CARITAS AMBROSIANA - ACEC DIOCESI DI MILANO Milano, Cinema Palestrina MERCOLEDÌ 16 OTTOBRE ORE 21 BLACK STAR nati sotto una stella nera Serata al cinema in memoria dei profughi morti a Lampedusa Proiezione del film “BLACK STAR nati sotto una stella nera” Incontro – dibattito con: Francesco Castellani, regista del film Gabriele Geri, attore del film Don Roberto Davanzo, direttore Caritas Ambrosiana – Diocesi Milano Giovanni Carrara, cooperativa Farsi Prossimo (impegnate dei profughi a Milano) Alcuni profughi presenti a Milano Trailer su www.chiesadimilano.it di nell’accoglienza BLACK STAR nati sotto una stella nera Appunti sul film e sulla storia vera che lo ha ispirato Immagina di essere fuggito da casa tua e dal tuo Paese per un viaggio senza ritorno; immagina di non avere più niente; immagina di essere un rifugiato: sei solo e ti ritrovi in una grande città confusa e straniera che si chiama Roma; immagina di incontrare altri come te e con loro diventare parte di una piccola squadra di calcio organizzata da quattro ragazzi italiani che hanno ottenuto in gestione un campetto abbandonato di periferia. Immagina che proprio quando finalmente sei parte di un progetto e non sei più un numero, ti trovi costretto ad occupare quel campo e viverci dentro barricato come se fosse la tua Terra Promessa. Perché qualcuno vuole togliertelo e ha la forza di farlo. Immagina che per vincere avrai bisogno di saper sorridere nonostante tutto e che accada un miracolo anche se lo sai bene: i miracoli non esistono, le persone sono l’unico miracolo possibile… BLACK STAR un film di Francesco Castellani Produzione Point films - Rai Cinema liberamente ispirato alla squadra di calcio di rifugiati "Liberi Nantes Football Club" SINOSSI DEL FILM Roma: quattro amici italiani trentenni gestiscono una squadra di calcio di rifugiati politici, ragazzi nati sotto una stella nera e segnati da un destino difficile, con l'obiettivo di farla partecipare ad un vero Campionato cittadino. In pieno Agosto ottengono in gestione un vecchio campo di calcio abbandonato nel cuore del quartiere Pietralata, ma si trovano a sostenere l'opposizione di un gruppo di abitanti che fondano un Comitato di Quartiere e rivendicano per sè l'uso del campo. Grazie a un abile avvocato il Comitato ottiene un'ordinanza di sgombero del campo. Pur di non rinunciare al proprio sogno i ragazzi della squadra reagiscono barricandosi all'interno del campo per quattro giorni, fino ad un imprevedibile epilogo durante la notte di San Lorenzo, la notte delle stelle cadenti, quando tutti si sentiranno coinvolti da un sentimento di riscoperta dell’altro. ESSERE UN RIFUGIATO E INCONTRARE UNA SQUADRA A Roma gioca una squadra molto particolare. Non la troverete nelle cronache dei quotidiani sportivi, non ammirerete le gesta dei suoi calciatori nelle moviole delle trasmissioni sportive; perchè la Liberi Nantes Football Club, fondata sette anni fa da un gruppo di italiani, è' una squadra composta interamente di rifugiati e migranti forzati: afgani, etiopi, darfuriani, somali, congolesi, eritrei, ed oggi anche siriani e tunisini, sbarcati in Italia fuggendo miseria, guerre e regimi violenti. I rifugiati/calciatori sono persone che hanno dovuto lasciare casa, famiglia, amori e amicizie forse per sempre, perchè chi fugge come loro non potrà mai tornare indietro. La condizione del rifugiato non è esattamente quella del clandestino: il rifugiato porta con sè una storia politica personale, fatta di partecipazione a movimenti di opposizione, o magari soltanto di voglia di vivere secondo libertà in luoghi che la libertà la negano per principio; i rifugiati sono persone messe in fuga da una guerra civile, da un conflitto perenne, da scontri etnici, da stermini di massa e sradicamenti. Persone ferite, necessariamente rivolte a una speranza di vita altrove, tutta da inventare e costruire. Quelli che sopravvivono alla fuga e al viaggio, che è poi lo stesso viaggio di milioni di migranti e clandestini spinti da fame e miseria, un viaggio fatto di deserti da attraversare, polizie da eludere, barconi e sbarchi di fortuna, di freddo e di paura, in gran parte arrivano in Italia, QUI, DA NOI, NEL NOSTRO PAESE. Nei casi più fortunati, una volta arrivati richiedono lo status di rifugiato e hanno teoricamente diritto ad un posto temporaneo per qualche mese nei centri di accoglienza, un letto e un pasto caldo, letti e piatti che non bastano mai per tutti. Sono fantasmi più che uomini: non parlano la nostra lingua, non conoscono nulla del nostro Paese se non il poco intravisto in qualche trasmissione tv; non hanno amici nè lavoro, devono mantenere l'incognito perchè potrebbero essere cercati da servizi segreti e polizie dei paesi di origine. Portano il peso di perdite dolorose, di lontananze, di distacchi. Devono imparare dov'è la questura, la mensa, il commissariato, l'ufficio migrazione: è quella la città che devono percorrere, tanto diversa dalla nostra. Per alcuni di loro c'è la consolazione di uno spazio di libertà e gioco: nei Liberi Nantes, ci si allena, ci si frequenta e si vive l'esperienza del calcio come possibilità di aggregazione, incontro, scambio e integrazione, mentre fuori dallo spogliatoio c'è da sopravvivere in un mondo spietato. La bella e singolare avventura di questa squadra, di chi l'ha fortemente voluta e costruita, di chi ne fa parte e di chi la ama, è l'oggetto della nostra storia, che come tutte le storie, non vuole raccontare la verità dei fatti ma ispirandosi liberamente alle vicende e alle persone, rende attraverso l'invenzione, la trasfigurazione e l'immaginazione, il valore umano, la motivazione sociale e la voglia di vita che stanno alla base della "Liberi Nantes Football Club" mescolando ironia e dramma, in una commedia delicata ma anche imprevedibile e magica come la Vita. NOTE DI REGIA del film “Black Star” di Francesco Castellani Ho incontrato i “Liberi Nantes Football Club” nel 2009 su un polveroso campo di calcio della periferia romana. Giocavano un’amichevole contro una squadra di ragazzi romani. Prima della partita per le rituali foto di gruppo srotolarono uno striscione: “FREE TO PLAY” c’era scritto. Non ho mai dimenticato quella frase, e credo che il cuore profondo del film che voglio fare ed ho scritto stia proprio in quel “liberi di giocare”; la volontà cioè di rivendicare il diritto ad uno spazio di gioco, di vita, di espressione per sé e per gli altri. Vale per un campo su cui giocare ma vale per la vita, per il lavoro, per il talento e per l’amore; vale per un ragazzo rifugiato, per un clandestino, ma anche per un qualunque ragazzo italiano. Tutti cerchiamo la nostra strada, il nostro destino, la nostra fortuna e una dimensione di vita. E tutti oggi, allo stesso modo questa possibilità di libertà la sentiamo minacciata dalla precarietà e dalla paura. Dopo quell’incontro, ho seguito la squadra dei Liberi Nantes nel corso del Campionato di Terza Categoria ed ho raccontato in un documentario le partite, le tante storie di vita e di fuga, le solitudini, la voglia di ricominciare a vivere. Da quella bellissima esperienza ho raccolto le suggestioni e le emozioni che mi hanno spinto a scrivere il film. Proprio mentre scrivo queste note è in atto una polemica culturale sui registi italiani: li si accusa di conformismo, di essersi adagiati su temi “facili” e logori seppur di attualità come sarebbe ormai la Migrazione tanto da aver trasformato il cinema sulla Migrazione un vero e proprio Genere/Scorciatoia. Tralasciando la polemica, nel mio caso io non ho mai voluto fare un film “sulla Migrazione” che pure, intesa come enorme flusso di persone in cerca di stabilità sotto la pressione della globalizzazione è in un certo senso IL TEMA del Pianeta. Tema che non è risolto. E un tema di così vasta portata e impatto sulle vite di tutti finchè non è risolto è inevitabilmente oggetto di indagine, riflessione, denuncia, racconto. Come autore la mia sensibilità è più attratta dalle conseguenze, dalle dinamiche umane che il fenomeno determina qui, tra noi. Le nostre scuole sono pieni di ragazzi di altri Paesi, la nostra “mescolanza” più volte presentata come minaccia è ampiamente ormai una realtà. Restano irrisolte enormi contraddizioni, resta irrisolta la violenza delle fughe e dei viaggi a cui si sottopongono migliaia di persone, restano irrisolti il quadro legislativo, la cultura della gestione della situazione così radicalmente cambiata e tanto altro. Ma in questo film, in Black Star a me interessava lavorare sulla squadra di calcio di rifugiati come cartina di tornasole delle dinamiche tra persone, italiani o rifugiati che fossero. La squadra di calcio è una Comunità, è gioco di squadra, di gruppo, è necessariamente vicinanza e comprensione. Nella realtà che ho potuto condividere la squadra è per i Rifugiati che ne fanno parte una sorta di casa cui appartenere finalmente, un luogo “ufficiale” che restituisce loro un’identità spendibile psicologicamente. Le paure dei rifugiati sono le nostre stesse paure moltiplicate per mille. Ma sono simili. Per questo il film racconta una guerra tra poveri, una disputa per un campo di calcio abbandonato come specchio delle pulsioni ostili verso gli altri a cui ci spinge la paura di vivere il nostro tempo, che è complicato. L’ostilità verso l’altro, il diverso, è il riflesso di paure esistenziali profonde che non cureremo allontanando gli indesiderati. Ecco allora l’invenzione narrativa di un quartiere contro una squadra (un conflitto che nella realtà per fortuna non ha mai avuto luogo) e un epilogo inaspettato, in bilico tra miracolo e magia. Non per una scorciatoia stilistica, ma per ricordare che solo guardando oltre il muro del visibile e dell’immaginabile abituale possiamo trovare le nuove soluzioni che servono alla nostra convivenza. Francesco Castellani RELAZIONE PRODUTTIVA Il desiderio di produrre un film sulla squadra di Rifugiati “Liberi Nantes Football Club” è nato durante la lavorazione del Documentario dedicato al racconto dell’intero Campionato di Terza Categoria giocato a Roma dalla squadra nel 2009. Le tante ore e Domeniche passate insieme sui campi di periferia, la conoscenza diretta dei ragazzi, delle loro storie, l’immersione nel complesso mondo dei rifugiati, delle leggi e delle infinite problematiche ma anche e soprattutto l’aver toccato con mano il ruolo sociale di aggregazione e di incontro della squadra, la voglia di vita di questi ragazzi in fuga, hanno reso urgente la necessità di fissare in un racconto cinematografico i tanti sentimenti, le emozioni, i volti che l’avventura del Campionato aveva messo in gioco. Non si voleva mettere in scena l’ennesima storia di migrazione, tutt’altro: “Black Star” ha l’ambizione semmai di raccontare una Storia Italiana. Storia di italiani e di gente che vive in Italia. I temi caldi e “planetari” della migrazione e dell’integrazione sono ovviamente ben presenti nel nucleo profondo del film, ma qui si vuole raccontare la fatica, il disagio, ed anche il sogno di tutti, italiani e non, costretti a vivere questo tempo incerto e precario, a fare i conti con la difficoltà di realizzare le proprie ambizioni e sogni, a vivere la propria vita. La sfida produttiva è calare temi duri e difficili in un contesto leggero, in una comedy dai continui cambi di registro: una squadra di calcio si scontra con l’ostilità di un gruppo di abitanti del quartiere, e l’oggetto dello scontro è la possibilità di utilizzare un campo da calcio di periferia. Campo che diventa pretesto di una vera guerra “tra poveri”, nella quale la posta in gioco è ben altra che non il campo: che diritto abbiamo tutti noi a rivendicare un nostro spazio di espressione, di gioco, di lavoro e di vita? Il gioco di squadra, l’amicizia, la paura, il sogno, il rimpianto, la speranza, diventano parte di un tentativo di cinema nuovo, stilisticamente spregiudicato, non necessariamente politicamente corretto ma sempre profondo e mirato. Un film che nelle nostre intenzioni si rivolge ad un pubblico ampio ma che cerca l’attenzione dei giovani; un film piccolo, girato in digitale alta definizione ma di respiro internazionale, capace di comunicare temi universali e non circoscritti. Un film che vuole girare il mondo ed il web, cercando ovunque il suo pubblico. Un’avventura incalzante, tra conflitti e svolte della fortuna, con un epilogo “magico” che si apre a una nuova prospettiva dei rapporti tra le persone, e del fare Comunità in un mondo diviso. UN QUARTIERE SPECIALE Il film è ambientato ai giorni nostri nello storico quartiere popolare di Pietralata, nella periferia est di Roma; un quartiere nato con il trasferimento durante il periodo fascista degli abitanti sfrattati dal centro di Roma a seguito dei grandi "sventramenti" edilizi dell'epoca, da Borgo a Corso Rinascimento. I romani di allora, trasferiti brutalmente dal centro a una periferia tutta da inventare, erano in fondo come Rifugiati di oggi, in cerca di una nuova patria, di un nuovo pezzo di terra sul quale ricostruire una vita. A loro si unirono lavoratori di tutta Italia venuti a Roma in cerca di una vita migliore. Negli anni a Pietralata si è definita una comunità forte, popolare e sanguigna, vitale e appassionata, entrata a far parte dell’immaginario collettivo grazie ai romanzi di Pasolini. Oggi il carattere fiero e popolare del quartiere non è cambiato, ed era il luogo ideale per rappresentare una storia di condivisione e fratellanza, di riconoscimento dell’altro pur tra mille contraddizioni e durezze della vita.