Dinamica di popolazione La dinamica di popolazione del camoscio, e in generale degli animali a vita libera, è variabile in funzione di vari tipi di fattori, alcuni densità dipendenti, ovvero che sono influenzati dalla stessa densità di popolazione di camoscio (per es. disponibilità alimentare, malattie, ecc.), altri, come il clima e in genere i fattori abiotici, che agiscono sulla dinamica demografica indipendentemente dalla densità di animali (fattori densità indipendenti). Oltre a ciò è da considerarsi come fattore determinante la struttura di popolazione degli ungulati di montagna, l’impatto antropico, spesso una delle cause principali di limitazione di incremento demografico. Ci sono infatti ambienti rocciosi di media montagna su cui il camoscio è stato attivamente eliminato: oggi non lo si incontra non perchè non sia un ambiente adatto, bensì perchè tali zone sono così antropizzate, talmente disturbate e sottoposte a pressioni di tutti i tipi da parte dell’uomo, che i camosci non riescono a trovarvi spazio. Può accadere quindi che i camosci siano spinti in ambienti altoalpini dove la dinamica di popolazione è più fortemente influenzata dalla mortalità dipendente dal clima, dall’innevamento e dalla carenza di cibo, ma anche da eventi come slavine e valanghe, ovvero da fattori abiotici. Le popolazioni hanno quindi possibilità reali di autoregolazione. In queste situazioni un secondo fattore che può agire in maniera evidente nella modulazione demografica sono gli agenti patogeni trasmissibili. Negli ultimi 50-60 anni in Europa i camosci sono stati talora attivamente introdotti e sono arrivati ad occupare zone per le quali non esisteva una reale vocazione, in quanto prive di quegli ambienti rocciosi che abbiamo riconosciuto essere essenziali per questa specie. L’andamento demografico deve essere considerato attentamente nella gestione delle diverse situazioni: i piani di prelievo di animali in ambiente alto alpino non dovrebbero superare il 1015% della popolazione perchè gli incrementi annuali sono generalmente limitati e caratterizzati da elevata mortalità dei piccoli, che quindi non dovrebbero essere abbattuti. In ambienti di media montagna, con climi favorevoli, si applicano piani di gestione basati su prelievi percentualmente più rilevanti (20-25%) sul totale degli effettivi della popolazione, includendo anche la classe dei capretti. Va inoltre considerata anche la situazione della popolazione in senso potenziale; esistono infatti popolazioni in espansione e popolazioni stabili, popolazioni che hanno a disposizione ancora moltissimo spazio e quindi possono svilupparsi numericamente in modo consistente e popolazioni che hanno già saturato gli spazi a loro disposizione o sono prossime a farlo. Questa condizione influenza ovviamente lo stato fisico, che è migliore nelle popolazioni in espansione, presso cui si nota anche una maggiore precocità nei parti. Per comprendere meglio questa dinamica è opportuno introdurre il concetto di capacità portante dell'ambiente. Capacità portante dell’ambiente. In condizioni naturali in cui una popolazione cresce nel medesimo habitat con fenomeni migratori relativamente bassi, è logico pensare che le interazioni reciproche tra i soggetti aumentino sensibilmente con il crescere della densità, fino a influire negativamente sulle capacità di sopravvivenza e di riproduzione: si pensi alla limitatezza delle risorse trofiche, alla trasmissione degli agenti patogeni, ecc. Il valore di densità di una popolazione in un determinato ambiente raggiunto il quale tale popolazione cessa di crescere numericamente ed assume un andamento di tipo oscillatorio è detto capacità portante dell’ambiente. I due parametri per cui una popolazione si espande più o meno lentamente ed ha un incremento utile annuo più o meno veloce sono il tipo di ambiente e il potenziale di espansione della stessa. Studi eseguiti in Austria hanno valutato l’incidenza, per le varie classi di età, della mortalità dovuta ai fattori ambientali ed ai piani di prelievo strutturati in modo classico. Queste indagini evidenziano che la mortalità nella classe di capretti in un ambiente classico alto alpino è elevatissima; i piani di abbattimento hanno importanza, ma i fattori di mortalità naturale sono comunque prevalenti. L’incremento utile annuo del camoscio, inteso come numero di piccoli che arrivano ad incrementare effettivamente la popolazione al termine dell’inverno, è piuttosto basso, si aggira attorno al 1520% dell’intera popolazione (con un rapporto tra i sessi all’incirca di 1:1) rispetto al 33% dei cervi ed al 120-160% dei cinghiali. In realtà nelle popolazioni naturali si è visto che il rapporto maschi/femmine totale non è 1:1 poichè i maschi subiscono una mortalità maggiore in dipendenza dall’attività riproduttiva. Nei maschi assume notevole importanza la maturità sociale, cioè l’età in cui non solo l’animale è fisiologicamente atto a riprodursi, ma è anche in grado di sostenere la competizione con gli altri individui dello stesso sesso per imporsi ed avere accesso alle femmine. Fino a quando i giovani restano nell’età in cui non c’è reale maturità sociale, la mortalità tra femmine e maschi è pressochè confrontabile, perchè i maschi, non avendo accesso alle femmine, non soffrono dello stress organico derivante dal fatto di avere un harem, di conservarlo, di coprire le femmine. Quando i maschi, a partire dai 7 anni in poi, entrano in pieno nel ciclo riproduttivo la loro mortalità aumenta. Predazione e relazioni interspecifiche In ambiente alpino il camoscio non ha più grandi nemici, mancando i grandi predatori quali il lupo e la lince. L’aquila può far precipitare qualche individuo per poi cibarsene o catturare qualche piccolo, ma certamente non la si può considerare una regolatrice degli effettivi. L’elemento forse più stressante al momento attuale sono le attività dell’uomo che possono creare disturbi. Di sicuro influsso sulla dinamica di popolazione è l’attività venatoria, specie quella incontrollata o illegale. Anche le attività turistiche possono divenire fonte di disturbo per le popolazioni di camosci: l'escursionismo nelle aree di estivazione, lo scialpinismo nei quartieri di svernamento, o l'impiego di parapendii ed elicotteri andrebbero inserite e regolamentate all'interno di una più corretta pianificazione territoriale al fine di limitare attività di tipo turistico-sportivo condizionanti la distribuzione spaziale e i ritmi biologici di questa specie, assai sensibile a fattori di disturbo non prevedibili.