Un team di medici specialisti contro il tumore al seno Interviste ai Responsabili del Gruppo Interdisciplinare di Diagnosi e Cura dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona Guidalberto Fabris Coordinatore Breast Unit e Direttore Anatomia e Istologia Patologica Un team multidisciplinare, elevate competenze e attenzione alla persona: i punti di forza dell’Ospedale nella lotta al tumore al seno L’Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona è una struttura in grado di offrire alle pazienti un’assistenza completa che va dalla diagnosi alla cura. Esiste un percorso diagnostico-terapeutico standard adottato all’interno del Gruppo Interdisciplinare di Diagnosi e Cura dei Tumori della Mammella? È un percorso codificato? Il 5 febbraio 2003 è la data di nascita del Gruppo Funzionale Interdisciplinare a cui è stato assegnato il compito di dedicarsi esclusivamente alla patologia mammaria. Da allora, diverse competenze specialistiche (radiologi, citologi, patologi, oncologi, chirurghi, radioterapisti, cui possono associarsi medici nucleari, fisioterapisti, psicologi o altri specialisti) hanno iniziato a lavorare a stretto contatto per garantire alla paziente il miglior trattamento terapeutico e di supporto. In accordo con altre esperienze, il Gruppo ha potuto verificare il contributo insostituibile della discussione collegiale del singolo caso, per la ricerca della migliore strategia terapeutica e della consapevole accettazione della paziente. In sostanza, il confronto tra le diverse competenze porta alla identificazione di percorsi condivisi, adeguati alle caratteristiche della malattia e delle condizioni cliniche generali della paziente. Il Gruppo Interdisciplinare di Diagnosi e Cura dei Tumori della Mammella è un gruppo funzionale che attua un modello clinico-organizzativo di assistenza senologica basato su una gestione diagnostico-terapeutica multidisciplinare e multiprofessionale. Quali sono gli obiettivi? Già nel Protocollo clinico-organizzativo, elaborato dal gruppo nel 2005, l’obiettivo irrinunciabile era, di fatto, costituito dal miglioramento continuo ottenuto attraverso il costante aggiornamento professionale e la verifica del livello assistenziale raggiunto. Strumenti altrettanto efficaci si sono dimostrati la ricerca e l’insegnamento perché favoriscono gli approfondimenti del confronto collegiale e la valenza delle decisioni condivise. Tuttavia, Il patrimonio di conoscenze e competenze acquisite non si applica solo nella cura della malattia, ma si realizza compiutamente nel prendersi cura anche della persona con ogni supporto specialistico e l’auspicabile collaborazione delle associazioni di volontariato, perché niente è più incoraggiante per il malato che incontrare altre persone che hanno vissuto la stessa esperienza. Nicola Battelli Clinica di Oncologia Medica Gli anticorpi monoclonali: farmaci ‘intelligenti’ che colpiscono un bersaglio molecolare Il tumore della mammella è ancora oggi la prima causa di morte nelle donne sotto i 55 anni di età. In Italia sono 40.000 le nuove diagnosi ogni anno e 11.000 i decessi: qual è il profilo epidemiologico del tumore alla mammella nelle Marche? Nella regione Marche sono oltre 1.000 le donne che ogni anno sono colpite dal tumore alla mammella, con un numero di casi in età giovanile sempre maggiore, addirittura in alcuni casi sotto i 30 anni. Per fortuna a questa maggiore incidenza non è corrisposto un incremento della mortalità: al contrario, la sopravvivenza è di gran lunga aumentata, grazie alla diagnosi precoce e all’impiego di farmaci sempre più mirati. Facciamo un po’ di numeri: quante pazienti ogni anno sono seguite nella vostra Azienda Ospedaliera nel loro percorso di cura? Il Gruppo Interdisciplinare di Diagnosi e Cura dei Tumori della Mammella, di cui fa parte anche la Clinica di Oncologia Medica, segue in media un numero di circa 400 nuove pazienti l’anno con diagnosi di neoplasia mammaria. Di queste, circa 120 iniziano un trattamento chemioterapico, o terapie target o di supporto, e vengono quindi gestite a livello di Day Hospital. Una piccola parte delle 400 pazienti si reca invece ad Ancona prima dell’intervento chirurgico, per il trattamento neo-adiuvante, il trattamento medico che deve precedere l’intervento chirurgico per agevolare l’opera del chirurgo. Altra parte delle pazienti, circa il 34%, si rivolge a noi quando presenta già delle metastasi. Sono invece 280 circa le nuove pazienti gestite annualmente presso gli ambulatori e trattate con terapie ormonali o con solo follow-up. Negli ultimi anni l’incidenza del tumore al seno è aumentata perché oggi si identificano un sempre maggior numero di tumori allo stadio iniziale. Al contempo è diminuita la mortalità, grazie alla diagnosi precoce e a terapie sempre più mirate. Come è cambiata la prognosi per le donne colpite dalla malattia con l’avvento di nuovi farmaci come gli anticorpi monoclonali, di cui fa parte trastuzumab? Non si può parlare di un unico tumore della mammella: esistono diverse tipologie. Tra le forme più aggressive, l’HER2 positivo. L’anticorpo monoclonale trastuzumab è in grado di bloccare le cellule con iperespressione del recettore HER2, presente mediamente nel 25% dei casi di tumore alla mammella. Questo farmaco, associato alla chemioterapia, è in grado di aumentare le possibilità di guarigione della paziente operata di neoplasia mammaria. È un farmaco tollerato molto bene, con un’eccezionale risposta. Si può somministrare sia nella fase post-intervento chirurgico (terapia adiuvante) sia come terapia neo adiuvante cioè nei tumori localmente avanzati quando il chirurgo non può ancora operare perché il tumore è troppo esteso. Trastuzumab può essere associato, oltre che alla chemioterapia, anche alla terapia ormonale nelle fasi di malattia avanzata, quando le metastasi sono diffuse, aumentando la sopravvivenza rispetto alla sola terapia ormonale o rispetto alla sola chemioterapia. Gian Marco Giuseppetti Direttore Clinica di Radiologia La diagnostica senologica di Ancona: tra tradizione ed innovazione La diagnosi precoce è oggi il miglior alleato contro il tumore al seno: diagnosticare un tumore della mammella inferiore a 1 cm aumenta le possibilità di cura e le probabilità di guarigione. Quanto contribuisce la diagnostica per immagini alla diagnosi precoce? I dati ci dimostrano che il decremento del tasso di mortalità del carcinoma mammario è dovuto per il 20% alla terapia medica, per il 30% alla chirurgia e per il 50% alla diagnosi precoce. La diagnostica per immagini ha ridotto moltissimo la mortalità del carcinoma mammario perché si sono diagnosticati un maggior numero di tumori ed in uno stadio più precoce. Molte donne si avvicinano infatti alla diagnostica per immagini in tempi pre-clinici, quando il tumore è in fase iniziale e quindi a migliore prognosi. Quali sono le tecniche più utilizzate? Ci sono esempi di tecniche all’avanguardia? Ancona ha una grande tradizione di diagnostica senologica: qui è stato infatti arrivato nel 1967 il secondo mammografo d’Italia. Oggi la novità più grande della diagnosi precoce è sicuramente la mammografia digitale, che garantisce un’accuratezza e una definizione di immagine superiore all’analogico. Tra i vantaggi della mammografia digitale c’è la possibilità di fare la tomosintesi, che è una sorta di stratigrafia. Anche dal punto di vista ecografico i macchinari utilizzati non forniscono più solo la presentazione ecografia della mammella, ma permettono di analizzare il flusso sanguigno che affluisce al nodulo e valutare l’elasticità delle lesioni, aspetti importanti nella definizione della diagnosi. Presso l’ospedale di Torrette sono effettuate ogni anno circa 13.000 mammografie, 7-8.000 ecografie mammarie, oltre 2.000 prelievi citologici e microistologici della mammella, quasi 1.000 risonanze magnetiche della mammella. Il 40% delle prestazioni è erogato a pazienti fuori provincia, e circa un 10% a pazienti fuori regione. Il nostro protocollo operativo si prefigge la gestione diagnostica globale del singolo caso prescindendo dalla specifica richiesta medica ma agendo secondo protocolli codificati e validati finalizzati alla presa in carico del soggetto. Alfredo Santinelli Anatomia e Istologia Patologica La tipizzazione istologica del tumore al seno per individuare il corretto percorso terapeutico Può spiegarci qual è il ruolo dell’anatomo-patologo nel percorso diagnostico che vede coinvolti diversi specialisti? Il ruolo del patologo è duplice: il primo, nella fase di approfondimento diagnostico, è quello di valutare accuratamente la morfologia della lesione, attraverso un agoaspirato citologico o una biopsia istologica, per un giudizio di benignità o malignità. Il secondo ruolo è nella fase post-chirurgica, quando sul campione chirurgico il patologo formula una diagnosi dettagliata della lesione, specificandone tutte le caratteristiche, fondamentali per il proseguimento della terapia oncologica. Un aspetto fondamentale di questo secondo momento è l’esame del linfonodo sentinella. Nel nostro Istituto il linfonodo sentinella è sottoposto a valutazione anatomo-patologica definitiva completa, mediante lo studio microscopico di numerose sezioni fino all’esaurimento del tessuto, applicando il metodo descritto ed adottato dall’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano che, dai dati pubblicati in letteratura, è quello che garantisce una minore percentuale di falsi negativi (1-2%) in termini di predittività dello stato degli altri linfonodi ascellari. La corretta tipizzazione del tumore a livello molecolare è fondamentale per definire poi un percorso terapeutico mirato: ne è un esempio il tumore HER2 positivo, la forma ritenuta più aggressiva. Per quali motivi? Il tumore HER2 positivo è molto aggressivo perché evidenzia un’iperespressione del proto-oncogene HER2, che fa parte della famiglia dei recettori per i fattori di crescita epiteliali, fondamentali per la stimolazione della proliferazione cellulare e della metastatizzazione e per l’inibizione della morte cellulare programmata o “apoptosi”. Pur essendo molto aggressiva, la neoplasia HER2 positiva può essere trattata con una terapia mirata, l’anticorpo monoclonale trastuzumab, che blocca i recettori di membrana e fa sì che queste cellule siano più vulnerabili all’azione della chemioterapia. Possiamo dunque aggredire il tumore in maniera mirata, con minor danno per le altre cellule del corpo. Nell’ambito della valutazione dell’iper-espressione del recettore HER2, l’Anatomia Patologica di Ancona è centro di riferimento regionale: un fiore all’occhiello per la sanità marchigiana. Ce ne può parlare? Nella regione Marche ci sono quattro anatomie patologiche, compresa quella di Ancona, in grado di evidenziare l’iper-espressione della proteina HER2, mediante metodiche immunoistochimiche. Nei casi in cui questa positività immunoistochimica è di basso livello (i cosiddetti casi borderline) i protocolli internazionali indicano la valutazione di secondo livello che si avvale della tecnica FISH, una metodica di biologia molecolare che nella regione Marche è attiva soltanto presso l’Anatomia Patologica dell’Università Politecnica delle Marche con sede ad Ancona. La centralizzazione di questa delicata metodica in una struttura come la nostra, in cui opera personale con elevata esperienza professionale in tale settore, garantisce ai pazienti di tutta la regione la massima standardizzazione della tecnica e l’eccellenza del dato fornito. Ad ulteriore conferma di ciò, l’Anatomia Patologica di Ancona partecipa ad un Controllo di Qualità del dato fornito, che comprende 12 centri di Anatomia Patologica del centro-nord Italia con elevata esperienza in tale settore. Riccardo Celerino, Raffaella Bracci Centro Regionale Genetica Oncologica Quando il tumore è scritto nel DNA Qual è il ruolo del Centro Regionale di Genetica Oncologica? Di quali neoplasie si occupa? Il Centro Regionale di Genetica Oncologica è l’unico ad occuparsi, in tutta la regione Marche, delle neoplasie eredo-familiari ed è centro di riferimento anche per alcune regioni vicine. Il suo ruolo principale è quello di collaborare con le diverse unità operative di Oncologia medica della regione per identificare i pazienti in cui il tumore potrebbe essere di origine genetica. Dopo un primo screening da parte dei medici operanti nelle Oncologie mediche, laddove vi siano motivi di sospetta origine genetica, viene contattato il centro di Genetica Oncologica. Nella seconda fase viene ricostruito con precisione l’albero genealogico del paziente per la valutazione dell’esistenza di elementi di familiarità. Successivamente, su autorizzazione del paziente, si procede all’esame genetico e se ne discutono i risultati, positivi o negativi. Il centro di Genetica Oncologica si occupa principalmente delle neoplasie legate ai difetti di BRCA1 e BRCA2 (BReast CAncer 1 e 2) che riguardano i tumori della mammella e dell’ovaio e, marginalmente, i tumori del pancreas e il melanoma. Circa il 5-10% di tutti i tumori mammari è legata a difetti di uno di questi geni. I soggetti che sono portatori di un difetto (mutazione) di questi geni hanno un rischio di ammalarsi di tumore della mammella pari al 50-80% e hanno il 50% di probabilità di trasmettere il gene alterato ai figli. L’altro grande capitolo di interesse del Centro riguarda i tumori ereditari del colon e di altri organi collegati allo stesso tipo di mutazioni. Negli ultimi anni sono stati isolati i due geni BRCA1 e BRCA2 le cui mutazioni predispongono all’insorgenza di tumori alla mammella e all’ovaio. Con un semplice prelievo di sangue è possibile studiare la sequenza del DNA e valutare se siano presenti queste mutazioni. A chi è consigliato questo esame? Da un semplice prelievo di sangue è possibile definire la sequenza del DNA e valutare se siano presenti mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 trasmissibili ai figli (presenti, cioè, nella “linea germinale”). Lo studio viene fatto partendo da un soggetto della famiglia che si è già ammalato e solo successivamente sui familiari sani. Ovviamente è necessario che il paziente dia il consenso allo studio del suo DNA e, in caso di positività, ad ampliare lo studio ai familiari i quali, a loro volta, devono confermare il loro interesse. Il test è particolarmente complesso e lungo (occorrono molti mesi per completare lo studio) ed è gratuito nei soggetti che ne hanno indicazione, basta una semplice impegnativa del medico curante. Va ricordato che, se in una famiglia si ripetono con particolare frequenza certi tipi di tumore, è bene rivolgersi ad un oncologo per valutare se esiste il rischio di ereditarietà della malattia e per attuare campagne mirate di diagnosi precoce. Carlo Mariotti Responsabile Chirurgia Senologica Curare e conservare: l’obiettivo della chirurgia senologica Oggi, fortunatamente, la diagnosi precoce consente di intervenire chirurgicamente su tumori di piccole dimensioni. Come è cambiato in questo senso l’approccio chirurgico? L’affinamento delle tecniche di imaging diagnostico e la sensibilizzazione delle donne al problema senologico, hanno portato al riscontro di tumori mammari sempre più piccoli, molto spesso anche non palpabili (cioè individuabili solo con ecografia, mammografia o RM) che hanno guaribilità vicina al 90% e che creano spesso al chirurgo problemi di individuazione nel momento operatorio. L’approccio chirurgico è pertanto necessariamente “guidato” da uno strumento radiologico (mammografia, ecografia) che consente di identificare la lesione. Ultimamente la tecnica più moderna ed affidabile è la tecnica che utilizza radioisotopi per centrare preoperatoriamente in guida ecografica o stereotassica mammografica questi piccoli tumori; nel corso dell’intervento una sonda per radiochirurgia guiderà la mano del chirurgo fino a raggiungere la lesione bersaglio. Tra tutti gli interventi eseguiti per neoplasia maligna nell’Azienda Ospedaliera, quale è la percentuale di interventi di chirurgia conservativa ovvero di interventi di quadrantectomia? In quasi l’85 % dei casi viene eseguito un approccio chirurgico conservativo: oggi lo standard del trattamento chirurgico del tumore mammario è quasi sempre la quadrantectomia con lo studio della stato linfonodale ascellare, che viene realizzato con la metodica della biopsia del solo linfonodo sentinella. Negli interventi in cui non si possa procedere con un intervento conservativo e si debba ricorrere ad un intervento demolitivo, vengono utilizzate tecniche chirurgiche innovative (mastectomie conservative) in cui viene eseguita l’asportazione della mammella con il risparmio della cute, dell’areola e del capezzolo, realizzando contestualmente una ricostruzione protesica, con un risultato cosmetico e funzionale di livello eccellente, come giudicato dalle nostre pazienti. Letizia Fabbietti Unità Operativa di Radioterapia La radioterapia per ridurre le recidive In quali casi si ricorre alla radioterapia? E quali sono i vantaggi in termini terapeutici? La radioterapia è un metodo di cura che impiega l’uso di radiazioni ad alta energia (fotoni ed elettroni). Ha un ruolo fondamentale nel trattamento del cancro della mammella in stadio iniziale; l’associazione tra chirurgia e radioterapia costituisce lo standard nel trattamento conservativo della mammella con una probabilità di recidiva locale a 5 anni del 4-8% e una mortalità pari a quella delle pazienti sottoposte a mastectomia. L’obiettivo principale della radioterapia è ridurre le recidive locali, che possono essere legate a residui di neoplasia dopo intervento chirurgico o ad altri foci che possono essere microscopici e non visibili. La percentuale maggiore di recidive locali è attorno al letto operatorio per cui oggi si stanno sperimentando nuove tecniche di radioterapia. Ridurre le recidive locali significa limitare l’espansione verso l’esterno riducendo così le possibilità di metastatizzazione. Gli effetti collaterali della radioterapia sono oggi molto modesti. Quali sono quelli più frequenti? Gli effetti collaterali si distinguono in acuti e cronici; tra gli acuti, vanno citati l’arrossamento della cute e l’edema della mammella, che si risolvono nell’arco di 2-3 settimane. Gli effetti collaterali cronici non sono invece prevedibili perché sono dovuti a più fattori, in parte alle caratteristiche delle pazienti (obesità, diabete, ipertensione, maggiore sensibilità alla radioterapia) e sono comunque generalmente collegati ad una fibrosi; nei casi di intervento chirurgico ascellare ampiamente demolitivo, si può anche avere come conseguenza un linfedema. Gli effetti collaterali più seri, come la fibrosi polmonare o l’ischemia cardiaca, sono oggi molto rari grazie ad una radioterapia più mirata che risparmia cuore e polmoni. Lucia Emanuela Svarca Psicologa Clinica di Oncologia Medica Il supporto psicologico: cardine fondamentale del percorso terapeutico per le pazienti e i loro familiari Qual è il ruolo dello psicologo nel percorso diagnostico-terapeutico che affronta una paziente colpita dal tumore alla mammella? La figura dello psiconcologo all’interno dell’equipe è importante perché si fa carico dell’assetto psicologico della paziente, che improvvisamente si trova proiettata in una realtà completamente diversa. Il ruolo dello psicologo cambia a seconda della fase del percorso che la donna si trova a vivere: dalla diagnosi, alla cura e al postmalattia. Una volta superata l’ansia della diagnosi e dell’intervento chirurgico, le donne devono affrontare un iter difficile (chemioterapia, radioterapia, ormonoterapia) e in tutto questo percorso è importante che riescano ad esternare tutte le loro paure, per poter mettere in gioco tutte le loro risorse. È fondamentale che mantengano un pensiero positivo e che continuino la loro vita, senza sentirsi sole, ma con l’opportunità di condividere con un professionista i propri vissuti emotivi. Lo psicologo è anche a disposizione per supportare i familiari della paziente, e creare così attorno alla donna una solida rete di aiuto. Una diagnosi di tumore alla mammella, oltre ad incidere dal punto di vista clinico, comporta particolari conseguenze anche sull’immagine corporea. Che aiuto arriva dalla psiconcologia? L’immagine corporea è messa a dura prova da questo tipo di esperienza: riconoscere le cicatrici come parte di noi, accettare la perdita di capelli, sono solo degli esempi di esperienze che le donne si trovano a vivere. Queste donne si trovano a dover fare i conti con se stesse e con il proprio corpo, ma anche con la società, come mogli, come madri, come lavoratrici, con i colleghi e in tutti gli altri aspetti della vita sociale. Lo psicologo le aiuta lentamente a ritrovare un equilibrio, a gestire giorno dopo giorno i cambiamenti fisici, a riscoprire una nuova femminilità e a riconquistare gradualmente l’immagine corporea.