, dentro un nido, una tana, un grembo diventa la condizione dell’uomo. 8Guido Morselli, Dissipatio H. G., Milano, Adelphi, 1977, p. 20. 9Ibidem 56 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI malattia non grave, intrecciata con malesseri apparenti o psicosomatici, finché l'anonimo narratore non è costretto a rivolgersi, per consiglio dell’infingardo e interessato medico, a una lunga trafila di specialisti. Netto e doloroso è l’abisso tra il desiderio di essere curato con “un po’ d'umanità” e la constatazione della freddezza e del calcolo con cui agiscono “gli specialisti”: Cominciò con una malattia. Corporale, non mentale, vera, non immaginaria; cronicheggiante. Una di quelle malattie, però, che lasciano vivere e, curate con un po' d'umanità, guariscono. In concreto, stavo guarendo. Il medico, a Crisopoli, che avrebbe dovuto curarmi, mi mandò invece da uno specialista, e lo specialista da un radiologo[...]. Il brano continua con l'itinerario del malato da uno specialista all'altro per concludere10: Cose note a milioni di vittime, con le quali ero caduto nel racket della “diagnosi precoce”. Il fenomeno [...] ha le caratteristiche precise dell'estorsione mafiosa. La pagina resta memorabile anche per la minuta descrizione dell'ambascia del malato che si vede rimandare ogni volta l'aspettata sentenza, quel “verdetto c’è o non c’è”,11 fino alla consapevolezza di essere soltanto oggetto di speculazione. Durissima la critica di Morselli, a questo punto del romanzo, al sistema capitalistico, fondato sullo stesso tipo di asservimento, questa volta essenzialmente psicologico, pronto, cinicamente, a far leva sulla evidente fragilità umana. Più che a scopo di lucro per asservirla etica10Ibidem 11Ivi p.21. L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 57 mente a una umiliante schiavitù: Non penso più a drammatizzare, ora; ma ho idea che lo sfruttamento capitalistico, padrone su lavoratore, sia un ameno giuoco di società, a paragone qualitativo con quest’altra sudditanza coatta. Inevitabile: a escludere la fuga funziona il più vischioso, e il più feroce, dei ricatti. Mafia capitalistica giunta fino alle soglie della sua proprietà privata, ora seriamente minacciata. Affiora per questa e altre ragioni l’idea del suicidio. Per metterlo in pratica l’anonimo narratore prima sale verso l’alto a 1.600 metri (cammino rovesciato rispetto a quello dantesco e forse irrisione parodica della propria ricerca, letteraria, di Dio) e poi scende, verso una fossa piena d’acqua, chiamata il “lago della Solitudine”, nel tentativo di scomparirvi per sempre. “Un dissolvimento nel nulla”, silenzioso: il corpo non dovrà essere mai più trovato. Ma è proprio il corpo, si ricorderà, la pura materia, a ribellarsi alla morte, a decidere di vivere: Mi sentivo bene, stranamente, irriducibilmente bene. L’epilogo è in armonia con questo imprevedibile. Non ho agito. Sono stato agito dal senso organico, che è quanto dire: 85 chilogrammi di sostanza vivente non ubbidivano. Consci, a modo loro, della sentenza cui morire è cambiare materia, non erano disposti a cambiare materia. Alle 0,45 stavo già tornando lungo il cunicolo. Una volta al di fuori, ritorna alla sua casa e si corica accanto alla sua amica “dall’occhio nero”, quella pistola che lo accompagna nel “sonno mortale” di un gelido abbraccio. Fin dalla mattina seguente, prima incredulo e poi certo, suo malgrado, via via che gli indizi si fanno inconfu- 58 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI tabili, è costretto a rendersi conto di un incredibile contrappasso: se lui non è riuscito a sparire, capace solo di carezzare la compagna “dall’occhio nero” senza premere il grilletto, in quello stesso istante (che ci sia una relazione?) è l’umanità intera ad essersi misteriosamente dissolta, senza lasciare traccia alcuna, in quel mondo per il resto assurdamente rimasto intatto, tanto che, emblematicamente, le rotative del giornale per cui ha lavorato, sono ancora attive, come segreterie telefoniche, televisori, nastri di ogni tipo. Non improbabile, nell’elegante acume di Morselli, nell’atmosfera concretamente, minutamente, surreale, che il colpo di pistola sia partito davvero, e l’uomo si trovi sospeso in un mondo a parte, non meglio identificato. Incredulità, paura, rassegnazione, sarcasmo grottesco, critica feroce, pietas i momenti descritti nel libro, riepilogativi di tutte le icone più importanti della ispirazione morselliana, con la ricerca spasmodica di una traccia di una umanità autentica, di cui non si sa descrivere, neanche nella fantasia, i tratti, se non nel volto affiorante del dottorino, doppiamente significativo a seguito della denuncia della mafia della medicina. “Lasciati vedere”, il ritornello che accompagna quella improvvisa solitudine, accertata da segni inequivocabili e che sembra aver colpito l’intero mondo umano le cui tracce si cercano disperatamente, ora attraverso i telefoni, ora in visite lampo o più meditate, tra le quali spiccano quelle nei territori diversi del consorzio umano: dalle malghe di montagna alla desolazione degli alberghi, al lussuoso aeroporto, alla inquietante miniera, ennesima discesa ad inferos senza incontrare alcuna anima dannata. Di certo la memoria culturale e il sapere eru- L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 59 dito non sanno spiegare questo assurda scomparsa dell’umanità: ritorna il tema del mistero imperscrutabile, questa volta, a quanto sembra, democratico: ricchi e poveri hanno subito il dissolvimento12: L’ignoto mi è addosso, ecco sono solo, senza scampo. Non ho aiuto, non ho consiglio. A chi chiedere un esorcismo? Scienza, filosofia forse rimangono. In me, e sia pure al grado millesimale, e in barlume. Ma non hanno previsto niente di quello che succede, e non ne sanno niente. Sono io a sapere che, in ogni modo, ciò che succede non è pensabile, va oltre. Una creatura umana non è fatta per trovarsi a questo. È la mia sola certezza. Delle svariate citazioni presenti nel testo, valide come colloquio con i maggiori risultati (a volte anche i peggiori) del pensiero umano, mi sono occupato altrove. Qui sottolineo il sovrapporsi di due sentimenti dominanti nella camaleontica personalità di Guido Morselli e dei suoi personaggi: sete di solitudine, di annientamento, sentendosi già dentro la moltitudine degli altri escluso o condannato a causa di un male non commesso, e il desiderio di comunicare, di essere riconosciuto e accolto, “prediletto”, guardato e custodito da un “volto” caritatevole, se non divino13. Nel momento di crisi più profonda, della paura, del nichilismo, della possibile “fine” nell’idea del suicidio o della malattia, di essere già morto, 12Ivi p. 111. riferiamo, lo si è capito, anche alle vicissitudini editoriali di Morselli in parte ricostruite nel testo citato della Fortichiari e in Mario Baudino, Il gran rifiuto. Storie di autori e di libri rifiutati dagli editori, Milano, Longanesi, 1991, pp. 102—108. 13Ci 60 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI affiora, da un tempo non cronologico, quel volto misterioso che conserva i lineamenti del giovane ufficiale medico realmente conosciuto da Morselli14: Mi parlava spesso di queste sue drammatiche avventure [in guerra in Calabria] con un misto di pena, e direi, di un vago rimpianto. Ricordava lucidamente fatti, personaggi, luoghi, soprattutto l’ufficiale medico suo unico indimenticabile amico. Il dottorino Karpinsky diventa l’icona più rappresentativa dell’attesa, così diversamente presente nei romanzi e in modo affine nel Redentore per il teatro: forse di origine ebraica, è comunque figlio di tutte le chiese, riepiloga in sé i lineamenti del Cristo buono e, soprattutto, con le sue ferite, del Cristo patiens15: Karpinsky, amico Karpinsky, non ho che te. Il transfert non c’entra, tu lo sai bene. È che sono solo. Il mondo sono io, e io sono stanco di questo mondo, di questo io. Lasciati vedere. Lasciati vedere. Il ricordo affiora nei momenti più neri, quando si capisce di essere dentro una finalità malvagia: a quel terrore si era predestinati. Quella paura è stata creata per me, io ne sono il centro e lo scopo, pensa il fobantropo, non senza ragione. Se tutto ora è paura, Karpinski, ai tempi della degenza presso la sua clinica, gli aveva sussurrato dolcemente “guarirai”, anche se dovrai soffri14Ancora dalla testimonianza della Bassi in Valentina Fortichiari, Immagini d’una vita, cit., p. 20. 15Guido Morselli, Dissipatio H. G., cit., p.138. L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 61 re. In quella compagnia, nella speranza di un bene intravisto, il dolore “potrebbe” acquisire un senso, almeno essere condiviso. Nel ricordare quegli attimi di pietas, infatti, la sofferenza trova il conforto di quell’affettuoso abbraccio: il dottorino, contravvenendo ai regolamenti, gli si era seduto accanto, dopo aver raccolto nel giardino della clinica fiori spontanei, di campo. Sono i doni spirituali di questa figura cosi carnale e umana, assai giovane, tanto da meritarsi l’affettuoso nomignolo di dottorino. Come Nipic, il messia povero del Redentore, profetizza la sua morte, avverrà prima di quella del suo degente e ormai amico. La situazione, dentro l’Evento della fine e dell’attesa, non si svolge meno paradossalmente: il dottorino è deceduto da tempo, assai prima della svaporazione dell’umanità: si invoca, in lui, la presenza di un morto, e la si avverte vicina, prossima: ricordati di me. Nipic muore nell’identico modo, e nello stesso “spazio scenico” di Karpinski mettendosi in mezzo ad un lite tra due infermiere: sappiamo bene, e ci torneremo nel quinto capitolo, che si tratta di gelosia tra due personaggi femminili invaghiti del santo. Nel romanzo, Morselli resta generico, due anni dopo il loro primo incontro Karpinski si era buscato un colpo di coltello frapponendosi in una lite tra due infermieri (Nipic prende un colpo di rivoltella). Emorragia interna, ventiquattro ore di agonia. Attorno alla morte di Nipic, Morselli (la ricostruzione del finale, purtroppo, rimane ipotetica) vuole costruire un evento, probabilmente sfumandone le caratteristiche in un’aura di riconosciuta santità. La sua azione ha meravigliato positivamente, ha stupito e, in qualche modo, convertito, alcuni al- 62 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI tri attori della commedia, in prima istanza il medico direttore della clinica in cui l’azione si svolge. Anche Karpinski si rende capace, dovunque sia ora, di dirigere le azione del fobantropo. La descrizione fisiognomica del dottorino appare chiaramente tratta dai Vangeli (si confronti con Newcomer e con lo stesso Nipic che, pur non essendo medico, si trova in una clinicamanicomio in Germania, durante il nazismo)16: Sentivo una voce, la sua. Karpinski, il medico che mi curava, era un uomo intelligente. Indipendente di idee, o almeno non conformista. E era umano. Forse per questo non lo amavano. Assunto alla clinica da poco e già in attesa di dover lasciare il posto (e se ne andò prima della mia partenza), era trattato male da Wanhoff, mal pagato, mal stimato; cose che seppi da altri, non da lui; lui si accontentava del suo lavoro, pareva soddisfatto, e del resto di sé non parlava. Vedevo il suo visetto dalla barba castana (una barba castana bella, folta, ma che in lui era una stimmata), vedevo la personcina poco nutrita, accanto alla mia alta e massiccia. E teneva le due mani posate sul petto a me (in clinica non se lo sarebbe permesso), appese ai risvolti della mia giacca. Mi dona coraggio come allora, aggiunge il solitario protagonista, sento la sua voce viva: guarire dipende da lei, ripete come allora. Sembra accorgersene troppo tardi. In un contesto degradato, lacerato da diverse ferite, si cerca l’incontro e la presenza del dottorino, nella certezza che lui, a sua volta, lo sta cercando: anche se dovesse trattarsi di una allucinazione sarebbe “buona”. Karpinski è credente, ma risulta inutile cercarlo nelle chiese: citta16 Ivi, p.63. L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 63 dino di tutte le religioni stabilisce quello strano incontro proprio dove tutto cospira a tacere l’ineffabile, la salvezza: nel tempio del dio denaro, la Borsa di Zurigo. Se lui non viene in quelle chiese, elencate con precisione, deve essere trattenuto altrove. L’appuntamento è rimandato di poco, al Mercato, di fronte agli Uffici finanziari. La ultime pagine di Dissipatio H.G. (lo scrittore dimostra un particolare talento tragico negli explicit, come vedremo nel prossimo capitolo per Uomini e amori e Dramma borghese dopo aver qui considerato anche quello di Contropassato prossimo), quasi superfluo ricordarlo tanto è evidente, divengono il luogo della fine; ma anche, grazie a Karpinski e alla sua desiderata resurrezione, della palingenesi, della possibilità di una rinascita, magari dentro o oltre la sparizione. Finale da accostare, per il romanzo italiano, alla Coscienza di Zeno e a Palomar, in questa ottica. Libro feroce, dettato da una evidente instabilità psichica, genialità e sensibilità turbata dalle viltà del prossimo, da rifiuti in vari campi, da problematiche affettive, dominato dal terrore e da una superba allegria nevrotica, rispetto a quei modelli, grazie a Karpinski, conserva la dignità di una attesa senza oggetto, di una apertura più concreta, liberata, mi sembra, dalla componente sarcastica viva in tutto il soliloquio. Per cercare bisogna essere cercati (“ ‘En attendant Karpinski?’ Giusto il contrario. È Karpinski che aspetta me”) e per amare bisogna essere, prima, amati. Nonostante le ferite insanabili, anche le domande religiose, in questa atmosfera di capovolgimento della austera lezione di Beckett (a cui non si risparmiano ironie, cfr il sesto capitolo di questo volume), trovano imma- 64 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI gine, nel camice bianco e macchiato di sangue del dottorino. Più certo della speranza, magari in quei fili d’erba spuntati nel cemento, nel tempio della Borsa, gratuito dono (il Mercato dei Mercati si trasformerà in campagna), come quelli raccolto dal dottorino nella clinica, in cui era scansato e mal tollerato17: Non spero. Tuttavia sono venuto a Crisopoli per vederlo (il mio primo incontro cosciente con lui) e sento che lo vedrò. Vero e presente. […] Perché lui non viene per rispondere a dubbi, per fare annunci. È il piccolo semplice uomo di allora. Viene semplicemente, a cercarmi, e è già in cammino. La mia è una certezza, non propriamente un'attesa, e mi libera da ogni impazienza. Me ne sto a guardare, dalla panchina di un viale, la vita che in questa strana eternità si prepara sotto i miei occhi. L’aria è lucida, di un'umidità compatta [...] In tasca tengo, per lui, un pacchetto di Gauloises. Se l’uomo, in Fede e critica, si rivela come “un essere che ha bisogno di Dio”18 è necessario che qualcuno lo riveli, amandolo. Bisogno che si traduce, come nel bel saggio La felicità non è un lusso19, in quello, appunto, della felicità, parola 17Ivi p. 154. Morselli, Fede e critica, Milano, Adelphi, 1977, p. 18Guido 235. 19 Il saggio risale, secondo la datazione del dattiloscritto, al 17 settembre 1956, negli anni dunque in cui si svolge anche la stesura della trilogia di Fede e critica. Il saggio oggi si può leggere, come segnalato, nel volume omonimo a cura di Valentina Fortichiari, Milano, Adelphi, 1994. Scrive la curatrice, nelle note ai saggi, p.159: “Morselli sta attraversando una grave crisi mistico esistenziale. Lavora a due saggi — entrambi centrati sul problema del male e della sofferenza (Fede e critica e Due "vie" della Mistica, tuttora inedito) — e sulle pagine diaristiche ha ripreso con insistenza il tema del suicidio”. L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 65 così evidentemente descrittiva del desiderio umano, disconosciuta dagli pseudofilosofi parolai e invece al centro della speculazione del sommo Leopardi20: Fossero stati persone di buon senso, i nostri sapienti avrebbero convenuto che la felicità è quella cosa che abbisogna a ognuno di noi e che ognuno persegue, dall’infanzia alla morte, e che non è il caso di istituire una consorteria di "ricercatori della felicità", visto che tali siamo tutti quanti viviamo. Ma al buon senso i filosofi sogliono preferire il paradosso [...] presentando la soddisfazione delle nostre esigenze vitali come il programma di una "élite", un "otium" da raffinati e quindi alcunché di superfluo.. Invece, la felicità non è una cosa superflua, non è un lusso, e ciò per la buona ragione che è necessaria per vivere. Due "vie" della Mistica, il saggio inedito della metà degli anni Cinquanta, autonomo ma pensato quale terza parte della trilogia Fede e critica, comunica il senso della necessità assoluta del divino come compagnia stabile, concreta, che si affianchi — in un abbraccio salvifico — alla stanchezza e alla prostrazione, segno indelebile della condizione umana (per il cristiano conseguenza del peccato originale). Cristo è esempio, unico nella storia, come dimostrano le frasi del Vangelo i cui passi si commentano nel saggio21, di tale 20Guido Morselli, La felicità non è un lusso, a cura di Valentina Fortichiari, Milano, Adelphi, 1994, p. 93. 21Risulta del tutto evidente che le sottolineature appartengono allo stesso periodo e formino l’intelaiatura della trilogia di Fede e critica. È altresì evidente, anche per l’autorevole testimonianza della Fortichiari, come Morselli sia colto da una “crisi religiosa”, scaturita innanzitutto dall’attrazione" per la figura di Cristo quale appare nei Vangeli. 66 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI salvifica misericordia che si esprime anche solo con uno sguardo o un abbraccio. Abbraccio o sguardo, è il pensiero di Morselli, capace di riportare l’individuo al momento sublime della nascita, scoprendo la sua originaria creaturalità. Leggiamo a p. 41 del dattiloscritto inedito, conservato al Centro di ricerca sulla Tradizione manoscritta di Autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia: Qualche volta ci sentiamo, in questa nostra vita, dei doloranti nulla. Abbiamo torto. C’è stato uno sguardo divinamente sagace che ci ha scrutati, e per giustificarci, e a quello sguardo abbiamo rivelato una ricchezza di cui noi stessi non avevamo sentore. Se in Dissipatio H.G. si considera Karpinski unico amico, in apertura in Due "vie" della Mistica22 Morselli è esplicito: è accaduto una volta 22I manoscritti si presentano con cartelline separate con date apposte anche per ogni revisione, mentre il dattiloscritto, con minime correzioni autografe a penna, come consueto in Morselli, si compone di un originale e di due copie in carta carbone. Il saggio si divide in VII capitoli. Il primo e il secondo più tardi, del 1954, che, come si legge nel frontespizio della cartellina di tali capitoli, ad opera della D’Arienzo, sembrano essere scritti e corretti in un lasso di tempo relativamente breve, rispetto invece ai tempi lunghi di revisione degli altri, come il III e IV che recano, come data più alta 23/10/51, con revisione nell’autunno del 1954. Immediatamente salta agli occhi ciò che diventa per noi un elemento di valutazione critica importante: Morselli comincia il suo scritto per descrivere la carità come cardine della vita cristiana, intento a dimostrarne l’assoluta contiguità, in barba alla dottrina di tanti teorici nella Chiesa, con l’amore sensuale tra l’uomo e la donna, che permette di salvarsi dalla tentazione della solitudine e dell’egoismo. È sant’Agostino, dopo la sua esperienza di grande convertito, ammirata, lo si è detto, dallo L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 67 nella storia che un uomo ha amato veramente, innanzitutto, i peccatori e i malati. Il tema centrale del breve saggio vuole rispondere al quesito: come può l’uomo soddisfare il proprio desiderio di Dio (o, identicamente, della propria felicità)? Tutti hanno desiderato23, almeno una volstesso Morselli, ad aver accentuato questa divisione, per lo scrittore assolutamente negativa, se non nefasta. Risalta nello scritto il tentativo, proprio di tutta l’ispirazione di Morselli, di unire la carne e lo spirito, aspetti della creatura umana inscindibili, come si vede anche nei due romanzi iniziali, precedenti di alcuni anni a questa trilogia e nati dall’esperienza tragica della guerra, Uomini e amori e Incontro con il comunista. Sui manoscritti i capitoli hanno i seguenti titoli, che facciamo seguire alla data di inizio con quella dell’ultima revisione: I Che cosa è mistica (dal 3/9/54 al 8/10/54); II La mistica e i suoi pericoli(dal 20/27 —9—54); III Amore e carità 23/10/51 al 23/3/53); IV Carità e mistica (dal 23/10/51 al 28/1054) V Ascetismo e Vangelo (non è chiara la data d’inizio revisione 2/XI 54); VI La "Piccola Chiesa" e l’idealismo cristiano (dal 13/3/51 al 1/4/52); VII La situazione dell’uomo moderno (dal 17/5/52 al 12/54). Sul dattiloscritto appone i titoli a mano cambiando i seguenti: I Due "vie" della mistica; II Qualche osservazione sullo stesso tema (nella seconda copia Qualche riflessione sullo stesso tema); III Dell’amore (e dell’amore secondo i cristiani), IV rimane senza titolo; VII I due problemi che dobbiamo risolvere. “Uno degli aspetti del credere religioso, è il desiderio di Dio” dichiara immediatamente Morselli, non riservato ad anime nobili o particolarmente sensibili. Se infatti in alcuni mistici vige una specie di aristocrazia dello spirito che talvolta si tramuta in misantropia, i Santi “non solo non li odiarono [gli uomini] ma li amarono con passione. Cercarono il loro Dio stando fra gli uomini, spesso lo cercarono entro gli uomini”. I mistici più autentici non tacciano questo aspetto altruistico, fedeli a Cristo, come Bonaventura che esclama: “Beati quello che lo videro in carne”. Nella biblioteca di Varese, dove sono conservati i testi appartenuti a Morselli, è facile verificare la fonte principa23 68 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI ta nella vita, un rapporto diretto da uomo a uomo con Cristo, come è accaduto in quei tre anni agli apostoli o alla gente comune che Lo incontrava. Desiderio, ci tiene a specificare Morselli accingendosi a parlare di misticismo, che non porta a “odiare” gli uomini (anzi alcuni mistici “Lo cercano entro gli uomini”). Leggiamo ancora dall’inedito, trovandoci tracce della voce di Karpinski quale figura riepilogativa dell’utopia dell’Uomo carità, nei limiti in cui la società lo costringe, come Nipic, alla emarginazione: Qualcuno ci mormora dentro, con “quella” voce: vi amo, volgetevi a me. Sono la vita nella sua perfezione, sono colui che vince il male e la morte, e voi mi potete vedere e toccare. – Là bisognava essere, lungo il suo cammino, in uno di quei villaggi della Galilea. le, con apparato bibliografico annesso, su cui lo scrittore ha letto i mistici: I mistici del Duecento e del Trecento, a cura di Arrigo Levasti. Milano—Roma, Rizzoli, 1935 (il saggio iniziale di Levasti è postillato e sottolineato) e I mistici medievali, a cura di Giovanni Maria Bertin, Milano, Garzanti, 1944. Già dal capitolo iniziale, si può notare come le frasi e gli esempi citati: l’immagine del fiume di Teresa d’Avila, i tre gradini dell’estasi di Bonaventura e Angela da Foligno, la mistica dell’ego di Echkart, l’esempio del pesce di Caterina, sono tratti dall’antologia del Levasti. Le sottolineature, come ho avuto occasione di rilevare, sono quasi sempre in funzione di un utilizzo nei romanzi o nei saggi. Altresì evidente la ricerca, nei brani riportati nei due testi e sottolineati da Morselli, dei due aspetti caratteristici della mistica: il desiderio di Dio e il Dio carità. In Angela da Foligno, ad esempio o in Giordano da Pisa (come anche in Caterina in frasi sottolineate da Libro della divina dottrina), che nelle sue Prediche, in un passo sottolineato da Morselli indica in Cristo, nella possibilità di abbracciarlo, la modalità della soddisfazione di questo desiderio. O nella ripetizione, in diverse opere delle parole di San Giovanni: Iddio è carità. L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 69 La stessa mistica cristiana appare scaturire da una grande nostalgia: quell’uomo non si è più “lasciato vedere” nella storia: Rimpianto, invidia, desiderio cocenti. Non ci occorrono ispirazioni o conforti, non ci servono iniziazioni serafiche. Lui, ci manca. Lui ci manca: “Lasciati vedere”. Leggiamo ancora dalla pagina 2 del dattiloscritto inedito: Dileguano le idee e le immagini della consueta pietà. Oggetti e figure familiari sembrano impicciolirsi e tacere nell’imminenza di un prodigio. Chiediamo lui, tangibilmente, senza intermediari né veli. Chiediamo la polvere di quei sandali, l’orlo di quella veste: desideriamo il Signore nella sua vivente presenza, e non sapremmo possederlo altrimenti. Il mondo si è ritratto, è lontano. O Signore, vieni; non ne saremo meno felici che il piccolo pubblicano Zaccheo quando gli annunciasti: Oggi verrò a casa tua. Il lui è minuscolo, quasi a voler diminuire la distanza con gli uomini, proposta a Dio dall’eretico Nipic, quale risarcimento della sofferenza, per fondare un nuovo patto, una nuova Alleanza. Non sfugga il particolare dei sandali e della polvere come sottolineatura dell’aspetto quasi scandaloso con cui il divino si è presentato, nelle vie del mondo, tutt’altro che sublimi. Del resto, anche il dottorino Karpinsky veste abiti logori, sgualciti, e, rimando cristico, come ha ben mo- 70 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI strato Rinaldo Rinaldi 24, perfino insanguinati. Se il camice rappresenta esteriormente il mestiere del medico, i pantaloni sgualciti il carattere di Karpinsky (il corsivo è nostro)25: Non spero. Tuttavia, sono venuto a Crisopoli per vederlo (il mio primo incontro cosciente con lui) e sento che lo vedrò. Vero e presente. Ritto nel suo camice bianco, macchiato di sangue sul petto dove l’hanno colpito. A braccia aperte. Ma la testa china come quando, nella mia camera, mi ascoltava, appoggiato alla finestra; e sotto il camice spunteranno i calzoni sgualciti. Morselli divide le opere dei grandi mistici in due filoni principali (la prima “via” predilige l’intelletto e finisce, nella ricerca del divino, per esaltare l’io, nella seconda il soggetto si abbandona a quello che viene definito un raptus e, assecondando l’iniziativa divina, si identifica con l’Infinito tutto. L’interesse precipuo di Morselli è quello di distinguere forme che sottolineano l’egotismo e quelle invece che permettono l’incontro con Dio tale da permettere di poten- 24Rinaldo Rinaldi I romanzi ad una dimensione di Guido Morselli, in “Critica letteraria”, III, 1996. Affascinante l’ipotesi di un ritorno della figura anche nella fine del romanzo, almeno il desiderio di Morselli di essere il primo uomo che segue Cristo, fortuitamente, senza averlo voluto, dopo il male, il dolore e il perdono, anche nel Regno dei cieli, formulata da Laura Marraffa (nella sua tesi di laurea,anno accademico ‘96/’97, Università di Roma, Tor Vergata), incentrata sui libri di Morselli riguardanti la religione nella biblioteca di Varese, L’assolo di Guido Morselli — Il pensiero, la cultura, "les livres de chevet" di uno scrittore postumo. 25Guido Morselli, Dissipatio H.G., cit. p.154. Il corsivo è mio. L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 71 ziare il rapporto amoroso con l’altro26), e si ritrova, spesso, a contrapporre un certo carattere personalistico alla umanità altruistica e solidale dei brani dei Vangeli27, soprattutto negli incontri di Gesù con i malati e i peccatori. Il Vangelo conferisce all’uomo “una suprema dignità” ma dentro un rapporto, “il rapporto”, proprio perché è l’“entità spirituale a porsi di fronte a noi”. Di questo saggio, come delle citazioni e delle presenze leopardiane in Dissipatio H. G., ci siamo occupati nel precedente libro dedicato al genio segreto, Incontro con Guido Morselli. Questa introduzione alle icone morselliane, riprendendo spunti già espressi in quella sede su 26La prima via viene definita “ascensus”, la seconda “raptus”. Nella prima si corre verso la purificazione, “attraverso la solitudine, esaltazione dell’io il quale si interna e si assimila all’Altro”. Nel “raptus” “tutto quanto costituisce e distingue l’individuo è travolto e cancellato, l’individuo torna a disperdersi nel divino, sentito come infinito Tutto, totalità originaria”. Il procedere di Morselli è sempre scandito dal dimostrare la superiorità della carità rispetto alle forme dell’ego. La prima via sembra, come si dice a p. 9, “una mirifica esaltazione dell’io”, che diventa realtà assoluta e per cui gli altri non sono che ombre, nella seconda via, “potremmo dire della "reimplicazione"” l’individuo è travolto dalla forza dell’infinito, cancellato in quanto ego e sensibile all’alterità anche umana. I grandi mistici per Morselli appartengono a questa categoria. 27 Scrive a p. 16: “Il Vangelo appare un meraviglioso monumento elevato allo spirito religioso. Tutto quello che lo spirito anelante al divino è in grado di chiedere, vi è contenuto”. Tuttavia è chiaro per Morselli che il testo evangelico non incita, non favorisce, alcuna delle vie mistiche e certo non deve stupire, aggiunge, che se questo non potrà mai, anche da un ateo, essere bandito nel futuro, forse del pensiero mistico non rimarrà traccia. O meglio la mistica avrà altre forme, già visibili nel moderno culto (mistico appunto) dell’arte. 72 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Due vie della mistica e Dissipatio, costituisce idealmente il tramite tra le riflessioni maturate in saggi pubblicati dal 1996 al 2000 e il nuovo interesse per il teatro e la narrativa di Morselli nei saggi che qui presento. Rimane evidente, si vedrà a proposito della icona centrale della sofferenza e per Il Redentore, che il proseguo della meditazione di Morselli attorno all’Unde malum? accentua, con non pochi riferimenti ai mistici oltreché ai teologi, il divario tra l’Uomo Gesù e il Dio imperscrutabile la cui azione provvidenziale è misteriosa e spesso iniqua, come si vedrà. Il legame tra queste pagine dedicate a Cristo e Dissipatio, deve tener conto di questa profonda ferita, di questa “crisi” perenne, ben presente nelle pagine di Roma senza papa e del Redentore, fino alla ulteriore meditazione religiosa di Teologia in crisi, saggio non portato a termine, della seconda metà degli anni Sessanta, di prossima pubblicazione a cura di Paola Villani per l’editore Kraus di Napoli. Se la mistica non è altro, all’origine, che una ricerca di un più stretto contatto con il divino, con la bontà divina rappresentata da Cristo e se per quelli che lo hanno visto non era altro che andargli incontro, cercarlo, mentre, dopo, senza di lui, i rischi sono molteplici, la Chiesa (anche quella di Roma senza papa, forse proprio con le eccezioni di don Walter e dello stesso Giovanni XXIV in qualche misura), si è completamente staccata dalla vita dell’uomo comune, dai suoi veri problemi. L’attesa di un nuovo incontro (Newcomer) sembra disperata L'uomo minacciato dalla mafia del danaro e della medicina, dal nichilismo, da un dirompente desiderio di solitudine e di comunicazione all’altro, vaga per il territorio della fine. In Dissi- L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 73 patio H. G., la necessità di “colui che ha cura” si alterna con la rabbia disperata e le ragioni più che legittime del fobantropo. In Due "vie" della Mistica, Morselli aveva commentato un brano del Mestiere di vivere, ora attribuibile all'atmosfera di Dissipatio H.G.: c’è infatti più cristianesimo in un agnostico (p.62): giovane decadente dei giorni nostri, Cesare Pavese: “Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con altri”. Quella di Dissipatio è la condizione disperata di un asceta per forza, che sente, quasi suo malgrado, Dio lontanissimo, imperscrutabile, che tradisce l’uomo ammettendo il Male. L’aggettivo più ricorrente che definisce l’uomo di Dissipatio è “stanco”, con i suoi sinonimi. Come alla fine del primo capitolo quando si ritorna dalla visita a Zurigo verso casa, in quello splendido rifugio anche esso diventato fossa e solitudine, stanchezza (p. 38 del dattiloscritto): Mi incammino verso casa. Cinquanta minuti di salita, nel silenzio che fino a qualche giorno fa mi esaltava, di un viottolo fra i larici e gli abeti. Avanzo con pena. Sono stanco. Tendo l’orecchio, mi guardo intorno. Ho paura. E come nel XVIII capitolo, nella citata frase del dottorino: È che sono solo. Il mondo sono io, e io sono stanco di questo mondo, di questo io. Lasciati vedere28. 28Ivi p.138. 74 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI “Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi”, altra espressione di Cristo. Il finale del romanzo sembra poi ricalcare l’attesa (con urgenza e lucida disperazione) insita in questa invocazione che chiude il brano iniziale di Due "vie" della Mistica sulla nostalgia del non esserci stato lungo quel cammino, in Galilea: Affrettati dunque o Signore. Non hai detto: “Invocatemi e sarò con voi?” Alziamo gli occhi, attendiamo. Il latente manicheismo del pensiero di Morselli, sinteticamente proposto nel bell'articolo di cui si diceva, La felicità non è un lusso, ed espresso nel voluminoso secondo capitolo della trilogia di Fede e critica, nei poli oppositori di felicità e male, è sciolto nell'ammirazione della storia degli incontri evangelici dove l’ultima parola non è il giudizio morale che poco o tanto condanna, non è la colpa o la malattia ma la misericordia, immensa e gratuita verso l'uomo di cultura come per l'uomo della strada. Misericordia che si rivela magari dentro particolari o episodi antisublimi come sottolinea anche, oltre agli esempi trascritti, di Due "vie" della Mistica, un passaggio della seconda parte della trilogia di Fede e critica, la sola finora edita e che dà il nome complessivo all'opera saggistica in tre capitoli. In questo testo, ammirato sopra ogni altro è l’incontro estremo, sempre evangelico, sopra alla croce, tra Cristo e il buon ladrone, colui che precede tutti i giusti nel regno dei cieli, a suggellare quell'interesse morselliano per i poveri e i peccatori, assente nella mistica ed esemplare nel L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 75 Vangelo29: Proprio nell'ora culminante della Passione s'incontra una figura che si solleva potente sul meschino livello comune, come per riscattare la nostra indigente natura. Intendo, il ladrone che si converte [...] Il miracolo è puro miracolo, non ha tramiti né strumenti [...] Il ladrone non solo scopre Dio in questo punto, ma lo riconosce incarnato nella creatura che gli è accanto rea, secondo la sentenza degli uomini, al pari di lui [..] L'ignoto ladrone non ha alle spalle secoli di cristiana religiosità, e il dato soggettivo a cui la sua novella fede si applica, è riassunto nello stesso sciagurato avvenimento che si sta verificando: non vi sono altri dati esterni, e quello è cosi poco trascendente, così poco sublime che egli, ribaldo meritatamente condannato, vi può prendere parte. L’attesa, dunque, e l’improvviso cambiamento, con quel riferimento capovolto a Beckett. Anche il grande drammaturgo, alla richiesta di spiegare il tema di Aspettando Godot cita il ladrone, in un passo di Agostino: C’è una meravigliosa frase di Agostino. Vorrei potermela ricordare in latino. È ancora più bella in latino che in inglese. “Non disperare mai: uno dei ladroni fu salvato. Non presumere niente: uno dei ladroni fu dannato”30. Si avverte, però, nel presente, la lontananza vertiginosa dall’umanità di Cristo, ricadendo nelle sabbie mobili del Dio che ammette il Male, la sofferenza, la malattia. Viene in mente, anche se non può trattarsi dello stesso Mercato, un frase del 29Guido Morselli, Fede e critica, cit., 159—160. Citato in Federico Doglio, Teatro in Europa, vol.III. Milano, Garzanti, 1989, p.904. 30 76 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Diario, di tanti anni prima, 22 febbraio 1947: Ieri sera prima di dormire ho riveduto me stesso, quale poche ore avanti camminavo per la strada, tornando a casa. Non avevo mai sentito così profonda pietà degli uomini come rivedendo l’immagine di quest’uomo che attraversava la piazza del Mercato. Nel numero di “Studium” settembre-ottobre 2012 (scrivo queste righe prima dell’uscita di questo articolo) dedicato all’aspetto religioso di Morselli, la poetessa Tiziana Mainoli31, concittadina di Guido, e da sempre sulle “tracce” di testimonianze autentiche sulla vita dello scrittore che possano illuminare la sua personalità, riporta alcune commoventi parole della sorella, Franca Papa, del medico curante dello scrittore, Santino Papa, reScrive la Mainoli in Il dono della sofferenza:la fede assopita di Guido Morselli. Un’intervista rivelatrice (cito dal PDF del numero di “Studium”, da me curato ma in uscita al momento di “licenziare” il presente volume): “Fu nel 1984 che intervistai il dottor Santino Papa, medico curante di Guido Morselli, e sua sorella Franca; allora abitavo a Gavirate e un impulso personale mi induceva a ricalcare le orme dello scrittore: più mi addentravo nel personaggio Morselli, più mi rendevo conto dell’importanza di conoscere l’uomo che a volte, nella creazione artistica, prende le distanze e si allontana dai personaggi dei suoi romanzi. L’essenza e l’esistenza: un divario a volte inconciliabile che trova corrispondenza nel difficile legame che si viene a creare tra l’artista e l’opera d’arte. Spesso stralci di vita possono raccontare più degli stessi scritti, perfino dei diari, perché, sia nello scrittore che nel lettore, prevale l’immaginario, un’influenza del coefficiente di distorsione del reale che può camuffare l’esistenza, per quanto ciò sia difficile da identificare perché l’inconscio scivola, con prudenza, attraverso le parole e si riserva aree misteriose”. 31 L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 77 lative agli ultimi anni di vita. Ne riporto due stralci, il primo relativo proprio a quella fede semplice più volte critica da Morselli, eppure in questo caso, nelle parole della “signorina” (né la anziana donna né il marito medico si sono mai sposati) ragionevole: Durante quell'incontro, la signorina mi rivelò alcuni episodi riguardanti lo scrittore (Guido Morselli) che, di tanto in tanto, frequentava la loro casa: con lei in particolare, trattava argomenti spirituali e condivideva esperienze collegate alla sofferenza e alla ricerca di fede. Questi argomenti suscitavano in lui un forte interessamento e, in alcuni casi, una sorta di venerazione per chi proprio della fede aveva fatto il motivo di vita. Morselli era affascinato, soprattutto, dall'incrollabile fiducia che la signorina riponeva nell'immenso potere d'aiuto e di intervento della Vergine Maria, che richiamava alla sua memoria l'immagine della mamma perduta in tenera età. La signorina Franca dipingeva la Madonna come madre benevola che tutto può e che nulla potrebbe negare ai suoi figli che, umilmente e con fede, ricorrono a lei. La signorina ricordava come, a questo proposito, il“signor Guido” spesso esclamasse, stupito come un bambino: ‘davvero?’. Il secondo proprio sulla sofferenza e la malattia: un incontro stupefacente per lo scrittore, che si trova davanti un testimone, una persona di carne capace di essere la concreta risposta alle sue domande più tragiche e radicali. Mi sia consentita la lunga citazione, rimandando con convinzione alla lettura di tutto l’articolo, bellissimo, della Mainoli: In seguito la signorina parlò un giorno allo scrittore di un certo Pierino, uno di questi "volontari" 78 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI che abitava alla Rasa, una località nei pressi di Varese. Pierino Tonta era nato nel 1920; colpito nei primi mesi di vita da una forma di poliomielite, non era mai stato in grado di camminare e aveva la mano destra completamente paralizzata; viveva da parecchi anni su una carrozzina, assistito da sua cognata Irma. Il Morselli dimostrò subito una viva curiosità nei confronti di questa sfortunata e umilissima persona. C’è questo ammalato, gli disse la signorina, che desidera scrivere un articolo sulla gioia, ma vorrebbe che qualcuno lo aiutasse a scriverlo. “È da cinquant’anni che sono su questa carrozzina, però ho una gioia interiore talmente forte e vorrei propagarla, vorrei esprimerla”, le aveva detto il Tonta. Allora venne qui il signor Guido e andammo insieme alla Rasa, dove abitava il Tonta. Durante il viaggio di andata volle che gli descrivessi le condizioni del malato e dopo che glielo ebbi spiegato, mi disse: “Ma signorina Papa, mi fa incontrare un rudere lei… non ha mai trovato un amico che gli abbia dato in mano una pistola e gli abbia detto “cosa stai al mondo a fare, cosa dai alla società?”, io eventualmente ho la pistola nel cruscotto”. Quando arrivarono, lei disse: “Guardi solamente gli occhi di questo malato perché da lì scaturisce il tutto, questa gioia interiore la si esprime attraverso gli occhi…”. Lei lo precedette e disse a Pierino che gli aveva portato un giornalista (sia lei che il fratello Santino, come molte altre persone, non conoscevano la reale portata della produzione letteraria del Morselli anzi, alcuni ignoravano completamente la sua identità di scrittore dato che lui non amava definirsi tale, in alcune occasioni preferì addirittura sostenere di essere un agronomo). A proposito di questo argomento il dottor Santino mi disse una volta: “Io l’ho curato tanti anni senza sapere cosa combinava su là, nell’eremo di Santa Trìnita, non ho mai visto neanche sulla scrivania L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 79 dei gran fogli…non sapevo che avesse una produzione così ricca” Il racconto di Franca Papa proseguiva così: Sono andata di sopra e ho detto: Pierino, tu parla sinceramente, di' tutto quello che ti senti e alla fine tireremo le somme. Poi l’ho aiutato a vestirsi, l’ho messo in carrozzina perché stava ancora riposando, erano le tre del pomeriggio e l’ho portato in sala. Come Guido arriva di sopra, entra, fa per dargli la mano, ma la mano destra lui non può muoverla perché paralizzata e allora il signor Guido dice:“Abbattiamo le barriere, diamoci del tu.” Perché lui agli umili e ai sofferenti era proprio vicinissimo. Le racconterò tanti altri fatti che conosco. “Tu cosa vuoi fare?”chiede al Tonta il signor Guido. “Io desidero fare un articolo sulla gioia perché sento qui una forza, una gioia interiore che devo dare agli altri” “Quando hai sentito per la prima volta questa gioia?”, interviene il signor Guido. “L’ho sentita a Lourdes32. Ero andato che ero disperato, non per chiedere la grazia per me, ma per le mie sorelle che erano malate di tumore. Ho fatto 25 anni di Lourdes e ho sempre chiesto per gli altri, mai per me..” Prorompe il Morselli: “Ma cosa stai dicendo?Ma non ti sei guardato allo specchio? Non hai mai detto “guarda come sono!”; ma è più che logico, più che umano chiedere la grazia di guarire, la grazia di camminare, la grazia di poter mangiare con la mano destra….” “No, questo no”, ribatte, con forza il Tonta. Ma il signor Guido non era convinto e gli ripeté la domanda ben quattro volte. “Anche quest’anno sono andato, ma ho chiesto la grazia per un ragazzo che ha un tumore, non l’ho 32 Cfr G. Morselli, Fede e critica, Milano, Adelphi Edizioni 1977, p.44, dove Morselli racconta della guarigione miracolosa di un amico che si era recato a Lourdes. 80 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI mai chiesta per me, ho sempre chiesto per gli altri.” E quando per la quarta volta il signor Guido gli ha chiesto “perché?” lui, con l’unica mano che poteva muovere, la sinistra, batté un pugno sul tavolo e disse:“No, questo non lo farò mai!”. Allora il signor Guido mi dettò degli appunti e ne uscì un articolo che fu spedito a Roma e pubblicato su’“ L’àncora” e in seguito su altri giornali. Firmato Guido Morselli? No, dal Tonta, perché il signor Morselli volle così. Al ritorno i due si fermarono al caffè Volta di sant’Ambrogio; la signorina Franca capì che Guido era piuttosto scosso e lui le disse: “ Io oggi la devo ringraziare perché non ho mai sentito in un malato un'accettazione così totale, un’ anima.” Poi le chiese: “Ma come mai quest’uomo ha una devozione così forte per la Madonna? Signorina Papa, anche lei le è così devota?” “Ma certo, io credo in Dio e nei piani di Dio prima di tutto c’era la Vergine Santa!” “Ma lei pensa che sia mediatrice, che possa dare…” “Ma certo, una mamma non delude…” Poi lui la accompagnò a casa. L’ATTESA E I LUOGHI DELLA FINE 81 “AFFANNARCI VERSO METE CHE EGLI SA NON TOCCHEREMO MAI”. Uomini e amori, Dramma Borghese, la tradita utopia comunista 82 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI AFFANNARCI 83 Affannarci “Ho pregato tutte le mattine, ma lui non guarisce. Perché?”. Questa domanda ingenua quanto autentica e radicale rivoltami da un bambino di dieci anni potrebbe figurare nel Diario o nei romanzi di Morselli. Perché si soffre?, è la stessa ingenua domanda capitale di fanciullo la cui eco attraversa le età e percorre la saggistica, il teatro, la narrativa, l’impegno giornalistico di Morselli. Il disagio di fronte alla malattia, alle morti accidentali, del tutto immotivate, sono il risvolto quotidiano della suprema domanda, Unde malum?. A Guido Morselli interessa proprio questo risvolto personale, che riguarda anche l’uomo della strada, non l’astrattismo dei filosofi. La sua speculazione colta, sia pur non sistematica, scaturisce e vuole penetrare lì, a questo mistero dai risvolti drammaticamente “pratici”. Un aspetto di questo prototema, tra richiesta di grazia, di perdono, di sanità fisica ed etica, risulta evidente tanto viene reiterata anaforicamente nella narrativa, in particolare attraverso la rappresentazione della malattia, fisica o psicologica, e nel “bisogno” del medico “curante”, con tratti significativamente cristici, evidenti in Karpinski come si è visto nel saggio introduttivo. Condizione che ha il suo feroce risvolto nel peggiore ricatto umanamente possibile denunciato da Morselli. Tanto la medicina rende profondamente umano il rapporto tra le persone, tanto diventa atroce il raggiro e la disonestà, la cattiveria cinica quando si insinua nel contesto medico. La mafia della medicina, scrive lucidamente Morselli in Dissipatio H.G., si muove non solo 84 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI e non tanto per soldi, ma allo scopo di assoggettare per puro potere l’uomo che “ha bisogno”. Specula sulla fragilità, sugli evidenti limiti della condizione umana. L’abbraccio tra uomini, nell’amore, in un arco significativo, che va dalla richiesta di calore quasi animalesca al dono di un amore tendenzialmente spirituale e metafisico, potrebbe avere le funzioni di una medicina, pratica e sperimentale. Fragile e talora ambigua, l’orlo di una rovina a cui si arriva per mancanza di altre risposte concrete, in un territorio dove la teoria ha smesso di donare effetti terapeutici. L’immagine dell’abbraccio non è secondaria, possedendo il carattere adatto per contenere l’ideale ricercato da Morselli: distruggere la barriera alzata dalla società e dalle religione tra carnale e spirituale, tra sesso e religione, tra passione amorosa e mistica. Desiderio che appare agli albori della saggistica (vedremo ancora) e in quelli narrativi, in un romanzo, Uomini e amori, pubblicato solo nel 1999, in coda a tutti gli altri, dunque, eccetto Brave borghesi41, a tratti slegato nella trama, ma con delle pagine già intense, tra le migliori della narrativa morselliana. La vita delle coppie borghesi rappresentata nel romanzo intorno a due personaggi principali, Saverio e Vito, l’uno più Per le vicende legate a questo romanzo-inchiesta, singolare perla del Morselli camaleonte, capace di insinuarsi con disinvoltura, nei panni di un giornalista del sud sbarcato a Milano, nell’animo delle B.B le brave borghesi, con risultati del tutto diversi da un canone previsto) si veda ora Alessandro Gaudio, Brave borghesi o dell’uso romanzesco del documento, “In Limine-Guido Morselli”, agostodicembre 2012. 41 AFFANNARCI 85 morigerato, l’altro tendente al trasgressivo, si trascina infatti tra le beghe di sentimenti egoistici e tradimenti, finché il racconto sale di tono attorno ai nuclei stringenti della ispirazione morselliana. Li riassume la Fortichiari nella preziosa nota a Uomini e amori 42: Nei primi due sottili quadernetti, autori spiritualmente affini di anni postuniversitari (Montaigne, Manzoni, Rousseau, Proust, De Ruggiero, Rensi, Croce) predispongono ancora un programma di studio articolato su tre temi dominanti: il pensiero estetico (lo storicismo, l’idealismo romantico), il problema di Dio, l’esistenza del Male. In una frase “dall’angoscia a Dio attraverso l’amore”. Toccato precocemente, grazie a questi scrittori, il nodo centrale di ogni umana esistenza (vivere=capire e soffrire da soli), Morselli delimita i confini (artefede-natura) di una attività spirituale che diventa motivo di sopravvivenza e insieme riserva privilegiata entro la quale sparire e negarsi al resto del mondo, dell’umanità. Riemergono trasfigurati momenti della biografia morselliana, la fastidiosa inattività della postazione bellica della Calabria, i ripensamenti del dopoguerra, l’attività giornalistica, svariati sentimenti contraddittori, ora attribuite all’artista, Vito Antonicelli detto Cambria (coinvolto però anche in traffici poco puliti) ora al medico e poeta Saverio Maggio. L’attrattiva indelebile della medicina si deve, è noto dai lavori biografici della Fortichiari, alla figura di un positivo e altruista colonnello medico realmente conosciuto durante la Seconda Guerra. Personalità Valentina Fortichiari, L’officina del primo romanzo, in Guido Morselli, Uomini e amori, Milano, Adelphi, 1999, p.429. 42 86 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI valorizzata nella sua componente salvifica, dove l’arte della medicina predisposta alla cura del corpo, si sposa naturaliter alla poesia e all’arte, intese quali attività spirituali liberanti. Tuttavia, realisticamente, in una scelta a mio avviso originale, da grande artista, mai portato alla idealizzazione, semmai a graffiare continuamente verità scontate, Morselli mostra più i limiti degli interventi, anche generosi, additando alla goffaggine e, talvolta, all’egoismo dei suoi protagonisti. Se gli amori di Vito sono più turbolenti e sensuali, non privi di riflessioni totalizzanti e spirituali legate all’arte, da Lucia Weiss (altra protagonista del romanzo) all’ultima donna amata, figlia della primitività della terra calabrese, Saverio tenta, in un rapporto coniugale stabile insieme a Nene, di uscir fuori dall’egoismo, cercando, come il compagno d’armi, la perfezione dell’amore, nell’abbraccio tra la carne e lo spirito. La via è difficilissima: i sentimenti descritti da Morselli, in una narrazione ancora troppo densa, sono molteplici: Saverio ad esempio soffre dopo aver accudito Nene malata prima e dopo il matrimonio, quando lei, guarita, si mostra più indipendente da lui, dovrà provare la facilità di cadere nell’attrazione della sensualità, e soprattutto, in forza delle sue convinzioni, accettare che la moglie ami un altro. L’amore, l’abbraccio, la malattia, la presenza del male, sono già i temi centrali, rilevabili nel trapasso tra le prime speculazione filosofiche e il primo romanzo anaforicamente ripetuti in molti altri contesti. In un clima di freddo contagio, di catastrofica perdita di riferimenti umani, si rintraccia nel primo romanzo l’icona più icastica e riepilogativa, segnalata dalla critica e inserita tra i prodotti migliori della ispirazione morsellia- AFFANNARCI 87 na43, come si diceva nell’introduzione a questo volume, consistente nella rappresentazioni di una vera e propria “via crucis” della dispersione, acuta in Dramma borghese44 e poi nel Comunista in identiche situazione. Non meno riusciti, per drammaticità e rapidità, i finali delle due sceneggiature inedite, con la morte dei protagonisti. Improvvisa quella di Cedric Noles de Il secondo amore (colpito da infarto sull’aereo che lo porta verso il coronamento di una storia sospesa tra realtà e memoria idealizzata, ne Il secondo amore), meditata quella di Walter, il buon ragazzo prima deviatore alla stazione e poi sagrestano in È successo a Linzago Brianza, che si suicida, ripetendo, sia pur in breve, la deambulazione nella nebbia, andando a morire contro un treno in corsa (ossessioni frequenti del Walter e delle ferrovie). In un clima apocalittico di disumanizzazione (colpevoli o no la pena è troppo alta) in entrambi i romanzi si sta cercando un ospedale dove gravemente malata (ma non si sa fino a che punto) è stata ricoverata una persona assai cara. Ne Il comunista da quell’ospedale si entra da malato ma si riesce ad uscire risanati, in qualche modo. In Un dramma borghese si resta sulla soglia di un finale aperto, sospeso tra la vita e la Si veda almeno, Antonio Di Grado, Il borghese e l’immensità, in Andrea Santurbano, Fabio Pierangeli, Antonio Di Grado, Io, il male e l’immensità, edizione bilingue italiano-portoghese, Rio de Janeiro, Editora Comunità, 2011. 44 Cfr. la recente ed efficace lettura del romanzo di Luigi Weber, Il racconto della rimozione: Un dramma borghese di Guido Morselli, “In Limine-Guido Morselli”, agostodicembre 2012. 43 88 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI morte per la protagonista femminile, in attesa del chirurgo. Per le scene centrali della deambulazione senza senso mentre qualcosa di grave accade, una anticipazione in nuce si può rintracciare in Uomini e amori. Saverio, assiste dall’alto a una processione verso il monte Zocca e suo malgrado si accorge di provare un piacere insano, alla spalle delle persone che sta osservando. Sa bene infatti che la loro fatica sarà inutile, la strada è sbarrata da una frana e quei fedeli devoti e infervorati non potranno arrivare alla meta prefissata, la chiesetta dove venerano il santo patrono. Accortosi della sua malizia, gli viene spontaneo spostare le riflessioni su una analogia più ampia: il cammino dell’uomo non è che questo andamento spastico, senza senso, destinato ad infrangersi di fronte ad una strada sbarrata. Saverio denuncia a se stesso l’empietà delle sue osservazioni, ma non sa ritirarle: è naturale cedere alla tentazione di spingere la nostra mente fino alle soglie del mistero, magari ribellandosi violentemente alla sorte. Di fronte a questi eventi, e ad altri nei quali il “medico” è impotente, si può solo ammettere il mistero. Per Morselli ciò è profondamente in contrasto con l’idea di un Dio della carità, estraneo alla persona di Cristo raccontata dai Vangeli 45. Utile riportare il brano e confrontarlo con i Cfr. sugli aspetti religiosi la nota 6 dell’introduzione a questo volume. Mi permetto di rimandare anche al volume di “Studium” settembre-ottobre 2012 da me curato con interventi su questi aspetti di Mainoli, Terziroli, Villani (Teologia in crisi e Vangelo e peccato), Santurbano (Roma senza papa) e alla prima parte di Una figura che si presta ad un’azione simbolica, in Guido Morselli: io, il male e l’immensità, cit. 45 AFFANNARCI 89 due episodi salienti del Dramma borghese e del Comunista, distanti per luoghi e drammaticità rispetto alla meta agognata (un ospedale, dei malati), ma con il senso comune di qualcuno che sta deridendo i nostri sforzi vani46: Avvenne di un subito quello scompiglio che si osserva nelle file delle formiche quando un ostacolo impreveduto e insormontabile si para contro a loro: una calca, un rimescolio tumultuoso e che a me pareva, dall’alto, sproporzionato e anche comico; sinché dopo una sosta che parve determinata da incertezza, clero baldacchino suonatori e fedeli volte le terga si incamminarono alla rinfusa per far ritorno al villaggio. Questo stesso mio piacere, pensavo, Dio assapora dacché ha popolato di esseri intelligenti e volitivi la sua creazione. In verità Dio non “gheometrìzei”: più semplicemente, egli si diletta ad assistere al nostro affannarci verso mete che egli sa non toccheremo mai. Anzi, mi dissi, il suo piacere deve essere ben superiore al mio, giacché egli stesso predispone sul nostro cammino gli ostacoli su cui noi urtiamo. Nel secondo romanzo di Morselli, Dramma borghese, non mancano espliciti accenni a morti inequivocabilmente volontarie, come avverte la Fortichiari: il quindicenne, nipote della cameriera, annegato nel lago; la morte tragica e inutile di Camus, in parallelo a quello che appare sempre di più un suicidio, quella della moglie del protagonista; i tonfi sinistri nei navigli. La sorte finale del narratore, in una costruzione teatrale, dove al fitto monologo si alternano dialoghi spesso tesi e ammiccanti, rimane la dispersione, l’attesa angosciata. Nello svolgersi improvviso dei fatti, subentrato alla accidia pre46 Uomini e amori, cit., p. 151. 90 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI potente di quelle lunghe riflessioni e dei dialoghi futili, non gli è concesso sapere dove la figlia, feritasi con una pallottola (volontariamente o accidentalmente?) sia stata portata. Ci sono due ospedali in quella piccola cittadina Svizzera dove padre e figlia (Mimmina), entrambi convalescenti, avevano deciso, dopo conduzioni di vita separate, di riunirsi. La nebbia è fitta, rende tutto enigmatico (comprese le ragioni di quel gesto), il male prodotto e il male improvviso non permettono di ragionare, di ricordare. Eppure basterebbe poco per intuire: la ragazza è stata portata, su indicazione della cameriera, non in uno dei due ospedali ma nella clinica dove è stata operata pochi giorni addietro. Né il suicidio né l’incesto (i due grandi temi latenti del romanzo) paiono consumarsi interamente. Solo sfiorati, a costruire, come ben appare a Simona Costa47, il labirinto finale, l’attesa prolungata dell’intervento del chirurgo, a cui sono affidate le sorti della ragazza, tra realismo e sospensione metafisica. Importa a Morselli descrivere l’occlusione del dialogo, l’impossibilità di comunicare al di là degli egoismi e della libido: il dramma da “borghese”, rischia di tracimare, inaspettatamente, nel tragico, sospendendosi propri lì, di fronte al silenzio sacro della morte, tra futilità, pulsioni sessuali, assurdità del destino, accesso, finalmente autentico, alle domande ultime e radicali sul senso della vita. Un punto di fuga alto questa attesa, al di là delle stesse fragilità soffocanti dei protagonisti, tipiche del “dramma” come genere teatrale desublimato dalla scelta di non rappresentare eroi; diventato Simona Costa, Guido Morselli, Firenze, La Nuova Italia, 1981, pp. 47 e ss. 47 AFFANNARCI 91 il luogo privilegiato in cui la borghesia si celebra e si discute, si osserva e osserva gli altri, spesso, come nella scelta radicale di Morselli, esplorando le tare nascoste nelle famiglie, come nei migliori risultati di Ibsen e Strindberg (quest’ultimo anche controverso e potente romanziere di violente e contorte storie di conflitti generazionali). La definizione dell’ormai classico testo sul teatro borghese di Peter Szondi 48 si adatta perfettamente alla scelta di Morselli: il dramma è assoluto, ovvero non conosce nulla al di fuori di sé, presenta la sfera dei rapporti intersoggetivi io/tu in una comunicazione serrata e sempre esclusiva tra loro, fondata, ma qui Morselli cerca di deviare attraverso la lezione novecentesca di Bergson e scegliendo la narrativa, in una successione di presenti. Perfettamente in linea con il dramma borghese è il peso delle parole sulle azioni, della scena completamente separata dal resto del mondo, lo scontro tra i personaggi, in genere non molti. Lo scioglimenPeter Szondi, Teoria del dramma moderno, 1880-1950, Torino, Einaudi, 1970. Sicuramente fondamentale per Morselli, nella distinzione tra il dramma e tragedia. la lettura attenta, con fitte glosse e sottolineature della Nascita della tragedia, segnata nel catalogo del Fondo Morselli MOR 281 nella edizione Milano, 1927 a cura di Elisabeth Foerster-Nietzsche. Nel frontespizio appunta efficacemente una sintesi del testo: “Un inno di stupita ammirazione verso la prima grecità, morta con Euripide e Socrate”. Del filosofo tedesco, Morselli possedeva 11 volumi. Sia pur poco sottolineata, anche l’edizione del teatro di Shiller, MOR 552/554, Milano, Istituto editoriale (s.d) come possiamo evincere dalle sottolineature alla introduzione di Arturo Farinelli (secondo cui Lessing inaugura il dramma borghese), anche questa opera ha determinato il giudizio morselliano sulle forme teatrali dal romanticismo verso il Novecento. 48 92 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI to o il trauma finale si risolve nel clima angoscioso dell’attesa, dove non sapremo se il gesto della ragazza sia stato volontario o se si sia trattato di un incidente. Non per nulla nel convincente testo a cura di Annamaria Cascetta e Laura Peja di introduzione alla drammaturgia, i tratti salienti del dramma sono esplicati dalla Phèdre e Hyppolite di Jean Racine49. La dinamica in forza della quale si arriva a questa scena conclusiva, vera e propria icona morselliana, contiene elementi decisivi. Di fronte alla labilità psicologica e alla prorompente fisicità della figlia, appena operata di appendicite, ma decisa ad avvicinarsi al padre, magari oltrepassando i limiti, l’uomo non ha altre soluzioni se non la fuga, o nel passato ( nel penoso ricordo della moglie, morta prestissimo, probabilmente per suicido, a solo ventotto anni) o, all’opposto, “scandalosamente”, accettando la compagnia, quasi subito trasformata in avventura sessuale, con Teresa, ragazzina coetanea e amica di Mimmina. Durante una di queste fughe, il narratore da un bar chiama telefonicamente in albergo la figlia convalescente. La ragazza non risponde, ma il padre non si preoccupa. Passa altro tempo, ha l’istinto di richiamare al telefono, ma lascia trascorrere altro tempo. Subisce un avvertimento “fisico” dal suo male, artritico e di stomaco, delle fitte. Perentorie. Segni, che non ascolta. Mentre la nebbia sale dal lago, scorge un incidente: una autoambulanza e un auto ferme, con un infermiere che litiga con un militare americano a causa di un tamponamento. Solo fitte, nessuna Ingresso a teatro, a cura di Anna Maria Cascetta e Laura Peja, Firenze, Le Lettere, 2003, pp. 198 e ss. 49 AFFANNARCI 93 preoccupazione, apparentemente: tutto questo è la commedia, o se si vuole, il dramma borghese, inteso nel senso tecnico del genere teatrale, in attesa dell’arrivo di un senso solenne, sublime, tragico. Infatti, introdotto proprio da una rapida visione del salotto vacuo (come poi le voci in lingua americana come sottofondo assurdo al gesto di Mimmina) della non dimora alberghiera, arriva la tragedia, o l’accenno a quel che del tragico può rimanere in questo ambito moderno. La scelta è quella della rapidità e dello smemorarsi50: Il vestibolo ridondante e vuoto, in cui crocchi di poltrone parodiavano una società. Al cancello dell’ascensore, in ginocchio nel grembiale verde un uomo che ne stava lustrando gli ottoni. “Interesserebbe mia figlia”, mi sono detto. In quel momento il portiere mi ha raggiunto e fermato. - Prego non vada di sopra. Radicalizzando verrebbe da dire che tutto, fino a quel momento, è stata parodia, giuoco delle parti. La natura teatrale, fin dal titolo, è palese e non sfugge agli studiosi: unità di luogo e di tempo, una sola settimana, dramma familiare, dialoghi e monologhi fitti, pochi personaggi. Mimmina, avverte il narratore, recita abilmente. Annaspando nella nebbia, tra la ghiaia scivolosa e le reti metalliche del primo ospedale, l’uomo sente una voce che tuona la verità ultima, in quel disastro fisico e mentale 51: Un dramma borghese, in Guido Morselli, Romanzi, vol I, Milano, Adelphi, 2002, p.907. 51 Dramma borghese, cit., p.909. 50 94 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI A separarvi, è stato quel vitale bisogno che prova l’essere umano di uscire da un io per interferire, assimilarsi, ossia sconvolgere, snaturare. E hanno torto tutti quanti a non accorgersi di questa necessità (tutti, non lui), che amare è intervenire nell’esistenza di un altro, annetterla, negarla: capisci? Se il narratore aveva sfiorato le domande radicali quasi inconsciamente, in buona parte sottraendosi, ora si trova a viverle, scontando la sua pena in quella notte orrenda, la cui alba, se ci sarà, non ci è concesso vedere. È il tempo di innalzare i punti interrogativi, con l’inevitabile ricordo della tragedia della morte della moglie. In un aeroporto, altra scena ritornante, si veda il capitolo terzo su Il secondo amore e Il comunista, cerca un posto in quel frangente disperato e altrettanto inaspettato, dopo l’incidente-suicidio. Il dolore della situazione, in un innesto tipico di Morselli, si vive nell’anima e nel corpo, prostrato da una stanchezza umiliante, da attacchi velenosi del male: Aveva ricevuto un telegramma, cercava un posto su un aereo, almeno sino a Zurigo, e non glielo davano. Perché Carla (tua madre, tua madre) lo costringeva a tribolare così? Perché anche lei doveva avverare la legge, che non è assurda come non è assurdo niente di quello che accade; come lo sono, viceversa, le velleità di sottrarsi, di fare eccezione. (E io ho tentato di fare eccezione, ecco, in questo ho sbagliato). Strette alle maglie della rete, le mie dita dolgono. La nebbia ha l’odore tannico del castagno; di là non c’è che il bosco. Sono fuori strada. Perche la sofferenza? Capita a tutti indistintamente o c’è chi fa eccezione? Morselli è essenziale, tagliente nel descrivere le tappe della via AFFANNARCI 95 crucis e arrivare, stupendoci, a una sosta in quella febbrile rincorsa. Giunto a una pineta, si siede su una sdraio: sente di non essere comunque in ritardo, in una dimensione del tempo attinta dalla coeva lettura di Bergson. In questa diversa dimensione Mimmina ha trovato il coraggio di aprire una porta52: Che cosa ti sei fatta, Mimmina. Hai vissuto in poco tempo tanti anni; io sono uscito, e un’ora dopo tu eri più matura di me, più amara e più stanca, più esperta. La tua vita si è logorata in un’ora. Come accadrà in Dissipatio H.G., dove svariate volte il protagonista sbaglia strada, rispetto anche alla razionalità diretta e “diritta” dell’intento suicida, è l’istinto del corpo a riportare alla realtà, nel modo meno sublime possibile, lo stimolo nervoso di urinare. Riprende il cammino, l’anima e la mente “vuote e sorde”, finché, in quella pineta diventata infernale, si accorge di “qual è l’angoscia dell’insetto prigioniero”, la riduzione alla bestialità ci rende uguali nel sordido dolore e totalmente incapaci di seguire una direzione. Come prima rivolto alla moglie, ora a Mimmina chiede: perché mi hai ridotto così? La scena è ancora lunga, la voce di uno sconosciuto sbuca nel buio e lo conduce dentro l’ospedale, dove, tra l’altro, una suora prega. Ma questa dimensione di umiltà non appartiene al narratore, forse neanche a Morselli stesso (o forse sì se si legge l’articolo della Mainoli su “Studium” e la lunga citazione che ne ho tratta nel finale del I capitolo di questo volume). 52 Ivi, p. 912. 96 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Anche quello è un labirinto: ma Mimmina non c’è. Di fuori comincia a piovere, la tentazione è forte di lasciarsi cadere, abbandonarsi al nulla, come nella scena gemella del Comunista. Quando “non gli sembrava verosimile una presenza umana in quell’abbandono”, ecco che Eugenia lo trova. E il racconto, spietatamente, quanto realisticamente, deve registrare la completa estraneità ai fatti dell’uomo, paralizzato, incapace di commuoversi e poi davanti a Vanetti, il dottore che ha seguito la figlia fino a quel momento e annuncia di dover avere pazienza per l’arrivo del chirurgo, ammette di non avere più un atomo di sostanza che non sia vinta, dolente. Proprio al medico spetta la chiusura del romanzo: non annuncia né la salvezza né la morte di Mimmina, ma solo che bisogna attendere il chirurgo. Né commedia né tragedia, come insegna Pirandello. In una terra di mezzo, di contaminazione, di urgenza per i personaggi, di superficialità per gli attori. La chiusa, con l’accenno alla “attrazione” dei bambini e degli adolescenti per le armi da fuoco, potrebbe ben stare in una dimensione gemella ai Sei personaggi, dove il tema dell’incesto sfiorato è al centro della rappresentazione. Dal punto di vista di una azione “quasi teatrale”, da questo romanzo, il secondo di Morselli, si evince una straordinaria capacità di narrare partendo da una situazione topica di chiusura, (la stanza d’albergo dove per lo più si svolge l’esile trama) all’interno dei sentimenti, in cui sarebbe facilissimo scivolare nella noia del melenso, in ben trecento pagine di storia, con pochissimo plot, se non le manifestazioni d’amore della ragazza verso il padre, sempre più sensuali, le fughe di lui, l’arrivo di Teresa, le meditazioni su e AFFANNARCI 97 giù nel tempo-memoria. La tensione resta sempre alta, grazie ad una maturità di scrittura notevolissima, con della pagine di rilievo assoluto, come quelle dell’approccio con Teresa, quando sembra, rimanendo nel gergo teatrale, che tutto possa concludersi in una vicenda-farsa di liceo, dove la ragazzetta si innamora del padre della amica del cuore, la quale, a sua volta, è innamorata più del lecito del proprio genitore. Peccando semmai qualche volta di motivazione, ad esempio nell’avvicinamento con Teresa. Ma la descrizione dell’incontro è talmente precisa da far dimenticare qualche incongruenza. Del resto il realismo di Morselli non si conta nella consequenzialità, ma nell’armeggiare speditamente un tempo altro, riflesso, meditato, vuoto di vere ragioni. Il tenero abbraccio che vince la malattia è tema centrale anche in Incontro con il comunista. L’illecito e il tabù sono, però, su piani differenti: Ilaria, come poi Ferranini, infrange attraverso l’eros, delle regole stabilite dalla società di allora, non un tabù arcaico, spostandosi da un versante borghese di appartenenza nell’ambiente proletario del comunista Gildo Montobbio. Chiedere un abbraccio salvifico costa caro. Sembra un frutto proibito per l’uomo, rispetto alla razionalità del gesto del suicidio come rivolta alla assurdità della condizione umana. Anche Mimmina, con la sua indole che esige effusioni, colla sua innocenza (il peccato, dice, è far piangere gli altri) col suo progetto incestuoso, agisce all’inizio per compassione. O almeno così avverte l’impreparato (ai sentimenti) padre intellettuale, capace di inventare per sé uno straordinario neologismo: lo stato d’animo della laminazione, 98 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI senza vera infelicità, senza rivolta, un logorarsi quotidiano senza eroismi. La rivelazione per eccellenza dello stato borghese. Senza né bene né male53: Ripenso la mia vita monotona, senza urti né attriti, una vita a cui il mio prossimo non ha dedicato altro che una incuriosita neutralità. O una distratta indulgenza. Non resta davvero che mettersi a ridere. Carla, la madre, avrebbe voluto uscire da questa spirale. Si mostra la più cosciente e, per questo, l’ombra del suicidio non la lascia. Figura memorabile, come quella del medico Vanetti (funzionale rimane quella di Teresa, con le splendide pagine d’amore adolescente di cui si diceva). Carla non riesce a fare a meno di porsi le domande ingenue e radicali, in modo capovolto: perché tanta pienezza di felicità per noi a confronto dell’immenso dolore di tante persone nel mondo? La gioventù della donna, spezzata quella sera, era stata illuminata da una fede vicina al misticismo. Come è possibile conciliare l’idea del suicidio con questa fede? Il ricordo di questa donna misteriosa è l’unico motivo di risveglio dal torpore “laminato” (bellissimo termine che indica la dispersione e l’assenza di ragionevolezza nell’agire quotidiano) della borghesia. Un dolore che assale sia l’anima che il corpo e che Mimmina, a suo modo, sa alleviare, deviando dalla strada impervia imboccata dalla madre: la malattia diventa il pretesto della ossessione incestuosa. Del pudore della Fedra di Racine e della suprema contenzione di quella di Alfieri, Mimmina non ha nulla. Se per alcuni 53 Ivi, p.638. AFFANNARCI 99 studiosi il dramma borghese consiste nel guardare morbosamente dal buco della serratura, la laminazione del padre, in effetti, consiste anche nel non riuscire ad esimersi di rimanere incantato e nascosto di fronte al gesto della figlia di masturbarsi, a cui seguirà una delle numerose scenate di vero e proprio assalto carnale. La ragazza, da dispensatrice di tenerezza e compassione, diventa una persona ingombrante da fuggire. Arrivati per stare insieme perché convalescenti, dopo una vita separata, dovranno, nei loro modi diversi, lento quello del padre, impetuoso e istintuale quello della figlia, constatare “il dogma insulso della solitudine inevitabile”, dopo alcuni insidiosi passaggi da nursery. Lo “spettacolino” di lei che fa la commedia diventa insostenibile, ma non si sviluppa in tragedia se non poco prima della partenza, nei modi che si è descritti. Tra le tante citazione che rimandano al teatro e alla atmosfera di sensualità di fronte ad un tabù nascosto e latente, scelgo la seguente, con la piccante lingua francese (quella di Moliere e dell’amato Marivaux della arguta e intraprendente Silvia)54: Eccola, la mia cara commediante. Che cos’ha da querelarsi, da rimproverare? E poi, perché il francese. Termino di vestirmi. Mi godo il piacere, ancor nuovo, dell’abito che si stringe introno al corpo e mi veste. […] Che sorta di guazzabuglio ci sia in quell’anima non riesco a figurarmi. Eppoi, che c’entra rivolgersi così a sua madre, d’un tratto, come se fossi qui. Bisognerebbe dire che ha delle compiacenze da commediante, ogni tanto. Se non fosse troppo elementare per supporlo. […] Non mi guarda; è buttata sul letto, i bei capelli sul cuscino che le fanno matassa in cima alla testa, le braccia 54 Ivi, p.853. 100 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI abbandonate lungo il corpo. Ha tirato fuori dalla vestaglina un garofano appassito, lo tiene in mano; un’Ofelia. Mimmina, questo è il vero nocciolo della questione, rimane un enigma. Il metodo dello “psicologismo a scopo strettamente introspettivo”, dell’“autoanalisi precisa”, per nettare e fare chiarezza, per assicurarsi una “intima pulizia” fallisce miseramente, dopo le fughe con Teresa, in quella notte di fango. Altri medici Vanetti, il medico che ha in consegna Mimmina, con un ruolo importante per la dimensione finale dell’attesa, assume via via uno spessore non soltanto funzionale allo svolgersi della vicenda principale, bensì attivo e autonomo. Anche agli occhi del protagonista acquista stima e simpatia progressivamente. Diventa il bravo Vanetti, vedovo con cinque figli, di cui uno poliomielitico: il narratore pensa di superare la spinosa situazione con la figlia affidandola al medico, fiducioso che questi la consideri alla stregua di una sesta figlia per l’amore che le ha dimostrato oltre il dovere professionale. Viene spontaneo, allora, frequentarlo anche fuori quelle due stanze d’albergo comunicanti dove si svolge gran parte del dramma. In un primo incontro, Vanetti svela un risvolto importante della sua vita: possiede, a Losanna, una piccola industria di caramelle di cui si vergogna pubblicamente, da stimato medico. Eppure gli è necessaria per tirare avanti la numerosa famiglia in quel piccolo centro della pro- AFFANNARCI 101 vincia svizzera, anche per una frode subita da uno pseudo comitato finanziario-religioso. Vanetti, in questa circostanza, diventa un attore che deve confessare, attraverso molte reticenze e allusioni, una verità sincera, è l’albero superstite di una nave che affonda nei gorghi, prigioniero del falso salutismo illusorio nella crassa Svizzera descritta poi in Dissipatio55: Dacché si è aperto, punteggia le sue chiacchiere di bislacche figure e interrogativi retorici: senza con ciò renderle meno gustose, visto che per destino l’uomo sinceramente commosso non suscita mai che due effetti, o il tragico o il comico. Morselli, come implicitamente dichiarato in queste frasi, mescola tono “drammatico” a quello goffo e comico: Mi confida che la sua vedovanza è forzata. Mòrtagli la moglie. Ha perso ogni capacità al contatto fisico con la donna. Ammalato, umiliato, odioso a se stesso. In una villetta suburbana, a Losanna, si cela operosamente un istituto che dispensa accidentate illusioni agli sfiduciati di mezza Europa. Organoterapia, trapianti, effluvi elettrici persino, oltre a suggestione, ipnotismo e, s’intende, psicanalisi. Il tragico, senza orpelli retorici di difesa, si inserisce in un banale discorso di diete. All’improvviso. Il dottore deve aver fiatato, preso coraggio per dire qualcosa che gli urge, a spiegazione della precedente difficile confessione, dichiara di trascinarsi nelle tenebre ma di aver vissuto parte della vita in una luce meridiana. Racconta di una visione serafica, mistica, av55 Ivi, p.756. 102 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI venuta non in una chiesa, ma proprio nel caffè dove stanno in quel momento cenando. Tipica contaminazione tutta morselliana, dove campeggia il cartello sullo stipite della porta con la scritta “Reparti pasticceria”, in quella luce maestosa gli sono apparse in caratteri di fuoco altre parole: “ecce Dominus ineffabilis”. Potrebbe sembrare una farsa, eppure il dottore è convincente, serio. La consequenzialità della scena è toccante. Morselli sceglie - lo farà sempre in casi analoghi - di agire come si esprime di fronte al dottore il suo protagonista: “Ritengo opportuno non fare commenti. Lui passa a raccontarmi della moglie morta”. Non c’è tempo di rifiatare e ogni altra parola sarebbe fastidiosa56: A diciotto anni, ero tutto uno slancio mistico – conclude poi – Tutto rivolto al cielo. A venticinque, quando la conobbi, le donne mi erano sconosciute, non ne avevo toccato una. Mi è morta, e non ne ho più avuta una; e si che le occasioni non mi mancano. Anche in questo senso fisico, evidentemente io ero monogamo. Quella morte, per me, è stata la fine. Ero un’anima ardente e ho perso la fede, anch’io come tutti. La fine, egregio signore, capisce? Dio mi ha abbandonato. Questi sono i veri motivi della perdita della fede, intende chiaramente comunicarci lo scrittore, attraverso il suo personaggio, non quelli discussi inutilmente dai teologi (temi del carteggio con il Padre Giovanni Battista Mondin57 e di Ivi, p.868. Rimando al mio: L’astrattismo dei teologi e l’ingiusta sofferenza. Due libri dalla biblioteca di Guido Morselli, “Parole rubate”, n.6, dicembre 2012. Padre Mondin, ancora attivo a Roma, all’Antonianum, ma che, contattato dalla 56 57 AFFANNARCI 103 Teologia in crisi, in quegli stessi anni). Vanetti continua il suo discorso, riportandolo sulla sua “vergogna”: quella sua cura del corpo giudicata senza speranza (lo ripete con occhi sbarrati, con toni che al giornalista appaiono terrificanti, quasi avessero risonanze diaboliche), per concludere con le domande: Che cos’è la vita ormai, per me? Cinque figli che crescono allo sbaraglio. Uno, infelice per sempre, vittima di un male che non guarisce. Che cos’è la mia vita? Dio mi ha lasciato, non ci sono più appelli dall’alto. Non ci sono più luci. Mi mancano i principi e i fini supremi. Mi trascino. Tiro avanti aspettando, ogni anno, l’estate per fare il mio mese di crociera. Dove ha peccato quel bambino vittima di un male che non guarisce? Domande che Morselli si pone ormai da più di un ventennio. Che rimbalzano in scene identiche in ambiti molto diversi, magari con itinerari capovolti, come, ad esempio in un breve inciso di Contro-passato prossimo, nel personaggio di Ludovico Schwanthaler, a cui muore un figlio “naturale”, ucciso perché sorpreso dal marito dell’amante. L’uomo, sentendolo come castigo della sua connaturata sregolatezza, lascia una brillante posizione militare per farsi monaco benedettino. Pur non essendo cattolico, resta convinto di dover espiare in prima persona. A Subiaco, ci fa sapere Morselli, l’uomo trova la felicità (l’ispirazione potrebbe venire anche dal noto romanzo di Fogazzaro Il santo, Terziroli, ha dichiarato di non rammentare nulla di Morselli, non è l’unico teologo con cui Morselli instaura un dialogo, come vedremo nel quinto capitolo, con caparbietà e insistenza, sul tema del male e del peccato originale, spesso ricevendo risposte evasive, imbarazzate o fuorvianti. 104 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI presente nella biblioteca personale dello scrittore). Lo ritroveremo più avanti, nel pieno delle azioni belliche nella III parte del romanzo, a svolgere, nella sua nuova veste, una azione diplomatica per conto del papa. Saverio Maggio di Uomini e amori è medico. Non molto stimato nell’ambiente (come Karpinski), possiede inclinazioni poetiche e letterarie che lo rendono diverso dalla media borghese. E ne è consapevole. Le ultime pagine del primo romanzo di Morselli, ambientate durante la Seconda Guerra Mondiale, in Calabria dove i due protagonisti del romanzo si ritrovano in un territorio scopertamente autobiografico, segnano una sconfitta per la sua arte medica. Ferito a morte è proprio Vito Antonicelli, detto Cambria, il coprotagonista dell’azione narrativa. Una incursione aerea degli alleati gli ha procurato una ferita mortale e tocca a Saverio constatare la gravita della situazione. Ha già dovuto assistere impotente alla morte di una bambina, Ada (come si vede elemento ricorrente in Morselli), per colpa di una piccola ferita provocata da un chiodo arrugginito. Episodio che si lega, come una ombra, alle questioni amorose di Vito, innamorato, anni prima, della madre di Ada. Di fronte al male, alla guerra, alla malattia, afferma un personaggio minore, non serve dare teorie, si ha solo da scegliere un partito, ciascuno con la sua ostilità e la sua bellezza, contrastarlo con l’azione o accettarlo con umiltà. Come Vanetti, ancora prima di assistere all’amico morente, Saverio dichiara di aver perso la fede. Il processo è lento rispetto al suo collega del Dramma borghese, le circostanze in cui si trova nel conflitto bellico avvicinano però i AFFANNARCI 105 due momenti in un silenzio attonito di tragedia. Con Cambria, in fin dei conti conosciuto da vicino solo in quella casuale quanto forzata vita comune in Calabria, aveva discusso della ipocrisia dei cattolici, insopportabile e ben rappresentata dal rigido cappellano militare. Le sue meditazioni non sono diverse da quelle già rilevate nella saggistica religiosa e filosofica, durante e dopo la stesura del romanzo. Quella di Saverio è una vera e propria crisi, accentuata dalla lontananza e dalla probabile infedeltà di Nene, la donna che ama. Fedele alle sue posizioni sull’amore, aborrita la gelosia come sentimento egoistico per eccellenza, il medico non era intervenuto in nessun modo, apprese dalla suocera le “novità” sulla moglie. Tuttavia, “l’isolamento e le asprezze” di quei mesi di solitudine, oltre a provocare stanchezza, lo avevano inaridito. Dio gli appare lontano (quanto risuona in bocca ai personaggi di Morselli questa constatazione!), inaccessibile, una astrazione metafisica o qualcosa di meno ancora. La guerra non fa che dimostrare l’irrazionalità degli eventi umani, in totale contrasto con l’idea di una divinità positiva. La sua consuetudine di riferire ogni cosa alla Provvidenza era ormai solo un ricordo. In questo contesto, arrivati dal cielo gli orrori della guerra, sotto forma di bombardamenti con i quali il tedio di quei mesi si interrompe, ma con il peso di altri quattro morti, oltre Vito, non rimane che l’esercizio del proprio dovere di medico. Saverio è cosciente che la sua pratica professionale non ne ha diminuito la sensibilità: se il caso (e la necessità) vuole che non possa vegliare Vito fino all’ultimo minuto perché richia- 106 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI mato al capezzale di altri malati, l’utilità della sua professione, l’umanità dignitosa dell’amico morente dicono l’ultima parola in questo primo finale, bellissimo e premonitore, della narrativa di Morselli. Ilaria, amante borghese. La guerra, gli abbracci, il tradimento Se Incontro con il comunista è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, con a fuoco la resistenza partigiana, l'introduzione alla prima parte della trilogia di Fede e critica, ci indica la stessa fonte ispirativa nelle meditazioni su quella esperienza tragica. Filosofia sotto la tenda non ha carattere sistematico e non è neanche, precisa Morselli, un diario di Guerra. Diario è, invece, Incontro con il comunista, dove si alternano narrazione di avvenimenti con riflessioni in qualche passaggio non dissimili, anche per lo stile, dagli appunti della trilogia. Nella prima pagina dattiloscritta del “libello” saggistico, ancora inedito, la guerra è considerata una “silloge” certamente “deprecabile”, icasticamente simbolica “della immoralità e moralità di questo nostro mondo”. Ciò induce all'approfondimento di una “categoria” necessaria a comprendere l'esistenza stessa dell'umanità. Il problema del male, assai dibattuto in sede teorica e speculativa, impegna, infatti, “direttamente la sfera individuale” di ogni singolo uomo, ponendo delle domande che rimangono irrisolte. Morselli, più avanti, a pag. 2 del dattiloscritto inedito, riassume in una formula, poi ripresa an- AFFANNARCI 107 che nell'apertura del volume edito di Fede e critica: Il male assume per l'uomo l'aspetto della sofferenza, che è un fatto soggettivo, o senz'altro, relativo all'individuo. Come tutta la speculazione di Morselli sarà chiamata a dimostrare, non c’è problema filosofico o religioso che si ripercuota più profondamente nella vita privata dell'uomo comune58. Problema magari rimosso, finché la vita non lo ripropone con evidenza di fronte al dolore o alla morte di qualche persona cara. Motivo filosofico che interessa, dunque, come nessun altro, l'uomo quotidiano, non in astratto, ma in vista di una concreta risposta ai suoi bisogni. Con un correlativo oggettivo tangibile a questa domanda eterna: la malattia. Ne abbiamo parlato, ne riparleremo di nuovo. Altre due osservazioni di Morselli, in sede preliminare, vanno annotate. Intanto ogni discussione sulla morale deve, tentativamente, rispondere al quesito sul male, che si pone in termini “pratici”: [Il male] Questa realtà così palesemente estrinseca, nella sua ineluttabilità, così efficace nel persuaderci della nostra natura di esseri limitati e subordinati — il male, in ogni suo aspetto — non può tuttavia venire appresa, esplorata, se non negli effetti che ha in noi. Attributi, “limitati” e “subordinati”, che i personaggi di Morselli ricevono quale sigillo battesimale, a cominciare dalla protagonista femmi58Nel capitolo seguente si vedrà come questa idea è svolta nel Comunista. 108 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI nile, Ilaria Delange, la scrittrice di Incontro con il comunista, di cui si descrive la volontà, incontrato il comunista, di subordinazione alla figura autorevole di lui, fisicamente, intellettualmente, moralmente. Il male, e quotidianamente, il suo correlativo oggettivo, ci pongono in una situazione di manchevolezza e di attesa che rispecchiano figuratamente la nostra natura, appunto, limitata e subordinata. Dato, in sé, certamente non positivo, da cui può scaturire un’inquietudine positiva e aperta verso il riconoscimento di una alterità da cui, evidentemente, si dipende. Se gli spiragli utopici e ottimistici, insieme ad esempi folgoranti di grandi interpreti di tali esperienze, Agostino su tutti, non mancano nei saggi sulla fede, la narrativa scende nell'attualità scevra di modelli autorevoli. Rivelando in pieno la fragilità interiore della natura umana, che non può riposare se non sotto le ali di un uomo integrale, libero da tendenze individuali. In questo senso le vicende di “comunisti”, diversamente da quelle dei borghesi perennemente in lotta con l’egoismo o con un falso eroismo di matrice romantica, sono storie di una lunga illusione di aver incontrato, durevolmente, questa integrità, nel campo ideologico e in quello affettivo. Nell’Incontro con il comunista l’ultima pagina rivela crudamente il tradimento di Gildo Montobbio: tanto lento l’itinerario della subordinazione della scrittrice, borghese, vedova quarantenne, Ilaria, alla statura morale e umana di lui, il comunista, tanto breve e scarno, significativamente, il finale. Senza alcun commento e giustificazione e neanche descrizione dello stato d’animo di Ilaria, ella si accorge non vista, alla AFFANNARCI 109 stazione, che lui, nel momento di ripartire per il fronte, teneramente abbraccia un’altra donna: il distacco da lei, pensa Ilaria, in una frazione di secondo “deve essere stato penoso”. (E questa è l’unica, tremenda, notazione psicologica che vanifica, in poche frasi, l'illusione d'amore. Il distacco da lei, è evidente il sottinteso, non è stato così penoso. Non l’ha voluta alla stazione, perché — diceva — non voleva gli addii retorici, commoventi, plateali: ora Ilaria comprende la verità). Il dubbio sulla personalità di Gildo, affiorato debolmente nelle pagine precedenti, esplode in queste desolate frasi, scarne e avvelenate, senza nemmeno il conforto di un qualsivoglia commento e tantomeno giustificazione. Si ha solo la sensazione di una incertezza, di un pudore, come di una mano tremante nell’impugnare quella pistola che di lì a poco scaricherà il suo colpo violento e repentino, destinato a sconvolgere, autentica catastrofe tematica, nascosta in uno stile volutamente en bas, ciò che gran parte del tessuto narrativo aveva costruito fino a quel momento. Scena che dilegua velocemente, come la protagonista, che ora ha solo voglia di fuggire59: Non ho avuto bisogno di guardar meglio. Ho sentito che era lei. Non ho pensato a nascondermi, ero vicina al muro e mi ci sono appoggiata; tanto, sapevo che non mi avrebbero vista. Ma quest'altro distacco dev’essere stato penoso, per Gildo. Si sono stretti, baciati sulla bocca, lì in mezzo alla gente; un bacio che è durato qualche istante. Poi sono uscita dalla stazione, ho camminato un poco prima di prendere il tram. Il tram costeggiava il nostro 59Guido Morselli, Incontro con il comunista, Milano, Adelphi, 1980, p. 126. 110 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI scalo merci, ho riveduto le due finestre di casa “nostra”. La narrazione/diario si interrompe poco dopo, dando la sensazione che la parola narrativa e diaristica abbia avuto un impulso notevole in quella stagione affettivamente importante, tornando ora al suo carattere meramente elencativo di fatti. Punta acuta di quello che presumibilmente è un grande dolore che non si evidenzia in una disperazione strillata, ma, piuttosto, nella perdita completa di ogni energia vitale, di ogni reattività alla sconfitta bruciante. Senza soluzione di continuità, disinnescata, volente o nolente, la grande delusione, prima di concludersi, il diario ci attesta il ritorno alla normalità con il rientro di Ilaria al suo albergo, segno distintivo della classe d'appartenenza, più volte sottolineato nel confronto con il palazzo popolare dove vive Gildo, la “nostra casa”, il luogo dell'incontro d'amore. “Appena entrata in camera, una chiamata al telefono da Sussmilch”: si tratta di un tedesco, fedele al Führer e compagno della migliore amica di Ilaria, Francesca. È invitata a una “riunione per festeggiare il genetliaco del Führer” ma Ilaria rifiuta sia per il totale svuotamento di energie sia per la subordinazione vissuta nei confronti di Gildo che suona comunque, politicamente, come eredità positiva, nel rifiuto netto dell'ambito borghese fascista, col quale del resto, Ilaria non aveva avuto troppa simpatia neanche agli esordi del romanzo. Il diario, fin dalla prima pagina, si può considerare la descrizione di un periodo di convalescenza, quella di Gildo, amico e commilitone del figlio di Ilaria, attraverso la lente di una improv- AFFANNARCI 111 visata “assistente” del malato, sempre più coinvolta nella personalità di lui. Paradossalmente, grazie anche alle sue cure, che finiscono, come si è capito, in un affetto particolare e poi in una vero e proprio amore, Gildo guarisce dalle ferite di guerra ed è pronto per tornare al fronte. I due decidono di interpellare un amico, colonnello medico, per prolungare la convalescenza e conseguentemente, la licenza di Gildo per rimanere a Milano. Non sembra una cosa difficile per il buon “colonnello P.” ma a questo punto il partito impone a Gildo di rientrare al suo posto e, di conseguenza, alla sua missione nell'ambito della opposizione clandestina. Si sfiora, in queste pagine, ma senza entrare nel merito, quello che invece nel Comunista sarà uno dei termini del contenzioso tra Ferranini e il suo partito: il rapporto tra l'affettività, la sfera cosiddetta privata e l'interesse collettivo, che in fin dei conti, corrisponde ai dettami del partito, o meglio alle direttive di uomini preposti alla sua guida. Morselli in proposito pone un intelligente quesito, in cui è lecito osservare una certa ironia. Se infatti il vero comunista deve rinunciare60 “a vagheggiare la propria intimità” e individualità è innegabile che figure come Gildo sono al di sopra della media dei compagni proprio in forza della loro potente individualità. E per questo portate a comandare, a decidere. Ecco come il diario descrive Gildo, nel pieno della vicenda d'amore61: 60Ivi 61 p. 114. Ivi p. 99. 112 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Uomo d'azione ma che ama le pause contemplative. Come è un sensuale che conosce lunghi intervalli di gelo. Limpido e talvolta impenetrabile, indubbiamente quest'uomo ha un'individualità non confondibile, non riducibile. Una descrizione a cui62 si accorda non so come, una fede che è di quelle che tendono non solo a permeare una personalità, ma sopraffarla [...] Non si può avere le idee che ha Gildo senza sacrificare loro le inclinazioni, le abitudini, le anomalie, che fanno l'individuo nella sua singolarità, nella sua insularità. E lui in qualche modo deve accorgersene, se mi ha detto “Essere soltanto comunisti non si può, certe volte bisogna essere anche uomini”. E, ancora, il rilevamento, ingenuo e significativo, di un forte contraddittorio, nell’ambito delle ideologie63: Mi pare che il collettivismo livellatore nasconda un'intima contraddizione: per vincere ha bisogno anch'esso di uomini rilevanti, ma tali uomini incarnano proprio l'antitesi della dottrina per cui combattono. Note in linea con le osservazioni di Filosofia sotto la tenda rispetto alle ideologie più fortunate del nostro secolo64. Ivi p. 100. p. 96. 64 Se ognuno ha il suo peculiare bene da compiere, corrispondente al suo modo di uscire dall’egoismo, per illuminazione, ed entrare nella sfera morale, vi è una entità che i grandi (quelli illuminati dalla tensione extraegoistica) riconoscono essere una “Madre Natura” al di sopra del genere umano e la quale “dispone che ogni essere umano abbia una situazione diversa, rispetto a lei e agli altri esse62 63Ivi AFFANNARCI 113 Questa individualità permette a Gildo di combattere delle battaglie, anche all'interno del partito clandestino e di essere ascoltato. Poi, nel Comunista, di diventare alto dirigente del partito, a Roma. Emerge, allora, un carattere duro, taciturno e enigmatico, fortemente volitivo. La donna ne è attratta, anche se ben comprende di essere oggetto di sottili ipocrisie: Gildo si compiace di entrare nel suo letto per una missione ideologica, che rientra “anche sotto le lenzuola” nella “finalità del partito”. Mentre fa l'amore, il compagno Gildo “lavora” un avversario, lo conduce, amorevolmente, verso la giusta causa65: Dovrei offendermi, ribellarmi? Vicino a Gildo io sono felice. È stato Gildo a rivelarmi che nella parte della donna, ossia nella nostra subordinazione, c'è un incanto indicibile, l'unica possibile felicità. Le mie velleità di autonomia femminile sono un ricordo lontano, e che talvolta ha persino del comico. La subordinazione ad una personalità dominante, concetto attinto dal caro Amiel66, per afri, e perciò sia chiamato a percorrere una sua distinta parabola”. Le ideologia per Morselli tendono invece ad associare moralità all’ uniformità, al collettivismo, all’idea astratta di bene comune. (p. 27 e ss. del dattiloscritto di Filosofia sotto la tenda). 65Guido Morselli, Incontro con il comunista, cit., p. 100. 66Un altro dei libri chiave della formazione di Morselli come la critica ha rilevato è presente nella biblioteca personale in francese, Henry Friedrich Amiel, Fragments d’un journal intime, introduction de Bernard Bouvier, Paris-Geneve, Libraire Stock-George, 1927, nella catalogazione del Fondo Morselli come MOR 887-888, dove oltre alla subordinazione si trovano i concetti di amore (anche mistico e sublime) ed egoismo contrapposti fortemente 114 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI fetto è il contenuto primo, specifico, della lunga illusione. Ed è la stessa parola che abbiamo trovata in Filosofia sotto la tenda in un senso obiettivamente più universale rispetto a questo luogo dove è evidenziato dal carattere stesso della femminilità67. Affidarsi ad una personalità autorevole comporta anche l'accettazione delle sue idee:Gildo diventa “missionario” del proprio credo. È questa autorevolezza nella affettività e nel comportamento umano che apre a Ilaria la fiducia nella persona prima che nelle sue idee. Anzi Gildo, in questo senso, è un comunista sui generis68, o se si vuole un vero comunista, capace di sacrificare il proprio io per andare incontro all'altro. Se ne ha la prova più lampante quando la “individualità” di Gildo prevale sulla questione dei “fascisti convertiti” che per lui vanno assolutamente ammessi nelle file del partito clandestino. Il romanticismo utopico di Ilaria esalta le idee di 67Ricorda Valentina Fortichiari, a pag. XXII della sua nota a Guido Morselli, Diario, Milano, Adelphi, 1988: “A parte certi percorsi autobiografici di ricerca, filoni omogenei di studio o di semplice curiosità, la netta maggioranza delle letture e delle citazioni era legata strettamente alla produzione scritta di Morselli, ne costituiva una sorta di lavoro preparatorio-documentativo, una base di ispirazione e talvolta autentico modello sul quale costruire alcuni personaggi dei romanzi (come nel caso di Ilaria, nell’Incontro con il comunista, tratteggiata attraverso la sensibilità di Amiel), in questo contesto le riflessioni diaristiche diventano anche chiavi di lettura per comprendere l’intera sua opera letteraria”. 68Cambierà del tutto, finita la guerra, pienamente inserito nell’ambiente affaristico romano, pur mantenendo la fede comunista. AFFANNARCI 115 Gildo, favorevole invece ad un perdono radicale. Il “comunista” arriva addirittura a dichiarare che il fascista pentito è il miglior compagno, il più attivo. Perentorio si presenta, in queste altre espressioni di Ilaria, il rapporto tra i due. La speciale subordinazione di lei alla sua autorevolezza, alla sua individualità69. Ci vogliamo bene e ce lo dimostriamo; se volesse, Gildo avrebbe in me un'adepta volenterosa, tanto naturalmente mi sento portata a condividere ciò che egli sente o pensa. La subordinazione a Gildo, sempre si badi bene per gli occhi innamorati di Ilaria, contiene i fattori positivi del comunismo e travalica, come parzialmente già considerato, questa ideologia, in un territorio meno dogmatico 70: Per la seconda volta, ascoltandolo, mi sono chiesta: ma è un comunista quest'uomo? [..] Quest'uomo vede meglio dei suoi compagni, ha delle idee che s'impongono, nell'interesse della causa. E infine un'altra notazione, sempre descrittiva della meraviglia di una donna, matura, vedova che scopre il vero amore a quarant'anni e ne passa in esame, via via, come davanti ad uno specchio, le sempre più avvincenti, straordinarie, qualità71: Ivi, p. 98. p. 96. 71Ivi, p. 102. 69 70Ivi, 116 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Mi è stato caro, invece, saperti nemico dichiarato degli egoismi, delle menzogne che io mi vedevo intorno, in quello che era il mio mondo. Mi sembra di doverti essere grata come all'uomo che mi ha restituita a me stessa. Poco dopo questa dichiarazione — con le stesse parole si potrebbe rivolgersi a una entità religiosa tramite un suo rappresentante sulla terra, dichiarando d’aver ritrovata la fede — Gildo è sorpreso da Ilaria, una prima volta, con la ragazza della “stazione”. Significativo che il primo forte dubbio su Gildo, superato di slancio, venga proprio dopo una totale dichiarazione di fiducia, quasi ad anticipare quello che il finale, poi, non dice, maschera nello squallido silenzio delle cose ritornate uguali. Ilaria lo perdona anche perché la vita “borghese”, senza di lui, è diventata arida, insopportabile. Una sensazione fisica: ancor prima di diventare amante di Gildo, e inconsciamente già a causa di lui, rifiuta le proposte del suo editore, Caggiani, figura rappresentativa degli ideali borghesi. Episodio significativo se si confronta con l'abbraccio al centro della vicenda amorosa di Ilaria e Gildo. Qui l'individualità è sentita come limite: tra le braccia di Caggiani, la donna sente di non avere volto, di non essere se stessa. Ci sia consentito il ricorrere ad una lunga citazione 72: Io in piedi, fra le sue braccia, le nostre figure moltiplicate da quegli specchi, avevo idea di star compiendo un esercizio mondano, di dover muovere il passo di una danza. Ricordo che mi sono guardata la nuca come per accertarmi della acconciatura; la 72Ivi, pp. 31 e 32. AFFANNARCI 117 persona di Caggiani, aderente alla mia, spiegava anche in quella posa e in quella tenuta un vigore asciutto, un’impeccabile eleganza. Le sue mani mi carezzavano la schiena, la bocca premeva progressivamente la mia, ma ancora ogni suo gesto era esattamente misurato; corretto come l'anodina fragranza di dentifricio spirante da quelle labbra sottili e appena dischiuse. Tutto quel suo procedimento mi pareva ieri sera diviso in episodi, ridotto all'astrattezza dei fotogrammi di un film. Aveva vagamente il senso di una didascalia sopra un cartellone: l’amore illustrato in otto figure, o cosa simile [..] Ed è stata, di quel frigido accostamento al piacere, la prima sensazione che mi penetrasse: un brivido di pena, affiorante da chissà che lontani ricordi puerili: l'uomo contemplava i miei fianchi quasi nudi e io ero già remota da lui e da me. L’intimità dei ricordi dell'infanzia diventa qui un muro di freddezza, come di due oggetti separati da una improvvisa glaciazione. Di tutt’altra natura la splendida descrizione di un abbraccio rivelatore tra i due nuovi amanti. Ma per commentarlo è necessario tornare all'inizio accennando all'altro elemento precipuo che forma la natura dell'incontro: la malattia, correlativo oggettivo del male e della guerra. Gildo è abbracciato, letteralmente, per placare il freddo provocato dalla febbre, risalita dopo un periodo di relativa buona salute. La malattia di lui crea, all’inizio, una particolare situazione, che man mano, come si è capito, si rovescerà nel suo opposto: l’uomo ferito, sia pur non chiedendo aiuto, lo riceve gratuitamente dalla donna. Entrambi ne provano giovamento: lei si sente realizzata, prima ancora di presentire il sovrapporsi di un altro sentimento, quello dell’amore. Lui, il comunista, senza lamentarsi, fedele alla durezza autorevole del suo 118 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI personaggio, riceve insperate e gradite attenzioni. Gildo è in licenza a Milano, convalescente, deve guarire dalle ferite provocate da schegge di granate penetrate nel suo corpo e che danno, fisicamente, l'idea della vulnerabilità, nella continuità di quell'eccidio universale sul corpo del singolo. Roberto, il figlio di Ilaria, in una delle tante lettere dal fronte parla ammirato alla madre di “quel suo compagno d'armi che è ricoverato all'ospedale militare di Baggio” 73. “Non ho mai visto Roberto così sollecito per nessuno dei suoi amici” commenta Ilaria, intravedendo quella solidarietà tra commilitoni, quella pietas che deriva dall'esperienza della guerra, dalla condivisione soprattutto di dolore e malattia. L’uomo, scrive nella parte edita di Fede e critica, è un essere dipendente, nella sua fragilità. E il Dio, è un appunto significato nel contesto del discorso a cui ora non si accenna, è anche, come recita il salmo 196, Dio della nostra salute. “L'uomo come tale è stato definito: un essere che ha bisogno di Dio74”. Si tratta di un atteggiamento naturale, originario, proprio della “specie umana” nel caso specifico di Gildo, magari sepolto da un carattere particolarmente forte e che riaffiora nella malattia, nonostante il comunista voglia mostrare la propria abnegazione e indipendenza: “Domandare, attendere, anche nei rapporti umani è sempre un subordinarsi75”, in una commistione 73Ivi p. 9. Morselli, Fede e critica, Milano, Adelphi, 1977, p. 74Guido 235. 75Ivi p. 234. Il corsivo è mio. AFFANNARCI 119 tra la lezione evangelica e quella di Amiel. D'altra parte in Fede e critica, come nei personaggi salvezza alla Karpinski, emergono le caratteristiche di quello che potremmo definire il Dio Persona, “amabile” soprattutto con i malati e i peccatori. Il mondo borghese ne è l’antitesi. Quello comunista diverge nella sottolineatura del collettivismo, a scapito della ricezione della individualità irrepetibile di ogni persona. Gildo non è sfiorato, al proposito, da nessun dubbio, quando il partito, intromettendosi di fatto anche nella sua “sfera” privata, gli ordina di tornare al fronte dove potrà giovare all'attività clandestina dei compagni. Il diario di Ilaria disvela l’incontrarsi in un territorio comune di due personaggi diversi per esperienze e classe di appartenenza. Il territorio del bisogno e della fragilità, antitesi, di fatto, di ogni spocchiosa adesione a una certa ideologia o prassi di vita. Lo stile narrativo, asciutto e realistico nelle descrizione d'ambiente e nei dialoghi tra i personaggi, riesce a trasformarsi nei momenti in cui più pressante è la richiesta di aiuto, sia pur velata in Gildo, che reciprocamente i due si chiedono. La convalescenza è momento privilegiato, favorevole all’“incontro”76: Io sono felice di poter far qualcosa per quest’uomo. Non ho mai creduto alla sincerità e utilità della cosiddetta beneficenza: ma col Montobbio mi sembra che si sia stabilito un rapporto diverso, senza unzione da parte mia, senza umiliazione da parte sua. 76Guido Morselli, Incontro con il comunista, cit., p. 16. 120 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Così Ilaria nelle prime pagine del diario, dove già viene alla luce il carattere della donna, il suo bisogno di riconoscersi in qualcuno: “Mi sono sentita attrarre a quell'uomo da un'improvvisa pietà, irriflessa e profonda” 77. La figura di lui è invece emblematica tra durezza e richiesta di pietà, nella malattia: è orfano, vive una crisi religiosa che lo porterà al pensiero di farsi frate, sente la vocazione sociale per l'altro ed è ferito di guerra (elementi che in parte passeranno in Walter Ferranini). La fragilità iniziale del suo corpo ferito è descritta con minuziosità78: Il gesto con cui si è scoperto è stato così impaziente e brusco che mi è mancato il tempo di volgere il capo. Prima che la suora gli rialzasse il lenzuolo, la nudità del povero Montobbio si è rivelata per qualche istante, pietosamente, con la laidezza miserabile che ha il sesso sulla carne inferma. [...] La magrezza di quel corpo mi ha fatto pena. Nudità, povertà e addirittura squallore “laido” nel corpo umano: di per sé, materialmente, un silenzioso grido di pietà che Ilaria raccoglie. È un miscuglio di sacro e profano, di sentimentalismo e di nostalgia per una dimensione evangelica dell'incontro tra uomini non infrequente in Morselli. Se Fede e critica (nella sua completezza, in particolare nell'ultima parte Due "vie" della Mistica) auspica la presenza di un uomo totale, incarnazione della carità universale, della misericordia, allontanandosi dall’immagine del Dio 77Ivi, 78Ivi, p.21. p. 20. AFFANNARCI 121 imperscrutabile che ammette il Male, la presenza continua della malattia (psicologica e fisica) nei romanzi, nelle due formidabili sceneggiature per il cinema (dove il tema è centrale: Il secondo amore, È successo a Linzago Brianza) e in parte nel teatro (Il redentore), ne attesta e ne sottolinea allo stesso tempo l’urgenza e l'assenza, nella descrizione, spesso commovente, della fragilità umana. Lo abbiamo dovuto ribadire più volte, tanto incarna la visuale più profonda della sofferta riflessione artistica e saggistica di Morselli. In bilico tra questi due poli si muovono figure positive ma laterali nell'azione dei romanzi. O altre, come nel caso della storia d'amore di Gildo e Ilaria, portate a vivere per un breve periodo un sentimento di dipendenza o subordinazione, extra egoistico: “Mi sento in qualche modo impegnata verso quest'uomo, ancora infermo, ancora inerme e solo” 79. La guerra si rivela momento simbolico dell'esplosione del male/malattia opposto a quello della pietà80: Il racconto che Roberto mi fa nella sua ultima lettera dimostra semplicemente come la guerra metta l'individuo di fronte a delle brutali necessità, costringendolo a soffocare nel proprio cuore ogni istinto pietoso. Uscire dall'ipocrisia e dall’egoismo consiste per Ilaria nel rifiutare gli ideali della sua classe e condividere l'amicizia di Gildo. Ancor prima di averne compreso gli aspetti ideologici, cerca di seguirne l’esempio. Tutto il resto appare vani79Ivi, 80Ivi, p. 24. p. 26. 122 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI tà81: Ho avuto d'un tratto, guardando quei libri [ i suoi romanzi ] la nozione precisa dell'inconsistenza del mio lavoro [...] niente se non vanità e ozio. [...] Mi accorgo che il gusto di scrivere mi abbandona senza rimedio non appena si delinei in me una crisi, un disagio, breve o lungo che sia. Parallelamente le pagine del Diario mettono a fuoco la personalità di Gildo. Si scopre allora la sua attività clandestina e la sua passata vocazione religiosa. Si discute sul comunismo, si affrontano con lui varie questioni. Si accenna alla degenerazione parallela dei due movimenti che hanno come finalità precipua l'attenzione ai bisogni materiali e spirituali dell'uomo: il comunismo e il cristianesimo, quasi che la fragilità poi esplosa nel singolo carattere dei protagonisti sia anche quella delle grandi “ideologie” della storia. Intanto Montobbio chiede ad Ilaria, per non perdere l'assegnazione della casa popolare intestata al fratello, di trasferirsi, “formalmente”, da lui. È il primo atto per trasformare, nel secondo capitolo, quella casa, nella “nostra casa”. La prima parte si chiude su di un breve episodio con Caggiani, che lascia alla donna un senso di pena con quel suo discorrere elusivo, svagato, sofisticato. Ma soprattutto, con osservazioni di Ilaria sulla felicità, il cui avvertimento, dicono “i saggi” di questo mondo, si lega all’entusiasmo di una età giovanile. Prima di essa siamo bambini, dopo di essa siamo adulti, trascrive leopardianamente nel suo diario la donna, evidentemente ancora nel guado, pur avendo superato i quaranta. 81Ivi, p. 35. AFFANNARCI 123 Quella crisi però si ripresenta ogni tanto, in forma di moleste interrogazioni: È giusto rassegnarci alle tenebre e al freddo: ma non possiamo accogliere la luce e il calore nei rari momenti in cui ci sono dischiusi, se tutto l’essere vi aspira, con tutte le sue forze? 82 Significativo nello svolgimento delle sequenze all'inizio della seconda parte il disvelarsi, reciproco, della malattia. Partendo da una ben nota situazione di orfanità, anche questa caratteristica dolorosamente autobiografica di cui porteranno il notevole peso molti personaggi morselliani. Linda Terziroli, in un saggio profondo e intelligente83, trova la chiave interpretativa dell’intero universo dello scrittore, alla luce della prematura scomparsa della madre. Gildo diviene orfano dei genitori a soli tredici anni, e vive parecchi anni in un ospizio salesiano. A Ilaria confida di sentirla vicina alla figura materna, morta quando era circa della sua stessa età. Prima dell’abbraccio, e prima di diventare l'amante del comunista, all'inizio della seconda parte, anche Ilaria è malata, sia pur solo di una febbre mestruale, frequente in lei, “inevitale tributo all’influenza”. Inevitabile anche la visita medica, fredda, professionale, quasi nociva dell'intimità, alla quale Ilaria si sottopone suo malgrado: “mi son dovuta sedere sul letto, quello mi ha palpata e auscultata. E mi è parso un supplizio”. Ancora con qualche linea di febbre Ilaria esce Ivi p.54. Linda Terziroli, “Quand l’amour meurt”. I personaggi orfani di Guido Morselli, “In limine-Guido Morselli”, agosto-dicembre 2012. 82 83 124 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI per recarsi a casa di Montobbio aiutandolo nelle pulizie. Gildo le mostra le foto di una donna, un amore del passato. Ed ecco che si accende in Ilaria, insieme alla febbre, il morbo della gelosia, sentimento comunque egoistico per Morselli. Un terzo elemento, per altro classico, porta a compimento la storia d’amore: una breve lontananza, per un viaggio clandestino di Gildo. Annota Ilaria, al suo ritorno, prima del grande passo, ricorrendo ancora ai ricordi d'infanzia84: In queste poche settimane qualcosa di profondo e prezioso è nato fra di noi, una dolce fraternità che lega ciò che vi ha di migliore nei nostri cuori. Quand'ero bambina, mio padre mi insegnava che Dio sorride tutte le volte che nasce un affetto tra gli uomini; oggi al Parco la natura col suo verde nuovo ci sorrideva veramente. Un affetto, propriamente un movimento che conduce fuori da sé, al riconoscimento dell'altro. Movimento che, per far sorridere Dio, dovrebbe potersi applicare a tutti i rapporti, a tutti gli affetti. L'amore per Ilaria, dopo averne conosciuto in casa di Gildo l'aspetto sessuale, si rivela come profonda obbedienza, subordinazione, ammirazione. Con la sensazione di aver ricevuto un dono, gratuito, non meritato. Tanto che si reca in chiesa a ringraziare il Signore85. Un incontro che né fatale né provvidenziale: nasce da un caso, ha l'impronta della precarietà, pensa la donna. Casualità, benevola e precaria. Circostanza fortunosa ed episodica. Il territorio dell’incontro, in quell’ultimo scorcio del raccon84Guido 85Ivi, Morselli, Incontro con il comunista, cit., p. 63. p. 79. AFFANNARCI 125 to in cui i due protagonisti divengono amanti, è coltivato in questi diversi territori. Il tono del romanzo accentua la corda patetica quando due fragilità si uniscono nell'eguale desiderio di “guarigione”, rivelando l'originalità con cui Morselli esplora (e in futuro egualmente esplorerà) il rapporto tra una mancanza evidente, rappresentata da una qualsivoglia motivata coscienza di fragilità, e il desiderio di pienezza. Il gesto dell'abbraccio è il più completo e nello stesso tempo il più illusivo. Si scopre che il vero possesso è tale nella dimensione extraegoistica. Ma qual è il vero bene dell'altro, chi lo stabilisce? Domande inevase, implicite, mi sembra, nel romanzo, che sceglie, come si è visto, la conclusione più amara e più realistica: l'incapacità del vero possesso senza il tradimento, la fragilità, in ultima analisi il male e l'egoismo, più forti di un impeto iniziale. La scena dell’abbraccio tuttavia si pone, silenziosamente, al di sopra di questo limite. Episodicamente. Gildo ha la febbre, penetrata nelle ossa. Marchio indelebile della silloge del male. “Il ribrezzo della febbre gli torceva il viso, la persona squassata dai brividi, spezzata alle reni dal male” 86. La sua è una autentica richiesta di pietà (“Liberaci dal male”) all'interno di quell’orgoglio che contraddistingue il suo carattere, la sua fede comunista: “Non voleva coricarsi; se ne stava seduto sul letto, batteva i denti e mi guardava con gli occhi pietosi”. A questo punto Ilaria ha una percezione acuta. È la sua presenza materiale, corporale, che può rispondere a pieno alla richiesta di pietà e, 86Ivi, p. 84. 126 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI insieme, costringere il malato recalcitrante all'obbedienza. È un istinto: efficace e impotente, spirituale e corporale, umano e bestiale87: Non so che istinto me lo abbia suggerito. Mi sono spogliata, sono entrata io nel suo letto: occorreva questo perché mi ubbidisse. Ci siamo tirati sopra tutte le coperte che ho trovate in casa, il suo soprabito, persino il panno che era sulla tavola. Ma la malaria gela le ossa e il sangue. Ecco la glaciazione dell’umano dipinta in questa febbre alta, terribile, acuta e penetrante. E il valore del corpo, naturale, istintuale. La nudità che diviene fonte salutare se trasmessa, nel possesso di quel particolare abbraccio, all’altro: Allora me lo sono preso tra le braccia, mi son tolta le calze e il resto che avevo ancora indosso, l'ho circondato, l'ho stretto, sentendo che gli avrei dato anche di più del mio calore e del mio respiro, ne avessi avuto il modo. Attraverso la stoffa della sua camicia, il tremito freddo del suo corpo si comunicava al mio, e io non avevo più che un pensiero: “Adesso io e Gildo siamo una cosa sola”. “Una cosa sola”: termine felicemente utopico, ricalcato sulla formula biblica e poi cattolica del matrimonio88. Mentre scrivo e sorveglio il fornello, penso che anche il nostro di oggi è stato amore di uomo e di donna, amore carnale, questo non mi sarei figurata, che nel contatto si potesse possedere così. L'incontro come apertura alla conoscenza non 87 Ibidem. 88Ivi, p. 85. AFFANNARCI 127 egoistica dell'altro che discopre in una dimensione più vera il proprio io. Il diario ha raccontato e racconterà ancora per qualche pagina, prima della catastrofe finale, fatti e discorsi illuminati da una meraviglia sempre più cosciente per quell’incontro straordinario, in una trama quotidiana. Se la barriera egoistica è abbattuta, Dio può sorridere. Nella storia d'amore di Incontro con il comunista, come in altri momenti successivi, l’abbraccio, per pochi attimi, può contenere l'intuizione commossa di un possesso nuovo nella rivelazione della creaturalità, della dipendenza: “L'uomo come tale è stato definito: un essere che ha bisogno di Dio”. “Domandare, attendere, anche nei rapporti umani è sempre un subordinarsi”. Lo stile del romanzo è compatto, il diario si svolge su una mirabile sintesi dell’interiorità, che permette comunque di passare alla osservazione esterna con andamento che non raramente assurge a un’aura di sacralità, descrivendo corpi su cui discende una reciproca commozione, autentica, anche se destinata a dissolversi nel giro di pochi mesi. Con qualche concessione a parole di prosa d’arte o arcaica stonate nel contesto, Morselli, sulle orme degli amati francesi, dipinge in modo originalissimo il rapporto tra il proletario e il mondo borghese, inserendovi, naturalmente, gli elementi già propri della sue riflessioni. È possibile avvicinarsi alla sostanza dell’uomo integrale, come Ilaria e Roberto credono essere Gildo? Prima che comunista è un uomo, sentiamo sussurrare dai due. Viceversa, Gildo, sostiene che il vero comunista deve rinunciare al “foro interiore”. 128 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Proprio su questo, sul foro interiore, si costruisce il diario di Ilaria, la quale, amaramente conclude, nella stirpe degli esclusi 89: “Non sorridere significa non vivere, e a questo diritto io non sono ammessa”. Con gli stessi personaggi si costruisce un testo per il teatro, inedito90, perfettamente comIvi, p. 126. La storia dei rifiuti e delle ricerche di contatto con il mondo artistico e della cultura deve ancora essere scritta. Non è dato, purtroppo, sapere quando potrà essere noto o, almeno, fruibile per gli studiosi, l’ampio repertorio epistolare di Morselli, per quel che riguarda la sua vicenda pubblica. In uno scambio di mail con Valentina Fortichiari ho accertato che esistono lettere agli editori, agli attori (una importante a Luchino Visconti verrà probabilmente pubblicata su “la Repubblica” quando questo libro sarà ormai stampato) a responsabili culturali, in questi epistolari definiti di carattere “privato” e quindi non pubblicabili. Molto probabilmente ci sono accenni non lusinghieri a personaggi ancora viventi o la cui fama non deve essere messa in discussione. Ci dobbiamo dunque attenere, con il rischio di essere smentiti clamorosamente dai fatti, a intuizioni rispetto a quello che la stessa Fortichiari ha pubblicato nelle sue opere saggistiche o biografiche. L’amante di Ilaria come apprendiamo dal frammento contenuto nella cartellina del Fondo di Pavia A I 1 viene spedita a Giorgio Albertazzi il 18-1-1956 e, come attesta un altro appunto del 26-1-1962, in A I 2.1., al teatro Sant’Erasmo di Milano. Mi sembra chiaro quanto Morselli ritenesse la commedia compiuta e di buon livello se negli anni continua a credere in una sua realizzazione teatrale, magari dopo aver assistito ad uno spettacolo con una compagnia o attrice adatta al ruolo. Si conservano, oltre a brani singoli, una prima stesura del canovaccio (su cinque fogli mss) AI 5, una seconda versione 8 fogli datata 27-4-49, un canovaccio più sintetico AI.7, vari fogli espunti, la prima stesura manoscritta AI. 11, racchiuso in un foglio con la scritta tratta da un ritaglio di giornali, a caratteri cubitali “Ilaria”, con la data di 29-12-47 come quella terminale. Con molte correzione, corrisponde sostanzialmente alla copia dattiloscritta, con 89 90 AFFANNARCI 129 piuto, L'amante di Ilaria, dove l'interesse di Morselli si fissa su un doppio tradimento, personale e ideologico, facendo trasparire l’unica legge del tornaconto, a cui, nel giro di pochi mesi, il comunista Gildo Montobbio, si converte. Se si leggono in sequenza, come un trittico unitario, le tre opere di ambiente comunista, Incontro con il comunista, L’amante di Ilaria, Il comunista, per arrivare poi, nel 1968, alla commedia sul padre del comunismo che, con uno stile ironico e distaccato, introduce tematiche simili, su sfondo però completamente diverso, il tradimento di Montobbio rivela ancora di più il suo carattere l’articolazione delle scene invariata. Alla fine del manoscritto troviamo le due date che attestano la revisione: 2612-49 e sotto 30-12-55 M 3. Anche la copia fotostatica AI 15 porta le due date 1949-1955. Dal canovaccio di AI 6 si rivelano particolari della vita di Ilaria da raccontare nel “Primo Atto (e antefatto)” mentre poi sceglie di iniziare dalla scena degli attestati di stima, quasi di figliolanza spirituale, tra Roberto e Gildo. Ilaria è la vedova del pittore Gaudio Delange, dal quale veniva ripetutamente tradita. Donna intelligente e scrittrice di successo, nella sua vivace maturazione, tra amarezza e nuova coscienza, subite per vent’anni queste umiliazioni, comincia una nuova esistenza nei primi anni della guerra, andando a vivere nella villa paterna, dove si svolge gran parte dell’azione della commedia. Come infermiera volontaria, lavorando in Ospedale, incontra Gildo Montobbio, ferito da una scheggia, come si racconta nel romanzo Incontro con il comunista. Come spesso avviene, Morselli scrive su carta riciclata, questa volta della società Caffaro Elettrica e Elettrochimica che invita gli azionisti, nel momento difficile per il Paese, subito dopo la guerra ad aderire alla campagna per nuove azioni partecipando all’Assemblea. Rimane la copia dattiloscritta con tre riproduzioni, una in copia carbone, con lievi correzioni. Cfr. Sara D’Arienzo, Elena Borsa. Il fondo Morselli. Materiali inediti, in “Ipotesi su Morselli”, n.37 di “Autografo”, luglio-dicembre 1998. 130 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI emblematico, fondato su un retaggio mai sedato di ammirata sudditanza verso i ricchi da cui si aspetta un risarcimento, una volta pagato lo scotto con il sacrificio della guerra partigiana. L’importanza non secondaria attribuita dallo scrittore a questa commedia si rivela nei vari tentativi, in anni diversi, di interessare attori (Albertazzi) e teatri. Sul dattiloscritto “campione” da cui derivano le altre copie (AI 12.1) campeggia a penna una significativa indicazione: “Incipit novus ordo”, che potrebbe alludere alla intrapresa attività teatrale, convergendo anche sulla implicita tematica del rinnovamento, rispetto alla corruzione, virgiliana attesa-profezia di un evento (in merito alla fortuna letteraria mai realizzatosi). Ignorando il finale della precedente narrazione diaristica, lo scrittore ci presenta di nuovo la coppia Ilaria-Gildo convivente a Roma, tra il 1944 e il 1946. Insieme ai due romanzi, Uomini e amori e Incontro con il comunista, siamo con questo testo teatrale, al momento iniziale del lungo itinerario creativo, con le due storie che incrociano ancora una volta l’ambito borghese, quello artistico (la scrittrice Ilaria), quello rivoluzionario, in un intreccio nel quale è singolare notare la disposizione delle scene, con la curiosità di Morselli di andare a verificare cosa potrà succedere se al tradimento d’amore (o di sesso, se si vuole) sopraggiunge quello della ideologia, convertita facilmente agli agi, se non agli ozi e ai vizi, della vita parlamentare. In entrambe le opere, notevole rimane, inizialmente, l’ammirazione di Roberto, il figlio di Ilaria, per Gildo, che porterà agli esiti più drammatici del conflitto ideologico, lasciando Ilaria sullo sfondo. Montobbio diventa parlamentare e membro AFFANNARCI 131 della Consulta (nel secondo atto), tale lo ritroviamo nel Comunista, tradisce con disinvoltura gli ideali marxisti, intessendo trame di interesse economico privato con il fratello di Ilaria, industriale in cerca di favori politici. Se Ilaria si trova in una situazione ben difficile, e perde sicurezza e slancio, il suo “amante”, di cui il titolo, rimane la figura capace di condizionare l’agire degli altri due protagonisti. Proprio nel riflesso della corruzione nelle azioni politiche di Gildo (mentre la sua figura umana va via via scomparendo dalla scena) si trova il contenuto principale della drammaturgia. Si tratta, lo vedremo anche in seguito, con Cesare e i pirati, Cose d’Italia e Roma senza papa, di un’altra delle costanti tematiche di Morselli. La figura di Roberto, perplesso da questo comportamento e che vorrebbe invece attuare integralmente i precetti marxisti, diventa protagonista, per assumere poi un ruolo decisivo nell’itinerario di formazione di Ferranini: “convertito al comunismo dallo stesso Gildo, si trova in posizione di rottura verso la dirigenza del partito”91, come poi lo ritroveremo nel Comunista. Nella prima scena il giovane confida al quarantenne attivista tutta la sua ammirazione: mi hai rigenerato, mi hai fatto rivivere, gli dice, deciso ad entrare nella sua brigata. Siamo nel 1944, e gli ideali si sono trasformati, con coraggio, nella azione partigiana contro il fascismo, 91Su L’amante di Ilaria si veda A. Gimmi, Tra le commedie inedite di Guido Morselli. Il rovello del comunismo dalla scena ai romanzi, in “Bollettino Società pavese di Storia Patria”, 1997. Leggo a p. 455: “Non esiste più differenza tra borghese e comunista: entrambi [Riccardo e Gildo] inseguono il proprio meschino interesse”. 132 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI per entrambi. I due parlano entusiasticamente di Ilaria: la figlia del magnate Mazzola, sorella del gaudente Riccardo Mazzola, nelle file dei rivoluzionari, anch’essa “convertita” da Gildo. Ma nella scena seguente veniamo a sapere che Roberto non sa che la madre e Gildo sono amanti. Ilaria ha il problema di come confidarglielo. Gildo mostra già deleghe eccentriche al suo credo comunista, ma non in un versante di socialidarietà, piuttosto di ambigui compromessi: non gli dispiace il lusso borghese e dichiara di non volerlo distruggere, incita Ilaria a restare attaccata al modus vivendi della sua classe d’appartenenza. La sua ideologia ha odore di officina e di caserma, la donna conservi la sua classe, il suo fascino. Davanti a una amica del fratello di Ilaria, confessa all’amante di avere un debole per le contesse. Proprio quando Ilaria e Gildo, rimasti soli in nella villa borghese dei Mazzola, ricordano i tempi descritti nel romanzo, la malattia, l’innamoramento, Roberto li sorprende nella effusione amorosa. Sia pur rimettendosi alla libertà individuale della madre, punto insindacabile nell’ambito della sua ideologia, per il ragazzo il colpo è durissimo, una tradimento anche da parte di Montobbio non rivelare l’intesa con la madre. Per il momento però le ragioni della guerra contro il fascismo prevalgono. L’atto si chiude con Roberto pronto a partire per le ultime battaglie partigiane. Passati solo 18 mesi, con Gildo deputato, la scena si sposta a Roma. Ilaria è la sua amante, convivono anche se cercano di non turbare le apparenze (stesso problema per Ferranini del Comunista, il cui amore adulterino è tollerato AFFANNARCI 133 dal partito purché non se ne parli e non esca alla luce del sole). L’incrocio con le tematiche del Comunista è evidente: questo testo per il teatro segna il momento di passaggio tra le due narrazioni, così diverse sull’ambiente comunista in contrasto con quello borghese (sarà anche la fidanzata di Roberto a doverlo lasciare per volere della famiglia alto borghese) e anche con l’affarismo della politica, del quale Morselli si rivela lucido profeta. Sfilano, appena Montobbio diventa l’onorevole Montobbio, i petulanti con le loro richieste e le ipotetiche amanti in cerca di favori a cui, a quanto pare, Gildo si mostra sensibile. Riccardo Mazzola, fratello di Ilaria, infatti, la cui azienda prosperava vendendo armi, si ritrova in crisi. Per superarla ha bisogno della buona parola di un politico per vedersi assegnare un appalto dallo Stato per le ferrovie. Ovviamente si rivolge a Ilaria per chiedere una mediazione presso l’amante, che ha acquistato fama di liberalità, rispetto invece all’andamento integro della vita di Roberto. Pur non pesante dal punto di vista drammaturgico, gli eventi ravvicinati nel contesto storico evidenziano troppo schematicamente i personaggi figurali di situazioni, inscritti tuttavia in dialettiche importanti, quelle tipicamente morselliane tra autenticità di una idea e finalità egoistiche, tra l’azione umanitaria e la pigra rassegnazione alla vita del compromesso. Le ragioni di Montobbio, almeno all’inizio, non sono del tutto censurabili: dopo anni di stenti e sacrifici, cerca il benessere. La stessa domanda che ci poniamo per Giulio Cesare, affiora per Montobbio, tenendo presente le differenze tra i due testi: è stato sincero, almeno all’inizio dell’avventura partigiana o già mirava 134 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI al potere? I tratti del carattere rivelano da subito una personalità forte, incline all’egoismo, ma rispetto al condottiero romano la prima fede appare sincera, almeno quella politica, come è successo per non poche personalità della sinistra. Comunque sia, si lascia adulare facilmente dalla “bella vita” e si trascina presto nella corruzione. Altro momento di effetto drammaturgico notevole, si trova nello sfogo di Roberto con la madre dopo la pubblica deplorazione del partito per il suo comportamento integralista: Gildo, riferisce con veemenza alla madre, è stato il più intransigente. La rabbia del ragazzo per l’ipocrisia altrui è ben giustificata, (p.32 del dattiloscritto): Una giornata che mi insegnerà molte cose. Hai visto? Laura mi mette alla porta. E l’altro ieri, quando ci siamo incontrati, e in tutta questa settimana che ha passato a Roma, non un accenno, non un avvertimento. Un anno d’amore, lettere, promesse, “ti amo”, “son fiera di te”… Tutto ciò scomparso, dimenticato, dopo una ramanzina del papa. E quegli altri là del Partito, che mi additavano alla gioventù come esempio di nobile disinteresse, di devozione alla Causa, per poi colpirmi a mia insaputa, senza darmi modo di dirmi una parola, di difendermi… Lo scontro finale con Gildo è durissimo, nell’arco di un anno e mezzo, gli ideali socialisti sono stati del tutto accantonati, trasformati nella dittatura dei rinunciatari, grida il ragazzo all’ex comandante di brigata che risponde a tono evocando il realismo della politica. Roberto deve subire anche un torto nella sfera affettiva: il mondo di Laura, la fidanzata che ha deciso di lasciarlo, obbedendo agli ordini della famiglia, contraria all’unione con un “rivolu- AFFANNARCI 135 zionario”, e quello di Gildo non sono poi così diversi nella ipocrisia. Si rivolge alla madre: siamo alla pagina trentasei del dattiloscritto: Dunque, hai veduto, hai sentito. Prima Laura, ora Montobbio (Riflessivamente). Due mondi che si dicono diversi, anzi opposti e che invece si assomigliano. La stessa miseria, da una parte e dall’altra. La stessa viltà […] Viltà e miseria. Ci respingono, gli uni gli altri […] Ed anche giusto, forse. Siamo puniti. Dicevamo di voler seguire una nuova fede. Parlavamo di una nuova identità da foggiare. Ricordi come ci esaltavamo parlandone? E invece no: in fondo, anche per noi, non era così. In fondo io cercavo di soddisfare le mie ambizioni. Madre e figlio si sentono mancanti. Hanno cercato di superare l’egoismo, sperando (si ricordi il clima del dopoguerra, in una ideologia della rinascita). Sembra che solo all’inizio di una certa “azione” ci sia questa possibilità e che tutto, facilmente, si corrompa. Ilaria, con la sua sfera affettiva, è nel mezzo tra i due mondi: ha lasciato quello che appartiene a Laura con coraggio per varcare la soglia della libertà con Gildo. Ma è rimasta scottata in modo non lieve da quel mondo non diversamente ipocrita, pur nell’indossare maschere diverse. Gli tocca nella solitudine estrema una decisione, che non sa darsi: pur avendo constatato i tradimenti di Gildo, è attaccata a lui, non può, fisicamente farne a meno. La donna emancipata, la scrittrice, la donna innamorata si contendono la sua anima. Roberto, intenzionato a mollare tutto, tornando a Milano, si riscuote, riprende la lotta, contro l’intransigenza del partito: arriva la notizia che alcuni giovani stanno manifestando a suo favore. Aveva chiesto alla madre di seguirlo, 136 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI lasciando Gildo, di cui aveva rintracciato le prove di un vile tradimento: prono agli ordini del Partito e per lasciarsi alle spalle il passato di povertà, sposerà una donna con la quale aveva avuto un figlio. Il ragazzo venuto ad avvertire Roberto le dona inaspettatamente l’opportunità di una sospensione. Gildo tornerà a spiegarsi, accennando già di dover compiere quel passo per pura formalità, per non danneggiare un bambino innocente. Anche Roberto tornerà, per parlare ancora, ma per il momento il trasferimento a Milano non avviene. Finale dunque aperto, come molti di quelli a seguire, nella narrativa e in teatro. La tensione nervosa è tutta esibita nella crisi solitaria di Ilaria che, non decidendo, si siede sconsolata tra le valigie. Dalle vicende di Roberto Mazzola nel Comunista sappiamo che madre e figlio vivono insieme, abbandonati da Gildo, che ha perso del tutto la luce della sua autorevolezza, e semmai emana autorità solo per la disinvoltura con cui richiede consensi e abilmente cerca di sfruttare la sua influenza parlamentare a fini personali. Immaginiamo dunque Ilaria in bilico e incerta, offesa dal cinismo infedele del compagno. Vale la pena di riportare l’ultima scena della drammaturgia, la solitudine di Ilaria, in cui si riscontra la ferita per il tradimento, e un amore sconfinato, lacerante: per il figlio e per Gildo: Si trattiene qualche tempo nel mezzo, il viso chino, le braccia abbandonate lungo la persona. Sembra riscuotersi, muove qualche passo verso la porta di sinistra. Una stanchezza senza conforto traspare dai suoi gesti, ma si direbbe che sul suo smarrimento prevalga finalmente una meccanica volontà: prende una delle valigie addossate alla parete, la trasporta verso il divano e ve la depone; AFFANNARCI 137 ne solleva il coperchio. Il medesimo fa con un’altra valigia. I suoi atti sono lenti, hanno un che di impersonale, di automatico. Si avvicina allo stipetto, tra il caminetto e l’angolo in fondo a destra. Ne apre il primo cassetto dal basso, il secondo, il terzo. Questo le arriva all’altezza del petto, ed ella vi si appoggia, vi introduce entrambe le braccia, il viso reclinato, gli occhi chiusi. Sembra che si aggrappi a quel sostegno e non vi aderisca soltanto. Trascorrono alcuni istanti. Ilaria scuote il capo più volte, come accennando di no, ma con rassegnazione, con tristezza. Infine si scosta, richiude pianamente il cassetto, e gli altri due successivamente. Una contraria decisione è subentrata in lei, e tuttavia anche adesso ella sembra ubbidire, piuttosto che a un impulso suo, a una forza superiore, a cui non le è dato resistere. Si accosta al divano, vi si siede. Con la sinistra riabbassa, adagio, il coperchio di una delle valigie, poi quello dell’altra. Congiunge le mani un attimo, poi le schiude e vi immerge il viso; così, senza più moto, rimane, mentre cala la tela L'ampia riflessione sul comunismo di Guido Morselli, a parte scritti sparsi, note del Diario, altre pagine saggistiche, si compone dunque di tre opere creative successive all'Incontro con il comunista: due opere teatrali, e il romanzo capolavoro del 1964-1965, di cui ci occupiamo nel prossimo capitolo. Interessante, tra le molte note morselliane sul comunismo, nel saggio Appunti sul marxismo, pubblicato in due puntate su “Prealpina”, il 21 ottobre e il 12 novembre del 1949, ma scritto due anni prima e ricopiato il 26 ottobre del 1948 92, 92Ora figura nel libretto, sempre a cura della Fortichiari, La felicità non è un lusso, Milano, Adelphi, 1994. 138 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI l’appunto riguardante il fattore economico con cui, da Hegel a Marx, si leggono i conflitti: la guerra per Morselli non è originata da fattori economici, piuttosto culturali e nazionalistici. I giudizi seguenti mi paiono indicare chiaramente dove lo scrittore si pone in una dimensione diversa dal marxismo: questo esige una preminenza assoluta, l'esigenza economica: l’arte, la moralità, la religione ne sono subordinate. Si tratta di una concezione dei rapporti sociali da questa esclusiva visuale: come ogni idea rigorosa, diventa dogmatica. A pagina 51 nell'edizione Fortichiari, Morselli dichiara la sua lontananza da questa impostazione: “L’uomo non è quello dell'idealismo né quello del materialismo, metafisico o critico; l’uomo è una congiunzione, non dialettica, ma concreta, di esistenza e di individualità, vale a dire vita, symploké di opposti e complementari”. L’istrionico spirito morselliano, nauseato dalle identità troppo granitiche, aspira ad una comunanza di opposti e complementari, lontano dallo spirito scientifico del marxismo, di cui pure accoglie istanze ideali, specialmente sul tema della forza lavoro. Marx è figlio di un'altra tendenza criticata da Morselli, come emerge chiaramente nel Comunista e nella commedia dedicata al padre del comunismo: l’antropocentrismo romantico, nel suo legame genetico con l'idealismo tedesco, capace di unificare, in Hegel, l'adorazione dello Stato con l'individualismo, di marca prettamente faustiana, su cui si tornerà più avanti. La libertà nella “religione marxista”, consisterebbe nel sentirsi soggetto economico, subordinato a leggi economiche. Nel finale del saggio affiora un altro elemento centrale nel Comunista e nelle commedie inedite: i seguaci continuatori dell’opera del Ma- AFFANNARCI 139 estro non giovano al pensiero originario e bisogna constatare una generale ignoranza su quello che veramente ha scritto il padre del comunismo che ha, ad esempio, pagine profonde dedicate all'esame della “forza lavoro”. Altro accenno, quasi una velina per la commedia, vent'anni prima, ci descrive un Marx intimo “dotato di una delicata e affettuosa sensibilità”93. Uno dei motivi del testo inedito sul fondatore del comunismo, Marx. Rottura verso l'Uomo, azione scenica, da me edito e di cui ho avuto occasione di intrattenermi altrove94, è la degradazione partitica della teoria nei seguaci del marxismo, con la scissione tra la faccia pubblica e quella privata, presentata con ricchezza psicologica nel Comunista, vedremo, dove Walter Ferranini è un Roberto non solo consapevole dei tradimenti affaristici e borghesi, ma della dialettica profonda tra male/malattia e idea progressista/ storicista, chiarita nella sua tragicità da una citazione shakespeariana dal Macbeth95. L'originalità dell'”azione scenica” rispetto alle opere precedenti è l'assunzione del punto di vista di un protagonista consapevole della necessità di una riduzione nella “prassi” del proprio messaggio teorico, conquistato con lunga fatica di studio e 93Ivi, p. 60. esattamente il titolo del frontespizio del dattiloscritto (34 pagine solo recto con minime correzioni manoscritte). Cfr. Fabio Pierangeli, L’inedito Marx di Guido Morselli, “E’n guisa d’eco i detti e le parole”. Studi in onore di Giorgio Bàrberi Squarotti, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006. Il testo è pubblicato, con saggi di Paolo Mattei, Sara D’Arienzo, Valentina Fortichiari nel n. 14, 2004 della rivista “Sincronie”. 95Cfr. Guido. Morselli, Il comunista, Milano, Adelphi, 1976, p. 306. 94Riporto 140 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI povertà materiale. Marx di fronte a tale coscienza non mantiene un atteggiamento univoco: a volte si mostra rabbioso, altre rassegnato, altre ancora “utopico”, come nelle iniziali parole riportate da Engels sull’Opera trascendente ed eterna rispetto al suo autore. La situazione del prologo è già emblematica, dei motivi della commedia, tra citazioni testuali del pensiero marxiano, qualche invenzione e le simpatiche incursioni metateatrali. Marx, con gli altri personaggi, coperto dalla nebbia del ricordo (Morselli indica in un velo trasparente la risoluzione tecnica della situazione), se ne sta immobile, “come sospeso”, in fondo al palco, mentre sul proscenio l'amico e discepolo Engels è intento ad informare il pubblico della sua intenzione di rileggere, interpretare, dare un senso pratico al messaggio del Maestro. Motivo tutto morselliano, forse perfino un poco scontato, qui intrecciato, con originalità, alla ben conosciuta dialettica espressa magistralmente nell'introduzione ai Sei personaggi in cerca d'autore: il drammaturgo sa con certezza che quella rappresentata non è più la sua opera, apparsa con i fantasmi dei personaggi. Ciascuno a suo modo, egualmente, divulgherà il messaggio di Marx, anzi nel “modo” di compromesso analogo a quello che per forza si deve raggiungere in teatro tra autore, regista, attori, impresari, scenografi. La scelta di “interpretare criticamente” la biografia di Marx negli anni dalla piena maturità, dal 1867 in poi, risponde all'esigenza di cogliere la frattura tra pensiero e azione 96: 96Appunto annotato curiosamente su di un foglio di giornale con la pubblicità del Cynar, conservato, insieme ad AFFANNARCI 141 Sceglierà una delle due posizioni, illudendosi di prendere anche l'altra: si illuderà di meditare operando o di operare meditando. Lui istintivamente ha scelto la meditazione ha rinunciato all'operare. L’ansia nostalgica, capace di incrinare la statua, si ripete nel fastidio e nell'attrazione di fronte agli ospiti, tutti uomini di azione, dilettanti della teoria97, in una struttura scenica semplice: dopo Lassalle, nel secondo atto Mazzini, nel quarto Bakunin. Nel terzo Warnebold, ambasciatore di Bismarck, personaggio assai interessante, tra realtà e fantasia, che propone a Marx un machiavellico accordo col Primo Ministro prussiano. Nella costruzione di personaggi ritagliati sulle loro idee (i personaggi citazione), con significativi “scarti” originali nell'intimo, Morselli accetta il rischio di essere didascalico. Come molto esplicitamente vedremo nel Comunista, ad esempio nella opposizione tra i due blocchi culturali: l’Est comunista e l’America del Nord, culla, falsamente libertaria, del capitalismo. Rischio calcolato, controllato, nella stragrande maggioranza delle opere, per inserire, in contesti non astratti, un fondale esistenziale, umanizzando molto spesso personaggi celebri, in una luce intima. Nel Comunista, incontriamo Moravia, altri svariati appunti e prove cassate, nella solita cartellina riepilogativa, con manoscritti e dattiloscritti. 97Anche la dialettica dilettantismo/specialismo è uno degli argomenti ritornanti della speculazione saggistica morselliana, fin dai tempi di Realismo e fantasia. Dilettantismo è anche il titolo di un brano del 1950 di Morselli ora riprodotto in G. Morselli, I percorsi sommersi, a cura di Elena Borsa e Sara D’Arienzo, Novara, Interlinea, 1999. 142 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Nenni e un simpatico Giovanni Leone. In una espressione che si presta a chiudere, momentaneamente, il discorso,Vittorio Coletti98 sottolinea il carattere saggistico dei romanzi, tesi a drammatizzare un pensiero, delle idee, delle convinzioni, a mostrarne la genesi e la crisi, a concretizzarle, a umanizzarle. E nello stesso tempo quindi tradurre questi spunti teorici in un soggetto, in un ben concreto individuo, che le discute, le svolge, le contraddice, favorito da situazioni tipiche. 98Vittorio Coletti, Guido Morselli, in “Otto-Novecento”, settembre-ottobre, 1978, p.99. AFFANNARCI AEREI (Sweet love, renew thy force) 143 144 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI AEREI 145 Attacchi aerei Per chi ha vissuto, da militare, le guerre del Novecento, resta indelebile nella memoria il soprassalto improvviso degli attacchi aerei. Sia pur messi nel conto delle azioni belliche, arrivano a sorpresa, mettendo a dura prova la resistenza nervosa dei militari di stanziamento, magari chiamati a lunghe attese di guardia, lontani dal campo dell’azione. La tecnologia più sofisticata si mette al servizio degli eserciti, creando una atmosfera di terrore o di costante minaccia che anche Guido Morselli racconta, attingendo alla personale esperienza nella Seconda Guerra Mondiale in terra di Calabria, dove fu inviato, nei pressi di Catanzaro, nell’aprile del 1943. L’azione fulminante che porta la distruzione dall’alto contrasta con la vita del soldato in quel luogo remoto, provocando traumi difficili da superare, registrati ancora da Morselli all’inizio della stagione narrativa maggiore, con i ricordi dell’esperienza bellica del narratore del Dramma borghese. Non mancano aerei nei cieli della Prima Guerra Mondiale descritta in Contro-passato prossimo, pur nella predilezione evidente per le strade ferrate. In volo, si è visto in precedenza, si ritrae la sinistra figura di Erwin Rommel, chiamato a sorvolare con un piccolo aereo la galleria della Edelweiss Exspedition, destinata, nella fervida, realistica, fantasia di Morselli, a cambiare le sorti della Guerra. Insieme alla comparsa di un Hitler giovane ancora dedito alla pittura e già invaso dalle sue idee “razziste”, il romanzo presagi- 146 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI sce l’ascesa dei nazisti, dopo aver narrato come si sarebbe potuta evitare. Prima di scomparire dalla perfetta geografia del romanzo, Rommel ricompare a bordo di un biplano. Si accenna alle leggendarie imprese di d’Annunzio, ma l’azione più clamorosa avviene dall’altra parte della barricata. Gli inglesi catturano il Kaiser, con un modestissimo apparecchio, impiegato in una azione a dir poco “modesta” nell’impiego dei mezzi, quanto efficace nei risultati. Dell’aereo come strumento di guerra si ricordano le pagine di alcuni racconti e quelle, a mio avviso fondanti, di Uomini e amori, le più vicine cronologicamente e contenutisticamente alla esperienza biografica della guerra. Ferito gravemente, nelle ultime pagine del primo romanzo, è proprio uno dei protagonisti, l’estroso e instabile Vito Antonicelli, detto Cambria. Un’incursione aerea degli alleati gli ha procurato la ferita mortale e tocca a Saverio, l’altro protagonista, il primo degli importanti medici della narrativa morselliana, constatare l’irreparabilità dell’evento. In un presidio così limitrofo agli eventi bellici, il tedio viene rotto da questi assalti improvvisi e spesso efficaci degli Alleati, che rimarranno impressi nella memoria di Morselli tanto da essere ritratti nella pagina fondamentale del romanzo, in cui i due protagonisti devono ritrovarsi in quel momento estremo. Compare in scena, letteralmente caduto dal cielo (il suo Vickers si è inabissato vicino al golfo di Squillace) un prigioniero inglese. Intellettuale, colto, residente in Italia, lettore di inglese all’università, risponde al nome di Cedric W. Mason. L’amicizia tra “nemici” si salda attraverso piacevoli conversazioni culturali AEREI 147 tra Saverio e il professore-paracadutista inglese. Idillio culturale intenso quanto di breve durata, stretto nella logica ferrea della guerra tra opposte fazioni: Mason viene trasferito altrove come come prigioniero di guerra. Un personaggio inglese, con lo stesso nome Cedric (il cognome sarà Noles), si elegge a protagonista nella sceneggiatura inedita, vicina cronologicamente al romanzo, Il secondo amore (1950). Un altro Cedric parlamentare inglese incontreremo nel Marx. Opera convincente, omogenea, stilisticamente originale Il secondo amore termina su una scena degna del miglior Morselli, nel chiuso di un aereo. Il tema comune dell’amore, sia pur sviluppato in atmosfere non assimilabili, è avvertito già nel titolo e nel sottotitolo: una mano, fatale, impedisce l’evento epifanico del rinnovamento dell’amore, come previsto nel verso incipitario shakespeariano, posto da Morselli come emblema (e probabilmente anche come ipotesi di titolo unico della sceneggiatura stessa): Sweet love, renew thy force. È lecito pensare a una figura realmente incontrata che abbia potuto ispirare questi due personaggi. Riprenderemo più avanti il discorso sulla sceneggiatura; intanto annotiamo, immediatamente dopo la dipartita dell’inglese dallo stanziamento calabrese di Timpone Mannella, l’improvviso attacco aereo di uno stormo di bombardieri alleati e l’incidente causato dalla fretta ad un autocarro pieno di munizioni per cercare di evitare danni durante l’incursione. La descrizione è lucida, priva di retorica, rapida ed efficace, con la rilevazione della paurosa vicinanza degli aerei all’accampamento. Siamo alla fine del capitolo XII, Vito Cambria ha commesso 148 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI un’imprudenza, disubbidendo agli ordini: ha sparato contro gli inglesi, rivelando la postazione esatta del plotone, unicamente addetto a segnalare l’eventuale sbarco. Ne pagherà le conseguenze con una punizione. Il finale è tutto per lui: questa volta il bombardamento - bastano quaranta secondi - è invasivo ed efficace. Cambria ferito a morte se ne va sereno, accompagnato dalle meditazioni e dalla profonda pietas di Saverio (costretto, però, per adempiere ai suoi doveri verso gli altri compagni feriti, a non essere accanto a lui nel momento del trapasso) e della sua “arte” medica, che può solo lenire il dolore. Nei racconti raccolti nel bel volume a cura di Valentina Fortichiari della Nuova Magenta di Varese, Una missione fortunata e altri racconti, il motivo viene riprese nel frammento di notevole rilievo Gli ultimi eroi, (pubblicato ne “Il Mondo” con il titolo di Irrenanstalt nel 1950). Narrazioni legate al femminile, ai mezzi di locomozione, dai soliti treni, alle auto, con tanto di reportage, quelli posti nella terza sezione del libro, nel personale Grand Tour di Morselli.1 Il racconto lungo da cui prende il titolo l’intera silloge, Una missione fortunata, si dipana, invece, lungo il tempo rallentato di una crociera. Irrenanstalt: manicomio. Il titolo del racconto, pubblicato sul “Mondo”, segue un interesse di Morselli di quegli anni, segnatamente con la Come è noto, fiero contestatore del fenomeno del turismo moderno, quasi crudele nel determinare, nel narratore del “frammento-studio” Ipotesi narrative, i cinici motivi di diletto nel guardare da fermo (convalescente) il movimento degli altri, in attesa di un incidente, nella tentazione di procurarlo. Cfr il volume monografico di Alessandro Gaudio più volte citato. 1 AEREI 149 commedia Il redentore, ancora inedita e solo manoscritta: qui però (al contrario dell’eretica figura cristica protagonista della commedia) il folle si crede ancora in guerra, la Seconda, con il proposito di resistere fino alla fine dalla parte dei nazisti, quando ormai gli alleati sorvolano una Berlino ormai priva di difesa. Questa volta la beffa avviene dall’alto: gli inglesi in ricognizione credono si tratti veramente degli ultimi incalliti resistenti soldati del Reich. Un precedente assalto aveva abbattuto la scritta, appunto Irrenanstalt, e le insegne della Croce rossa. Viene mandata l’artiglieria di terra, mentre i caccia aprono la strada. Una strage inutile, di quegli uomini esaltati, spronati dalla follia più malata che criminale di un certo Scölpke, falegname, che li aveva addestrati tra quelle mura a una rigida disciplina e per cui il Kaiser regnava ancora. Alla vista dei carri armati, gli si buttano contro a fronte alta e ne vengono trucidati. Avevano imprigionato, dopo i primi bombardamenti, i loro medici e si erano preparati alla guerra2: Lo spostamento d’aria causato da un colpo da 149, aveva ucciso in una volta quel bislacco stato maggiore, ma non lo aveva scompigliato; immersi nel terriccio, erano in piedi e gerarchicamente disposti, gli elmetti assestati in capo. Si erano preparati alla battaglia contro l’invasore, e parevano attenderne l’esito vittorioso. Chiusa nel fodero la bandiera bianca e d’oro con l’aquila prussiana, e accanto le stava il più giovane di quei morti; poco meglio di un ragazzo, la mano sinistra orgogliosamente puntata alla piastrina che attestava il suo grado: “Faehnrich”, alfiere. Guido Morselli, Una missione fortunata e altri racconti, Varese, Nuova Magenta, 1999, p. 90. 2 150 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI L’erba cresce su rottami di modernità Da un altro punto di vista, in tempi di pace, nel pieno boom consumistico, in un appassionato di treni (la casa di via Limido a Varese si trova praticamente sopra la ferrovia, così come la collinetta di Santa Trinita nell’odierno Parco Morselli sovrasta le mitiche Ferrovie Nord), che aveva in progetto di realizzare una storia della ferrovia nella letteratura, gli aerei rappresentano un simbolo della modernità più avanzata, con le sue contraddizioni3. Il lettore di Morselli ricorda perfettamente, a questo proposito, le rotative ferme come altri macchinari in Dissipatio H.G. e che nella Crisopoli delle banche il narratore protagonista ha un rapporto privilegiato con l’aeroporto, dove cerca un contatto con gli uomini di quei paesi lontani, raggiunti quotidianamente dagli aerei. Il narratore abita nel verde della montagna (raffigurazione evidente della casetta rosa di Morselli nel bosco di Santa Trinita, che potremmo immaginare come il rifugio utopico del Walden di Thoreau) e, quando è costretto a scendere in città, deve per forza passare accanto all’aeroporto Teklon, simbolo stesso del progresso tecnologico, del viaggio a scopo turistico o commerciale che raduna un gran numero di persone di culture diverse. Se quello scalo è uno dei crocicchi d’Europa, intercontinentale Cfr.: Sara D’Arienzo, La chance del rinvio: auto, treni, aeroplani, in Guido Morselli. I percorsi sommersi, a cura di Sara D’Arienzo-Elena Borsa, Università degli Studi di Pavia, Centro per la Tradizione Manoscritta di Autori Moderni e Contemporanei, Novara, Interlinea, 1998 3 AEREI 151 “oggi” è vuoto. “Vuoto di gente”4, come l’alta montagna, in quella surreale condizione venuta a crearsi con la scomparsa dell’umanità, almeno di quella intorno a Crisopoli-Zurigo. Luogo della folla e delle comunicazioni, luogo della fretta, della impersonalità, del passaggio veloce o del raggiungimento di mete lontane, più di altri templi della modernità, desta impressione vederlo inanimato, come un mostro metallico disteso in una imponente staticità. Non resta che guardare in cielo, nella speranza (del tutto opposta rispetto alla impressione traumatizzante dell’incursione dall’alto) di vedere atterrare un bolide dell’aria, con il suo carico di gente ancora viva, in movimento. In questo caso la supposta scomparsa riguarderebbe solo quel territorio attorno a Crisopoli: dall’altra parte del mondo, nulla forse è successo, gli uomini sono dediti alle loro “normali” occupazioni. L’attesa, vana, dura tutta la notte: cerca testardamente un motivo di speranza, qualcosa legato alla società nella sua tediosa routine di guasti e inceppi, invocata con urgenza metafisica e nostalgia: scioperi simultanei dei piloti, dei doganieri, dei caffettieri, dei giornali. E invece in diciotto ore nessun compagno d’attesa, tutto nell’abbandono e la polvere comincia a coprire con uno strato leggerissimo ma visibile quel luogo di perfezione. Dal cielo non arriva nulla: “Da Nairobi, seguito a litaniare, dal Cairo, da Zagabria, da Caracas, da Atene. Verso Parigi, Teheran, Montreal, Mosca”. L’unica traccia, in questa solitudine sempre più avvertita e sempre più consapevole di averla in qualche modo favorita Guido Morselli, Dissipatio H.G., Milano, Adelphi, 1977, p. 42. 4 152 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI con la sua ricerca esistenziale di vivere isolato, sono due valigie del sergente americano Black e la jeep di lui, con il pieno di benzina che permettono al narratore di partire, alla volta della Undicesima Base americana (non in territorio svizzero, ma oltre il confine) di cui i giornali avevano parlato poco giorni prima a causa dell’ammutinamento di alcuni soldati di colore. Questa, come tutte le altre esplorazioni alla ricerca di tracce umane, fallisce, solo Karpinski lo attende, ha bisogno e voglia di vederlo, si tratta soltanto di interpretare i segni lasciati da lui, il mitico dottorino, figura salvifica per eccellenza. Nel V capitolo di Dissipatio l’aeroporto e, più specificatamente, i suoi immensi hangar, il laboratorio di costruzione e manutenzione della tecnica avanzata rappresentano le nuove Cattedrali dell’umanità civile. Ancora nel mezzo dell’attesa, come un fedele in pellegrinaggio per chiedere la grazie dell’apparizione (o meglio riapparizione) dell’uomo, il narratore gli rende visita. Sono castelli irti di scale, ingombri di attrezzi, come le rotative dei giornali in parte ancora attivi, con una chiazza di cherosene e olio che cola fra i carrelli. Deve allontanarsi, il fumo della sua sigaretta rischierebbe di innescare l’incendio. La visione resta però potente e meravigliata, in questo deserto urbano5: La cattedrale, nell’intrico degli acciai traforati, impalpabili che la sostengono, è bellissima; mi ha tonificato. Contro ogni tecno fobia, quella mole garantisce per i suoi autori, e l’uomo non è reperibile. Come i cristiani di Costantinopoli minacciata dai Turchi andavano a rimirare la loro gloriosa 5 Ivi, p. 43. AEREI 153 Santa Sofia, e da quelle cupole e colonne cavavano auspici di salvezza. Il miracolo non avviene, lo spazio del sacro non si addice a questo nuovo tempio, mentre resiste nel cuore dello scettico, ironico, disperato narratore, capace di coltivare comunque un punto di intatta attesa dell’uomo, dell’amico. Questa traccia lo conduce, dal tempio della tecnologia aereospaziale, attraverso la Base americana, ad un luogo opposto, fatto di carne, di passioni passeggere, di memorie struggenti legate alla fisicità. Il narratore, infatti, arriva casualmente alla città della Tuti, la donna di un tempo, a cui, quindicenne, ha sacrificato “la verginità”. “L’ignoto mi è addosso” suona l’incipit del capitolo XV. Le cattedrali della lotta alla paura umana, del disegno di Icaro che si realizza, diventano questo segno di instabilità e paura. Non più strumenti di morte, ma templi della diaspora e dell’affollamento, dell’odioso turismo di massa. Il comunista e i neri Anche quando l’aeroporto è affollato, Morselli non rinuncia di penetrarvi con la sua muta protesta, capace di rimbalzare a noi a mezzo secolo di distanza. Si tratta del XIV capitolo del Comunista, il penultimo. Non è il primo viaggio importante di Ferranini nel romanzo: il suo soggiorno nell’Unione Sovietica comunista ne acuisce il malessere, accompagnato, in una analogia ricca di significati, da una malattia vera e propria. Così in America, dove torna dopo parecchi anni, e in cui 154 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI ha vissuto contraddittoriamente il rapporto tra le utopie del giovane comunista e le attrazioni del consumismo. Si è sposato con una ricca “figlia del capitale”, Nancy, che ora, gravemente ammalata (si scoprirà solo in seguito che ha tentato il suicidio) lo vuole rivedere per quel che potrebbero essere un ultimo saluto. I due viaggi in aereo, andata e ritorno dagli Stati Uniti, determinano i destini del romanzo, con l’incontro con uno strambo personaggio, prima vittima del sistema capitalistico e poi capace di inventarsi una modalità di sospensione-ribellione eccentrica, sfruttando a suo vantaggio i mezzi della tecnologia. Nel mezzo tra le due scene dell’aeroporto, di Fiumicino e di New York, la consapevolezza della sofferenza e della assurdità della vita umana, si palesa di nuovo in quella via crucis nella neve in cerca dell’ospedale di Nancy che è la replica della scena analoga del Dramma Borghese, dove egualmente, dietro l’ombra di un tentato suicidio, il padre cerca il ricovero dove è stata portata la figlia, in una sequenza da labirinto infernale. Walter, strascinandosi nel freddo e nella neve, pensa: se morire è una semplificazione perché bisogna camminare tanto. Sbattersi, fare fatica, pensare? Ha assimilato, o meglio vissuto, in prima persona, i pensieri di una delle più celebri sentenze della storia del teatro e della letteratura di tutti i tempi, dall’ultimo atto del Macbeth, riletti nel volantino distribuito a Fiumicino da uno strambo personaggio, a nome Lamoureux. Sviene. Si lascia andare nel fango. Aiutato da un portoricano, giunge nello stesso ospedale di Nancy, quello che stava cercando. Non è infarto, solo un collasso. Un bravo medico si prende cura di Ferranini. Si chiama Newcomer, il nuovo arrivato: la sua diagnosi è per- AEREI 155 fetta, capace di leggere la profonda relazione tra malattia fisica e nevrosi. Ferranini rivede Nancy, a ruoli invertiti: è lui il malato. Troveranno insospettabili punti in comune. Ma il romanzo volge al termine, gli States non possono che essere una parentesi, il permesso di soggiorno è scaduto. Ora è solo più stanco, tutto è soppresso, livellato6: Tornare? Avanzavano al passo, c'erano partenti inquieti nella penombra dell'autobus: si profilava il pericolo di fare tardi all'aeroporto. Tornare? [...] Gli interessava di andare. Andare e basta. Gente che lo aspettasse non ne aveva, scopi non ne aveva. Prende l'aereo, ha cambiato “destinazione”, non tornnerà nella corrotta Roma del Parlamento, ma atterrerà a Milano, per poi, con molta probabilità, aspettare in Emilia gli sviluppi del caso politico intorno alla sua persona (il saggio sul lavoro pubblicato da “Nuovi Argomenti” deplorato dal partito). Uno sguardo ai giornali: niente di nuovo nelle ipocrisie quotidiane, nella sua vita, come in quella di tutti gli uomini7: “Respinse i giornali, si affibbiò la cintura. Pensò: mangio, poi mi addormento”. L'ultimo pensiero viene rivolto al viaggiatore nero incontrato all'andata 8: “Gli avrebbe fatto piacere ritrovare il negro Lamoureux. Il ricordo del viaggio di andata gli sorrideva, ci pensava Guido Morselli, Il comunista, Milano, Adelphi, 1978, p.,357. 7 Ivi, p., 359. 8Ibidem. 6 156 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI con nostalgia”. Il personaggio che ha portato in scena, in quel suo modo strambo, a caratteri cubitali, nel volantino distribuito in quel luogo dove la gente non vuol pensare a nulla di drammatico, il messaggio tragico, come il messo delle antiche rappresentazioni, rompendo il consueto panorama da aeroporto (quella descritta e scomparsa in Dissipatio H.G.)9come luogo del passaggio frenetico e del turismo consumista: “Life's but a walking shadow, a poor player. It is a tale told by an idiot, full of sound and fury, signifying nothing”. Lamoureux è malato d'insonnia10. Vive sospeso nei cieli, aspettando di chiudere gli occhi e da uno scalo all’altro distribuisce quei volantini 11: “Bene, amico, io passo tre o quattro notti la settimana a tre miglia di altezza sopra l'Atlantico, questo mi conforta. Qualche volta verso l'alba riesco a chiudere gli occhi”. Il simpatico e logorroico negro si lamenta che Shakespeare non abbia fatto una tragedia sull'insonnia. Il Macbeth è proprio la tragedia di chi non riesce a dormire! Non ha tutti i torti Lamouroux. La sua storia, in fin dei conti, è quella di una alienazione da lavoro, la problematica per cui Ferranini è da sempre impegnato e per cui si sente, ormai, fuori dal partito, completamente sordo, nonostante l’ideologia sbandierata, alla vera condizione dei lavoratori. La gente che viaggia si illude, sostiene 9Ivi p., 306. p., 309. 11 E quella di Morselli, stando a varie testimonianze, è similmente anche tragedia di nevrosi, acutizzata dall’insonnia, provocata da rumori molto fastidiosi, infiltratisi nel suo eremo della pace, a Santa Trinita, accanto al lago di Gavirate. 10Ivi AEREI 157 il nero, di darsi da fare o di evadere: il loro viaggiare è supremamente inutile, come il culmine della cosa inutile che è il loro vivere, dice a Ferranini. Il caso vuole che i due si ritrovino sull’aereo che li porta verso gli Stati Uniti. Così Walter apprende che Lamoureux ha avuto vita buona per 12 anni, con l’invenzione di una agenzia per trovare alloggi. Poi “d’improvviso il vento è cambiato”12 con una sporca malattia, nevrosi d’angoscia. Guarisce, ma si ammala di un male un “po’ meno grave, astenia depressiva con dissociazione” un male che permette le funzioni primarie ma non di prendere sonno. Ecco allora la eccentrica soluzione che ancora, al viaggio di ritorno, dona un sorriso a Ferranini, mentre il suo futuro resta del tutto incerto. Il romanzo si conclude su quell’aereo, su questi pensieri. Con il divertito ricordo del negro e del suo Macbeth. La sentenza shakespeariana potremmo “tradurla” sinteticamente usando un celebre titolo morselliano, la felicità non è un lusso, eppure degli insormontabili ostacoli ci impediscono di raggiungerla definitivamente. Intanto Ferranini comprende la necessità di lasciare gli Stati Uniti e Nancy (in definitiva la donna è più “in salute” di lui), una vita che non gli appartiene più, in alcun modo. Rimane in cerca di una identità, ben più complicata di una mera adesione politica al blocco stalinista o a quello occidentale. Non vuole atterrare a Roma e riprendere la vita parlamentare, ma non ha maturato una scelta alternativa. Intanto cambia destinazione al suo biglietto aereo e punta verso Milano: probabilGuido Morselli, Il comunista, Milano, Adelphi, 1976, p. 308. 12 158 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI mente, da lì, si concederà un periodo di riflessione nel paese d’origine, Vimondino, fino ad una decisione definitiva. Magari rimanendo sospeso per un poco, come Lamoureux, su quell’aereo. Un finale aperto, con Walter che viaggia contro le direttive del medico, per cui la salute era ancora troppo precaria per affrontare una così impegnativa traversata. Morire d’infarto, dunque, non è ipotesi scartabile tra quelle possibili. Tra il ricordo del nero del Macbeth, in quella cabina si compie il destino di Ferranini, quale che sia. Dopo aver letto i giornali internazionali, con nessuna notizia dal quel piccolo paese dai grandi vizi, l’Italia, Walter si addormenta. La sua fantasia accarezza una soluzione più radicale di quella di Lamoureux: “Bisogna che quel viaggio non finisse più, l’aereo si sarebbe dovuto fermare in mezzo all’Atlantico, sprofondare dentro l’Atlantico. Lasciare lui immobile e equidistante”. A Morselli il Macbeth appare una “ tragedia classica” per eccellenza, come si evince facilmente dalle sottolineature alla introduzione alla edizione dell’opera shakespeariana presente nella biblioteca personale dello scrittore. Nel testo, a penna, (per solito indice di una rilettura e di una utilizzazione in qualche contesto creativo o saggistico) sottolinea la famosissima frase della V atto sc V e scrive accanto “una storia raccontata da un idiota v. National Geographic, 1964, p.641”. Il particolare non è secondario, come anche ho discusso nell’editoriale di “In limineMorselli”: le fonti di Morselli non sono solo libresche: in modo più libero, lo scrittore apprende anche molto dalle riviste, per esempio quella del Touring, dai quotidiani, dai fatti di cronaca, mettendoli in movimento, nella sua fantasia cre- AEREI 159 atrice, sia con le letture della cultura ai più alti livelli, sia con l’esperienza quotidiana, sia con elementi centrali dei suo libri. La copia del “National Geographic” posseduta dallo scrittore non risulta tra i numeri conservati al Fondo Morselli di Varese. Comunque sia il nesso è lampante: la frase riportata del Macbeth in bella evidenza grafica nella rivista è ovviamente la medesima richiamata nel testo e come il lettore di Morselli sa bene, quella utilizzata nel penultimo capitolo del Comunista, in un episodio centrale sia per lo svolgersi della trama del capolavoro di Morselli, sia per il messaggio finale. La lettura del reportage avviene infatti negli anni della stesura del romanzo, ed è presumibile che dopo averla letta o più probabilmente riletta nella rivista, Morselli riprenda il testo shakespeariano, controlli la frase e apponga a margine il richiamo13. Lo scrittore conservava (si può verificarlo del Fondo Morselli a Varese) le annate del “National Geographic”, citato anche nel Diario, fittamente annotate e ricche dei famosi inserti (altri ritagli di giornale che se aggiunti ai quasi ottocento di Pavia sono una cifra non trascurabile, fogli manoscritti, appunti, cartoline e lettere, quest’ultime raccolte in gran parte ancora dalla infaticabile Linda Terziroli). La fondamentale citazione dal Macbeth deriva dal reportage The Britain that Shakespeare Knew, by Louis B. Wright, director, Folger Shakespaeare Library, Washington, Illustratioons by National Geographic photografer Dean Conger in “The National Geographic Magazine”, vol 125, May 1964 (pagine da 613 a 668, la citazione del Macbeth si trova a p.,647, con le foto della brughiera e del castelli scozzesi) una sostanziosa parte monografica dedicata ai luoghi shakespeariani. Sul manoscritto del Comunista accanto alla frase riportata, Morselli rimanda, con la tipica, minuta segnatura a matita, a tale reportage e così nel volume del Macbeth, su cui, con ogni probabilità, in un secondo momento, va a controllare la citazione. Proprio 13 160 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Del resto, proprio nello scorcio finale, dopo il bellissimo brano in cui Ferranini lasciando gli Stati Uniti vorrebbe vivere sospeso in volo come il “nero di Macbeth” oppure naufragare con tutto l’aereo (brano che appare limpido, netto nel manoscritto, come scritto di getto, su ispirazione precisa, senza il tormento delle correzioni che ricorrono fitte quasi dappertutto), il comunista apre i giornali e paragona la risibile provincialità dell’Italia al respiro dei rotocalchi esteri. Un punto di vista esterno e da lontano, riassuntivo della lunga, dolorosa esperienza di rinnovata formazione del romanzo. quel numero manca, purtroppo, al Fondo Morselli di Varese. Non sapremo mai, a meno di improbabili ricomparse, cosa lo scrittore sottolineasse o magari commentasse. Chissà se lo stesso Morselli, per servirsene per il Comunista, aveva scorporato quel numero (non presente però a Pavia, almeno allo stato attuale delle mie ricerche) oppure qualche disonesto studioso se ne è appropriato, oppure, il numero è andato disperso nei vari traslochi (come pochi altri, in effetti). Non è l’unico riferimento al “National” del finale del Comunista, traccia da seguire che indico agli studiosi e mi riservo di approfondire, come del resto tutto quel che riguarda questi ritagli, di cui qui si parlerà solo in generale. Si cita in particolare per la location di Filadelfia, nella scena capitale della ricerca dell’ospedale di Nancy, il volume 8 del 1960, a p. 8. (p,331 del manoscritto). Di nuovo, all’inizio del capitolo XV la fonte è il medesimo magazine, però a p.158. Si cita poi, a titolo di esempio, l’Enciclopedia italiana, per la Rivoluzione americana il “Mondo” del 4-864, riviste mediche e il “Time”. Ancora il “National” del settembre 1964 a proposito della attività militante di Nancy. Lavoro non inutile per lo studioso compulsare i ritagli di giornale e le riviste possedute da Morselli: anche in questo caso le sottolineature e le glosse risultano quasi sempre riutilizzate, direttamente o indirettamente, nelle opere creative o saggistiche, in una forma di suggestivo dialogo a distanza. AEREI 161 Il finale “aperto” lascia dunque Ferranini su quell’aereo. Ritrae perfettamente la calma inquietudine (disperazione?) del protagonista e la bellezza di questo finale, decisamente compiuto in questa incompiutezza, sotto l’ombra shakespeariana. Scrive Valentina Fortichiari14: Preparata, suggerita da una serie di considerazioni pessimistiche, addirittura fallimentari nelle parole di un negro […] il quale tra i banchi dell’aeroporto distribuiva volantini stampati con versi di Shakespeare […] la morte sembra abbattersi sul protagonista, preannunciata dai dolorosi segnali cardiaci alle soglie dell’infarto. Il dubbio sul suo futuro destino (la morte, il suicidio, la sopravvivenza) resterà alla conclusione del romanzo. Sempre protagonista Walter Ferranini, con il suo compagno di viaggio Theò, l’abbozzo di un romanzo, Mia celeste patria, prevede un dirottamento, sull’asse Parigi-Torino. Accennata anche in Dissipatio tra le possibili sciagure moderne, il dirottamento e la morte in volo funzionano allora come chance del rinvio, per usare il suggestivo termine del saggio della D’Arienzo, ma sembrano riportare molto chiaramente l’idea di una definitiva sospensione, cercata o incontrata a seconda delle circostanze. Valentina Fortichiari, Invito alla lettura di Morselli, Milano, Mursia, 1984, p. 83. Si veda anche Domenico Mezzina, Le ragioni del fobantropo. Studio sull’opera di Guido Morselli, Milano, Stilo, 2011, 158 e ss. 14 162 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Infarto, esiste allora una medicina? (Ancora su Il comunista15) Disegnando un affresco storico ampio e verisimile del mondo parlamentare comunista nell'Italia della fine degli anni Cinquanta, Morselli rivela straordinariamente il suo carattere di narratore delicatamente teso a “umanizzare” i suoi personaggi. Nel Comunista giunge al culmine quel tipico coraggio del dire “ingenuo”, del domandare su argomenti giudicati risibili dalla falsa professionalità degli esperti in cose umane, che è segno di intelligenza e sensibilità rara. Troviamo, nel lungo romanzo, i topos vulgati di quell’ambiente: gli integralismi, la ferrea dittatura del partito, l'ingerenza nelle vicende personali, la pigrizia e l'affarismo della vita parlamentare in cui rossi, bianchi e neri non sono diversi tra loro, la guerra fredda e la netta divisione, didascalica, tra la cultura comunista dell'Est e quella capitalista degli States. Tutto questo è complementare a un fondale, a un'atmosfera, percepibile e non scritta, in cui si muovono i personaggi. Emblemi di una teoria, Mi sembra opportuno riportare in questo paragrafo alcune delle riflessioni del capitolo II, Barcollando nel fondale della fatalità. Il comunista, della mia raccolta di saggi morselliani, Incontro con Guido Morselli, Roma, Associazione San Gabriele, 2003. Proprio questo capitolo era l’unico inedito di un volume a cui rimango molto affezionato (sia pur nella distanza che oggi rilevo da alcune riflessioni di allora, per altro da rivedere alla luce di inediti conosciuti successivamente) proprio per il carattere di circolazione amichevole non soggetta alle limitative esigenze del mercato editoriale, degli editori di serie A e serie B, del bollino (spesso esteriore e legato a una normativa schematica, della scientificità. 15 AEREI 163 simboli di un modo di vivere, finché un vento forte non spazza via intenti, decisioni, responsabilità, giudizi. Walter Ferranini vive istanti di umanissima “sperdutezza”16, come camminasse barcollando dentro una fitta nebbia, ancora certo integralmente delle sue convinzioni etiche, non scaturite da una teoria, ma da un’autentica vicinanza alla gente. Il fondale, nebbioso rimane l’emblematico ed evidente simbolo cromatico della coscienza di una crisi17 esistenziale. 16Bellissima espressione di Giovanni Testori, citata da Paolo Mattei: “‘Sperdutezza’, parola coniata per descrivere quegli attimi in cui l’uomo lascia fare ad un Altro la sua vita. Come un bambino che riposa in braccio a sua madre [...] l’abbandonarsi a un’altra forza che compie e realizza quello che l’uomo desidera” (“30giorni”, ottobre 2000). In Morselli, la “sperdutezza” rimane sulla soglia dell’attesa, di “lasciare fare ad un Altro”. Paolo Mattei è autore della brillante tesi di laurea, Morselli e gli "incontri coi comunisti": tracce di un percorso narrativo, discussa alla Terza Università di Roma, sul mondo comunista in Guido Morselli. Con lui ho sfogliato i libri di Morselli a Varese, gli appunti, i ritagli di giornale conservati nella cartellina Il comunista a Pavia. Rimando a questo lavoro per la ricchezza della documentazione (in particolare sul Comunista), spunto per un brillante commento alle opere sul comunismo e sulla commedia Marx. Per la documentazione sul comunismo di questo romanzo si veda anche Guido Morselli, I percorsi sommersi, a cura delle infaticabili Elena Borsa e Sara d’Arienzo, Novara, Interlinea, 1999, in particolare il capitolo, Il lavoro, la tecnica, la cultura. 17Scrive Giulio Nascimbeni, “Corriere della sera”, 14-91980, a proposito della duplicazione di romanzi di ambiente comunista: “Eppure, sia che affronti le ombre della clandestinità, sia che parli delle Botteghe Oscure, Morselli sembra affascinato dal nucleo di psicologie, di modi di vita, di affinità e conflitti che agita i suoi personaggi di mili- 164 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Con parole di Italo Calvino, severo critico del Comunista, voglio dirne la rilevanza ultima. Per sottolineare come nello stesso periodo in cui il celebre scrittore di fatto bocciava, rimandando ad altri consulenti editoriali, il dattiloscritto di un semisconosciuto scrittore18, Guido Morselli non era estraneo al dubbio, alla crisi, alla domanda. Sto parlando della Giornata d'uno scrutatore, ambientato nel 1953 e pubblicato nel febbraio 1963. L'anno dopo Morselli scrive Il comunista, ambientato nel 1959, scritto nel 1964-'65 e che uscirà postumo solo nel 197619. Lo scrutatore militante del P.C.I., di fronte al decadere, in pragmatismi o stanchezze varie, della forza dell'originale messaggio, sia nel campo marxista che, intelligentemente, in quello cattolico, vive la “nostalgia” di momenti iniziali tanti. Forse per questo il tema dell’uomo comunista è l’unica ripetizione nell’opera di uno scrittore che non si è ripetuto mai”. Diciassette anni corrono tra i due romanzi, ma nel mezzo, come si è visto, L’amante di Ilaria. Dal 1964, dopo Il Comunista, al 1973, Guido Morselli scrive tutti gli altri suoi capolavori, con la sola eccezione di Dramma borghese, del 1961-1962. Roma senza papa (1966-7); Contro-passato prossimo (1970); Divertimento 1889 (1971) e Dissipatio H. G. (1973). 18Ora la lettera a Morselli si legge in I libri degli altri, Milano, Mondadori, 1991. La citazione della Giornata d’uno scrutatore è tratta dal secondo volume di Romanzi e racconti, Milano, [I Meridiani] Mondadori, p. 15. 19Con l’ennesimo nulla di fatto, dopo due anni e mezzo dalla stesura definitiva e dall’avvio delle “pratiche” per l’eventuale pubblicazione, si concludeva la penosa vicenda editoriale del Comunista, arrivato fino alle bozze di stampa per Rizzoli e insabbiato per un improvviso cambio al vertice, complice una incomprensione dello scrittore che, esasperato per il prolungarsi del tira e molla, ritirava il manoscritto, quando forse poteva essere riesaminato dai nuovi dirigenti. AEREI 165 di attivismo spontaneo e si pone una cruciale domanda: Ricordava le sedi improvvisate dei partiti, piene di fumo, di rumore di ciclostili [...] a distanza di anni egli poteva cominciare a vederlo, a farsene un'immagine, un mito [...] perché quell'epoca era finita, e piano piano a invadere il campo era tornata l'ombra grigia della burocrazia [...] Dunque, quello che conta d'ogni cosa è solo il momento in cui comincia, in cui tutte le energie sono tese, in cui non esiste che il futuro? Non viene per ogni organismo il momento in cui subentra la normale amministrazione, il tran-tran? Anche per il comunismo - non poteva non domandarsi Amerigo anche per il comunismo sarebbe avvenuto? o stava già avvenendo? Lo stupore di una iniziale solidarietà, la dedizione spontanea agli altri e l'ombra grigia della burocrazia. Stesso tema/dilemma in Ferranini: attivista della base, vicino alla gente, approdato al pigro e affaristico ambiente della Roma parlamentare, ne soffre il torpore, il ”tran tran”. Anche nel campo degli affetti, dovrà constatare che: “quello che conta d'ogni cosa è solo il momento in cui comincia”, o si desidera ancora da lontano. Non facendolo parlare in prima persona, ma assumendo la natura intima del suo personaggio, Morselli ottiene una poetica prospettiva: se il fondale della sua “sperdutezza” è la malattia, l'analisi politica e umana sul lavoro è simile a quella di un medico sul paziente. Con la differenza che il soggetto e l'oggetto della ricerca coincidono. Medico e paziente sono la stessa persona. Walter Ferranini, il comunista, perfino antipatico per la sua incrollabile fiducia nell'ortodossia del partito, è malato. 166 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Proviamo a districare questo paradosso, ripassando gli eventi della vita di Ferranini. L’intreccio narrativo, al presente, racconta, dopo pochi mesi di esperienza parlamentare, le vicende di un “genuino elemento della base”, messo in una crisi latente, sempre superata, da vari eventi “romani”, fino a un processo da parte della dirigenza del partito per un articolo sul tema del lavoro. A questo punto giunge la notizia di Nancy, senza esitazioni, il comunista si imbarca per gli States, con le disavventure delle malattia, il ricovero, l’incontro con Newcomer. Scaduto il visto, sull’aereo del ritorno, il romanzo si conclude, dopo aver descritto finemente ambienti romani, emiliani, statunitensi, russi e una folla di caratteri e personaggi di contorno. Sono molti i flashback stranianti in cui la storia scivola inesorabilmente nel fondale, tra utopia e rimpianto, rappresentato poi, in modo insuperabile nella scena della via crucis verso Nancy. Walter deve “barcollare” nel grigiore di quella nebbia simbolica. E bisogna che lo faccia subito per rappresentare, icasticamente, un Giobbe perseguitato dalla sofferenza e dalla malattia che rschi di perdere la fede. Se risulta uomo integro e austero nella descrizione di altri compagni nell'incipit del romanzo, sappiamo subito della sua condizione di orfano (su questo argomento riflette in modo mirabile Linda Terziroli nel più volte citato volume “In limine-Guido Morselli”, 2012). Ha dovuto vagabondare e lavorare duro. È stato in Russia e in America, sempre a fianco dei lavoratori. Ha però una passione per la biologia che lo avvicina di più al sentimento della natura di Morselli piuttosto che a quello di Marx. Si è conquistato il favore popolare alle AEREI 167 elezioni ed è sbarcato a Roma, dove il tedio e la pigrizia lo bloccano, insieme al giudizio moralista sul costume borghese dei compagni. Studia, con grande impegno, una nuova, più dignitosa, legislazione del lavoro20: il fine della sua ricerca teorica è rivolto all'uomo “fisico”, propriamente al corpo fisico, dolorosamente provato dalle condizioni di lavoro. Ecco il punto nevralgico del libro: la sequenza tragica lavoro/dolore/malattia. Walter Ferranini è malato di cuore (“miocardico recidivante da un quarto di secolo”21) a causa delle durissime condizioni di lavoro a cui si è sottoposto, per la sua condizione di orfano e per la generosa azione verso gli altri 20Il capitale, nella edizione citata nel capitolo precedente, sembra il testo di Marx che ha offerto i maggiori spunti di riflessione su questo tema, come segnala Paolo Mattei. Morselli sottolinea icasticamente i passaggi in cui il lavoro è definito mostruoso e l’individuo una molla meccanica, quando la macchina subentra in modo massiccio. L’obiezione, annotata a mano, è una velina per il romanzo, in particolare per le pagine della visita in Russia: “Lo stesso fenomeno deplorevole si ha, però, anche nell’industria di stato, e anche in regime comunistico. La satira di Chaplin in Tempi moderni colpiva anche la Russia sovietica e i suoi stabilimenti”. Ancora poco più avanti, sulla alienazione delle macchine, obietta ugualmente, a margine “Marx era comunista, voleva il comunismo. Ma questo assoggettamento che egli giustamente deplora dell’operaio alla macchina, si evita, forse, nelle fabbriche delle quali l’imprenditore è lo stato? [..] Ma come ha potuto Marx non prevedere che l’industria non avrebbe cambiato il carattere passando dal regime capitalistico a quello collettivistico? (L’abolizione dei profitti privati non basta a rendere meno odioso il lavoro degli operai servi)”. Ovvero sia, a guardare in campo lungo, la fatica del lavoro non verrà abolita dalla dialettica marxiana: è il punto centrale dell’analisi non ortodossa di Ferranini. 21Guido Morselli, Il comunista, Milano, Adelphi, 1976, p. 46. 168 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI lavoratori. Il lavoro, per lui, è una condanna eterna che nemmeno la dialettica marxista potrà annullare, nel futuro trionfo del proletariato. Condanna per una colpa non commessa22, o perlomeno non adeguata a una punizione così pesante. Walter, nei mesi romani, assomiglia a un pugile suonato, eppure fiero e integro, prima del knock-out (sulla questione del lavoro). Gli altri schiaffi non lo hanno mandato al tappeto. Anzi, prima della fine del match, una notizia lo riempie di nuova fiducia e guarisce il malessere scaturito nel constatare due pesi e due misure nell'ingerenza del partito nella sfera privata: è scelto per un viaggio in Russia, per seguire i lavori di un Congresso di scienziati (la sua antica passione di biologo lo aveva portato a scrivere a qualcuno di queste personalità). L'entusiasmo è di breve durata: il fondale della malattia lo risucchia ben presto. Arrivato nella terra del comunismo si ammala per davvero e, guarito, constata che le personalità che cercava o sono già andate via dal Congresso o non sono mai arrivate. Contorni, ancora, ben descritti, per arrivare al cuore. Qui si percepisce un altro battito stonato: Walter comprende chiaramente che la condanna al lavoro è identica nei paesi comunisti23 (il giovane russo che soffre 22Riflessione centrale del pensare ingenuo in Fede e critica e perfino incarnata nel personaggio protagonista del Redentore. 23 “Nei luoghi che hanno visto la grande Rivoluzione, a Ferranini sembrava di non poter far niente di più degno che studiare, imparare. Il suo problema tornava ad imporsi, il lavoro oggi, il lavoro eterno, lui avrebbe detto: un problema che coincide con la vita stessa”, Guido Morselli, Il comunista, cit., p. 249. AEREI 169 di ulcera nervosa), in Italia (il compagno medico Amoruso lo informa di identici casi di lavoratori a Formia), negli States. Non c’è dialettica che tenga. Intanto “Nuovi Argomenti” gli ha pubblicato l'articolo sul lavoro, richiestogli da Moravia in persona, incontrato in casa Amoruso. Il partito non lo sa: richiesta diligentemente l'approvazione, il plico gli torna indietro perché la scrittura è illeggibile. Ferranini, con una leggerezza che gli costerà cara, lo spedisce direttamente alla rivista di Moravia. Il pugno secco si prepara con questo disguido, nella volontà stessa di seguire le rigide regole del partito. Ma esaminiamo gli altri bombardamenti, quelli alla fine complementari, di costume 24, all’integralità del “genuino elemento della base”. Walter, preso nell'ingranaggio del capitalismo, quando era andato per combatterlo, vivendo un terribile sdoppiamento, ha sposato negli States Nancy, figlia dell'italiano piccolo capitalista da cui lavorava. Tornato in sé, anche per un cambiamento nella vita di lei, ritrova in Italia le battaglie comuniste e il duro lavoro. È ora, a Roma, l'amante di una donna sposata e separata Nuccia. E questo non è bello. Non deve mostrar24Anche la vita del P.C.I. in quei tempi di lotta tra stalinisti e maggioranza (si vedrà il caso di Roberto Mazzola) è documentata dai ritagli di giornale conservati nella cartellina del Comunista. Alcuni di questi riportano notizie di dibattiti accesi nelle sedi di Reggio, altri contengono l’accusa di una severa militante che denuncia gli affari economici dei compagni del partito nella medesima zona natale di Ferranini. Su sfondo mondiale il dibattito si riflette nel libro, presente nella biblioteca Morselli e al solito sottolineato e postillato, di Isaac Deutscher, Il comunismo tra Krusciov e Mao. 170 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI si con lei. Richiamato più volte, barcolla, ma si convince: vale di più l’unità del partito. L’ingerenza si fa pesante, Nuccia è diffidata perché il marito la rivuole. E il marito è un alto dirigente del P.C.I., ora anche lui a Roma. Walter è irritato, ma il partito è il partito. È pronto a sacrificarla25, ma ha un disperato bisogno di lei. Non lo sa dire, balbetta. Un atavico pudore, più solenne e granitico nelle persone di sicura fede, chiede di non mostrarsi deboli, di reprimere le lacrime. La donna glielo legge negli occhi. A Nuccia non si può nascondere 26: “Hai due occhi che chiedono pietà”. Poi il processo durissimo del partito al giovane giudicato “estremista” che ben conosciamo, Roberto Mazzola: in realtà il giovane applica alla lettera i propositi della sua ideologia, risultando scomodo alla logica di un partito entrato con disinvoltura nei compromessi della politica. Ferranini, insieme ad alti dirigenti, è chiamato ad interrogarlo e poi a scrivere un rapporto, dove deve essere indicato un giudizio perentorio: assoluzione o condanna. E se condanna, di quale entità: richiamo o espulsione. Walter scrive due volte la lettera, poi la corregge, barcolla: Mazzola ha le sue stesse posizioni, ma non può assol25Qualche parola gli vien fuori, sempre in quel suo rimuginare, quando per la questione di Nuccia, barcolla fortemente e si chiede perché sempre a lui tocchi quel sacrificio: “Ma lo costruiamo lo stesso, il socialismo, anche se Ferranini Walter ha un essere umano che si occupa di lui”, Guido Morselli, Il comunista, cit., p. 198. 26Ivi p. 49. E in altro momento di forte crisi, p. 249: “Ma lei aveva amore e intelligenza. Quelle collere in Walter non erano mai immotivate, per futile che ne fosse il pretesto: lo aveva ben capito in quei pochi mesi. Erano segno di delusione, di tristezza”. AEREI 171 verlo, come aveva pensato una prima volta: l’unità del partito conta di più e sa bene che i dirigenti lo vogliono condannare. È il culmine della purezza integralista (sia pur a danno di un altro “puro” come Mazzola) della sua fede: non farà mai nulla contro il partito e decide per l'ammonizione. Il partito decreterà invece l’espulsione di Mazzola, che andrà a fondare un nuovo raggruppamento leninista. L’esempio di comportamento disinvolto, borghese e affaristico è rappresentato ovviamente da Montobbio, di cui con L’amante di Ilaria abbiamo conosciuto la metamorfosi: ora lo vediamo a proprio agio nell'atmosfera romana, antagonista viscerale di Roberto Mazzola (che vive con la madre che ha avuto il coraggio di lasciare Gildo), integralista fino alla divergenza con il partito27. In questo frangente, sia pur con motivazioni diverse se non opposte, Ferranini giunge alle stesse conclusioni di Montobbio, condannando, di fatto il Mazzola all’espulsione, in nome della unità del partito. L’episodio sarà però decisivo nelle riflessioni finali, ancora sull’aereo, in quella posizione decisamente instabile e non risolta su cui il romanzo si conclude, non concludendo le importanti questioni sollevate. Altre piccole beghe, insieme a rinnovate amicizie, vengono a Walter dai compagni di Reggio, per raccomandazioni, appoggi politici, segnalazioni. Insomma spietatamente (con alcuni tratti perfino “didascalici”) viene rappresentato il mondo politico nei suoi vizi e nelle sue virtù. Niente di originale, anche dal punto di vista del27Queste vicende, come si accenna nel precedente capitolo, sono materia di un’opera teatrale inedita, precedente al Comunista, L’amante di Ilaria. 172 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI la tecnica del romanzo, se non fosse per l'appiccicarsi di quel fondale in un ambiente verisimile, senza il quale Morselli sarebbe caduto nell’astratto. Dal terzo capitolo in poi, il libro lievita, con inevitabile cadute, s’intende, tramite le continue incursioni nel ricordo. Belle le pagine sulla guerra di Spagna e poi sui primi tempi negli States, dove il comunista arriva con intenti rivoluzionari. Meno convincenti quelle in cui viene catturato, nel fascino di Nancy, dalla malizia del capitalismo. La preoccupazione della verosimiglianza frana in uno sgretolamento onirico, in un delirio di malattia, e l’acquisizione della falsa impersonalità narrativa completa il quadro, nelle pagine migliori, con pochi dialoghi e seguendo senza sosta le impressioni di Walter, in una tenera terza persona. Camera fissa, anche essa barcollante nel fondale, sulla spalla dell'operatore, fra la freddezza tecnica del mezzo (la terza persona) e la commossa partecipazione/assimilazione spontanea all'altro da sé, specialmente quando Ferranini è malato. Intanto, tornato dalla Russia, la crisi si avvicina. I giornali borghesi stigmatizzano l’“eresia” di un parlamentare comunista, strumentalizzandola. Il partito per ora tace. Solo qualche compagno lo deplora o lo incoraggia cautamente, prima della presa di posizione ufficiale. Walter vive un’assurda attesa, una nicchia di sospensione. Un fiume di inchiostro lo investe, lui che non era mai intervenuto a Roma, oscuro parlamentare della provincia, tanto che forse nemmeno il supremo capo (dove è ritratto Berlinguer) lo avrebbe potuto riconoscere fuori dal parlamento. AEREI 173 I giornali vedono giusto, nel loro tentativo di incrinare l’unità del P.C.I.. Parlano di concezione fatalista. È vero: le vicende di Walter barcollano nel fondale della fatalità28, deragliando dall’ortodossia dialettica e finalistica del partito. La parola ricorre altre volte, come nelle frasi29 dell’”ambiguo” Amoruso, in teoria d'accordo con Walter sull'articolo, ma che non interverrà a suo favore con i dirigenti. Proprio in un dialogo con il dottore di Formia, Walter solleva le bende sulla ferita sanguinante della sua coscienza30: Forse sono pessimista, per me il lavoro e i suoi mali sono una delle facce della sofferenza che l'essere vivente deve per forza subire. [...] La necessità del lavoro è un'espressione, io dico, della ostilità attiva o inerte dell'ambiente. Come il terremoto e la siccità, come la malattia, come il colesterolo che intasa le arterie. Amoruso è su questa linea, portavoce di ferme convinzioni di Morselli, nell’evidenziare co28Il pensiero ingenuo sul tema della colpa/malattia è molto vicino alla concezione tragica greca, come la descrivono Charles Moeller in Saggezza greca e paradosso cristiano, Brescia, Morcelliana, 1951, e lo stesso Steiner, nella introduzione al suo classico saggio sulla “tragedia”, che avremo modo di citare. Le parole del Redentore sottolineano questa vicinanza con lo spirito greco, anche se, come sostiene introduttivamente l’autore, per mezzo del capocomico, la commedia si limita a presentare i fatti, senza optare per le idee radicali presentate nel personaggio protagonista (ma del resto, senza nemmeno ripudiarle). 29 “Il Primo Maggio serve a ricordare che il lavoro è una mortale fatalità”, Guido Morselli, Il comunista, cit., p. 185. Ancora in un pensiero di Walter in Russia (p. 235) la fatalità del lavoro è “cruda”, senza confini geografici, di sistemi economici o politici. 30Guido Morselli, Il comunista, cit., p. 154. 174 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI me la violenza e l'ingiustizia siano forme “più sottili di malattia, di aggressione da virus”. Come mettere d’accordo questa visione con il finalismo marxista? Amoruso risponderà per lettera, qualche tempo dopo, liberando la teoria di Marx ed Engels dalla presunzione di voler rispondere ad un quesito, come quello di Walter, appartenente ad un’altra sfera: quella della felicità. Esattamente, la felicità. La parola che Walter non pronuncia e che sta dentro la sua ricerca: la schiavitù del lavoro, della malattia, della fatalità non rende felici. Il pensiero ingenuo di Morselli ha contaminato il suo personaggio protagonista. In modo delicato e verisimile. Senza forzature. Adesso la sfida è aperta. Walter Ferranini non è affatto polemico. Vorrebbe soltanto una risposta dai compagni, magari dagli alti dirigenti del partito. Ha scritto tutto in quel suo articolo che Moravia ha immediatamente pubblicato. Nella prima parte sintetizza la sovranità dell'uomo sulla natura e le cose nel pensiero di Marx ed esprime con cautela qualche riserva “perché l'esperienza quotidiana ci insegna che il mondo esterno e fisico, non dipende da noi, ma proprio al contrario: noi dipendiamo da esso, in ogni istante e atto del nostro esistere”. Per arrivare al cuore della questione del lavoro come condanna, sostituendo alla parola “alienazione” quella più comprensibile di “mortificazione”, sotto il segno della fatalità: Non diversa (in fondo) è la pena del nostro dover resistere ogni giorno alla malattia e all'invecchiamento, al disfacimento organico, e cioè sempre alla volontà ostile della natura, la quale ammette la AEREI 175 vita soltanto per riannettersela: per distruggerla, insomma. Potremmo dire che anche queste situazioni di cui siamo obbligati a difenderci, sono in un senso più ampio “lavoro”. Il lavoro con la sua penosità è dunque una condizione universale e insopprimibile. Senza riscatto. L’articolo, scopertamente agli antipodi di un antropocentrismo finalistico e illusorio, in pieno spirito fatalista, evoca nel finale la tragedia di Marcinelle31: Lavoriamo agli ordini di, lavoriamo per, a vantaggio di un uomo, o un gruppo, o una classe. Ma se anche questi scomparissero, la nostra sorte non cambierebbe. Bisognerebbe seguitare a soffrire, a subire. A Marcinelle, al primo allarme, venne dall'alto, nella miniera che stava per crollare, l'ordine di sospendere il lavoro. E il “lavoro” cessò. Ma quelle centinaia di uomini continuarono a lavorare, come prima, a scavare con i picconi e con le mani, nella speranza di aprirsi un varco. E noi siamo tutti come loro, siamo tutti a Marcinelle. I padroni, di sopra, possono essere sostituiti, possono anche scomparire. Un giorno potremo anche ricevere l'ordine di non lavorare più. E noi, invece, saremo costretti a continuare. Una malattia perenne. Walter è andato molto oltre. Nel campo esistenziale e metafisico, dove esattamente si pone il tragico, secondo la perfetta definizione di George Steiner32. Siamo malati, 31Ivi p. 265. tragedia è irreparabile”. Mi riferisco all’introduzione del classico Morte della tragedia, in traduzione italiana di Giuliana Scudder per Milano, Garzanti, 1965. Ma la versione l’originale, sia pur del 1961, risente, come è noto ed evidente, della “tragedia” dei lager, da cui anche Morselli, si è visto, trae origine per le speculazioni che si trovano 32“La 176 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI soffriamo. Barcolliamo su quel fondale. Anzi, scaviamo con le mani nella speranza di aprirci un varco. Esiste allora una medicina? Una luce lontana, quel varco? Nel finale del romanzo, descritto in precedenza, balena l’intuizione di un possibile annullamento, di una sospensione, non lontanissima dall’idea del suicidio, definitivo annullamento di fronte all’evidenza che la felicità non è un lusso, eppure ancora una volta, la mano d’acciaio stritola il desiderio e la rende impossibile. Amore (o morte) mostra la tua potenza Una quindicina di anni prima del Comunista, Morselli aveva descritto una morte in aereo, per attacco cardiaco, tra il sonno e la veglia, come sarebbe potuto accadere a Ferranini. Succede al all’inizio del suo impegno di scrittore. A p. 8 si legge: “Dio ha volto in bene le tribolazioni inflitte al suo servo: ha ricompensato Giobbe delle sue sofferenze. Ma dove c’è ricompensa, c’è giustizia, non tragedia. [...] Le strade di Dio [nell’ebraismo e nel Cristianesimo] non sono né capricciose né assurde. Le potremo conoscere perfettamente se la nostra ricerca sarà illuminata dall’obbedienza. L’insistenza del marxismo sulla giustizia e sulla ragione è tipicamente ebraica e Marx ripudiò in blocco il concetto di tragedia. ‘La necessità’ dichiarò, ‘è cieca solamente quando non la si capisce. La tragedia ha origine dall’affermazione opposta: la necessità è cieca, e incontrandola l’uomo resterà privo della vista’”. Anche sul tema della colpa, Steiner ha parole illuminanti, mostrandoci, indirettamente, come Morselli, in questo caso, sia molto vicino allo spirito greco: “Nel pensiero ebraico la catastrofe è colpa morale specifica o mancanza di comprensione. I tragici greci affermano che le forze che plasmano o distruggono la nostra vita si sottraggono al dominio della ragione o della giustizia” (p.10). AEREI 177 giornalista inglese Cedric Noles che da Roma sta volando verso Milano per incontrare la donna che lo ama. Si è accorto, sia pur tardivamente, di amarla anche lui. Un mano di ferro, nell’immagine icastica di Morselli, afferra il cuore dello sfortunato viaggiatore, stritolandolo. Una beffa: aver deciso di legarsi per sempre a quella ragazza e dover morire poco prima di poterla riabbracciare. Non è forse questo il racconto di un idiota, di un attore ubriaco? Eppure accade. Un momento ispirativo legato a Shakespeare crea un singolare legame con il finale del Comunista. Capovolto. Se Ferranini vorrebbe vivere una sospensione temporale (o forse infinita) lì nell’alto, come Lamoreoux, e quasi invoca la morte, Cedric Noles, dopo essere stato indeciso, tormentato dalle ombre del passato, in definitiva irreali, deve constatare l’impossibilità di realizzare un destino positivo. Il titolo della sceneggiatura, Il secondo amore, sulla prima pagina-frontespizio della versione dattiloscritta è cassata. Resta leggibile il motto “Sweet love, renew thy force”33. Si tratta di un verso del sonetto LXVI34. I faldoni che conservano i materiali della sceneggiatura vengono divisi in apposite cartelline, come il resto del materiale morselliano dopo il prezioso ordinamento della D’Arienzo e della Borsa. Nella prima Isa 1 una versione manoscritta della sintesi narrativa (risale al 22/IV/ 52, quindi posteriore alla stesura teatrale) che in Isa 2 è dattiloscritta. In Isa 3 il testo manoscritto di 70 pagine, con la data finale 3/10/50. In Isa 4 la versione dattiloscritta, di 34 pagine, sulla cartellina rossa che la conteneva si legge “Il secondo amore” Commedia o soggetto per film” e in alto “La 3°copia trattenuto dall’Ente Mostra Cinematografica”. Isa 5 contiene invece un ritaglio di giornale relativo al successo della rappresentazione de Il seduttore di Fabbri, del 31/12/1955, evidentemente sentita come comme33 178 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI dia affine a questa, per la difficoltà di scegliere presentata dal drammaturgo forlivese attraverso il suo protagonista (con il metro della commedia brillante dalle conclusioni etiche molto pertinenti) non solo tra due tipi di donna, come qui in Morselli, ideale e reale, sensuale e spirituale, ma aggiungendovi la terza, la perfetta compagna di vita. Saranno le tre donne e a turno tradite, a denunciare l’impossibilità di questo ideale e nello stesso tempo rimpiangendo l’amore e la grande umanità del “seduttore”. Nella sinossi dattiloscritta tra altri particolari non decisivi un tantino diversi, si insiste all’inizio sulle attrazioni della Vicenza dei ricordi, “È l’atmosfera, l’incanto di allora che egli cerca in quei luoghi. E la giovinezza gli si fa incontro, non come un’ombra, ma nella fresca persona di Sandra”. La disillusione per Bianca, qui la maestrina Ada, è molto più consapevole, dopo i molto espliciti tradimenti, qui subito reali, senza ombra di dubbio. Il commento di Cedric è ben più sarcastico di quello che troviamo poi nella stesura, più consapevole, anche della illusione vissuta dopo, solo ricordo, tolta tutta la parte dolorosa dei tradimenti. Resta dunque amata non Ada-Bianca, ma la sua immagine lontana (ultima riga, primo foglio bozza ISA 2.1). Si notino ancora le inserzioni metaletteraie o meta teatrali nei racconti di Cedric, nel suo voler rivivere con Bianca quel film del tutto ideale della memoria, che però nella bozza è sfumato e invece nella stesura diventa elemento centrale, distanziando in qualche modo la consapevolezza qui espressa di Cedric, o per lo meno rischiando di riproporla per ricaderci di nuovo con Bianca, trattata però, in quei momenti, solo come attrice, forse proprio per allontanarla: “Così finì il romanzetto dell’ingenuo giovane Britanno – conclude Cedric, rivolto alle due signore- Il quale Britanno, quando cessò di essere tanto ingenuo, si accorse di dover immensa gratitudine all’infedele. Poiché impedendogli di realizzare il suo sogno, gli permise di serbarne intatto il ricordo, un ricordo che egli ancora saviamente amministra, attingendovi con circospezione … S’intende che, pur essendo tornato a più riprese a Vicenza, mi sono ben guardato dal ricercare la mia bruna Beatrice”. C’è poi nella bozza padre Virgilio, il guardiano dei Cappuccini, che la esorta a dimenticare Cedric, divorziato e anziano, scena che non compare nella stesura, così come un altro medico, AEREI 179 Brown a Roma che lo visita, dicendo che non ha nulla di grave a parte i reumatismi. 34 Sfogliando l’edizione dei Sonetti, Firenze, Sansoni, 1941, a cura di Piero Rebora (Mor 1236 nella catalogazione del Fondo Morselli a Varese) consultabile nella biblioteca personale ora al Fondo Morselli per registrare le sottolineature o le glosse, rileviamo l’interesse per gli enigmi dell’identità legati all’universo shakespeariano. La data apposta sul volume è il 13/11/41, il sonetto LXVI ispira il titolo, o il motto, della sceneggiatura divulgata come Il secondo amore, dei primi anni Cinquanta, ed è molto probabile una rilettura di quel periodo. Nella introduzione di Piero Rebora, lo scrittore, con le consuete sottolineature, mostra di interessarsi alla questione inerente al misterioso W. H a cui sono rivolti i “fervidi” 126 sonetti, e anche all’altra misteriosa figura di dark lady, a cui si rivolgono un’altra ventina di testi. Rebora, sottolineato da Morselli, riporta anche l’espressione di Croce, per il quale Shakespeare è fortunato: non se ne sa nulla e quindi riesce ad evitare “l’errata filologia del pettegolezzo”. Così anche Eliot, per Dante, sottolinea Morselli dall’introduzione di Rebora: meno ne so del poeta e meglio è. Come non pensare al paradosso di un autore che legge queste parole da perfetto sconosciuto, ma che si avvierà a diventare uno dei casi più emblematici di autore postumo. Magari sentendosi riepilogo degli uomini, come pare alludere una nota sempre dall’introduzione dove Rebora cita il parere di due studiosi secondo i quali il bardo non fece che fingersi attore di sentimenti altrui, scrivendo la buona parte dei sonetti per commissione. A fronte di questi enigmi, che poi sono i nodi cruciali e ancora irrisolti del dibattito attorno a Shakespeare, come in altre situazioni, l’interesse di Morselli si concentra sulla ricostruzione storica e sulle fonti, in particolare sugli influssi del Cinquecento italiana sulla grande tragedia shakespeariana. Altro libro sottolineato e glossato nella biblioteca personale, è proprio quello del medesimo studioso interamente dedicato a queste questioni: Piero Rebora, L’Italia nel dramma inglese, dove, tra gli altri passi sottolineati, mi pare sintetico quello della pagina 18, dove Rebora si esprime in questo modo: 180 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI La sceneggiatura è dedicata alla città di Vicenza, luogo principale dell’azione, capace di determinare alcune importanti decisioni dei protagonisti: “Questo racconto è dedicato a una delle più belle e nobili città italiane, nella quale in gran parte si svolge, e alla memoria di uno straniero che l’amò, e che per due volte v’incontro l’amore”. Frase che rafforza l’ipotesi della trasfigurazione narrativa di un “inglese” realmente conosciuto in circostanze legate alla Seconda Guerra Mondiale. Cedric Noles viene presentato poco meno che cinquantenne, con una “giovanilità” del tutto spontanea, con cui viene a contrasto la profondità dello sguardo, che rivela l’esercizio abituale del pensiero meditativo e sagace. “Uno spirito alacre, non però pratico: sfumature di accenti e di atteggiamenti potrebbero far pensare a un intellettuale tendenzialmente spregiudicato, giunto all’età esperta in cui ogni vocazione s’intinge di dilettantismo”. È giornalista, altro topos morselliano, inviato dalla sua agenzia in Italia. Conosce bene la lingua per aver vissuto a Vicenza, un lungo periodo da giovanissimo soldato. Lavora a Roma, ma si sta curando ad Abano. Stufo di “I contrasti drammatici, le passioni, i dubbi, i sacrifici e le bestemmie ciniche consumavamo le storiche fibre della narrazione italiana, i cui uomini sembrano nel’500 veramente gli attori di una immane tragedia” Non c’è da meravigliarsi, dunque, sostiene Rebora dell’interesse del bardo, ma anche dei suoi predecessori, per l’Italia rinascimentale. Anche in questo testo troviamo topos tipici delle sue sottolineature; con le fonti, su cui il testo si basa, chiaro l’interesse per gli artisti minori, di cui diligentemente segna a margine una breve biografia, e le date del susseguirsi storico o dei fatti letterari. AEREI 181 quella vita da quasi malato, viene a Vicenza, per ritrovare le atmosfere della sua giovinezza. La ragazza che lo aspetta invano all’aeroporto nel finale è figlia della città palladiana: Sandra Zanolin, “di famiglia” per bene, sui 23 anni, intelligente e seria, qualità non comune, osserva Morselli nella didascalia. I due sono destinati ad incontrarsi immediatamente, nella città dell’arte: sequenze rapide, mostrano una discreta abilità nella sceneggiatura cinematografica, tendono a dilatarsi in momenti lirici, attraversati da improvvise ventate in stanze vuote, ombre di apparizioni, premonizioni di eventi. I dialoghi sono spesso lunghi, assai godibili (come tutta la sceneggiatura) alla lettura, da scorciare e sveltire per i tempi cinematografici. Fascinosa l’atmosfera, creata per sondare, attraverso le immagini cinematografiche, l’inquietudine dei personaggi, la ricerca dell’amore, ostacolato nell’inglese da un carattere rude, dall’insorgenza continua del ricordo che lo lega a un momento irrepetibile della giovinezza, sia pur, in definitiva, umiliante. Ha vissuto, subito dopo la Prima Grande Guerra, nei mesi dell’insediamento a Vicenza, le giornate di un grande amore, rimasto l’unica passione trascinante e memorabile, nonostante le tante avventure di poi e perfino un matrimonio andato in malora. Interessano a Morselli le potenzialità insite nella tecnica cinematografica: nel narrare il grande amore giovanile di Cedric, si raccomanda all’eventuale regista di insistere sulla rievocazione di quei luoghi durante la guerra. Nel suo progetto sono molto di più di una semplice location. Devono rappresentare la concretezza di un eden perduto, il contrasto tra guerra, sangue e bellez- 182 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI za, in cui si muove una ragazza la cui immagine è altrettanto lacerata tra idealità sublime e carnalità rozza. Di fronte alla comprensione e alla dolcezza di Sandra, altro tema capitale in Morselli, Cedric le rivela di essere malato: arteriosclerosi e uricemia, da qui a due anni saranno molto evidenti. È tutto vero, nel racconto dell’amore e in quello della malattia? Cedric usa l’ammaliatrice arte narrativa in tutti e due i campi per attirare a sé Sandra, inconsciamente o coscientemente si vendica dei torti subiti dall’altra? A un buon regista, Morselli consegna il compito di non svelare troppo, di lasciare in sospeso questi elementi centrali, di far godere il più possibile gli attimi in cui gli specchi ustori dell’amore riflettono volti diversi e convergenti, complicati dal fatto che Sandra vede in Cedric una figura paterna. Non si dimentichi Dramma Borghese ma anche Uomini e amori e Incontro con il comunista, Realismo e fantasia, tra azione e diari: Sandra legge nel libro di Cedric (scrittore e giornalista), avviando un altro possibile sdoppiamento tra realtà e scrittura. All’inizio, il testo, parla della razionalità che deve vincere sul sentimento. Presa dalla lettura, infatti, esce in cerca dell’uomo. Nella bella sequenza, Morselli immagina la stanza di lei aperta da una raffica di vento p.14: “rendendo l’immagine di una intimità sconvolta da una forza avversa e irresistibile”. Corre nella pioggia all’albergo e vede un uomo portato via: culmine della disperazione. Ma poi capisce che non è Cedric. Lui al vedere lei disperata, bagnata di pioggia, ha momenti di dolcezza e la ragazza, innamorata seriamente, spera in una conclusione positiva del rapporto. Lui torna freddo e le AEREI 183 dichiara che “l’amore è faticoso e che lei deve aspirare ad altro”. Sweet love, renew thy force, recita il verso tratto dal sonetto 56 di Shakespeare. Un imperativo urgente, di rinascita dell’entusiasmo e della passione da un torpore soffocante, in definitiva quello di Cedric, ammaliato da un passato lasciato volutamente intatto, per non rischiare di farlo scendere da un piedistallo reale, costruito dal tempo passato, circa trent’anni, siamo nel 1949 all’inizio dell’azione a Vicenza, per renderlo ideale, per pulirlo dalle grossolanità e dalle scorie. Torpore che, lontanamente, assomiglia alla morte o, per lo meno, a un’esistenza senza senso. Dopo aver fatto la conoscenza di Sandra in modo casuale, l’uomo ne è attratto, ancora però inseguendo in lei il sogno dell’altro amore. Volendo riviverlo, chiedendo, appunto, di rianimare la sua forza. Aiutata Sandra - la cui famiglia alto borghese ha subito un dissesto economico per il maldestro comportamento del padre, ad un passo da farsi coinvolgere in traffici illeciti di opere d’arte - a vendere un prezioso Canaletto, si apre con lei e con una ricca vedova inglese, raccontando la storia di quell’amore, tutt’altro che felice, se non nel ricordo e nella stigmatizzazione dei momenti spensierati. La ragazza di trent’anni prima, infatti, tradiva palesemente l’ingenuo soldatino inglese, riuscendo poi a farsi perdonare. Fino a un ultimo episodio, quasi boccaccesco, in cui Bianca, questo il nome del “primo” amore, si fa condurre all’ospedale da campo degli eserciti, per amoreggiare con l’ennesimo militare, fatto passare per un cugino ammalato. Cedric, che l’aveva fatta travestire per passare la zona interdetta ai civili, scopertala in 184 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI flagrante, questa volta non può tollerare. La donna del resto non cerca scuse, anzi è lei, infine, a voler troncare definitivamente. Eppure da quel tempo l’amore non è mai risorto così intenso. L’immagine ideale si è sostituita a quella reale. Cedric ne è consapevole, ma si rende complice del gioco dello sweet love, della sua irrazionale potenza che agisce cambiando i connotati al reale. Sandra ne è a sua volta soggiogata, nonostante che Noles la tratti ora dolcemente ora ruvido e scostante, immerso nei suoi sogni. Al culmine della sua paralisi ossessiva verso un tempo perduto, chiede a Sandra di “essere” la ragazza di allora, di tornare con lui nei luoghi dell’amore, di riviverlo, recitando per lui il primo amore. Sandra è inorridita, ma poi si presta. Ecco un brano dalla sequenza 11: Esterno. Bassano Veneto. Il vecchio ponte di legno sul Brenta- Cedric e Sandra lo percorrono lentamente, si fermano ogni tanto per affacciarsi al parapetto. Cedric (durante una di quelle soste) Ecco, amica mia, la risurrezione si compie! Proprio qui, a metà del bel ponte palladiano, la Bianca si fermò, per guardare l’acqua che scorreva sotto di noi. Si appoggi anche Lei al parapetto, Sandra. Sandra (ubbidisce, come suggestionata da lui) Cedric – Sì, così. E io, con insperata audacia, le cinsi la cintura col mio braccio. Bianca era bruna, Lei è bionda, ma la statura corrisponde, l’odore dei capelli giovani è lo stesso. (Stringendola col braccio) Trent’anni, pensi: trent’anni aboliti di colpo. E l’uomo di allora che La stringe, che si prepara a cercarle le labbra … Sandra (scostandosi) Basta, Cedric, La prego. Cedric – Che ha? Sandra – Non voglio essere confusa con un’altra. (Si stacca dal parapetto e riprende a camminare). Cedric (seguendola)- Oh non è un confondere, capisca! È un trasfondere. AEREI 185 Sandra – Non mi presto ai suoi esperimenti. Lei mi ignora, per … Cedric (con improvvisa tristezza) No, Sandra, sbaglia. Lei mi è cara; molto più che non creda … (Dopo una pausa) Del resto è vero; è uno sperimento ridicolo. Persino un poco lugubre … (Accennando a un vecchio mendicante che li sta osservando, ritto all’estremità del ponte) Ha notato? Quest’uomo mi teneva d’occhio, si chiedeva di certo che cosa si permettesse questo forestiero con una “putela” che potrebbe essere sua figlia … Anche lui ha ragione. Il tempo non si abolisce. C’è una dolcezza e una malìa costante in queste scene, (l’occhio del mendicante che osserva, ad esempio) piene di passione, di follia d’amore, del furore del Macbeth, dell’assurdità della vita, della irrazionalità dei sentimenti e della passioni, sia in Noles che in Sandra. La ragazza si mette contro la famiglia, rifiuta l’ottimo partito del cugino avvocato, sfida le chiacchiere della città per cercare di rimanere con Noles, troppo “anziano” per lei e, per di più, divorziato. Per una famiglia della borghesia sia pur spiantata economicamente (in un appunto preparatorio Morselli si mostra interessato a studiare a fondo gli ambienti adatti a questa classe) tutto questo è intollerabile. In un’altra scena intensissima, ad Abano, va a trovare Noles, convinta di voler essere sua, almeno per una volta. Cedric, da parte sua, è convinto di vederla, segue un’ ombra, nel parco, nelle stanze. Quando capisce che ha dato carne ancora una volta ad una sua immagine, ecco Sandra apparire. Rivolgimenti a ondate che recitano bene il clima generale della sceneggiatura, con Cedric perennemente investito dalla tentazione di chiudersi nei suoi ricordi, di impedire a Sandra di entrare in intimità con lui, di sostituirsi all’immagine. Proprio durante 186 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI quest’episodio in albergo, Cedric riceve la notizia di dover tornare nella sede di Roma: il suo comportamento rimane ambiguo, sospeso tra la troppo sperimentata voglia di solitudine, di non legarsi, e l’amore per Sandra, forse all’altezza di quello “ideale” di cui cerca la forma e l’intensità nel ricordo. Citiamo dalla sequenza XV: S’interrompe; sta squillando il telefono, l’apparecchio installato nella camera. È una comunicazione da Roma, e parla il direttore dell’agenzia giornalistica da cui Cedric dipende. Il direttore dovrebbe affidargli un incarico, lo prega di anticipare il suo ritorno. Cedric non può che aderire; partirà il mattino seguente. Mentre riferisce a Sandra, c’è nella sua voce, del desiderio di essere giustificato, un senso indistinto di sollievo. “Sì, - dice Sandra - fai bene ad andare. È il tuo lavoro, è gran parte della tua vita”. Il suo slancio è caduto, ella è di nuovo tranquilla, stupita quasi di aver potuto chiedere tanto. E si lascia accarezzare da Cedric, che la chiama “La mia brava bambina”. “Ti amo anch’io – le dice; e non mi era ancora successo, da quel lontano tempo che sai”. Ella capisce che Cedric è sincero, quantunque non le prometta nulla, non accenni neppure al loro futuro, non fissi alcun termine alla sua attesa. Cedric a Roma frequenta il circolo degli inglesi, ritrova vecchi amici, tra cui il Maggiore Andrews, compagno del dopoguerra vicentino. Rievocano quegli anni, e anche l’amico ricorda in lui un soldatino innamorato. Alla domanda di Andrews se era andato a Vicenza a rivederla risponde affermativamente, sovrapponendo ancora l’immagine di Sandra a quella di Bianca. Il secondo amore, la rinascita, la forza sta risorgendo in lui, deve pian piano, attraverso la lontananza, abbattere un più remoto passato. Una notizia in un giornale vicentino attira la sua attenzione: si parla di lei, il vecchio amore, per una faccenda AEREI 187 di case di cui, guarda caso, si occupa l’avvocato cugino innamorato di Sandra. A Vicenza, la ragazza non perde l’occasione per conoscere Bianca, trent’anni dopo. Ha saputo anche lei casualmente, tramite il cugino, di quei fatti di cui hanno parlato i giornali, capitati sotto gli occhi di Cedric. Abilmente si procura l’indirizzo e la va a trovare. La sovrapposizione della immagine concreta e attuale con quella idealizzata non potrebbe essere più drastica. Siamo nella sequenza XIX: Est. Pianerottolo, c.s. – Sandra è tornata sui suoi passi, ad aspettare che la signora Bianca rincasi. Arriva invece una donna ancor giovane seguita da tre bambini, la figlia e i nipoti. Interpella Sandra con scarsa cortesia, poi entra in casa lasciandola sul pianerottolo alla mercè dei tre piccoli petulanti e ribaldi. Si ode finalmente dalle scale un ansimare sonoro: è l’anziana signora Bianca, che compie laboriosamente l’ascesa. Grassa, o meglio, sfatta, coi capelli di un falso rossiccio in disordine e gli occhi piccoli e furbi emergenti su spesse borse violacee: ecco la creatura che Cedric aveva tanto amato, e alla quale Sandra tenta ora richiamare l’immagine di lui. Sì, qualche cosa Bianca ricorda, vagamente; un soldatino inglese, un bel giovanotto che l’accompagnava fuori nelle ore di libertà. Sì, sì era innamorato: ragazzate, sciocchezze, figuriamoci; non facevano quarant’anni in due! Ma come mai la signorina aveva saputo? E che cosa cercava? Sandra è ancor più dolente che sorpresa. “Voleva dirLe che … che quel soldato inglese non l’ha dimenticata.” Si ferma: possibile parlare alla vedova Casorà di un ricordo imperituro, di un’ideale fedeltà di trent’anni? Bianca Casorà, colei che fu il primo amore di Cedric, la fissa interrogativa e sarcastica, nella sua stentorea volgarità-. Sandra si congeda scusandosi, umiliata da quell’incontro nell’intimo della sua anima. Sandra ha ormai deciso di trasferirsi a Milano. Non seguirà i genitori in Argentina, dove sperano di riavviare una solida attività commerciale. Lavora come infermiera. 188 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Cedric, dopo alcuni episodi di vita romana, sospeso tra i ricordi e la possibilità di aprirsi al secondo amore, affinché renew thy force, viene richiamato a Londra. Messo alle strette dalla notizia, finalmente si decide: vuole portare Sandra con sé, in Inghilterra. Apre il cuore con l’amico Andrews, lo vuole come compagno di viaggio e testimone delle nozze: gli dimostrerà la serietà delle sue intenzioni con una ragazza così giovane e innamorata, che si merita quei riguardi. Da qui in avanti si innesca, nella felicità infantile dei personaggi, la nota funebre di malattia e morte, sempre più insistente. Avvertita Sandra, sia pur indirettamente, non poteva rispondere al telefono perché in sala parto, Cedric, come Ferranini, siede nel suo aereo, verso Milano. Si sta addormentando, proprio come “il comunista” e allora Andrews decide di alzarsi per parlare con la hostess. Quella cabina diventa per Cedric una prigione, definitiva. Una morsa d’acciaio rende impossibile la realizzazione del desiderio della felicità. Nel rumore dell’aereo in volo, incontra subito instabilità metereologica, Noles nell’impossibilità di farsi capire, scrive all’amico dei biglietti. Vi si legge: “Non avevo mai provato, neanche da ragazzo, ad essere così felice”. Forse la felicità è un lusso, ci dobbiamo abituare a mangiare sciapo, secondo la pregnante metafora nel più celebre degli articoli di Morselli, da cui il titolo del libretto omonimo a cura della Fortichiari, La felicità (il sale) non è un lusso? Il dolce amore è posto in scacco, definitivamente, da un tiranno più potente. È una storia assurda, piena di stridore e di vento, quello che ha soffiato lungo tutto il racconto e che raggiunge Sandra all’aeroporto, nella vana attesa del suo AEREI 189 amore. Ferranini poteva morire allo stesso modo, sarebbe stato per lui quasi una liberazione dall’angoscia. Qui, invece, l’amore non si rinnova, o meglio non si congiunge, non rinasce. Significativo il contrasto con il bambino che Sandra infermiera contribuisce a far nascere in questo finale. Si legga dalla sequenza 23°: “L’intervento è felicemente conchiuso, e da una culla presso il letto operatorio una vagito segna l’alba di una nuova vita. Sandra esce, la bocca ancora coperta dalla maschera di garza, infilati i guanti di gomma: la si vedrà salire rapida le scale, entrare nella sua camera. Camera di Sandra. – Ella si lascia cadere sopra una seggiola, le mani congiunte in grembo, il viso sollevato ed effuso di una gioia commossa e riconoscente. La raggiunge la collega. Alla sua domanda Sandra risponde: “Sì, forse parto”, e siccome quella sera è di turno, la incarica di chiedere a nome suo in direzione che la sostituiscano dopo le sei. “Debbo andargli incontro”, spiega. Nulla può, nemmeno assisterlo nel trapasso, per il suo Cedric, di cui, molte volte aveva dovuto constare la malattia, temendone la gravità, come un triste presagio. Auspicando una pubblicazione integrale della sceneggiatura, rivista dai filologi del Centro di Pavia, trascrivo le sequenze finali della scena ventiquattresima, di cui Morselli sembra essersi ricordato, componendo il suo capolavoro, Il comunista, lasciandolo addormentato e malato come Cedric, in volo. 24° sequenza […] Interno dell’apparecchio. – Nell’aspetto e nel gestire di Cedric, un’impaziente felicità. Le formalità che precedono 190 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI la partenza; infine l’aereo rulla sul campo e s’innalza. Cedric vorrebbe conversare col compagno, e poiché ciò non è possibile a causa del rumore dell’apparecchio, scarabocchia un pezzetto di carta e glielo passa: “Mrs Köln e i suoi amici di Londra non immaginavano certo di rendermi un servizio così grande.” Dopo poco, un altro breve messaggio: “Conoscerete una brava e bella e cara ragazza, un’ Italiana esemplare”. Il maggiore risponde a sua volta con un altro biglietto: “Ci voleva tanto a deciderVi? Avete perduto tre mesi!” L’apparecchio continua il suo volo. I consueti piccoli incidenti della navigazione: un vuoto d’aria costringe l’aereo ad una subitanea discesa. Cedric e il maggiore si guardano ammiccando. Una “stewardess” circola tra i passeggeri servendo cognac e tazze di camomilla. Ancora un messaggio di Cedric: “Non avevo mai provato, neanche da ragazzo, a essere così felice…” Andrews sorride e accenna col capo. Più tardi il maggiore accosta il viso all’oblò e informa che stanno compiendo la prima traversata dell’Appennino. La testa appoggiata all’indietro, e gli occhi chiusi Cedric sembra tentare un sonnellino. Non riesce a dormire però, e infatti poco dopo dice al maggiore: “Dobbiamo esserci alzati, molto più del normale…”. Trascorrono parecchi minuti. Andrews lascia la sua poltrona e si spinge sino alla cabina in fondo, per sgranchirsi le gambe. Sono in viaggio da un’ora. Andrews si ferma allo sgabuzzino del bar, beve un whisky, poi si fa dare una bottiglia e bicchiere e risale il corridoio. Vorrebbe offrirne all’amico, ma Cedric pare dormire, e allora egli ritorna dalla stewardess e si trattiene a barattare due parole con lei. La ragazza parla bene l’inglese e il maggiore è in vena di confidenze. “Due ore fa non sapevo di dover partire. Accompagno un amico, che sta per sposarsi …” Seduto al suo posto, la testa rovesciata indietro, Cedric è immerso in una eternità di spasimo. Una mano ferrea, inumana, è scesa sul suo petto, in alto, a sinistra, l’opprime con atroce violenza. Oh, non è il dolore di altre volte, diffuso fra il petto e la spalla; è una gravità enorme, rovente, che si appunta al cuore. Una contrazione convulsa gli torce i muscoli e i nervi, dai piedi alla nuca, si propaga al cervello, lo sprofonda in un abisso di sofferenza angosciata e lucida. “Andrews – egli riesce a chiamare – Andrews, per favore”. Perché non gli risponde? È solo, forse? No; di là del corridoio, separato da lui per un incalcolabile spazio, intravvede la persona di un altro viaggiatore. È vero; è AEREI 191 nell’aereo; sta andando a Milano da Sandra … Quel cupo frastuono, sono i motori. O è il suo cuore, che batte a spezzarsi? Da quanto tempo dura quel male, da quanto tempo egli è lì? Le sue mani sono lontane, abbandonate sulle ginocchia. Bisogna muoverle, bisogna lottare, difendersi. Tende la volontà, si raccoglie nello sforzo, gemendo; ma le mani restano inerti, e solo un tremito percorre le dita che si chiudono adagio, si congiungono in un nodo che nessuno scioglierà più. La sua ricca, fervida vita, tutto ciò di cui essa era capace, si raccoglie quassù, nel suo petto, sotto la stretta intollerabile. Non è più che un palpitare spasmodico, e un rombo che a tratti si dilata in un immenso silenzio esterno, un mare di silenzio e di tenebre. L’ombra di un pensiero vacilla in lui, qualche sillaba echeggia nella mente spenta: Milano, Sandra; poi l’ultima coscienza si oscura e dilegua e un rantolo breve esce dalla bocca dischiusa. Interno. La camera di Sandra alla clinica – La ragazza si sta preparando per uscire. Mentre si veste, apre la finestra e vi si affaccia, a scrutare il cielo sopra di lei. Là in alto è Cedric, di là giungerà fra poco. Ma la notte è già scesa, fredda, nebbiosa. Ed ella si ritira, con nel viso un’espressione d’incertezza e di pena. Int. Di un autobus diretto verso il centro di Milano. - Sandra vi è appena salita. La raggiunge la collega, infermiera come lei alla clinica, e le si siede vicino. “E così sei felice di rivederlo?” le dice la collega. Ella non risponde; l’ansia è ben maggiore della felicità in quella sua trepidante vigilia. Int. Dell’aereo. – Andrews, che dal fono del corridoio sorge35 la testa, un poco inclinata da un lato, di Cedric, è intento a raccontare alla stewardess come il suo amico, scapolo irriducibile, si sia convertito all’amore e al matrimonio in una mattinata; e non sospetta che il suo amico è già infinitamente lontano da lui e dalla piccola donna che lo attende per diventare sua moglie. La stewardess dà un’occhiata all’orologio: fra tre quarti d’ora saranno a Milano; Andrews, terminata la sigaretta, si decide a riguadagnare il suo posto. Si mette a sedere pian piano, per non svegliare il compagno; e il corpo di Cedric si appoggia al 35 Errore materiale per scorge. 192 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI suo con un abbandono più greve di quello del sonno. Andrews lo scuote, lo solleva, comprende, e non vuol credere ancora. È uno dei piloti di bordo che lo persuade. Si cerca un medico fra i passeggeri. Non c’è; ma non importa: non gioverebbe a nulla; le mani di Cedric sono già rigide e fredde. E la stewardess, buona figliola, si segna e bisbiglia la preghiera dei morti dopo che ha coperto il viso di Cedric con un tovagliolo da tè, sul quale lugubremente spicca l’emblema della Compagnia.36. Alla fine del testo, su di un foglio a parte, Morselli scrive: “Eventuali omonimie o altri riferimenti a persone o fatti della realtà, sono da considerarsi puramente fortuiti”. 36 AEREI 193 194 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA 195 196 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Con il titolo Cose d’Italia. Moralità in tre atti e un preambolo, si conserva al Centro per la Tradizione manoscritta di Autori Moderni e Contemporanei dell’Università di Pavia, in una cartellina unica, la stesura narrativa di soggetto per un’opera teatrale che riguarda la vita privata di Mussolini e le vicende del fascismo alla fine degli anni Trenta, in linea con la curiosità morselliana di guardare oltre la storia, dentro i vizi e le virtù dei grandi uomini pubblici, rivisitati nella loro positiva o negativa intimità, come Giulio Cesare e, in seguito, Marx. Valentina Fortichiari1 informa che la commedia fu spedita a Luchino Visconti. Il tema da commedia brillante (per certi versi anche piccante) e satirica degli amori adulterini del Duce, ammicca alle antiche forme teatrali delle “moralità” per condurci a motivi di stretta attualità, dopo che un Mussolini convertito e amato da tutto il popolo, capace perfino di trasformare la dittatura in repubblica democratica, viene deposto e arrestato a causa di alcune scelte impopolari. La sentenza gnomica, pronunciata dalla voce fuori dal coro del simpatico, timido e inetto, intellettuale-libraio, portavoce di Morselli, riSi veda Guido Morselli, La felicità non è un lusso, Milano, Adelphi, 1994, a pag. 158 nella nota della curatrice Valentina Fortichiari, riguardante l’articolo mai pubblicato in vita Proposta per risolvere il problema del Mezzogiorno. Francamente mi riescono incomprensibili i motivi per cui questa documentazione, eventualmente stornata dalle pagine strettamente private, non è messa a disposizione degli studiosi o appassionati di Morselli, a Pavia o Varese. Viene il sospetto che coinvolgano personalità influenti della cultura, che hanno ordinato “il riserbo” più assoluto. In particolare la cartellina dei rifiuti, a quanto pare conservata con precisione minuziosa dallo scrittore. 1 ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA 197 mane quella proverbiale di tanti romanzi storici o delle commedie di costume: non cambia mai nulla nel modo di pensare degli italiani, come si vede quando si toccano interessi vivi quali il bordello e le scommesse. Quando scrivo queste note, alla fine dell’anno 2011, i maggiori quotidiani riportano la notizia della vigorosa ascesa del fenomeno delle scommesse, con investimenti notevoli a dispetto della crisi e ovviamente a discapito di altri consumi, con altrettanto vigore calati, ad esempio, nelle vendite natalizie. Altra notizia del giorno, destinata, con ulteriori sviluppi, ad accompagnarci durante tutto il 2012, riguarda l’ennesima frode del calcio scommesse in mano alla malavita internazionale. Anche in questo caso, facendo di Roma un simbolo negativo, Morselli ha visto giusto, nella sua capacità di leggere la storia e il futuro, avanti e indietro nel tempo. “Moralità” tecnicamente indica la forma drammatica, diffusa nel teatro europeo del XVXVI, caratterizzata dalle forme dell’allegoria e dall’astrazione, appunto a fini moralistici. Sviluppatasi soprattutto in Francia, fu pervasa da motivi ironico satirici con allusioni giuridico politiche. Ebbe risonanza anche in altri paesi europei (in particolare Spagna e Portogallo), scarsa in Italia. Nell’ Inghilterra del XVI secolo assai diffuse le morality play, tra cui il celebre Everyman con i caratteri di critica morale al potere ripresi da Morselli in altra chiave. In questa forma teatrale si devono ricercare, secondo la maggioranza degli studiosi, l’origine del teatro moderno inteso come commedia, mentre dai misteri deriverebbe la tragedia dei secoli successivi al medioevo e all’umanesimo. Il gusto di riscrivere la storia, l’interesse per il pe- 198 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI riodo nazi-fascista, la Seconda Grande Guerra in cui è stato coinvolto, si radunano in questo soggetto, purtroppo non sviluppato ulteriormente, attorno alla persona di Mussolini, con il traffico di ambasciatori e di intrighi che ritroveremo, sempre per il teatro, nel Marx. Qui lo storico accordo che avrebbe potuto cambiare la storia avviene, diversamente dal testo sul padre del marxismo nel quale l’accordo con Bismark non va in porto. La fantasia di Morselli, diversamente anche dal coevo Cesare e i pirati, inventa una divertentissima contro-storia, anticipando il metodo che applicherà con straordinaria efficacia in uno dei suoi capolavori Contro-passato prossimo. Come già rammentato, nell’Intermezzo critico posto tra la terza e la quarta sezione del romanzo, Morselli immaginando un dialogo con l’editore spiega di non gradire per il suo lavoro l’etichetta fanta, ammiccante a escogitazioni rivolte all’avvenire. Si tratta invece (evidente l’analogia con Cose d’Italia) di “res gestae, per mostrare che erano gerendae” diversamente, si polemizza (e si ironizza) su fatti e persone della realtà. Modalità assai più impegnativa di quella fantastica sul futuro, dove, si pensi anche al Marx e al Cesare, in una ipotesi retrospettiva, meno gratuita di quanto non sembri, si rintracciano le vite di uomini che avrebbero potuto vivere diversamente su quelle premesse, con esiti assai più benefici per l’intera umanità.2 Come si vedrà nell’ultimo capitolo, il Galileo di Brecht rimane per Morselli l’esempio di un tipo di lavoro sulla storia in questa chiave, proveniente da quella Germania che nella tesi di Contro-passato prossimo, non aveva avuto la coscienza del proprio ruolo di unificazione 2 ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA 199 In questo soggetto per una commedia o per un film, le arti femminili hanno il potere di cambiare il corso della storia ben più delle passioni ideali. Si intromettono nella scena politica, cercando di cambiarla in meglio (nel caso della prima amante), o per favorire altre nazioni (nel caso della seconda amante, in realtà spia inglese). La prima donna è Camilla, invasa, come altre di Morselli, da una religiosità contaminata da una spiccata sensualità, a cui non esita a far ricorso a favore di un ideale pacifista, nella convinzione di dover essere necessariamente, in quel delicato frangente politico, la Beatrice dell’Italia intera, la guida amorevole (e sensuale) del Duce verso una nuova forma politica. Sposata con il dott. comm. Pigliacci, alle insistenze di Mussolini, invaghito fino al ridicolo, si concede solo dopo aver ottenuto precise promesse e garanzie: il proposito di entrare in guerra a fianco di Hitler non verrà attuato. Dal secondo quadro del prologo sappiamo che il Duce ha mantenuto la parola. L’analogia con il condottiero romano dell’altra commedia si rintraccia nell’idea della Lega di Stati liberi, (l’idea politica persistente nelle opere di Morselli) lontani dai blocchi di potere e dalla schiavitù all’economia, qui però dovuta direttamente all’influenza della vulcanica e decisa Camilla. Si tratta qui di una contro-storia educativa, ricordando la politica “coloniale” e stupidamente imperialista di Mussolini, esattamente all’opposto dell’Europa. Con la sconfitta lasciava il passo a troppi vincitori, perdendo di fatto la possibilità di una unificazione europea che avrebbe, tra l’altro, impedito l’affermazione del nazismo. 200 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI della idea della Lega propugnata da Morselli anche in altre situazioni: Quadro II Pochi giorni più tardi.- A Palazzo Venezia, un angolo del noto salone presidenziale. Mussolini riceve Camilla, divenuta testé la sua amante. Riconoscente e felice, Mussolini manterrà la promessa. Gli Italiani sono convocati sotto la famosa balconata, per uno “storico annuncio”. Il dittatore si affaccia al balcone per tenere al popolo, quello che verrà poi definito ufficialmente il discorso del “colpo di barra”. Fra le ovazioni che salgono dalla adunata oceanica, egli comunica che non solo l’Italia proclama la propria neutralità con la formazione della Lega del Mediterraneo, ma che sta per iniziare una nuova epoca nella condotta politica del Regime e nella vita della Nazione. Due anni più tardi, nell’atto primo, il cambiamento appare radicale. L’idea di Morselli è di renderlo immediatamente palese, con l’Italia a capo della Lega Mediterranea, nella quale sta per fare il suo ingresso anche l’Egitto, con i Paesi Arabi. In politica interna, il Regime segue ora una linea di illuminate riforme, che lo porrà alla pari con gli stati più progrediti: nazionalizzazione delle grandi imprese, riforma agraria, redenzione del Mezzogiorno, giustizia fiscale, sviluppo dell’istruzione popolare, ecc. In una frase del Diario, un ironico Pavese sosteneva che avuta la libertà, i libertari, non sanno più che farsene. Un altro vizio degli italiani, oggetto della “moralità” di Morselli: con il nuovo indirizzo politico del Duce e il ripristino delle libertà civili le cospirazioni degli oppositori sono destituite di senso. Possono svolgere la loro attività alla luce del sole e non hanno più idee per ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA 201 una azione incisiva senza un nemico da combattere. Di collaborare con il New Deal del Duce non se ne parla nemmeno!!!! Intanto: Il Duce ha deciso di indire elezioni politiche generali, con l’ammissione dei partiti di opposizione, e da svolgersi sotto controllo dei partiti stessi e di delegati esteri per garantire una piena indipendenza di voto agli elettori. La notizia porta al colmo lo sbigottimento dei presenti. Nella bottega libraria di Demos (democrazia vera e disinteressata) Righetti i membri dei partiti avversi a quello fascista (partito comunista, dei socialisti, dei democristiani, e dei liberali, con marchese Claudio Veteri, divenuto antifascista intransigente da quando il Duce ha decretato la fine dei latifondi) prevedono il larghissimo consenso dei suffragi da cui saranno spazzati via. L’ironia di Morselli è pungente: Ciò che è peggio, non possono presentare un plausibile programma, in quanto tutti i punti su cui si fondava la loro polemica avverso il Regime, sono stati da questo fatti suoi; la pace, la giustizia sociale, il socialismo, le riforme. Ora per giunta il governo rientra di propria iniziativa nell’alveo parlamentare. Che cos’altro rimane da fare, se non mettere l’antifascismo in liquidazione e “se ranger” disciplinatamente nella massa dei seguaci di Mussolini? Nessuno ascolta l’unica parola di buon senso, quella pronunciata dal libraio Righetti, secondo il quale quello di Mussolini è protezionismo e paternalismo, un gioco di forza imposto gentilmente, senza risolvere le vere questioni: il popo- 202 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI lo deve saper agire da solo, non aderire al progetto di un altro, anche se tollerante. Gli inglesi sentono, invece, forte la minaccia di una Italia troppo autorevole nel bacino mediterraneo, non legata alla logica del colonialismo ma a quella dell’associazionismo. Ecco allora l’idea, con l’aiuto degli italiani e di Veteri in particolare, di far cadere Mussolini mettendolo contro le due fondamentali istituzioni del Paese, la Chiesa e la Monarchia. Dovrà essere ancora una donna a convincerlo, chi meglio di Patricia, la moglie inglese dell’aristocratico e ricchissimo Veteri? Il nome di Machiavelli affiora in questa farsa morale, dai toni da commedia brillante e satirica, all’italiana, a cui Morselli, credo, non avrebbe dato toni seriosi,3 con quel bamboccio di MussoDelle donne del Duce e della loro influenza sulla politica italiana molto si è scritto. Tra le tante, a parte donna Rachele, le più importanti sono, alle due estremità della vita pubblica di Mussolini, la Sarfatti e la Petacci. Di origina ebraica, ispiratrice culturale, come è noto, la prima è stata effettivamente determinante fino però ad una certa soglia cronologica nelle scelte politiche del Duce e Morselli potrebbe averci pensato descrivendo Camilla. Sua la prima biografia del Duce, uscita prima in Inghilterra nel 1925, dove si insiste sul Mussolini al governo per migliorare gli italiani. Dietro la figura di Cardace, segretario del partito, potrebbe esserci un ammicco al più satireggiato dei fascisti, quell’ Achille Starace che effettivamente era segretario del PNF quando comincia l’azione voluta da Morselli, Starace viene deposto dalla carica nel novembre del ’39, Cose d’Italia inizia nella tarda estate dello stesso anno, per dire fino a quella data tutto corrisponde. Probabile anche un gioco sui nomi degli inglesi: l’ambasciatore inglese di quegli ultimi anni Trenta è Sir Percy Loraine e qui Percy Brokenley. Altresì noto è il discorso del “colpo di barra”, qui piegato alla contro-storia. Il Totocalcio, in realtà, viene istituito ufficialmente subito dopo la guerra. L’allusione nel testo al monopolio di stato allude al noto Istituto Gallup, 3 ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA 203 lini a rappresentare lo specchio dei vizi dei suoi concittadini e quando vuole imporre (sempre addomesticato dal fascino femminile) scelte impopolari, e giuste, verrà travolto. La voce del vero contro-passato, come lo si è compreso fin dalla prima battuta, è quella del goffo intellettuale-libraio Righetti; se alle riunioni viene interpellato solo per offrire il caffè, esprime concetti di puro e intelligente realismo politico e, attraverso queste “astrazioni” delle vicende nazionali, parla, inascoltato come il suo creatore, con autorevolezza. Siamo all’atto secondo, Mussolini ha abolito i Patti Lateranensi. Vi è dunque lo zampino di Patricia che ha sostituito la sedicente Beatrice nel letto del Duce: Righetti fa notare alla sua interlocutrice che non è esatto che in Italia, come si suol dire, “non accada mai nulla”. Rivolgimenti ce ne sono: solo, essi non si propagano alla sostanza della vita nazionale, ridi George Horace Gallup, statistico statunitense che nel 1935 fonda il primo prototipo di una formula destinata ad influenzare indelebilmente la nostra esistenza civile: L’American Institute of Public Opinion e in seguito la Gallup Organization. La famosa Legge Merlin che decreta il sigillo alla Case Chiuse, ebbe un iter lunghissimo, dieci anni, dal 1948 al 1958, per la indomita lotta di Lina Merlin, costituendo un fenomeno di costume, al quale, con tutta evidenza si rivolge l’ironia di Morselli in questo testo, quando l’iter della legge era in procinto di vedere il traguardo finale. Tra le tante curiosità che emergono a rileggere quel dibattito, sfogliando i giornali d’epoca e cercando fonti Web, si rileva, già nel 1949, la protesta di un cittadino scapolo che inveisce contro lo Stato, che se vuole essere così puritano, rinunci al Monopolio dei tabacchi, alla gestione del gioco del lotto, proibisca la Sisal e i giochi di azzardo di San Remo e del Casino di Venezia. 204 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI spetto alla quale veramente nulla cambia mai. Perché il popolo, la sua mentalità, il suo costume, restano estranei a ogni cambiamento. Claudio Veteri, il marito, non ha esitato a “sacrificarsi” alla ragion politica; ma il popolo non ha risposto negativamente come previsto dagli inglesi alle mosse di Mussolini contro il Vaticano e nemmeno l’ “operazione Quirinale” ha dato luogo a esiti positivi. Calma generale, nessuna velleità di resistenza, né da parte dei principali interessati né da parte dei presumibili loro fautori e difensori. Il Re e la famiglia reale hanno ammesso che “se l’aspettavano”. Gli inglesi si vedono costretti a dare ragione, indirettamente, all’oscuro Righetti, l’uomo che guarda la storia, non ascoltato, con occhi più penetranti e veri. Questi italiani non sono dunque in grado di reagire, subiscono supinamente tutto quello che il loro padrone impone? Non rimane ora che cercar di mettere in azione l’ultima parte del piano. Quest’ultima parte, non rientra nelle direttive che sir Percy ha ricevuto da Londra: è soltanto il frutto di una conversazione che egli ha avuto con il suo barbiere romano. Si deve provare? Patricia è riluttante; si tratta di argomenti che le riescono sommamente sgradevoli, “shocking”. Infine si arrende. Per amore dell’Inghilterra farà anche questo. Brokenleg se ne va, dopo aver reso omaggio alla benemerenze patriottiche di Patricia. L’ultima carta degli inglesi si rivela quella decisiva. Patricia confida all’orecchio di Mussolini la sua terza e più impegnativa proposta dettata dai suoi connazionali. Il Duce resta perplesso, così i suoi consiglieri. La donna non si scoraggia, ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA 205 interviene e ancora una volta ha partita vinta, in chiusura del secondo atto. Ma interviene Patricia. Perora, insiste. La moralizzazione del Paese, dice esige che “questo” sia fatto, e il più presto possibile. Impegna l’amor proprio del dittatore, e allora costui non ha più esitazioni. Darà gli ordini necessari, costi ciò che costi. Sappiamo nel terzo atto prima gli effetti funesti della decisione di Mussolini e poi i suoi contenuti. L’Italia tutta è in rivolta, solo poche settimane dopo, i cittadini: Non hanno tollerato i provvedimenti per la “moralizzazione” del Paese, vale a dire l’abolizione delle case di piacere o “maisons closes”, e la soppressione delle scommesse al giuoco del calcio. Anche i capi fascisti hanno tradito, e il loro pronunciamento si estende ai più vicini collaboratori del Duce, che è rimasto solo. La stessa Patricia si trova invischiata nella sommossa e ne rimane prigioniera, con il Duce che patteggia, senza dignità, una via di fuga, rimpiangendo la mistica Camilla e promettendo, se lasciato libero, di ritirarsi nell’eremo di Camaldoli. Ancora più emblematica l’ “astrazione” di coloro (il movimento “Pro Libertate”, con gli stessi fascisti avversi ai cambiamenti di Mussolini) che immediatamente litigano sul futuro della nazione, con discussioni alquanto teoriche e sofisticate, come ne troviamo sempre quando nei libri di Morselli si parla di politici: La sinistra pretende che sia proclamata senz’altro la repubblica sovietica d’Italia; altri sostengono l’opportunità di un’annessione agli Stati Uniti; qualcuno propende per affidare l’Italia a un consiglio d’amministrazione di albergatori svizzeri. 206 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Sono coloro che hanno fatto fuori il dittatore, a pretendere, interrompendo i discorsi dei politici, che la gente voglia l’annullamento immediato dei provvedimenti che abolivano le “maisons closes” e il totocalcio. Il Comitato è titubante: non si può convalidare una risoluzione presa dal dittatore, e d’altra parte, come negare che l’abolizione risponda all’esigenza di elevare i costumi del Paese? L’incertezza tuttavia dura poco; si fa osservare che ciò che preme è rispettare la volontà nettamente espressa dagli Italiani contro l’abolizione. Questo impone la democrazia. Una recente inchiesta dell’Istituto Gallupp, ha dimostrato che i nove decimi degli Italiani sono favorevoli a mantenere le case di piacere e il totocalcio. Si va nella direzione opposta di quella indicata da Righetti. A lui si consegna il finale dell’opera, la vera essenza della moralità, con una testardaggine ingenua rimasta del tutto inutilizzata. La dittatura, egli dice, rimane sempre dittatura qualunque cosa faccia, agisca per il bene o per il male, e invece la democrazia non ha che una via da seguire, se vuol essere coerente; senza altre mire e preoccupazioni. Inoltre, dice Righetti, se c’è una democrazia che tiene dietro alla volontà del popolo, c’è una democrazia che guida la volontà del popolo, anche suo malgrado, verso il progresso. Quale delle due preferire? Il dilemma è l’eterno problema dei governi che aspirano a essere democratici, ma non v’è dubbio circa il modo in cui dei galantuomini debbano risolverlo, per non ridurre la democrazia a demagogia. – ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA 207 Gli uomini d’azione hanno la meglio sui dubbi subito fugati del Comitato di liberazione: le case chiuse e il totocalcio verranno riammessi. Il finale è tra il patetico e l’amaro, con Righetti che si imbatte in Patricia, braccata dagli uomini d’azione, che chiede aiuto al libraio ma non smette i panni di una altezzosa alterigia, a cui l’uomo, dimesso, ironico e mite, non replica, accettando di travestirla con alcuni suoi abiti per tirarla fuori da quell’impiccio. L’inettitudine di questo personaggio è perfino troppo accentuata. Dai libri non si impara l’azione, se le sue sentenze sono straordinariamente lucide, le umiliazioni subite pesanti. I vizi degli italiani non cambiano, come del resto i machiavellici intrighi degli inglesi dimostrano che le vestigia del potere non sono molto diverse fuori dal Paese, per lo meno nei tempi dei conflitti. Righetti resta tuttavia emblema del genio segreto, a cui viene tolto il diritto di parola dal comune chiacchiericcio fondato sui luoghi comuni, da quegli idoli senza aura sacra (molto concreti in questo caso, gioco e sesso) che permettono di allentare la morsa della tragicità, in una smemoratezza costante. Lasciata una Roma sul ciglio del baratro della Seconda Guerra Mondiale, in Roma senza papa, ritroviamo la città eterna vicino al Duemila. Perso il duce democratico, la capitale d’Italia perde anche il papa. Riproponendo le domande ingenue e creaturali sull’Unde Malum?, ci presenta una città in piena decadenza morale, in perfetta linea con il soggetto Cose d’Italia, una sessantina di anni dopo. In una pagina intera del romanzo, Morselli dimostra le sue ampie conoscenze teologiche 208 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI del pensiero a lui contemporaneo nei riflessi politici negli anni Sessanta, cercando di proiettarli all’epoca per lui futura della fine del millennio. In questo non è stato buon profeta, la situazione sociale e religiosa, istituzionale, mi sembra molto diversa. Con grande acutezza ha però intravisto il processo di scristianizzazione in atto, con una velocità che la Chiesa non ha capito, non ha voluto capire, opponendo teorie, o stanchi inviti ad un attivismo vuoto di ragione. La gente comune sente lontanissime le discussioni teoriche: a quello che realmente le interessa, il male, la sofferenza in prima istanza, la dottrina non sa rispondere. Vi è un ateismo di fondo, anche in chi pratica esteriormente la religione che preoccupa sinceramente Morselli, la cui anima tormentata mette pur sempre al primo posto le questioni se non religiose, almeno spirituali. In questa Roma torna don Walter vent’anni dopo avervi soggiornato per completare la sua formazione teologica. Come Ferranini, nell’altro “campo” della milizia, è un puro, caduto in un mondo di corrotti. Il papa si è spostato a Zagarolo, nella fertile, amara, vigile e divertita ipotesi di Morselli. Don Walter è nella attesa di incontrarlo (si veda il primo capitolo sull’attesa di incontri significativi): in questa dilazione, tra brani di diario (anche altrui), ricordi personali e episodi raccontati da diversi momenti temporali, si trova il “sugo” della storia. L’incontro con una personalità incombente, alla fine positiva, ma solo sfiorata, quasi per una necessità ancora più stringente e poco comprensibile, imperscrutabile.4 Si veda la convincente lettura del romanzo in Simona Costa, Guido Morselli, Firenze, La Nuova Italia, 1981. 4 ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA 209 La città, più pigra e bonacciona della Zurigo di Dissipatio, rimane lo specchio dei vizi dell’umanità, come per certi versi, in ambito politico, ne Il comunista, con l’aggiunta di improbabili prospettive gnostiche o religiose diverse dal cristianesimo, con impeti fragilmente restaurativi. Passati settanta anni nelle intenzioni futuribili di Morselli, i due vizi principali che rappresentano gli italiani non hanno abbandonato la capitale, le cui bellezze sono in rovina, disertate dai turisti: le donne sono ancora più smaliziate, si permettono di abbordare gli uomini in pieno giorno, le scommesse e il calcio rimangono l’attrattiva principale della gente comune. Uno dei capitoli più belli, il VI, micro racconto a sé stante, presenta un personaggio concretissimo e nello stesso tempo “astratto e rappresentativo”. Il suo nome, Esposti Enea, richiama il mondo di Gadda, gli antichi fasti della città, un’aria in fin dei conti libertaria, sotto lo scudo esteriore del Vaticano, con tanti figli abbandonati alla ruota. La sua attuale indole rappresenta l’arco storico ideato da Morselli per la sua Roma, in perfetta continuità con quella lasciata dal Duce dopo le riforme (già lì era chiaro che il popolo dovendo scegliere tra l’abolizione del Vaticano e quella delle scommesse sul calcio avrebbe di gran lunga optato per cancellare l’Istituzione simbolo del cattolicesimo). Enea è percorso da un misto di sentimenti da “temps perdu”; come il popolo romano è scettico, ma possiede una ironia affettuosa altrettanto tipica. Ha fatto parte delle guardie svizzere, ora, ovviamente, soppresse, con il Papa che vive nei motel di Zagarolo. In privato, svolge il mestiere di massaggiatore. Don Walter, altro intelligente accostamento tipico del 210 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Morselli che si è scelto di raccontare, dopo una lunga e irrisolta discussione sull’Unde Malum, denuncia il suo piccolo “male” quotidiano alla gamba e va a curarsi da Enea, ottenendo, dai suoi benefici massaggi, un effettivo giovamento. Alla quarta seduta, Enea si confida con il padre 5. Soffre di solitudine: non è scapolo, aveva moglie, la moglie gli è scappata in Francia quattro anni fa, non l’ha mai rivista. Soffre di frustrazione professionale. Era massaggiatore dei giocatori in una squadra di calcio, viveva in margine alla ricchezza, alla gloria, e se ne riverberava, appagato, contento. Lo hanno messo fuori, gelosia di concorrenti, invidie. “Miserie. Miserie!”. “A Roma, guardi, una persona di valore non può emergere, non può affermarsi. La gente è cattiva, ti vuol male se emergi. Le solite consorterie rovinano l’anima oltre che la carriera del singolo. L’etica religiosa non arriva a trasformare queste posizioni dure, sclerotizzate. I due Walter, a questa situazione, oppongono il cuore, la pietas, perfino il proprio senso del limite, che li rende solidali alle gente comune. Ecco il brano che riprende la logica capace di allontanare il duce benefico in Cose d’Italia6: Reverendo, il calcio è la molla della nazione, è il motore della vita nazionale, e tutti addosso, a sfruttare, a arraffare. Io solo, senza appoggi, col Roma senza papa, Milano, Adelphi, 1992 (la prima edizione del 1974 “apriva” il caso Morselli, un anno dopo la sua morte), p.51. Si veda l’attualizzante quanto intelligente lettura del romanzo da parte di Andrea Santurbano nel numero di “Studium” in uscita a ottobre 2012, più volte citato, Papi, controstorie e silenzi: dal romanzo di Morselli al cinema di Moretti 6 Ivi, p.52. 5 ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA 211 solo merito del mio valore, che faccio? Chi mi dà una mano a rientrare, chi mi raccomanda? Le scommesse sono una delle componenti sostanziali del pianeta calcio, il riferimento all’epoca mussoliniana è d’obbligo: Enea stigmatizza come il calcio sia il luogo degli intrighi, del pasticcio, del malcostume radicato in Italia e nella sua capitale, oggi come trent’anni fa. Ha in cura la moglie del Commendatore, colui che ha sotto controllo i tre settori chiave della vita pubblica: ministeri, appalti, sport. In questi, anche solo per ripicche personali, vive e vegeta la camorra, definita con sarcastica ironia l’altro sport che ha tradizioni illustri in Italia. Dissipatio H.G è vicina, con la sua feroce dolcezza. Tocca a don Walter, con questi personaggi, provare, anche per chi è inaridito dalla situazione per certi versi atroce, un senso di pietà cosmico, lottando in perfetta solitudine con i dubbi personali sulla fede e gli altrui egoismi. Enea, singolare romano tra le guardie svizzere, di fronte ad un sacerdote proveniente da quella regione, ricorda poi i dieci anni splendidi di quella militanza, sembra quasi un altro mondo, prima dello smantellamento, descritto con il solito gusto della precisione storica da Morselli. Poi lascia concludere il capitolo alla ritrovata benevolenza del suo personaggio, ritrovato almeno un frammento d’origine inscritto nel suo nome. Trova, Enea, una spiegazione positiva alla totale cancellazione dei fasti papali: è giusto che per “’annà” dal papa sia più semplice. Rimane faticoso ancora oggi, ma molto meno. Nonostante si sia visto togliere un ottimo stipendio, rimediato con una pensioncina, Enea riesce a vedere un lato buono, quello d’antica tradizione, dei romani 212 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI che, sepolto, si rivela, ad esempio, proprio quando don Walter riesce a toccare ancora il cuore della gente. Non è finita, nel capitolo successivo, con ammicco a ben altre formule religiose, l’incipit è ben chiaro nell’introdurre uno slogan: “Vivimur et movemur” all’ombra del gioco del calcio. Analogamente alla commedia del Duce, non indirizzato da elementi erotici, il governo italiano negli anni Settanta decide la riduzione allo stato dilettantistico delle squadre di calcio, togliendo ai calciatori il 60% degli emolumenti. Anche in questo caso si assiste alla rivolta popolare, da Ferrara a Siracusa, l’Italia è portata sull’orlo della rivoluzione. Gli insorti occupano il Campidoglio, e viene proclamata la Repubblica autonoma della Lazio (non del Lazio, regione, precisa Morselli nella ironica nota, ma “titolo” della squadra romana). Tra i capi spicca quel frate Marcello da cui la discussione del capitolo è iniziata sempre nel racconto del buon Esposti. Fu il frate, ancora giovane, a trattare con il Quirinale e ottenere il massimo a cui si poteva aspirare, l’annullamento della legge, dato che poi il presidente, aggiunge Morselli, era un uomo scaltrissimo e tenacissimo, Amintore Fanfani. Evidentemente il noto democristiano è più attaccato al potere dello stesso duce, che cade in seguito al suo dirompente priapismo che non riesce a gestire adeguatamente. Rispetto al finale di Cose d’Italia, ovviamente con ben altri obiettivi letterari, in Roma senza papa, presentando l’icona di sempre (l’Unde Malum?) in un risvolto narrativo singolare, si arriva a guardare con estrema positività la scelta del papa di lasciare, non costretto come il duce dalla sollevazione popolare, la opulenta residen- ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA 213 za vaticana, per un oscuro e poco noto paesino laziale. Trascorsi cento trent’anni dalla breccia di Porta Pia, si traguarda la consapevolezza (anche se sembra essere solo il papa ad affermarlo con l’esempio) di non essere confinati da un nemico invasore, bensì di essere un polo umbilicum, dove il punto fisico si annulla in quello spirituale. Già il germe utopico della socialidarietà, neologismo morselliano, rimanda alla proposta marxista e cattolica di una charitas concreta e non teorica o egoista; poi l’attesa di comunicare con il papa potrebbe aprire ad un progetto condiviso di superamento delle paradossali e inutili concessioni della chiesa a tutto quello che la morale moderna ha voluto. Dio non è teologo, Dio non è prete, le conclusioni del breve incontro con un personaggio che brilla più per desiderio di essere visto che per l’effettivo farsi vedere. La scena, come vede bene Simona Costa, appare come l’unica luce di speranza in pagine amare, paradossali, ironiche, grottesche. Figura potenzialmente salvifica, missionario dell’antiretorica, un Uomo che ha delle antenne, si muove secondo sensibilità, in un mondo quasi orrido: Giovanni XXIV non ha però il gusto di comunicare, risvolto negativo del suo non essere teologo astratto e della sua modestia e umiltà. Un ostacolo narrativo d’obbligo, nell’orizzonte morselliano, nel quale solo alcune figure di medico, si è visto, sembrano elevarsi completamente, subendo, per questo, le durissime critiche del palazzo. Il papa sembra vivere felicemente, di una gioia quasi profana, qui e ora, nonostante tutto. Sospeso tra un agire egoistico e la consapevolezza di un’unica strada percorribile per non com- 214 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI promettersi con le mafie del mondo al di fuori della suo paesetto periferico. Anche qualora riesca a sintonizzarsi sull’onda giusta di personaggio salvezza, manca sempre qualcosa all’abbraccio duraturo, alla condivisione. Nelle riflessioni di don Walter, pur positivamente impressionato da quella figura al di sopra degli schieramenti, un sentimento di vuoto, di assenza. Probabilmente non di un singolo papa ma di Lui, Cristo, l’Uomo carità di Fede e critica7: Per intanto fisso questa mia esperienza, la sottraggo al fluttuare interno. Più che mai insidioso in questo estremo di crisi che il mondo spirituale attraversa, in questa incertezza di ogni credente creatura. Un giorno, se spiritualmente sopravviveremo, ci tornerò. Quando la nostra comitiva rimise piede in città, questa ci parve, o parve a me, diversa. L’assenza del grande Romano (non Giovanni o Pio o Benedetto, ma Lui, impersonalmente e sovranamente), quella assenza, stata dianzi un’idea, diveniva una misurabile lacuna, aperta nelle cose, più che fra gli uomini. E le cose subivano disfacendosi. Impasto singolare tra la materialità della città di Roma, l’asfalto screpolato che si scioglie, e l’assenza immateriale, spirituale, amara, a cui non serve per riempirsi di ottimismo la notizia trasmessa da un altoparlante di due temerari svizzeri (quindi compaesani di Walter) che si riempiono di gloria nel campo delle scoperte astronomiche. Piuttosto, se il romanzo non terminasse senza commento, potrebbe destare un sorriso l’ultima immagine: “Una di quelle donne, 7 Roma senza papa, cit. p.181 ROMA SENZA DUCE E SENZA PAPA 215 al solito, si era tolta le scarpe. Saltellava sulle selci, e rideva”. 216 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI NIPIC E KARPINSKI NIPIC E KARPINSKI 217 218 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Se è vero che siamo tutti creature del buon Dio, e che dunque è stato lui a volerci così, colle caratteristiche e coi bisogni che abbiamo – quando egli ci manda una pena, un dolore, oltre a mostrarsi un padre poco affettuoso, cade in patente contraddizione. Ossia nega la precedente volontà (la sua volontà creatrice), nega il fine a cui egli stesso, creandoci con quelle caratteristiche, con quei bisogni, ci aveva destinati1. Questo brano del Diario di Guido Morselli riassume il “sentimento predominante” da cui deriva l’ansia di approfondimento del principale problema religioso, quell’Unde malum? avvertito in modo ravvicinato nei rapporti interpersonali dalla sensibilità acutissima di Guido Morselli. Il problema religioso2, al fondo del quale 1 Guido Morselli, Diario, Milano, Adelphi, 1988, p.,225, il brano data 25 novembre1962. Si veda anche il commento, nella nota 23 della curatrice del volume, Valentina Fortichiari, la quale informa sulla origine di queste riflessioni nei primi anni Quaranta. Si tratta di una delle tante riflessioni sul problema nel Diario (quasi ossessivamente a partire dal 1956) e negli scritti religiosi, di cui si darà breve conto per quel che riguarda le tematiche della commedia in esame. Il brano da cui si è citato conclude che anche la sofferenza perfettiva, atta cioè a riparare altro male, è ingiusta, ossia inutilmente crudele. Su queste problematiche mi permetto di rimandare ai miei lavori precedenti raccolti in Incontro con Guido Morselli, Roma, Associazione San Gabriele, 2003, in particolare dal III al VI capitolo, Guido Morselli: io, il male e l’immensità, edizione bilingue Italiano, Portoghese, con Antonio di Grado e Andrea Santurbano, Rio de Janeiro, Edizione comunità, 2011, L’astrattismo dei teologi e l’ingiusta sofferenza. Due libri dalla biblioteca di Guido Morselli, in “Parole rubate” n. 6, 2012. 2 Si veda almeno di Valentina Fortichiari, Invito alla lettura di Guido Morselli, Milano, Mursia, 1984 e Guido Morselli. Immagini di una vita, Milano, Rizzoli, 2001. In questo ultimo testo, a pag.134, viene riportata una lettera del NIPIC E KARPINSKI 219 l’unico tragico motivo di inquietudine e di resistenza alla fede resta quello del male, come ogni lettore pur superficiale di Morselli sa bene, viene vissuto con profondità, passione, senza pregiudizi, nei suoi dettagli pratici, inerenti alla vita di ogni giorno, quali gli affetti e le situazioni sociali, di cronaca sollevate dalla “sua” attualità. In particolare quando si tratta di descrivere la sofferenza, propria e altrui, riflesso di quell’unico, drammatico, dilemma. La vasta produzione saggistica (a cui si aggiunge quella più propriamente giornalistica) in definitiva considerevole anche in rapporto a quella creativa se si mettono in conto i numerosi inediti, si incentra in buona parte su queste problematiche e trova un suo risvolto creativo in una commedia dal titolo, Il redentore, con protagonista lo slavo Nipic, figura cristica ed eretica insieme. L’importante testimonianza del fratello Mario, recentemente scomparso, trasferitosi presto negli Stati Uniti, ancora inedita, raccolta da Linda Terziroli, attesta il ruolo decisivo, anche a livello di comunicazione orale con i familiari, della figura di Giobbe3 e il tentativo, quello stesso 25 settembre del 1971 alla sorella Maria, in cui lo scrittore descrive, sia pur brevemente, il suo itinerario spirituale, affermando di non essere mai stato ateo, di aver sempre riconosciuto la funzione “perfino creativa, creatrice” della religione e di essere ora, per dono di Dio, spontaneamente, su di un’altra sponda. Se si pensa alla data del gesto estremo, poco lontana, sia ha la sensazione di una oscillazione continua lungo tutto il corso della sua esistenza. 3 Ringrazio Linda Terziroli per avermi concesso la lettura di una parte del file della bozza dell’intervista, ancora da rivedere. Cito un passaggio fondante, dove Mario dichiara il suo ateismo, proprio fondato sull’assurdità di un Dio buono e i dubbi del fratello, mai risolti: “Giobbe era uno 220 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI del redentore, di riconciliare Dio con l’uomo, magari attraverso il sacrificio di uomini di buona volontà come Nipic. Sulla domanda perché si soffre si apre la lunga meditazione religiosa di Morselli, nell’inedito Filosofia sotto la tenda, derivante dagli appunti presi nella solitudine dell’isolamento prima sardo e poi calabrese, dovuta agli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale. Ne rendono testimonianza profonda, sia pur nella asistematicità, voluta, a volte arruffata, con frequenti anacoluti di pensiero (ci sia concessa l’espressione) diverse pagine di Realismo e fantasia. Dialoghi, volume uscito a spese del padre dello scrittore nel 1947 da Bocca editore. Il dialogo VII (e parte del IV) di questo lungo saggio, in una significativa linea di continuità, anticipa specificatamente le tematiche di Fede e critica, di cui si conosce un titolo precedente, Imparare a credere. Opera pensata in varie fasi, di cui, ancora oggi, si legge a stampa solo la seconda parte, pubblicata da Adelphi nel 1977. Ripresi gli appunti del periodo della Seconda Guerra Mondiale, in Filosofia sotto la tenda, si passa per il più compiuto Fede e critica, da cui il titolo complessivo, redatto nel 19551956, e si arriva, nello stesso anno cruciale (lo stesso del Redentore) per il cammino spirituale di Morselli, a Due vie della mistica, ripresa e ampliamento delle tematiche delle precedenti meditazioni, per poi soffermarsi sulle diverse caratteristiche del misticismo (opposto alla semplicità altruistica del Vangelo). Dello stesso arco di tempo, tra altre prove saggistiche, anche i due dei suoi Leit-motiv. Questo riconciliare Dio con l’uomo era un argomento su cui abbiamo discusso innumerevoli volte. Lui aveva dei dubbi, io non ne avevo”. NIPIC E KARPINSKI 221 importanti frammenti, riproposti opportunamente da Valentina Fortichiari, La felicità non è un lusso e Capitolo breve sul suicidio4, in cui i termini della riflessione religiosa sono condotti sulle soglie di una disperazione latente. Delle parti inedite dell’ambito di Fede e critica mi sono occupato altrove5 e spero di tornarci a pubblicazione avvenuta. Del 1968 quel Teologia in crisi su cui si sofferma proficuamente Paola Villani6, aggiornamento sullo sviluppo del pensiero teologico nel decennio successivo, di cui ci sono pervenuti soltanto tre capitoli. Riportato alla luce da Linda Terziroli, l’importante carteggio con Padre Battista Mondin, tra il ’68 e il ’69, in particolare sulla perscrutabilità (il Dio dei Vangeli) e imperscrutabilità (il Dio di Pascal), discussa anche nel Diario, del divino, che conclude con l’amara constatazione che l’umanità dei Vangeli Guido Morselli, La felicità non è un lusso, Milano, Adelphi, 1994. Nelle sue note ai testi di questa importante silloge di articoli e saggi morselliani, ordinati secondo un criterio cronologico, la Fortichiari segnala per il saggio omonimo della raccolta datato 17 settembre del 1956 (chiuso da poco il lavoro sul Redentore) che Morselli sta attraversando “una grave crisi mistico esistenziale”, lavora a Fede e critica e Due vie della mistica, torna a parlare del suicidio nel Diario. Dello stesso anno, incluso nella raccolta, il Capitolo breve sul suicidio, 26 agosto 1956. Il tono di La felicità non è un lusso, almeno nella prima parte, perde la pacatezza di Fede e critica, con l’emergere di una più sconsolata analisi sul male, sorretta da una ironia neanche tanto velata verso il pensiero teologico e filosofico che, con varie assurde posizioni, elimina il problema centrale dell’esistenza, appunto l’impossibile felicità e l’evidenza della sofferenza. 5 Cfr. Fabio Pierangeli, Incontro con Guido Morselli, Roma, Associazione San Gabriele, 2003. 6 Nel citato numero di “Studium”. 4 222 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI è una utopia7. Tra gli altri molteplici documenti che attestano il ritornare nel tempo di queste questioni, in fasi più o meno acute e stringenti, lo scambio epistolare con padre Battista Mondin, opportunamente proposto da Linda Terziroli e scaturito dalla lettura di due testi, presenti nella sua biblioteca personale, consultabili, con interessanti sottolineature e glosse autografe, nella biblioteca civica di Varese, presso il Fondo Morselli. Il primo volume, in ordine cronologico, Battista Mondin, Paul Tillich e la tramsmitizzazione del Cristianesimo, Torino, Borla, 1967, numero 36 della collana Le idee e la vita, porta la data autografa del 18-11-67. Seguendo il testo di Mondin, nella sua esposizione piana, chiara, tendente a esporre con oggettività il pensiero del teologo protestante di Harward, lo scrittore estrapola, anche al di là del discorso complessivo, tematiche di particolare interesse per la sua speculazione, in ascolto delle nuove tendenze teologiche che Mondin espone, in questo e nel successivo volume. La sottolineatura di pag. 30 introduce con particolare decisione la discussione: “i concetti teologici tradizionali con cui viene ancora espresso il messaggio cristiano sono assolutamente superati; l’uomo moderno non li comprende più”. “Simboli” vuoti, continua Mondin sottolineato da Morselli, sono ormai per Guido Morselli, Lettere ritrovate, a cura di Linda Terziroli, Varese, Nuova Magenta, 2009. Tutto il volume, come sottolineato dalla acuta introduzione delle Terziroli (da pag. 27 in avanti riassume le varie tappe della riflessione religiosa e del rapporto personale con la fede), è di grande interesse, radunando materiale del Fondo Morselli della Biblioteca Civica di Varese, per lo più conservato dalle stesso scrittore dentro i libri della sua biblioteca. 7 NIPIC E KARPINSKI 223 Tillich peccato, paradiso, inferno e forse la stessa parola Dio, non significano nulla per la concretezza della vita della maggioranza degli uomini. Teologia in crisi, sintetizzerà Morselli nel saggio che nasce da questa lettura: la questione centrale della “morte” di Dio lo interessa ancora una volta personalmente, come esperienza, non in quanto aggiornamento teorico di dibattiti teologici. Difatti, Morselli, tra le tante annotazioni, segnala una breve frase, per lui emblematica, benché tutto sommato non centrale nel discorso di Mordin: “l’ateo pratico, cioè tutti noi”. La sua crisi personale si specchia con quella dell’uomo moderno, con dolore, non ammettendo la possibilità della rassegnazione, senza rispondere ai quesiti metafisici che riguardano il vivere quotidiano. Il secondo volume presente nella Biblioteca personale di Morselli esce poco dopo, sempre per Borla, numero 40 della collana Le idee e la vita. I teologi della morte di Dio, data lettura 75-68, apposta a matita sul testo. Nello stesso stile pacato e tendente a una ricostruzione oggettiva, vuole essere una sintesi del pensiero del cosiddetto ateismo cristiano, che dal filone protestante, incluso lo stesso Tillich, si radicalizza, in particolare negli Stati Uniti, dando vita al paradosso di caratterizzarsi per voler salvare il Cristianesimo ammettendo la morte di Dio. L’analisi è svolta ricorrendo al commento del pensiero dei singoli autori, Robinson, Cox, Hamilton, van Buren, Altizer, Dewart, individuando la continuità di un processo nel passaggio, lento, ma quasi inevitabile, dallo scetticismo, all’agnosticismo, all’ateismo, fino ad indicare quella scissione tra Cristo e Dio, a cui Morselli arriva per altre strade, principalmente l’Unde 224 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI malum?, come ben sappiamo. La frase che apre il capitolo in questione, nella capacità di trovare formule da parte del Mondin, appare a Morselli decisiva nel riprendere e ampliare ad altri teologi le problematiche del volume precedente: “L’ateismo è la caratteristica più impressionante della cultura moderna. L’incredulità ha oggi conquistato tutte le dimensioni dello spirito”. Più avanti, nella spiegazioni di Mondin delle cause dell’ateismo, divise in speculative e pratiche, Morselli sottolinea: “nell’ordine pratico la causa principale dell’ateismo è il progresso”, ovvero, secondo Mondin, per raggiungere la felicità l’uomo contemporaneo conta soltanto sulla sua intelligenza e sulla capacità di procurarsi successo e piaceri. Nella pagina successiva, la 19, Morselli si oppone decisamente alle tesi di Mondin. L’appunto appare fondamentale: Ci sono ben altre ‘cause’: c’è per esempio l’insofferenza dell’uomo di oggi, abituato ormai a un senso democratico, o meglio etico-giuridico, dell’autorità, verso l’arbitrio che bisogna per forza vedere in un Dio responsabile di ciò che avviene nel mondo (è tutta una serie di manifestazioni del problema di Sant’Agostino unde malum? ma oggi non è più un problema di teologia speculativa è qualcosa di più importante). Le rilevazione di Morselli, assai fitte, si intonano ad una amarezza rivelata in una ironia a volte sottile a volte esplicita. Di fronte al problema sollevato nella glossa autografa, le discussioni di questi teologi appaiono asfittiche, ristagnanti, distanti dalla percezione della vita reale di ogni uomo, ricalcate sulla vecchia metafisica e capovolte. I problemi drammatici sollevati dalla NIPIC E KARPINSKI 225 presenza o meno di Dio, sono ben altri: da questa deriva il distacco della gente dalla religione, con l’indifferenza o, nei momenti difficili, nel cercare di sostenersi attraverso persone o cose “immanenti”. In fin dei conti il tono delle glosse autografe di Morselli sui testi di Mondin (a cui dedico un saggio in uscita sulla rivista di Rinaldo Rinaldi “Parole rubate” n. 6) sembra quello di un osservatore partecipe, intento però a sottolineare come questi diversi punti di vista costruiscano una commedia delle interpretazioni umane su Dio, un tema sempre giudicato, a questa altezza cronologica, irrisolvibile per quel che riguarda le vere questioni scottanti, spesso eluse dai teologi8. Nello sviluppo del pensiero morselliano si accentua la distanza tra il Dio del Vangelo, tra quel Gesù storico ammirato senza remore e senza ripensamenti, e il Dio dei teologi, il Dio astratto, il Dio creatore, lontanissimo dall’amore evangelico, quello nascosto di Pascal 9. Il discrimine, come evidenziato nel diario e in Fede e critica, resta proprio il Male del mondo, ammesso (o addiNella pagina bianca della quarta di copertina e in quella precedente Morselli appunta note che servono per Teologia in crisi, di cui difatti segnala i capitoli, proprio nel verso della quarta di copertina “Piano del mio lavoro “Teologia in crisi” (14-5-68) 1) L’ateismo moderno 2) Il modernismo (e G.Gentile) 3) L’ateismo moderno di massa. 4) La teologia dell’ateismo cristiano 5) Il catechismo di Spinoza? 6) Conclusione 9 Cfr. nota 8. 8 226 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI rittura introdotto) da Dio, se si deve accettare la Sua Onnipotenza, e l’inaccettabilità del peccato originale. Il problema capitale del Cristianesimo risiede proprio, secondo l’appassionata speculazione di Morselli, nella questione della natura dei rapporti tra Cristo e il Padre perché niente è così estraneo al Vangelo come le tortuosità dei teologi che, lontane da quell’esempio, minacciano di diventare dogmi. Il “soffro dunque sono” porterà Morselli, in un cammino non progressivo, ma anzi ricco di accelerazioni e ripensamenti, a distanziare le due figure dell’Antico e del Nuovo Testamento, in un contrasto insanabile, vissuto personalmente con estremo dolore, non percepito con distacco intellettualistico, ma realmente sofferto, con l’evidente allontanamento dalla via maestra della Tradizione. Il 31 ottobre del 1949, sempre nel Diario, ammetteva profeticamente che l’arte più sincera si rende conto del male connaturato al nostro essere: solo questa essenza rappresenta il fondamento di tutti i valori. Il Diario e Fede e critica, esaminando i medesimi argomenti (il Male, la colpa e il peccato, la sofferenza, la fede, la religiosità e il dubbio, la razionalità dell’esperienza religiosa, la mistica) assumono, tra loro, un tono ben diverso, da spiegarsi fino a un certo punto con la differenza dei rispettivi ambiti letterari. Nel Diario, nel carattere distintivo di riflessione privata, la sofferenza per il Male, per un bene perseguito e donato ma mai ripagato, anzi, quasi respinto e rimandato al mittente (come si evidenzia anche nella narrativa matura) viene drammaticamente sentita, urlata, denunciata. Nelle opere “teologiche” con il tono “lineare, piano, tollerante”della saggistica, il dolore si avverte quale possibile via NIPIC E KARPINSKI 227 alla umiltà, alla accettazione della fede, quasi necessariamente, dopo il fuoco di fila implacabile, ma alla fine esausto, della critica puntigliosa alle assurdità della fede (da cui il titolo Fede e critica). Almeno per i brani diaristici fatti conoscere dalla Fortichiari, quella della carità sembra esperienza lontana, legata alla storicità dei Vangeli, messa in discussione dalla continua frustrazione di vedere i propri sforzi generosi ripagati con l’egoismo. Non solo Morselli sente di appartenere alla “massa di dannati” a fronte dei pochi eletti, ma si sente un privilegiato a rovescio, bersagliato dal caso e dalla sofferenza. La drammaticità urlata e l’urgenza di una soluzione dello stile diaristico emergono raramente nella trilogia di Fede e critica, ad esempio nella nota quarta del capitolo IV10: Il male che soffriamo su questa terra non rappresenta soltanto il motivo (ahinoi) dominante della nostra pratica attività: è in linea teorica una questione che non si lascia risolvere. La sua presenza costituisce un aspetto aberrante e sconcertante dei nostri rapporti fra l’assoluto e il relativo; non si vede come il mondo a cui apparteniamo, così palesemente irrazionale possa convivere con l’assoluto (ove questo si intenda come fonte e principio di razionalità), non si vede come possa esserne tollerato. L’insorgere del male sarebbe il secondo atto di un cosmico dramma per cui il relativo, dopo essersi distinto dall’assoluto, si pone in opposizione 10Guido Morselli, Fede e critica, Milano, Adelphi, 1977, pag. 111. La nota continua sul medesimo tono: escluso l’interesse della filosofia per un problema dichiarato insolubile, nella assoluta impossibilità di far discendere il razionale dall’irrazionale, conclude che, allorché soffriamo, l’unica religione sussistente è quella che ammette il mistero. 228 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI all’assoluto medesimo; ora il fallimento dei tentativi di chiarire questi enigmi, ha certamente contribuito a far sì che la filosofia critica moderna si inducesse a rinunciare alla metafisica e a concludere che i problemi inerenti, essendo insolubili, non sono filosoficamente problemi. Si tratta, indubbiamente, di uno dei centri nevralgici dell’intera speculazione morselliana, rifluita nelle opere creative: si esaminino in questo senso i romanzi, fino a quel Dissipatio H.G. dove il tono ironico, lucidamente disperato, riproporrà, sul limitare, una identica questione: l’umanità è salvata o dannata? L’unico uomo rimasto sulla terra sconta da solo la sua pena eterna o viceversa è l’unico redento? Non si spegne mai, parallelamente, l’attesa, se non la speranza, della carità incarnata in gesti e persone, quale appare continuamente, sull’esempio dell’amato Cristo, in vari momenti della Trilogia e rappresentata compiutamente da Nipic, pur sempre nella oscillazione tra la fede e l’ammissione di accarezzare la più sublime delle utopie. Perfino la bestemmia, nel bel capitolo a questa dedicata in Fede e critica, può essere considerata una voce che invoca e desidera una bontà ormai distante. Tra i motivi più profondi delle dolorose meditazioni di Morselli resta quello di non riuscire a sottrarsi alla pena, al dolore della imperfezione del suo stesso, originariamente gratuito, modo d’amare il prossimo. Scrive l’8 ottobre del 195911: La sofferenza che io in questi giorni sto provando, di nuovo (dopo i due amarissimi mesi di luglio e di 11 Guido Morselli, Diario, cit., p. 181. NIPIC E KARPINSKI 229 agosto), non ha un fine, non ha uno scopo, come non ha, nella mia condotta, una motivazione plausibile. Potrei in questi stessi giorni essere felice, come d’altronde potrei essere morto. La mia sofferenza nasce da circostanze esterne, che potevano, senza pregiudizio di nulla e di nessuno, essere occorse in modo del tutto diverso: nasce da esse, non ne è spiegata o giustificata. La nostra vicenda umana è futilmente aleatoria, legata al gratuito e all’accidentale, perché possa ispirarsi a un qualsiasi principio universale. Il motto appeso sulla biblioteca personale: Etsi omnes ego, sembra ulteriormente connotarsi con l’amara constatazione di esser lasciato solo a soffrire. Deve essere Dio a riconciliarsi con l’uomo, dando un segnale di voler riparare la evidente contraddizione tra la sua Bontà e Onnipotenza e la presenza del Male. Inutile allora anche la bontà e la preghiera, si arriva a scrivere più avanti, nel Diario. Siamo nel gennaio (un lungo brano su questi temi) e nel luglio del 1960: forse ripensando al suo personaggio lasciato incompiuto, Nipic, Morselli potrebbe aver amaramente constatato l’inutilità del suo sacrificio, l’utopia irrealizzabile di veder incarnata una esistenza di carità, sempre torturato dall’idea, divenuta ossessione, di una ingiustizia verso la sua persona: generosa nel donare, senza mai ricevere (si veda nel Diario almeno ad esempio 3 maggio 1961, 6 agosto del 1963, 16 giugno 1969). L’Unde malum?, nelle stesse domande che assillano il Morselli uomo, e quindi saggista, ha qui una declinazione precisa, dentro episodi d’amore e sofferenza con risvolti carnali, sfondo autobiografico delle riflessioni saggistiche e de Il redentore. Coinvolge i sentimenti più intimi de- 230 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI gli uomini, come si è visto anche nel Diario. Come è possibile, se l’amore umano avvicina a Dio, viene da Dio, allo stesso modo dall’Ente divino provenga il Male? Dal Bene, dall’intenzione di agire amorevolmente, può discendere il Male.12 12 Un altro brano del Diario, benché scritto una quindici di anni dopo la Trilogia, può spiegarne il meccanismo con chiarezza, del resto percepibile anche altrove negli appunti saggistici sulla religione e la mistica: il Vangelo ci chiede la carità, ovvero la benevolenza (cita anche il laico esempio di sacrificio del tutto gratuito di Salvo D’Acquisto che non conosceva affatto le persone per le quali ha dato la vita salvandole) mentre l’amore “sensuale” è per sua natura egoistico. Da questo punto di vista, come già si è detto, il modello del Vangelo rimane punto di riferimento insuperabile, sia pur messo in crisi ripetutamente l’effettiva verità della natura divina di Cristo e dei suoi rapporti con il Padre. Il 9 giugno del 1972, Morselli, richiamando tutti i dubbi finora espressi a livello teologico, ribadisce l’unicità del messaggio di carità e di amore (non egoistico), nettamente superiore a tutte le altre religioni, opponendosi con queste argomentazioni umane e sentimentali anche a chi, scientificamente, come il “solito” Bultmann, critica l’autenticità dei Vangeli. Si veda ancora Guido Morselli, Diario, cit., pag., 378: “La fede, annuncia il Vangelo, è amore. Perché Dio stesso è amore, e per l’amore, si incarna. Ecco la rivoluzione evangelica, per cui si può dire che con essa comincia non una nuova religione, ma “la” religione. Ammettiamo pure che le ‘precise parole di Gesù’ non siano giunte sino a noi, o addirittura che il “personaggio” non sia più recuperabile in senso storico. È esistito, però, Qualcosa, o Qualcuno, che, per il tramite di alcuni oscuri individui, ha operato quella rivoluzione. C’è stata una ispirazione. Una rivelazione, una illuminazione. E se non vogliamo ammetterle, dobbiamo comunque dire che Qualcosa o Qualcuno ha comunicato a quegli oscuri individui una verità nuova. Rivoluzionaria. Che essi “non potevano” inventare. Di cui nessuno, prima, aveva avuto nemmeno un sentore. Quel Qualcosa, quel Qualcuno, noi lo chiamiamo Gesù. Gli riconosciamo un’esistenza, una NIPIC E KARPINSKI 231 Padre Mondin non è l’unico referente di Morselli su queste cruciali questioni non risolte. I tentativi di dialogare con i rappresentanti della ortodossia cattolica sono molti, e non vanno sempre a vuoto. Morselli ne è comunque insoddisfatto. Tra le lettere conservate al Centro di Pavia, troviamo un carteggio con Padre Dossi, che insegna al Liceo Classico dell’Istituto Leone XIII, frequentato dallo stesso scrittore. Il dialogo, sia pur con qualche reverenza formale, appare più arduo rispetto a quello con Mondin: i due sembrano lasciarsi non con la stessa stima, quasi con rabbia. Morselli incalza il Padre proponendo minutamente le sue tesi, quelle di Fede e critica, ma con più decisione, quasi esasperazione. Sul tema del peccato originale, che sarà al centro della discussione teologica del Redentore, scrive nella missiva del 5 ottobre del 1961: È un punto dolente della teologia cristiana, sebbene sia il fondamento dell’immensa costruzione dottrinale del cristianesimo; non certo del Vangelo, che non a caso lo ignora. La impossibilità, psicologica e logica del peccato in un mondo vergine, in creature che per ipotesi traevano la loro origine immediata da Dio stesso, è un fatto abbastanza manifesto a chiunque ci rifletta un po’; e se ne era accorto il giovane Agostino il quale, a proposito del diabolus ex machina introdotto, con ingenua scaltrezza, dal racconto del Genesi, si chiedeva: ma, e il diavolo, chi l’ha fatto? E voce, una personalità. Mi pare che sia il minimo che possiamo fare, dinanzi ad una azione così potente. Noi stessi, uomini del 2000, che abbiamo ipotizzato un problematico Inconscio, e che stiamo per dare uno stato civile agli ordinatori elettronici […] Gesù è la fonte di quella verità che ha rivoluzionato la fede. Che ha reso possibile la fede a tutti gli uomini, solo che siano capaci di sentire amore. (9 giugno 1972)”. 232 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI se si è fatto da sé, chi gli ha messo la mala voglia di farsi diavolo (Confessioni). Da qui l’idea, che fa infuriare il Padre, che ormai il primo peccato, come nel testo di Sertillanges, non è nemmeno più considerato dalle alte sfere ecclesiastiche e dai teologi, mentre la problematica si tace ai comuni fedeli. In altri termini rispetto a quello che sarà la dualità perscrutabile, imperscrutabile, anche a Dossi, Morselli pone la questione di un Dio antropomorfo, quello di Bontà dei Vangeli, e di un Dio inaccessibile e ineffabile. In sintesi. – Siamo ottimisti, le cose ci sembra vadano bene? C’è la Provvidenza, l’universo è affidato a un sapientissimo reggitore. Il Vangelo (con la sua fede così dolcemente personalizzante, umanizzante) fa testo; Iddio è tanto simile a noi, da essere capace di amare; egli ci ama, veglia a tutti i nostri bisogni, spirituali e anche temporali. Vogliamo mettere da parte l’ottimismo e vedere le cose come vanno in realtà? Ci si accorge subito che vanno a rotoli, che regna ovunque (dove c’entra l’uomo, e dove l’uomo non entra affatto) l’ingiustizia, il disordine. Obbiettivamente giudicando, bisognerebbe concludere che Dio non esiste, o è cattivo, oppure (come preferisce dirsi il sottoscritto) che è “andato in vacanza”.. – Allora, si ripiega sul Dio impersonale, sulla imperscrutabilità di Dio. “Volete giudicare Dio col vostro metro?” Del tenero Dio del Vangelo, non si parla più. Al culmine della rabbia, o del sarcasmo, racconta di una donna anziana che scrive alla “Rivista delle missioni dei Gesuiti” dicendo che è a letto da anni, ha tanto pregato e Dio non le dà ascolto. Il padre teologo risponde, con parole inaccettabili per Morselli: la malattia è un bene NIPIC E KARPINSKI 233 per lei, nessuno è in grado di capire perché, ma è cosi. “Dio ha le sue vie imperscrutabili”. Questa risposta potrebbe aver alimentato nello scrittore l’uso reiterato del termine imperscrutabile, a cui dedica una riflessione saggistica. Ecco il suo commento, rivolto a Dossi: Le pare accettabile il modo di ragionare del suo confratello, il quale, oggi, rispondendo alla lettrice inferma, sostiene: bianco, per poi domani sostenere: nero? E cioè, Le par plausibile che oggi si predichi un Dio personale, padre delle sue creature, accessibile alle nostre suppliche, comprensibile alle nostre menti, e il giorno dopo si predichi un Dio preso in prestito dalla “teologia negativa”, o non molto dissimile dal Dio di Spinoza?- Come farebbe Lei a professarsi comunista e, insieme, liberale, marxista e spiritualista? La risposta di Dossi è sintetica quanto, dal suo punto di vista, efficace: Dio è inconoscibile nella sua vera Essenza, quella che la nostra mente […] non riesce a conoscere in maniera diretta; ma è perfettamente conoscibile nel suo modo di agire con noi, in quanto ne abbiamo le prove che ci toccano. La figura di Nipic, in questo contesto, assume su di sé un rilevante aspetto del problema, un riflesso strettamente individuale, percepito acutamente da Morselli. Diventa il martire per eccellenza (nonostante la fine poco eroica) proveniente da quella terra per prima invasa dalla follia del nazismo. Queste tematiche, l’abbiamo considerato nel precedente capitolo, rifluiscono in momenti decisivi di Roma senza papa, in un contesto di una Chiesa totalmente emancipata e succube dei co- 234 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI stumi mondani, dove sono destinati ad incontrarsi don Walter, sacerdote svizzero e il papa Giovanni XXIV. Entrambi, per strade diverse, in una atmosfera di desolazione umana, costituiscono una opposizione al grigiore e alla decadenza, ai paradossi di strambe dottrine. I problemi veri non vengono risolti, se non in forza dell’attesa di incontrare questa figura carismatica. Si accenna più volte, da parte delle teorie più avanzate della Chiesa, alla rinuncia al dogma del peccato originale (quello che chiede Nipic), additando il Serpente come mera scusa per risolvere l’annoso problema dell’Unde Malum? chiamando in causa un ente esterno alla volontà di Dio (tema più volte discusso da Morselli). Identico il riferimento a Pascal sulla dialettica Dio perscrutabile e imperscrutabile nel cap. XVI e, nel XI, sul dovere di Dio, sostenuto da Nipic, di venire di nuovo incontro agli uomini, cambiando i rapporti, perché i doveri sono reciproci. A pronunciare queste e altre convinzioni poco ortodosse (in un contesto però di svilimento totale dell’etica cristiana non condiviso da don Walter) come quella del male creato da Dio, è Marianito Cortesao, frate brasiliano, in un improvvisato comizio di fronte ad una San Pietro abbandonata dal papa (ha scelto Zagarolo, come si ricorderà) e dai turisti. Di Nipic, protagonista del Redentore, in attesa, e con la speranza di veder pubblicata la commedia, ho scritto altrove, sulla scia dei lavori e della ricostruzione del manoscritto di Cristina Faraglia. Questo personaggio, positivo, nel dono della carità fino alla morte, dedito ai poveri, salvatore di ebrei, lui boemo, in territorio tedesco, finisce, sospettato di attività anti tedesca, in un manicomio, sorvegliato speciale dai nazisti. NIPIC E KARPINSKI 235 Siamo nel settembre del 1938, alla vigilia della guerra, con Hitler che ha già invaso i Sudeti, a Oberstadt nella regione della Ostfalia, non lontano da Munster, citata nel testo), la sede arcivescovile tenuta, in quel momento, secondo la storia, dall’unico vescovo dichiaratamente ostile al nazismo, Van Galen. Viceversa, Morselli, in linea con i suoi laceranti dubbi di quel periodo, fa del suo eroe un perseguitato anche dalla religione ufficiale. Il vescovo e il pastore protestante (distanti su tutto e qui solidali) sottopongono Nipic ad un processo-interrogatorio, in cui il santo risponde punto per punto, illustrando la sua contrarietà al dogma del peccato originale. Ci sembra molto plausibile che Morselli, attento allo sviluppo delle fasi della Guerra, fosse a conoscenza del triste obiettivo nazista del T4, l’eliminazione sistematica, dentro i manicomi, delle persone non corrispondenti all’ideale ariano. Potrebbe essere uno degli spunti storici per questa commedia, per altro ambientata in un contesto preciso, caratterizzato dall’accenno alla questione dei Sudeti. Nel prologo affidato al “Capocomico”, voce dell’autore, Morselli ci annuncia di voler cambiare, per questa commedia, la solita formula: qui i riferimenti, per trasposte persone e luoghi, sono tutti veri, e parlano da sole, al di là dello schierarsi dall’una o dall’altra parte dell’autore. Vale comunque la pena di ricordare che Van Galen si scaglia proprio, in prediche rimaste negli annali della storia, contro questa barbarie e si erge decisamente contro il nazismo. Al redentore vanno le simpatie di un ennesimo medico caro a Morselli: pragmatico, tendenzialmente ateo, Printz, il direttore della Clinica dove si svolge l’azione drammaturgica. Questi 236 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI riconosce la validità e la generosità dell’azione di carità (anche concretamente aiutando la fuga di ebrei) di Nipic, sostenendola. In definitiva si tratta dell’autentico frutto del messaggio dello strano personaggio, rimasto ucciso non da mano nazista (come una pantomima degli internati nel manicomio aveva previsto) ma perché si getta nel mezzo di un litigio tra due donne egualmente innamorate di lui, prendendosi un colpo di pistola mortale. Non è purtroppo chiara la volontà di Morselli per il finale: probabilmente si interrompe indeciso se far accadere “qualcosa di soprannaturale” sul corpo di Nipic, un segno miracoloso, oppure lasciare semplicemente al medico il compito di dichiararne la vittoria, se non del tutto eroica, umanamente limpida, rispetto ai boia nazisti. La sua docilità è ormai definitiva, dichiara il direttore della clinica ai tedeschi venuti ad arrestare il redentore, con quella sottile ironia segno di superiorità rispetto agli ottusi strumenti esecutori di una perversa strategia del Male. Nipic, personaggio rimasto nell’ombra (ancor più di tutti gli altri, non essendo arrivata l’opera neanche al dattiloscritto, almeno per le carte messe a disposizione dagli eredi) avrà l’onore di tornare per interposta persona in un’altra figura salvifica, la più importante, che muore come lui, intervenendo in una lite, letteralmente mettendo il proprio corpo nel mezzo, offrendosi. Karpinski13, naturalmente. Tornando alle riflessioni del primo capitolo, possiamo ben dire che il romanSulla origine di questa figura si veda Maria Panetta, Da Fede e critica a Dissipatio H.G.: Morselli, il solipsismo e il peccato della superbia, in “Rivista di Studi italiani”, XXVII, 2, 2009 13 NIPIC E KARPINSKI 237 zo si sviluppa, anche narrativamente, sulle tracce del dottorino, andando nei posti in cui potrebbe aver dato l’appuntamento 14: Karpinsky, amico Karpinsky, non ho che te. Il transfert non c'entra, tu lo sai bene. È che sono solo. Il mondo sono io, e io sono stanco di questo mondo, di questo io. Lasciati vedere. Non per questo cessano le incertezze e le oscillazioni, i dubbi, ma sono pronunciati davanti al volto di un amico, l’unico amico a cui, magari, si può recitare, a memoria, una poesia. Se Karpinski è medico, il riconoscimento della umanità piena e del sacrificio di Nipic ci viene da Printz, che esercita con dedizione, sia pur a volte rudemente, il medesimo mestiere, rivolto alle malattie mentali. L’origine slava di Nipic e Karpinski segna, nella sofferenza, la vicinanza all’Uomo dei Vangeli, della carità, capaci, fino all’estremo sacrificio. La morte del primo, in un finale purtroppo solo abbozzato, non è affatto eroica, come si diceva, portando alle estreme conseguenze una fitta dolorosa avvertita più volte: cercando di fare il bene, in particolare con le donne, crea discordie, amarezze, paure, egoismi. Sue fedeli discepole, Luli e Misia, sono entrambe innamorate della luce di salvezza che illumina il volto di Nipic. Paiono (come dalla citazione nel finale del testo) eroine uscite dal teatro o dai racconti del grande Heinrich von Kleist (una traccia importante per un ulteriore saggio, visto l’ampia casistica, variegata, delle eroine del drammaturgo del Principe di Homburg e di Pentesilea, citato nel testo). La seconda, però, 14 Ivi, p. 138 238 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI ossessivamente, fino a deviare del tutto dall’insegnamento stesso di Nipic per averlo solo come “proprio” uomo. In quella che poteva essere la VI del III atto ecco lo scontro finale tra le due donne e la morte di Nipic: Scena VI Fa il suo ingresso Misia Ella sorprende Nipic mentre ancora accarezza il capo a Luli. Questo spettacolo evidentemente la sconvolge. LULI - Desidera qualcosa signorina Būrg? MISIA - Questo è il mio posto di lavoro, sappia. Sono io che le chiedo che cosa fa qui. LULI - Parlavo con Ilja. MISIA - Me ne accorgo. Parlava con Ilja e frattanto pensava di accaparrarsi i suoi favori indegnamente, subdolamente. NIPIC - Misia, si calmi. Non parli così in mia presenza. MISIA - La informo, Signor Nipic, che la donna a cui dedica la sua benevolenza è una maestra d'iniquità. Nel mentre civetta con lei la tradisce vigliaccamente. La denuncia alla polizia. LULI - Lei è pazza, Misia. MISIA (A Nipic) - Ne avrà presto le prove. Il Gauleiter Lippers la sta cercando, alla testa di una squadra della Gestapo. NIPIC - Non è possibile, Misia, che dice? MISIA (a Luli) - Si vedrà tra poco. Forse oggi stesso. E lo dovrà a costei, che ieri si è recata alla polizia. Sono informata di tutto. LULI - Ma si renda conto dunque! Sono stata alla procura generale, sì, per... MISIA (senza badarle) - Questa abbietta persona, questa spia! LULI - Per amor di Dio, taccia. Non sa quel che si dice. Taccia per amor di Dio! MISIA - Detesto il suo Dio, come detesto lei. NIPIC – (Facendo eco,impotente), Odio fra le creature e odio contro Dio... Nemmeno sui più vicini a me, la mia parola ha avuto efficacia. LULI - Non le crede Ilya, vero? Me lo dica, per carità, su- NIPIC E KARPINSKI 239 bito. NIPIC - Non crederò mai. Misia è fuori di sé. MISIA – (????)15 Non crede a me. Crede ciecamente a lei. NIPIC- Luli è buona come anche... MISIA (c.s. ,interrompendolo) - Sente dunque il bisogno di difenderla? LULI – (quasi scandendo) Ilya mi difende perché mi ama! MISIA (sconvolta, ma come parlando tra sé, con improvvisa attonita certezza) - È così, è così...si amano NIPIC (con energia) - Basta Misia. Lei fa soprattutto il suo male. MISIA - Che ti importa di me, Ilja, ormai… LULI (aggressiva) - Ilja è vicino a me, perché sente come me. Crediamo insieme, operiamo insieme. Egli è mio. MISIA - Questo no, questo no. Per pietà. (Retrocede e si appoggia allo scrittoio, come esausta, sopraffatta) LULI - È mio. MISIA (Lentamente) -Non l'avrai però... (È pallida e fredda; stende indietro la destra e solleva il coperchio del cofanetto che sta sullo scrittoio. Agisce con una calma attonita (?) gli occhi dilatati fissi sulla rivale, mentre Nipic la segue con lo sguardo, sorpreso, senza saper muovere (?) un gesto) Misia impugna la rivoltella, la spiana su Luli) Non l’avrai ti dico! (E spara). NIPIC Luli! (Con una balzo si è portato avanti, e riceve il colpo in pieno petto. Ma non si abbandona subito, rimane un attimo in piedi, sorretto alla vita dalla donna che gli è dietro). Riceve il colpo in pieno petto: il simbolo della offerta di sé. Sia pur lacunosa, con parole di difficile interpretazione, il senso globale di queste pagine si intende bene: non credo sia fare un torto allo scrittore far circolare almeno per grandi linee, il senso di questa commedia, sospesa tra tragico e comico, la cui conclusione prevede la decisa presa di posizione del buon I punti interrogativi segnalano delle parole ancora da chiarire in vista di una auspicabile pubblicazione integrale del testo. 15 240 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI medico Printz, rispetto a Nipic, nonostante le sue convinzioni laiche. Come sostenevo altrove16, in questo riconoscimento del medico si riflette la grandezza di Nipic, sia pur in una morte meno eroica di quella immaginata nella pantomima dei detenuti, per mano di Hitler in persona, che chiudeva il II atto. Alla fine del terzo, davanti ad un Prinzt decisamente sarcastico, i nazisti accorsi ad arrestare il redentore possono solo constatare che egli è in pace, remissivo ai loro ordini più di quanto si aspettino. Karpinski riceverà in dote, con gli elementi biografici noti, qualcosa di questi due personaggi: essendo medico, con una viva e profonda religiosità caritatevole, morendo in egual modo, sacrificandosi non in modo eclatante. Polacco, e forse ebreo, il narratore lo cerca in tutte le chiese, dentro e fuori se stesso. Quando, nei giorni di degenza, gli aveva chiesto dove passasse la domenica, il dottorino aveva risposto quasi parafrasando i Vangeli “Venga con me lo saprà”. Quel seguimi che non si è potuto realizzare, ennesimo, e forse decisivo, incontro mancato, visto che Morselli lo propone nella scena conclusiva di quello che resta il suo ultimo racconto. Come Nipic profeta di una sua morte prima del tempo e anche della “sofferenza” del narratore17: Costeggio ancora una volta quell’isola che, nella mia vita, è stato Karpinsky. Mi sforzo di ricomporUna figura che si presta ad una azione simbolica, in Antonio Di Grado, Andrea Santurbano, Fabio Pierangeli Guido Morselli: io, il male e l’immensità, edizione bilingue Italiano, Portoghese, Rio de Janeiro, Edizione comunità, 2011 17 Guido Morselli, Dissipatio H.G., Milano, Adelphi, p., 113. 16 NIPIC E KARPINSKI 241 re Karpinsky nei particolari della sua figura (figura fisica, e mi dico che la sua mediocrità, la sua trasandatezza nel vestire, avevano un significato), nel suo comportarsi con me, con Wanhoff che lo odiava, con gli altri malati. Mi sforzo, ma i risultati sono scarsi. Nel prato dietro la clinica un giardiniere falcia l’erba: dalla finestra della camera io vedo Karpinsky andargli avanti, chinarsi a cogliere fiori spontanei, fiori di campo. Sono steso, vestito, sul mio letto; Karpinsky osserva: “Sì, la metterò in libertà presto, ma lei tenga presente che dovrà soffrire”. Cosa non ammessa dai regolamenti di Wanhoff, Karpinsky ha accettato di sedersi al mio tavolino in sala, mentre io pranzo. Gli chiedo, chiacchierando, che età abbia, e scopro che di noi due è lui il più giovane. “Eppure”, mi dice, “lei ha da vivere tanto più di me”. Una previsione che si è mostrata esatta (Ma come faceva lui a prevedere?) Io sono ancora qui a penare. A purgare? Dottor Karpinsky, penso, a voce alta: ricordati di me. Come si ricorderà, Karpinsky è perseguitato, in una immagine capovolta e analoga a Nipic, dal direttore della clinica, vessato e mal pagato non smette di essere premuroso con i malati, donandosi. Tiene le mani incrociate sul petto, quasi fermando il tempo e lo spazio cinicamente usuale in una dimensione di carità, divenendo il simbolo stesso del sacrificio per gli altri. È un uomo intelligente, anticonformista, sia pur colto; studioso di psicanalisi, tuttavia vuole fare a meno del divano perché ama soltanto il rapporto da uomo a uomo, diretto, con i malati, senza nessun filtro di superiorità o di metodo scientifico. Amava, strano particolare, spia di una conoscenza autentica o un collage di più persone autorevoli, le moto di grossa cilindrata, con cui faceva lunghe scorribande, di duecento-trecento 242 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI chilometri. E naturalmente predilige le Gauloises, quelle dello splendido finale, di attesa, sospensione, utopia, con l’erbaccia che cresce nella piazza del Mercato e il narratore che attende, con in tasca proprio quelle sigarette, segno di quella intimità, comunque interrotta dalla morte di Karpinski, avvenuta due anni dopo la fine del ricovero, in modo simile a quella di Nipic, per altro in un asilo psichiatrico18: Era più giovane di me. Due anni dopo, per puro caso ebbi la notizia della sua fine. Si era frapposto, buscandosi un colpo di coltello, in una lite fra infermieri, nell’asilo psichiatrico distrettuale. Emorragia interna, solo 24 ore di agonia. Notizia, in definitiva, non particolarmente enfatizzata o sottolineata tra tutte le altre che riguardano Karpinsky: serve solo sapere che rimane in attesa, condannato o eletto, come colui che ha chiamato ed aspetta di incontrarlo con in tasca le Gauloises. 18 Ivi, p. 63. NIPIC E KARPINSKI 243 244 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI”. Divagazioni su alcuni testi della Biblioteca personale di Morselli. Un sentito ringraziamento per il sollecito aiuto e l’apporto culturale alla Biblioteca civica di Varese, dove, nel Fondo Morselli, vengono custoditi i libri appartenuti allo scrittore. In particolare alla direttrice dott.ssa Chiara Violini, ad Antonella Morelli e a Valeria Massari. IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 245 Riepilogo, fuga, solitudine Sono orgoglioso (è forse il mio unico orgoglio) di sentirmi, in male e in bene, un riepilogo degli uomini1. Così Guido Morselli scriveva nel Diario, circa vent’anni prima di Dissipatio H.G.. Profeticamente, se si pensa che nell’ultimo romanzo, scritto a un passo dalla morte, nel 1973, l’istrionico e camaleontico autore si immedesima in un ultimo uomo rimasto solo sulla terra, tessendo un dialogo/monologo, fitto di ricordi libreschi e frasi celebri, con l’intera umanità, misteriosamente scomparsa. Si tratta dell’ultimo, estremo, capitolo, con tinte scopertamente autobiografiche, di una capacità non comune anche alla categoria degli scrittori di celarsi dietro personaggi storici o ambienti verisimili, per mandare messaggi originali e caratteristici. Sentendosi “un riepilogo degli uomini” e nello stesso tempo preservando gelosamente dagli “altri”, nella vita privata, la sfera intima, fantastica. Costruendosi persino un solitario eremo a Santa Trinita, la “casetta rosa” che ci appare, come detto, una specie di bosco salvifico come per Walden, protagonista dell’omonimo romanzo di Thoreau, purtroppo violato dalle mafie e dalla incuranza egoistica della gente2. 1Guido Morselli, Diario, a cura di V. Fortichiari, Milano, Adelphi, 1988, p. 163. Il corsivo, anche nelle altre citazioni, è di Morselli. 2 Si tratta dell’efficace ritratto di Valentina Fortichiari, in Ipotesi su Morselli, “Autografo”, n.37, 1998, p. 61. Si veda la conclusione, palpitante e commovente, da pag. 71, sul suicidio, a partire dalla rivisitazione della frase di Giusep- 246 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI In fuga da se stesso, ma più propriamente dagli altri, da tutti coloro che minacciavano il suo mondo interiore, inaccessibile, difeso ad oltranza: qualcuno provò a indagare nei suoi interessi, a fargli domande, forse soltanto a chiedergli consigli su possibili letture. Guido Morselli si sottraeva pe Rensi, il filosofo amato da Morselli, apposta sulla sua libreria: Etsi omnes, non ego. La frase originaria era Etiam omnes, ego non, in una tipica assimilazione “a memoria” usata in Dissipatio H.G. e un po’ dappertutto nella sua opera. Sull’importanza di questa frase testamentaria il saggio di Andrea Cortellessa “Es ist genug”. Guido Morselli sull’estrema soglia, “La Scrittura”, N. 4, inverno 1996/7. Su Thoreau in questa chiave lo splendido intervento di Rinaldo Rinaldi, Oltre la fine. Labirinti e profezie di Guido Morselli, in Narratori del Novecento, tomo II, a cura di Rocco Mario Morano, Soveria Mannelli (Cosenza), Rubbettino, 2012: “Quando il vorticoso labirinto di “attimi” si arresterà nell’’istante’ della ‘felicità’ o ‘pienezza di vita’ in cui ‘viviamo veramente’, quello che Thoreau di Walden (libro fondamentale per Morselli) chiama ‘the bloom of the present moment’, diventerà infatti visibile il mondo nuovo: quello annunciato dal fantasma salvifico e cristico del medico Karpinski nel finale di Dissipatio H.G., quello che trasformerà il labirinto in un nuovo inizio rimettendo al loro posto tutti i pezzi del gioco”. Thoreau indica la svolta, il momento decisivo in cui dalla sofferta via crucis del perdersi nel labirinto della crisi di identità, davanti al minotauro della nevrosi, avviene la miracolosa metanoia dallo spazio chiuso a quello aperto. Da questa metamorfosi interiore, vissuta in solitudine, il protagonista acquista coscienza dell’altro da sé. In Morselli la sparizione del genere umano e la scoperta di essere rimasto solo al mondo, sostiene molto giustamente Rinaldi, è narrata “oltre la soglia”, (si ricordi l’episodio della pistola subito dopo il tentato suicidio), se non post mortem almeno da un “precipizio”, dalla vertigine di una esperienza profonda sospesa tra il qui terreno e un altrove non ancora raggiunto. Come non essere d’accordo, a cent’anni dalla nascita di Guido Morselli, entrando nel quarantesimo dalla morte con queste finali parole di Rinaldi? “I suoi romanzi, fuori da spazio e tempo, hanno davvero la voce dell’Apocalisse”. IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 247 fingendo di non aver capito, divagando o cambiando improvvisamente discorso, oppure allontanandosi di colpo. Il gusto istrionico e teatrale si coniuga perfettamente con il costume di appropriazione e rifacimento creativo delle citazioni (vero e proprio colloquio con i libri letti, tra sarcasmo e struggimento, nella solitudine di Dissipatio) e della riscrittura della storia, asse portante anche del teatro, con protagonisti Giulio Cesare, Carlo Marx, Benito Mussolini3, sullo “stilema” caratteristico del “contro-passato”, ovvero il momento in cui la storia poteva, molto realisticamente (Cesare, in parte Marx) o molto paradossalmente (Mussolini) prendere una piega diversa, in direzione di una mediazione culturale e sociale guidata da uomini capaci di orientare, annientandolo, lo spirito egoistico verso il bene comune. Nel teatro, tuttavia, se si eccettua il redentore, personaggio, però, d’invenzione, sia pur figurale di molti “martiri” della storia, il tentativo di cambiamento in meglio risulta del tutto fallimentare, per ragioni diverse in ogni testo. Giova ricordare, nel capitolo finale, quello che si è detto nell’introduzione: l’interesse per il teatro non è occasionale o sporadico, occupando, con la stesura dei sei testi, un ampio arco cronologico, dal primo abbozzo di una commedia di costume, dell’agosto del 1943, Tempi liceali al 1968 del Marx. Rottura verso l’uomo4. In questo 3Giuseppe Pontiggia, Prefazione a G. Morselli, Diario, cit., p. XV. 4Nel mezzo le altre prove inedite, interessanti nel presentare commisti i temi portanti di Morselli del male/malattia; colpa/redenzione e in cui si fa un uso molto efficace del teatro nel teatro, con un primo intervento e- 248 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI arco di tempo, rivede la sua prima “compiuta” commedia (L'amante di Ilaria) dal 1949 al 1956, e compone le altre tre ancora inedite, Cesare e i pirati (prima stesura nel 1951 poi, con varie riprese, fino alla metà del 1956), Cose d'Italia (1956) e Il redentore, 19565. I principali filoni dell’universo morselliano producono opere teatrali6: le due commedie di ambito marxista, l’una nell’idea del contro-passato, l’altra della commedia di costume; Il redentore, dell’ambito splicativo del Capocomico, prima dell’inizio dell’azione scenica e soprattutto con un’intensa rappresentazione, organizzata da due pazienti del manicomio dove l’opera è interamente ambientata, che profetizza il finale, in conclusione del secondo dei tre atti previsti. 5 La cartellina denominata “Lavori per il teatro e il cinema” attesta la contiguità tra le sceneggiature e i testi teatrali, nel caso de Il secondo amore (qui non datato, ma nel manoscritto si legge: 28-3-‘50 e come data di correzione 15-4-50. Nella cartellina rossa che lo conteneva, la data è spostata ancora in avanti: 3-10-‘50) e di Cose d’Italia (datato 23-6-‘56), adattabile ad entrambe le arti. L’amante di Ilaria porta la data del 5-1-1950 e 16-1-’56 “manoscritto definitivo”. Cesare e i pirati, 21-11-’51. Da segnalare anche la traduzione di Marivaux, Il gioco dell’amore del caso, 27-1-’50. 6 Cfr.: Annalisa Gimmi, Tra le commedie inedite di Guido Morselli. Il rovello del comunismo dalla scena ai romanzi, in “Bollettino Società pavese di Storia Patria”, 1997. La recente scoperta del Redentore, scrive giustamente la Gimmi, “occupa un posto di rilievo tra le composizioni sceniche - e non solo -, perché con la sua presenza colma una lacuna nelle tematiche morselliane trattate nelle differenti vesti di saggio, di narrazione e di testo teatrale. In questo lavoro viene affrontato il problema della fede, in particolare della teogonia da cui Morselli era particolarmente attratto e che aveva gia approfondito nel saggio Fede e critica di quello stesso anno 1956, anno del “ritiro” dello scrittore nella casa di Santa Trinita, che è coinciso con una profonda crisi religiosa”. IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 249 religioso cristiano; Cesare e i pirati nell’ottica delle rivisitazioni poetiche della storia (quali Divertimento 1889 e Contro-passato prossimo), la moralità in tre atti e un prologo Cose d’Italia che, rivolgendosi a momenti più vicini nel tempo, fermandosi sulla figura di Mussolini, contiene, lo abbiamo esaminato, elementi di attualità precisi, come il “vizio” nazionale delle scommesse e del totocalcio. Il 3 marzo del 1954 scriveva nel Diario, evidenziandolo in corsivo: L’Italia è quel paese dove è estremamente facile fare quello di cui non si ha diritto, estremamente difficile fare quello di cui si ha diritto. Segue, a due mesi di distanza, un’importante sintesi di progetti per il futuro. Nel primo “il crepuscolo dei re” si potrebbe leggere, come invita la Fortichiari, il futuro Divertimento 1889, del terzo “psicologia del celibato”, la stessa curatrice del volume ricorda il giovanile triumvirato degli scapoli a cui solo Guido rimase fedele, per il quarto, sulla traccia dell’”ottimismo” ne rimangono tracce indirette, ma non determinanti, nella narrativa. Il secondo trova realizzazione artistica ancora in alcuni passaggi del Divertimento, in Brave Borghesi, nell’impianto di Dissipatio H.G., più genericamente, ma soprattutto in Cose d’Italia (che ne poteva essere l’immediata realizzazione) e Roma senza papa, di cui abbiamo considerato le importanti convergenze. Come attesta un episodio del primo romanzo, Uomini e amori, (trascritto in un primo abbozzo, come consuetudine di quegli anni, anche nel Diario) l’interesse per il teatro è vivo fin 250 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI dall’inizio della produzione creativa di Morselli. Nel personaggio temporaneamente chiamato Sandro, e poi definitivamente Vito Antonicelli detto Cambria, descrive attitudini biografiche, in una sorta di specchio, da quel palcoscenico, in una platea immaginata, e desiderata, ancora pronta all'applauso. “Un qualche cosa di istrionico” caratterizza questo personaggio anche fuori dal teatro, attore naturaliter e “anti-mimico”7, capace di considerare un aspetto critico della professione artistica: “non osò più, dopo quella scoperta, classificarsi (come s’era compiaciuto per l'innanzi) tra le nature psicologicamente semplici”. Vi sono però anche aspetti diversi, più sofferti evidenziati nel primo romanzo attraverso la figura di Vito: l’immedesimazione con il sentire altrui può creare uno spaesamento, la mancanza di unità nel comportamento, se non superficialità. Morselli in Uomini e amori e più compiutamente in un fondamentale passaggio di Dramma borghese inventa, come si è già detto, un pregevole neologismo: laminazione per indicare una continuità con il teatro della tortura, secondo la celebre definizione di Giovanni Macchia, del teatro pirandelliano. L’uomo, torturato da un sentimento di lacera7Guido Morselli, Diario, cit., p. 54. Vale la pena di leggere, nelle stesse pagine, un passo dove si può intravedere l’abbozzo di un prontuario per il buon attore: “Da tempo si conosceva questa attitudine e più volte aveva sentito desiderio del palcoscenico. Nondimeno quel saggio rappresentò anche per lui una rivelazione, e che gli dischiuse un nuovo e inatteso aspetto della sua personalità [...] qualche cosa di istrionico, una compiacenza del gesto e dell’inflessione [...] e sia pure che in lui un tal gusto fosse caratteristicamente anti-mimico, rivolto cioè a esprimere con i mezzi semplici e sobri”. IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 251 zione, cerca un centro affettivo e intellettuale che ne ricomponga gli sparsi elementi 8, come si è visto fin dal primo capitolo, ponendo attenzione sulle trame degli incontri desiderati e mancati. In questa nostra epoca, scrive il 20 luglio del 1960, ci sono mancate le “guide spirituali”, mentre, e si considerino ancora le commedie e Roma senza papa, tra farsa e tragedia, di “meneurs”, di inviati della Provvidenza, in sede politica, ne abbiamo avuti fin troppi! Tema novecentesco vissuto con originalità dai personaggi di Morselli, per esempio nella meditazione di Vito, il cui appellativo di multi anime è sinonimo di passività rispetto agli accadimenti della storia, personale e pubblica (la Seconda Guerra Mondiale)9. Il brano della recita per beneficenza di Uomini e amori con protagonista Vito offre altri segnali importanti sulla idea di teatro di Morselli. Il luogo della rappresentazione è un “piccolo e illustre teatro milanese”, si mette in scena una commedia capostipite di un genere detto grottesco. Con ogni probabilità si allude a La maschera e il volto di Luigi Chiarelli, citata nel Diario, commedia di “mezzo fra la moralità e la farsa”: definizione di un genere ibrido che rivela anche un gusto ben presente ne Il redentore e in Cose Si veda anche più avanti, una specie di riepilogo di queste riflessioni in chiave filosofica all’inizio del XVI quaderno, dal febbraio del 1968. 9 Guido Morselli, Uomini e amori Milano, Adelphi, 1999, pag.,336. Proprio durante queste riflessioni, la luce solare radeva il piazzale dove si trovava Vito, componendo quell’effetto di laminazione intravista quale metafora della coscienza della passività dell’artista. In Dramma borghese l’immagine, senza allusioni al paesaggio, come si è visto nel secondo capitolo, viene direttamente attribuita alla condizione esistenziale del narratore. 8 252 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI d’Italia, e in qualche scena anche nel Marx. Cambria si dimostra originale, stupisce tutti, sebbene in un primo momento abbia avuto la tentazione di “ruggereggiare” con una condotta scenica peculiare. Tutti ma non lui stesso: è cosciente della propria attitudine istrionica, un compiacimento e una tendenza, inconsapevole, a recitare. Il 5 luglio del ’46, Morselli indica ancora nel grande attore pirandelliano Ruggero Ruggeri un modello di quella “attrattiva che hanno sempre esercitato su di me i grandi attori”. Rivelatosi con Aligi della Figlia di Iorio, il grande attore dal portamento signorile, “un certo ineffabile alone d’interiorità” fu il modello estetico per tutta una generazione e con le doti appena citate, stigmatizzate dalla storica “Enciclopedia del teatro” di Silvio D’Amico, poteva piacere al raffinato Morselli. Passando da Wilde, Sardou, Bracco, Shakespeare e approdando a Pirandello nella piena maturità dal 1918 del Giuoco delle parti al 1935 di Non si sa come, recitando nel Tutto per bene, Il piacere dell’onestà, Enrico IV, Sei Personaggi in cerca d’autore del 1925. Pur contrario, quale attore “all’antica”, al teatro di regia italiano, lavora, ormai ottantenne, in spettacoli che Morselli avrebbe potuto vedere: per esempio a Milano nella Basilica di San Paolo, nel 1946, nei panni di Becket nell’Assassinio nella cattedrale di Eliot, nello stesso anno per Strehler Pick-Up Girl di Shelley, con Visconti nell’Oreste (1949). L’interesse per gli attori si esplica in un brano del 17 ottobre del 1947. Morselli si dilunga sulla “transcodifica”, si direbbe oggi, dalla parola scritta, in un autore puntiglioso nelle descrizioni come Alessandro Manzoni, al cinema, per il noto film tratto dal capolavoro manzoniano da Mario IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 253 Camerini (citato per altro anche in Incontro col comunista, quando Ilaria si chiede se Gildo è interessato ai classici letterari italiani e magari ha potuto vedere la riduzione cinematografica dei Promessi sposi10). Lo spunto è l’interpretazione di Don Abbondio da parte di Armando Falconi nella scena del XXXIII capitolo dopo che il prete rivede Renzo e ne ha una reazione di meraviglia scontenta. L’attore, per esempio interpretando il “corrugò le ciglia” o lo “strinse le labbra”, rispetto alla “precisa sinteticità” della scrittura a stampa, si trova davanti “col suo volto” a qualcosa di ben più complesso, di più preciso e personale. Il drammaturgo e il buon regista lo sanno: la didascalia teatrale, per lo più, non palesa indicazioni di gestualità per gli attori, spetta al loro mestiere di sapere interpretare la parola del testo scritto. Ne consegue l’ovvia constatazione per cui il romanzo o il racconto sono sempre, per quanto lo scrittore possa essere meticoloso, un impreciso canovaccio per chi si accinga a trasportare la scena al cinema o al teatro. I linguaggi dell’arte, conclude Morselli, sono dunque differenti e incomunicabili: ciò che è arte per l’una non lo è per l’altra. L’arte dell’attore affascina Morselli. Perfino all’eccentrico e positivo Giovanni XXIV di Roma senza papa piacciano gli artisti di strada, mentre accenni alla lirica e al teatro, frequentati dai vari personaggi dei romanzi, si trovano in numerosi episodi narrativi. Importante la citazione, nello stesso romanzo romano, di uno spettacolo in scena a Roma mentre don Walter si trova nella capitale in attesa di incontrare il Papa: I fisici Guido Morselli, Incontro col comunista, Milano, Adelphi, (1980), 1995, p. 38. 10 254 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI di Dürrenmatt, come già accennato in precedenza. Sin dall'aprile del 1944, Morselli appunta una riflessione sul teatro nel teatro di Pirandello, sottolineando l'importanza della dialettica vita/forma e mostrando di comprendere profondamente il messaggio pirandelliano, commentando, nell'introduzione ai Sei personaggi in cerca d'autore, “l'inganno della comprensione reciproca”. Ventiquattro anni più tardi si mostrerà in grado di portare originalmente a compimento, in uno scritto per il teatro, il Marx, ciò che qui è definito il “gusto di riflettere in un certo senso l'opera teatrale in se stessa” e, più avanti, il carattere di noi moderni che “ci siamo sforzati di drammatizzare la creazione, di fare d'essa stessa opera d'arte”11. Maschere e travestimenti, espressioni e situazioni attinte dal mondo del teatro testimoniano ulteriormente una vicinanza non occasionale. Umberto I, di Divertimento 1889, deve travestirsi per uscire dal suo ruolo soffocante e per concedersi una vacanza alle sue responsabilità. Morselli, abilmente giocando con il lettore, ben cosciente della fine tragica del re, gli permette di cambiare abito, di inventare mete “fittizie”, nella sensazione che la bugia che si presta meglio è la più banale, in un clima da commedia alla Goldoni o alla Marivaux, tra incontri galanti e pericolosi errori che lo portano, sempre in incognito, nelle mani della polizia svizzera. In definitiva, come ben chiarito verso la fine dell’eccellente “divertimento”, la libertà per il re è essere se stesso: per farlo, paradosso teatrale, deve travestirsi e incappare in tutti gli equivoci della commedia. Anche il giornalista che 11Ivi, p. 81. IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 255 riesce a carpire il segreto del re deve agire in incognito, assumere una maschera (“tutti i panni sono buoni per camuffare il giornalista”), comportarsi da spia, per capire fino in fondo il gioco di Umberto e dare notizia sui giornali del suo travestimento. L’uomo resta perfino deluso a vedere quel re in abiti borghesi, circondato da una “corte dei miracoli”, pur riconoscendolo inequivocabilmente, gli appare insignificante. Non mancano pagine sui vizi italiani, già esaminate in Cose d’Italia, visti oltre le Alpi, in quegli alberghi ben noti ai lettori morselliani un poco isolati della Svizzera, dove incontriamo anche Marx e Bakunin, in anni non molto distanti e dove, tra gli altri, si ambienta la scena a due di Dramma Borghese. In questo romanzo (come già il titolo richiama, rifacendosi a una delle modalità sceniche e drammaturgiche più note, il dramma borghese, appunto) l’impianto teatrale si rivela nella struttura - attraverso lunghi monologhi, dialoghi serrati e il susseguirsi delle scene e degli ambienti - come nei contenuti, con il rimosso che assurge presto a tema centrale, nel climax ascensionale dei rapporti tra i due protagonisti, padre e figlia, con un passo scandito da un senso pieno del tragico moderno, quando la ragazza è in fin di vita per un probabile tentativo di suicidio, in un finale tra i più intensi di Morselli. In Brave borghesi esplicitamente citato un tipo di teatro alla George Bernard Shaw, capace di rilevare, in sequenze brillanti, quanto profondamente satiriche, i costumi dell’epoca, denudando la esteriore buccia moralista, come lo stesso Morselli, con esiti imprevisti, riesce con efficacia a proporre, attraverso la bizzarra inchiesta del giornalista protagonista di questo ennesima eccentrica prova letteraria di 256 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI capacità camaleontica. Attorno alla metà degli anni Cinquanta, dunque, gli anni delle sofferte (anche se mai abbandonate) riflessioni sul senso del male, si intensifica l’interesse per la drammaturgia, per la fotografia e il cinema amatoriale come prospettiva diversa per osservare la realtà, in alternativa alla scrittura. Decennio in cui la storia del teatro registra spettacoli memorabili in Italia, in buona parte a Milano, per merito del Piccolo Teatro, con le recensioni autorevoli da parte dei quotidiani maggiori, in particolare, per il “Corriere della Sera” di R.S (Renato Simoni) e del suo successore, dal 1952, Eligio Possenti, e per il “Giorno” Roberto De Monticelli, personalità di spicco della cultura italiana, seguiti da Morselli, insieme alle rubriche teatrali della “Prealpina”, del “Mondo” e “L’Espresso”, con interesse indubbio come attestano i ritagli di giornale conservati al Centro Manoscritti, molti dei quali sottolineati e talvolta postillati a margine. Accanto al consolidarsi del teatro di regia, giungono gli echi delle avanguardie (termine assai generico, come è noto, in quel periodo, includendo anche il teatro definito dell’assurdo, Ionesco e Beckett, ad esempio) europee e americane che Morselli mostra di conoscere nel Marx. Intorno a Brecht Dagli ultimi anni Cinquanta ai Sessanta, dopo qualche annata di relativo silenzio, si registra un’ampia fortuna scenica dei testi di Brecht. L’interesse per questo autore coinvolge Morselli IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 257 sia sul piano biografico (il marxismo, la fuga dalla Germania, il rientro a Berlino Est, le varie contestazioni di natura politica subite per il silenzio rispetto alla rivolte sedate con la forza dal regime con l’intervento dei russi) che sul piano strettamente artistico, mostrando una particolare predilezione per l’operazione di recupero della storia nel Galileo e per lo lo stile miscidato caratteristico del teatro epico. Il celebrato allestimento de L’opera da tre soldi per la regia di Strehler va in scena al Piccolo Teatro nel febbraio del 1956: si potrà parlare di vera prima italiana del testo, dopo l’adattamento e l’ampia rielaborazione di Corrado Alvaro e Alberto Spaini, per la regia di Anton Giulio Bragaglia e l’interpretazione di Armando Falconi e una “furtiva” apparizione con la regia di Vito Pandolfi e il giovanissimo Gassman al teatro Argentina di Roma, come saggio della Regia Accademia drammatica nel 1943. Un testo, presente nella biblioteca personale, da cui Morselli trae il gusto dell’anticonformismo, di mandare all’aria le morali correnti, l’ironia corrosiva che Brecht riprende dalla fonte settecentesca del teatro inglese, The Beggar’s Opera, inserendoci la sua visione programmatica e didascalica estranea al nostro. La Vita di Galileo con Buazzelli, per la regia di Strehler, solca le scene del Piccolo nel 1963: lo stile epico brechtiano si incontra con il rigore e la poesia del grande regista. L’interpretazione di Buazzelli è salutata come la sua più alta (si ricorda anche, in precedenza, un memorabile Mercadet, nell’opera omonima di Balzac), rendendo perfettamente la solitudine del grande scienziato. Evento che lascia traccia in Morselli, 258 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI intento alla stesura dell’ultima commedia come attestato da appunti manoscritti e ritagli di giornale, che si rivolgerà all’attore per un giudizio sul Marx, ricevendone apprezzamento sul testo, ma giudizio negativo sulla teatrabilità12. L’opera da tre soldi di Brecht, nella traduzione di Enrico Castellani per Einaudi (l’edizione di Morselli porta la data del 1961) è senz’altro un punto di riferimento per il Marx e per l’opera di Morselli in generale, sia per gli spunti tematici, che per la sintesi tra gli stili, dall’alto e dal basso. La copia in possesso dello scrittore nella sua biblioteca presenta rare sottolineature. Appare evidente una modalità costante, ovviamente con eccezioni, che contraddistingue il lavoro di Morselli nei libri della sua biblioteca personale. Il procedimento delle glosse, riguarda, in linea generale, libri di carattere storico letterario filosofico, divulgativo o saggistico. Per una forma di rispetto verso un modello autorevole, il procedimento risulta differente nei volumi creativi, nei quali, indicando spesso il periodo di lettura, Morselli si limita a individuare (a futura memoria e un possibile riutilizzo) la pagina di interesse nell’indice, alcune volte con glosse autografe. Il segno rosso, distinto da quello a matita, o più raramente il blu, indica con molta probabilità una seconda lettura, magari in compagnia della Bassi. Nel caso del testo brechtiano, l’interesse si appunta al linguaggio sboccato e ammiccante del popolo13. Cfr: Valentina Fortichiari, Guido Morselli: Marx rottura verso l’uomo, “Sincronie”, anno VII, vol. 14. 13 A p.,32, nella II scena segnala nella didascalia: Mac, “con un fulmineo gesto, stende a terra Mattia” e la battuta di Macheat. “ Tieni la lingua a posto”. Così più avanti, al12 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 259 Dall’Opera da tre soldi potrebbe derivare l’idea dello striscione finale che riprende quella dei cartelloni dove vengono proiettati il titolo e anche le strategie dell’happening, in uno sguardo suggestivamente teso a creare delle pertinenti analogie in istanze diverse di teatro. Negli anni Sessanta, grazie al Piccolo Teatro e ad altre iniziative culturali, come il grande Convegno Internazionale organizzato dal GoetheInstitute nel ’68, il drammaturgo tedesco vive probabilmente il culmine di quella florida stagione. I ritagli di giornale conservati da Morselli registrano episodi particolari, perfettamente in linea con il suo temperamento, costantemente alla ricerca di elementi di contro-passato, non certo facile alleato dei momenti di gloria e di incensamento di qualsivoglia artista. Così troviamo ad esempio un ritaglio dal titolo Hanno tolto i denti al pescecane di Brecht, del 9 marzo del 1963, dal “Corriere della sera”, che commenta come il cinema abbia “tradito” la drammaturgia, proprio a partire da quelle famose metafore che il titolo riprende, all’inizio dell’Opera da tre soldi. L’oggetto dell’articolo di Vittorio Brunelli è il film diretto da Wolfgang Staudte dalla piéce di Brecht, con protagonista Curd Jurgens. L’unica sottolineatura di Morselli va nella direzione che poi si ingigantisce in un altro ritaglio di giornale, non estranea ai temi del Marx, dove l’ombra di Brecht aleggia in varie modalità, anche contratro interesse per il linguaggio da trivio, sempre di Mac p., 37, in un tipico fraseggio di metafore sballate: “Ah, mangi la trota col coltello, nevvero? Giacobbe, è inaudito! Chi si comporta così non è altro che un maiale”. E nell’Atto Terzo VII Peachum” Ma io ho scoperto che coloro che posseggono sulla terra possono sì provocare la miseria, ma non possono contemplarla”. 260 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI stanti. La frase evidenziata con la sottolineatura è la seguente, nel brano conclusivo in cui l’articolista ricorda le vicende dell’Opera da tre soldi sotto il nazismo, la fuga del drammaturgo dalla Germania e, finita la guerra: “(la scelta che fece) di andare a vivere a Berlino Est, fino alla morte, che sopravenne nel 1956”. Dall’”Espresso” del 16-1-1966, Morselli conserva l’articolo di Salvo Mazzolini, Barricate solo a teatro; si racconta delle polemiche scatenate, ancor prima di essere rappresentato allo Schiller Theater di Berlino Ovest, dall’opera di Gunter Grass I plebei provano la rivolta, nella quale è chiaramente effigiato il drammaturgo incerto e poi cosciente di non dare alcun appoggio agli operai che protestavano contro il regime comunista, di non aver pronunciato parola di fronte alla chiara ingerenza sovietica. Morselli potrebbe anche aver rilevato, in vista del Marx, per il diverbio centrale tra pensiero e azione, il fatto che il Chef, il Capo, la figura che molto chiaramente richiama a Brecht, prova il Coriolano di Shakespeare, la scena nella quale la plebe si ribella ai patrizi. Quando entrano i veri operai in lotta, il Capo non trova di meglio che fargli recitare quella parte, trattenendoli a lungo, mentre fuori la polizia, con una dura repressione costringe i manifestanti a ritirarsi. Entrati in teatro, gli aguzzini, alla fine dell’opera, vengono ugualmente chiamati a interpretare il ruolo degli oppressori. I grandi ideali di Brecht rimangono, insomma, dentro il perimetro chiuso della finzione, l’azione rivoluzionaria spetta ad altri. Grass, con grandi proteste degli scrittori dell’altra parte del muro, con in testa la vedova di Brecht, la sua attrice Helene Weigel, insinua la collusione tra il drammaturgo e il potere re- IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 261 pressivo, la famosa politique d’abord così spesso denunciata dal nostro. Troviamo, dell’anno precedente, “Corriere della sera”, 12-2-’65, anche un’altra importante voce italiana che esprime un punto di vista su Brecht: Enzo Bettiza, Le mummie perfette di Brecht, dove lo scrittore istriano, con sottile ironia (specie quando si parla della sua “erede” Helene Weigel, pur con il rispetto per la grandezza del tedesco), ne riepiloga la fortuna presso il regime di Berlino Est, che gli ha perfino donato quel teatro ora in mano, appunto, alla efficiente e attivissima vedova. Indicando nel Galileo e in Madre Coraggio, i capolavori, innervati di una potenza drammatica rara, ne rileva anche delle scorie di un gretto sociologismo, considerato, in generale, il limite dell’operazione teatrale brecthiana. Assai interessante il finale dell’articolo, nel quale lo scrittore giornalista contrappone a questo “classico paludato” (e un poco sopravvalutato) l’evento più straordinario del teatro di quegli anni: il capolavoro di Peter Weiss: Persecuzione e morte di Jean Paul Marat, rappresentato dal gruppo di attori dell’ospizio di Charenton sotto la regia del signor Sade. Chissà se Morselli ha qui ripensato al Redentore, la sua opera teatrale inedita che quasi dieci anni prima aveva anticipato molto delle idee di Weiss: la recita in manicomio, un personaggio scandaloso (sia pur per altre vicende), la persecuzione e la morte di un simbolo di libertà. Tornando indietro nel tempo, Morselli conservava però anche due articoli encomiastici, nell’anno della morte di Brecht, vergati da due diversamente autorevoli scrittori e intellettuali: Elémire Zolla e Italo Calvino. La sottolineatura di quattro righe dell’articolo del primo, rafforza- 262 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI no l’idea di Morselli di interpretare la forma commedia come modalità moderna di rappresentare i nodi problematici della contemporaneità, nell’impossibilità di riproporre la sublimità del tragico del teatro antico o di quello shakespeariano. L’articolo di Zolla titola: L’emancipazione della commedia, con questa frase estremamente lucida, all’inizio, che deve aver colpito Morselli: “Non creò quindi personaggi a tutto tondo, poiché, in un momento storico in cui un personaggio non si raggiunge più attraverso la partecipazione affettiva, soltanto rischiosamente rivivendone la malattia è dato plasmarla”. Dall’articolo di Calvino, voce in crisi in quegli anni di metà del decennio Cinquanta per le ingerenze violente dell’impero comunista sovietico, sui tentativi democratici di Ungheria e Polonia, si ricavano dati storicamente importanti, anche per la storia della cultura, in quel momento così delicato per gli intellettuali di sinistra. Lo scrittore loda Brecht, andando oltre il consueto dovuto tributo per una autorevole figura appena scomparsa, valorizzando la sua idea di arte d’invenzione, rispetto alla teoria sociologica del rispecchiamento divulgata da Lukàcs, l’ osannato guru del marxismo in letteratura. Il drammaturgo, per Calvino, è il fautore di generi spuri, del teatro epico, del costante intervento tra l’oggetto della rappresentazione e il pubblico, accorto a tener sempre viva questa partecipazione, impedendogli di ascoltare passivamente, come splendidamente nel Galileo, capolavoro assoluto anche per Morselli. Altro ritaglio di giornale depositato al Fondo, del 7 ottobre del 1962, proviene dal “The New York Times Book Reviev”, a firma Harold Clur- IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 263 man, su due testi critici statunitensi che intendono stabilire il significato di avanguardia o nuova avanguardia. Il secondo, di David Grossvogel si merita una più articolata attenzione del giornalista-critico e anche quella di Morselli, accomunando Brecht, Ionesco e Beckett. Morselli sottolinea i tre nomi, il fatto che siano all’avanguardia in modi molto diversi, Brecht conservando intento didattico, ma volge la sua attenzione all’incomunicabilità propria del teatro di Ionesco che ha, altro passaggio sottolineato, dei padri artistici in Strindberg e Pirandello. Dal Metateatro alle (pseudo) avanguardie Nel marzo del 1955 trionfa a Milano, al Piccolo teatro, Processo a Gesù di Diego Fabbri, la cui struttura inquisitoria dentro il meccanismo del teatro è oggetto di una battuta nel Marx di Morselli, proprio in un contesto metateatrale. Documentato l’interesse di Morselli per Il seduttore dell’autore forlivese, andato in scena al Piccolo alla fine di quello stesso anno, con la regia di Franco Enriquez, con Giorgio Albertazzi14: anche in questo caso si tratta di un dramma profondo, sotto la veste di commedia brillante, stile ibrido che piace a Morselli. Su queste tematiche, ma in altra chiave, il Don Giovanni involontario Quella stagione del ‘55 aveva visto impegnati nella stagione teatrale i due attori successivamente interpellati per il Marx: Tino Buazzelli con il Lorenzaccio di De Musset, regia di Squarzina, e a più riprese Vittorio Gassman, con due messe in scene tra le più celebrate della sua carriera teatrale: Edipo re e Kean da Dumas 14 264 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI di Brancati15, andato in scena ancora nel 195616. Per la regia di Squarzina, nel 1961, per lo Stabile di Genova, Veniva allestita un’altra commedia sul Don Giovanni di un autore, George Bernard Shaw, che Morselli mostra di ben conoscere, facendone in Brave borghesi, come si è detto, uno dei più acuti descrittori dei costumi del suo tempo. In Uomo e Superuomo, come in parte nell’originalissimo romanzo-inchiesta, il seduttore del mito diventa subalterno al vitalismo della donna. Con “farsa e tragedia” si definisce una grottesca azione di guerra nel bel racconto Gli ultimi eroi (pubblicato sul “Contemporaneo”, 22 febbraio 1953, raccolto nel volume della Nuova Magenta, Una missione fortunata), in uno straordinario incipit. Formula valida per l’intero arco dell’ispirazione morselliana, che dal teatro passa alla narrativa e perfino alla saggistica e al giornalismo. Farsa tragica è il motto di Ionesco per Le sedie, andato in scena, per la compagnia Parenti-Lecoq, sempre al Piccolo di Milano nel 1956, insieme a La cantatrice calva, suscitando scalpore e polemiche. Tre anni prima, passando quasi inosservati, due attori francesi avevano portato in Italia Aspettando Godot. (Finale di partita va in scena due anni dopo, nel ’63 Giorni Del testo di Vitaliano Brancati conserva la recensione di Eligio Possenti, “Corriere della sera” del 10-6-1956, del Don Giovanni involontario che, all’articolista, del resto con tutta evidenza, appunto per il carattere involontario e anche seccato, assomiglia poco al Burlador de Sevilla, semmai conserva qualche tratto di quello di Byron, altro testo presente nella biblioteca personale di Morselli. 16 Andato in scena per la prima volta nel 1943, al Teatro delle arti di Bragaglia, fu interrotto dalle squadre fasciste aizzate dai giovani del GUF perche giudicato critico nei confronti del regime. 15 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 265 felici). L’interesse per i due autori di una avanguardia ormai entrata nella storia del teatro come “classica” è documentato nella Biblioteca personale del nostro. Il testo di Beckett, come si ricorderà, viene citato nel finale di Dissipatio H.G.: in un clima di attesa immaginato ancora più estremo per quel senso di solitudine, vi è però una certezza capace di capovolgere l’assunto del grande drammaturgo irlandese. Si è “certi”, lucida certezza tragicomica e umanamente luminosa, che sia Karpinski ad attendere il narratore, a lasciare dei segni, per farsi incontrare. Rimasto unico al mondo deve solo concentrarsi e capire in quale luogo avverrà tale epifania. Non è dunque nascosta una certa ironia verso la “immortale” fortuna del testo di Beckett, che ritroviamo puntuale nella edizione della biblioteca personale, Torino, Einaudi, 1964, con l’introduzione di Carlo Fruttero. Nella pagina 5, l’attento lettore sottolinea: “inesistente l’intreccio, soppressa ogni linea di narrazione” e alla 6: “Attraverso un lunghissimo giro, che passa per gli inevitabili Proust, Joyce e Kafka, Beckett è ritornato al bozzetto, al componimento della quinta elementare, come alla frazione più ridotta, essenziale della letteratura”. Il drammaturgo irlandese interessa Morselli per la qualificazione di punta avanzata in un processo di assottigliamento di valori e di espressioni, che si tramuta nella difficoltà, o impossibilità, di comunicazione. Tutto questo, ancora una volta, attraverso un gusto ironico, da commedia: importante la notazione di Fruttero sulla strategia del lavoro di Beckett: ha raggiunto un grande pubblico facendo anche ridere. L’humour et le néant è la definizione di Beckett secondo Maurice Nadeau. 266 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Morselli condivide il punto di vista di Fruttero sui tentativi inutili e ideologici di assimilare Godot, ad una visione politica, con la costruzione di una immagine di Dio-Godot, rispetto ai due che lo attendono, in cui una parte della critica si convince di vedere la piccola borghesia che se ne lava le mani e in Pozzo il capitalista che sfrutta il proletario Lucky. Neanche il tentativo di spiegare l’opera Vangelo alla mano convince Fruttero. Morselli commenta a matita sopra la pagina, la 11, con la sottile ironia che gli conosciamo: “Tentativi di fare di Bec (r’)k un Brecht o un Paul Claudel”. Poco sotto sottolinea la conclusione di Fruttero: “dopo mezzo secolo di decadentismo sempre più precipitoso egli raccoglie ciò che hanno seminato i suoi predecessori”. E ancora sottolinea un passaggio nella conclusione di Fruttero: “Quel che è certo è che essa esprime nel modo più estremo che mai sia stato tentato sulla scena una condizione di cui, in diversa misura, ciascuno di noi ha coscienza, e che ci presenta una immagine schiacciante della vita (o, se si vuole, della “civiltà occidentale quale si è ridotta oggi)”17. Alla fine dell’opera, p. 111, scrive a matita tre righe di assoluta lucidità: Questo Beckett può essere un “furbo” che ha sfruttato la dabbenaggine dei borghesi (ipnotizzati dalle “avanguardie” come la colomba dai serpenti). O può essere un furbo in altro senso: uno che ha voluto far la satira di questi stessi borghesi (e di queA p. 56, appunta: (si tratta del lungo monologo di Lucky che inizia “Considerata l’esistenza così come appare dai recenti lavori pubblici di Poinzon”): “Rabelais ha un altro scolaro, Beckett dopo Joyce”. 17 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 267 sta stessa cultura). Poco cambia il risultato – e al giudizio critico. E buona notte al secchio – e agli esegeti. Lo humour è dunque anche di Morselli, sarcastico con i critici ideologi o inventori, e in parte anche con quelle che allora venivano considerate avanguardie. Si comprende anche la frase rovesciata e in definitiva allora ironica del passaggio di Dissipatio su Aspettando Godot.18 Di Ionesco, nella copia del Rinoceronte, Torino, Einaudi, 1964, Morselli può leggere l’introduzione del critico teatrale del “Giorno”, Roberto De Monticelli, sul frontespizio appunta anche “Cfr un commento di G. Calogero, su Il Mondo, 19-7-60. Sottolinea a p. 7 “il disperato solipsismo intellettuale” (vedi le cronache) e nella stessa pagina: “L’assassino è in realtà una immagine delle alienazioni cui gli uomini sono sottoposti nelle società moderne”. Il brano sottolineato è più lungo e parla del conformismo capace di chiudere gli occhi in un cammino verso l’annientamento, che somiglia molto all’uso della parola alienazione nell’universo morselliano. A p. 8 sottolinea l’intelligente notazione di De Monticelli, su di un piano esistenziale: Nessuna società ha potuto abolire la tristezza, nessuna politica ci può liberare da un malessere esiL’unico ritaglio di giornale conservato nel volume contiene la recensione del “Corriere” di Radice sulla messa in scena, a cura dello Stabile di Torino, di Giorni felici, per l’interpretazione di Laura Adani. La corta linea a lato di Morselli, sottolinea non i contenuti della commedia ma, come abitudine, un concetto generale: “Beckett supera di gran lunga gli scrittori della così detta avanguardia ai quali fu spesso avvicinato per ragioni di comodo”. 18 268 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI stenziale, dalla paura della morte, dalla nostra sete d’assoluto; è la condizione umana che determina la condizione sociale e non viceversa. De Monticelli commenta, riportando il pensiero del drammaturgo: “qualsiasi società, per perfetta che sia, implica una spersonalizzazione dell’uomo, spinta talvolta ‘fino all’alienazione totale e all’ingresso nella irresponsabilità collettiva’”. Due piccole correzioni del testo fanno pensare o a una lettura in lingua originale o a precisazioni opportune: nella didascalia del secondo atto, in apertura, leva “organismo statale” e inserisce “ente”, scena prima atto secondo a “impiegato quadro” corregge e mette “d’ordine”. Nel 1960, sempre con Tino Buazzelli (tra i protagonisti Tino Carraro e Sara Ferrati), compare una delle commedie più convincenti di un drammaturgo prossimo per vicinanza geografica e formulazione del genere tragicomico come il solo capace di descrivere i drammi moderni: La visita della vecchia signora di Dürrenmatt. Del 1965 la rappresentazione de I fisici, tragicommedia probabilmente non a caso citata in Roma senza papa. Ambientato in manicomio nel secondo dopoguerra, riporta l’attenzione sull’uso da parte del potere delle conquiste scientifiche, in particolare sulle potenzialità devastanti del nucleare e ha più di un elemento in comune con Il redentore, scritto quasi dieci anni prima da Morselli, sul piano delle libertà oggettive e della politica transnazionale. A Milano avrebbe facilmente potuto vedere in azione il Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina nel 1961 con The Connection, salutati come la vera novità del teatro mondiale. Alla fi- IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 269 ne del decennio, proprio nel 1969, la messa in scena italiana di Paradise now inquieta anche un critico intelligente come De Monticelli, che aveva ben apprezzato il gruppo, è ancora teatro o cerimonia collettiva all’aperto? Morselli, sia pur già completato il testo teatrale, poteva facilmente aver letto quella recensione. Nel Marx si accenna all’happening, già comparso in una nota sentenziosa del diario19: “L’happening (c.d.) non è forse anch’esso un ‘figlio’ del mai tramontato storicismo?”. Operazioni di rottura e di avanguardia sembrerebbero riportare per Morselli antiche e logore idee antropocentriche del mondo: in questo caso però bisogna tener conto quale espressione di happening Morselli avesse di fronte. Se la prima definizione di happening come di uno spettacolo caratterizzato da una pluralità di espressioni artistiche verrà coniata nel 1959 da Allan Kaprow, il termine assumerà via via definizioni più generiche, contraddittorie e talvolta improprie. Personaggi e maschere Il prologo del Redentore, come quello del Marx, o il “Preambolo” di Cesare e i pirati si muovono in una direzione metateatrale. Il redentore, ambientato, si è visto in precedenza, in un sanatorio, la clinica Oberstadt a Ostfalia con al centro una figura carismatica di eretico (nega il peccato originale ed è chiamato Messia da una voce dall’alto dei cieli), si apre con un discorso apologetico del Capocomico e termina con una rappresentazione teatrale dove 19 Guido Morselli, Diario, cit. p., 272. 270 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI la figura messianica viene trucidata dal diavolo in persona, nelle vesti di Hitler, probabile anticipazione del vero finale, visto che il religioso è perseguitato dalle SS su commissione delle autorità religiose, mentre riscuote straordinario successo nei degenti della clinica, gli organizzatori dello spettacolo/verità. “Io, signori miei, devo fare una premessa opposta: la vicenda che stiamo per rappresentarvi è veridica”, afferma il Capocomico nel Prologo, alludendo alla nota formula, per altro assai usata da Morselli nei sui testi per il teatro e il cinema, ma non in questa delicata circostanza: il racconto è puramente immaginario e qualunque riferimento rechi è da considerarsi puramente fortuito”. Sono dunque i fatti a parlare, proprio attraverso il teatro, come, vedremo più avanti, nell’Amleto. Anni dopo, sulla sua copia dei Sei personaggi pirandelliani, nell’edizione del 1963 della Biblioteca moderna Mondadori, praticamente intonsa, Morselli sottolineava solo tra Gli attori della Compagnia nella presentazione Il DirettoreCapocomico, Il Primo Attore, Il Direttore di scena. Un’altra indicazione autografa riguarda Enrico IV, sotto il titolo e rimanda ad un articolo su “Il Mondo”, 7-4-64. La lettura o la rilettura del testo si deve presumibilmente far risalire a quello scorcio di tempo. Sono gli anni del nuovo impulso delle rappresentazioni pirandelliane, in particolare della Compagnia dei giovani. Intorno agli anni del Marx, tenendo conto delle preziose note della Fortichiari che ci informano dei contatti morselliani con attori, registi, impresari (senza tuttavia mettere a disposizione degli studiosi il prezioso materiale di riferimento), Morselli potrebbe aver visto o comunque tenuto conto della IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 271 messa in scena di Gassman di Questa sera si recita a soggetto, del 1962, con quella ribellione degli attori rispetto al regista riprodotta nel testo sul padre del comunismo. L’anno prima l’importante edizione di Orazio Costa con Tino Carraro dell’Enrico IV, e del 1964 Sei personaggi in cerca d’autore della De Lullo, Valli, Falk, Albani, la prima vera interpretazione moderna, sganciata da quegli anni Venti e tuttavia estremamente fedele alla poetica pirandelliana 20. Ad un giudizio complessivo su Pirandello si arriva negli anni del Marx, precisamente in un appunto del 10 maggio 1967. Ritornando al tema centrale della dialettica della “maschera e il volto”, Morselli, polemicamente, argomenta che molto meno si parla del tema ossessivo, del sostrato immutabile del pirandellismo: il sesso, non in quanto amore o in quanto teoria freudiana, ma rispetto all’onore “a’ fama mea”. Quello che conta è il diritto di proprietà amorosa o coniugale, comunque sessuale, diritto di proprietà, la cui violazione, intollerabile, è invariabilmente il primo motore del macchinismo dialettico-retorico che si suole chiamare pirandellismo: il contrasto essere-apparire. La soprastruttura che io direi intellettualistica, di una sfera umana ferma fuori della storia, estranea a ogni realtà spirituale. Chiusa nel mito ingenuo e crudele della “fama mea” La predilezione per la tecnica metateatrale permette di incrociare a piacimento i toni della commedia, anche brillante, utilizzati nella narrativa, alla serietà dei motivi più suoi, quelli delle Si veda la nota di Roberto De Monticelli sul “Giorno” del 4 marzo 1964, ora in ID., Le mille notti del critico, Roma, Bulzoni, 1997. 20 272 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI domande creaturali e radicali. La principale, perché si soffre, risulterà argomento centrale nella azione religiosa di Nipic, Il redentore. Nella edizione citata del fondo conserva un appunto sul retro di una busta da lettera, che segnala quattro opere di Pirandello, 6 [a numero] personaggi in cerca d’autore, Questa sera si recita a soggetto, Ciascuno a suo modo, Enrico IV, e tra parentesi (Mario Apollonio): i temi dell’identità, della pazzia e la tecnica metateatrale si confermano, qualunque fosse lo scopo del foglietto, gli interessi maggiori per il teatro pirandelliano. Della storica rappresentazione del capolavoro pirandelliano da parte della compagnia De Lullo-Valli-Falk-Albani, Morselli conserva un ampio articolo recensorio a firma di Raul Radice, dal “Corriere della sera” del 4 aprile del 1964 dal titolo Al teatro di via Manzoni. I “Sei personaggi” di Luigi Pirandello. Sembrerebbe sottolineato, sia pur alquanto scolorito, il passaggio in cui l’articolista richiama, nel laboratorio pirandelliano dei personaggi, sia il dolore che la compiutezze della sua realizzazione drammaturgica, nell’attimo in cui ne è pienamente illuminato: “L’avvilimento e lo sdegno”. Sempre del ’64, il 5-4-64, conserva un articolo a firma Eugenio Montale fortemente critico nei confronti di Pirandello. Morselli sottolinea i passaggi emblematici: “non so se abbiano ragione i critici che preferiscono i suoi racconti” (Montale parla del presunto capolavoro di Così è (se vi pare)) e poco più avanti: “Osservo pure che I sei Personaggi e l’Enrico IV malgrado i grandi successi lasciano delusi coloro che si provano a rileggerli”. Montale si difende rispetto ad un precedente articolo in cui tracciava una personale storia letteraria italiana a partire dal suo gusto, IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 273 molto, ovviamente, criticata e dibattuta, con, tra gli altri, l’intervento di Carlo Terron (allora noto uomo di teatro) a favore dei “bastonati” d’Annunzio e Pirandello. Del 23-10-66 sull’ “Espresso”, di Sandro De Feo, Morselli legge e conserva il ritaglio dedicato al Come tu mi vuoi, di Albertazzi-Proclemer. L’anno prima del Marx, un altro ritaglio di giornale conservato nella stessa edizione, a firma Raul Radice per il “Corriere”, valorizza la prova della Proclemer nella stessa edizione del Come tu mi vuoi. Se per De Feo la messa in scena tradisce lo spirito pirandelliano, la recensione di Radice è positiva, nel delineare come lo spettacolo sia costruito per evidenziare le potenzialità dell’attrice, la quale non le smentisce, con il pubblico che la acclama calorosamente. Proprio del ’68, il 2 febbraio, al San Babila, va in scena Questa sera si recita a soggetto, con Tino Carraro (Hinkfuss), la cui recensione, al solito nel “Corriere”, Morselli conserva nella medesima edizione delle Maschere nude. Si parla di una vera e propria rissa tra attori e regista, autentici alterchi, quali troveremo, per altri motivi, nel Marx. Del resto, nel 1967, cadeva il centenario della nascita di Pirandello: il “Corriere” conservato da Morselli, in occasione della ricorrenza, il 25 di giugno, dedica uno speciale all’insigne siciliano, chiamando ad intervenire, tra gli altri, Carlo Bo e Renato Barilli, insieme a Raul Radice, a cui si affida l’articolo riassuntivo della carriera teatrale dell’agrigentino che conclude con la giusta constatazione che i grandi del teatro, da Calderon, a Corneille, a Goldoni, a Marivaux, fino 274 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI agli ultimi Genet e Weiss, hanno sentito la fascinazione del teatro nel teatro 21. Come si è accennato, ai testi teatrali di Morselli si può affiancare una traduzione dall’amato Marivaux, Il Giuoco dell’amore e del caso. L’opera del francese si applica perfettamente a documentare la volontà di contaminazione dei generi anti moderna22, e antitradizionalista, recuperando l’autenticità del teatro, la sua origine. Il teatro, rito a cui partecipa l’intera polis, svela la verità, dietro alla farsa e ai camuffamenti, ricorrendo alla pantomima (come nel caso del Redentore), a personaggi inventati. Si occupa di temi sacri e solenni, come la morte, la vita, la fratellanza, aggiungendovi però, dal teatro contemporaneo (Pirandello, Beckett), l’impressione della vastità e complessità degli eventi, che sfuggono sempre a interpretazioni univoche. Non priva di necessità e profondità la valenza delle situazioni del caso nella commedia brillante o in quella di un Marivaux o di un Goldoni (anche le commedie del nostro più grande autore “comico” conoscevano in quegli anni ottime interpretazioni “milanesi”) rispetto alle necessità tragiche che la Storia propone: Morselli, mi sembra, è ben consapevole di questa stridente contraddizione da cogliere nell’esistenza come negli stessi meccanismi del teatro. Di Marivaux, Morselli possedeva l’opera Pierre De Marivaux Letto nella significativa data del 20-1-54, la recensione, nella solita recensione del “Corriere della sera” della “Serata pirandelliana”, in cui si recitavano alcune novelle del siciliano: L’imbecille, La Giara (con Romolo Valli e Tino Carraro), La patente. 22 Cfr. Alessandro Gaudio, Morselli antimoderno, Caltanissetta, Sciascia editore, 2011. 21 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 275 Le Jeu de l’Amour et du Hasard. Comèdie avec introduction et notes per Maria Olivero, Charles Signorelli Editeur Milan, segnata con la data autografa al 4-10-1945. Nel frontespizio segnava a matita, come consuetudine: “non più l’amore classico e non ancora l’amore romantico” di seguito, separata da un rigo tratteggiato: “cfr: Mlle de Maupin di Gautier, II, 39”. Il riferimento primo è al Sandro “per Arlecchino cfr. La commedia dell’arte e Sandro, che sarà, come indicato dal Diario, uno dei protagonisti di Uomini e amori, col nome variato in Vito, a cui si dà una patente di attore, almeno come talento naturale, in un breve ma significativo inserto. Definisce “Lisetta una Dulcinea”. Appunta poi una frase che torna nell’introduzione alla sua versione della commedia: “la sc. dell’atto 3° fra Dorante e Lisetta, è una delle scene più belle della commedia di tutti i tempi”. Non è impossibile, tuttavia, sia pur sotto la determinazione del caso (che regna sovrano nella commedia), o peggio della più violenta volontà umana, usare la recita per svelare gli eventuali colpevoli, o per indicare una verità importante, il messaggio dell’intera piéce. La fervida genialità di Morselli crea, ad esempio, come si è visto, per Il redentore, due finali, uno verso la commedia, l’altro verso la tragedia, ma tra loro convergenti, per mezzo della tecnica metateatrale (usata abbondantemente più tardi in Marx. Rottura verso l’uomo23) volendo, preSi veda ancora Guido Morselli, Marx. Rottura verso l’uomo, in “Sincronie”, anno VII, n.14, luglio-dicembre 2003. Di Pirandello e del metateatro si discute fin dalle prime pagine del Diario, in particolare, riguardo la prefazione ai Sei Personaggi, il 22 aprile del 1944. Mi permetto 23 276 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI sumibilmente, accostarli, metterli insieme, come usa la vita. Il teatro verità. Shakespeare La lettura dell’Amleto è attestata nella copia della Biblioteca personale (avrebbe potuto vederlo con un giovanissimo Vittorio Gassman, nella originale versione di Bacchelli, andata in scena nel 1956)24. Nel volume dell’Amleto (data a matita nel frontespizio GM 1932) nella introduzione di Raffaello Piccoli, per le edizione Firenze, Sansoni, 1927, a p. VI sottolinea come la poesia sia una potenza sempre nuova, in particolare suggestiona lo scrittore l’espressione “una rivelazione perpetua” e poi a pagina VII “Vi sono perciò libri (musiche, pitture, statue, pensieri) che non noi giudichiamo, ma che giudicano noi”. Anche nella pagina successiva, sottolinea con un segno a sinistra a matita un lungo brano sull’educazione poetica necessaria all’umanità che, per il prefatore, è l’essenza delle opere di Shakespeare e in particolare di Amleto. Dopo altri brani di questo tipo sottolineati, Morselli, riguardo alla struttura della tragedia, annota, con la solita sottolineatura, questo altro passaggio: “simile, nella sua molteplice varietà, allo stesso tragico discorso della vita” e più sotto “Ma il poeta non ha altra rimandare di nuovo al mio L’inedito Marx di Guido Morselli, in “E’n guisa d’eco i detti e le parole”. Studi in onore di Giorgio Bárberi Squarotti, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006 24 Morselli possedeva due edizioni diverse dell’Amleto, come segnalato ne il fondo Morselli, Catalogo a cura della Biblioteca Civica, Varese, La Tipotecnica, 1984, p.253. IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 277 ragione dalla (sottolineato di nuovo) ragion poetica”. A p. XIII sottolinea: “Il poeta drammatico, in fondo, come ogni poeta, non esprime se non se stesso, il suo mondo, la musica della sua anima; ma attraverso una trasfigurazione in cui immagini d’altre creature umane, così concrete e salde da illudere lo spettatore, si compongono in una molteplice armonia analoga a quella semplice dei suoni e degli accenti. Dove la pura lirica non è che monodia, la lirica drammatica è una ordinata sinfonia; e ciascuna delle persone del dramma, quasi uno strumento dell’orchestra”. Gli piace l’espressione “paese tragico” della Danimarca e per Amleto quella di “anima sensibile”. E così, la suggestiva espressione di p. XX “nella orrenda catastrofe in cui sembra non più agiscano le individuali volontà degli uomini, ma una inesorabile Provvidenza”. Ancora sulla poesia del linguaggio tragico, p., XXI, “che si individualizza, traducendosi inconsapevolmente nel linguaggio di chi l’ascolta”. La poesia influenza la storia: non passa inosservato un altro topos della critica shakespeariana, anche qui esposto dal curatore: il cambiamento radicale di atmosfera rispetto all’ottimismo rinascimentale e il fatto che la tragedia di Amleto possa essere considerata la versione moderna dell’Orestiade. Con una annotazione autografa a piè di p. XXIII, scrive evidenziando la pagina: “Cfr L’Oreste di Eschilo”. Un richiamo nel quale lo scrittore ritrova il “suo” punto di vista: il rapporto tra pensiero e azione sviluppato nel teatro. A p. XXIV sottolinea “egli sa di non poter mai assolvere in un atto particolare” egli sa di poter agire nella 278 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI tragedia ma gli è preclusa “quella azione appunto, che sola egli sente come dovere morale”. 25 A proposito di ricerche e di enigmi del passato, in questa edizione dell’Amleto, Morselli conservava un ritaglio del solito “Corriere della sera” a firma di Eugenio Montale. A p. XXVI sottolinea il fatto che Amleto rimpiange un paradiso originario, quello adamitico che è “il mondo dell’azione ingenua, dell’azione anteriore al sorgere della coscienza morale” e XXVIII “Il male non è male se non in quanto sa d’esser male” così XXXI la debolezza di Amleto non è generica incapacità di agire ma “sentimento della inadeguatezza della sua coscienza all’azione moralmente giustificata”. Ancora a p. XXII, in questo florilegio di frasi fondanti un certo atteggiamento tra l’uomo e la nuova realtà, in quel passaggio epocale di cui si è detto, evidenzia la frase “Noi obbediamo a quella ‘divinità che dà forma ai nostri fini, comunque noi li abbozziamo”. Nella pagina seguente (XXXXII): “La catastrofe non è l’opera d’Amleto, ma dell’oscura Provvidenza” “Perché l’ordine morale si ristabilisca, bisogna che il peccatore operi la propria rovina e il proprio castigo.” Tra le rade segnature nel testo, di solito nella lingua originale, notiamo il gusto di Morselli nell’annotare versi divenuti proverbiali, quali il celeberrimo “Fragilità il tuo nome è donna” dove indica una data 24-12-60, e l’altrettanto celebre “C’è qualcosa di putrido in Danimarca e il motto indimenticabile: “Parole Parole Parole”. Per gli aspetti teatrali, valorizza la meditazione del giovane principe sul mestiere dell’attore, sottolineando a più riprese l’oggetto scatenante, come si ricorderà, del monologo: Ecuba, per la quale, lontano personaggio di tragedia, l’attore si commuove in modo così plateale. “Le cose mortali non li commuovano affatto”, l’altra famosa sentenza evidenziata da Morselli, nel pieno del contrasto tra la scena e la realtà. Nelle note segna la fonte di Saxo Grammaticus e le definizioni del teatro con o senza le classiche unità, specie quella di luogo: senza poem unlimited e il fatto che la fonte potrebbe essere italiana, per esempio l’assassinio di Luigi Gonzaga col veleno nell’orecchio. 25 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 279 L’articolo, Sotto il nome di Shakespeare sarebbe nascosto Lord Derby. Una ricerca di paternità che dura da due secoli, con la data autografa di lettura del 2-2-51, riassume, con la verve ironica di Montale, l’annosa questione della attribuzione delle opere del bardo e sulla identità dello stesso. Morselli, con la sua tipica sottolineatura a “freccia” a margine della frase e anche con il tratto a matita sotto la frase, evidenzia del lungo discorso, l’ipotesi che la figura identificata con il sommo tragico “fu una semplice ‘cooperativa’ di autori elisabettiani”, press’a poco, ricorda Montale, la tesi del Robertson fondata sulle diseguaglianze stilistiche dell’universo shakespeariano. Più avanti, con solo una segno nel margine destro, Morselli sottolinea il passaggio in cui Montale elogia la “illusiva” semplicità dei drammi di Shakespeare, tale che potrebbe permettere di esclamare “è l’uovo di Colombo, mi ci metto io a scrivere!!” Tale illusione è la maggior conferma della grandezza di un’opera, commenta Montale (che di traduzioni in “società” se ne intendeva!). Ancora Morselli sottolinea, sotto le parole, “un vocabolario di 24 mila parole” che nell’articolo si dice difficilmente attribuibile al figlio di un beccaio e il formidabile còte bète che anima da capo a fondo l’opera del grande inglese o di chi per lui. Delle rappresentazioni dell’Amleto, sempre nel medesimo spazio del quotidiano milanese a firma R. S., Morselli conserva, sembrerebbe senza particolari segnature, la recensione allo spettacolo allestito al Manzoni, con scelte moderne che quasi tutte convincono l’articolista, per la regia di Tyron Guthrie e l’interpretazione di Alec Guiness, applauditissima dal pubblico milanese. 280 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Da Cesare a Cesare (e i pirati) Dei quattordici volumi di Shakespeare presenti nella biblioteca di Morselli, ritengo che la lettura del Giulio Cesare, commento e cura di Aldo Ricci, Firenze Sansoni, 1929, con testo a fronte, sia stata tenuta presente nella scrittura drammaturgica di Cesare e i pirati che, come specificato dallo stesso Morselli nel dattiloscritto, si avvale dalle fonte primaria, storica, di Plutarco, Vita di Cesare , I e II. La forte etica che si scorge chiaramente nella commedia, riporta all’immortale testo del bardo, la cui lettura, o se la mia ipotesi è giusta, rilettura, è attestata nel mezzo delle stesure della commedia. Si tratta di momenti e di ambiti molto diversi della storia del condottiero romano, ma il tema di fondo, che oltrepassa il singolo episodio, converge su elementi costitutivi, come una breve analisi su questo testo sembra evidenziare. Nell’introduzione di Aldo Ricci, sottolinea innanzitutto che “Cesare non è il protagonista” (p. XVI). Nella seguente memorizza il personaggio di “ Marc’Antonio” e a XIX “quello che conta non è Cesare, l’uomo in carne e ossa, ma lo spirito di Cesare, il cesarismo. Bruto stesso lo capisce”. A p. XX, la frase a mio avviso decisiva: Giulio Cesare rappresenta un momento critico nella lotta tra i due grandi principi politici che non hanno ancora fatto la pace, che mai la faranno, ma che, trasformandosi costantemente nelle loro forme esteriori, ora chiamandosi autocrazia e governo costituzionale, ora legittimismo e ora repubblica, ora bolcevismo e democrazia, continueranno a contendersi in eterno le sorti della società umana. IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 281 La stessa logica muove Cesare, anni prima, contro Farmacussa, l’isola in cui lui stesso, in bilico tra un sentimento autentico, divertimento, mascherata ipocrita, momento di svago, aveva issato una bandiera di libertà dalle regole ciniche della politica, formato, con altri popoli limitrofi quella lega di solidarietà che appare non di rado nei testi morselliani del contro-passato o del contro-futuro, come possibile riferimento di equilibrio per una convivenza pacificata e solidale tra i popoli. (Nel corso della commedia Morselli ci conduce, con sempre maggiore insistenza, alla coscienza che in quei giorni di Farmacussa l’ambizioso Cesare si è solo voluto divertire, “credendoci” un poco forse, ma mai uscendo veramente da quel gioco con una intenzione autentica di liberarsi dalle sue “ambizioni” di condottiero e duce). In questo senso, sottolinea Morselli, il Giulio Cesare del bardo padre del teatro moderno assume un significato politico (p. XXI). La tragedia è insomma, si legge a p. XXII, con la sottolineatura “un episodio della lotta tra repubblicanesimo e Cesarismo”. La pagina seguente contiene una data di lettura, o rilettura, che rafforza la nostra ipotesi: “4-1-54” e contiene questa espressione sintetica, proprio nella direzione che si diceva: “lo spirito della Repubblica, il repubblicanesimo in lotta col Cesarismo. E v’è appunto l’ironia amara in questa scena”: Morselli sottolinea particolarmente l’ironia tragica, indicando chiaramente una sua idea, direi preponderante, di fare teatro. L’introduttore allude alla morte di Cesare che non porterà affatto alla Repubblica, ma al suo contrario. La scrittura drammaturgica di Cesare e i pirati, per quanto possiamo dedurre dalle carte, come già decreta- 282 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI to dalle prime ordinatrici degli inediti morselliani al Fondo di Pavia, va dal 1951 al 1956. In mezzo, Morselli legge o, più probabilmente, rilegge il Giulio Cesare di Shakespeare, trovandovi conferme e ispirazioni, rispetto alla storia attinta da Plutarco. Bruto è, dunque, il personaggio più importante, ma lui, sottolinea ancora Morselli in modo significativo (p. XXVII): non è uomo della politica e del potere è un uomo di studi: “L’uomo di studi non può essere trapiantato impunemente nel mondo dell’azione senza trovarsi a disagio: tanto meno un uomo dedito agli studi astratti come Bruto. La sua logica non è infatti di questo mondo” Vive in un mondo tutto suo, a un livello differente dal resto degli uomini. Anche Shakespeare, come ben sottolineato nelle note a questa edizione, si ispira a Plutarco (cosa dimenticata da Auerbach, secondo Morselli). Conferma a questa lettura del Giulio Cesare, Morselli la trova nell’articolo del “Corriere della sera” conservato nel libro, Mor 1229, e con la data autografa a matita 21-11-’53, “Piccolo Teatro. Giulio Cesare di Shakespeare”, dove tra le altre note sulla tragedia, l’articolista si sofferma nell’evidenziare l’appartenenza dell’opera all’ambiente romano, ma ricca di tematiche più universali, partendo dalla fonte di Plutarco e descrivendo, in particolare nella figura di Bruto, una tragedia profondamente umana, preludio all’Amleto. Inseriti nel volume delle Opere di Shakespeare, Mor. 422, si trovano invece la recensione al Riccardo III, sempre dal “Corriere della sera”, del Piccolo Teatro, con la regia di Strehler, con IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 283 data autografa, a matita in alto, va. ‘2.’50, il recensore è il solito r.s (Renato Simoni). Del Macbeth si è detto in precedenza, in relazione al finale del Comunista, così dell’edizione dei Sonetti, tra i quali il sonetto LXVI ispira il titolo, o il motto, della sceneggiatura Il secondo amore, dei primi anni Cinquanta, ed è molto probabile una rilettura di quel periodo. Le sottolineature nell’introduzione di Piero Rebora, si diceva, riguardano i problemi di identità, prettamente inerenti alla maschera e al teatro. Secondo l’espressione di Croce ripresa da Rebora, Shakespeare è fortunato: non se ne sa nulla e quindi riesce ad evitare “l’errata filologia del pettegolezzo”. Così anche Eliot, per Dante, sottolinea Morselli: meno ne so del poeta e meglio è. Come non pensare al paradosso di un autore che legge queste parole da perfetto sconosciuto, ma che si avvierà a diventare uno dei casi più emblematici di autore postumo? Magari sentendosi riepilogo degli uomini, come pare alludere una nota sempre dall’introduzione dove Rebora cita il parere di due studiosi secondo i quali il bardo non fece che fingersi attore di sentimenti altrui, scrivendo la buona parte dei sonetti per commissione26. A fronte di questi enigmi, che poi sono i nodi cruciali e ancora irrisolti del dibattito attorno a Shakespeare, come in altre situazioni, l’interesse di Morselli si concentra sulla ricostruzione storiCon data autografa a matita 14-3-53, nel testo dei Sonetti, troviamo un ritaglio di giornale con la recensione alla edizione a cura di Alberto Rossi che apriva la einaudiana Nuova collana di poeti tradotti con testo a fronte. A distanza di quasi quindici anni, l’interesse per questo testo rimane vivo. 26 284 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI ca e sulle fonti, in particolare, sugli influssi del Cinquecento italiano sulla grande tragedia shakespeariana. Altro libro sottolineato e glossato nella biblioteca personale, è proprio quello del medesimo studioso27, interamente dedicato a queste questioni: Piero Rebora, L’Italia nel dramma inglese, dove, tra gli altri passi sottolineati, mi pare sintetico quello della pagina 18: “I contrasti drammatici, le passioni, i dubbi, i sacrifici e le bestemmie ciniche consumavamo le storiche fibre della narrazione italiana, i cui uomini sembrano nel Cinquecento veramente gli attori di una immane tragedia”. Non c’è da meravigliarsi, dunque, sostiene Rebora, dell’interesse del bardo, ma anche dei suoi predecessori, per l’Italia rinascimentale. Anche in questo testo troviamo i topoi tipici delle sue sottolineature; con le fonti, su cui il testo si basa, chiaro l’interesse per gli artisti minori, di cui diligentemente segna a margine una breve biografia, e le date del susseguirsi storico o dei fatti letterari. Su Shakespeare, tra gli altri, Morselli si trova a discutere anche con l’Auerbach di Mimesis (Einaudi, 1964 nella edizione del fondo MOR 1584-1585) altro testo fittamente annoto e glossato, non sempre positivamente (lo ritiene un diario di lettura, dotto, documentato, ma estrememante soggettivo) condividendone la visione della contaminazione degli stili. Nella grandezza del Giulio Cesare, Morselli annota che già gli antichi avevano scritto non banalmente del condottiero, ad esempio Plutarco. Perché Auerbach non se ne occupa? Morselli lo aveva invece già utilizzato una decina di anni prima per la sua riuscita commedia. 27 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 285 Faust o della necessità di agire Come si è visto, Morselli indica nel grande attore pirandelliano Ruggero Ruggeri un modello di quella “attrattiva che hanno sempre esercitato su di me i grandi attori”28. Nell’ultimo romanzo, Dissipatio H.G., un accenno all’attore giapponese29 in quel contesto di riepilogo e solitudine, di 28Ivi, p.104. Si veda, a proposito di travestimenti, i saggi di Rinaldo Rinaldi contenuti in “In limine” e in “Rivista di studi italiani”, nei già più volte citati numeri dedicati interamente a Morselli. All’inizio del saggio per la “Rivista di studi italiani”, Individuo e caso, Rinaldi scrive: “Pensiamo a Re Umberto I del Divertimento 1889, dissociato dalla propria figura ufficiale o dal suo “mestiere” di sovrano e trascinato dal desiderio mai completamente esaudito di “cambiare mondo”.Il punto estremo è toccato dal protagonista dell’abbozzato romanzo Uonna, non tanto un androgino quanto un individuo assolutamente privo di caratteri sessuali, sia primari che secondari: non ha organi genitali interni od esterni [...]. Non ha nemmeno desideri sessuali, complessi edipici, rimossi’. L’ambivalenza non è insomma positiva ma puramente negativa, un’assenza di tratti che ‘sposta’ il personaggio in una sorta di limbo, lo sospende dalle normali attività dell’esistenza, lo fa esistere come non-esistente. Già il protagonista di Dissipatio H. G., del resto, marcava la sua eccezione (la sua solitudine fisica e metafisica) con il travestimento: ‘Mi infilerò il collant, un (superfluo) reggicalze a roselline celesti, e le mie gigantesche mutandine di pizzo. Da qualche giorno uso dessous da donna, scelti al Grande Emporio. La mia pinguedine, che è aumentata, non si adatta male a questi accessori inusuali, anche se le masse muscolari gonfiano pericolosamente il nylon delle calze. La sera spogliandomi non ho turbamenti, né fisici né psichici, quelle gambe pelose e poderose sono soltanto claunesche, sotto il velo nero. [...] Nessun autoerotismo, comunque; in me la sessualità non mi è mai parsa deviante, e da un pezzo, ora, langue, come deve. Se mai, imito il grande attore giappo29 286 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI cui si è molto discusso in questo volume, richiama e chiude un paragone costante, diretto o indiretto, alla teatralità camaleontica della scrittura, analoga a quella della propria stessa identità: “Se dovessi giudicar me stesso dovrei concludere che in me ci sono diverse “personalità diverse”. Spesso però l’evidenza di una staticità rinchiusa in una apatia forzata dalle circostanze esteriori, soffoca questa mobilità dello spirito e della assimilazione all’umano. Altro che attivismo, l’essere umano combatte contro una staticità connaturata. Nei mesi in cui Morselli scrive Marx, si intensificano gli accenni polemici al faustismo, simbolo del romanticismo antropocentrico e di questo attivismo onnicomprensivo, di cui sarà accusato anche il padre del comunismo. Propongo alla lettura e alla riflessione il seguente brano, per poi sviluppare, attraverso i testi posseduti da Morselli, il tema faustiano. Non sfugga, tuttavia, al di là dell’utilizzo nel presente saggio, la profondità delle notazioni morselliane, degne di accostamento a pagine critiche dei nostri migliori nese Omagàta, il quale interpretava unicamente ruoli di donna, in vesti da donna’. La suggestione giapponese, proveniente dal grande saggio nipponico di Roland Barthes L’Empire des signes, dà rilievo appunto allo straniamento, alla separazione fra ruolo ed essenza, fra la maschera e il volto. Ma la più perfetta incarnazione del misfit morselliano è forse quella di Umberto I che viaggia per la prima volta in incognito e per “divertimento”, in Svizzera: ‘Stavolta qualche cosa di nuovo. Un incognito che non sarebbe stato una burla. Trasformarsi in un signor X, Y o Z: rinascere, quindi, o cambiare mondo. All’estero per giunta, dove ciò poteva non essere illusorio, e durare’”. IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 287 scrittori, magari all’Umorismo di Pirandello30: Quando parliamo di “insensibilità” o di “disinteresse”, di solito noi ci riferiamo a una minore sensibilità o a un blando interesse [...] non consideriamo che la nostra ignoranza e impassibilità di fronte alla stragrande maggioranza dei “dati” pos30Ivi, pp. 308-310. Come non ricordare, nelle parole testamentarie, estreme, di Morselli, quelle altrettante scarne, di una esemplare dignità laica, di Pirandello?: “Dispongo che mi sia data sepoltura nel cimitero di Giubiano (Varese), non nella cappella di famiglia, bensì in terra aperta, con una tomba semplicissima, senza alcuna struttura sovrastante, senza ornamenti né simboli. (Basterà una cornicetta di pietra tutto intorno). Una lastra di pietra con il mio nome e nient’altro. Alla mia morte nessun avviso ne sarà dato ai giornali, né mediante comunicazioni o partecipazioni personali. Il funerale avrà luogo nella maniera più semplice e disadorna, senza alcuna solennità o funzione ecclesiastica, senza fiori né corone o simili”, in Valentina Fortichiari, Guido Morselli: immagini di una vita, cit. p., 124. Stessa idea della terra, della semplicità e, perfino identica, la richiesta di non pubblicizzare l’evento in uno scrittore Nobel e accademico d’Italia, giunto al sarcasmo feroce della gloria (“pagliacciate, pagliacciate”), e in uno scrittore di grande talento, in vita sconosciuto e frainteso. Di Pirandello nella biblioteca personale, al solito annotati e con inserti, Il fu Mattia Pascal, Milano, Mondadori 1937, alcuni volumi dalle mondadoriane Maschere nude (Il berretto a sonagli, La giara, Il piacere dell’onesta, Sei personaggi in cerca d’autore, Enrico IV) e dalle Novelle per un anno (il primo volume mondadoriano; Candelora, Firenze, Bemporad, 1929). Tra gli inserti di giornale conservati nella cartellina Marx, in una data, il 26/3/68, in cui Morselli lavorava ancora al testo, si conserva un ritaglio di giornale con l’annuncio di un adattamento televisivo di novelle di Pirandello, protagonista quel Tino Buazzelli, il nome è sottolineato, a cui invierà, poco tempo dopo, la commedia. Sul ritaglio vi è allegata una ricevuta di una lettera spedita alla Rai l’indomani: mittente è lo scrittore. E. Borsa, in op. cit., commenta, ma non so su quali basi, che l’intento di Morselli doveva essere polemico. 288 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI sibili, o anche soltanto delle effettive esperienze altrui, ossia dei nostri simili - è autentica, totale occlusione. Quei dati, quelle esperienze, non ci “sono” per noi, e noi non ci siamo per esse. Non importa che per altri individui costituiscano la trama del “quotidiano”: noi, qui, siamo morti; e non vi è ragione di chiamare questa morte metaforica. È morte parziale, ma effettiva. [...] A volte “ci restringiamo”. La sofferenza, e cioè la privazione, la vecchiaia, l'oblio, il disapprendere quello che abbiamo acquisito, le mille continue forzate rinunce, ci bloccano e, in definitiva, ci “riducono”, riducono la nostra piccola sfera vitale, questa essendo uguale all'ambito delle nostre esperienze. C'è un bilancio, è vero, un equilibrio, ma nell'insieme siamo più statici di quanto non ci voglia far credere il faustismo o volontarismo degli eterni romantici [...] Ognuno di noi [...] è vincolato ad un suo minuscolo frammento di realtà e di fatto non ne esce. Siamo individui, manteniamo una coerenza o stabilità psichica (e organica) proprio perciò. [...] Determinazione è negazione, il nostro status di individui suppone questi esigui confini, siamo fatti di esclusione, di occlusione... La vita è occlusione più uno spiraglio, ma l'occlusione non ci è meno essenziale di ciò che la interrompe, di quello spiraglio. Le sottolineature e le glosse nelle edizioni del Faust possedute da Morselli aprono spiragli su un germe importante della ispirazione di Morselli, ampiamente proposta nel Marx, e che riguarda l’intera stagione di passaggio tra Settecento e Ottocento, fino al pieno romanticismo, rappresentato dalla figura del Don Giovanni di Byron. Si legga questo passaggio, nel noto saggio di Taine sul Don Giovanni, valorizzato con sottolineature da Morselli, dove Faust e Manfred rappresentano la consapevolezza del superamento tanto dei miti antichi, quanto del Cristianesimo, altro tema di estremo interesse in quegli IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 289 anni della speculazione morselliana. Nella introduzione al Faust di Guido Manacorda, lo scrittore legge e sottolinea a p. XXVI: Tolto dunque il Finale, se pure soltanto per l’omaggio poetico e umano reso a quel ‘limite’ e a quella ‘solidità’ che viene dalla tradizione, tutta la dottrina del Faust, in quanto naturismo, energetismo trasformistico, immanenza dinamicodialettica e autonomismo, si trova necessariamente fuori del Cristianesimo (questa parola ulteriormente sottolineata). Manacorda aggiunge che, se c’è un richiamo, deve considerarsi puramente mitologico: la dimensione religiosa dell’avvenimento cristiano si riduce, al massimo, a una favola. Morselli ne è consapevole, le sue sottolineature si dirigono in questa direzione, come a p. 17, di questa edizione, Milano, Mondadori, 1949, nella frase: “Come Tutto nel Tutto s’intesse! Come ogni cosa nell’altra opera vive” dove i segni di evidenziazione a lato sono due. A p. 18, molto significativamente per l’interpretazione del Marx, evidenzia una parola chiave: “Superuomo”. L’importanza di questi passaggi è ribadita dalla data di lettura 12-3-54: Morselli riflette su Dio, con tutta evidenza: sono, quelli seguenti, gli anni cruciali dell’approfondimento delle questioni religiose, nella Trilogia di Fede e critica. In questa chiave, si comprende l’insistenza sul brano di Studio 1 dove Faust rilegge il motto del Vangelo “In Principio era il verbo” entrando nel can can col barbone: “In principio era l’Azione” è il nuovo incipit, entrambi i motti sono sottolineati da Morselli che sotto, a matita, appunta “per il commento, v. pgg, 494-5”. In queste pa- 290 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI gine richiamate da Morselli, troviamo delle importantissime conferme al tema del Marx, ma anche sullo sfondo del plot de L’amante di Ilaria, con il più esplicito inno allo “Streben” e all’Azione perenni, “la professione solenne della fede faustiana”. Il faustismo è nato, e avrà una influenza decisiva nell’Ottocento che “rivivrà infatti in tutti i movimenti sociali del secolo scorso e s’agiterà ancora in quelli del nostro secolo. Pragmatismo angloamericano e neoidealismo italiano ne segnano ancora oggi in due divergenti direzioni le propaggini”. Morselli attribuisce a Marx questo richiamo e anche questa debolezza in riferimento alla mancanza dell’azione che contraddistingue la sua biografia, a favore dello studio e della riflessione intellettuale, in un equilibrio difficile che costituisce uno dei temi centrali dell’azione scenica sull’autore del Capitale. In una nota della pagina seguente Morselli è attento a rilevare il risvolto nella storia della filosofia di questa dinamica, composta di reciproci scambi: influssi si trovano nel volontarismo kantiano e nell’attivismo. In quella pagina dello Studio 1 del Faust, rimane il segnalibro in seta, e mi piace immaginare, visti gli evidenti richiami convergenti, che lì sia rimasto, nonostante i necessari spostamenti, nei decenni successivi alla morte31. A testimoniare l’importanza di queste pagine, Morselli, sempre in Studio 1, sottolinea un’altra delle frasi proverbiali, p.53: “Faust con Mefistofele: dell’al di là poco mi può importare” e ancora a 54, la ancora più celebre espressione, rivolta all’effimero attimo: “fermati dunque, tu sei tanto bello”31. Alla pag. 55 a matita, a voler racchiudere l’intera scena: “una professione tipica di faustismo”, ancora Faust e Mefistofele, con due linee sulla destra segna “L’animo mio ormai guarito dalla scienza, non dovrà più 31 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 291 chiudersi a nessun dolore; quel che è toccato in sorte a tutta l’umanità, io voglio godere entro me stesso. Voglio con lo spirito attingerla, quell’umanità, nel più alto e nel più profondo, e che il suo bene e il suo male s’addensino entro il mio petto. E dilatare me stesso fino al suo se stesso, e alla fine, come lei e con lei, fare naufragio”. Le iterate frasi del diario, essenza di uno spirito naturaliter istrionico, fino alla consapevolezza di poter rappresentare un riepilogo degli uomini, possono avere, una accezione faustiana, che si porta dietro, dunque, l’accezione negativa del Marx, ma anche il tentativo valoroso di conoscere meglio la propria e l’umanità in genere. Nella bibliografia contenuta in questa edizione del Faust, segnala la versione metrica di Giuseppe Bigi Sansoni 1900, che difatti si trova nella sua biblioteca (ne parliamo più avanti) delle note, al prologo in cielo p.463, in rosso, la curiosa situazione delle cavallette e delle cicale che Goethe confonde, volutamente o no, perché le une non cantano e le altre non hanno gambe lunghe. Sempre in rosso (potrebbe essere la rilettura in funzione del Marx?) p. 464 segna lo Streben, la cui definizione, sia pur non sottolineata, è, per il curatore del volume, “pensiero e volontà protesi allo scopo, forte passione che li accompagna. I verbi italiani non lo rendono che in parte”. Ancora (477) segnala quelli che per il curatore sono i titani tedeschi Lutero, Fichte e Nietzsche, non Goethe 482 “Ubermensch”: il termine e insieme con esso lo spirito nietzschiano è nato”. Nella pagina 502 sottolinea che i temi del vero Faust rimangono il tumulto, la prova, e la dialettica dell’amore e dell’odio, del piacere e del dolore e insomma della vita. L’edizione Biagi, presenta anche alcune indicazioni di lettura segnate nell’indice, e riguardanti la scansione cronologica delle parti del Faust a cui fa riferimento l’introduzione di Augusto Franchetti, dove appunto lo scrittore sottolinea le date delle varie fasi successive. Nel testo, ricco di richiami alla edizione esaminata in precedenza, il motto rovesciato del Vangelo di Giovanni, conduce la riflessione di Morselli a incontrare il pensiero di Nietzsche. Solo non posando mai la testa per riposare, l’uomo si afferma, ma secondo Morselli in modo superficiale, tanto che questa modalità “romantica” diviene, come sappiamo, uno degli idoli critici dello scrittore, tanto lontano dal suo modo di interpretare l’esistenza. Anche nel consueto, ed interessantissimo indi- 292 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Diversi ritagli di giornale vengono conservati da Morselli nelle pagine delle edizioni del Faust. In occasione del bicentenario dalla nascita, nel ritaglio conservato in Mor 1567, il “Corriere della sera”, con data 28 agosto 1949, incarica Giovanni Papini, Bonaventura Tecchi, Guido Piovene e altri di ricordare l’autore del Faust. Tecchi (Poeta da riscoprire) stigmatizza quella che per Morselli diventa, abbiamo visto, una ossessione critica: Goethe diventato nella idea critica dominante, il creatore della vita attiva, dello Streben, dello sforzo continuo di operare. Le rare sottolineature riservate solo a questo articolo, nonostante la larga notorietà anche degli altri articolisti (Bo e Piovene), dimostrano l’interesse sulla questione che anche Tecchi accetta come un dato di fatto, nella frase sottolineata da Morselli: Non siamo neppure di quelli che, scrive Tecchi, “pensano si possa ritornare a un razionalismo illuministico pre-romantico”. Impegnato a cercare una traccia religiosa in Goethe, lo scrittore e germanista la trova in un appunto del 1797, in cui si riporta la frase di Ippocrate sottolineata da Morselli “Gli uomini debbono imparare a conoscere dal visibile l’invisibile”. Dal “Tempo” di Milano, con data 13 settembre 1949, l’ampio stralcio presenta un intervento di Carlo Bo, Il messaggio goethiano, quello di Maffio Maffii, proprio sulla storia del Faust, un passo antologico di una lettera a Shiller, e un articolo a firma di Evel Gasparini, nel quale troviamo l’unica sottolineatura di Morselli, nel brano in cui si discuce delle cose notevoli alla fine del libro, Morselli riassume, rimandando alla pagina specifica (la 53): “‘In principio era l’azione’ non il Verbo!” Ribadito, tra le altre sottolineature, da quella del IV atto della seconda parte: “Tutto è l’atto”. IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 293 te della sostanziale estraneità di Goethe maturo alla vicende dei moti nazionali. I fenomeni di legami a partiti e Chiese erano estranei a Goethe, commenta Gasparini, riportando la frase che interessa Morselli, “Egli soleva dire che l’incendio di una casa è una vera disgrazia, ma la ‘rovina della patria’ è solo una frase”32. Altro articolo interessante, conservato dentro un volume fittamente sottolineato e glossato, La nascita della tragedia di Nietzsche, presente nella biblioteca morselliana nella edizione Milano, Monanni, 1927, vol. 6 delle Opere, a cura e con introduzione di Elisabetta FoersterNietzsche. L’articolo, di Thomas Mann, Pagine sparse, 26 settembre 1954, “Corriere della sera”, presenta alcune sottolineature, importanti. Diviso in tre sezioni, la prima parte riguarda il Werther, di cui allo scrittore interessa la rottura degli schemi consolidati, il ribellismo e soprattutto il tema del suicidio, tra biografia e scrittura. Dopo averlo più volte tentato prima della stesura del romanzo, ricorda Mann, il giovane Goethe, dice di esser rinato e di essere maturato proprio grazie alla scrittura. Così, sottolinea Morselli: “egli non si era poi ucciso, si era anzi liberato dal desiderio della morte proprio scrivendo il suo romanzo”. Sottolinea ancora, poco più avanti, Del 1949, sette settembre, data autografa, un articolo sulla “Prealpina” di Bruno Vignola, intitolato semplicemente Goethe, dove Morselli, con il suo tipico uncino mostra di voler rammentare due passaggi, entrambi allusivi della gloria raggiunta, fin dagli anni di Weimar, ma da cui, seconda sottolineatura, aveva voluto sottrarsi, per non finire come Voltaire “fatto morire ‘à force de gloire’”. Altri ritagli riguardano le messe in scena del Faust, con difficoltà a volte insormontabili di coglierne sinteticamente l’essenza. 32 294 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI questa frase conclusiva di Mann: “Ma proprio mentre sentiva l’animo suo alleviato e come rischiarato, avendo trasformato la realtà in poesia33, altri giovani cadevano nel tragico equivoco e immaginavano di dover trasformare la poesia in realtà, di imitare il romanzo fino a sopprimersi”. Rimandando ad altra occasione il commento alla seconda sezione dell’articolo (Nietzsche e la musica) e in generale la discussione sulle glosse della Nascita della tragedia, di non secondaria importanza, riporto le frasi finali di Mann, sottolineate da Morselli. Si discute, sia pur brevemente, di Morale, tema caro ai due scrittori: il tedesco all’apice della gloria, tradotto in tutto il mondo, ospite con una rubrica del più importante quotidiano italiano, e l’altro sconosciuto che, per una ventina di anni ancora rimarrà tale, fino alla morte per suicidio. Gesto estraneo a quella inquietudine giovanile alla Werther e alla Ortis, ma forse, in qualche modo, legato, in maniera capovolta rispetto alla smania della gloria, al rapporto scrittura-vita. Impressionante, comunque, rispetto alle tematiche dell’ultimo romanzo, e proprio al gesto finale di Morselli, la chiusura di Mann, che argomenta quanto la moralità sia suprema esigenza, perfino volontà, di vita, ma anche un perpetuo correggere e ordinare ciò che è libero, un ammonire continuamente per trovare il modo di raccogliersi e riflettere. Si può chiamare, questa attività, saggezza (e il suo contrario sarà follia), religiosità (e il suo contrario sarà pagana animalità) nobiltà (da qui Morselli sottolinea fino alla fine dell’articolo): Morselli sottolinea al margine sinistro il brano, e sottolinea anche sotto le frasi segnalate dal corsivo. 33 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 295 e il suo contrario sarà la volgarità che si trova a suo agio nella vita terrena, e non conosce una patria più alta. E, veramente, esistono uomini di tale volgarità, di tale immortale bramosia e capacità di vivere, che a stento si riesce a pensare che possano essere in qualche modo partecipi di quella sublimazione dell’essere che ci può dare solo la morte. Solo la morte può dare la sublimazione dell’essere: la sua evaporazione, inventerà Morselli, meno deciso di Mann a decretare che si tratti di una liberazione, opponendo l’ipotesi di una condanna eterna. Resta il comune dato della dura critica alla volgarità di quelle mafie pronte a rendere in schiavitù la vita umana, come per il narratore di Dissipatio H.G. La fondazione dell’importanza del faustismo in sede filosofica, Morselli la considera sottolineando e glossando fittamente il testo di Lorenzo Giusso, Il ritorno di Faust, che reca la data autografa di una prima lettura iniziata il 14-6-41, con una rilettura del il 23-2-45. Si tratta di una rassegna critica di pensatori e filosofi che, in diverso modo, hanno ripreso o discusso il faustismo, in buona parte rispetto al motivo di una azione esasperata, tesa alla conquista di un io superiore capace di dominare le sorti del mondo. Nell’indice segnala i seguenti autori: Simmel, Giuliano Benda, Chesterton, e tutti i filosofi che vanno sotto un segmento denominato da Giusso Difesa dell’Occidente. Come abitudine, costruisce il suo indice per la memoria delle cose notevoli, appuntando, tra l’altro, per la pagina 133 le caratteristiche di “faustismo, titanismo, religione dell’azione”. A p. 74 crea un altro efficace titoletto sintetico “L’atto puro è parente stretto dello slancio vitale di Bergson, della Will zur 296 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Hacth nietzschiana”. Più sotto, riassume ancora lo spirito del testo di Giusso, rilevando l’esposta analogia tra “Atto puro gentili amo”, l’elan vital, l’action blondeliana, Will zur Hacth nietzschiana considerandole, in linea con quanto detto in precedenza, le radici del principio d’azione della civiltà moderna e del capitalismo. Attenzione particolare per Splengler, e la concezione della storia “come cieco circolo di distruzione, privo di ogni provvidenziale, come un misterioso eterno Ritorno, che le civiltà compiono governate da ferree leggi che le fanno nascere, espandersi, tramontare, morire. La teoria splengleriana può apparire come la specifica ideologia del dopoguerra”. Su Splengler anche un foglietto autografo conservato nel volume, piuttosto fitto, più di trenta righe, che ne riassumono il pensiero intorno alla nozione di civiltà faustiana, sottolineata e ben visibile, al centro del foglietto. Sul retro, ma molto più sintetico, in quattro righe, riassume il pensiero di Max Stirner. Tra le altre frasi sottolineate, spicca l’appellativo di dandy per Baudelaire, Wilde e Nietzsche e l’attestazione di un forte spirito romantico in Gentile, per il quale, legge e sottolinea a p.62, nota quella “febbre titanica e demoniaca di plasmare la realtà secondo la propria immagine”, ma anche, stigmatizzando una differenziazione importante, a p.71 “l’anti intellettualismo di Gentile è risoluto e radicale”. Nello stile tendente alla retorica del Giusso, Morselli intravede positivamente le coordinate di un filone di pensiero che attraversa un secolo, fino alla Seconda Guerra Mondiale, come a p. 76: “scrosciante ditirambo alla attività umana, in una celebrazione dell’uomo e della storia, in una smisurata professione di fede nelle forze generatrici IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 297 dello Spirito. L’ideale morale che promana da un siffatto sistema è infatti il ripudio più energico e radicale dell’ascetismo o del quietismo buddista o platonico cristiano”. Non importa tanto al nostro di seguire Giusso anche su strade piuttosto impervie e poco credibili nella interpretazione distorta di certi autori, come lo stesso Bergson. L’obiettivo ultimo è condiviso da Morselli con trasporto, a prescindere, mi sembra, dalla valutazione dei singoli autori. Si tratta dell’avvento di un nuovo romanticismo faustiano, con le coordinate dello sviluppo tecnologico moderno (la pagina è la 103): “Una tale filosofia è tutta compenetrata dall’esaltante idea dello sviluppo, del Progresso, del superamento”. È l’idea di fondo che Morselli assimila e riproduce perfino nella commedia dedicata a Marx34. Con Simmel, l’esperienza dell’attività dello Spirito, si evolve, come riassume la sottolineatura di Morselli a p.112: “in Simmel si compie il trapasso dell’idealismo nel relativismo”, lo “Spirito non è per lui uno ma molteplice” (112). E ancora, cinque pagine più avanti: “Il pensiero di Simmel è un’audace costruzione edificante sull’orlo del precipizio scettico”. Nel margine inferiore, appunta: “cfr. il problematicismo di A. Banfi”, in una ulteriore prosecuzione e attualizzazione di questo studio del Giusso sul faustismo. Dopo il Benda, difensore del razionalismo, si riparla tramite Tilgher della religione faustiana che secondo il critico filosofo è diventata la mistica del nostro tempo, la vera religione del XIX secolo, di una società fondamentalmente industriale. Proprio in Tilgher, il cui pensiero viene riassunto in questo testo, Morselli può riconoscere la linea che da Goethe e Ficthe attraversa l’idealismo per trasformarsi, agli inizi del Novecento “in un impetuoso e orgiastico vitalismo” (quest’ultima parola è sottolineata da Morselli) e può essere definito alla fine nei termini visti da Splengler. I due grandi tedeschi per Tilgher, sono i due fondatori della religione attivistica, la quale ha trasportato Dio dalla cattedrale all’officina, la santità dall’asceta 34 298 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Sul volume Le esperienze di Wilhelm Meister, a cura di R. Pisaneschi e A. Spaini, Bari, Laterza, 1913-1915, appare la data, Varese 27-12-39. A p. 6 nella introduzione annota subito in alto “La Theatralische Sendung”. Morselli sembra accordare il proprio assenso al tessuto connettivo delle diverse “esperienze” del protagonista del testo goethiano, l’assoluto valore formativo del teatro. A p. 9 evidenzia “E questa occupazione gli era immensamente gradita e piacevole, poiché ovunque poteva impiegare ed esercitare gran parte delle cognizioni e delle idee, secondo le quali s’era comportato fin’allora”. Si riferisce, appunto, al teatro. A p.11, si rileva che il risveglio del teatro tedesco sia dovuto allo Sturm und Drang e che questa opera nella prima parte della composizione ne rappresenta pienamente lo spirito, lo Sturm “trionfante”. In seguito, con i tre anni in Italia e l’iniziale scrittura della più meditata Ifigenia, (come sottolinea Morselli), Goethe si libera dallo Sturm e abbraccia lo spirito dell’arte classica, che non cerca antagonismi, “ma di costruirsi in sé”. Così, nel 1794, il romanzo rinasce. A p. 15 Morselli mostra di voler ricordare una frase del giovane Meister “La trama del mondo è intessuta dalla necessità e dal caso; la ragione dell’uomo si pone tra i due e sa dominarla; essa considera il necessario come la base del suo essere; l’accidentale ella sa rivolgerlo, guidarlo e utilizzarlo”. all’industriale. La conclusione del testo, con le sottolineature di Morselli, poche ma calibrate, riguarda una personalità con cui lo scrittore farà i conti anche in futuro: Giuseppe Rensi. IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 299 Nell’ultima pagina, ripetendo il rito consueto di evidenziare nella introduzione i temi cari, sottolineare poco o nulla nell’opera e riportare di nuovo nell’indice i suoi motivi di interesse o tracciando a matita, alla fine del libro o in terza di copertina, una breve sintesi, scrive: “Analisi dell’Amleto Libro IV cap. III, XIII, XIV, Libro V cap IV, V. A p. 321, infatti, sottolinea “non c’è tratto della fisionomia con cui Shakespeare presenta il suo Amleto”; due pagine dopo sottolinea la vicenda del caso e della fatalità, la prima del romanzo, la seconda più del dramma (si tratta del capitolo VII del libro quinto), ma anche la questione tecnica” Come da un musico si richiede che egli possa, fino ad un certo grado, suonare a prima vista; così anche ogni attore, anzi ogni uomo ben educato, deve esercitarsi a leggere a prima vista, ad afferrare tosto da un dramma, da una poesia, da un racconto il suo carattere e recitarli con prontezza” aggiunge che il mandare tutto a memoria non serve se non si entra nello spirito. Sempre sull’ultima pagina scrive allora richiamando la p. 321 “intenzione dell’autore e immaginazione dell’attore”. Di seguito: “romanzo e dramma 322-323 lettura a prima vista di una composizione poetica”. Nel secondo volume, quasi privo di segni distintivi e sottolineature, in fondo, si legge un appunto autografo che rimanda alla p. 100: “La dimensione della donna nella sua casa”. Sotto un’altra frase, non del tutto decifrabile, ma il cui significato vuole evidenziare ed elogiare, nel testo di Goethe, la padronanza femminile all’interno della casa. 300 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Altri ritagli e sottolineature Alcuni degli interessi morselliani per i classici della letteratura italiana per il teatro si possono rilevare dalle sottolineature del testo di Silvio D’Amico, Il teatro italiano, Milano, Treves, 1927, adatto, nell’ottica dello scrittore, ad acquisire una conoscenza di base della storia teatrale, allargandola a quella europea, attento anche ad approfondire alcune figure “minori”, molto in voga in anni passati ma poi dimenticati, come Ercole Morselli e Vincenzo Tieri, per esempio in Taide dove trova la figura del Don Giovanni. Con la solita precisione, nella sua proverbiale, testarda, volontà di comprendere al meglio, quando si parla di autori stranieri non conosciuti, Morselli si va a documentare e riporta a matita una breve scheda degli autori in questione. Si vede, a titolo di esempio, le “schede” autografe di Vildrac e poi di Claudel: Charles Vildrac: Poeta e drammaturgo ispirato alla concezione di una laica terrena bontà, che, diffusa tra gli uomini, varrebbe a rendere migliore la loro vita. Donde un lieve ottimismo”. Paul Claudel: “Di professione diplomatico, è stato ambasciatore a Tokio e Washington). Poeta (con versetti alla maniera della Bibbia) estetico (Ars Poetique, 1907), drammaturgo. Si professa cattolico e nemico del materialismo, nell’arte fa appello all’ordine classico. Ma gli si rimproverano anarchia estetica, decadentismo, sensualità, concessioni al simbolismo. I suoi lavori 1909 e 1912 sono pervasi da un caldo lirismo che v’introduce l’atmosfera del “mistero” anche quando riproduce IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 301 l’ambiente di oggi, sono idealizzati da una magia trasfiguratrice35. I numerosi ritagli di giornale conservati in questo volume contribuiscono ulteriormente ad attestare l’interesse non secondario di Morselli per le rappresentazioni teatrali. Si tratta nella quasi totalità di recensioni, per autori anche minori, stranieri, in particolare francesi, di cui, con l’eccezione di Pirandello, non possedeva testi 35 Qua e là, sottolineature sparse ci aiutano a capire ulteriormente gli interessi morselliani. A p. 15, il saggista indica Giuseppe Giacosa come interprete della borghesia del nuovo secolo. Sottolinea il nostro: “Correva esattamente l’anno 1900: il secolo si chiudeva; e la borghesia d’Italia, nella sua capitale borghese, riconosceva, con felice compiacimento, se stessa”. Come le foglie né è l’emblema. A p. 312 segna come “importante”: “Il Dramma non si risolve con la visione: La visione nel teatro drammatico, serve a commentare la Parola; ma è la parola che conta”. Gli interessa Glauco del suo omonimo Ercole Luigi Morselli (segna il 1910 di Glauco), nel tono “tipicamente crepuscolare” e in una nota di p. 88 sottolinea ancora il tono tra riso e pianto del suo omonimo: “basta, del resto, pensare al titolo di quella sua raccolta: storie da ridere e da piangere”. Il suo contenuto è pressoché cristiano conclude D’Amico, con il plauso di Morselli. Su Pirandello memorizza in particolare un giudizio sui Sei personaggi a p. 105 “ In questo dissolversi, dunque, del principio d’identità, in questo variare della personalità umana (e del mondo ch’essa pensa) e ancora, nella pagina seguente, la constatazione che “Pir è lo straziato poeta del soggettivismo e della relatività: ossia di questo nostro sciagurato tempo, che ha perduto la fede in una realtà, in una verità oggettiva”. Fa un cerchio sulla p. 131: si parla di Cosi è (se vi pare) dell’Innesto, di Due in una, del Piacere dell’onestà, Ma non è una cosa seria, La sagra del Signore della Nave: unite, mi sembra di poter affermare dalla serie di sottolineature, per il tema dell’amore e della maschera del femminile in queste commedie. 302 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI nella biblioteca personale. Rarissime le sottolineature, ma presumibilmente la scelta di conservare tali ritagli risponde ad un gusto che può darci, se non linee estetiche assolute, qualche conferma. Senz’altro la curiosità per la commedia, soprattutto quella di ambito borghese. Tra gli articoli di maggior respiro, troviamo nel “Corriere della sera” del 30 novembre 1949 l’articolo di Benedetto Croce dedicato a Henri Becque e il teatro francese dell’800, dove, partendo da esperienze personali di serate teatrali a Napoli, ricorda i vari Dumas, Sardou, Augier, Thibaudet, per soffermarsi appunto su Becque. Spazio anche per il tema del Don Giovanni, rivisitato da Lavedan ne il Marchese di Priola, con quella conclusione diversa dai classici del mito: la condanna è alla malattia, ad una progressiva paralisi. Della commedia italiana Morselli conserva eco, sempre nelle recensioni del “Corriere della sera”, a firma di Simoni di autori oggi per lo più dimenticati: del febbraio del ’44 Albertina di Valentino Bompiani (storia drammatica nelle forme della commedia degli amori e dei tradimenti), Scandalo sotto la luna di Palmieri, Paparino di Dino Falconi (definita farsa dallo stesso autore), Con loro di Guglielmo Zorzi (porta la data del 2.2.49), L’oro matto di Silvio Giovaninetti, la bella commedia di Ezio D’Errico (siamo ormai nel 1951, il 20 di febbraio), Ricordo dell’avvenire, con il ricco industriale che prevede in sogno il tradimento della moglie e cerca in tutti i modi si evitarlo, avvicinando il “futuro” rivale, ma senza successo. I due, in circostanze del tutto casuali, si incontrano, e in preda ad una forza superiore, non riescono a sottrarsi all’amore, esattamente come previsto nel sogno, nei gesti e nell’ambiente che li circonda. Tro- IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 303 viamo recensioni di Eligio Possenti (in particolare Il successo, da Bologna il 15-3-56 e da Milano, 24-11-56 il titolo è sottolineato da Morselli nella prima recensione) e l’ampio articolo di Bernard Berenson del 17 giugno del 1956, per il centenario di Alfredo Testoni, l’autore del fortunato Cardinale Lambertini. Di Ugo Betti, con la recensione del più noto Corruzione al palazzo di giustizia, rappresentata sempre all’Odeon, Morselli conserva anche il ritaglio, sempre a firma R. S. della Favola di Natale, rappresentata all’Odeon, commedia dalle intenzione gaie: “onesta sì, ma non intimidita dal pudore”. Della commedia borghese, del lontano 14 febbraio 1941, di cui, insieme a La maschera e il volto, potrebbe essersi ricordato in Uomini e amori, nel brano della recita, La crisi di Marco Praga, versione italiana del dramma borghese europeo. Dell’articolo, senza firma, resta memorabile l’interpretazione dell’attore che più affascina Morselli, Ruggero Ruggeri, insieme a Paola Borboni. Con “vivissimo e vibrante successo” dopo la recita l’attore, di cui il Vito Cambria del primo romanzo segue le orme, incanta il pubblico recitando poesie, Il Canto notturno del pastore errante dell’Asia, Congedo di Carducci, Bacco e Arianna di Redi. Su un’altra interpretazione di Ruggeri, l’8-1-41, ne Il maestro, di Bahr, vale la pena di riportare l’entusiastico commento del solito Renato Simoni. La purezza semplificante, e la raccolta e limpida potenza della sua arte, quel finito e perfetto della sua tecnica, al servizio di una intelligenza inquieta e accesa e appassionata che scruta, indaga, sceglie, vigila, costruisce, hanno una volta di più trionfato. 304 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI La trama della commedia potrebbe aver attratto Morselli, a partire dal personaggio protagonista, un grande chirurgo, pieno dell’orgoglio della sua arte, effettivamente eccezionale, anche se, sembra, priva di titolo accademici, considerato che non avrebbe conseguito neanche la laurea. Tradisce la moglie e ad un certo punto ne viene tradito. In fine dei conti, il dottore se ne fa una ragione, in nome di una reciproca libertà. Ma quando la donna lo abbandona, le teorie non valgono più, il medico perde le staffe, travolto dalla superbia. Tuttavia un piccolo dottore giapponese, che è una delle figure più divertenti della commedia, gli dimostra che è bello rinunciare all’orgoglio, non credersi superiori alle passioni che la natura ha posto in noi, e sentire che i fili della nostra esistenza sono mossi dall’alto. Di Pirandello, sempre nel medesimo spazio riservato alle recensioni dal “Corriere della sera”, troviamo, senza indicazione della data, recensioni di Simoni a Lazzaro, La ragione degli altri, e con data autografa, segno, presumibilmente, di maggiore interesse, la recensione al Così è (se vi pare), 14-6-52, indicata tra i capolavori assoluti di Pirandello dall’articolista. Altro grande autore italiano, citato nel diario, e molto rappresentato, anche a Milano fino agli anni Sessanta, Vitaliano Brancati su cui si intrattiene il più volte citato saggio di Antonio Di Grado nel volume bilingue su Morselli dell’editore brasiliano Edizioni Comunità. Qualche anno prima, nella recensione di Eligio Possenti, il 16-2-49, si interessa alla figura di un donnaiolo incorreggibile, nella commedia di Jaen Anouilh, Ardelia o la margherita, in scena all’Odeon. Definita IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 305 commedia della bestialità umana, Possenti auspica un ritorno alla descrizione della purezza, in un momento in cui, in diversi campi (la politica, la società, gli affetti) non si parla d’altro che di cose “sporche”. Di Denis Amiel, 29.3.44, il ritaglio con la recensione di La tua giovinezza, nello stesso ritaglio del 13-1-50 Margherita di Salacrou e La carozza del S.S Sacramento di Merimèe, recitate nella stessa serata al Teatro Nuovo. Ancora notizie delle commedie di Noel Coward, e dal Piccolo Teatro, con data autografa sulla recensione del “Corriere” del 10-1-50, della commedia di Giraudoux, Intermezzo, con protagonista Isabella, maestra supplente, con i suoi scolari e l’apparizione di un fantasma. Dell’ 8-251, Harwey, di Mary Chase, commedia estrosa, che prevede, con una sottolineatura di Morselli, un personaggio eccentrico, fuori dalla logica borghese della sua famiglia. La sua “pazzia” consiste nel parlare con un personaggio “inventato” un coniglio alto un metro ottanta. Quando la sorella lo porterà in manicomio, lui apparirà così calmo e saggio e lei così agitata da invertire le parti e gli esiti voluti. La donna verrà internata, mentre il fratello sarà portato fuori, con tutti gli onori. Di seguito, però, la commedia avrà altri colpi di scena, ma fonderà comunque la sua forza nel personaggio ingenuo dell’amico del coniglio. Simoni commenta richiamando, tema importante per Il redentore, come assai spesso il teatro si sia ispirato ai “matti” o presunti tali, e cita La cena delle beffe di Benelli, come prototipo di grande successo. Altre commedie straniere segnalate nei ritagli la Nata ieri di Garson Kanin, autografata il 27-5-50 Luciana e il macellaio di Marcel Aymè, torbidamente sensuale per quei tempi, come denota la recensione, sia pur 306 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI lodativa della interpretazione (con la regia) della mitica Tatiana Pavlova, coadiuvata da Luigi Almirante, l’intensa Salpati verso l’ignoto di Sutton, del 13-12-51, con l’applaudita performance di Emma Gramatica, nella quale le chiacchiere futili e velenose sulle distinzioni e gli odi classisti vengono completamente annullate alla fine del primo atto dalla coscienza che la nave salpa verso l’ignoto, appunto, ma che tutti i passeggeri, senza eccezioni, sono democraticamente già morti. Dei grandi autori del teatro mondiale, Morselli conserva le recensioni di Claudel L’annuncio a Maria, il “dramma borghese” di Eliot, Cocktail Party, L’Elettra di Sofocle, nella traduzione di Quasimodo, messa in scena al Piccolo teatro, con Lilla Brignone diretta da Strehler, Inquisizione di Diego Fabbri, data autografa 29-1-50, di cui si interesserà, in particolare al Seduttore e per la tecnica metateatrale del processo a Processo a Gesù, come già osservato. Altra rappresentazione memorabile, di quel Visconti tenuto d’occhio come possibile referente per i propri testi teatrali e le sceneggiature, Morselli conserva la recensione del “Corriere” al capolavoro di Tennesse Williams, Un tram che si chiama desiderio, della compagnia Morelli-De Lullo-Falck, ritaglio datato 20-4-51. Di Silvio D’Amico, Morselli possedeva nella biblioteca personale anche l’Ibsen, Milano, Treves, 1928. Interessa Morselli l’atmosfera protestante del drammaturgo, la sostanza della Riforma che, per il celebre critico teatrale di cultura e fede cattolica, si compone di regole dure, intolleranti, a volte ossessionanti. D’Amico ne sintetizza le conseguenze, che danno avvio al libero pensiero con, sottolinea Morselli da p., 3, la “ri- IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 307 bellione alla Regola trascendente, rivendicazione della coscienza sovrana, culto dell’io”. In sintonia con i suoi interessi per le opere teatrali in cui si congiungono diversi generi, Morselli si mostra interessato in particolare all’andamento e allo stile del Peer Gynt, annettendo importanza alla definizione di “poema drammatico” a p. 18. A matita, in fondo alla pagina, invita al paragone con il Liolà di Pirandello. Ancora, a matita, una interessante annotazione autografa, quella a p. 21, dove D’Amico si intratteneva sulle novità del teatro ibseniano: “verismo, sì, ma che per oggetto ha la profonda anima dell’uomo, e che si risolve in una critica mordente a quanto di fittizio presenta la società umana di oggi”. Superfluo sottolineare quanto, alla luce delle sue opere, Morselli possa sottoscrivere, anche al di là di Ibsen, questo giudizio. Nella parte superiore di p. 38 ancora a matita, appunta una frase di Anatole France per cui tutto il romanzo, il narrare è autobiografico, accanto all’osservazione di D’Amico sull’autobiografismo dei maggiori personaggi della maturità del grande scandinavo: da Osvaldo a Rubek fino, curiosamente all’indietro, a Brand. Nel libro, Morselli conserva, dal “Corriere della sera” del gennaio 1941, una recensione assai positiva di Casa di Bambola nell’allestimento di Eligio Possenti, con protagonista Laura Adani. L’articolo non presenta sottolineature o glosse. Proprio nel volume di Casa di Bambola, Mor 1469, Milano, Treves, 1928, Morselli lascia un foglietto in cui riporta il primo dialogo tra Nora e il marito, Helmer, in cui, in fondo, troviamo già gli elementi dell’opera: il Natale, cuore della famiglia borghese, dei suoi affetti reali, nella donna, e delle 308 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI ipocrisie esteriori, lui, la questione economica, con Helmer che rinfaccia, con gesti affettuosi ma ben decisi, alla moglie di sperperare soldi in regali. Non è dato sapere a cosa potesse servire questa ricopiatura. Forse anche una verifica della lunghezza dei propri testi, considerato che alla fine del foglio con queste sette battute dei due coniugi Morselli segna: “pag. 5 (17 righe stampate ½ pagina)”. Risale al gennaio 1941 il ritaglio conservato da Morselli della rappresentazione della Casa di Bambola, purtroppo non completo e senza indicazione di firma e testata. Siamo tornati, dunque, dopo questa appassionante, almeno per chi scrive, cavalcata nel grande teatro mondiale, per quel che è stato possibile con gli occhi di Guido Morselli, agli anni dell’apprendistato dello scrittore. Da qui a poco si sarebbe misurato con le tecniche del teatro, con Tempi liceali, con L’amante di Ilaria, con la traduzione da Marivaux e via via con gli altri testi teatrali, continuando, come si è cercato di testimoniare, a formulare giudizi non banali sulla ribalta teatrali di quegli anni. Ricordo, uno su tutti, il giudizio sul teatro di Beckett, in qualche modo artisticamente utilizzato nella nota pagina di Dissipatio H.G., non senza ironia. Aveva sperimentato diversi rifiuti, anche teatrali, di cui purtroppo abbiamo tuttora scarse notizie, essendo ancora oggi per volontà degli eredi della famiglia Bassi (a quanto mi è dato di capire da uno scambio di mail con la Fortichiari) “impubblicabile” la cartellina dei rifiuti e i carteggi personali e con eminenti personaggi, evidentemente molto potenti (anche se presumibilmente defunti). È evidente che questo volume si presta a smentite clamorose, quando i carteggi verranno alla luce. Del resto Guido Morselli è stato sarca- IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 309 sticamente abilissimo a depistare studiosi pedanti e filologi incalliti nella sua Dissipatio. Sono felice se dal punto di spazio e tempo in cui si trova, potrà sorridere delle imprecisioni e fragilità, donarci quella sua tipica, sofferta, leggerezza. 310 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Indice dei nomi (si escludono i personaggi delle opere di Morselli, anche qualora siano “storici”, quali ad esempio Mussolini, Giulio Cesare, Marx) Adani, Laura p. 262 (n), p. 306 Albani, Elsa p. 271 Albertazzi, Giorgio p. 128 (n), p. 130, p. 263, p. 273 Alvaro, Corrado p. 257 Agostino (Sant’) p. 66, p. 75, p. 109, p. 223, p. 230 Alfieri, Vittorio p. 98 Altizer, Thomas p. 223 Amiel, Henry Friedrich p. 113, p. 113 (n), p. 113, p. 118 Angela da Foligno, 68 (n) Anouilh, Jean p. 304 Apollonio, Mario p. 272 Auerbach, Erich p. 281, p. 283 (n) Augier, Marc p. 301 Azzalin, Dino p. 32 Balzac, Honoré de p. 256 Barberi Squarotti, Giorgio p. 12, p. 138 (n), p. 276 (n) Barilli, Renato p. 273 Barthes, Roland, 286 Bassi (famiglia), p. 42 (n), p. 307 Bassi, Maria Bruna p. 14, p. 54 (n), p. 60 (n), p. 258 Baudelaire, Charles p. 295 Baudino, Mario p. 59 Beck, Julian p. 268 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 311 Beckett, Samuel p. 46, p. 62, p. 74, p. 255, pp. 263273, p. 307 Becque, Henri p. 301 Benda, Giuliano p. 295, p. 297 (n) Berenson, Bernard p. 302 Bergson, Henri p. 91, p. 95, p. 294, p. 296 Bertin, Giovanni Maria p. 68 (n) Betti, Ugo p. 302 Bettiza, Enzo p. 261 Bigi Sansoni, Giuseppe p. 290 (n) Byron, George Gordon Noel p.288 Bo, Carlo p. 33, p. 273, p. 292, p. 292 Bompiani, Valentino p. 302 Bonaventura da Bagnoregio (San) p. 67 (n) Bongiorno, Mike p. 25 Borboni, Paola p. 302 Borsa, Elena p. 9, p. 9 (n), p. 17 (n), p. 129 (n), p. 141 (n), p. 150 (n), p. 163 (n), p. 177 (n), p. 287 (n) Bouvier, Bernard p. 112 (n) Bracco, Roberto p. 252 Bragaglia, Anton Giulio p. 257, p. 264 (n) Brancati, Vitaliano p. 264, p. 264 (n) Brecht, Bertolt p. 197 (n), pp. 256-266, p. 311 Brignone, Lilla p. 305 Brunelli, Vittorio p. 259 Buazzelli, Tino p. 42 (n), p. 257, p. 263 (n), p. 268 Byron, George Gordon p. 263 (n), p. 287 Calderon de la Barca, Pedro p. 273 Calogero, Guido p. 266 Calvino, Italo p. 32, p. 163, p. 261, p. 262 Camerini, Mario p.253 312 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Camus, Albert p. 89 Carducci, Giosuè p. 302 Carraro, Tino p. 268, p. 271, p. 274 (n) Cascetta, Annamaria p. 92, p. 92 (n) Castellani, Enrico p. 257 Caterina da Siena p. 67 Chaplin, Charlie p. 166 Chase, Mary p. 304 Chesterton, Gilbert Keith p. 295 Chiara, Piero p. 42 Chiarelli, Luigi p. 251 Claudel, Paul p. 266, p. 300, p. 305 Clurman, Harold pp. 261-262 Coletti, Vittorio p. 142, p. 142 (n) Coward, Noel p. 303 Corneille, Pierre p. 273 Cortellessa, Andrea p. 246 (n), Corti, Maria p. 9 Costa, Orazio p. 270 Costa, Simona p. 10 (n), p. 90, p. 90 (n), p. 208, p.214 Croce, Benedetto p. 85, p. 179 (n), p. 283, p. 302 D’Acquisto, Salvo p. 230 (n) D’Amico, Silvio p. 252, p. 300, p. 301 (n), p. 306, p. 307 D’Annunzio, Gabriele p. 145, p. 272 Da Pisa, Giordano p. 67 (n) D’Avila, Teresa (Santa) p. 67 (n) D’Arienzo, Sara p. 9, p. 9 (n), p. 66 (n), p. 129 (n), p. 139 (n), p. 141 (n), p. 150 (n), p. 161, p. 163 (n), p. 177 (n) IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 313 De Feo, Sandro p. 273 De Lullo, Giorgio p. 273, p. 307 De Monticelli, Roberto p. 255, p. 267, p. 268, p. 269, p. 271 (n) D’Episcopo, Francesco p. 31 (n) De Roberto, Federico p. 15 D’Errico, Ezio p. 301 De Ruggiero, Guido p. 85 Deutscher, Isaac p. 169 (n) Di Biase Carmine p. 31 (n) Di Grado, Antonio p. 12 (n), p. 32, p. 87 (n), p. 218 (n), p. 240 (n), p. 304 Doglio, Federico p. 75 (n) Dossi (Padre) pp. 231-233 Dostoevskij, Fëdor p. 46 Dumas, Alexandre p. 262 (n), p. 300 Dürrenmatt, Friedrich p.14, p. 254, p. 267 Eliot, Thomas Stearns p. 251, p. 282, p. 305 Engels, Friedrich p. 139, p. 173 Enriquez, Franco p. 263 Eschilo p. 276 Euripide p. 91 (n) Fabbri, Diego p. 177, p. 263, p. 305 Falconi, Armando p. 253, p.257 Falconi, Dino p. 301 Falk, Rossella p. 270, p. 271, p. 305 Faraglia, Cristina p. 233 Farinelli, Arturo p. 91 (n) Fasano, Lessona p. 10 (n) Ferrati, Sara, p. 268 314 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Ferroni, Giulio p. 10 Fichte, Johann Gottlieb p. 290 (n) Foerster-Nietsche, Elisabeth p. 90 (n), p. 292 Fogazzaro, Antonio, 103. Fortichiari, Valentina p. 9, p. 10 (n), p. 11, p. 31 (n), p. 43 (n), p. 54 (n), p. 55 (n), p. 59 (n), p. 64 (n), p. 65 (n), p. 85, p. 85 (n), p. 88, p. 113 (n), p. 127 (n), p. 137 (n), p. 139 (n), p. 147, p. 160, p. 160 (n), p. 187, p. 195, p. 195 (n), p. 218 (n), p. 221, p. 221 (n), p. 227, p. 244 (n), p. 249, p. 258 (n), p. 270, p. 287 (n), p. 308 France, Anatole p. 307 Franchetti, Augusto p. 290 (n) Fruttero, Carlo p. 265, p. 266 Gadda, Carlo Emilio p. 32, p. 209 Gallup, George Horace p. 203 Gasparini, Evel p. 292, p. 293 Gassman, Vittorio p. 42 (n), p. 257, p.263 Gaudenzi, Angelo p. 17 (n), Gaudio, Alessandro p. 10 (n), p. 16, p. 30, p. 31 (n), p. 33, p. 84 (n), p. 128 (n), p. 148 (n), p. 274 (n) Genet, Jean p. 273 Gentile, Giovanni p. 225 (n), p. 295 Giacosa, Giuseppe p. 301 (n) Gimmi, Annalisa p. 131 (n), p. 248 (n) Giorello, Giulio p. 32 Giovaninetti, Silvio p. 301 Giovanni (San) p. 67 (n) Giusso, Lorenzo p. 295, p. 296, p. 297 Goethe, Johann Wolfgang p. 258, p. 290 (n), p. 291, p. 292, p. 292 (n), p. 296 (n), p. 297, p. 298 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” Goldoni, Carlo p. 254, p. 273, p. 274 Grass, Gunter p. 260 Grassi, Paolo p. 42 Grazzini, Giovanni p. 34, Grignani, Maria Antonietta p. 9, p. 17 (n), p. 32 Grossvogel, David p. 263 Guiness, Alec p. 278 Guthrie, Tyron p. 278 Hegel, George Wilhem Friedrich p. 137 Ibsen, Henrik p. 91, p. 305, p. 306 Ionesco, Eugène p. 256, p. 263, p. 264, p. 267 Isella, Dante p. 42 Joyce, James p. 264, p. 265 (n) Jurgens, Curt, 259 Kafka, Franz p. 264 Kaprow, Allan p. 269 Kleist von, Heinrich p.237 Lessing, Gotthold Ephraim, p.91 Levasti, Arrigo p. 68 (n) Levi, Carlo p. 32 Lilli, Virgilio p. 34, p. 35 (n) Loraine, Percy p. 202 Lukàcs, György p. 261 Lutero, Martin p. 290 (n) Macchia, Giovanni p. 250 Machiavelli, Niccolò p. 201 315 316 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Maffii, Maffio p. 291 Mainoli, Tiziana p. 32, p. 76, p. 76 (n), p. 77, p. 88 (n), p. 95 Malina, Judith p. 268 Manacorda, Guido p.289 Mann, Thomas p. 293, p. 294, p. 295 Manzoni, Alessandro p. 32, p. 85, p. 252, p. 272 Marivaux, Pierre Carlet de Chamblain p. 99, p. 247 (n), p. 254, p. 273-275, p. 308 Marraffa, Laura p. 70 (n) Massari, Valeria p. 244 Mattei, Paolo p. 139 (n), p. 164 (n), p. 167 (n) Mazzolini, Salvo p. 260 Merimèe, Prosper p. 304 Merlin, Lina p. 203 (n) Mezzina, Domenico p. 10, p. 16, p. 32 (n), p. 45, p.161 Minazzi, Fabio p. 32 Moeller, Charles p. 173 (n) Molière p. 99 Monastra, Maria Rosa p. 32 (n) Mondin, Giovanni Battista (Padre) p. 11, p. 102, p. 102 (n), p. 220, p. 221, p. 223, p. 224, p. 231 Montaigne (Michel Eyquem de) p. 85 Montale, Eugenio p. 272, p. 278, p. 279 Morano, Mario Rocco p. 33, p. 245 Moravia, Alberto p.33, p. 140, p. 168, p. 173 Morelli, Antonella p. 244 Moretti, Nanni, p.210 Morselli, Ercole Luigi p. 300, p.301 Morselli, Mario, p. 218 Mosena, Roberto p. 30 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 317 Nadeau, Maurice p. 265 Nascimbeni, Giulio p. 163 (n) Nietzsche, Friedrich Wilhelm p. 90, p. 291 (n), p. 293, p. 296 Olivero, Maria p. 274 Osiris, Vanda p. 19 Pandolfi, Vito, p. 256 Panetta, Maria p. 31 (n), p. 236 (n) Papa, Franca p.76, p. 76 (n), p. 78, p. 80 Papa, Santino p. 76, p. 76 (n), p. 78 Papini, Giovanni p. 291, p.296 Pascal, Blaise p. 220, p. 224, p. 233 Pascoli, Giovanni Pasolini, Pierpaolo p. 32 Pavese, Cesare p-73, p. 199 Peja, Laura p. 92, p. 92 (n) Perilli, Plinio p. 32 Pierangeli, Fabio p. 11, p. 86 (n), p. 138 (n), p. 220 (n), p. 239 (n) Pinotti, Giorgio p. 32 Piovene, Guido p. 292 Pirandello, Luigi p. 96, p. 254, pp. 263-274 (n), p. 287 (n), p. 301, p. 301 (n), p. 304, p. 307 Pisaneschi, Rosina p. 297 Plutarco, p. 279, p. 281, p. 283 (n) Pontiggia, Giuseppe p. 247 (n) Possenti, Eligio p. 256, p. 264 (n), p. 302, p. 304, p. 307 Praga, Marco p. 302 318 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Proclemer p. 272 Proust, Marcel p. 85, p. 264 Rabelais, François p. 265 (n) Racine, Jean p. 92, p. 98 Radice, Raul p. 267, p. 272, p. 273 Raffo, Silvio p. 16 Rebora, Piero p. 179 (n), p. 180 (n), p. 284, p. 285 Rensi, Giuseppe p. 85, p. 245 (n), p. 297 (n) Ricci, Aldo p. 280 Rinaldi, Rinaldo p. 11, p. 32, p. 70, p. 70 (n), p. 224, p. 246 (n), p. 284 (n) Ruggeri, Ruggero p. 252, p. 284, p. 302 Rossi, Alberto p. 282 (n) Rousseau, Jean-Jacques p. 85 Santurbano, Andrea p. 12 (n), p. 16, p. 32, p. 86 (n), p. 88 (n), p. 209 (n), p. 217 (n), p. 240 (n) Sardou, Victorien p. 252, p. 302 Sarfatti, Margerita, p.202. Scudder, Giuliana p. 174 Shakespeare, William p. 155, p. 158 (n), p. 179 (n), p. 183, p. 252, p. 260, p. 276, pp. 277-284, p. 299 p. 312 Shelley, Percy Bysshe p. 251 Shiller, Friedrich p. 91, p. 291 Simmel, Georg p. 295, p. 297 (n) Simoni, Renato, p. 256, p. 289, pp. 302-304 Socrate p. 91 (n) Soldati, Mario, p.33 Spaini, Alberto, p. 257 Spengler, Oswald p. 296, p. 297 (n) IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 319 Squarzina, Luigi p. 263 (n), p. 264 Staudte, Wolfgang p.258. Streheler, Giorgio p. 251, p. 257, p. 282, p. 298 Steiner, George p. 173 (n), p. 175, p. 175 (n) Stirner, Max p. 296 Strindberg, August p. 91, p.262 Svevo, Italo p. 32 Shaw, George Bernard p. 255, p. 264 Strindberg, August p. 90, p. 262 Szondi, Peter p. 91, p. 91 (n) Taine, Hyppolite p. 287 Tecchi, Bonaventura p. 292 Terron, Carlo p. 273 Terziroli, Linda p. 10, p. 16, p. 32, p. 33, p. 88 (n), p. 102 (n), p. 123, p. 123 (n), p. 166, p. 219, p. 219 (n), p. 223, p. 223 (n) Testoni, Alfredo p. 302 Testori, Giovanni pp. 18-19, p. 163 (n) Thibaudet, Albert p. 301 Thoreau, Henry David p. 150, p. 245, p. 246 (n) Tieri, Vincenzo p. 300 Tilgher, Adriano p. 296 (n) Tomasi Di Lampedusa, Giuseppe p. 15 Tonta, Pierino p. 76, p. 77, p. 78, p. 79 Valli, Romolo p. 270, p. 271, p. 273 (n) Vignola, Bruno p. 292 (n) Vildrac, Charles p. 300 Villani, Paola p. 10 (n), p. 11, p. 31 (n), p.72, p.221 Violini, Chiara p. 244 Visconti, Loredana p. 17 (n) 320 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Visconti, Luchino p. 18, p.128, p. 196, p. 252 Voltaire p. 292 Weber, Luigi p. 86 (n) Weigel, Helene p. 260, p.261 Weiss, Lucia p. 85 Weiss, Peter p. 261, p. 274 Wilde, Oscar p. 252, p. 296 Williams, Tennesse p. 305 Wright B., Louis p. 158 (n) Zolla, Elémire p. 261, p. 262 Zorzi, Guglielmo p. 302 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 321 322 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI INDICE Introduzione .................................................7 L’attesa e i luoghi della fine. Icone morselliane ................................................ 38 Tu, ti ........................................................................ 40 “A lei solo il massimo riserbo” .......................... 48 Attesa, dissipazione, testimonianza ................ 54 “Affannarci verso mete che egli sa non toccheremo mai”. Uomini e amori, Dramma Borghese, la tradita utopia comunista ................................................... 81 Affannarci .............................................................. 83 Altri medici .......................................................... 100 Ilaria, amante borghese. La guerra, gli abbracci, il tradimento.......................................106 Aerei (Sweet love, renew thy force) ................... 143 Attacchi aerei ....................................................... 145 L’erba cresce su rottami di modernità ...........150 Il comunista e i neri ............................................ 153 Infarto, esiste allora una medicina? (Ancora su Il comunista) ........................................................ 162 Amore (o morte) mostra la tua potenza ........ 176 Roma senza duce e senza papa .................. 193 Nipic e Karpinski ...................................... 216 Il teatro: “Un riepilogo degli uomini”. ..... 244 Riepilogo, fuga, solitudine ............................... 245 IL TEATRO: “UN RIEPILOGO DEGLI UOMINI” 323 Intorno a Brecht ................................................. 256 Dal Metateatro alle (pseudo) avanguardie... 263 Personaggi e maschere...................................... 269 Il teatro verità. Shakespeare ............................ 276 Da Cesare a Cesare (e i pirati) ......................... 280 Faust o della necessità di agire ....................... 285 Altri ritagli e sottolineature ............................. 300 324 SULLA SCENA (INEDITA) CON GUIDO MORSELLI Finito di stampare in proprio nel mese di settembre 2012 UniversItalia di Onorati s.r.l. Via di Passolombardo 421, 00133 Roma Tel: 06/2026342 email: [email protected] – www.unipass.it