Un frammento di cosmogonia. La vita silente della terra Di Emanuele Beluffi Foss'anche menomamente vanesio, Mario Branca difetterebbe dei connotati cari all'antropologia dell'artista: la sua opera non mette in mostra tanto il sé, quanto piuttosto il soffio di una potenza creatrice. Della quale egli è strumento consapevole. Come un carpentiere, umano, con tutti i peccati di un essere umano, il Branca realizza con metodo cantieristico questo orto tenuto da Dio, teatro di verzura ove la plasticità arborea, anteriore all'influsso umano, ancor prima della grazia e della bellezza, è già vita. Dando forma e sostanza al significato letterale dell'espressione con cui inglesi e tedeschi denotano la nostra miserrima natura morta: still life e stillleben rispettivamente. Vale a dire la poeticissima vita silente. Non ce ne vogliano né i puristi né i devoti ma il Branca, realizzando questa sorta di Eden lombardo/emiliano, replica l'esperienza della creazione. Egli è un creatore che rende visibile ciòche-vi-è, non attraverso la ricostruzione della realtà ma ribadendo la creazione. Cercando di dare applicazione sensibile alla meraviglia dell'esistenza. E' lo stupore che vi sia qualcosa piuttosto che nulla. Semi, germogli, fiori: la creazione prima dell'uomo. Mario Branca mette dunque in forma un frammento di cosmogonia, le origini del mondo sul limitare della storia dell'umanità fissate nel libro della Genesi dalle parole dell'Onnipotente: "Dio disse ancora: «Produca la terra erbe, piante, che facciano semi e alberi fruttiferi che diano frutti secondo la loro specie e che abbiano in sé la propria semenza sopra la terra». E così fu. Quindi la terra produsse erbe, piante, che fanno seme secondo la loro specie, alberi che danno frutti secondo la loro specie e che hanno in sé la propria semenza. E Iddio vide che ciò era buono [...]" (Genesi, 1.11) L'universo vive per l'onnipotenza di Dio e nulla v'è, uomini, animali e piante, che non Gli sia debitore della propria esistenza. Ma perché il tributo cosmogonico del Branca si sofferma sull'ornamento della Terra, a un passo dall'inizio della storia umana? Il suo lavoro prescinde da noi e dunque dall'artefice stesso, testimoniando altresì in certo senso la liberazione dagli oggetti. Esso si concentra sull'introduzione all'origine del mondo, quando tutto è in via di apparizione. Prima che l'Uomo commetta il peccato...epistemico di prendere dall'albero proibito della conoscenza, niziando così il suo dominio -e la sua sofferenza -sulla terra. Mario Branca sviluppa per questo una sorta di mitologema dell'innocenza, volgendo lo sguardo alla purezza del giardino di Eden anteriore al peccato originale. Si potrebbe indugiare sulle conseguenze filosofiche di questo atto di ribellione dell'uomo a Dio, affrontando le nodose questioni su libero arbitrio e autonomia della conoscenza. Ma andremmo fuori tema. Perché il Branca, con queste realizzazioni che serbano in sé l'atmosfericità del fiabesco, intende volgere un tributo all'ineffabilità della creazione, quando ancora favella umana non la toccò. Egli arriva prima. Prima dell'uomo, prima degli oggetti. Ricreando la germinazione dell'Eden all'insegna del filosofico stupore per ciò-che-vi-è. Un lavoro molto immaginativo, proteso a render visibile ciò che eccede la visione immediata. Non, dunque, la raffigurazione di ciò che si offre allo sguardo, ma la sua resa alla visibilità non più sopita dell'occhio "ingenuo". Che, dall'orizzonte delle sovrastrutture umane posteriori alla creazione, si riorienta in direzione della contemplazione dell'intima essenza del mondo. Mitologema dell'innocenza epistemica, appunto. Sorta di rapporto empatico con la cosmogonia, esperienza vissuta non semplicemente mimando la realtà ma ribadendo la creazione. Insomma, se dicessimo che il Branca replica il disegno divino saremmo superbi e finiremmo, insieme a lui, col tener compagnia alle anime proterve nel Purgatorio dantesco. Sempre soppesando le nostre parole, possiamo dunque affermare che anche l'opera del Branca è la materializzazione di un disegno. Le sue sculture prendono forma da un progetto preliminare che progressivamente si realizza nello spazio, attraverso la lavorazione del rame con martello e cesoie. E' un afferrar la forma, nel senso fisico dell'espressione, con le mani e gli strumenti di lavoro. Se ci limitiamo alla finitezza umana e lo consideriamo alla stregua d'un carpentiere che ricostruisce il concetto della creazione, allora vediamo come il suo orto di Dio sia un atto d'amore, colmo di ardor per la meraviglia della creazione. «Stupirsi di fronte a un fiore è come stupirsi di fronte a un grande amore». Così mi disse un giorno Mario Branca, al freddo del suo cantiere nel piacentino, passeggiando nel suo giardino (quello vero).