Tragica fatalità a passo di danza nella “Carmen” di Bizet.
di Rosanna Di Giuseppe
Il primo personaggio della letteratura e del teatro operistico cui ci riconduce per analogia il destino
di Carmen è senz’altro quello di Don Giovanni. La statura del personaggio, il suo porsi al di là del
bene e del male nell’affermazione di una libertà assoluta coincidente con il “disporre a proprio
piacimento della propria passione” (F. Della Seta) e soprattutto la spavalderia e la noncuranza
nell’andare consapevolmente incontro al proprio destino tragico, richiamano immediatamente alla
mente il famoso libertino mozartiano evidenziando dell’opera un contenuto eversivo che fu una
delle cause dello scandalo e della caduta che essa provocò alla sua prima rappresentazione avvenuta
il 3 marzo 1875 al Teatro dell’ Opéra comique di Parigi. Ad esso si accompagnarono le novità
formali che contribuirono a provocare l’iniziale rifiuto e l’incomprensione di quello che sarebbe
stato riconosciuto ben presto come uno dei principali capolavori del teatro operistico mondiale. Già
nella sua ripresa all’Opera di Vienna il 23 ottobre 1875 nella versione modificata più vicina al
grand-opéra, con le sezioni parlate musicate da Guiraud, l’opera registrò maggior successo
diffondendosi quindi in numerosi altri teatri finché anche a Parigi fu riproposta, nel 1883, una volta
morto l’autore, con la stessa prima grande interprete la Galli-Marié, riscuotendo un vero e proprio
trionfo. Prima di tutto una vicenda che rivelava uno spirito da tragedia greca per quanto riguarda il
confronto della protagonista con un destino ineluttabile (la sua forza tragica si esprime al massimo
nella scena del terzo atto in cui interroga le carte dalle quali apprende fieramente il suo destino di
morte), era calata in un contesto basso e quotidiano e nella convenzione formale di un genere,
quello dell’opéra comique, che, oltre a prevedere i dialoghi parlati al posto dei recitativi musicati
alla stessa maniera del singspiel tedesco, prediligeva in linea di massima la leggerezza, i toni lievi,
la trita consuetudine dei pezzi chiusi e in particolare era destinato a un teatro familiare, in cui “ si
preparavano i fidanzamenti dell’alta borghesia”. Tale argomentazione fu opposta dal direttore del
teatro De Leuven, quando si vide proposto un soggetto scandaloso quale quello del romanzo breve
di Mérimée(1845) adattato dai popolari librettisti Henri Meilhac e Ludovic Halèvy, imperniato su
ambienti e contenuti inaccettabili: vicende amorose in un contesto di ladri, sigaraie,
contrabbandieri, “sesso senza spiegazioni”, un finale sanguinoso e senza riscatto. “[…] In certo
modo il Romanticismo era finito” ha osservato Lorenzo Arruga “e anche le bugie delle convenzioni
di stile e di amori per bene sulle scene erano smascherati”. Perfino il personaggio positivo di
Micaela, assente nella novella di Mérimée e introdotto dai librettisti sia col fine di inserire un
elemento convezionale e familiare in quanto tipico delle storie melodrammatiche amate dal
pubblico borghese, ma anche con lo scopo drammaturgico di evidenziare il mondo di appartenenza
di José e conseguentemente per contrasto quello opposto della perdizione da cui viene inghiottito
una volta entrato in contatto con la selvaggia Carmen, non riesce a salvare José e tantomeno a
morire per lui secondo il tópos tradizionale. I personaggi soccombono non a un potere superiore o
demoniaco, ma a un istinto naturale e fisico. Quindi nessuna rassicurazione veniva offerta al
pubblico per quanto riguarda l’affermazione dei valori borghesi. Relativamente alle altre
trasformazioni attuate dai librettisti e anche dallo stesso Bizet rispetto alla fonte originaria, non
possiamo qui dilungarci a lungo. Citiamo almeno, oltre all’invenzione del personaggio di Micaela, i
mutamenti riguardanti don José che, rispetto alla novella, nel momento in cui uccide Carmen non ha
già compiuto altri delitti, mostrandosi quindi insicuro e insidiato dai rimorsi, e l’altro che riguarda
Escamillo, nell’opera presentato come unico antagonista di José, mentre nella fonte è un
personaggio marginale, soltanto una delle tante distrazioni di Carmen. Val la pena piuttosto di
osservare quanto dell’essenza della novella di Mérimée il compositore, coadiuvato dai suoi
librettisti, riesce a conservare e potenziare. In primis, la forza del personaggio e il suo carattere
rimangono intatti e, cosa più difficile, l’mpersonalità dello stile dell’autore letterario, vale a dire il
suo distacco dalla vicenda narrata, che nel clima del naturalismo di Flaubert anticipa in generale i
dettami di una poetica che in Italia si sarebbe espressa nel verismo, viene realizzata con mezzi
puramente musicali, creando un’“oggettività” che si pone abbondantemente oltre il romanticismo.
La musica di Carmen è infatti contro tendenza sia rispetto al wagnerismo che all’opéra lirique , in
quanto non si preoccupa di scandagliare l’animo dei personaggi, ma di renderli oggettivamente
attraverso la gestualità e il comportamento scenico, sorvolando su di essi in maniera leggera. Nella
novella di Merimée era molto sottolineata l’appartenenza della protagonista al mondo gitano,
mentre qui l’accentuazione del colore iberico fa tutt’uno con la realizzazione dell’opera, non solo in
senso esotico, ma in quanto espressione di una Spagna che si identificata con le idee di passione,
sangue, eros, istinto, colori accesi. Bizet non si propone tuttavia una ricostruzione filologica della
musica spagnola pur essendo abbastanza conosciuta a Parigi dove vivevano molti musicisti iberici
al tempo di Napoleone III. Gli unici riscontri puntuali con motivi e canzoni spagnole sono la
canzone El arreglito di Yradier tenuta presente, per affermazione dello stesso Bizet, per la
composizione della famosa habanera, l’inizio di una canciòn de cuna facente parte del Cancionero
popular epañol di Pedrell che risulta uguale al tema del secondo intermezzo e un polo estratto da
una tonadilla (un breve dialogo drammatico) che ha ispirato il terzo intermezzo, per il resto il
folclore musicale spagnolo è tutto inventato, si pensi alla chanson bohème del secondo atto, una
sorta di danza orgiastica, in cui Bizet non utilizzò materiale spagnolo ma semplicemente si mosse
liberamente nell’ambito di quella tradizione o anche alla celebre seguidilla che Carmen canta con i
polsi legati al suo carceriere don José, nel primo atto, esaltando i piaceri plebei della danza, del vino
e dell’amore. La stessa habanera, la cui origine lontana è cubana, in quanto deriva da una danza
orgiastica negra, rispetto alla canzone di Yradier, è trattata molto personalmente e senza fronzoli dal
musicista che ne colse istintivamente la carica sensuale ed erotica attraverso cui espresse al
massimo la sensualità del personaggio di Carmen. La musica dell’opera è per il resto soprattutto
francese, pur puntando sulla sua “seduzione acustica e motoria” per imporsi all’ascolto. Molti i
tratti di modernità: mentre le opere contemporanee del tempo seguivano il principio della continuità
drammatico-musicale ponendo il canto a servizio della parola, Bizet , e ciò risulta particolarmente
nella forma con i dialoghi parlati, si basa sulla struttura di pezzi chiusi, secondo una scelta che
avrebbe attuato anche il Novecento (i couplets abbondano) e sul valore intrinseco della costruzione
formale della melodia. L’influenza di Gounod si registra solo in alcuni brani come quelli di Micaela
che incarnano i valori tradizionali apparendo quasi come citazioni. Accanto a ciò vanno indicati
l’abilità dell’orchestrazione, il gusto per i timbri puri, si veda la scena notturna del terzo atto della
montagna introdotta dal timbro isolato di un flauto, l’armonia e il ritmo taglienti interdipendenti
secondo criteri che anticipano soluzioni novecentesche. L’uso dei motivi conduttori è lontanissimo
dal principio di elaborazione wagneriana ma segue piuttosto un criterio semplice di ripresentazione
di temi musicali spesso in funzione dell’ironia drammatica: ad esempio il Preludio che si apre con
quel fandango che risuona come una scarica elettrica, presenta motivi che ritroviamo nel quarto
atto, quello della fanfara che accompagna la sfilata, il ritornello della canzone di Escamillo e il
tema associato alla morte dei protagonisti. Complessivamente lo svolgersi della tragedia avviene
in maniera flessibile attraverso canzoni popolari, arie di impronta gounodiana, pezzi di insieme di
ascendenza mozartiana (il quintetto del secondo atto e il terzetto), brani corali del tipo comique. La
melodia si serve sia di elementi aforistici come il celebre intervallo di seconda eccedente che
acquista un valore simbolico lungo il corso dell’opera, espressione di quel colore iberico inventato
da Bizet, ma anche della passione incarnata fin dall’inizio nel tema di cinque note del Preludio
definito da Nietzsche “un epigramma sulla passione”, sia di sviluppi ampi come nei due duetti fra
Carmen e Josè (nel secondo e nel quarto atto) costruiti secondo una struttura abbastanza libera
sfociante in “frasi appassionate del tenore” (Della Seta) e nel caso del primo duetto nella melodia
dilatata e senza ripetizioni della “romanza del fiore”. E’ da notare che in questi casi anche nella
piena melodica Carmen mantiene una posizione a sé stante senza lasciarsi coinvolgere, in una
perfetta realizzazione della coincidenza di valori drammatici e decorso musicale dell’opera.
Emblematica è l’assenza di risposta nella voce di Carmen all’ultima dichiarazione d’amore di José
nel duetto finale “Mais moi, Carmen, je t’aime ancore” che, come fa notare Mario Bortolotto,
smorza sul nascere il potere coinvolgente della melodia anche nel suo effetto sullo spettatore. Tale
profonda coincidenza tra valori drammatici e musicali che ricevono luce gli uni dagli altri, è uno dei
massimi conseguimenti artistici della Carmen. In tal senso, di straordinario effetto teatrale carico di
ironia drammatica risulta il finale in cui la musica della corrida , metafora essa stessa della guerra
tra i sessi culminante nella vittoria di Escamillo sul toro ( tale coincidenza era assente in Mérimée,
compiendosi il delitto in un luogo lontano dall’arena) sfocia nel compimento cruento della tragedia
sulla scena, nell’uccisione di Carmen da parte dell’ amante José. Tutta l’opera si svolge su questo
limite sottile tra l’eccitazione elettrica della festa e la tragedia. D’altra parte è dal legame di
quest’ultima con lo spirito e la leggerezza dell’opéra comique che forse derivano i suoi aspetti più
efficaci e rivoluzionari. Nietsche, nel Caso Wagner(1888) ha offerto le pagine più illuminanti sul
valore dell’opera che egli oppone per precisione e chiarezza classica alla tentacolare musica
wagneriana, cogliendo nello spirito della danza su cui si regge, “il bene è leggero, tutto ciò che è
divino corre con piedi delicati”, la sua essenza e un’antitesi valida al dramma wagneriano. Sulla
sua scia Fedele D’Amico notava che la musica di Bizet riporta a una forza primordiale e istintiva
identificantesi nel personaggio stesso di Carmen che non a caso si esprime nel timbro vellutato e
profondo del mezzosoprano. È la musica stessa a sedurre José a maggior ragione nella versione
originale mista di parlato e di musica, “nella quale anche nella realtà materiale della vicenda,
Carmen seduce il suo dragone appunto quando impedita di parlare, si mette a canterellare( ‘C’est
très bien, seigneur officier… Vous me défendez de parler, je ne parlerai plus’)” per concludere che
“alla musica nella sua accezione di volontà elementare… dobbiamo la trasformazione di questo
personaggio in uno dei miti della civiltà occidentale”.