MECCANICA
Prof. Giovanni Falcone
Dipartimento di Fisica, Università della Calabria
Arcavacata di Rende, Cosenza (Italy)
16 novembre 2001
Indice
1 LE LEGGI DI NEWTON
1.1 Le forze ed la terza legge di Newton . . . . . . . . . .
1.2 La massa inerziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.1 Misura della massa inerziale . . . . . . . . . . .
1.3 Terza legge e simultaneità di due eventi . . . . . . . .
1.4 L’equazione fondamentale della dinamica . . . . . . .
1.4.1 Equazione del moto del punto materiale . . . .
1.5 Prima legge o legge d’inerzia . . . . . . . . . . . . . .
1.6 Sullo spazio e sul tempo assoluto . . . . . . . . . . . .
1.6.1 La forza peso . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6.2 Gravitazione universale e massa gravitazionale
1.6.3 La forza peso e ”l’esperimento” di Galilei . . .
1.6.4 La forza di Coulomb . . . . . . . . . . . . . . .
1.6.5 La forza elastica . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6.6 Reazioni vincolari e tensione nei fili . . . . . . .
1.6.7 La forza di attrito . . . . . . . . . . . . . . . .
1.7 Uso dell’equazione fondamentale . . . . . . . . . . . .
1.7.1 Caduta libera dei corpi . . . . . . . . . . . . .
1.7.2 Moto di un proiettile . . . . . . . . . . . . . . .
1.7.3 Moto lungo un piano inclinato senza attrito . .
1.7.4 Moto lungo un piano inclinato, con attrito . . .
1.7.5 Moti su una circonferenza piana orizzontale . .
1.7.6 Il moto armonico semplice . . . . . . . . . . . .
2
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Indice
1.8
1.7.7 Il pendolo semplice . . .
1.7.8 Il pendolo circolare . . .
1.7.9 Moto su calotta sferica .
Complementi . . . . . . . . . .
1.8.1 Forza periodica . . . . .
1.8.2 Forza d’attrito nei fluidi
51
1.8.3
oscillazioni smorzate
51
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Sommario
Queste dispense contengono i concetti introduttivi (punto materiale, vettori, scalari, coordinaate
cartesiane e polari, vettore posizione, spostamento, velocità ed accelerazione, nonchè diagrammi
velocità-tempo ed accelerazione-tempo) del corso di Fisica I svolto agli studenti del corso A della
Facoltà di Ingegneria. I complementi non cosstituiscono argomento di esame. L’autore sarà grato
a chiunque gli farà notare eventuali errori o gli darà suggerimenti che potranno migliorare queste
dispense.
Capitolo
1
LE LEGGI DI NEWTON
Prima di passare allo studio delle leggi di Newton desidero riportare un passo dal libro di Davydov
”Meccanica Quantistica”, Edizioni Mir, pg. 235, perché in esso vi è la giustificazione al mio tentativo
di presentare le leggi di Newton partendo dai due corpi e mostrando che, anche per la meccanica
classica il concetto di particella isolata è sola un’approssimazione. Davydov scrive” La scoperta
delle possibilità di generazione, annichilazione e trasformazione reciproca delle particelle elementari
(in accordo con le leggi di conservazione dell’energia, della carica elettrica e con altre leggi di
conservazione) è uno dei più grandi ritrovamenti nella conoscenza delle proprietà oggettive del
mondo circostante e del legame reciproco fra i diversi fenomeni della natura. In relazione a ciò
il concetto di elementarità e di isolamento di alcune particelle dalle altre diventa sempre più
indeterminato........Quindi, la rappresentazione del moto libero della particella non può essere altro
che una idealizzazione grossolana della realtà.”(abbiamo omesso la parte che fa riferimento al campo
che circonda la particella perché prematura).
Noi mostreremo tra breve che i contenuti delle affermazioni di Davydov valgolo anche per la
dinamica classica.
La dinamica del punto materiale che ci accingiamo a studiare, studia il movimento dei corpi
assimilabili al concetto di punto materiale, focalizzando l’attenzione sulle cause che producono il
movimento stesso. Il contenuto essenziale della Dinamica è stato stabilito diversi secoli or sono da
Newton. Va subito sottolineato che l’insieme delle leggi di Newton (o talvolta dette anche principi)
fondano la loro validità su osservazioni sperimentali e sarebbe naturale proporre di discutere alcuni
di tali esperimenti per trarre da essi ”direttamente” le leggi di Newton. Ma a proposito della frase
”trarre da alcune esperienze” un grande studioso della meccanica (E. Mach) diceva che i principi
della meccanica riposano su delle esperienze non realizzate o anzi non realizzabili, sebbene poi gli
stessi principi, sempre secondo Mach, sono sufficientemente stabiliti da un punto di vista pratico.
2
1 LE LEGGI DI NEWTON
Quando allora diremo che sulla base di certe esperienze noi possiamo trarre delle conclusioni, il
lettore dovrà assumere che esistono, in maniera ragionevole delle prove sperimentali, che avvalorano
le nostre conclusioni. Per la impostazione generale diciamo subito che intendiamo mantenerci nella
nostra presentazione il più vicino possibile alla visione di Newton.
1.1
Le forze ed la terza legge di Newton
L’Universo che ci proponiamo di analizzare è un Universo fatto di due sole particelle. Il motivo di una data scelta sarà compreso più avanti e si fonda sulla constatazione che tale universo
rappresenta l’Universo minimale per costruire la meccanica newtoniana. Fissiamo la nostra attenzione su due corpi, supposti puntiformi (abbiamo già sottolineato che questa elementarità è solo
un’approssimazione), che indicheremo con 1 e 2. Per fissare le idea possiamo pensare al sistema
Sole-Terra.
Le osservazioni sperimentali mostrano che i due punti materiali esercitano un’azione reciproca l’uno sull’altro. Inoltre, queste azioni, esercitate reciprocamente dai corpi, hanno proprietà
vettoriali.
E’ importante sottolineare che la costruzione della meccanica newtoniana necessita, come ipotesi
fondamentale, l’assunzione dell’esistenza di almeno due punti materiali. Infatti, per avere il movimento di un punto materiale 1, ci deve sempre essere almeno un secondo corpo 2, che con la sua
azione sul corpo 1 ne determina il moto. Inoltre, poiché i due corpi, istante per istante, interagiscono tra di loro, anche il corpo 2 si muove in seguito all’azione del corpo 1. Allora, ogni punto
materiale, in presenza di un secondo punto materiale, è nello stesso tempo, soggetto ad una azione
e produttore di un’azione. Questo è un risultato molto importante, perché vuol dire che nella fisica
newtoniana, un punto materiale non può esercitare alcuna azione su se stesso. É sempre almeno
un’altro punto materiale, esterno al punto materiale di cui studiamo il moto, che esercita l’azione
che produce il moto del punto materiale in esame.
Siamo pronti a formalizzare il nostro modello di azione. Chiameremo forze newtoniane o semplicemente forze le azioni che i corpi esercitano l’uno sull’altro e le indicheremo con F. Indicheremo
con F12 la forza agente sul punto materiale 1 e prodotta dal punto materiale 2; mentre con F21 la
forza agente sul punto materiale 2 e prodotta dal punto materiale 1. Per le forze newtoniane vale
la terza legge di Newton:
3
§1.2 La massa inerziale
Le forze newtoniane agiscono lungo la congiungente la posizione istantanea dei due punti
materiali, sono di pari intensità ma di verso opposto:
F12 = −F21
(1)
Al di fuori del sistema costituito dai due punti materiali esistono infiniti altri punti materiali,
ciascuno dei quali eserciterà su ciascuno dei due punti materiali una forza. Indicheremo con Fe1
la risultante delle forze esterne al sistema dei due punti materiali ed agenti sul punto materiale
1, mentre con Fe2 la risultante delle forze esterne al sistema dei due punti materiali ed agenti sul
punto materiale 2. Data la natura vettoriale delle forze, le risultanti totali delle forze agenti sui
punti materiali 1 e 2 si possono scrivere
F1 = F12 + Fe1
F2 = F21 + Fe2
(2)
cioé, ciascuna forza risultante è la somma della forza interna e della risultante delle forze esterne
al sistema.
1.2
La massa inerziale
L’esperianza ha mostrato che le forze sono le cause del moto ed il loro effetto sul moto dei corpi si
manifesta in una variazione di velocità dei corpi. In altre parole, le forze producono accelerazioni
sui corpi su cui agiscono.
Più precisamente, si può scrivere
F1 = M1 a1
F2 = M2 a2
(3)
Gli scalari M1 e M2 sono, nella meccanica newtoniana, proprietà del solo corpo su cui agisce la
forza e sono dette masse inerziali dei due corpi.
Possiamo allora dire che su ciascun punto materiale di massa M si esercitano le forze di tutti
gli altri punti materiali dell’universo. Il loro effetto sul punto materiale di massa M è quello di
variarne la velocità. cioè producono una sua accelerazione.. Tuttavia, una stessa forza non produce
la stessa accelerazione su punti materiali diversi, perchè l’accelerazione dipende in maniera inversa
dalla massa inerziale dei corpi. Più una massa inerziale è grande più è difficile variarne la velocità.
Per i due punti materiali presi in considerazione avremo:
F2
= a2
M2
F1
= a1
M1
4
(4)
1 LE LEGGI DI NEWTON
Figura 1.1:
1.2.1
Misura della massa inerziale
Come abbiamo già detto tutti i corpi posseggono una massa inerziale M, che è una proprietà
intrinseca di ciascun corpo. Essa rappresenta una misura della difficoltà che un punto materiale
oppone alla forza esterna che tenta di variare la sua velocità. Per stabilire, se una massa inerziale
di un punto materiale è più grande o più piccola della massa inerziale posseduta da un altro punto
materiale, dobbiamo stabilire come si misurano le masse inerziali.
Supponiamo di voler confrontare le masse inerziali di un sistema di due punti materiali, di
massa inerziale M1 e M2 . Per effettuare una tale misura occorre mettersi nelle condizioni di poter
trascurare l’effetto delle forze esterne sul sistema dei due punti materiali. Senza questa ipotesi, che
è comunque un’approssimazione della realtà, non è possibile costruire la meccanica newtoniana.
Questo è un punto fondamentale che mostra, fin da primi passi, il valore approssimato di una legge
fisica, in questo caso le leggi di Newton, rispetto alla complessità del mondo reale.
L’ipotesi di assunzione di assenza di forze esterne, se si pensa al sistema Sole-Terra, significa
che si deve poter trascurare l’effetto delle forze esercitate non solo degli altri pianeti e della Luna,
ma anche l’effetto delle forze di tutti gli altri corpi dell’universo. In altre parole, occorre ipotizzare
che tutte le forze esterne al sistema, che abbiamo indicato con Fe1 e Fe2 siano nulle. In tal caso, il
sistema dei due punti materiali è detto isolato:
Con questa approssimazione, le relazioni che legano le forze agenti sui due corpi, le loro masse
e le loro accelerazioni
F12 + Fe1 = M1 a1
F21 + Fe2 = M2 a2
diventano
F12 = M1 a1
F21 = M2 a2
(5)
dove F12 e F21 sono le sole forze interne al sistema. Usando la terza legge di Newton, riscriviamo
le ultime relazioni come segue
5
§1.3 Terza legge e simultaneità di due eventi
F12 = M1 a1
− F12 = M2 a2
da cui deduciamo che
|a1 |
M2
=
M1
|a2 |
(6)
In un sistema isolato di due punti materiali, i corpi si inducono una reciproca, ma differente
accelerazione; le due accelerazioni sono in rapporto inverso al rapporto tra le loro rispettive masse
inerziali. Misurando le accelerazioni, reciprocamente indotte, tra i due punti materiali che costituiscono il nostro sistema isolato, è possibile misurare il rapporto tra le due masse inerziali dei punti
materiali.
Allora, le accelerazioni reciproche consentono solo di conoscere il rapporto tra le masse e non
il valore di ciascuna di esse. Per fare questo ulteriore passo si stabilisce, in maniera arbitraria, il
valore di una massa inerziale di un corpo come unitario (massa campione), in un dato sistema di
unità di misura. Fatto ciò, il valore di tutte le altre masse inerziali dei corpi si possono misurare
facendoli interagire con la massa campione e misurandone le accelerazioni reciproche.
L’unità di misura della massa è il chilogrammo (kg). Le dimensioni della forza sono di una
massa per una lunghezza diviso per il quadrato del tempo
F =
[M L]
[T 2 ]
Nel Sistema Internazionale (S.I.) l’unità di misura della forza è chiamata Newton ( N ). Un Newton è pari a quella forza che imprime ad un corpo di massa pari ad un chilogrammo un’accelerazione
di un metro al secondo quadro.
Concludiamo osservando che il vettore forza è un vettore applicato, ovvero per esso è importante
specificare esattamente su quale punto materiale agisce.
1.3
Terza legge e simultaneità di due eventi
La terza legge di Newton asserisce che in ogni istante ed indipendentemente dal moto relativo dei due
corpi che interagiscono, le mutue interazioni sono uguali. Tale affermazione contiene una profonda
caratteristica della Meccanica Newtoniana: le interazioni tra i corpi sono istantanee, ovvero le
interazioni si propagano nello spazio a velocità infinita (in principio, potremmo essere in grado di
”vedere” gli eventi che accadono in questo stesso istante, in tutto l’Universo!). Come conseguenza
immediata di tale infinita velocità si deduce che, se due eventi fisici sono simultanei per un dato
osservatore, gli stessi eventi sono simultanei per ogni altro osservatore, indipendentemente dal loro
moto relativo (la simultaneità degli eventi fisici è un concetto assoluto). Inoltre, poiché il concetto
6
1 LE LEGGI DI NEWTON
di simultaneità è legato al modo in cui scorre il tempo, ne segue che il tempo scorre allo stesso
modo per tutti gli osservatori, indipendentemente dal loro moto relativo (il tempo è un concetto
assoluto nella Meccanica Newtoniana).
Oggi sappiamo che le interazioni tra i corpi si propagano nello spazio con velocità finita e ciò
comporterà quindi una revisione del concetto di tempo e di simultaneità e di conseguenza una
revisione della meccanica newtoniana.
1.4
L’equazione fondamentale della dinamica
La definizione di forza come prodotto M1 a1 è in qualche modo anomalo. La massa M1 è chiaramente una proprietà del corpo, in quanto non dipende dai corpi con cui interagisce. L’accelerazione
a1 dipende dai corpi con i quali M1 interagisce. Poiché quest’ultima quantità è l’unica quantità
fisica del corpo 1 che varia, in seguito all’azione esterna delle forze, si può tentare di estrarre dalla
conoscenza dell’accelerazione dei corpi le informazioni sul moto della particella 1. Una tale argomentazione, si dimostra fondata e si può rendere quantitativa postulando che la relazione tra forza
ed accelerazione è anche una equazione, nota come Seconda legge di Newton o equazione fondamentale della dinamica. Il passaggio da relazione di definizione ad equazione non è dimostrabile ma è
assunto. In altre parole, il fatto che l’equazione
Ma = F
(7)
sia in grado di descrivere e spiegare il movimento dei corpi non può essere dimostrato a priori,
ma è un piacevole risultato verificabile a posteriori.
In questa nuova ottica, cioè come equazione fondamentale della meccanica noi daremo la
seguente interpretazione e prescrizione per il suo uso: In natura esistono diversi tipi di forze (la
forza di gravitazione universale o quella Coulombiana, per esempio) le cui espressioni vanno sostituite nel secondo membro della (7) e rappresentano le cause del movimento. L’unica incognita
che resta da determinare nella (7) è allora l’accelerazione, che si può interpretare come l’effetto
prodotto dall’applicazione della forza.
Nota l’accelerazione, possiamo dedurre prima la velocità e poi la posizione, ovvero la conoscenza dell’accelerazione ci consente di risolvere il problema del moto. Il metodo che consente di
ottenere dall’accelerazione, prima la velocità e poi la posizione è il metodo dell’integrazione. Il
metodo dell’integrazione, per questa sua proprietà, può essere inteso come operazione inversa della
derivazione.
1.4.1
Equazione del moto del punto materiale
Abbiamo visto che il punto di partenza della meccanica newtoniana è il sistema isolato di due
punti materiali. Ipotizzando la sua esistenza, che ricordiamo è comunque un’approssimazione della
7
§1.5 Prima legge o legge d’inerzia
realtà, ed osservando gli esperimenti è possibile costruire l’intera meccanica. Non può esistere una
meccanica newtoniana per un universo fatto da un solo punto materiale, ne occorrono almeno due.
Abbiamo anche detto che la definizione di forza è assunta come equazione. Consideriamo, allora,
le equazioni fondamentali della dinamica per un sistema di due punti materiali, di massa inerziale
M1 ed M2 ,
M1 a1 = Fe1 + F12
M2 a2 = Fe2 + F21
dove a1 e a2 sono le accelerazioni subite dai punti materiali, Fe1 e Fe2 le forze esterne al sistema e
F12 e F21 quelle interne. Una approssimazione di tali equazioni è l’equazione del moto del punto
materiale.
Se il moto di uno dei due corpi non influenza il moto dell’altro corpo, allora si può trascurare
la soluzione simultanea del moto dei due corpi e considerarne uno solo. In tal caso, le equazioni del
moto dei due punti materiali si riducono a quella, per esempio, del solo punto materiale M1 :
M1 a1 = Fe1 + F12
(8)
M1 a1 = F1
(9)
ovvero
Questa approssimazione delle equazioni del moto dei due punti materiali è detta equazione
del moto del punto materiale. Conclusione: anche il moto di un punto materiale è, a posteriori,
incluso, come un’approssimazione, all’interno della meccanica newtoniana. Tuttavia è palese che,
non potendo la forza agente sulla particella, avere origine sulla particella stessa, vi deve essere un
restante Universo che esercita la sua forza sulla particella stessa. Quello che in realtà viene assunto
è la non azione del corpo M1 sul restante Universo. In questo modo, quest’ultimo non si modifica
ed a sua volta non rimodifica il moto di M1 .
1.5
Prima legge o legge d’inerzia
L’equazione del moto di un punto materiale di massa M1 si scrive
M1 a1 = F1
dove F1 è la risultante di tutte le forze agenti su M1 ed a1 è l’accelerazione di M1 prodotta dalle
forze agenti su di esso. Se su M1 si possono trascurare le azioni di tutte le forze, cioè se possiamo
porre
F1 = 0
8
1 LE LEGGI DI NEWTON
nella precedente equazione, allora M1 a1 = 0 e la sua accelerazione è nulla:
a1 = 0
∆v1
=0
∆t→0 ∆t
→
lim
Questo vuol dire che, qualunque sia l’intervallo tenporale ∆t che si considera durante il moto
del punto materiale, avremo
∆v1
=0
∆t
cioè
∆v1 = 0
→
v1 (t + ∆t) − v1 (t) = 0
Allora, se si possono trascurare le azioni di tutte le forze agenti su di un punto materiale, il
vettore velocità del punto materiale non potrà cambiare durante il suo moto,
v1 (t + ∆t) = v1 (t)
Quando il vettore velocità di un punto materiale non muta nel tempo si dice che si muove di
moto rettilineo uniforme
Allora, un punto materiale, non soggetto a forze, si muove di moto rettilineo uniforme. (Prima
legge di Newton o principio di inerzia di Galileo).
I sistemi di riferimento in cui vale il principio di inerzia o, in modo equivalente, i sistemi nei
quali vale l’equazione fondamentale, sono detti sistemi inerziali.
Osservazioni:. Abbiamo derivato il principio d’inerzia dall’equazione fondamentale. Di conseguenza dovremmo concludere che il principio d’inerzia è superfluo una volta assunta la validità
dell’equazione fondamentale. In realtà, questa conclusione è errata. Infatti, nel costruire il modello
newtoniano di meccanica abbiamo sottolineato il prerequisito di un universo fatto di almeno due
punti materiali. Il moto del punto materiale è fuori dal modello newtoniano e solo l’esistenza del
principio d’inerzia può riempire il vuoto concettuale dell’universo fatto da un solo punto materiale.
Inoltre, quando il principio d’inerzia afferma che in assenza di forze su di un punto materiale si può
scrivere
M1 a1 = 0
equivale ad affermare, anche se in un caso particolare (assenze di forze) che la relazione che lega le
forze con le accelerazioni è una equazione (equazione fondamentale). Allora, assumere l’esistenza del
primo principio, giustifica l’esistenza dell’equazione fondamentale e completa il mondo newtoniano
consentendo di trattare anche il singolo punto materiale.
9
§1.6 Sullo spazio e sul tempo assoluto
1.6
Sullo spazio e sul tempo assoluto
Abbiamo già detto, nel precedente capitolo, che Newton aveva postulato l’esistenza di uno ”spazio
assoluto”. Lo spazio assoluto newtoniano è quello in cui vale il principio di inerzia. L’accelerazione cui fa riferimento l’equazione fondamentale è, secondo Newton, l’accelerazione rispetto ad
un sistema di riferimento solidale con tale spazio assoluto che chiameremo ”sistema di riferimento
inerziale”. Quindi il moto che si descrive con l’equazione fondamentale è il moto rispetto allo spazio
assoluto ed è quindi un moto assoluto. Cerchiamo di capire questo aspetto in maggiore dettaglio,
perché esso ci aiuterà a capire i cambiamenti concettuali che si sono poi avuti dopo Newton.
Supponiamo di avere un solo punto materiale nell’Universo. Secondo Newton, non essendoci
altri corpi nell’Universo, sul punto materiale non agiscono forze. L’aver postulato il principio
d’inerzia ci dice poi che il corpo si muoverà di moto rettilineo uniforme (o sarà fermo). Tale moto
è relativo al riferimento assoluto (spazio assoluto), che esiste indipendentemente dalla presenza di
materia nell’Universo. Abbiamo però un problema. Non potendo misurare le accelerazioni non
siamo in grado di assegnare il valore della massa al punto materiale (lo spazio assoluto, tuttavia
esiste indipendentemente dalla presenza del nostro unico corpo). Abbiamo bisogno di almeno
un’altro corpo. Aggiungiamolo al nostro Universo. Adesso siamo in grado di assegnare al nostro
punto materiale (ed al nuovo corpo) la sua massa inerziale e possiamo descrivere il loro moto in
ogni momento. Adesso allontaniamo il secondo corpo e portiamolo man mano sempre più lontano.
Possiamo ipotizzare che ad una distanza ”infinita” il punto materiale non ”sentirà” più il secondo
corpo che avevamo aggiunto (identico discorso vale per il secondo corpo) ed il punto materiale
ritornerà ad essere isolato e quindi si muoverà di moto rettilineo uniforme.
La prima considerazione che possiamo trarre dalla precedente ”operazione” è quella che l’esistenza di un sistema di riferimento (che abbiamo chiamato inerziale), rispetto al quale il moto di
un corpo è rettilineo uniforme, è palesemente solo una esistenza ”limite”, ovvero solo concettuale,
perché non sappiamo precisare correttamente cosa voglia dire ”portare un corpo a distanza infinita tanto da non sentire la sua influenza”. Quindi, l’affermazione che l’equazione fondamentale
è valida in un sistema inerziale oppure che un sistema inerziale è quello in cui vale l’equazione
fondamentale, oltre che essere tautologica, è anche da considerarsi come affermazione valida solo
approssimativamente.
La seconda considerazione riguarda la struttura geometrica dello spazio. Essa è, come abbiamo
già detto, quella euclidea e non muterebbe se nell’universo cambiasse il contenuto di materia perché
lo spazio è solo un contenito della materia e degli eventi che in esso accadono.
Prima di passare alla discussione del tempo assoluto svolgiamo qualche considerazione sul concetto di massa. Se un punto materiale è isolato, la sua massa non è influenzata dalla presenza
”all’infinito” del secondo corpo: la massa di un corpo è per Newton una proprietà intrinseca dei
corpi che non dipende dalla distribuzione di materia (su larga scala) dell’Universo. Ma noi abbiamo determinato la massa inerziale, del punto diventato successivamente isolato, usando proprio il
10
1 LE LEGGI DI NEWTON
secondo corpo e la sua massa, che ora non sembra avere alcun influenza sul corpo, supposto isolato.
Se crollasse l’ipotesi di un sistema isolato, ovvero del principio d’inerzia, forse il valore della massa
di un corpo potrebbe anche dipendere dalla distribuzione di materia, su larga scala, dell’universo.
Come si vede, la definizione del quadro generale all’interno del quale è stata costruita la
meccanica Newtoniana presenta non pochi problemi.
Passiamo al concetto di tempo newtoniano. Il tempo secondo Newton è assoluto. L’orologio
del riferimento assoluto scandisce il tempo assoluto. Esso ovviamente scorre in modo uniforme e
non è influenzato dalla materia contenuta nell’universo (né influenza la materia ed il moto di essa).
Risulta difficile pensare allo scorrere del tempo senza un fenomeno periodico; senza un particolare
tipo di materia non avremmo lo scorrere del tempo.Esempi di forze newtoniane
Per poter risolvere il problema del moto di un punto materiale, occorre conoscere l’espressione
della forza (o delle forze) che agiscono su di esso. In questo paragrafo presenteremo e discuteremo
di alcune leggi di forza. Quando si potrà indurre un qualunque equivoco (vedi cap. ottavo) tutte
le forze di cui parleremo in questa sezione saranno indicate col nome di forze newtoniane e la loro
comune caratteristica è la chiara determinazione della loro origine: esse si originano su corpi diversi
da quello su cui agiscono.
Occorre innanzitutto precisare che le forze newtoniane possono essere divise in due categorie
concettuali: le forze fondamentali (per esempio la forza gravitazionale e quella elettrica) e quelle
non fondamentali (la forza elastica, quella di attrito, la reazione vincolare etc.).La differenza tra le
due categorie è che le seconde, almeno in principio, si possono dedurre dalle prime. Tuttavia, nel
caso di fenomeni macroscopici (e l’oggetto della Meccanica Newtoniana è la realtà macroscopica)
sarebbe molto complicato, se non addirittura impossibile nella pratica, procedere alla risoluzione
del problema del moto partendo dalle leggi fondamentali. Perciò, per ragioni pratiche, è conveniente
introdurre altre espressioni di forze, che sono delle approssimazioni di leggi di forze fondamentali,
ma che semplificano considerevolmente il problema tecnico della risoluzione del problema del moto.
1.6.1
La forza peso
Un punto materiale, vicino alla superficie della Terra, è soggetto alla forza peso, Fp . La forza peso
è il prodotto di una quantità scalare, indicata con m e detta massa gravitazionale e di un vettore
g, chiamato accelerazione di gravità:
Fp = mg
(10)
Come la massa inerziale, la massa gravitazionale di un corpo è una proprietà dei soli corpi.
Il vettore accelerazione di gravità g, in ogni punto dello spazio vicino alla superficie della Terra, ha
la direzione ed il verso del filo a piombo. Il modulo di g, sebbene di poco, varia da una regione ad
un’altra dello spazio intorno alla Terra. In regioni limitate dello spazio, vicino alla superficie della
11
§1.6 Sullo spazio e sul tempo assoluto
Terra, l’accelerazione di gravità si può considerare costante in modulo, direzione e verso.
1.6.2
Gravitazione universale e massa gravitazionale
La forza peso, descritta brevemente nella sezione precedente, è una forma approssimata di una forza
fondamentale detta forza di gravitazione universale. Cercheremo di mostrare come Newton arrivò
alla sua comprensione. Lo faremo attraverso due passi fondamentali. Il primo è la comprensione
che per mantenere un corpo in moto su di una circonferenza occorre l’azione di una forza ed il
secondo che se si assumono vere le leggi cinematiche di Keplero, la forza che mantiene i pianeti
intorno al Sole non può essere la forza peso ma deve dipendere da 1/r2 , dove r è la distanza del
pianeta dal centro del Sole.
Veniamo al primo punto esaminando il moto circolare. Il moto circolare si presta molto bene
a capire la grande rivoluzione concettuale che la meccanica newtoniana ha operato rispetto alla
tradizione aristotelica, in particolare rispetto a quella separazione che vi era stata tra la ”fisica”
del Cielo e la ”fisica” della Terra che la tradizione greca aveva tramandato. Scriveva Aristotele
”Si può ora dimostrare chiaramente che il moto primordiale è quello circolare. Ogni moto, come
abbiamo già detto prima, è circolare o rettilineo o misto; e i due primi devono essere anteriori al
terzo poiché sono gli elementi di cui quest’ultimo consiste. Inoltre, il moto circolare è anteriore a
quello rettilineo perché è più semplice e perfetto, il che si può dimostrare come segue. La linea retta
percorsa dal moto rettilineo, non può essere infinita, perché non esiste nulla di simile a una linea
retta infinita; e anche se esistesse, non sarebbe percorsa da alcunché in moto: giacché l’impossibile
non accade ed è impossibile percorrere una distanza infinita. D’altro canto, il moto rettilineo lungo
una retta finita, se ritorna indietro è un moto misto, anzi forma due moti, mentre se non torna
indietro è imperfetto e perituro, e, nell’ordine della natura, della definizione e del tempo il perfetto
è anteriore all’imperfetto e l’imperituro al perituro. E ancora, un moto che ammette la possibilità
di essere eterno è anteriore ad uno che non lo è. Orbene, il moto circolare può essere eterno: ma
nessun altro moto, sia esso trasporto o sia moto di qualunque specie, può essere tale, perché in tutti
questi altri movimenti deve avvenire un arresto, e col verificarsi di un arresto cessa il moto. Inoltre,
è risultato ragionevole che il moto circolare sia unico e continuo, mentre quello rettilineo non lo è.
Nel moto rettilineo è fissato un punto di partenza, un punto d’arrivo e un punto di mezzo.....invece,
nel moto circolare tali punti sono indeterminati:.....ogni punto alla pari di ogni altro è insieme
punto di partenza, punto di mezzo e punto di arrivo”.
Vediamo cosa prevede la meccanica newtoniana perché si realizzi il moto circolare. Innanzitutto
un corpo per rimanere su di una circonferenza, anche in moto uniforme, vi deve essere costretto da
qualche forza, perché vi è una variazione della velocità ad ogni istante. Un filo teso, inestensibile
può svolgere un tale compito (il corpo è su di un piano orizzontale privo di attrito). Considereremo
il moto circolare uniforme e ci proporremo di spiegare, in maniera semplice, come esso sia la
12
1 LE LEGGI DI NEWTON
Figura 1.2:
composizione di un moto uniforme nella direzione tangenziale e di un moto accelerato uniforme
verso il centro della circonferenza:
Un punto materiale P che ha velocità v in un punto A della circonferenza, se non ci fosse il
filo che lo costringe a stare sulla circonferenza partirebbe lungo la tangente in A alla circonferenza
con una certa velocità v. Il nostro scopo è valutare la forza (accelerazione) costante verso il centro,
necessaria a mantenerlo in moto uniforme sulla circonferenza. Dicevamo che il corpo andrebbe, in
assenza del filo, a velocità costante lungo la tangente. Allora il tratto AB, percorso dal corpo lungo
la tangente, in un tempo ∆t , sarebbe:
AB = v∆t
Tuttavia il corpo non si trova nel punto B dopo il tempo ∆t, bensì in C. Allora ci deve essere
una forza esterna che lo costringe invece ad andare in C. Ciò vuol dire che durante l’intervallo
di tempo ∆t, questa forza gli deve far compiere il tratto BC. Poiché la forza è assunta costante,
possiamo scrivere (gli spazi come insegnava Galilei sono proporzionali al quadrato dei tempi):
1
BC = a (∆t)2
2
I due tratti si possono legare mediante il teorema di Pitagora:
R2 + AB 2 = (R + BC)2
ovvero, esplicitando il quadrato del binomio al secondo membro e semplificando
AB 2 = 2R · BC + BC 2
Per ∆t piccolo la precedente equazione si può approssimare con (l’approssimazione è tanto
migliore quanto più è piccolo ∆t):
13
§1.6 Sullo spazio e sul tempo assoluto
AB 2 ∼
= 2R · BC
Sostituendo, in tale espressione i valori di AB e BC troviamo il valore dell’accelerazione (forza)
necessaria a tenere il corpo in moto uniforme sulla circonferenza,
a∼
=
v2
R
(11)
Nel limite dell’intervallo di tempo tendente a zero, l’ultima relazione diventa un’uguaglianza. Il risultato è in netto contrasto con la concezione di Aristotele: il moto uniforme su di una
circonferenza non può avvenire senza la presenza di una forza.
Veniamo al secondo passo compiuta da Newton per giungere alla forza di gravitazione universale.
Per mantenere un corpo in rotazione su circonferenza occorre tenerlo con un filo inestensibile o usare
una guida circolare. Ma i pianeti non sono tenuti da fili o funi nel loro moto intorno al Sole. Vi deve
essere allora una forza che li costringe nel loro moto intorno al Sole. Il nostro scopo è determinare la
forma di questa forza. Assumeremo, con Newton, vera la terza legge di Keplero (essa è il risultato
di una analisi accurata fatta da Keplero sulle osservazioni astronomiche di Ticho Brake e stabilisce
che i quadrati dei periodi di rotazione dei pianeti sono proporzionali ai cubi delle distanze dal
Sole) e faremo l’ipotesi (semplificatrice) che i pianeti si muovono di moto circolare uniforme su
orbite circolari. Mostreremo, come fece Newton, che vi deve essere una forza, prodotta dal Sole ed
agente sui pianeti che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza reciproca (forza di
gravitazione universale).
Abbiamo mostrato che un corpo in rotazione con moto circolare uniforme è soggetto ad una
accelerazione data da
a=
v2
R
Se indichiamo con T il periodo di rotazione, avremo vT = 2πR, e la precedente relazione diventa:
a=
4π 2 R
T2
(12)
D’altra parte abbiamo assunto la validità della terza legge di Keplero
T 2 = k0 R3
(13)
dove k0 è una costante di proporzionalità. Sostituendo tale relazione nella (12) avremo:
a=
4π 2 1
k0 R2
14
(14)
1 LE LEGGI DI NEWTON
Infine, usando la definizione di Forza F = M a, troveremo la forma della forza che mantiene i
pianeti in orbita intorno al Sole:
F =
4π 2 M 1
k0 R2
(15)
Ma Newton non si è fermato al solo moto dei pianeti intorno al Sole. Egli ha intuito che la forza
responsabile del moto dei pianeti intorno al sole aveva un carattere universale.
Egli infatti affermò, che tutti i corpi dell’universo sono soggetti e sono loro stessi sorgenti della
forza di Gravitazione universale.
Più precisamente, egli affermò che, tra due corpi puntiformi si esercita una mutua attrazione
(forza gravitazionale) che è diretta lungo la congiungente i due corpi ed il cui modulo è espresso
dalla relazione,
FG ≡ kG
m1 m2
r2
(16)
dove m1 ed m2 sono due costanti intrinseche di ciascun corpo, dette masse gravitazionali, r è la
distanza tra le due particelle e G una costante che dipende solo dalle unità di misura scelte e che
tra breve deriveremo.
La massa gravitazionale è in principio differente dalla massa inerziale di un corpo; infatti la
prima caratterizza la forza con la quale un corpo viene attirato (e attira) da un altro corpo, secondo
la (16), mentre la massa inerziale è una misura della difficoltà di un corpo a farsi variare di velocità.
Osservazione: Vogliamo subito precisare che affermare la validità della (16) non significa, in
alcun modo, spiegare la natura e l’origine della forza di gravitazione universale. Nella meccanica
che stiamo costruendo le varie forme di forze non sono spiegate, ma solo giustificate da una verifica
sperimentale. A tale proposito riportiamo un passo di E. Mach sul problema:
”Per Newton la gravitazione universale era un fatto reale. Egli stesso disse di non essere riuscito
a trovare una spiegazione di questo fenomeno, né di aver su esso inventato ipotesi. Che il problema
però continuasse a occuparlo lo si vede da una sua nota lettera a Bentley. Gli sembrava assurdo
ammettere che la gravitazione sia essenziale e intrinseca alla materia, così che un corpo possa agire
direttamente su un altro attraverso lo spazio vuoto; né volle decidere se l’agente intermedio sia
materiale o immateriale (spirituale?). Come altri scienziati prima e dopo di lui, Newton ha sentito
il bisogno di spiegare la gravitazione con una specie di azione per contatto. É comunque certo
che i risultati che egli ottenne in astronomia, assumendo a fondamento della deduzionele forze a
distanza, mutarono in modo considerevole lo stato della scienza. Gli scienziati presero l’abitudine
di considerare le forze a distanza come il dato da cui muove ogni spiegazione, lasciando cadere il
problema della loro origine.”.
Per sviluppare una teoria delle interazioni, per azioni a contatto, bisognerà attendere i lavori
sul campo elettromagnetico svolti da Faraday e Maxwell. Occorre, tuttavia, avvertire fin d’ora,
15
§1.6 Sullo spazio e sul tempo assoluto
che mentre ambedue le formulazioni (azioni a distanza e azione per contatto) sono possibili in un
ambito di fenomeni che si svolgono a velocità basse paragonate con quelle della luce, nella fisica
delle particelle veloci (particelle elementari), solo una descrizione in termini di campo è fisicamente
possibile. La forza di gravitazione universale troverà una sua spiegazione solo in tale ambito.
1.6.3
La forza peso e ”l’esperimento” di Galilei
Supponiamo che nella (16) uno dei due corpi sia la Terra (m2 = m⊕ ) e l’altro un arbitrario
punto materiale di massa gravitazionale m1 che si trovi vicino alla Terra. L’applicazione della (16)
richiede che i due corpi siano puntiformi. Ora è evidente, che se si confronta la Terra con i corpi,
che solitamente, sono vicini ad essa, la Terra non può considerarsi puntiforme e l’utilizzo della (16)
diventa quantomeno discutibile. Tuttavia, il procedimento di considerare la Terra, anche in questo
caso, puntiforme (con tutta la massa concentrata nel suo centro) sarà provato corretto in capitolo
successivo. Per ora, assumiamo che si corretto persare la Terra come un punto materiale, la cui
massa (inerziale o gravitazionale per ora non ha importanza) m⊕ e la cui posizione sia nel centro
della Terra stessa. Quindi, un corpo poggiato al suolo avrà da m⊕ una distanza R⊕ , che rappresenta
il raggio della Terra (i valori del raggio e della massa della Terra sono R⊕ = 6, 34 × 103 km e
m⊕ = 5, 98 × 1024 kg).
Al punto materiale m1 , come ad ogni punto materiale che si muove, è possibile associare anche
una massa inerziale,M1 , di modo che l’equazione che descrive il suo moto si possa scrivere:
M1 a1 = −kG
m1 m⊕
ur
r2
(17)
ove ur è il versore della retta congiungente il centro della Terra con il corpo. Per i corpi prossimi
alla superficie della Terra, la precedente equazione, può approssimarsi con
16
1 LE LEGGI DI NEWTON
m1 m⊕
M1 a1 ∼
= −kG
2 ur
R⊕
(18)
Per procedere ulteriormente faremo ricorso ad un risultato sperimentale ”trovato” , per primo, da Galilei: tutti i corpi, di massa trascurabile rispetto alla massa della Terra, se si trascura
l’attrito dell’aria, cadono, con la stessa accelerazione. Chiameremo accelerazione di gravità tale
accelerazione e la indicheremo con g. Affinché la (18) spieghi l’esperimento di Galilei, deve essere
a1 = g
ovvero, il secondo membro della (18) deve essere costante ed indipendente dai corpi:
g∼
=−
m1 m⊕
kG 2 ur
M1 R⊕
Allora, possiamo affermare che, l’accelerazione g è diretta dal corpo al centro della Terra ed il
sul modulo è
g=
m1 m⊕
kG 2
M1 R⊕
(19)
Affinché, il secondo membro di tale equazione sia costante ed indipendente dalla massa dei
m1
deve essere una costante adimensionale, cioè, la massa inerziale e quella
corpi, il rapporto M
1
gravitazionale, di un qualunque corpo, devono essere proporzionali
M ∝m
e la costante di proporzionalità deve dipendere solo dal sistema di unità di misura usato.
Mettiamoci nel Sistema Internazionale. Il valore del modulo dell’accelerazione g , che si trova
alla nostra latitudine è
g = 9, 81
m
s2
Questo vuol dire che possiamo scrivere
ovvero
R2
m
kG
g ⊕ =
m⊕
M
→
¢2
6, 34 × 106
m
kG
=
9, 81 ×
M
5, 98 × 1024
¡
m
m3
kG = 6, 59 × 10−11 2
M
s kg
17
§1.6 Sullo spazio e sul tempo assoluto
A questo punto occorre fare una scelta. Il valore numerico al secondo membro ci può dare il
m
con kG e non il solo valore del rapporto. Si è convenuto di porre il rapporto tra le
prodotto di M
masse uguale ad uno:
m
=1
(20)
M
e di associare il valore numerico alla sola costante kG , che è stata chiamata costante di gravitazione universale ed è ora indicata con la sola lettera G:
G = 6, 59 × 10−11
N m2
kg 2
Il valore di G più preciso è 6, 67 × 10−11 N m2 /kg 2 . Possiamo scrivere la forza di gravitazione
universale
m1 m⊕
ur
FG = −G
(17a)
r2
D’ora in poi, parleremo solo di massa associata ad un corpo senza alcuna distinzione tra massa
inerziale e gravitazionale. Con tale scelta, il valore delll’accelerazione di gravità (vedi la (19)), può
scriversi, per i corpi prossimi alla superficie terrestre,
g=G
m⊕
2
R⊕
(21)
Notiamo, tuttavia, che la proporzionalità tra massa inerziale e gravitazionale non trova alcuna
spiegazione teorica all’interno della teoria Newtoniana ma è una pura conseguenza dell’esperimento
di Galilei.
Con la posizione (21) i corpi che si muovono vicino alla superficie della Terra e la cui massa è
trascurabile rispetto alla massa della Terra sono soggette alla forza peso
FG ∼
= Fp ≡ M g
(22)
dove la direzione di g è lungo la congiungente la direzione del centro della Terra ed il corpo ed il
verso va dal corpo alla Terra. Allora, la forza peso è un’approssimazione della forza di gravitazione
universale In altre parole, possiamo affermare che le forze che si esercitano tra i corpi celesti e quelle
che si esercitano tra la Terra ed i corpi che gli stanno vicini sono le stesse. In definitiva, Newton
ha mostrato l’unicità della fisica del moto nel cielo e sulla Terra.e ciò, nel linguaggio della Fisica
moderna, rappresenta il primo esempio di unificazione tra due forze apparentemente distinte.
Alcune considerazioni tra massa e peso di un corpo: Un corpo di un kg, alle nostre
latitudini, esperimenta una forza Fp pari a 9, 8N . Ciò vuol dire che un corpo di massa M = 1kg
pesa 9, 8N. La massa, ricordiamo, è una misura della quantità di materia posseduta dal corpo
(oppure è una misura della sua inerzia, oppure una misura del suo contenuto gravitazionale),
mentre il suo peso è la misura dell’azione (forza!) della Terra su di esso. Su di un altro pianeta,
18
1 LE LEGGI DI NEWTON
per esempio, il valore del peso (che è la misura con cui il pianeta attira il corpo) di un corpo
cambierebbe, mentre il valore della sua massa rimarrebbe invariato. Quando si usa una bilancia,
si fa una misura di intensità di forza (forza peso), tuttavia poiché g è la stessa per tutti i corpi, si
può dire che la bilancia misura anche la massa di un corpo.
1.6.4
La forza di Coulomb
Oltre alla massa, alcuni corpi posseggono anche una carica elettrica, q. Tali corpi, oltre a sperimentare una forza di gravitazione universale, sperimentano, cioè sono soggetti e producono, una
forza detta elettrica o di Coulomb.
Definizione: Si verifica sperimentalmente (tale esperimento fu eseguito per la prima volta da
Coulomb) che due cariche q1 e q2 si respingono (se sono dello stesso segno) o si attraggono (se sono
di segno contrario) secondo la seguente legge (detta di Coulomb):
F0 ≡ k0
Q1 Q2
r2
(23)
dove r indica la distanza tra le due cariche e k è una costante (detta di Coulomb) che dipende
dal sistema di unità di misura usato. Nel Sistema Internazionale k0 = 8, 98 × 109 N m2 /C 2 dove C
stà per Coulomb, ed indica l’unità di carica elettrica. Il valore della carica dell’elettrone (e anche
del protone) qe ,nel S.I., è 1, 6 × 10−19 C. La forza di Coulomb è circa 1040 più forte della forza
gravitazionale. Negli atomi e molecole, ed in generale in tutti i corpi macroscopici che appartengono
alla nostra esperienza quotidiana, ovvero nella struttura della materia le proprietà più importanti
non sono determinate dalla forza coulombiana.
1.6.5
La forza elastica
Alcuni corpi macroscopici, quando sono sottoposti all’azione di una forza esterna, subiscono una
deformazione solo temporanea. In altri termini, un corpo macroscopico sottoposto all’azione di
una forza esterna è in grado di annullare la deformazione avvenuta, non appena cessa l’azione della
forza esterna. Tale proprietà dei corpi è detta elasticità.
La determinazione della forza elastica con cui il corpo macroscopico reagisce alle sollecitazioni
esterne è in generale difficile. Tuttavia per alcuni corpi e per sollecitazioni esterne di limitata
intensità la forza di richiamo elastica ha una espressione semplice.
Per fissare le idee useremo il corpo elastico per eccellenza, una molla. Pensiamo legare la molla
ad un soffitto. Se non vi è alcun corpo legato all’altra estremità, la molla avrà una certa lunghezza,
l. Se appendiamo un corpo la si allunga (si deforma!) e, per deformazioni non troppo grandi, si
può mostrare che la reazione elastica della molla è direttamente proporzionale alla deformazione
subita (il verso è sempre opposto alla deformazione). Allora, particelle legate a molle deformate
19
§1.6 Sullo spazio e sul tempo assoluto
sono, sotto certe condizioni, sottoposte ad una forza proporzionale alla deformazione della molla.
Possiamo allora procedere alla seguente definizione:
Definizione: Sia x0 l’ascissa di una particella che è ferma. Su tale particella si esercita una
forza nella direzione dell’asse x, detta elastica di richiamo, se tale forza può esprimersi nel seguente
modo:
Fe ≡ −k (x − x0 )
(24)
dove k è una costante (positiva) detta costante elastica. La forza elastica agisce sempre nella
direzione opposta allo spostamento. Se l’origine del sistema di riferimento si sceglie nel punto di
riposo x0 :
allora la (24) si può scrivere
Fe = −kx
(25)
La (25) viene anche chiamata legge di Hooke. Una forza di questo tipo, come abbiamo già detto,
può essere prodotta da una molla (supposta senza massa) fissata per una estremità ad una parete,
ed avente attaccata sull’altra estremità un punto materiale, libero di scorrere senza attrito su di un
piano orizzontale, per spostamenti sufficientemente piccoli.
1.6.6
Reazioni vincolari e tensione nei fili
Un altro aspetto dell’elasticità dei corpi macroscopici si manifesta nel vincolare altri corpi in
determinate posizioni o più in generale su determinate traiettorie.
Un tavolo con un piano orizzontale (corpo macroscopico elastico) su cui è poggiato un corpo
reagisce con una forza elastica opponendosi alla forza peso con il risultato che il corpo rimane fermo sul tavolo (a meno che il corpo non sia tanto pesante da sfondare il tavolo). Più precisamente
20
1 LE LEGGI DI NEWTON
assumeremo che, nel caso di reazioni vincolari esercitate da superfici è assunto che la reazione vincolare, Fr , è sempre uguale ma di segno opposto alla risultante delle forze ortogonali alla superficie
vincolare (vincoli lisci).
Un corpo appeso ad un filo (o fune) tende il filo che reagisce con una forza di natura elastica
che è capace di contrastare il peso del corpo. Il corpo rimane sospeso nel vuoto, ovvero rimane
vincolato. Abbiamo appena descritto due tipi di reazioni vincolari cui possono essere sottoposti i
corpi di cui intendiamo descrivere il moto.
1.6.7
La forza di attrito
Supponiamo di avere un corpo macroscopico, inizialmente fermo, poggiato su di un piano orizzontale. Tra il corpo ed il piano vi sarà una superficie di contatto, dove possiamo pensare applicata
la reazione del piano al peso del corpo. Se proviamo ad applicare al corpo una forza, parallela alla
superficie di contatto, si può verificare la situazione in cui il corpo non si muove. Diremo allora
che tra i due corpi vi è un attrito statico. Poiché il corpo non si muove dobbiamo concludere che
il tavolo esercita sul corpo una forza uguale e di segno contrario alla forza che abbiamo applicato.
Se aumentiamo la forza, la situazione di immobilità del corpo rimarrà tale fino a che il valore della
forza applicata non raggiunge un determinato valore. A questo punto il corpo inizia a muoversi.
Se il valore della forza è tale che, una volta messo in moto, il corpo si muove con velocità costante,
allora gli esperimenti hanno dimostrato che il valore della forza dipenderà dalla natura dei due
corpi e dal peso del corpo (si badi che il valore di tale forza non dipende dalla superficie di contatto, o se si preferisce non dipende da ciò che chiameremo pressione: forza agente sull’unità di
superficie). Infine, sempre sulla base degli esperimenti si è constatato che l’attrito, che questa volta
chiameremo dinamico, non dipende dalla velocità con cui il corpo scivola sul piano. Da un punto
di vista sperimentale si verifica che la forza necessaria per iniziare il moto è più grande di quella
necessaria a mantenere il moto. Possiamo allora dire che all’istante in cui il corpo incomincia a
21
§1.6 Sullo spazio e sul tempo assoluto
Figura 1.3:
muoversi l’intensità della forza di attrito statico è proporzionale al peso del corpo, il coefficiente
di proporzionalità essendo quello statico λs , mentre nel caso dinamico avremo una proporzionalità
alla forza peso mediante un coefficiente dinamico λ. Poiché, la forza necessaria per iniziare il moto
è più grande di quella necessaria a mantenere il moto, il coefficiente di attrito statico è sempre
maggiore del coefficiente di attrito dinamico
λs ≥ λ
Diamo due esempi di coefficienti di attrito statico e dinamico: Giaccio su giaccio: λs = 0, 78; λ =
0, 42; acciaio su acciaio: λs = 0, 05; λ = 0, 04.
Passiamo alla definizione di forza di attrito.
Definizione: Se un corpo si muove, mantenendosi in contatto con un’altro corpo, su di esso
si manifesta una forza (detta di attrito) che si oppone al moto relativo dei due corpi. Si verifica
sperimentalmente che la forza di attrito, Fa , ha direzione e verso in modo da opporsi sempre al
moto e modulo proporzionale alla reazione vincolare, FR (oppure Fr ), tra i due corpi:
Fa = λFR
(26)
Il coefficiente di attrito ha una semplice interpretazione geometrica. Abbiamo detto che nel
caso di vincoli lisci la reazione elastica del vincolo è assunta ortogonale alla superficie del vincolo.
Questa assunzione nei casi di superfici reali è una approssimazione perché la reazione del vincolo
FR , in seguito all’azione di una forza tangenziale non è mai perfettamente orizzontale:
Se decomponiamo la reazione del vincolo, FR , in una componente normale Fn ed una tangenziale
Ft = Fa , come si vede subito dalla figura, troveremo:
tan α =
Fa
=λ
Fn
22
(27)
1 LE LEGGI DI NEWTON
In conclusione, il coefficiente di attrito è una misura della reazione vincolare non perfettamente
normale che esercita su di un corpo un vincolo reale.
1.7
Uso dell’equazione fondamentale
Lo scopo degli esercizi di questa sezione è quello di mostrare come si utilizza l’equazione fondamentale in alcuni esempi piuttosto consueti. Nella risoluzione della equazione fondamentale si consiglia
di procedere nel seguente modo. Si scrive l’equazione fondamentale
Ma = F
poi si individuano tutte le forze che agiscono sul punto materiale e si riscrive nello specifico
l’equazione fondamentale
M a = F1 + F2 + ... + Fn
(28)
Se i vettori sono utili per descrivere le leggi fisiche in maniera generale, non possono essere
utilizzati in maniera diretta per la risoluzione dei problemi fisici. La (28), se si sceglie un sistema
di assi cartesiani, si può scrivere
M (ax ux + ay uy + az uz ) = Fx ux + Fy uy + Fz uz
(29)
dove abbiamo posto
Fx = F1x + F2x + ... + Fnx
Fy = F1y + F2y + ... + Fny
Fz = F1z + F2z + ... + Fnz
Uguagliando le componenti omologhe, si hanno le seguenti tre equazioni scalari:
M ax = F1x + F2x + ... + Fnx
M ay = F1y + F2y + ... + Fny
(30)
M az = F1z + F2z + ... + Fnz
La risoluzione dell’equazione fondamentale è stata così ridotta alla risoluzione di tre equazioni
(differenziali del secondo ordine) scalari. La completa risoluzione dipende dalla definizione per
ciascuna di tali equazioni di due costanti, condizioni iniziali (le componenti della posizione e della
velocità iniziali lungo il corrispondente asse cartesiano). Nella quasi totalità degli esempi che faremo,
la risoluzione di tali equazioni avverrà per integrazioni successive. Note quindi le forze, sono note
le accelerazioni e da queste si risale prima alle velocità e poi alle posizioni. In questa ottica, come
23
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
Figura 1.4:
abbiamo già detto nel primo capitolo, l’operazione di integrazione appare come un procedimento
inverso rispetto alla operazione di derivazione
Commento: Le equazioni Newtoniane appena definite sono dette deterministiche. Esse, infatti,
note le forze e le condizioni iniziali, consentono di conoscere la traiettoria passata e futura di ogni
punto materiale.
1.7.1
Caduta libera dei corpi
Un corpo vicino alla Terra viene attratto verso il centro di essa (cioè cade) dalla forza peso. Se si
trascura l’attrito dell’aria, l’equazione che governa tale movimento, è
Ma = Mg
(1)
a=g
(2)
ovvero
Per poter risolvere esplicitamente il problema del moto, occorre passare alle equazioni scalari
associate alla (2). La scelta del sistema di riferimento diventa a questo punto una operazione
importante. Prendiamo un sistema di assi cartesiani, con l’asse delle y, rivolto verso l’alto e
passante per il punto materiale. Le condizioni iniziale del problema sono ora: posizione iniziale
(xp = 0, yp = h, zp = 0) e velocità iniziale nulla. Le equazioni scalari sono:
ax = 0
ay = −g
az = 0
(3)
Come si vede, lungo i tre assi cartesiani, il valore dell’accelerazione è costante. Nel precedente
capitolo (eq.(64)), abbiamo derivato, nel caso di accelerazioni costanti, le espresssioni della velocità
24
1 LE LEGGI DI NEWTON
Figura 1.5:
e dello spazio, in funzione del tempo:
v (t) = v0 + a0 t
(4)
1
s (t) = s0 + v0 t + a0 t2
(5)
2
Si tratta ora di applicare questa equazioni al caso in esame, per ciascuna componente. Il moto
avviene sicuramente nel piano xy. Lungo x, non vi è velocità iniziale e la componente iniziale è
zero. Allora, lungo x avremo:
x (t) = 0
(6)
vx (t) = 0
Il moto procede lungo l’asse y: Per la componente y, la componente della velocità è anche nulla,
mentre la posizione iniziale è h:
1
y (t) = h − gt2
2
vy (t) = −gt
(7)
Possiamo avere diverse informazioni sul moto, esaminando le (7).
In particolare, il tempo che il corpo impiega a raggiungere il suolo è ( si pone y (t) = 0):
t=
s
2h
g
(8)
e la velocità con cui arriva al suolo è (si sostituisce la (8) nella prima delle (7))
p
vs = − 2gh
(9)
La caduta di un corpo, soggetto alla sola forza peso, avviene lungo la verticale. Se si pone, nella
seconda delle (7), y (t) = 0, segue anche
25
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
1
h = gt2
2
ovvero
h
1
= g = costante
2
t
2
(10)
Tale relazione è stata trovata, per la prima volta, da Galilei. Galilei sosteneva di avere le prove
che il rapporto tra lo spazio percorso nella caduta ed il quadrato del tempo impiegato a percorrerlo
fosse costante per tutti i corpi. Poiché la (10) è una conseguenza della (1), che a sua volta è
conseguenza della forma della forza peso, possiamo asserire, con Galilei, che la (10) è una prova
indiretta del fatto che tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione, ovvero della proporzionalità
tra massa inerziale e gravitazionale.
In realtà, Galilei non misurò neppure direttamente la relazione (10), ma la dedusse per estrapolazione dalle misure fatte sulla discesa dei corpi lungo piani inclinati. Se si vede l’esempio sul moto
dei corpi che scivolano, senza attrito, lungo piani, inclinati di un angolo θ, si trova
1
t=
sin θ
s
2h
g
(11)
Quando θ è di 90 gradi, tale equazione diventa proprio la (10). Si potrebbe allora pensare che
Galilei abbia realmente fatto delle misure su dei piani inclinati a diversi angoli d’inclinazione (per
esempio, da angoli prossimi a zero ad angoli prossimi a 90 gradi) estrapolando poi il risultato ad
angoli molto vicini a 90 gradi. In realtà, ogni tentativo di sperimentare la precedente equazione con
piani inclinati di varia inclinazione hanno mostrato che per angoli maggiori di circa 10 gradi non
può essere verificata. La conclusione cui si giunge è quella che Galilei da pochi dati ha estrapolato
risultati sperimentali e descritto correttamente la caduta dei gravi. La spiegazione del perché, cioè
le cause sono state poi dedotte da Newton.
Risoluzione mediante l’uso dell’integrazione:
Si procede nel seguente modo (riferiamoci al solo asse delle y). Utilizzando la definizione di
accelerazione si ha
dvy
= −g
dt
che diventa
dvy = −gdt
Poi si integra tra l’istante iniziale ed uno generico t (gli estremi di integrazione della velocità sono
la velocità iniziale e quella corrispondente al tempo t)
26
1 LE LEGGI DI NEWTON
Z
vy
v0y
dvy0
= −g
Z
t
dt0
t0
e dopo l’integrazione si ottiene
vy (t) = v0y − gt
(12)
dove il tempo iniziale t0 è stato posto uguale a zero. Tale equazione ci consente di determinare
ad ogni istante il valore della componente della velocità lungo l’asse y. Per ottenere la traiettoria
bisogna integrare ancora una volta la (4). Ricordando la definizione di velocità:
dy
= v0y − gt
dt
Effettuando l’integrazione, ed utilizzando le condizioni iniziali, si ottiene
y (t) = h −
1.7.2
gt2
2
(13)
Moto di un proiettile
Si consideri il moto di un punto materiale che, avendo una velocità iniziale v0 , non nulla, si muove
nelle vicinanze della superficie terrestre, nella ipotesi che si possa trascurare la resistenza dell’aria.
Il moto del punto materiale è un moto piano ed è deducibile dalla seguente equazione del moto:
Ma = Mg
(1)
a=g
(2)
ovvero
dove g è l’accelerazione di gravità. Le equazioni sono identiche a quelle della cadita libera, ma
vedremo che le differenti condizioni iniziali porteranno ad una soluzione del moto differenti. Questo
significa che le equazioni stabiliscono l’ambito del possibile, ovvero tutti i possibili moti, ma poi
sono le condizioni iniziali (condizioni al contorno) che determinano il moto effettivo di un corpo.
L’altro aspetto interessante dello studio del moto del proiettile è la composizione del moto lungo i
due assi, che nella caduta libera non avevamo. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano del
piano (x,y).
Le componenti iniziali della velocità saranno indicate con (v0x , v0y ). Lungo l’asse x, non essendoci forze, l’accelerazione è nulla. Lungo l’asse y l’accelerazione è prodotta dalla forza peso.
Con la scelta degli assi da noi fatta le due componenti dell’accelerazione sono
27
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
Figura 1.6:
ax = 0
ay = −g
(3)
le equazioni sono identiche all’equazioni per la caduta libera, tuttavia le condizioni iniziali,
determinano differenti soluzioni. Si trova lungo l’asse x:
vx (t) = v0x
x (t) = v0x t
(4)
mentre l’asse x
1
(5)
y (t) = v0y t − gt2
2
L’insieme di queste equazioni descrive completamente il moto di un proiettile.
Mostriamo alcuni risultati che si possono ottenere dalle precedenti equazioni
A) Determinazione delle coordinate della massima altezza cui può arrivare un proiettile.
La massima altezza è caratterizzata dalla proprietà di avere nulla la componente verticale della
velocità:
Possiamo allora porre nella (5) vy (t) = 0. Essa si riduce a
vy (t) = v0y − gt
v0x − gtM = 0
dove tM indica il tempo impegato dal punto materiale a raggiungere l’altezza massima. Dalla
precedente relazione troviamo
tM =
v0x
g
(6)
Sostituendo tale valore nella (5), per lo spazio,otteniamo l’ordinata della massima altezza, yM :
28
1 LE LEGGI DI NEWTON
Figura 1.7:
Figura 1.8:
yM = v0y
µ
v0y
g
¶
1
− g
2
µ
v0y
g
¶2
=
2
1 v0y
2 g
(7)
Sostituendo il tempo dato dalla (7) nella’equazione per l’ascissa (4) troviamo anche l’ascissa della
massima altezza:
µ
¶
v0y
v0x v0y
=
xM = v0x
(8)
g
g
B) Possiamo determinare la gittata, ovvero la massima distanza raggiungibile dal proiettile rispetto
alla sua posizione di partenza.
Sarà sufficiente porre y (t) = 0 nella (5):
29
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
1
0 = v0y tG − gt2G
2
dove tG indica il tempo impiegato dal punto materiale per raggiungere il luogo di massima distanza
dall’origine del sistema di riferimento. Risolvendo tale equazione, avremo due soluzioni, tG = 0,
che indica il tempo in cui è partito il proiettile e
tG =
2v0y
g
(9)
L’ascissa della gittata si otterrà sostituendo il valore (9) nella (4):
xG = v0x
2v0x v0y
2v0y
=
g
g
(10)
Notiamo che
xG = 2xM
(11)
C) Dimostriamo che la curva descritta dal proiettile è una parabola.
Facendo sistema tra le equazioni (4) e (5) ed eliminando il tempo da entrambe (si prenda
t = x/v0x dalla (4) e lo si sostituisca nella (5) si ottiene
y=
v0y
1 g 2
x−
2 x
v0x
2 v0x
(12)
che è una parabola passante per l’origine del sistema di riferimento.
1.7.3
Moto lungo un piano inclinato senza attrito
Si abbia un punto materiale di massa M che scivola lungo un piano inclinato privo di attrito, la cui
lunghezza sia l e la cui altezza sia h. Sul corpo, nella ipotesi in cui si possa trascurare la resistenza
dell’aria, agiscono la forza peso Fp e la reazione del piano Fr :
La forza peso Fp ha la direzione della verticale, mentre la reazione vincolare Fr è ortogonale al
piano inclinato. Il moto che si osserva è lungo il piano inclinato. Tale moto è dovuto alla risultante
Ft della forza peso e della reazione vincolare e la sua direzione è tangente al piano inclinato.
30
1 LE LEGGI DI NEWTON
L’intensità della reazione vincolare del piano può esprimersi in termini della forza peso. Per
definizione di reazione di un vincolo liscio, l’intensità della reazione vincolare è uguale e di segno
contrario alla componente normale, Fn della forza peso:
Questo grafico suggerisce il modo in cui normalmente viene presentato il moto longo un piano
inclinato. Stabilite che sul corpo agiscono la forza peso e la reazione vincolare, si decompone la
forza peso in una componente tangente al piano e una ad esso ortogonale. Lungo la direzione
ortogonale non vi è moto, perché la reazione è pari alla componente ortogonale della forza peso e
non rimane che la componente tangenziale della forza peso a determinare il moto.
Ora procederemo al calcolo esplicito usando argomentazioni geometriche. Calcoliamo esplicitamente l’intensità della forza risultante Ft , responsabile del moto del corpo. Possiamo valutare
l’intensità della forza Ft usando la similitudine tra i triangoli ABC e DEF. Avremo
DF : CB = DE : CA
ovvero
M g : l = Ft : h
da cui
Ft =
M gh
= M g sin α
l
(1)
dove α indica l’inclinazione del piano inclinato. Scegliendo l’asse x lungo il piano inclinato,
possiamo utilizzare l’equazione del moto di un punto materiale e scrivere
M ax = M
gh
l
(2)
Il punto materiale, durante la sua discesa, si muove con una accelerazione costante
ax =
31
gh
l
(3)
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
L’accelerazione non dipende dalla massa del corpo, come i corpi in caduta libera. Poiché l è
maggiore di h l’accelerazione di un punto materiale, lungo un piano inclinato, è inferiore all’accelerazione di un corpo in caduta libera. Essa è inferiore di un fattore h/l . Se il punto materiale,
parte al tempo t=0, con velocità nulla, troveremo che la velocità lungo l’asse x è
vx (t) =
µ
gh
l
¶
t
(4)
1
x (t) =
2
µ
gh
l
¶
t2
(5)
mentre, lo spazio percorso sarà:
Quando il punto materiale arriva alla fine del piano inclinato, avrà percorso il tratto l; il tempo,
tl , impiegato dal punto materiale per percorrere l’intero piano inclinato, si otterrà dalla (5) ponendo
x = l:
1
l=
2
µ
gh
l
¶
t2l
Risolvendo rispetto a tl , otteniamo
l
tl =
h
s
l
2h
= th
g
h
(6)
dove abbiamo introdotto, il tempo th , impiegato da un punto materiale, in caduta libera, a cadere
da un’altezza h.
Il tempo che impiega un punto materiale a scendere tutto il piano inclinato è l/h volte più
grande del tempo che impiega un corpo a cadere, in caduta libera da un’altezza h. Il risultato (6)
non dipende dalla massa del punto materiale, quindi non dipende dal corpo (come il tempo nella
caduta libera). Possiamo dire che, se si trascura la resistenza dell’aria, tutti i corpi, approssimabili
a dei punti materiali che, partendo dalla sommità di un piano inclinato, privo di attrito, scivolano
lungo lo stesso piano inclinato, impiegano lo stesso tempo ad arrivare alla fine del piano inclinato
La velocità che possiede un qualunque punto materiale quando arriva alla fine del piano inclinato,
si ottiene sostituendo il valore di tl , dato dalla (6), nell’equazione (4):
v (tl ) =
gh l
l h
s
2h p
= 2gh
g
(7)
La velocità di arrivo alla fine del piano inclinato è uguale alla velocità di arrivo al suolo di un
qualunque punto materiale che cade in caduta libera da una altezza h. La velocità di arrivo al suolo
non dipende dalla strada che si sceglie (caduta libera o piano inclinato), in assenza di attriti.
32
1 LE LEGGI DI NEWTON
1.7.4
Moto lungo un piano inclinato, con attrito
Si abbia un piano, inclinato di un angolo θ rispetto al suolo e di altezza h. Un punto materiale che
scivola lungo tale piano sarà soggetto alla forza peso Fp , alla reazione del vincolo, Fr ed alla forza
di attrito, Fa
L’equazione del moto sarà allora
M a = Fp + Fr + Fa
(1)
Scegliendo gli assi come in Figura, le equazioni scalari associate alla (1) sono
M ax = M g sin α − M gλ cos α
M ay = M g cos α − M g cos α
ovvero
ax = g sin α (1 − λ cot α)
ay = 0
Non c’è moto lungo l’asse y. Risolviamo l’equazione lungo l’asse x, nell’ipotesi di velocità iniziale
nulla per un corpo che parte dalla sommità del piano. Le espressioni che si ottengono per la velocità
e lo spostamento sono rispettivamente
vx (t) = g sin α (1 − λ cot α) t
(2)
1
x (t) = g sin α (1 − λ cot α) t2
(3)
2
Ci proponiamo di calcolare la velocità con cui il corpo giunge al suolo ed il tempo impiegato.
Dalla (3) si può ottenere immediatamente il tempo, imponendo il valore della lunghezza del piano,
cioè risolvendo la seguente equazione:
h
1
= g sin α (1 − λ cot α) t2
sin α
2
33
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
La soluzione che si ottiene, è
1
t=
g sin α
r
2gh
1 − λ cot α
(4)
Sostituendo la (4) nella espressione della velocità, eq.(2), si trova
vs =
p
2gh (1 − λ cot α)
(5)
s
(6)
Nella ipotesi di assenza di attrito, le due ultime equazioni diventano
1
t=
sin α
vs =
2h
g
p
2gh
(7)
Dai risultati di questo esempio e di quelli del precedente esempio si deduce che la velocità di
arrivo al suolo, in un campo gravitazionale, non dipende, in assenza di attrito, dal percorso fatto
(vs è identica per la caduta di un grave lungo la verticale e per il moto lungo il piano inclinato).
D’altro canto, il tempo impiegato dipende dal percorso.
Le precedenti equazioni consentono di calcolare anche il coefficiente di attrito statico. Nel caso
in cui il punto materiale è in quiete sul piano inclinato, la risultante delle forze deve essere nulla:
Fp + Fr + Fa = 0
In particolare, lungo l’asse x, dovendo essere il valore della coordinata sempre nulla qualunque
sia il valore di t, dalla si ottiene, dalla (3),
1 − λs cot θ = 0
ovvero,
λs = tan α
1.7.5
(8)
Moti su una circonferenza piana orizzontale
Quando abbiamo studiato il moto circolare abbiamo detto che, anche nel caso di moto circolare
uniforme, il corpo è soggetto ad una accelerazione, detta centripeta, pari a
ac =
34
v2
R
(1)
1 LE LEGGI DI NEWTON
Figura 1.9:
dove v è la velocità del corpo ed R il raggio. La direzione di tale accelerazione è lungo la
congiungente il punto materiale ed il centro della circoferenza, mentre il verso è dal punto materiale
verso il centro della circonferenza. Ora esamineremo due casi che ci aiuteranno a determinare le
forze che producono tale accelerazione:
Caso A: Forza di attrito
Nella vita quotidiana, quando un auto, una moto ed il generale un veicolo si trova in una
curva, come abbiamo ampiamente discusso, nella sezione sulla gravitazione universale, la sua inerzia
tenderebbe a farlo uscire di strada. Il fatto che il veicolo rimane sulla strada ci consente di affermare
che esiste una forza che lo costringe a percorrere la strada. Tale forza è la forza di attrito.
Potremo allora scrivere l’equazione fondamentale, come segue:
M
v2
= Fa
R
(2)
Se, la reazione vincolare si riduce alla sola reazione al peso del corpo, potremo scrivere
M
v2
= λM g
R
da cui
v2
= λg
R
Poiché g è nota, conoscendo due dei rimanenti parametri, si può ricavare il terzo.
Caso B: Creare una pendenza alle strade curve
35
(3)
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
Figura 1.10:
Un modo per aiutare gli automobilisti a non uscire di strada, in curva, è di progettare una
pendenza quando si costruisce una strada curva. In altre parole, la strada diventa un cuneo (una
sezione trasversale è un piano inclinato, con la base verso il centro della curvatura)
. Per mostrare l’utilità della pendenza, mostreremo che anche in assenza di attrito, il vincolo
che si è introdotto genera una forza sufficiente a far rimanere il corpo sulla strada curva. Dobbiamo concentrare la nostra attenzione sulla reazione vincolare, perché ora è tale forza che origina
l’accelerazione centripeta.Notiamo che in questo caso, sul piano inclinato, conviene scegliere gli
assi cartesiani paralleli alla direzione orizzontale (asse x) ed a quella verticale (asse y). La forza
che stiamo cercando è la componente x, della reazione vincolare. Proviamo a determinare tale
componente.Avremo
Fx = FR sin α
(4)
Non rimane che determinare la reazione vincolare. Notiamo che, se l’unica forza agente sul
corpo in moto è la forza peso, avremo
FR cos α = M g
da cui
FR =
Mg
cos α
(5)
Sostituendo nella (4), avremo
Fx = M g tan α
L’equazione del moto, nella direzione x è
36
(6)
1 LE LEGGI DI NEWTON
M
v2
= M g tan α
R
da cui
v2
= g tan α
R
(7)
Se si confronta la (7) con la (3) ritroviamo la relazione
λ = tan α
(8)
La pendenza (ovvero il vincolo), svolge, anche il assenza di attrito alla funzione di mantenere
il corpo sulla strada. Ovviamente, la velocità di moto in ogni caso è determinante per non finire
fuori strada.
1.7.6
Il moto armonico semplice
Alcuni corpi macroscopici, quando sono sottoposti all’azione di una forza esterna, si deformano
temporaneamente. Questi corpi, appena cessata la causa della deformazione, tendono a riprendere
la forma originaria. Questa proprietà dei corpi è detta elasticità. Il corpo elastico per eccellenza è
la molla. Si fissi una estremità della molla ad una sostegno, mentre all’altra estremità si leghi un
corpo di massa M . Il corpo M può muoversi liberamente su di un piano orizzontale.
Trascuriamo la massa della molla e studiamo il moto del corpo M , assimilandolo ad un punto
materiale. La forza peso viene equilibrata dalla reazione del tavolo e se la molla era nella posizione
di riposo il punto materiale M rimane fermo (chiameremo la posizione di M in tale punto posizione
di riposo). Portiamo M nella posizione A, tirando la molla, anche se di poco.
37
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
Lasciamo libero il punto materiale. Esso incomincerà ad oscillare intorno alla posizione di
riposo, tra le posizioni A e B. La forza agente su M , ad ogni istante, risulta essere indipendente
da M , proporzionale allo spostamento, misurato dalla posizione di riposo, e di verso opposto allo
spostamento. La costante di proporzionalità, indicata con k, dipende solo dalla molla. Scelto un
sistema di riferimento con l’origine posta nella posizione di riposo e l’asse x nello direzione OA,
possiamo scrivere
Fe = −kxux
Se si riporta la posizione di M , nel corso del tempo, si otterrà il seguente grafico
Il moto risulta essere periodico. Una oscillazione completa è il movimento completo di M , che
parte da A, arriva in B e poi ritorna in A.
Il tempo impiegato dal punto materiale per eseguire una oscillazione completa è detto periodo
dell’oscillazione, sarà indicato con T e, come mostreremo tra breve sarà dato da:
38
1 LE LEGGI DI NEWTON
T = 2π
r
M
k
(2)
L’ampiezza dell’oscillazione è la lunghezza OA = xA (oppure OB). Essa rappresenta la massima
distanza, dalla posizione di riposo, alla quale arriva il punto materiale durante le sue oscillazioni.
Un corpo soggetto ad una forza elastica obbedisce alla seguente equazione del moto:
d2 x
+ kx = 0
dt2
Come mostreremo successivamente, una soluzione per tale equazione si scrive
M
x (t) = A sin (ω k t + φ)
(3)
(4)
dove A è detta ampiezza , φ fase iniziale ed ω , definita da,
k
(5)
M
è detta pulsazione. Si può verificare la correttezza della (4) derivandola due volte e sostituendo
i risultati nella (3) Infatti, calcoliamo prima la velocità:
ω 2k =
v (t) = Aω k cos (ω k t + φ)
(6)
Derivando ulteriormente, si trova l’accelerazione
a (t) = −Aω 2k sin (ωk t + φ)
(7)
Se ora sostituiamo la (7) e la (6) nella (3) avremo
£
¤
M −Aω 2k sin (ω k t + φ) + k [A sin (ω k t + φ)] = 0
Dividendo tutto per A sin (ωt + φ), si trova
−M ω 2k + k = 0
Il primo membro è nullo solo se è vera la (5). Abbiamo allora mostrato che la (4), con la
posizione (5), è soluzione dell’equazione (3).
Le quantità A e φ si deducono dalle condizioni iniziali. Infatti, se le generiche condizioni iniziali
le indichiamo con x0 , v0 , dalle equazioni (4) e (6), per t = 0, si ha
x0 = A sin φ
v0 = Aωk cos φ
Risolvendo rispetto ad A, e φ,questo sistema di equazioni, si ottiene:
39
(8)
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
x0
tan φ = ω k
v0
A=
s
x20 +
v02
ω2k
(9)
Notiamo inoltre che la funzione,
x (t) = A sin (ω k t + φ)
(4)
è periodica ed il suo periodo è
T =
2π
ωk
(10)
Infatti
¶
¶
µ µ
2π
+ φ = A sin (ω k t + 2π + φ) = A sin (ω k t + φ)
x (t) = A sin ω k t +
ωk
Infine, notiamo che, il tempo τ , soluzione dell’equazione
ωk τ + φ = 0
→
τ =−
φ
ωk
(11)
rappresenta l’istante in cui il punto materiale passa la prima volta dalla posizione di equilibrio.
Qualche approfondimento matematico:
Non è difficile mostrare che anche
x (t) = A cos (ωk t + δ)
(12)
è ugualmente soluzione del moto armonico semplice.
Notiamo che la differenza tra le due soluzioni è nello sfasamento della fase iniziale. Infatti,
³
π´
x (t) = A cos (ω k t + δ) = A sin ω k t + δ +
= A sin (ω k t + φ)
2
dove abbiamo posto
π
2
A ulteriore conferma di questo sfasamento, per la soluzione (12) il tempo
φ≡δ+
τ =−
δ
ωk
(13)
(14)
rappresenta l’istante in cui il punto materiale passa per la prima volta dalla posizione di massima
elengazione.
40
1 LE LEGGI DI NEWTON
Per le precedenti considerazioni, non è difficile accettare che la soluzione generale del moto
armonico semplice è una sovrapposizione di seni e coseni:
x (t) = C sin (ω k t) + D cos (ω k t)
(15)
Per determinare C e D possiamo imporre che
A sin (ω k t + φ) = C sin (ωk t) + D cos (ωk t)
ovvero
A sin (ω k t) cos φ + A cos (ωk t) sin φ = C sin (ω k t) + D cos (ω k t)
da cui deduciamo
C = A cos φ
D = A sin φ
(16)
Allora la soluzione generale del moto armonico semplice si può scrivere
x (t) = A cos φ sin (ω k t) + A sin φ cos (ω k t) .
(17)
ovvero, come soluzione, con fase iniziale nulla in entrambe le funzioni periodice ma con ampiezze
A cos φ e A sin φ.
Se invece si impone
A cos (ω k t + δ) = C sin (ω k t) + D cos (ω k t)
ovvero
A cos δ cos ωk t − A sin δ sin ω k t = C sin (ω k t) + D cos (ω k t)
da cui
−A sin δ = C
A cos δ = D
(18)
e la soluzione generale diventa
x (t) = −A sin δ sin (ω k t) + A cos δ cos (ω k t)
(19)
Infine, notiamo che dalla relazione
ω 2k =
e dalla relazione tra periodo e pulsazione
41
k
M
(20)
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
T =
2π
ωk
segue
T = 2π
r
M
k
(21)
Esplicitiamo la (19), in termini delle condizioni iniziali; usando la (20), la (19) diventa
x (t) = −A sin δ sin
Ãr
!
Ãr
!
k
k
t + A cos δ cos
t
M
M
(22)
Per determinare A e δ supponiamo che al tempo t = 0 siano x0 e v0 la posizione e la velocità
iniziale. Avremo,
x0 = A cos (ωk 0 + δ) = A cos δ
r
v0 = −
r
k
k
A sin (ω k 0 + δ) = −
A sin δ
M
M
→
(23)
−A sin δ = v0
r
M
k
(24)
e la (22) diventa
x (t) = v0
r
M
sin
k
Ãr
!
!
Ãr
k
k
t + x0 cos
t
M
M
(25)
Moto armonico semplice e moto circolare
Ora immaginiamo di costruire una circonferenza di raggio pari all’ampiezza e centro nella
posizione di riposo del punto materiale.
Man mano che M oscilla, una semiretta ortogonale all’asse x e passante per M interseca la circonferenza. L’effetto che si ottiene è quello di un punto geometrico che si muove sulla circonferenza,
man mano che M oscilla.
42
1 LE LEGGI DI NEWTON
Si può mostrare (vedi sotto) che il moto che descrive il punto geometrico sulla circonferenza è
un moto circolare uniforme, con lo stesso periodo T, del punto materiale che oscilla. Guardando
al punto geometrico che si muove di moto uniforme sulla circonferenza, si può dedurre, in maniera
semplice, l’andamento della velocità del punto materiale che oscilla:
In A, quando il punto materiale M aveva la massima elongazione, la sua velocità è nulla, poi
cresce fino ad un valore massimo, quando M passa per la posizione di riposo O, poi decresce fino a
ridiventare nulla quando M si trova nel punto B; poi cambia verso, ricominciando a ricrescere, fino
a riavere un valore massimo quando M ripassa per O ed infine decresce fino ad annullarsi di nuovo
quando M arriva in A.
Sebbene ωk è uguale numericamente alla velocità angolare ω con cui ruota il punto geometrico
sulla circonferenza associata, le due quantità sono differenti; ω k si riferisce al moto unidimensionale
del punto materiale soggetto alla forza elastica, mentre ω si riferisce ad un moto circolare piano.
Mostriamo, più in dettaglio, il legame un punto che si muove su una circonferenza ed il moto
armonico sugli assi. Si abbia un punto materiale che si muove di moto uniforme, su di una circonferenza di raggio A ed angolo polare θ. La sua equazione del moto, visto che A è costante è solo in
termini della variabile angolare, e sarà data da
θ (t) = ωt + δ
dove δ è l’angolo che il punto materiale forma con l’asse delle x, al tempo t = 0. Se si prende un
sistema di assi cartesiani con origine sul centro della circonferenza, le proiezioni sugli assi saranno
x = A cos θ = A cos (ωt + δ)
³
π´
y = A sin θ = A sin (ωt + δ) = A cos ωt + δ −
2
Questo giustifica la discussione precedente, ricordando che ω è un velocità angolare ed ω k è una
pulsazione. sebbene si misurino allo stesso modo sono quantità fisicamente differenti.
43
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
1.7.7
Il pendolo semplice
Si abbia un filo con un’estremità fissata ad un sostegno.Alla estremità libera del filo leghiamo un
corpo di massa M. Il filo si tende ed una forza di natura elastica, detta tensione del filo, Fτ ,
contrasta il peso del corpo. Il corpo rimane sospeso, cioè vincolato. Per ogni filo esiste un valore
massimo della tensione oltre il quale esso si spezza. Tale valore massimo dipende dalla sostanza
con cui è costruito il filo e dalla sua sezione. Possiamo sintetizzare, il precedente discorso, dicendo
che un corpo di massa M, di dimensioni trascurabili rispetto alla lunghezza l del filo, (quindi
approssimabile ad un punto materiale, quando è appeso ad un filo è soggetto, oltre alla forza peso
Fp , anche ad una tensione esercitata dal filo che indicheremo con Fτ .
Il sistema appena descritto, nell’ipotesi che la massa del filo sia trascurabile, rispetto alla massa
del corpo M, è detto pendolo semplice.
Ci proponiamo di esaminare il moto del punto materiale di massa M, nell’ipotesi che esso compia
oscillazioni, intorno alla posizione di equilibrio, indicata dal punto C. Per piccole oscillazioni, il
moto del punto materiale M risulta essere periodico. Una oscillazione completa è il movimento
completo di M che, parte da A, arriva in B e poi ritorna in A. Il tempo impiegato da M per
eseguire una oscillazione completa è detto periodo dell’oscillazione e sarà indicato con T . L’ampiezza
dell’oscillazione è la lunghezza CA (oppure CB). Essa rappresenta la massima lunghezza, dalla
posizione di equilibrio, che percorre M durante le sue oscillazioni.
Ci proponiamo di determinare la forza risultante responsabile del moto di M, di provare che
essa è una forza di tipo elastica e quindi determinare il periodo di oscillazione del pendolo.
Il moto del punto materiale M è sulla circonferenza di raggio l. La risultante Ft , tra la forza
peso Fp e la tensione del filo Fτ , ha la direzione della tangente alla circonferenza:
44
1 LE LEGGI DI NEWTON
L’intensità della tensione può essere valutata in termini della forza peso. La tensione, come
si evince anche dal grafico precedente, è uguale alla componente radiale Fn della forza peso, cioè
Fτ = Fn Per determinare il modulo, della forza risultante Ft , usiamo la similitudide tra i due
triangoli OFA e ADE. Avremo
AE : OA = AD : F A
che diventa, posto FA=y, (si immagimi un sistema di riferimento con centro in O, l’asse delle x
diretto verso il basso e l’asse delle y diretto da F ad A; vedi più avanti)
M g : l = Ft : y
cioé
Ft =
Mg
y
l
L’intensità della forza risultante, Ft , responsabile del moto, è proporzionale alla distanza y del
punto materiale dalla verticale. Essa è del tipo
Ft = ky
con
k=
Mg
l
(1)
essa è di tipo elastico ed è diretta lungo la tangente alla circonferenza che descrive il punto
materiale.
45
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
Per piccole oscillazioni, l’angolo α è molto piccolo, quindi la forza Ft è praticamente uguale
alla sua proiezione F, lungo l’asse y: In altre parole, il moto lungo la circonferenza, per piccole
oscillazioni, si può confondere con il moto lungo l’asse y. Allora, possiamo scrivere che la forza
agente sul punto materiale, che ora si muove lungo l’asse y, è, per piccole oscillazioni, data da:
F = −kyuy
(2)
Corpi soggetti a forze di questo tipo, dette elastiche, si muovono di moto armonico semplice.
Tali moti sono periodici ed il loro periodo è, come abbiamo già visto, uguale a
r
M
k
Se si sostituisce il valore di k, dato dalla (1), in quest’ultima equazione, si trova
T = 2π
T = 2π
s
l
g
(3)
(4)
Possiamo concludere dicendo che il moto del pendolo, per piccole oscillazioni è periodico, con un
periodo dato dalla (4). Se si graficano, in funzione del tempo, i valori dell’ampiezza (o in maniera
equivalente i valori dell’ampiezza lungo l’asse y), si ottiene una funzione sinusoidale (al tempo t = 0
il punto materiale era in C):
46
1 LE LEGGI DI NEWTON
Approfondimento matematico: Nello studio delle caratteristiche cinematiche del moto su di
una circonferenza, abbiamo mostrato che l’accelerazione è sempre decomponibile in una componente
tangenziale ed in una componente radiare:
a = at ut + ac ur
(1)
dove
dω
d2 φ
dv
v2
=R
=R 2
ac =
dt
dt
dt
R
Nel caso in esame, il raggio della circonferenza, è la lunghezza del filo:
at =
d2 α
dt2
Abbiamo visto che la risultante efficace è
at = l
ac =
v2
l
Ft = −M g sin α
(2)
(3)
(4)
Allora, l’equazione del moto significativa è
d2 α
= −M g sin α
dt2
(5)
g
d2 α
= − sin α
dt2
l
(6)
d2 α
g
=− α
dt2
l
(7)
α(t) = α0 sin (ω l t + φ)
(8)
Ml
ovvero,
Per piccoli angoli, sin α ' α,
La soluzione di tale equazione è
dove
ωl =
In termini di accelerazione lineare, avremo
r
g
l
at (t) = lα0 sin (ω l t + φ)
47
(9)
(10)
§1.7 Uso dell’equazione fondamentale
Figura 1.11:
1.7.8
Il pendolo circolare
Un corpo di massa M sospeso ad un filo inestensibile di lunghezza l che si muove di moto uniforme
su di una circonferenza di raggio R, è un pendolo circolare. Sia inoltre θ l’angolo che forma il filo
con la perpendicolare passante per il punto di ancoraggio del filo. Ci proponiamo di determinare il
periodo di oscillazione del pendolo (tempo impiegato a percorrere una intera circonferenza:
Questo esempio potrebbe essere considerato come un modo per mantenere un corpo su una
circonferenza (si veda l’uso dell’attrito e della pendenza per mantenere un corpo su circonferenza,
esempio 4.). Infatti, le forze che agiscono sul corpo sono la forza peso Fp e la tensione del filo Fτ .
Possiamo decomporre la tensione Fτ in una componente radiale ed una componente nella
direzione della forza peso. Esse sono
Fτ sin θ
Fτ cos θ
La componente radiale produce l’accelerazione centripeta:
M v2
= Fτ sin θ
R
mentre l’altra componente è uguale alla forza peso:
Fτ cos θ = M g
(1)
(2)
Dalla (2) ricaviamo Fτ :
Fτ =
Mg
cos θ
48
(3)
1 LE LEGGI DI NEWTON
che sostituito nella (1) ci darà
M v2
= M g tan θ
R
ovvero
v2
= g tan θ
R
(4)
Questo risultato è identico a quello trovato nell’esempio 4. Ora però possiamo riscrivere la
tangente dell’angolo. Innanzitutto,
R = l sin θ
Poiché, per piccoli angoli il seno e la tangente sono praticamente uguali, possiamo scrivere
tan θ '
R
l
(5)
Con questo risultato la (4) diventa
R
v2
=g
R
l
ovvero
gR2
= v2
l
(6)
D’altra parte, poiché il corpo si muove di moto uniforme sulla circonferenza avremo 2πR = vT ,
da cui
4π 2 R2
= v2
T2
(7)
Dal confronto delle due ultime equazioni, deduciamo che
T = 2π
s
l
g
(8)
che coincide con il periodo del pendolo semplice (anche se fisicamente sono due moti distinti).
49
§1.8 Complementi
1.7.9
Moto su calotta sferica
: Un corpo di massa M viene poggiato su una calotta sferica. Sapendo che il coefficiente di attrito
statico è λs si determini l’angolo al quale, rispetto a punto più alto, il corpo inizia a scivolare.
L’equazione del moto è
M a = M g + Fa + Fr
(1)
M at = −Fa + M g sin φ
(2)
La proiezione lungo la tangente è
e la condizione si otterrà da
−Fa + M g sin φ = 0
1.8
→
−λs M g cos φ + M g sin φ = 0
tan φc = λs
Complementi
In questa sezione vogliamo discutere di alcuni esercizi che hanno bisogno di una conoscenza matematica più complessa.
1.8.1
Forza periodica
Ci proponiamo di risolvere la seguente equazione del moto:
M
dv
= F0 sin (ωt)
dt
(1)
dove F0 , è un vettore costante e le condizioni iniziali sono v (0) = 0 e r (0) = 0.
La precedente equazione, riscritta come
dv =
F0
sin (ωt) dt
M
può essere integrata, componente per componente, (la dipendenza funzionale del seno dal tempo è
nota) è si ottiene:
∆v = v (t) =
F0
(1 − cos ωt)
Mω
50
(2)
1 LE LEGGI DI NEWTON
L’ulteriore integrazione è anche immediata:
r (t) =
1.8.2
F0
(ωt − sin ωt)
M ω2
(3)
Forza d’attrito nei fluidi
Ci proponiamo di risolvere la seguente equazione del moto:
M
dv
= −γv
dt
(4)
con le condizioni iniziali, v (0) = v0 ed r (0) = 0.
Scrivendo l’equazione per i moduli:
γ
dv
= − dt
v
M
la si può integrare subito,
ln
µ
v
v0
¶
=−
γ
t
M
Poiché eln x = x, la precedente relazione si può riscrivere:
³ γ ´
v (t) = v0 exp − t
M
(5)
L’ulteriore integrazione della (5) conduce poi a
´
γ
M³
−M
t
r (t) = v0
1−e
γ
(6)
1.8.3
oscillazioni smorzate
L’equazione che ci proponiamo di risolvere è la seguente:
M
dx
d2 x
2 = −kx − γ dt
dt
51
(7)
§1.8 Complementi
Ponendo
γ
2M
(8)
d2 x
dx
2
2 + 2τ dt + ω 0 = 0
dt
(9)
ω 20 =
k
M
τ=
l’equazione iniziale diventa:
La quantità τ è detta coefficiente di smorzamento. Per risolvere la (9) si cerca una soluzione del tipo
x = exp (rt)
(10)
La (9) diventa una equazione per r (equazione caratteristica), la cui soluzione è
r = −τ ±
q
τ 2 − ω20
La soluzione cercata diventa allora:
³ √
´
− τ + τ 2 −ω 20 t
x (t) = c1 e
³
+ c2 e
√
−τ +
´
τ 2 −ω 20 t
(11)
Esamineremo tale soluzione generale nella ipotesi che
τ < ω0
Poiché,
p
p
τ 2 − ω20 = i ω 20 − τ 2 , ponendo
ω=
q
ω 20 − τ 2
la (11) diventa
¡
¢
x (t) = e−τ t c1 eiωt + c2 e−iωt
52
(12)
(13)
1 LE LEGGI DI NEWTON
Definendo k1 = c1 + c2 e k2 = i (c1 − c2 ) la precedente equazione si scrive
x (t) = e−τ t [k1 cos (ωt) + k2 sin (ωt)]
Infine, posto
A=
q
k12 + k22
tgφ = −
k2
k1
si ottiene la forma dell’equazione cercata:
x (t) = A exp (−τ t) cos (ωt + φ)
(14)
Un movimento che si effettua secondo le modalità descritte dalla (14) è detto di oscillazioni
smorzate. La frequenza di oscillazione ω è più piccola della frequenza delle oscillazioni libere
ω 0 (si veda la (13)) e l’ampiezza decresce in modo esponenziale (si veda la (14)). Tuttavia, viene
impiegato sempre lo stesso intervallo di tempo, per compiere ciascuna oscillazione. Sotto è mostrato
il grafico della funzione
x (t) = exp (−t) cos (5t)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
-0.2
1
2
t
-0.4
53
3
4
5