incontro
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Baustelle
rock
d’autore
INTERVISTA A FRANCESCO BIANCONI, LEADER STORICO DELLA BAND
TOSCANA CHE IN 10 ANNI HA RAGGIUNTO IL SUCCESSO DI PUBBLICO
E CRITICA. DALLE PRODUZIONI INDIPENDENTI ALLA CANZONE
D’AUTORE, DAL POP MELODICO ALLA MUSICA PER IL CINEMA
di Claudia Frattini
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In tedesco significa “cantiere”, “lavori in corso”. E
infatti i Baustelle sono una
delle band più solide del
panorama musicale italiano, nata nel 1994 e assurta
in breve tempo a gruppo
culto dell’indie-rock nostrano. Dal Sussidiario illustrato
della giovinezza, l’album di
esordio autoprodotto nel
2000, al recente I Mistici
dell’Occidente, disco d’oro con
oltre 30mila copie vendute,
il gruppo senese ha scalato
le classifiche italiane e internazionali. La notorietà arriva nel 2005 con La Malavita, mentre nel
2009 è la volta di Amen e di un paio di canzoni
prestate al cinema. Francesco Bianconi, Rachele
Bastreghi e Claudio Brasini il team di successo
che ha pubblicato a marzo l’ultima fatica e torna
in luglio a Rock in Roma insieme all’artista rivelazione dell’anno, Nina Zilli.
I Mistici dell’Occidente coincide con il decennale di attività discografica del gruppo. Chi sono
i Baustelle 10 anni dopo?
«Siamo cambiati, inevitabilmente, nel senso che
siamo cresciuti, d’età e d’esperienza. E i Baustelle di oggi sono quelli che più mi piacciono: libera espressione musicale, senza schemi prestabiliti com’era invece agli inizi. Dieci anni dopo siamo molto più consapevoli, anche grazie a
un’esperienza di continuità intrisa di sperimentazione. Non ci siamo mai adagiati e non abbiamo perso le nostre radici».
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Sopra da sinistra
I Mistici dell’Occidente
L’ultimo album della band,
con oltre 30mila copie
vendute, si è aggiudicato
il disco d’oro. A destra
Rachele Bastreghi, Francesco
Bianconi e Claudio Brasini,
in arte Baustelle
Dall’indie-rock a un pop chitarristico saturo
di suoni. Dall’adolescenza romantica di una
band di studenti semisconosciuti alle sonorità ricercate della maturità. Una rinascita
continua…
«Il nucleo originario – Rachele (Bastreghi ndr),
Claudio (Brasini ndr) ed io – è rimasto lo stesso. Dal 2005 in poi, quando Fabrizio Massara
si è staccato dal gruppo, ci siamo contornati,
in tempi e momenti diversi, di tanti musicisti.
Quanto ai fan, sono certamente cresciuti di
numero, e questo è un bene, perché non abbiamo mai voluto fare musica di nicchia. Vogliamo arrivare a tutti».
A scapito, forse, di una certa qualità di pubblico?
«I nostri ascoltatori sono attenti e preparati, dai
teenager alle persone di una certa età e quegli
orfani del cantautorato che una volta preferivano
Guccini o De André. Siamo una band transgenela freccia
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classic rock. Baustelle are one of the
most enduring Bands on the italian music
scene. Having started in 1994 the Italian indie-rockers quickly
established a cult following. From their self-produced début album,
2000’s “Sussidiario illustrato della giovinezza” (“Illustrated Course-book
of Youth”), to the recent “I mistici dell’occidente” (“Monks of the West”),
which has gone gold with over 30,000 copies sold, the group from Siena
has assaulted the Italian and international charts. This month they are
performing at the Rock in Roma festival with the big-hit of the year, the
newcomer Nina Zilli.
razionale e la nostra musica ambisce solo ad
emozionare. Dieci anni fa ci siamo detti: “Facciamo qualcosa che non si ascolta alla radio”. Le
canzoni devono fondere alla perfezione parole e
musica, due linguaggi coessenziali. È così che
nascono i grandi capolavori, come Yesterday o Il
cielo in una stanza».
In passato ha definito La Malavita come il miglior disco. Era il 2005, un momento delicato,
di rottura, che segnava l’ingresso nelle produzioni hi-fi e l’approdo all’agognata celebrità.
La pensa ancora allo stesso modo?
«È un ex equo con i Mistici dell’Occidente, che forse,
come suono e orchestrazione, mi piace addirit-
Luglio/Agosto 2010
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tura di più della Malavita. Le soluzioni armoniche, timbriche e gli arrangiamenti: è questa la
ricetta di tutte le nostre canzoni, anche di quelle
più vicine alla tradizione melodica italiana».
Da allora produzioni importanti, collaborazioni e riconoscimenti prestigiosi. Dall’ambita
targa Tenco, nel 2008 con Amen, al Nastro
d’Argento l’anno successivo per Piangi Roma,
l’inedito duetto con Valeria Golino. Qual è stato il prezzo del successo?
«Il successo riguarda solo i grandi: Elvis Presley,
i Beatles, Adriano Celentano. La Malavita ci ha
regalato la popolarità, insieme alla consapevolezza che questo mestiere, tanto bello e creativo,
non è musica e basta. Si tratta di un vero e proprio lavoro, con le sue noiose routine. Ma fa parte del gioco, e non dimentico mai di essere, sempre e comunque, un privilegiato».
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Piangi Roma ha segnato anche l’esordio cinematografico con la colonna sonora di Giulia
non esce la sera di Giuseppe Piccioni. Quanto è
diverso comporre per il grande schermo?
«Moltissimo, soprattutto se si tratta di scrivere
una colonna sonora: è una composizione strumentale, in cui la musica si pone a servizio delle immagini. Ad esempio, nel caso di Giulia non
esce la sera, dopo aver letto la sceneggiatura avevo scritto dei temi che mi piacevano tantissimo. Per poi accorgermi, una volta visto il primo
girato, che non funzionavano. E ho dovuto ricominciare da capo».
Lei è sempre stato l’anima del gruppo e i suoi
duetti con Rachele Bastreghi continuano a far
innamorare pubblico e critica. Anche ora che
i Baustelle non sono più un fenomeno underground. Cosa resta del Francesco Bianconi
degli esordi con la passione dei compositori
pop anni ’60?
«La passione non si è mai spenta, altrimenti
avrei già smesso di fare questo mestiere. Certo, dopo anni e anni di lavoro, ho maturato
una competenza più ampia e so destreggiarmi
con disinvoltura. Ma le mie fonti di ispirazione
sono quelle di allora: Ennio Morricone, per
esempio, e tanti autori anni ‘60, italiani e non,
arrangiatori e compositori di musica per il cinema».
Tecnologie moderne di mixaggio e filtraggio
dei suoni. Elettropop, arrangiamenti sofisticati e produzione elaborata. Da un lato un alto
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livello compositivo, dall’altro, forse, il rischio
di appesantire?
«Non è facile riuscire ad emozionare quando entrano in gioco arrangiamenti complessi. C’è il rischio di sovraccaricare, di soffocare. Ma la musica “complicata”, dai Beatles del secondo periodo
ai Beach Boys di Pet sounds, mi piace. Anche
quando prevede soluzioni sperimentali e un po’
barocche. Ora come ora non mi dispiacerebbe
fare un disco in presa diretta e con pochi elementi».
Nel vivo di un forsennato tour estivo, i Baustelle salgono sul palco di Rock in Roma 2010 con
l’artista rivelazione dell’anno, la nuova regina
del soul Nina Zilli. È forse il segnale di una
nuova fase?
«Nina è una delle voci più interessanti del panorama italiano e il fatto che esca sul palco insieme ai Baustelle significa che la nostra musica ha
veramente tanto da dire».
Il rock italiano oggi è?
«Vitale e molto produttivo, anche se a volte non
sembra. Ci sono delle band indipendenti che lavorano nell’ombra e non riescono ad emergere
perché l’industria discografica sta vivendo un
momento difficile. La rete e la musica gratis sono una grande utopia democratica, trattata, però, anche dalle major, con un pizzico di superficialità. E questo toglie, soprattutto ai gruppi
emergenti, la possibilità di sopravvivere. Dietro
ogni disco ci sono ore di lavoro, fatica e sudore.
E di musica si dovrebbe poter vivere».
la freccia
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