Onore e dignità C’è una ragione valida per proporre i concetti di onore e dignità come argomenti di studio e di approfondimento? Non è anacronistico parlare di onore in una società massificata e tecnologizzata come quella nella quale viviamo? E la dignità non è forse un concetto sfuggente che appartiene soprattutto alla sfera intima di ognuno di noi e poco si presta ad un dibattito pubblico? E’ evidente che si tratta di interrogativi retorici, perché, se si è deciso di occuparsene, è perché si è già risposto: si alla prima domanda e no alle due successive. Si ritiene che onore e dignità non solo abbiano avuto un ruolo molto importante nella storia delle civiltà umane ma che, con diverse declinazioni, continuino ad averne. E questa importanza dovrebbe emergere nel corso della trattazione. Innanzitutto è opportuno porsi un problema semantico: onore e dignità sono la stessa cosa o due cose diverse? E se sono due cose diverse lo sono perché fanno riferimento ad ambiti intrinsecamente diversi o soltanto cronologicamente diversi? Nel senso che storicamente all’onore è subentrata la dignità? Andiamo con ordine. Onore e dignità non sono sinonimi; hanno parti di significato in comune ma rimandano a concetti diversi. E se è vero che con l’avvento della modernità (storicamente collocabile con l’illuminismo e la rivoluzione francese e quindi con l’ascesa della classe borghese) l’onore ha ceduto campo e importanza alla dignità - sia nel regolare le relazioni tra gli uomini, sia nel fare da perno valoriale intorno al quale costruire la personalità individuale - è anche vero che onore e dignità convivono ancora oggi all’interno della stessa società. Non essendo sinonimi ma concetti in qualche modo affini proviamo a definirli per contrasto, l’uno rispetto all’altro. L’onore rimanda ad una società strutturata in classi o, all’interno di una società più vasta, a determinati gruppi sociali. I valori intorno ai quali si conforma il senso dell’onore di un dato individuo sono proprio quelli della classe o del gruppo sociale al quale appartiene. Quindi l’onore assume un particolare rilievo nelle società fortemente gerarchizzate, dove l’appartenenza ad una classe determina, quasi di per sé, l’assunzione dei suoi propri valori. Infatti per Montesquieu (Lo spirito delle leggi) l’onore è una componente importante del sistema monarchico. E nei sistemi monarchici sono gli aristocratici quelli ai quali è dovuto maggiore rispetto e ai quali è riconosciuto più onore per una sorta di posizionamento sociale. Di converso venir meno a quei valori determina il disonore e il disprezzo sociale. Pertanto l’onore è fortemente legato al potere e funge anche da forte elemento di stabilità e di conservazione dell’ordine sociale. La dignità, al contrario, rimanda ad una società democratica nella quale, dal punto di vista formale, tutti i cittadini sono uguali e a tutti vanno riconosciuti gli stessi diritti fondamentali. Non è irrilevante far notare come nella Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo del 1948 si riconosce a ogni individuo la possibilità di realizzare i diritti economici, sociali e culturali “indispensabili alla sua dignità e al libero sviluppo della sua personalità”. Anche la Costituzione italiana, all’articolo 3, fa espressamente riferimento al concetto di dignità. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Pertanto la dignità appartiene ad ogni singola persona semplicemente in quanto essere umano, indipendentemente da ogni qualsiasi tipo di distinzione. Quindi se all’onore, al suo mantenimento, era essenziale il riconoscimento esplicito dei membri della società, alla dignità tale riconoscimento non risulta essenziale, in quanto “concessa” di diritto, potremmo dire “a priori” . Questa natura universalistica della dignità comporta anche un’importante conseguenza. Ogni individuo, una volta che vede rispettate le condizioni oggettive che la tutelano, vive il suo bisogno di dignità soprattutto all’interno della sua sfera interiore. E’ soprattutto nella interrogazione con se stesso, con le proprie azioni, che ogni essere umano misura il suo livello di dignità. Questa natura ambivalente della dignità è ben presente in un recente saggio di Nicola Casaburi, Il cammino della dignità. (1) L’ autore individua due profili della dignità: un profilo passivo, dotale, e un profilo attivo, legato al comportamento. Nel profilo passivo, la dignità consiste nel diritto di ognuno al rispetto della propria libertà e, più in generale, della propria persona. Nel suo profilo attivo è l’esercizio delle virtù personali (saggezza, giustizia, forza, temperanza) a difesa della libertà e dei diritti propri e altrui. Se il profilo passivo si configura come un diritto, quello attivo come un dovere. Ritorneremo, alla fine di questo scritto, su come vengono declinati, in concreto,oggi, nella nostra società, i concetti di onore e dignità. Prima sarà interessante compiere un breve excursus storico attraverso le più significative tappe del loro divenire. Nelle civiltà antiche, fino a quella romana, l’onore veniva collegato soprattutto alle virtù guerriere: in particolare fedeltà, lealtà, forza e coraggio. Una figura fortemente emblematica, che incarna bene quei valori ed il rispetto che ne consegue, può essere individuata nel personaggio del generale romano Massimo Decimo Meridio del celebre film di Ridley Scott, Il gladiatore. Nel Medio Evo l’onore è quasi esclusiva prerogativa della classe nobiliare, in particolare dei cavalieri. Alle virtù guerriere classiche si aggiungono la difesa dei più deboli: la donna in particolare; alla quale venivano dedicate le gloriose imprese in battaglia e alla quale ci si ispirava come fonte dell’amor cortese. Anche in questo caso è facile individuare una figura emblematica: Lancillotto del Lago, uno dei cavalieri della tavola rotonda del ciclo arturiano. Con l’affacciarsi dell’età moderna, l’epoca eroica dei cavalieri e delle dame, celebrata nelle opere del Tasso e dell’Ariosto, volge al declino, come, con tenera ironia, mette in luce il Cervantes. Nei tre secoli che precedono la Rivoluzione francese l’onore rivendicato dal ceto nobiliare ha perso del tutto il legame con la realtà che ne aveva determinato i valori e diventa soprattutto pura ostentazione, al fine di preservare il suo dominio sociale. Il puntiglio, la vanagloria, il disprezzo per chi nobile non è diventano, in larga misura, i comportamenti distintivi di quella classe sociale. Il personaggio romanzesco che bene incarna questi atteggiamenti è il Don Rodrigo dei Promessi Sposi. La Rivoluzione francese segna plasticamente la frattura tra il mondo dell’ancien regime, di cui il senso dell’onore costituiva un’importante impalcatura ideologica, e la civiltà moderna, con il valore della dignità che si porta dietro. A dire il vero, nel mondo della cultura, i segnali di questo passaggio di consegne c’erano già da tempo. Già verso la fine del XV secolo, l’umanista Pico della Mirandola, ne Il discorso sulla dignità dell’uomo, afferma che la dignità è un bene concesso da Dio a tutti gli uomini perché diretta derivazione della libertà di cui ci ha fatto dono. L’uomo, per Pico, è l’unico, tra gli esseri viventi, a non essere determinato e la sua grandezza sta proprio nella sua libera volontà di agire per il bene o per il male. Kant chiude il cerchio che racchiude il moderno concetto di dignità, affiancandogli ai valori tradizionali della libertà e dell’uguaglianza (legato alla comune razionalità) quello nuovo della fratellanza (2). “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo” : è la formulazione dell’imperativo categorico contenuta nella Fondazione della metafisica dei costumi e che bene esplicita il pensiero del grande filosofo tedesco. Rousseau attacca frontalmente la cultura dell’onore, attribuendole molti dei mali dell’uomo contro gli altri uomini, ivi incluse “guerre nazionali, battaglie, uccisioni, rappresaglie” e identifica in “orribili pregiudizi” l’origine dell’interpretazione dell’onore guerriero come una virtù. Senza giungere a posizioni così estreme, anche l’illuminismo tedesco e Arthur Schopenhauer (3) partecipano a questo riorientamento verso il primato della dignità sull’onore. In questo contesto l’onore, in quanto contingente e dipendente da azioni concrete, si presenta come inferiore, non solo moralmente ma anche ontologicamente, alla dignità; la quale non si giustifica per azioni esteriori ma viene attribuita in virtù della pura appartenenza al genere umano. Schopenhauer, inoltre, distingue vari tipi di onore e, tra questi, è interessante notare, annovera anche quello sessuale. Egli distingue tra onore sessuale femminile e maschile. Sulla scia di un sentire vecchio di secoli egli considera l’onore sessuale femminile come l’aspetto più essenziale della vita della donna nella sua relazione con l’uomo. In particolare è visto come purezza della ragazza e come fedeltà della moglie. Quello maschile, invece, non solo viene identificato nella fedeltà coniugale, ma anche nella punizione alla consorte infedele. Da un punto di vista generale, il filosofo di Danzica vede, in tutti i diversi tipi di onore, un limite evidente che risiede nel fatto che la stima che ne deriva arriva soltanto in maniera indiretta, tramite la mediazione degli altri, e non in seguito a ciò che ciascuno sa di essere in sé e per sé. Il prevalere della dignità sull’onore, che caratterizza la società moderna, è sicuramente anche in relazione all’affermarsi di un’economia monetaria capitalista. In questo tipo di società la supremazia è legata al possesso del denaro e dello status corrispondente, che, in linea generale, è slegato dalle qualità personali specifiche e mal si concilia con la presenza di ranghi e preminenze che caratterizzano una moralità che fa riferimento al senso dell’onore. Inoltre, in un’economia di mercato, la necessità di un continuo incremento della produzione, richiede una sempre più forte atomizzazione delle relazioni sociali, fino ad ottenere che il singolo individuo funga come unità di base del consumo. Questa forte spinta all’individualismo sposa bene una moralità centrata su di un valore così fortemente interiorizzato come la dignità piuttosto che su di un valore come l’onore che presenta tante interferenze d’ordine sociale. Ma nonostante ceda terreno alla dignità come valore fondante la moralità della società contemporanea, l’onore continua ad avere un suo ruolo. Un ruolo ancora importante e significativo se inteso come bisogno insopprimibile dell’essere umano ad essere rispettato dai propri simili. Un bisogno che trae la sua origine antropologica nella atavica condizione di dipendenza di ogni singolo uomo dalla convivenza con altri uomini. E che fa del bisogno di onore-rispetto una esigenza riscontrabile in ogni tempo e in ogni civiltà. Ciò che cambia da cultura a cultura sono i parametri, e cioè i comportamenti concreti che occorre mettere in atto per essere rispettati o per rispettare gli altri. I cosiddetti codici d’onore. Anche il diritto penale prevede alcuni reati (diffamazione e oltraggio) che derivano dal danno privato arrecato all’onore della vittima. Un discorso a parte merita l’onore di genere, meglio conosciuto come onore sessuale, di cui si è già fatto cenno e che sopravvive ancora oggi in varie forme. In Italia, fino al 5 agosto 1981, il Codice penale prevedeva che l’assassinio di una donna sposata colta in flagrante potesse essere punito con una sentenza più lieve, dai tre ai sette anni di carcere, a fronte dei 21 anni previste per le altre tipologie di omicidio. Questa “Indulgenza” derivava dal riconoscimento di un’attenuante, per aver commesso il fatto in preda all’ira derivante dall’oltraggio all’onore proprio o della propria famiglia. Sempre fino alla stessa data lo stupro di una donna nubile da parte di un celibe era ritenuto non perseguibile nell’eventualità che la donna acconsentisse a sposare il proprio violentatore, il cosiddetto matrimonio riparatore dell’onore “perduto” della ragazza. Il delitto d’onore, eliminato dal codice penale, sopravvive ancora oggi, in Europa, come pratica sociale, a seguito dei grandi processi migratori. Molte famiglie di immigrati provengono da territori dove vigono leggi o costumi che impongono, per pressione sociale, il delitto d’onore: l’omicidio da parte della stessa famiglia di quella donna che non ha voluto o non è riuscita a mantenere un comportamento consono al suo ruolo femminile. Il concetto di onore sessuale, anche quando non da luogo alle conseguenze più drammatiche, ancora oggi resta una presenza importante nella vita sociale. Permane la cosiddetta vergogna dei “cornuti”, ovvero degli uomini traditi dalla propria moglie, ed anche la donna tradita dal marito viene vista non solo con pietà ma anche con un certo disprezzo. In letteratura le ipocrisie, le meschinità e le assurdità legate a questo distorto senso dell’onore sessuale, sono mirabilmente rappresentate da Luigi Pirandello. Le opere centrate su questa tema, intrise di ironia e di amaro umorismo, sono il romanzo L’esclusa, la commedia Il berretto a sonagli e le novelle La verità e Certi obblighi. Particolari peculiarità assume il senso dell’onore all’interno di determinate cerchie di persone che si distinguono, dal resto della collettività, per il reciproco riconoscimento di una specifica identità sociale. Basti pensare ai rigidi codici d’onore che regolano la vita dei college, delle università e delle accademie militari, soprattutto di ambito anglo-americano. Codici d’onore ancor più rigidi e di un genere del tutto diverso contraddistinguono alcune organizzazioni criminali e molte gang giovanili. Questo aspetto del problema meriterebbe un discorso molto più approfondito. Qui ci limitiamo a notare come un distorto ma forte senso dell’onore può essere presente in grandi organizzazioni criminali come la mafia o la ‘ndrangheta. La distorsione, e non è pleonastico farlo presente, sta nel fatto che il fine di queste organizzazioni è l’illecito arricchimento, ottenuto con ogni mezzo, a danno della collettività. Ma, spesso, al loro interno, tra gli adepti, vige un forte sentimento di identità (che può “affascinare” giovani privi di un forte radicamento sociale, familiare o culturale) che, come sosteneva Giovanni Falcone, rafforza il senso di appartenenza e la fedeltà a valori fondamentali come la dignità, il rispetto, l’onore, la solidarietà. Lungi dall’essere motivo di ammirazione, l’eventuale sussistere di valori tradizionali in queste organizzazioni, deve interrogarci sulle ipocrisie e sull’aridità umana che caratterizza, oggi, tante relazioni interpersonali e che può indurre tanti ragazzi, insieme alla mancanza di lavoro, a scegliere una strada sbagliata. Si è più volte affermato come la dignità sia riconosciuta come un diritto di tutti gli esseri umani; diritto alla libertà e alla integrità della propria persona. A questa declinazione “passiva” del concetto, se ne affianca una attiva che deriva dall’esercizio di un comportamento ritenuto virtuoso. Tra queste virtù, saggezza, giustizia, forza, temperanza, le virtù tradizionalmente riconosciute, la temperanza, in una versione molto moderna, assume una ruolo preminente. Temperanza oggi assume sempre più il significato di un atteggiamento, un comportamento contrassegnati da forme di autocontrollo. Autocontrollo che implica trattenere e dominare la propria impulsività, la propria emotività, evitando, così, di creare situazioni imbarazzanti, di disagio agli altri. Sopportare con “dignità” le avversità della vita: la sofferenza, la malattia, la solitudine, la precarietà della propria condizione sociale sono i tratti distintivi di una persona dignitosa. Ora, nessuno può disconoscere che questi aspetti della personalità inducano al rispetto e meritino rispetto, ma viene anche il dubbio che, come il vecchio senso dell’onore era anche strumentale al mantenimento dell’ordine sociale, anche questa nuova versione della dignità possa servire a questo scopo. Nel senso che dando grande valore a questa specie di privatizzazione del “brutto” dell’esistenza, si inducano stili di vita votati all’individualismo, ad un disimpegno sentimentale verso tutto ciò che si agita nella realtà sociale, con la conseguenza dell’inaridirsi delle energie necessarie per il suo cambiamento. Note 1) Nicola Casaburi, Il cammino della dignità, Ediesse, 2015 2) Casaburi, op. cit. 3) Arthur Schopenhauer, L’arte di farsi rispettare esposte in 14 massime, Adelphi, 1998 Bibliografia Franco Cardini, Onore, Il Mulino, 2016 Lucien Febre, Onore e patria, Donzelli, 1997 Attilio Bolzoni, Parole d’onore, BUR, 2008 Francesca Rigotti, L’onore degli onesti, Elementi Feltrinelli, 1998 Harald Weinrich, Metafora e menzogna: la serenità dell’arte, Il Mulino, 1983 (un paragrafo dal titolo: Mitologia dell’onore, si trova in formato pdf) Kwame Anthony Appiah, Il codice d’onore. Come cambia la morale, Raffaello Cortina, 2011 Nicola Casaburi, Il cammino della dignità, Ediesse, 2015 Robert Spaemann, Tre lezioni sulla dignità umana, Lindau, 2011