la crisi della respublica - Il

LA CRISI DELLA RESPUBLICA
L’impero e l’ellenismo. L'espansione e le conseguenze dell’incontro di Roma con la civiltà greca.
Come abbiamo visto, durante il III secolo a.c. Roma è entrata in contatto con il mondo greco infatti
le poleis italiote stipularono diverse alleanze. Qualche anno più tardi i Romani si trattennero per un
intero decennio in Magna Grecia per difendere gli alleati italioti dagli attacchi di Taranto la quale fu
alla fine sconfitta. Tale vittoria portò le poleis italiote da Napoli a Reggio a legarsi ulteriormente ai
romani con ulteriori trattati. Tempo dopo ebbe inizio la conquista della Sicilia con la sconfitta dei
siracusani e dei cartaginesi, il periodo della guerra annibalica (216 a.c) consoliderà il dominio di
Roma sull’isola e la proietterà alla conquista dall’Africa all’Ellade (Ellade = Grecia). Nel 146 a.c fu
distrutta Corinto e nello stesso anno anche Cartagine, queste città furono distrutte in maniera
gratuita perché ormai stanche si erano arrese al nemico e non vi era il bisogno di distruggerle, ma
tale comportamento oltre ad essere uno strumento psicologico sarà il simbolo della potenza e della
tirannia dei romani. Per Ellenismo intendiamo il termine che designa tradizionalmente il periodo
storico-culturale durante il quale la civiltà greca si diffuse nel mondo mediterraneo, eurasiatico e
orientale, fondendosi con le culture locali. Dall'unione della cultura greca con quelle dell'Asia
Minore, l'Eurasia, l'Asia Centrale, la Siria e la Fenicia, l'Africa del Nord, la Mesopotamia, l'Iran,
l'India, nacque una civiltà - detta appunto ellenistica - che fu modello per altre culture relativamente
alla filosofia, economia, religione, scienza e arte. La civiltà greca, da sempre legata a quella degli
altri popoli mediterranei e del Vicino Oriente, si rinnovò al contatto diretto con le varie civiltà
(egiziana, mesopotamica, iranica, indiana e di molti altri popoli) che via via, soprattutto in seguito
alle conquiste di Alessandro Magno, venivano ad avere sempre più rapporti politici, economici e
culturali con le città di lingua greca. Roma dopo aver conquistato tutta l’Italia compresa la Sicilia e
la Sardegna decise di conquistare i territori oltremare incoraggiata dalla sete di ricchezze del senato
e dal diffondersi della mentalità imperialistica nel popolo romano. Nel 148 a.c. Roma conquistò la
Macedonia la quale molti anni prima grazie ad Alessandro Magno soggiogò la Persia,
L’Afghanistan e L’india, ed ora è rimasta vittima della supremazia Romana che la ridusse a una
semplice provincia. Nel 146 a.c. ricordiamo la conquista di Cartagine con la fondazione della
provincia dell’Africa , nel 133 venne conquistata pacificamente l’Asia e tra il II e il I secolo furono
sottomesse la Siria, la Bitinia, la Gallia Cisalpina e con Cesare il resto delle Gallie e infine una
piccola parte della Britannia e della Germania. Tali successi portarono tantissime ricchezze che non
furono distribuite in modo equo all’interno del popolo romano e nemmeno tra gli alleati latini e
italici che costituivano la maggior parte dell’esercito. I latini ed i Romani parlavano la stessa lingua
di Roma e nonostante ci restavano esclusi non meno dei plebei romani dai maggiori vantaggi delle
conquiste che erano possibili anche con il loro sangue. Inoltre il contatto con il mondo ellenico port
Roma ad essere attratta fortemente dal modo di vivere greco assumendone le tradizioni , la cultura
filosofica , letteraria e artistica e ampliando la conoscenza della loro lingua. Entrando in contatto
con questo mondo, Roma muterà gradualmente ma in modo profondo e irreversibile i modelli di
vita e di cultura , le idee e la struttura sociale e familiare basata sino ad allora sulla vita contadina.
La cosa più importante è che tale ellenizzazione porterà alla crisi dei fondamenti etici della
respublica romana per dare vita a un nuovo sistema di governo: il principato. La trasformazione
della società romana: ricordiamo che la più grande assemblea popolare, il comizio centuriato,
nacque in età arcaica dalla riunione dell’esercito in concione. L’esercito romano era formato
soprattutto da contadini che per il periodo della guerra abbandonavano i terreni e abitualmente
interrompevano le battaglie nel periodo del raccolto. Con il prolungarsi delle guerre e con
l’allontanarsi della madre patria (territori da conquistare molto lontani da casa) il rapporto tra il
contadino-soldato e la civitas fu messo in crisi. Infatti le lunghe guerre portavano all’abbandono dei
campi in patria e spezzavano la periodicità dei rapporti con la popolazione (assenti alle votazioni). Il
rapporto più forte che consolidavano era quello con il proprio comandante con il quale affrontavano
le battaglie e numerosi pericoli di morte, con lui avevano un vincolo di fedeltà e di solidarietà più
forte di quelli esistenti con la civitas. Anche se sarebbero tornati in patria, i contadini non potevano
più garantire un elevato tenore di vita soprattutto se aveva ammirati gli agi e i piaceri del modello di
vita delle città elleniche piaceri dai quali erano esclusi ed erano riservati agli aristocratici romani.
Non tutta la nobilitas accettava i nuovi costumi, tra questi conservatori delle antiche tradizioni
troviamo catone il censore e catone l’uticense i quali furono sempre criticati e mai imitati.
Nonostante ci il potere politico di catone era davvero molto forte egli si mise contro il circolo degli
scipioni questo perché catone era un fervido sostenitore delle tradizione romana, al contrario degli
Scipioni che erano più aperti verso le nuove correnti culturali che venivano dalla Grecia. Catone
credeva che la cultura greca, così raffinata e potente, corrompesse le virtù e la semplicità del popolo
romano. Inoltre era un acceso repubblicano e pensava che i personaggi che si circondavano di poeti
ed artisti che li glorificavano potessero portare all'emergere di figure politiche troppo carismatiche e
minare i fondamenti della repubblica stessa. Catone dal canto suo aveva scritto una storia di roma
dove non c'era nemmeno il nome di un personaggio, di un eroe o di un politico (per evitare di
glorificare qualcuno e di favorirlo), ma solo il popolo romano. Tutti i plebei che erano costretti a
vendere il proprio terreno, lo vendevano spesso a famiglie senatorie le quali già possedevano gran
parte dell’ager publicus in quanto pagavano per i terreni che gli venivano ceduti dallo Stato. Inoltre
questi plebei non potevano nemmeno provare a vivere essendo impiegati nei campi dei nobili in
quanto venivano spesso adoperati i numerosi schiavi ottenuti con le guerre in corso, i quali
venivano utilizzati per coltivare i terreni o mandati al pascolo. Solo alcuni plebei più intraprendenti
riuscirono a sfruttare l’unico impiego che nessun aristocratico osava intraprendere ovvero quello
riguardante il commercio che portò alla creazione di una nuova classe di plebei (anche se
costituivano la minor parte) detta ordo equester. Il resto dei plebei continuò a vivere grazie alle
vendite del proprio voto che veniva pagato dagli aristocratici i quali ambivano a determinate
cariche. L’etica della respublica fu compromessa da queste turbe di plebei che l’aristocrazia usava
per manovre politiche. La politica graccana (133-122 a.c.). Le tre questioni: riforma agraria,
corruzione nel governo delle province, estensione della cittadinanza. Tiberio e Gaio Gracchi furono
due tribunis plebis rispettivamente nel 133 e nel 123-2 a.C, furono i maggiori interpreti del disagio e
delle tensioni sociali che vi erano durante l’espansione dell’impero romano all’interno della
respublica. Per prima cosa Tiberio cercò di ripristinare l’osservanza di un’antica legge che stabiliva
che non era consentita una possessio dell’ager publicus superiore ai 500 iugeri (ettari), anche se la
rogatio di Tiberio prevedeva un elevazione della quota a 750 iugeri per chi avesse un figlio e 1000
iugeri per chi ne avesse più di uno. Chi ereditava la possessio dell’ager dal proprio padre poteva
definirsi proprietario a tutti gli effetti. Il progetto graccano prevedeva pure una commissione
straordinaria di tresviri incaricati di distribuire ai plebei le terre recuperate . Il provvedimento era
sostenuto dal popolo anche attraverso scritte sui maggiori monumenti e sulle pareti dei portici di
Roma fu ricusata sdegnosamente dai ricchi che tentarono inutilmente di incitare una rivolta contro
Tiberio. I possidenti si appoggiarono allora ad un altro tribuno della plebe, il giovane Marco
Ottavio, che accett di porre il veto alla legge agraria. Tiberio in risposta al veto scrisse una legge
ancora più restrittiva per i possidenti terrieri e inizi così una sfida tra i due tribuni che
quotidianamente si cimentavano in senato in dure sfide oratorie. Con un nuovo editto proibì ai
magistrati di intraprendere affari sino alla votazione della legge e questi come risposta si dimisero
dalle loro cariche arrivando anche ad assoldare sicari per far uccidere Tiberio. 10 anni dopo la morte
di Tiberio, riuscì a divenire tribuno, nonostante le opposizioni del senato, il fratello Gaio il quale fu
accolto da una folla di plebei sdegnati dalle prepotenze dei nobili e soprattutto dall’assassinio di
Tiberio. Gaio cercò di stroncare radicalmente lo strapotere che aveva acquistato l’aristocrazia
senatoria. La prima legge riguardava l’applicazione e la realizzazione definitiva della riforma
agraria di Tiberio, la seconda riguardava il decongestionare l’inurbamento plebeo fondando nuove
colonie romane e oltremare, la terza legge sottraeva al senato l’appalto nell’esazione delle tasse
della provincia d’Asia la quale era quella più ricca. Inoltre una legge ribadiva l’illegalità delle
esecuzioni che furono fatte nei confronti dei seguaci di tiberio, tale legge portò all'esilio del console
di maggiore spicco coinvolto negli omicidi. L’ultimo provvedimento colpì in pieno il ceto senatorio
in quanto tale legge stabilì che non erano più i senatori a formare le giurie incaricare di giudicare i
casi di concussione e corruzione dei promagistrati provinciali ma tale formazione doveva essere
effettuata dagli equites. A conclusione del primo anno di mandato Gaio fu rieletto tribuno per il
secondo anno e propose la concessione della piena cittadinanza romana ai Latini i quali ormai
costituivano la metà dell’esercito e avevano pochissimi diritti. Tale provvedimento non fu accolto in
quanto senatori , cavalieri e plebei appoggiavano la difesa del privilegio di cittadinanza. Gaio non
fu eletto per il terzo anno di mandato e successivamente fu assassinato. La valutazione politica
dell’opera dei Gracchi nella storiografia antica e moderna. Gli storiografi antichi, influenzati dalla
visione senatoria non diedero un giudizio positivo dell’operato dei gracchi, come nel caso di
Sallustio. Ai gracchi fu rimproverato di volere sovvertire l’assetto sociale e costituzionale
dell’impero romano. La critica moderna invece ha giudicato il loro operato come un progetto
idealistico e utopistico di società, la storiografia marxista sostiene che l’insuccesso graccano stava
nel fatto che nel loro progetto non era contemplato il coinvolgimento del ceto servile e
l’abrogazione della schiavitù. L’idea di abrogazione degli schiavi era per in età antica non lontana
ma del tutto inesistente che nemmeno gli schiavi stessi potevano pensare una cosa simile.
Addirittura il cristianesimo predicò un comportamento umano nei confronti degli schiavi ma praticò
e legittimò la schiavitù come istituzione. Il modello graccano cercò di porre rimedio a ciascuno di
quei fattori che un secolo dopo avrebbero determinato la fine del sistema repubblicano e
dell’egemonia senatoria. L’agonia della repubblica. Dal consolato straordinario di Mario alla
dittatura di Silla sino al bellum civile. La concessione della civitas Romana ai socii. Il fenomeno di
inurbamento della plebe che non fu risolto per motivi esterni dai gracchi, indusse Gaio Mario nel
107 a.c. ad arruolare non solo i proprietari dei fondi rustici ma anche il proletariato urbano non
iscritto alle centurie. Il problema dell’inurbamento veniva momentaneamente risolto in maniera
diversa dall’idea dei gracchi e l’esercito di Mario era più potente per far fronte alle guerre in Africa.
In Africa Mario ottenne numerose vittorie e tanti terreni che distribuì ai veterani ottenendo il loro
favore e il loro appoggio nelle elezioni, infatti Mario fu rieletto console dal 104 al 100 a.c. Anche
Mario voleva estendere la cittadinanza romana ai Latini e agli Italici questo per premiare il loro
coraggio e la loro fedeltà in guerra. Fu così che tra il 90 e il 62 a.C. viene concessa la civitas romana
alle poleis italiote e alle coloniae latine, solo che alcune popolazioni italiote preferivano restare
autonome e infatti a Napoli e ad Eraclea ci furono tumulti a causa dell’indecisione di accettare la
cittadinanza o rimanere indipendenti. Accettare la cittadinanza romana voleva dire perdere dei
privilegi fiscali e doganali dei porti, anche se molte colonie non persero questi privilegi.
L’amministrazione dei municipia dell’Italia romana. Per amministrare l’aerarium (cassa ed insieme
tesoro dello Stato), il senato disponeva di alcuni schiavi specializzati soprattutto in occasione dei
censimenti. Come a Roma il controllo dei censimenti pass ai consoli così nelle coloniae e nei
municipia le funzioni organizzative del censimento passarono dai censores locali ai magistrati civici
quinquennales (eletti ogni 5 anni). Questi magistrati mandavano il loro rendiconto al senato di
Roma. La dittatura e la riforma costituzionale sillana: Mario non contento di aver colpito
l’oligarchia pretese che Lucio Cornelio Silla consegnasse le sue legioni destinate alla guerra contro
Mitridate VI re del Ponto il quale stava mettendo alle strette i Romani nell’Asia. Assunta la carica,
Silla poco dopo assunse l'incarico dal Senato di governare la provincia d'Asia, per compiervi una
nuova spedizione in Oriente e combattervi quella che poi sarebbe stata denominata la prima guerra
mitridatica. Si lasci tuttavia alle spalle, a Roma, una situazione assai turbolenta. Mario era ormai
vecchio, ma nonostante ci , aveva ancora l'ambizione di essere lui, e non Silla, a guidare l'esercito
romano contro il re del Ponto Mitridate VI e, per ottenere l'incarico, convinse il tribuno della plebe
Publio Sulpicio Rufo a fare approvare una legge che sottraeva a Silla il comando, già formalmente
conferito, della guerra contro Mitridate e lo attribuiva a Mario. Appresa la notizia ,Silla, accampato
in quel momento nell'Italia meridionale in attesa di imbarcarsi per la Grecia, scelse le 6 legioni a lui
più fedeli e, alla loro testa, si diresse verso Roma stessa. Nessun generale, in precedenza, aveva mai
osato violare con l'esercito il perimetro della città (il cosiddetto pomerio). La cosa era talmente
contraria alle tradizioni che Silla esent gli ufficiali dal parteciparvi. Spaventati da tanta risolutezza,
Mario ed i suoi seguaci fuggirono dalla città. Dopo avere preso una serie di provvedimenti per
ristabilire la centralità del Senato come guida della politica romana (annullò l’operato dei gracchi a
favore della plebe), Silla lasci di nuovo Roma, per intraprendere la guerra contro Mitridate.
L’intento di Silla fu quello di affermare la supremazia dell’oligarchia senatoria sugli equites e plebei
e quello di assicurarsi ,in maniera del tutto rivoluzionaria, il controllo anche sull’oligarchia evitando
l’emergere di nuove figure che potessero contrastarlo. Conclusa la sua opera Silla depose la
dittatura straordinaria ottenuta in favore del senato e alla sua morte nel 75 a.c. quasi tutte le sue
riforme furono smantellate e il partito dei populares fu ristabilito. Anni dopo la morte di Silla nel 70
a.c. a Capua zona nella quale imperversava il gusto per i giochi gladiatori , scoppi una grande
ribellione degli schiavi con a capo Spartaco. La capacità dello schiavo trace (della Tracia) non bastò
ad assicurargli la salvezza perché furono prima indeboliti dal futuro triumviro Lucio Licinio Crasso
e successivamente un altro futuro triumviro Gneo Pompeo Magno dopo aver sbaragliato i nemici in
Spagna elimino definitamente e anche in maniera opportunista i deboli schiavi rimasti a Capua
crocifiggendone migliaia e si prese tutti i meriti e le glorie della vittoria. Pompeo, Cesare ed il
primo triumvirato. Riforme istituzionali dell’imperium e lotta fra optimates e populares. Negli anni
successivi alla morte del dittatore Silla, divenne molto più evidente il problema che aveva Roma nel
mantenere la pace oltre i propri confini e nel controllare adeguatamente i territori conquistati. Così
nel 67 a.c. una lex Gabinia conferì a Gneo Pompeo Magno un imperium proconsulare esteso a tutto
il mediterraneo e quindi senza confini con il fine di estirpare la pirateria che paralizzava i traffici
commerciali. Tale imperium non era superiore a quello dei proconsoli ma era equo al loro. Tale lex
provocò molte critiche perché si sosteneva che fosse una violazione dei principi oligarchici di
equalitaria ripartizione del potere, tale violazione suscitò tumulti in senato contro il proponente
Gabinio. Un anno dopo si rese necessario prorogare l’imperium di Pompeo ed estenderlo solamente
a tutte le provincie orientali al fine di ridare a questi territori un riordinamento amministrativo e
civile. Nel 66 fu conferito a Pompeo tramite una legge ancor più eccezionale da parte di Manlio un
imperium maius (maggiore) a quello dei proconsoli. Nel 63 a.c maturò la congiura, sfociata in
rivolta armata di Lucio Sergio Catilina, nobile indebitato, che aveva aspirato al consolato per ben
due volte ma inutilmente. In quell’anno al consolato vi era Cicerone il quale era considerato
dall’aristocrazia senatoria come colui che poteva fare il lavoro sporco per loro eliminando gli
scontenti catilinari. Cicerone infatti scoprì e fece giustiziare i congiurati con un procedimento di
dubbia legittimità. L’intento di Catilina era ben diverso rispetto a quello che Cicerone volle far
credere infatti Catilina voleva ridistribuire la ricchezza a favore dei ceti più poveri in Italia e forse
anche nelle provincie. Egli cadde coraggiosamente a Pistoia con tutta la sua guardia del corpo e
circondato dai cadaveri dei suoi fedeli che preferirono morire con le armi in mano che nelle prigioni
dove Cicerone aveva fatto torturare il resto dei congiurati. A poco servirono i tentativi di Cesare ,
appena eletto pontefice massimo in quanto nobile, il quale non riuscì ad evitare la pena capitale per
i Catilinari. Cesare era noto già anni prima per aver resistito alle pressioni di Silla che lo intimava di
ripudiare sua moglie Cornelia, figlia di Cinna, il mariano che teneva Roma durante l’assenza del
dittatore. L’emergere di nuove personalità politiche carismatiche determinava molto il favore
dell’esercito e della popolazione. Il primo triumvirato fra Gneo Pompeo Magno, Gaio Giulio Cesare
e Publio Licinio Crasso fu stipulato segretamente nel 60 a.c. esso fu considerato il capolavoro di
Cesare il quale riuscì a convincere Crasso a superare il suo rancore nei confronti di Pompeo il quale
si prese ingiustamente i meriti per la battaglia contro Spartaco, inoltre Cesare consolidò il rapporto
con Pompeo offrendole in moglie la figlia Giulia. Questo patto privato fra i triumviri venne
rinnovato formalmente nel 56 a.c. a Lucca. Esso stabiliva la superiorità e la prevalenza della volontà
dei triumviri su quella degli organi costituzionali, e la spartizione delle provincie esautorando così il
senato in favore dei tre. La durata dei proconsolati aumentò in aperto spregio delle regole
costituzionali riguardo il cursus honorum (carriera politica) da un anno a 5 anni! Così Pompeo fu
nominato proconsole delle due Spagne anche se in 5 anni non ci mise mai piede ma mandò tre suoi
legati. Crasso non aveva capacità militari come quelle di Cesare e Pompeo per era a conoscenza del
fatto che per poter competere con gli altri due triumviri egli doveva far crescere i propri successi
militari , inoltre il successo ottenuto contro Spartaco non lo rese molto noto sia perché Pompeo
prese quasi tutte le glorie della vittoria e anche perché alla fine non avevano combattuto contro
guerrieri e soldati ma contro semplici schiavi. Queste motivazioni portarono Crasso ad
intraprendere una campagna militare contro i Parti stanziati ai confini dell’impero, e non avendo
una grande esperienza militare tale campagna si rivelò un disastro, infatti l’esercito di Crasso fu
sbaragliato e il triumviro stesso decise di suicidarsi insieme al figlio per non cadere nelle mani
nemiche. Alla morte di Crasso il triumvirato era destinato a sciogliersi e gli optimates (nobili)
videro in Pompeo colui che poteva tutelare i loro interessi mentre i populares (plebei e equites)
videro in Cesare colui che poteva rappresentarli. Successivamente fu promulgata una legge dal
senato (lex pompeia de iure magistratuum) che sanciva l’obbligo della presenza in Roma per
potersi candidare e così si finì per annullare l’accordo di Lucca che avrebbe consentito a Cesare di
candidarsi senza dover deporre l’imperium proconsolare nelle Gallie. Il senato appoggiando
Pompeo pretendeva che Cesare lasciasse il proprio esercito prima di ricandidarsi al consolato,
mettendosi nelle mani di Pompeo stesso. La morte per parto di Giulia , figlia di Cesare e moglie di
Pompeo eliminò l’ultimo legame tra i due triumviri e il Senato era sicuro che Cesare non avrebbe
mai potuto invadere l’Italia prima che Pompeo organizzasse l’esercito per fronteggiarlo. Ma Cesare
piombò sull’Italia con una grande impresa militare scortato da una sola legione e convinto che un
azione militare fulminea avrebbe colto impreparato l’esercito avversario che non si aspettava un
arrivo così anticipato di Cesare. Così nel 49 a.c. attraversò con la sua legione il Rubicone che
segnava il confine tra la Gallia e l’Italia ed era anche il confine che era stato stabilito dal senato nel
quale Cesare doveva deporre le armi. Giulio Cesare sperava nel favore delle popolazioni Italiche le
quali non vedevano di buon occhio la classe senatoria e infatti ottenne la loro alleanza portando il
misero esercito di Pompeo a partire da Brindisi per rifugiarsi in Oriente. Li Pompeo Magno
ricostituì l’esercito e costretto dalle pressioni del Senato affrontò il rinforzato esercito Cesariano
subendo una pesantissima sconfitta a Farsalo. Pompeo si diede alla fuga con pochi soldati in Egitto
e venne ospitato e successivamente tradito dal faraone Tolomeo il quale lo decapitò e diede la testa
a Cesare per ingraziarselo. Ma tale azione scaturì l’effetto contrario perché Cesare inorridito liquidò
Tolomeo appoggiandone la sorella-sposa Cleopatra che era in contesa dinastica con lui. Con la fine
di Pompeo finì anche la respublica in quanto nacque l’autocrazia non di Cesare ma dei Cesari
(principato). La dittatura Cesariana. Riforma dello Stato e programmi. Dopo aver liquidato Tolomeo
e aver posto fine alla contesta dinastica in Egitto, Cesare ebbe da Cleopatra il suo unico figlio
maschio, Tolomeo Cesarione. La guerra civile ebbe fine in Africa con la sconfitta degli ultimi
pompeiani e l’eliminazione di Catone ad Utica. Cesare per con il fine di far approvare la sua
dittatura non uccise i concittadini vinti ma li risparmi largamente conservandoli nella nobiltà e
nelle ricchezze, questo fu un errore che per Cesare si rivelerà fatale. Nel dicembre del 49 Cesare
ottenne la prima dittatura , l’anno seguente gli fu conferita la seconda dittatura straordinaria e nel 46
gli fu data la dittatura decennale. Infine nel 44 , un mese prima della sua fine, gli fu conferita la
dittatura a vita e fu nominato imperator. Cesare riuscì a salvarsi nel corso degli anni perché sulla sua
carica vi era una sorta di ambiguità, nel senso che quella sua dittatura era vista solo come un
periodo temporaneo di riorganizzazione sociale della respublica e infatti quando nel 44 a.c. egli fu
nominato dittatore a vita fu eliminato sotto i nomi di Bruto e Cassio e a quella congiura
parteciparono molti cesariani che lo appoggiavano perché erano convinti della temporaneità della
sua dittatura e consideravano inaccettabile la fine della respublica. Cesare inoltre si era rivelato non
il capo di una fazione o di un gruppo ma dell’intero Stato infatti cercò sempre di tenere un
equilibrio, soddisfando le esigenze dei plebei e allo stesso tempo i bisogni dell’ordo senatorius. Egli
inoltre estese la cittadinanza Romana alla Gallia Cisalpina e poi alla Sicilia avviando un processo di
equiparazione delle provincie all’Italia. Egli fece azioni politiche per assicurare un corretto
controllo amministrativo e finanziario delle provincie e altre azioni per assicurare l’ordine pubblico
e tutelare la figura del dittatore. Bisogna dire che Cesare soddisfaceva principalmente le esigenze
dei provinciali che ormai erano largamente immessi nell’esercito e i cives romani non si sentivano
particolarmente presi in considerazione nelle attività del dittatore. Le riforme cesariane colpivano
principalmente le ricchezze smodate dei promagistrati che guidavano le province e colpivano anche
tutti coloro che sfruttavano tali provincie per fini personali (ordo equester) e praticavano l’usura.
Mentre in Oriente e nelle provincie Cesare era visto come un uomo corretto e buono ,a Roma la sua
figura era abbastanza ripugnata. In oriente Cesare era venerato come un Dio e considerato come il
salvatore di tutto il genere umano per Rivelazioni Divine. Il problema della natura costituzionale e
del progetto politico di Cesare. Il problema del progetto politico di Cesare è stato dibattuto dagli
antichi e ancor di più dai moderni. Il dibattito moderno infatti , cerca di capire quale sia il modello
ispiratore di Cesare , se fosse la monarchia arcaica romana oppure quella alessandrina o perfino
un’altra forma di governo regale di età ellenica. La storiografia moderna potrebbe anche sbagliarsi
perché può anche essere che Cesare non si sia rifatto per forza a un determinato modello
istituzionale del passato. La storiografia antica collega le gesta di Cesare alla sua tendenza si seguire
il modello della monarchia ellenistica e ad una presunta divinizzazione attribuitagli già in vita.
Prima di farsi conferire la dittatura perpetua , Cesare, mantenne il proconsolato, e inoltre si fece
nominare di anno in anno anche console, così segnò la via di quel concentramento di poteri in
un’unica persona che fu poi seguita dal princeps. La differenza tra Cesare e gli altri imperatori che
lo seguirono fu che i vari principi solo in modo formale si attenevano ancora a delle leggi imposte
dalla classe aristocratica e che in realtà non li vincolavano in alcun modo. Questo perché tali
imperatori erano ammaestrati dall’esempio del Cesaricidio, infatti Cesare a differenza loro non
aveva problemi a diffondere in pubblico arroganti dichiarazioni , definendo lo Stato repubblicano
privo di contenuti e del tutto inesistente. Cesare amava ripetere spesso due inquietanti versi : “Se
bisogna violare il diritto allora è negli farlo per ottenere la tirannide” … il rispetto delle regole vale
negli altri campi, il succo di tali versi era che il potere o lo si ha tutto o non c’è! Cicerone nel de
officis parla di Cesare criticamente evidenziando quanto sia stato coinvolto nella congiura di
Catilina e denuncia la sua eccessiva inclinazione tirannica. Inoltre Cesare criticò il dittatore Silla e
non condivise in particolar modo la sua crudeltà inoltre a differenza sua Cesare non voleva seguire
il suo esempio di abdicare. Alla fine possiamo concludere che Cesare fin dal suo primo consolato
provava un grande disprezzo per la respublica senatoria. Alcuni storici come il Mommsen e
Carcopino sostenevano che il progetto monarchico di Cesare metta radici già nel 59 a.c. durante il
suo primo consolato , ma ci che è più logico pensare è che la guerra civile del 49 a.c. apparve al
futuro dittatore come una minaccia della sua carriera politica e solo dopo la vittoria di quest’ultima
egli maturò un disegno di restaurazione e di riassetto dello Stato secondo le sue ideologie. ! IV.5.3
Le virtutes del dictator ed il pensiero politico della tarda repubblica. Senza dubbio Cesare trovò
nella filosofia di Epicuro i modelli morali di clementia e di moderatio. Proprio in quegli anni pieni
di eventi maturava a Roma un pensiero politico che poneva le sue basi sulla filosofia greca. Questo
pensiero avrebbe posto i fondamenti ideologici del futuro principato. Cicerone mosse una forte
critica a Cesare con il suo cato minor nel quale esaltava la figura di Catone l’Uticense il quale
preferì perdere la vita pur di non arrendersi a Cesare e perdere la libertà, ma a quest’opera Cesare
rispose in maniera molto astuta e scrisse L’anticato è un’opera non pervenutaci nella quale
sosteneva che non aveva senso il suicidio di Catone il quale non avrebbe perso la libertà nel caso di
una sua arresa, inoltre Cesare risaltò i principi chiave dell’epicureismo secondo i quali il valore e la
dolcezza della vita sarebbero l’unica scelta razionale per l’uomo rispetto all’irrazionalità di una
morte non necessaria. Il suicidio di Catone sarebbe stato eroico e giustificabile se Catone avesse
saputo di perdere la libertà e la dignità ma dato che sapeva che le avrebbe conservate tale gesto non
aveva alcun senso ne doveva essere esaltato. Quest’abilissima mossa di Cesare non diede i risultati
sperati in quanto ai Romani era noto che la libertas alla quale Cesare si riferiva nell’opera era la
libertà personale mentre quella che ha portato Catone al suicidio era la consapevolezza di una
mancata libertà politica nel caso si fosse arreso al dittatore. Tale eroico esempio divenne la bandiera
dell’ordo senatorius anche durante il principato infatti possiamo considerare la figura di Catone
come una maschera dell’aristocrazia che copriva i suoi gretti interessi, sempre più frequenti furono
gli interventi dei senatori i quali nell’opporsi all’autocrazia del principato ricordavano la triste fine
dell’Uticense e gli ideali di libertà politica che gli furono a lui negati. Libertas, imperitia
multitudinis e regnum nel giudizio ciceroniano su Cesare. Cicerone ricordiamo che aveva usufruito
della clemenza di Cesare scegliendo la vita a discapito della sua libertà politica, eppure parlando del
dittatore egli sostiene che con diversi mali ha marchiato a fuoco la repubblica togliendo la libertà a
una comunità di cittadini che prima era libera. La libera civitas (comunità libera) a cui Cicerone fa
riferimento è quella degli optimates (nobili) , dell’ordo senatorius e dell’alto ordo equester. Per lui
la multitudo (la maggioranza del popolo) è incapace di giudicare in senso politico egli sostiene che
questa minorità a livello politico del popolo portava il ceto dirigente (nobili) ad esercitare con finto
paternalismo il controllo del potere e alla fine come ben sappiamo l’accaparramento illegale delle
ricchezze. Per Cesare invece la minorità politica andava attribuita al Senato e sosteneva che il
dittatore democratico si autorappresentasse con un atteggiamento paternalistico nei confronti dei
Patres conscripti (Senato e nobili). Cicerone inoltre poneva grandissime illusioni nei confronti di
Ottaviano il quali di li a poco abbandonò non solo lui ma anche molti cesariani alle liste di
proscrizione antoniane. Cicerone non avrebbe mai concepito l’ideologia che il potere supremo dello
stato potesse trasmettersi per via ereditaria , forse nemmeno Cesare stesso arrivò a pensare una cosa
simile infatti il dittatore nel suo testamento non fece riferimento a Tolomeo Cesarione (figlio suo e
di Cleopatra) . Ottaviano comunque visti i tentativi di Cleopatra ed Antonio, non sottovalutò il
rischio di un discendente diretto di Cesare così mentre risparmi i figli di Cleopatra che ebbe da
Antonio, fece uccidere il giovane Tolomeo di stirpe cesarea facendo sfumare così il sogno di
Cleopatra di vedere suo figlio imperatore d’Egitto e di Roma. Le realizzazioni e i progetti di Cesare
furono ripresi dai suoi successori ad esempio la conquista delle Gallie e la riforma del calendario.
Dobbiamo ricordare per che fu proprio di Cesare l’istituzione degli spettacoli dei gladiatori che
erano tanto graditi alle folle le quali si distraevano dalla dittatura. Tali spettacoli aggravarono la
posizione degli schiavi che invano si erano ribellati per anni contro il dominio romano. Alcuni
problemi lasciati risolti da Cesare a causa della sua morte prematura e improvvisa come la
conquista del regno partico e della Germania tormentarono l’impero per tutta la sua durata. Infatti
dalla Germania giunsero quelle popolazioni barbariche che causarono la fine dell’impero romano
d’Occidente. La conquista della Dacia invece fu risolta anni dopo da Traiano, il quale fece costruire
una colonna che prese il suo nome nel quale erano raffigurate tutte le gesta dei romani contro i parti.
Il secondo triumvirato e Ottaviano Augusto. Dato che i congiurati agli ordini di Bruto e Cassio
decisero di risparmiare la vita ad Antonio, luogotenente di Cesare, egli fu costretto a contenere l’ira
popolare esplosa alla vista del corpo martoriato del dittatore. I Cesaricidi e soprattutto Antonio, il
quale sperava nell’eredità dell’impero, non avevano fatto i conti con il testamento del dittatore,
dove a grande sorpresa non fu scelto Antonio ma fu selezionato il nipote di una sorella del dittatore
di nome Ottavio. Saputa la notizia il giovanissimo Ottavio partì dalla Grecia dove stava studiando
per giungere a Roma e si accostò a Cicerone il quale si illuse di poter strumentalizzare il giovane
per esautorare Antonio. Il giovane si affrettò a rivendicare il nome adottivo di Gaio Giulio Cesare,
dichiarando pubblicamente di accettare l'eredità del padre e chiedendo pertanto di entrare in
possesso dei beni familiari. Il Senato, e in particolare Marco Tullio Cicerone, che lo vedeva in quel
momento come un principiante inesperto data la sua giovane età, pronto ad essere manovrato
dall'aristocrazia senatoria, e che apprezzava l'indebolimento della posizione di Antonio, approvò la
ratifica del testamento, riconoscendo ad Ottaviano lo status di erede legittimo di Giulio Cesare. Per
finchè vi era il problema di eliminare i Cesaricidi, Ottaviano e Antonio rimasero legati da una
forzata alleanza , infatti una legge comiziale la lex Titia de triumviris rei pubblicae constitutendae
affid lo stato ad Ottaviano, ad Antono ed a M.Emilio Lepido (espressione dell’aristocrazia
senatoria). Prima Ottaviano sconfisse Bruto e Cassio a Filippi poi successivamente a Milazzo
eliminò Sesto, il figlio di Gneo Pompeo, in tal modo attirò le attenzioni su di se e riuscì a mettere da
parte Lepido. Emerse così la contrapposizione che vi era tra Antonio e Ottaviano , il primo
stabilitosi in Oriente il secondo in Occidente. Antonio non tenendo conto del matrimonio con
Ottavia che segnava l’alleanza temporanea con Ottaviano , decise di trasferirsi ad Alessandria
d’Egitto da Cleopatra. L’unione della regina con Antonio portò alla nascita di due figli Alexandros
Helios e Cleopatra Selene. Il primo Agosto del 30 a.c. l’esercito di Ottaviano comandato dai
generali Marco Agrippa e Caio Cornelio Gallo entrarono ad Alessandria e ormai privi di speranze
Antonio e Cleopatra si suicidarono con la sicurezza che i loro due figli sarebbero stati risparmiati e
allevati come principi, in cambio Ottaviano ottenne il tesoro tolemaico con il quale pagò le truppe.
Ottaviano ormai unico rimasto visitò Alessandria e chiese di vedere il sepolcro del fondatore della
città (Alessandro Magno) per potervi deporre una corona, alla domanda dei sacerdoti che gli
chiesero se voleva vedere i sepolcri degli altri re egli rispose che non era venuto a vedere i morti ma
a venerare un re. Con questa affermazione Ottaviano alludeva così alla sua struttura di unico
conquistatore e padrone del mondo il solo a potersi paragonare ad Alessandro Magno , unico vero
dio! Molti pensano che la scelta del senato di affiancarsi ad Ottaviano fosse priva di significato in
quanto appoggiarsi a uno o all’altro triumviro avrebbe determinato lo stesso la fine della repubblica.
D’altro canto bisognerebbe riconoscere al senato la capacità di aver compreso ormai la certa fine
della repubblica e di aver scelto il male minore mettendosi nelle mani di Ottaviano. Ottaviano aveva
imparato molto dal Cesaricidio infatti non volle che gli fosse tributato culto divino e inoltre cosa
molto più importante egli mascher il suo potere autocratico con quello che lui denominò come il
principato il quale a suo avviso consisteva nella restaurazione della repubblica. Il senato attribuirà a
lui, a causa della sua generosità, il titolo di Augusto che divenne da allora il suo nome personale e il
titolo degli imperatori. Il nome deriva dal verbo Augeo (accrescere) e designava l’eccellenza e la
supremazia morale. Il suo nome pass da Caius iulis caesar octavianus a imperator caesar augustus.
Imperator divenne il suo praenomen con il quale venivano acclamati i generali vittoriosi nella
repubblica , Caesar divenne il suo gentilizio il quale deriv dal nome del padre adottivo e da quel
momento design la stirpe dei CESARI e Augustus fu assunto come cognomen. Dal 13 Gennaio del
27 a.c la repubblica che Augusto sosteneva di aver restaurato poteva dichiararsi sepolta in quanto
l’oligarchia senatoria aveva trovato il suo padrone.