L`opposizione alle sanzioni amministrative di

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Capitolo 5
LA LEGITTIMAZIONE ALL’OPPOSIZIONE
E I MOTIVI DEL RICORSO
Ai fini dell’ammissibilità dell’opposizione ai provvedimenti sanzionatori
amministrativi è, evidentemente, necessario individuare a chi spetta la relativa
legittimazione ad agire che, di norma, va riconosciuta a chi è destinatario
della sanzione irrogata, non potendosi, peraltro, escludere le ipotesi in cui la
commissione dell’infrazione venga ascritta ad una pluralità di autori (materiale
e/o morali), per i quali si applica – di regola – il criterio della responsabilità
solidale (con tutti i conseguenti profili problematici che ne conseguono).
Anche nell’ambito sanzionatorio amministrativo (così come in quello di
matrice penalistica) trova modo di operare il principio della personalità
della responsabilità dell’autore a cui si correla quello dell’intrasmissibilità
dell’obbligazione sanzionatoria verso i suoi eredi. Particolarmente complessa
si profila, poi, la disciplina relativa al concorso tra illeciti amministrativi (nel
mentre, allo stato e salvo una tassativa eccezione, non trova, in questo campo,
applicazione quella della continuazione). Nel percorso relativo allo sviluppo
dell’opposizione giudiziale riveste, ovviamente, un’importanza centrale l’atto
introduttivo (ora ricondotto alla forma del ricorso caratterizzante il rito del
lavoro), che può assumere un contenuto semplice o articolato in plurime
ragioni impugnatorie, la cui identificazione è altrettanto delicata in funzione del
rispetto del principio processuale generale della corrispondenza tra il chiesto ed
il pronunciato.
Sommario: 1. La qualificazione soggettiva dell’opponente e la capacità
processuale. - 2. Le cause di esclusione della responsabilità. - 3. Il concorso
di persone e la responsabilità solidale. - 4. L’intrasmissibilità dell’obbligazione
agli eredi. - 5. Il concorso di illeciti amministrativi e la problematica
dell’applicabilità del regime della continuazione. - 6. I motivi di opposizione e
il possibile contenuto della domanda.
Riferimenti normativi: artt. 2,3,4,5,6,7, 8, 8-bis l. 24 novembre 1981,
n. 689; art. 81 c.p.; art. 6 e 7 d. lgs. 1° settembre 2011, n.150; art. 414
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
1. La qualificazione soggettiva dell’opponente e la
capacità processuale
La l. 24 novembre 1981, n. 689, distingue la capacità, riguardata come
imputabilità (prevista dall’art. 2), dall’indagine sugli elementi propriamente
soggettivi dell’illecito amministrativo (disciplinati nell’art. 3).
L’imputabilità viene ritenuta insussistente ex lege allorquando il fatto sia stato
commesso da un soggetto non ancora maggiorenne mentre, per le infrazioni
consumate dagli ultradiciottenni, è previsto l’esonero da responsabilità per
l’ipotesi in cui l’azione costituente illecito amministrativo sia stata posta in
essere da persona incapace di intendere e di volere, sempre che - naturalmente la condizione di incapacità non sia stata determinata da sua colpa ovvero non
si configuri come preordinata in funzione della commissione dell’infrazione
(sulla stessa falsariga di quanto sancito, in materia di reati, dall’art. 87 c.p.). In
quest’ultima eventualità, ai fini dell’insorgenza della responsabilità, occorrerà
porre riferimento all’atteggiamento psicologico sussistente al momento in cui
l’agente si è reso incapace, rispetto al fatto consequenziale realizzato in uno
stato di incapacità.
Al di fuori dei casi contemplati nel comma 1 dell’art. 2 in esame, il successivo
ed ultimo comma stabilisce l’attribuzione della responsabilità, per il fatto
dell’incapace, al soggetto che, per legge, in relazione alla concreta situazione
di fatto verificatasi o per condotta è tenuto a sorvegliarlo546.
Si discorre, in merito, di un’ipotesi di responsabilità diretta e personale del
“sorvegliante” (ed, infatti, non è configurabile un’azione di regresso) che
appare riconducibile - secondo la dottrina essenzialmente uniforme - alla
fattispecie generale della culpa in vigilando che trova la propria disciplina più
compiuta negli artt. 2047 e 2048 c.c.547.
Ad es. Cass. 22 gennaio 1999, n. 572 (in Arch. giur. circ. sin. strad., 2001, 396), ha ritenuto che, in materia
di sanzioni amministrative pecuniarie, nell’ipotesi in cui l’illecito sia attribuito ad un minore degli anni
diciotto, soggetto alla potestà dei genitori, di esso possono essere chiamati a rispondere per fatto proprio
(per culpa in vigilando e/o in educando) i genitori medesimi; peraltro, ben può l’autorità amministrativa
procedente, sulla base delle valutazioni effettuate nel caso concreto, esercitare l’azione sanzionatoria quando non intenda esperirla nei confronti di entrambi con vincolo tra loro solidale - nei riguardi di uno
soltanto dei genitori medesimi, mediante l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione di pagamento nei soli
suoi confronti, con la conseguenza che legittimato a proporre opposizione avverso il provvedimento
sanzionatorio è soltanto il genitore che ne è destinatario. Cfr., in proposito, anche Cass. 26 marzo 2002,
n. 4286, ivi, 2002, 459.
547
Evidentemente l’ordinanza-ingiunzione dovrà essere emessa nei confronti del “sorvegliante” colpevole,
perché, diversamente, il provvedimento sanzionatorio non sortirebbe alcun effetto qualora irrogato nei
riguardi dell’incapace, così come, del resto, del soggetto inimputabile. La più acuta giurisprudenza (v.
Cass. 24 giugno 2008, n. 17189, e Cass. 14 ottobre 2009, n. 21881) ha ribadito che, in caso di violazione
amministrativa commessa da minore degli anni diciotto, della stessa risponde, a norma dell’art. 2 della
l. n. 689 del 1981, applicabile anche agli illeciti amministrativi previsti dal c.d.s. ex art. 194, colui che era
tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto; ne consegue
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
Per la dimostrazione dell’insussistenza di tale forma di responsabilità è
necessario che l’avente interesse dimostri che la vigilanza esercitata sia stata
tale da non determinare o da non lasciare permanere cause di pericolo
con le quali l’incapace possa essere venuto in relazione ed aver causato
eventi dannosi con un suo comportamento548. È importante sottolineare
che, connotandosi la responsabilità del “custode” prevista dall’art. 2,
comma 2, della l. n. 689/1981 come una “responsabilità per fatto proprio”,
ai fini dell’individuazione della sanzione, la P.A. irrogante dovrà valutare le
complessive condizioni inerenti la personalità del contravventore, nonché il
grado di incidenza della sua condotta concretante la violazione dell’obbligo
di sorveglianza, mentre la condotta dell’incapace potrà rilevare al solo scopo
di prendere in considerazione la gravità obiettiva dell’infrazione.
L’essenzialità dell’elemento soggettivo nella violazione amministrativa è
sancita dall’art. 3 della stessa l. n. 689/1981, il quale prescrive la necessità
della configurazione, affinché possa ricorrere la responsabilità dell’agente,
della “coscienza e volontarietà” dell’azione, sia essa dolosa o colposa549,
escludendone la sussistenza nell’ipotesi in cui l’infrazione sia stata commessa
per errore sul fatto non determinato da colpa del soggetto attivo550.
che, in caso di violazione commessa da minore, fermo l’obbligo di redazione immediata del relativo
verbale di accertamento, la contestazione della violazione deve avvenire nei confronti dei soggetti tenuti
alla sorveglianza del minore con la redazione di apposito verbale di contestazione nei loro confronti, nel
quale deve essere enunciato il rapporto intercorrente con il minore che ne imponeva la sorveglianza al
momento del fatto e la specifica attribuzione ad essi della responsabilità per l’illecito amministrativo (v.,
da ultimo, Cass. 21 novembre 2013, n. 26171, ord.).
548
Peraltro la prova di aver impartito un’educazione sufficiente è imposta solamente con riguardo
ai soggetti muniti di capacità naturale di cui altri abbiano la responsabilità perché essi sono sforniti di
capacità giuridica (essenzialmente i minorenni). In generale, per i genitori, tale prova si concreta nella
dimostrazione di aver indirizzato il minore verso un’educazione conforme alle sue condizioni familiari e
sociali, nonché di aver esercitato una vigilanza adeguata all’età, al carattere e all’indole del medesimo
(cfr., tra le tante, Cass. 10 luglio 1996, n. 6302, in Arch. civ., 1997, 37; Cass. 9 giugno 1994, n. 5619, ivi,
1995, 589).
549
Va, peraltro, posto in risalto che, in tema di sanzioni amministrative, a norma dell’art. 3 della legge
24 novembre 1981, n. 689, è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è
riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione; ne consegue che, qualora un illecito
sia ascrivibile in astratto ad una società di persone, non possono essere automaticamente chiamati a
risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta
positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso
morale (v. Cass. 6 dicembre 2011, n. 26238).
550
Deve ricordarsi che, ad avviso della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 29 aprile 2010, n. 10343),
in tema di sanzioni amministrative, il caso fortuito e la forza maggiore, pur non essendo espressamente
menzionati dalla l. 24 novembre 1981, n. 689, debbono ritenersi implicitamente inclusi nella previsione
dell’art. 3 di essa ed escludono la responsabilità dell’agente, incidendo il caso fortuito sulla colpevolezza
e la forza maggiore sul nesso psichico, specificandosi che la relativa nozione va desunta all’art. 45 c.p.,
rimanendo integrata con il concorso dell’imprevedibilità ed inevitabilità da accertare positivamente
mediante specifica indagine.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
Con questa disposizione il legislatore della depenalizzazione introdotta nel
1981 intese eliminare - sul modello della responsabilità soggettiva penale dall’ordinamento sanzionatorio amministrativo ogni traccia residuale di
responsabilità oggettiva, ammettendo, per converso, la buona fede e l’errore
incolpevole quali cause di esclusione dell’illecito amministrativo.
In termini generali, deve, perciò,affermarsi551 che, nella materia delle violazioni
amministrative, ai sensi dell’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per
integrare l’elemento soggettivo dell’illecito è sufficiente la semplice
colpa, per cui l’errore sulla liceità della relativa condotta, correntemente
indicato come “buona fede”, può rilevare in termini di esclusione della
responsabilità amministrativa, al pari di quanto avviene per la responsabilità
penale in materia di contravvenzioni, solo quando esso risulti inevitabile,
occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione,
idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della sopra riferita liceità, oltre
alla condizione che da parte dell’autore sia stato fatto tutto il possibile
per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così
che l’errore sia stato incolpevole, non suscettibile cioè di essere impedito
dall’interessato con l’ordinaria diligenza.
Anche per l’attribuibilità dell’illecito amministrativo, sulla scorta
dell’impostazione normativa adottata, si ritiene, quindi, necessario che nella
condotta dell’agente si possano ravvisare almeno gli estremi della colpa552. La
giurisprudenza, in proposito, ha rilevato che il dettato del richiamato art. 3
deve essere inteso nel senso della sufficienza della connotazione sia essa
dolosa o colposa, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o
Cfr., ad es., Cass. 12 luglio 2010, n. 16320 e, da ultimo, Cass. 7 gennaio 2016, n. 104.
In giurisprudenza (cfr., per tutte, Cass. 5 giugno 2001, n. 7603, in Giust. civ., 2002, I, 151 e Cass. 15
giugno 2004, n. 11253, in Gius, 2004, n. 22, 3928) è ricorrente l’affermazione che “in tema di violazioni
amministrative, poiché, ai sensi dell’art. 3 della l. 24 novembre 1981, n. 689, per integrare l’elemento
soggettivo dell’illecito è sufficiente la semplice colpa, l’errore sulla liceità della relativa condotta,
correntemente indicato come “buona fede”, può rilevare in termini di esclusione della responsabilità
amministrativa, al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni,
solo quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all’autore
dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della sopra riferita liceità, senza che il medesimo
autore sia stato negligente o imprudente, ovvero alla condizione che quest’ultimo abbia fatto tutto
quanto possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l’errore
sia del tutto incolpevole, non suscettibile di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria diligenza”.
Nello stesso senso v., anche, Cass. 27 settembre 2006, n. 21012, in Giust. civ., 2007, I, 1148, nonché, da
ultimo, Cass. 9 dicembre 2013, n. 27432, secondo la quale, dopo aver ribadito che, in tema di sanzioni
amministrative, l’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, pone una presunzione di colpa a carico
dell’autore del fatto vietato, riservando a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa, in caso di
provvedimento sanzionatorio emesso dalla Banca d’Italia nei confronti del direttore generale di una
società d’intermediazione mobiliare per insufficienza del patrimonio di vigilanza, spetta al destinatario
della sanzione provare di aver adempiuto diligentemente agli obblighi imposti dalla normativa di settore,
cosicché il deficit patrimoniale non possa essere a lui imputato.
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
della colpa, sul presupposto che la norma in discorso pone una presunzione
di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso,
riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa553.
Il nesso psichico tra l’agente e la condotta è naturalmente escluso dal difetto
di uno dei presupposti su cui si fonda l’imputazione a titolo di responsabilità
dell’evento illecito554. Il principale elemento implicante tale frattura sul piano
psicologico (e, in particolare, con riferimento al dolo) è l’errore che, in un’ottica
generale, può definirsi coma la falsa rappresentazione o l’ignoranza di un
qualunque dato della realtà naturalistica o giuridica.
In relazione al piano delle violazioni amministrative, la regola desumibile
dall’impianto trasparente dal comma 2 dell’art. 3 della l. n. 689/1981 limita
l’incidenza della rilevanza dell’errore al tipo di errore sul fatto, statuendo, in
generale, che l’errore sul fatto costituente illecito amministrativo esclude
la responsabilità dell’agente solo in quanto si accerti che esso non è
stato determinato dalla condotta negligente di quest’ultimo. Quel che
rileva, pertanto, ai fini dell’affermazione della responsabilità per l’infrazione
amministrativa, è che, nella formazione della volontà, non sia riscontrabile
negligenza o imprudenza555 e che, perciò, la condotta concretamente
553
Cfr. Cass., Sez. Un. civ., 6 ottobre 1995, n. 10508, in Arch. civ., 1996, 47; Cass. 11 febbraio 1999, n. 1142;
Cass. 21 gennaio 2000, n. 664; Cass. 12 maggio 2006, n. 11012; Cass. 7 luglio 2006, n. 15580; v., altresì,
più recentemente, Cass. 30 ottobre 2009, n. 23019. Per l’individuazione dei concetti di colpa e dolo si
ritengono operanti i parametri descrittivi e valutativi propri del diritto penale sostanziale. Pertanto il dolo
dell’agente (scomponibile nei due aspetti, intellettivo e volitivo) si configura quando l’evento dannoso o
pericoloso, rilevante nell’ambito del rapporto con la P.A., che costituisce la conseguenza della condotta
attraverso la quale viene a realizzarsi la violazione, si prospetta voluto o previsto come effetto del proprio
comportamento antigiuridico. La colpa si caratterizza per gli elementi dell’inosservanza della regola
obiettiva di diligenza, di prudenza o di perizia, dell’evitabilità dell’evento mediante il rispetto della regola e
dell’esigibilità dell’ottemperanza da parte dell’autore.
554
In un caso particolare è stato, ad es., ritenuto (v. Cass. 12 aprile 2012, n. 5809, in Arch. giur. circ.
sin. strad., 2012, 883) che non poteva ravvisarsi errore scusabile, in guisa da escludere la colpa, ai sensi
dell’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella condotta del conducente che, dopo aver proseguito
la marcia, confidando nella persistente vigenza di una prima segnalazione, con cui si consentiva in
determinati orari l’accesso ad una zona a traffico limitato, non aveva prestato attenzione ai successivi
segnali contenenti le diverse prescrizioni di orario in concreto disattese, considerato che la vigenza
spaziale di ogni divieto o prescrizione non poteva che valere fino al punto in cui non se ne incontrasse una
successiva di contenuto diverso.
555
Secondo Cass. 28 gennaio 2008, n. 1781, ad es., l’esimente della buona fede, prevista dall’art. 3 l. n. 689
del 1981, non trova applicazione quando l’affidamento relativo alla liceità della condotta, dipende dalla
concomitanza di una pluralità di fattori, tra i quali l’imprudente comportamento dell’autore della violazione,
da ritenersi ravvisabile nel caso in cui, in una situazione di dubbio sulla liceità della manovra di accesso
in autostrada, percorsa “contromano”, il conducente abbia omesso di fermarsi e chiedere informazioni al
personale addetto al casello. Cass. 29 dicembre 2011, n. 29841 (ord.), ha, in un altro caso, ritenuto, invece,
che, in tema di sanzione amministrativa per emissione di assegno bancario senza provvista di cui all’art. 2
della legge 15 dicembre 1990, n. 386, non è invocabile l’esimente della buona fede, ai sensi dell’art. 3
della legge 24 novembre 1981, n. 689, dal soggetto che, dopo aver emesso un assegno bancario, provveda
intenzionalmente, prima della scadenza del termine di presentazione all’incasso, a revocare la provvista
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
realizzata non risulti determinata da colpa556. La prova dell’esistenza dell’errore
incolpevole, costituendo un fattore impeditivo della pretesa sanzionatrice,
elidendo l’elemento soggettivo, deve essere fornita dal soggetto trasgressore
che la invoca557.
Peraltro la dottrina più attenta ha osservato che - malgrado il comma 2
del citato art. 3 ripeta la disposizione dell’art. 47 c.p. sull’efficacia scusante
dell’errore sul fatto non determinato da colpa senza riprendere anche la parte
di quest’ultima norma penale relativa all’errore di diritto che provoca errore
sul fatto, da qualsiasi causa determinato - non si profilano particolari ostacoli
per propendere a favore della tesi estensiva558.
per prevenire l’inadempimento contrattuale del primo prenditore, atteso che, in base all’art. 35 del r.d. 21
dicembre 1933, n. 1736, l’ordine di non pagare la somma recata dal titolo di credito ha effetto solo dopo
che sia spirato il termine di presentazione. E’ stato anche precisato (v. Cass. 4 maggio 2011, n. 9788) che,
sempre in materia di responsabilità amministrativa connessa all’emissione di assegni privi di provvista
(quale fattispecie sanzionata in via amministrativa dall’art. 2 della legge 15 dicembre 1990, n. 386, a
seguito di depenalizzazione recata dal d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507), sussiste l’elemento psicologico
della colpa, con conseguente impossibilità di invocare l’errore scusabile, nella condotta del procuratore
di una società di capitali che abbia emesso assegni in assenza della autorizzazione della banca trattaria,
a nulla rilevando che in alcuni titoli manchi la data o la stessa sia postergata, giacché in tal caso il traente
assume su di sé il rischio della revoca di detta autorizzazione, al momento in cui gli assegni vengono
presentati per la riscossione.
556
Cfr., per particolari esempi, Cass. 2 ottobre 1989, n. 3958, in Foro it., 1990, I, 1909; Cass. 25 maggio
1993, n. 5866; Cass. 11 febbraio 1999, n. 1151; Cass. 10 settembre 2002, n. 13165; Cass. 4 luglio 2003,
n. 10607; Cass. 15 giugno 2004, n. 11253, e Cass. 11 giugno 2007, n. 13610. Più recentemente, Cass.
21 dicembre 2011, n. 28049, ha precisato che è inidoneo ad integrare la fattispecie sanzionatoria un
atteggiamento psicologico improntato a buona fede (ipotesi relativa alla violazione dell’erronea o
incompleta compilazione dei modelli “Intrastat” (riepilogativi di operazioni intracomunitarie) di cui agli
artt. 7 e 11 del d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322. Da ultimo cfr., anche, Cass. 2 ottobre 2015. n. 19759, ord.
557
V., ad es., Cass. 19 gennaio 2000, n. 536. È interessante evidenziare come, in generale, la giurisprudenza
di legittimità abbia statuito che, in tema di infrazioni amministrative, la mera tolleranza, ovvero la mancanza
di controlli od altri interventi da parte della P.A. non possono essere invocati dall’agente come fatti idonei
a radicare la sua buona fede e ad escludere l’elemento soggettivo dell’illecito, occorrendo, per questo, da
un lato la sussistenza di circostanze di fatto positive atte ad ingenerare nell’agente la convinzione della
liceità della sua condotta e, dall’altro, che lo stesso non sia stato negligente od imprudente, ossia che abbia
fatto tutto quanto possibile per osservare la legge (cfr., ex multis, Cass. 15 aprile 1998, n. 3797; Cass. 25
gennaio 1999, n. 657; Cass. 11 ottobre 2006, n. 21779). La più recente giurisprudenza di legittimità (v. Cass.
18 dicembre 2008, n. 29709, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2009, 423) ha meglio specificato tale principio,
statuendo che, in tema di sanzioni amministrative, l’errore sulla illiceità del fatto, per essere incolpevole –
e, quindi, per poter escludere l‘elemento psicologico – deve trovare causa in un fatto scusabile, situazione
questa che se può rinvenirsi in presenza di atti e circostanze positive tali da ingenerare una certa convinzione
sul significato della norma, certamente non può ravvisarsi, allorché si sia comunque consapevoli della sua
illegittimità, in una presunta tacita tendenza dell’autorità a non punire quella determinata condotta, dal
momento che tale consapevolezza di per sé esclude l’errore, mentre l’eventuale tolleranza dell’autorità
costituisce fenomeno, sotto tale profilo, del tutto irrilevante (la fattispecie ineriva l’illegittima esclusione
dell’elemento psicologico dell’illecito del divieto di sosta sul presupposto che altri veicoli parcheggiati in
modo analogo non erano stati contravvenzionati e, vi era stata, quindi, una tolleranza tacita della P.A.).
558
Per una particolare fattispecie v. Cass. 8 ottobre 2008, n. 24812, secondo cui l’errore sulla liceità
della condotta, consistente nell’ignoranza del divieto di nudismo balneare stabilito mediante ordinanza
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La stessa giurisprudenza ha confortato tale orientamento teorico, statuendo
che nel momento in cui il principio posto dall’ultimo comma dell’art. 47 c.p.
viene esattamente considerato come una specificazione o uno svolgimento di
quello codificato nel comma 1 dello stesso articolo e, pertanto, già rientrante
nella disciplina generale dello stesso comma, l’errore su una legge diversa
da quella che prevede l’illecito amministrativo, quando si risolva in errore
su un elemento della fattispecie, esclude la responsabilità dell’agente della
violazione559.
Dal tenore del richiamato comma 2 dell’art. 3 in questione non si evince,
peraltro, alcuna regola sull’errore di diritto, dal quale derivi errore
(incolpevole) sul precetto da osservare né, in particolar modo, emerge dal
sistema sanzionatorio amministrativo una norma analoga all’art. 5 c.p. sugli
effetti derivanti dall’ignoranza della norma incriminatrice560, rilevantemente
ridisegnata e ridimensionata a seguito dell’importante sentenza della Corte
Cost. n. 364 del 1988561.
Con la richiamata pronuncia il Giudice delle leggi ha, invero, profondamente
inciso sull’ordinamento dichiarando la parziale illegittimità costituzionale
del menzionato art. 5 c.p. nella parte in cui non escludeva dall’inescusabilità
dell’ignoranza della legge penale la cosiddetta “ignoranza inevitabile”,
così rimodellando la predetta “norma di sbarramento” in termini di
corretta armonia con la soggettività intrinseca ed imprescindibile della
colpevolezza.
In particolar modo la Corte Costituzionale ha precisato che la colpa non può
essere mai data per presunta poiché la responsabilità penale, atteggiandosi
come responsabilità personale (e in modo conforme è strutturata anche la
responsabilità da illecito amministrativo) ai sensi dell’art. 27, comma 1, Cost.,
si configura con l’effettiva presenza dell’elemento soggettivo, il quale implica
una relazione dell’agente con il fatto, non riduttivamente inteso quale insieme
di elementi oggettivi e materiali, bensì considerato nel suo “integrale”
disvalore antigiuridico, onde l’impossibilità di conoscenza del precetto - e,
sindacale, può determinare una causa di esclusione della responsabilità dell’agente quando sia dimostrato
che il provvedimento sanzionatorio non era stato adeguatamente diffuso in quanto pubblicato solo
nell’albo pretorio, la possibilità di praticare il nudismo sia stata ampiamente pubblicizzata su riviste
specializzate pubblicate anche all’estero e non sia risultato apposto alcun cartello sulle vie di accesso al
luogo di balneazione.
559
Cfr., ad es., per alcune applicazioni pratiche dell’asserito principio, Cass. 10 settembre 1999, n. 9642;
Cass. 11 febbraio 1999, n. 1151 e Cass. 18 aprile 1994, n. 3693.
560
Secondo la giurisprudenza precedente alla sentenza della Corte Cost. n. 364/1988 si era comunque
ritenuto che il criterio della buona fede qualificata era ben applicabile anche nel settore delle sanzioni
amministrative, dal momento che la Costituzione (con riguardo specificamente all’art. 25, comma 2)
accomunava e compendiava tutto il diritto punitivo.
561
In Foro it., 1988, I, 1385, con nota di Fiandaca.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
dunque, dell’illiceità non attribuibile alla volontà del soggetto - esclude la
punibilità562.
La giurisprudenza563 ha ritenuto - incentrando la sua attenzione sull’unicità
concettuale del diritto punitivo564 - la legittima estensibilità del principio
statuito dalla Corte Costituzionale anche agli illeciti amministrativi565. Si è,
perciò, statuito che, in tema di illecito amministrativo, l’”error iuris”, quale
causa di esclusione della responsabilità in riferimento alla violazione di
norme amministrative (in analogia a quanto previsto dall’art. 5 c.p.),
viene in rilievo soltanto a fronte della inevitabilità dell’ignoranza del
precetto violato, il cui apprezzamento va effettuato alla luce della conoscenza
e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’agente in relazione
In sostanza l’apprezzamento dell’inevitabilità dell’ignoranza deve essere condotto in base a
parametri oggettivi puri, se la conoscenza del precetto del divieto è impossibile per ogni consociato
dovuta, ad esempio, ad assoluta oscurità del testo o a caotico atteggiamento interpretativo da parte
della giurisprudenza, oppure attraverso il ricorso a criteri cosiddetti misti, con l’analisi delle particolari
cognizioni e abilità del singolo, in modo da fondare la scusa anche su un fattore di soggettività, per la tutela
costituzionalmente dovuta a chi versa in condizioni di inferiorità (con la conseguenza che, in determinati
campi, solo dalle persone sfornite di specifica preparazione tecnica sono esigibili doveri di approfondita
diligenza, considerata, soprattutto, la rilevanza penale attualmente attribuita a molteplici fatti sprovvisti
di disvalore sociale).
563
Cfr., tra le prime decisioni nella giurisprudenza di merito, Pret. Forlì 23 novembre 1989, in Foro it.,
1990, I, 1909; quindi, nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, v. Cass. 4 luglio 1992, n. 8180, in
Arch. giur. circ. sin. strad., 1992, 811, Cass. 18 settembre 1999, n. 9642 e Cass. 9 maggio 2003, n. 7065.
In particolare, la più recente Cass. 3 maggio 2010, n. 10621, ha sottolineato che, in tema di illecito
amministrativo, l’“error iuris”, quale causa di esclusione della responsabilità in riferimento alla violazione
di norme amministrative (in analogia a quanto previsto dall’art. 5 c.p.), viene in rilievo soltanto a fronte
della inevitabilità dell’ignoranza del precetto violato, il cui apprezzamento va effettuato alla luce della
conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’agente in relazione anche alla qualità
professionale posseduta e al suo dovere di informazione sulle norme, e sull’interpretazione che di esse è
data, che specificamente disciplinano l’attività che egli svolge.
564
La richiamata giurisprudenza ha, invero, posto in luce che il dovere di osservare le norme penali non
è che una specificazione dell’obbligo generale di osservare le leggi della Repubblica, sancito dal comma 1
dell’art. 54 Cost., onde i chiarimenti apportati sull’oggettiva conoscibilità di precetti legislativi hanno un
respiro totalizzante ed abbracciano, tendenzialmente, l’intero diritto positivo e, perciò, anche il complesso
sanzionatorio delle infrazioni amministrative, spesso rispondenti ad esigenze unilaterali (della P.A.) e non
sempre comportanti un disvalore sociale significativo.
565
Sul punto la giurisprudenza di merito (v. Giud. pace Civitanova Marche, 27 settembre 2006, in Il Giudice
di pace, 2007, 140 ss., con nota di Perugini) ha stabilito che “la responsabilità da illecito amministrativo
è esclusa per mancanza dell’elemento soggettivo previsto dall’art. 3 della l. n. 689 del 1981 ove il
trasgressore, alla stregua delle proprie condizioni soggettive di carattere cognitivo e comunicativo, non
si trova in condizioni né immediate, né mediate di conoscere la norma inconsapevolmente infranta,
non ascrivibile nel novero dei precetti attinenti la tutela del diritto naturale o dell’intuibile potere
organizzativo della P.A.”. (Nella specie, il giudice ha ritenuto comprovata una situazione di inevitabile
ed inconsapevole ignoranza del precetto normativo, idonea ad escludere la responsabilità da illecito
amministrativo in capo ad un soggetto extracomunitario, per violazioni in tema di commercio su aree
pubbliche, proprio in ragione delle proprie condizioni di difficoltà soggettive di carattere cognitivo e
comunicativo).
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
anche alla qualità professionale posseduta e al suo dovere di informazione
sulle norme, e sull’interpretazione che di esse è data, che specificamente
disciplinano l’attività che egli svolge566. In termini più generali va, quindi,
rimarcato567 che, nell’ambito degli illeciti amministrativi, l’errore di diritto, quale
causa di esclusione della responsabilità in riferimento alla violazione di norme
amministrative (in analogia, appunto, alla previsione di cui all’art. 5 c.p.), viene
in rilievo soltanto a fronte dell’inevitabilità dell’ignoranza del precetto violato,
da apprezzarsi alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle
leggi che grava sull’agente in relazione anche alle sue qualità professionali
e al suo dovere di informazione sulle norme e sulla relativa interpretazione,
nonché, nel caso di infrazioni al codice della strada, tenendo conto della
segnaletica, la cui presenza è volta a rendere edotti di divieti e prescrizioni gli
utenti della strada.
2. Le cause di esclusione della responsabilità
Anche agli illeciti amministrativi, per il caso di loro normale configurazione
sotto il profilo dell’elemento soggettivo, si estende l’applicabilità delle cause
di esclusione della responsabilità così come richiamate nell’art. 4 della stessa
l. n. 689/1981, le quali si riconducono alle esimenti - di stampo penalistico568
- dell’adempimento del dovere, dell’esercizio di una facoltà legittima569,
della realizzazione della condotta in uno stato di necessità570 o in una
condizione di legittima difesa, oltre che nella concretazione dell’azione per
Cfr. Cass. 3 maggio 2010, n. 10621, con la quale, sulla base del richiamato principio, è stata cassata
la sentenza di merito che, in ipotesi di illecito amministrativo per omessa segnalazione di operazioni
finanziarie sospette, di cui agli artt. 3 e 5 del d.l. 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni,
nella legge 5 luglio 1991, n. 197 - operazioni effettuate tra il settembre 1993 ed il maggio 1994, per
circa 9 miliardi di lire - aveva escluso la responsabilità del direttore di filiale di un istituto di credito, e
con essa quella dell’istituto medesimo, in ragione del ritenuto incolpevole errore determinato, ai fini della
valutazione dello scrimine tra operazioni regolari e sospette, dalla novità della normativa e dall’assenza di
specifiche istruzioni da parte della Banca d’Italia, senza però considerare che lo stesso trasgressore avrebbe
dovuto farsi carico della prova delle attività concretamente svolte per fronteggiare l’esistenza di una nuova
disciplina normativa, specie in casi di particolare rilevanza economica delle operazioni, anche alla luce del
fatto che la segnalazione doveva, in base al citato art. 3, essere trasmessa al “titolare dell’attività”, per il
suo ulteriore vaglio).
567
V., da ultimo, Cass. 1° settembre 2014, n. 18471, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2014, 1004.
568
Tanto è vero che la loro applicabilità è subordinata alla sussistenza simultanea di tutti gli inerenti
elementi inclusi nelle omologhe previsioni penalistiche: cfr. Cass. 20 novembre 1985, n. 5710 e Cass. 2
ottobre 1989, n. 3961.
569
La giurisprudenza ha, in generale, ritenuto che le esimenti dell’“adempimento di un dovere” e dell’
“esercizio di una facoltà legittima”, previste per l’appunto dall’art. 4 della l. n. 689/1981, sono invocabili
solo nei casi in cui gli interessi fatti valere dall’autore della violazione siano di rango superiore rispetto a
quelli protetti dalla norma violata: cfr. Giud. pace Catanzaro, 29 novembre 2004, in Foro it., 2005, I, 1288
ss., con nota red. di Albé.
570
Anche se in via putativa: cfr. Cass. 19 gennaio 2000, n. 537 e Cass. 12 maggio 1999, n. 4710.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
ordine dell’autorità superiore571 (nel qual caso della violazione risponde il
pubblico ufficiale che ha impartito l’ordine). La giurisprudenza ha, peraltro,
chiarito che anche le cause escludenti la punibilità del caso fortuito e
della forza maggiore - ancorché non espressamente contemplate per le
infrazioni amministrative assoggettate alla disciplina della l. n. 689/1981 sono estensibili a tali violazioni poiché risultano comunque ostative
all’affermazione della responsabilità per gli illeciti in discorso, alla stregua dei
principi posti dall’art. 3 della stessa legge, tenendo conto che il primo esclude
la colpevolezza dell’agente e la seconda elide la coscienza e la volontarietà
dell’azione572.
In effetti, con il predetto art. 4, il legislatore, colmando una lacuna della
disciplina anteriore, ha esplicitamente normativizzato un complesso di “cause
scriminanti”, descritte compiutamente nel c.p. ed alcune incorporate anche
in norme del c.c. che, di fatto, nel momento applicativo, avevano talvolta
trovato un riscontro positivo nella pregressa elaborazione della dottrina e
della giurisprudenza.
Le esimenti estese al campo delle violazioni amministrative si fondano,
come nel diritto penale, sul riconoscimento di situazioni anomale, nelle quali
non è possibile pretendere che il soggetto determini la propria condotta
in conformità del precetto (violato); esse rappresentano, perciò, “cause di
inesigibilità” di un comportamento conforme alla normativa sanzionatoria573.
571
La S.C. (v. Cass. 26 ottobre 2006, n. 23016, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2007, 517) ha, ad esempio,
statuito che “in materia di opposizione a sanzione amministrativa, non configura nessuna causa di
esclusione della responsabilità, ex art. 4 l. n. 689/1981 - ed in particolare non integra l’esimente di aver
agito nell’adempimento di un dovere derivante da un ordine dell’autorità -, l’aver parcheggiato in zona
vietata su autorizzazione del presidente del tribunale, per provvedere al trasporto presso gli uffici giudiziari
di numerosi registri per la vidimazione annuale, non spettando al presidente del tribunale alcun potere di
deroga ai divieti di sosta stabiliti dalla competente autorità amministrativa; né è configurabile l’esimente
dello stato di necessità, che ricorre solo in presenza dei requisiti di cui all’art. 54 c.p. e che richiede in primo
luogo l’esistenza di un pericolo attuale di un danno grave alla persona”.
572
Cfr. Cass. 2 ottobre 1989, n. 3961, cit., nonché, da ultimo, Cass. 29 aprile 2010, n. 10343 (in Arch. giur.
circ. sin. strad., 2010, 711), secondo cui, appunto, in tema di sanzioni amministrative, il caso fortuito e la
forza maggiore, pur non essendo espressamente menzionati dalla l. 24 novembre 1981, n. 689, devono
ritenersi inclusi nella previsione dell’art. 3 di detta legge ed escludono la responsabilità dell’agente,
incidendo il caso fortuito sulla colpevolezza e la forza maggiore sul nesso psichico; la relativa nozione
va desunta dall’art. 45 c.p., rimanendo integrata con il concorso dell’imprevedibilità ed inevitabilità da
accertare positivamente mediante specifica indagine (nella specie la S.C. ha confermato la sentenza
di merito, che aveva escluso ricorressero dette figure nel caso di un motociclista postosi alla guida di
un motoveicolo senza indossare il casco, ancorché lo stesso fosse stato oggetto poco prima di furto,
osservando che la condotta di guida era stata tenuta consapevolmente e volontariamente dopo il furto e
che, dunque, essa era pienamente assistita dall’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo).
573
In un caso peculiare la S.C. ha statuito che, qualora un medico, alla guida di un’autovettura, abbia
utilizzato un telefono cellulare, non dotato di auricolare né in modalità vivavoce, la circostanza che
abbia risposto ad una telefonata urgentissima del proprio diretto superiore, il quale intendeva ricevere
informazioni su un paziente in pericolo di vita, non è idonea ad escludere la responsabilità per la violazione
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
Dal confronto con l’elencazione presente nel c.p., risultano essere state riprese
le scusanti relative allo stato di necessità e alla legittima difesa (artt. 54 e 52
c.p.), nonché quella dell’adempimento del dovere574 (art. 51, prima parte, c.p.).
Non si evince, invece, dal tenore del richiamato art. 4 della l. 24 novembre
1981, n. 689, né il riferimento all’uso legittimo delle armi (incompatibile
ontologicamente con il settore delle infrazioni amministrative), né quello
all’esimente del consenso dell’avente diritto, che non potrebbe sortire rilevanza
nell’ambito delle violazioni in questione in virtù della natura indisponibile dei
beni tutelati dalla proibizione legislativa.
Conseguentemente, ritenuta l’operatività anche nell’ambito dell’illecito
amministrativo delle individuate cause di giustificazione proprie del diritto
penale, ne deriva che la loro applicabilità è subordinata alla sussistenza
simultanea di tutti gli elementi inclusi nelle previsioni penalistiche.
Così, ad esempio, con specifico riguardo alla scriminante dello “stato di
necessità”, è necessario, ai fini della sua configurabilità (e, perciò, allo scopo del
riconoscimento della fondatezza della sua prospettazione in sede giudiziale,
che dovrà ovviamente essere supportata da un idoneo riscontro probatorio
gravante sul ricorrente)575, che, in applicazione dei principi fissati dagli artt. 54
e 59 c.p., ricorra un’effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave
alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l’erronea persuasione di trovarsi
in tale situazione, provocata non da un mero stato d’animo, ma da circostanze
concrete (oggettive) che la giustifichino576 e che devono essere riscontrate
amministrativa di cui all’art. 173 c. strada, posto che, trattandosi di una chiamata in entrata, non erano
configurabili né lo stato di necessità (nemmeno in forma putativa) né l’adempimento del dovere (cfr. Cass.
8 ottobre 2014, n. 21266, in Foro it., 2015, I, 191).
574
Cfr., in proposito, Cass. 12 luglio 2000, n. 9254, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2001, 501, secondo cui
tale esimente postula, in mancanza di ulteriori precisazioni normative, un rinvio proprio all’art. 51 c.p.,
cosicché il dovere cui il soggetto risulti tenuto deve discendere da una norma giuridica o da un ordine
dell’autorità. Sul punto la giurisprudenza di merito (v. Giud. pace Bologna, 31 maggio 2004, n. 2045, ivi,
2004, 1018) ha ritenuto che “nessuna responsabilità per violazione dell’art. 146, comma 2, c.d.s. (mancato
rispetto della segnaletica stradale consistente nel superamento della linea di mezzeria) sussiste in capo a
chi, ai sensi degli artt. 51 c.p. e 4 l. n. 689/1981, sia rimasto coinvolto in un sinistro stradale mentre alla
guida di un motociclo di proprietà del Ministero dell’Interno - dipartimento della Polizia di Stato, svolgeva
servizi inerenti il proprio lavoro investigativo”.
575
La più recente giurisprudenza (cfr. Cass. 14 giugno 2010, n. 14286, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2010,
778) ha, ad es., in tema di violazioni al codice della strada prevista dall’art. 142, comma 9, asserito che
non vale ad escludere la responsabilità del conducente l’invocato stato di necessità dovuto all’esigenza di
rispettare i tempi di una consultazione medica conseguente ad un malore lamentato da un passeggero,
qualora l’opponente non abbia provato - essendone onerato per effetto dell’applicazione delle regole
penalistiche sullo stato di necessità, alle quali occorre fare riferimento anche ai fini previsti dall’art. 4
della legge n. 689 del 1981 - l’imminente pericolo di vita del passeggero medesimo e l’impossibilità di
provvedere diversamente alla salvezza di quest’ultimo.
576
Cfr., ad es., Cass. 2 ottobre 1989, n. 3961, in Arch. giur. circ. sin. strad., 1990, 91, secondo cui in tema
di infrazioni amministrative, lo stato di necessità, contemplato dall’art. 4 l. 24 novembre 1981 n. 689
come causa di esclusione della responsabilità, è ravvisabile solo in presenza di tutti gli elementi previsti
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
dallo stesso trasgressore avente interesse al riconoscimento della sussistenza
della causa di giustificazione577.
È importante evidenziare che, con riferimento alla dimensione soggettiva delle
esimenti, le ipotesi di eccesso colposo e di supposizione erronea (regolamentate
dagli artt. 55 e 59, ultimo comma, c.p.) sono ricondotte dalla dottrina prevalente
alla disciplina contenuta nel comma 2 dell’art. 3 della l. n. 689 del 1981. Tra
l’altro, anche la giurisprudenza ha avuto modo di confermare l’estensione
all’ambito sanzionatorio amministrativo degli anzidetti istituti, puntualizzando
che nella disciplina delle violazioni amministrative per cui è richiesto un
elemento psicologico quale la legge penale esige per le contravvenzioni (la
colpa), operano le esimenti anche nella forma putativa578, poiché la rilevanza
nell’art. 54 c. p., incluso il pericolo attuale di un danno grave alla persona. Con la sentenza n. 18099 del
12 settembre 2005 (in Arch. giur. circ., 2006, 524), la Corte di Cassazione, cassando la sentenza di merito
sulla scorta del predetto principio, ha ritenuto, in una particolare fattispecie, che la sussistenza del pericolo
non potesse desumersi dalla sola dichiarazione del trasgressore secondo cui nel giorno e nella fascia oraria
in cui gli era stata contestata la violazione dell’art. 158 c.d.s., per aver parcheggiato il suo veicolo in zona
di attraversamento pedonale, soggetta al divieto di sosta, aveva dovuto trasportare un disabile e non
aveva rinvenuto alcuno spazio libero tra quelli destinati al parcheggio degli invalidi. Per la giurisprudenza
di merito v. Giud. pace Monza, 20 febbraio 2006, in Il Giudice di pace, 2007, 54 ss., con nota di Febbraro.
577
In proposito v., ad es., Cass. 26 marzo 2007, n. 7357, in Arch. giur. circ. sin. strad. 2007, 631, secondo
cui ove il ricorrente deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente
reale o putativa è su di lui che grava l’onere di provarne la sussistenza, non essendo comunque sufficiente
a riguardo una mera asserzione sfornita di qualsiasi supporto probatorio (nella specie la S.C. ha escluso la
sussistenza dello stato di necessità, in relazione alla commissione della violazione di cui all’art. 176 c.d.s.,
non ritenendolo convenientemente documentato dato che il ricorrente aveva prodotto un certificato
medico risalente ad un anno prima, attestante una forma di ipoacusia neurosensoriale bilaterale). Cfr.,
in precedenza, sul punto, Cass. 10 gennaio 2005, n. 287, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2006, 276, con
riferimento ad una fattispecie in cui è stata confermata la decisione di merito, con la quale era stata esclusa
la configurazione di una situazione di pericolo, rilevante ai fini dello “stato di necessità”, in un caso in cui,
in sede di opposizione al verbale della polizia stradale con il quale era stata contestata all’opponente la
violazione di cui all’art. 142, comma 9, c.d.s. per aver superato, alla guida della propria autovettura, il
limite di velocità consentito, il ricorrente aveva, tra l’altro, invocato lo stato di necessità, adducendo che,
nel momento dell’accertamento della violazione, si stava recando con urgenza in ospedale, ove il proprio
genitore era stato ricoverato in gravi condizioni; nella decisione impugnata, ritenuta corretta dalla S.C.,
era stato sottolineato che l’opponente si era limitato, al riguardo, a fornire la dimostrazione del ricovero
del padre quale “soggetto affetto da scompenso cardiaco cronico”, senza provare in qual modo il pericolo
di danno grave alla persona del genitore potesse ritenersi non evitabile altrimenti che con l’arrivo in
ospedale dello stesso opponente, e come detto arrivo potesse fornire un contributo determinante al fine
di scongiurare il paventato danno.
578
V., per un esempio, Giud. pace Taranto, 22 giugno 2006, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2006, 1096.
In materia cfr., altresì, Cass. 24 marzo 2004, n. 5877 e Cass. 12 settembre 2005, n. 18099, in Arch. giur.
circ. sin. strad., 2006, 524. Più recentemente la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 24 agosto 2006,
n. 18394, in Il Giudice di pace, 2006, 291, con nota di Carrato, e in Guida al dir. 2006, n. 36, 45, con nota
di Sacchettini) ha rilevato che “non sussiste l’esclusione dalla responsabilità per la violazione di eccesso si
velocità per stato di necessità prevista dall’art. 4 della l. n. 689/1981 ove gli accertamenti sulla persona
trasportata in ospedale non siano tali da far ritenere che il conducente del veicolo potesse trovarsi in uno
stato psicologico di tale apprensione da indurlo a mettere in pericolo la sicurezza del traffico”.
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
dell’errore sulla causa scriminante - ancorché non esplicitamente sancita
con disposizione analoga a quella contenuta nell’art. 59 c.p. - va, comunque,
ritenuta sussistente, in applicazione analogica del citato art. 3, comma 2, della
menzionata l. n. 689 del 1981, laddove esclude la responsabilità nel caso
di “errore sul fatto” non determinato da colpa, configurandosi tale tipo di
errore quando l’agente supponga di trovarsi in una situazione concreta che,
se realmente esistente, avrebbe integrato l’esimente (si parla, in questo caso,
appunto, di “scriminante putativa”)579. Bisogna, peraltro, precisare al riguardo
che, quando l’errore cade su norma diversa da quella che prevede l’illecito
amministrativo, concretantesi in errore sul fatto, esso ha efficacia esimente
solo se incolpevole e l’agente, per superare la presunzione a suo carico, deve,
appunto, dimostrare di aver commesso il fatto (o l’omissione) senza colpa580.
3. Il concorso di persone e la responsabilità solidale
La legge depenalizzatrice n. 689 del 1981 - diversamente dai due precedenti
testi normativi del 1967 e del 1975 - ha individuato anche una disciplina
sul concorso di persone nella commissione dell’illecito amministrativo,
inserendola nella disposizione di cui all’art. 5. Tale norma richiama la struttura
del regime del concorso di persone operante propriamente nell’ambito
penale e disciplinato in via principale dall’art. 110 c.p., pur prevedendo la
sua inapplicabilità alle ipotesi in cui “sia diversamente stabilito dalla legge”.
Da questa specificazione si evince che il legislatore non ha trascurato la
peculiarità di alcune regolamentazioni settoriali, le quali, sulla scorta della
diversa valutazione degli interessi da perseguire, obbediscono ad altre
discipline.
La giurisprudenza581, in proposito, ha precisato che, da un punto di vista
generale, le disposizioni legislative “fatte salve” dall’art. 5 della l. n. 689/1981
V., sul punto, ad es., Cass. civ. 26 settembre 1990, n. 9756, in Mass. Giur. it., 1990, nonché, più
recentemente, Cass. 29 aprile 2010, n. 10366, alla stregua della quale, ai fini dell’esclusione della
responsabilità del trasgressore per l’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità, di cui
all’art. 4 della l. 24 novembre 1981, n. 689, è necessario che essa si concretizzi in un incolpevole errore
sul fatto, e cioè su una percezione o in una ricognizione della percezione incolpevolmente difettosa
che, cadendo su un elemento materiale della violazione amministrativa, la rende non punibile a norma
dell’art. 3, secondo comma, della citata l. n. 689 del 1981 (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza
del giudice di pace che aveva ritenuto non sanzionabile la contestata violazione del codice della strada
per eccesso di velocità, attribuendo erroneamente rilievo esimente ad una mera esigenza personale e
soggettiva del trasgressore, quale l’eliminazione dello stato di ansia che l’aveva colto per aver lasciato
la propria figlia piccola presso altra famiglia al fine di recarsi a sostenere un colloquio di lavoro, così da
dover “fare il più in fretta possibile” per poter rivedere al più presto la figlia medesima). In sintonia con il
riportato principio v., anche, Cass. 9 giugno 2008, n. 15195.
580
Cfr. Cass. 5 maggio 1988, n. 3321, in Foro it., 1988, I, 1863.
581
Cfr. Cass. 1° agosto 1992, n. 9147, in Giust. civ., 1992, I, 2998; Cass. 7 dicembre 2001, n. 15521. Così
è stato ulteriormente specificato che il concorso di più persone nella commissione di una violazione
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
sono quelle che, regolando ipotesi di concorso di persone nell’illecito
amministrativo, escludono l’irrogazione della sanzione per l’intero a ciascun
concorrente582, sicché, tra esse, non può legittimamente farsi rientrare quella
di cui al successivo art. 6, norma destinata a disciplinare, per converso, non il
concorso di persone nell’illecito, ma la solidarietà con l’autore dell’illecito da
parte di soggetto extraneus, che non abbia, cioè, concorso nella consumazione
dell’infrazione.
Con il menzionato art. 5 la l. n. 689/1981 ha inteso contemporaneamente
porre riferimento sia al concorso eventuale di persone che al concorso di
coautori; senza questa previsione, infatti, sarebbe stato - con riferimento ad
un sistema basato sul principio di legalità (statuito all’art. 1 della stessa legge) impossibile ritenere responsabili ed assoggettabili al regime sanzionatorio
sia i c.d. coautori (ovvero coloro che concretano, ciascuno soltanto, una
parte della fattispecie dell’illecito) sia i concorrenti denominati atipici, ossia i
soggetti che non realizzano direttamente la fattispecie dell’azione connotata
del carattere di specialità.
Oltretutto, proprio il principio traslato dal sistema penale ha permesso alla
giurisprudenza di sostenere l’applicabilità della sanzione amministrativa
non soltanto all’autore o ai coautori dell’infrazione, ma anche a coloro che
abbiano, in ogni caso, offerto un contributo causale, pur se esclusivamente
sul piano psichico583.
amministrativa regolato dall’art. 5 della l. 24 novembre 1981 n. 689 differisce dalla fattispecie prevista
dall’art. 6 della legge citata che disciplina la solidarietà con l’autore dell’illecito di persone non concorrenti
nella violazione, sia perché ciascun concorrente soggiace all’intera sanzione, sia perché il pagamento
da parte di uno non estingue l’obbligazione degli altri; ne discende che, nell’ipotesi di concorso di più
persone nella violazione, non è applicabile la disposizione dell’art. 1310 c.c. in tema di interruzione della
prescrizione richiamato dall’art. 28 legge citata (v., altresì, Cass. 24 febbraio 2000, n. 2088 e Cass. 29 ottobre
2004, n. 21000, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2005, 483, secondo la quale, ad es., in tema di violazione delle
norme sulla circolazione stradale, ai fini della definizione della posizione del conducente del veicolo cui sia
stata contestata l’infrazione prevista dall’art. 179 c.d.s. - alterazione del cronotachigrafo di un autocarro -,
non assume rilievo la dichiarata cessazione della materia del contendere nei confronti del proprietario del
veicolo, trattandosi di posizioni distinte contestate a titolo di concorso di persone ai sensi dell’art. 5 della l.
n. 689/1981, e non già di responsabilità solidale ai sensi del successivo art. 6, con la conseguenza che non
può estendersi al concorrente l’avvenuta definizione della contestazione da parte dell’altro).
582
Così, ad es., Cass. 26 gennaio 1999, n. 690, ha ritenuto che in tema di sanzioni amministrative, la regula
iuris sancita, in via generale, dall’art. 5 della l. 689 del 1981 (secondo la quale ciascuna delle persone
che abbia concorso nella commissione di un illecito amministrativo soggiace alla relativa sanzione, salva
diversa disposizione di legge) deve ritenersi applicabile anche alle violazioni dell’art. 1 della l. n. 197
del 1991 in tema di limitazione dell’uso del contante e dei titoli al portatore, mancando, nella legge ora
richiamata, una espressa disposizione derogatoria al principio generale di cui all’art. 5 l. 689 del 1981, con
la conseguenza che a ciascuno dei soggetti che abbia concorso nel trasferimento di titoli al portatore senza
il tramite di un intermediario autorizzato è legittimamente irrogata la sanzione pecuniaria pari al 40%
dell’importo irregolarmente trasferito.
583
V., in generale, Cass. 18 luglio 1990, n. 7336; Cass. 9 aprile 1996, n. 3288 (secondo cui la circostanza
che un soggetto estraneo ad una azienda, o partecipe di una compagine sociale non personalizzata, sia
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
In generale, perciò, al fine della configurazione del concorso (eventuale)
di persone nella commissione di una violazione di natura amministrativa,
è necessaria la simultanea sussistenza di tre fattori:
-
la pluralità degli agenti584;
-
la realizzazione di un fatto tipico alla stregua di una fattispecie
monosoggettiva;
-
il contributo obiettivamente rilevante - sia in forma attiva che
omissiva585 - di ciascuno dei correi che può estrinsecarsi: - o a
livello psichico586, con la determinazione del proposito illecito, ovvero
rafforzandolo o sostenendolo efficacemente; - o a livello materiale,
prestando un’attività che, sia pure marginalmente, purché in modo
adeguato, abbia contribuito alla commissione della violazione.
La giurisprudenza587 ha, pertanto, ritenuto che in tema di sanzioni
amministrative, l’art. 5 della l. n. 689 del 1981, il quale contempla il concorso
di persone nella commissione di illeciti amministrativi, recepisce i principi
fissati in materia dal codice penale, rendendo applicabile la sanzione
pecuniaria a tutti coloro che abbiano offerto un contributo alla realizzazione
l’autore materiale del fatto, non esclude che altro contitolare della stessa impresa collettiva sia a sua volta
coautore, sia pure con apporto causale sul piano psichico, della stessa condotta sanzionata). Anche Cass.
12 aprile 2001, n. 5503 ha ritenuto che non vale a ricondurre nell’ambito di un tal genere di disposizioni
l’art. 3 della l. 23 dicembre 1986 n. 898 il fatto che esso preveda - di per sé - l’irrogazione della sanzione
amministrativa a carico del percettore dei contributi comunitari non dovuti.
584
Sul piano processuale Cass. 14 gennaio 1997, n. 286, ha chiarito che nel procedimento d’opposizione
contro ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria amministrativa, contemplato dagli artt. 22
e 23 della l. 24 novembre 1981, n. 689, è inammissibile l’intervento del terzo ad istanza di parte ex
art. 106 c.p.c. (come pure l’intervento, sia autonomo che adesivo, a norma del precedente art. 105) non
essendo configurabili in tale giudizio, avente ad oggetto solo l’accertamento della legittimità della pretesa
sanzionatoria nei confronti dell’autore dell’illecito amministrativo o dell’obbligato in solido, situazioni di
comunanza di causa o ipotesi di chiamata in garanzia. Infatti, qualora più persone siano concorse nella
violazione amministrativa, soggiacendo ciascuna di esse alla sanzione disposta per la violazione stessa,
l’eventuale opposizione contro le distinte ordinanze-ingiunzioni dà luogo a diversi procedimenti autonomi
(ancorché in eventuale rapporto di continenza o di connessione) mentre, nel caso di ordinanza-ingiunzione
nei confronti dell’obbligato in solido al pagamento della sanzione amministrativa, l’azione di regresso
attribuita al responsabile solidale che ha pagato la sanzione medesima, presupponendo sia l’accertamento
della responsabilità a tal titolo che il pagamento, potrà essere esercitata in separato giudizio.
585
Per un caso di rilevanza del comportamento omissivo v. Cass. 29 novembre 1996, n. 10668, ad avviso della
quale in caso di amministrazione congiunta di una società di capitali, l’amministratore che deliberatamente
si astenga dall’esercizio dei doveri inerenti alla carica (tra i quali anche quello di vigilare sulla correttezza
dell’amministrazione non direttamente esercitata) concorre, oggettivamente e soggettivamente,
con la propria omissione alla causazione dell’illecito amministrativo materialmente commesso dal
coamministratore e ne risponde, quindi, in solido, a norma dell’art. 5 l. n. 689 del 1981, per fatto proprio.
586
Cfr., sul punto, ad es., Cass. 22 settembre 2006, n. 20696.
587
V., ad es., Cass. 18 febbraio 2000, n. 1876 e Cass. 19 luglio 2001, n. 9837.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
dell’illecito, concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono
tutti gli atti dei quali l’evento punito costituisce il risultato, anche se detti atti,
atomisticamente considerati, possono non essere illeciti, sempre che sussista
nei singoli partecipi la consapevolezza del collegamento finalistico dei vari
atti, e, cioè, la coscienza e volontà di apportare un contributo materiale e
psicologico alla realizzazione dell’illecito perseguito da tutti588. E’ stato, altresì,
precisato che anche nel campo dell’illecito amministrativo è configurabile un
apporto esterno alla consumazione di esso, a condizione che ciò avvenga
attraverso azioni od omissioni che, pur senza integrare la condotta tipica
dell’illecito, ne rendano, però, possibile o ne agevolino la consumazione;
tuttavia, tali condizioni non possono ritenersi ricorrenti allorché la condotta
concorrente sia stata tenuta ad illecito amministrativo già consumato, nel
quale caso essa costituisce un “post factum” non sanzionabile589.
La l. n. 689 del 1981 prevede, in successione, all’art. 6, la disciplina delle
ipotesi di solidarietà590.
588
Cass. 18 febbraio 2000, n. 1867 ha stabilito che in tema di sanzioni amministrative, l’omessa menzione,
nella contestazione dell’illecito commesso da un soggetto in concorso con altri, e nella successiva
ordinanza-ingiunzione di pagamento, dell’art. 5 della l. n. 689 del 1981, che tale concorso prevede, non
rende illegittimo il provvedimento per violazione del principio della correlazione tra il fatto contestato
e quello per il quale viene irrogata la sanzione, essendo, in tale ipotesi, necessario e sufficiente, ai fini
del rispetto di tale principio, che dalla contestazione risulti la circostanza dell’avvenuta commissione
dell’illecito da parte dell’ingiunto in concorso con altri. In materia v., da ultimo, Cass. n. 5139 del 2007.
589
Cfr. Cass. 20 maggio 2011, n. 11160 (ord.), con la quale, sulla scorta del principio richiamato nel testo, è
stato ritenuto non integrante l’illecito amministrativo la condotta del gestore di un impianto di stoccaggio
di rifiuti che aveva ricevuto rifiuti non accompagnati dai formulari di identificazione prescritti dall’art. 15
del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 in quanto l’obbligo di compilazione di tali formulari gravava sui trasportatori
e non sul ricevitore e la sua violazione era stata, pertanto, già consumata al momento della ricezione del
carico. E’ stato anche puntualizzato (v. Cass. 27 dicembre 2011, n. 28929) che sul presupposto che, nella
materia degli illeciti amministrativi, è configurabile un apporto esterno alla consumazione dell’illecito
anche mediante azioni od omissioni, che, pur senza integrare la condotta tipica di esso, ne rendano
possibile o ne agevolino la consumazione, la condotta omissiva può assumere rilevanza quale elemento
concorrente nell’illecito altrui solo nel caso in cui si ponga in violazione di uno specifico obbligo di garanzia.
(Nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ma correggendone la motivazione, ha escluso
la responsabilità del direttore dei lavori per la ristrutturazione di un’area di servizio autostradale in
relazione ad illecito in tema coltivazione di sostanze minerali di cava commesso dall’appaltatore, rilevando
che nessuna fonte legale pone in capo al primo l’obbligo di garanzia in relazione all’interesse tutelato dalla
normativa sulle cave, né gli attribuisce il potere di impedire l’evento).
590
Che, diversamente dal concorso di persone, non rappresenta una novità nel panorama del sistema
sanzionatorio amministrativo introdotto dalla l. n. 689/1981, poiché una regolamentazione di tale istituto ancorché meno ampia - era già contenuta negli artt. 12 della l. n. 4 del 1929 e 3, comma 2, delle antecedenti
leggi di depenalizzazione nn. 317 del 1967 e n. 706 del 1975. È importante sottolineare la differenza della
fattispecie della solidarietà da quella della c.d. autonomia di responsabilità per lo stesso illecito: invero il
meccanismo della solidarietà può operare soltanto quando il soggetto da ritenersi solidalmente responsabile
non sia già, a proprio titolo, autore dell’illecito (eventualità che può prospettarsi sia nel caso della realizzazione
di condotte autonome o indipendenti sia nell’ipotesi di concorso plurisoggettivo nella commissione della
violazione: v., ad es., Cass. 1° agosto 1992, n. 9147, cit. e, in dottrina, Bartolini, op. cit., 360-361).
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
In questa fattispecie generale l’illecito si configura come unico ma risulta
imputabile a più responsabili, ovvero anche a terzi estranei alla commissione
della violazione che, però, ne rispondono in virtù di una loro particolare
relazione con l’autore ossia con lo strumento dell’illecito.
Il richiamato articolo distingue i seguenti modelli di responsabilità:
-
la responsabilità solidale del “vigilante”, che può, tuttavia, provare di non
aver potuto impedire la consumazione dell’illecito591;
- la responsabilità della persona giuridica per il fatto dei dipendenti592,
senza possibilità di prova esimente;
- la responsabilità solidale del proprietario (ovvero dell’usufruttuario o
titolare di un diritto personale di godimento qualora si verta in tema di
beni immobili) del bene che servì o fu destinato a commettere l’infrazione
(se non prova che fu utilizzata contro la sua volontà).
In tutti questi casi è prevista l’esercitabilità, in favore dei responsabili a titolo
solidale, dell’azione di regresso per l’intero nei confronti dell’autore effettivo
della violazione, con un richiamo implicito alla corrispondente disciplina
civilistica593. È importante sottolineare che, al di là del soddisfacimento della
garanzia di una più facile escussione del credito sanzionatorio, l’impianto
normativo dettato in tema di solidarietà implica che il responsabile in funzione
dell’applicazione della sanzione rimane sempre (e soltanto) l’autore della
violazione, ancorché coperto dal civilmente obbligato, restando confermato
Così ad esempio l’art. 196 c. strada prevede per il proprietario del veicolo l’obbligazione solidale al
pagamento delle sanzioni pecuniarie conseguenti agli illeciti commessi dall’effettivo autore della violazione,
salvo che fornisca la prova che la circolazione sia avvenuta contro la sua volontà, da manifestarsi con un
comportamento concreto, idoneo e specificamente rivolto a vietare la circolazione mediante atti e fatti
indicativi della diligenza da valutarsi in relazione al caso concreto (per esempi specifici cfr. Cass. 14 luglio
2011, n. 15478, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2012, 250, e Cass. 21 ottobre 2014, n. 22318, ord., ivi, 2015, 455).
592
V. Cass. 6 luglio 2004, n. 12321 e Cass. 8 agosto 2003, n. 11954. Successivamente, Cass., Sez. Un.,
30 settembre 2009, n. 20935, ha statuito che, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, la responsabilità degli autori materiali della
violazione, anche ove abbiano commesso il fatto in concorso tra loro, e quella delle persone giuridiche
chiamate a risponderne, sia quali coobbligate solidali, ai sensi dell’art. 6 della l. 24 novembre 1981, n. 689,
sia in proprio, ai sensi dell’art. 187-ter del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, danno luogo ad una pluralità di
rapporti autonomi; ne consegue che, nel procedimento di opposizione disciplinato dall’art. 187-septies
del d.lgs. n. 58 cit., non è configurabile un litisconsorzio necessario, ma un litisconsorzio facoltativo tra i
predetti soggetti, essendo ciascuno di essi legittimato a spiegare intervento adesivo autonomo nel giudizio
promosso dagli altri, e soccorrendo, al fine di evitare un contrasto di giudicati nel caso in cui vengano
proposte separate opposizioni, le ordinarie regole in tema di connessione e riunione di procedimenti.
593
Cfr. gli artt. da 1292 a 1313 c.c. che si rivolgono essenzialmente alle obbligazioni plurisoggettive
contrattuali, nonché l’art. 2055 c.c. che, invece, si riferisce al diverso caso di responsabilità solidale tra più
autori e concorrenti nella determinazione dell’illecito extracontrattuale, con relativa fissazione del diritto
di regresso pro quota.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
il rilievo che assume, in merito al meccanismo generale delle sanzioni
amministrative, il momento finalistico punitivo594. Questa configurazione
della fattispecie della solidarietà comporta che, all’atto dell’irrogazione
della sanzione (che rimane unica), dovrà esserne ingiunto il pagamento - in
relazione al disposto dell’art. 18, comma 2, della l. n. 689/1981 - sia all’autore
dell’infrazione che ai soggetti solidalmente obbligati per legge, con la
conseguenza che se l’adempimento verrà effettuato dall’autore l’obbligazione
si estinguerà totalmente, mentre se sarà il corresponsabile a titolo solidale ad
assolvere il debito da illecito, a lui è riconosciuto il diritto di rivalsa, a titolo di
azione di regresso, nei riguardi dell’agente595.
In particolare, la giurisprudenza596 ha specificato che nel caso in cui più
soggetti siano, a norma dell’art. 6 della l. 24 novembre 1981, n. 689, obbligati
in solido alla corresponsione della somma dovuta a titolo di sanzione
pecuniaria, ciascuno di essi ha il diritto di essere ammesso al pagamento nella
misura ridotta prevista dall’art. 16 della stessa legge, entro il termine stabilito
dalla predetta norma, con la conseguenza che tale pagamento, se tempestivo,
produce l’effetto liberatorio dall’obbligazione solidale anche in favore di tutti
i coobbligati per i quali il termine stabilito dall’art. 16 della citata l. n. 689 del
1981 sia già scaduto, per aver avuto luogo la contestazione, o la notificazione
degli estremi della violazione nei loro confronti in date diverse.
È stato, inoltre, puntualizzato597 che, pur riconoscendosi un carattere
sostanzialmente “principale” dell’obbligazione incombente su colui che ha in
Cfr. Cass. 13 luglio 2001, n. 9520.
Cass. 13 maggio 2010, n. 11643, ha puntualizzato che l’identificazione e l’indicazione dell’autore
materiale della violazione non costituiscono requisito di legittimità dell’ordinanza-ingiunzione emessa nei
confronti dell’obbligato solidale, in quanto la “ratio” della responsabilità di questi non è quella di far fronte
a situazioni d’insolvenza dell’autore della trasgressione, bensì quella di evitare che l’illecito resti impunito
quando sia impossibile identificare tale ultimo soggetto e sia, invece, facilmente identificabile il soggetto
obbligato solidalmente a norma dell’art. 6, comma 1, della l. n. 689 del 1981.
596
Cfr., ad es., Cass. 26 giugno 2001, n. 8696, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2002, 429. La più recente
giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 24 giugno 2015, n. 13134, ord.), dopo aver premesso che - in
tema di sanzioni amministrative, l’art. 5 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che contempla il concorso
di persone, recepisce i principi fissati in materia dal codice penale, rendendo così applicabile la pena
pecuniaria non soltanto all’autore o ai coautori dell’infrazione, ma anche a coloro che abbiano comunque
dato un contributo causale, pure se esclusivamente sul piano psichico – ha, di conseguenza, ribadito che,
mentre il pagamento della sanzione in misura ridotta da parte di uno dei concorrenti, a norma dell’art. 16
della legge n. 689 cit., produce effetto anche nei confronti degli obbligati solidali ex art. 6 della stessa
legge, tale conseguenza non si estende nei confronti di coloro che hanno concorso nella commissione della
violazione, in sintonia con il principio della natura afflittiva della sanzione amministrativa, la quale deve
essere pagata da tutti i trasgressori.
597
Cfr. Pret. Salerno-Eboli, 19 luglio 1995, in Arch.giur. circ. sin. strad., 1996, 36, e Cass. 6 marzo 2000,
n. 2501. Cass. 29 ottobre 1998, n. 10798 ha specificato, altresì, che in tema di infrazioni amministrative,
e con riguardo all’obbligazione solidale dell’imprenditore e del dipendente prevista dall’art. 6, comma 3,
della l. n. 689/1981, il predetto vincolo di solidarietà assume rilevanza nel solo caso in cui l’Amministrazione
se ne avvalga in concreto (comminando la sanzione anche al corresponsabile in solido), e non anche nel
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
concreto realizzato la condotta illecita, si deve, per converso, escludere la
sopravvivenza dell’obbligazione solidale all’evento estintivo dell’obbligazione
principale. Ciò implica che, da una parte, la mancata notificazione o
contestazione della violazione nei confronti dell’obbligato in via principale
deve ritenersi preclusiva dell’accertamento dell’illecito anche ai fini
dell’applicabilità della sanzione nei confronti degli eventuali responsabili in via
solidale598 e, per altro verso, che, sulla scorta del principio dell’intrasmissibilità
dell’obbligazione pecuniaria agli eredi (secondo il dettato del successivo art. 7
della l. n. 689/1981), si deve riconoscere alla morte dell’agente un effetto
totalmente estintivo dell’obbligazione stessa e, dunque, liberatorio
anche nei riguardi dei responsabili in solido con il medesimo.
Sulla scorta dei riferiti principi la giurisprudenza ne ha fatto discendere
che, dal punto di vista della individuazione dei soggetti legittimati a
proporre l’opposizione con riguardo alle sanzioni riconducibili ad un
rapporto di solidarietà passiva sul piano soggettivo, tale legittimazione non
deriva dall’interesse di fatto che il soggetto può avere alla rimozione del
provvedimento, ma dall’interesse giuridico che egli abbia a tale rimozione599.
È stato conseguentemente ritenuto che dal vincolo di solidarietà che esiste,
a norma dell’art. 6 della l. n. 689/1981, tra l’autore di essa e il responsabile
caso in cui la contestazione risulti mossa nei confronti del solo dipendente, al quale non è, pertanto,
riconosciuto alcun interesse a rappresentare, in sede di opposizione all’ordinanza - ingiunzione, la mancata
contestazione (anche) al coobbligato solidale.
598
In proposito la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 20 aprile 2006, n. 9272, in Arch. giur. circ. sin.
strad., 2006, 1156) ha statuito che, in tema di violazione delle norme del c.d.s., con riferimento all’obbligo
della contestazione immediata, ove possibile, prescritta dall’art. 200 dello stesso c.d.s., e costituente
un indefettibile elemento di legittimità del procedimento irrogativo della sanzione, anche la persona
solidalmente obbligata al pagamento della stessa può dedurre in giudizio la mancata osservanza del
predetto obbligo di contestazione immediata, ancorché essa abbia riguardato la contestazione della
violazione al presunto trasgressore, tenuto conto del palese interesse derivante dal vincolo solidale tra
la propria obbligazione e quella dell’altro debitore, alla cui legittima imposizione è necessariamente
collegata quella di cui all’art. 6 della l. n. 689/1981, fondante la predetta solidarietà. Successivamente Cass.
15 novembre 2011, n. 23871, ha ripuntualizzato che, in tema di sanzioni amministrative, dall’estinzione
dell’obbligazione di colui che ha, in concreto, commesso la violazione amministrativa deriva anche
l’estinzione dell’obbligazione a carico del condebitore solidale, dovendosi riconoscere carattere principale
all’obbligazione incombente sul primo dei due soggetti ed un rapporto di accessorietà e dipendenza alla
posizione del secondo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in materia di illeciti
per omessa trattenuta sul prezzo del latte conferito dai soci, aveva ritenuto precluso l’accertamento nei
confronti della società una volta accertata l’estinzione dell’obbligazione del legale rappresentante di
questa a causa di mancata notificazione o contestazione della violazione).
599
Cfr., sul punto, Giud. pace Campi Salentina, 3 febbraio 2005, in Il Giudice di pace, 2005, 219. Rimane
fermo il principio generale in base al quale rimane da escludere che nella nozione di interessati - ai quali
spetta il diritto di proporre opposizione avverso il provvedimento irrogativo della sanzione amministrativa
pecuniaria - si possano ricomprendere anche gli eventuali responsabili solidali ai quali non sia stato
ingiunto il pagamento della sanzione (cfr. Pret. Salerno, 19 luglio 1995, cit., edita anche in Giur. mer.,
1996, 111).
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
a titolo solidale, non deriva la legittimazione dell’autore della violazione ad
impugnare l’ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria, qualora
egli non ne sia destinatario, stante l’autonomia delle posizioni dei soggetti
obbligati in solido, nei confronti dei quali sussiste l’obbligo di un’autonoma,
tempestiva contestazione, in mancanza della quale, perciò, la sua obbligazione
nei confronti dell’Amministrazione, a norma dell’art. 14, ultimo comma, della l.
n. 689 del 1981, si estingue600.
Passando alla disamina dei caratteri riguardanti i soggetti responsabili in solido
così come catalogati nell’art. 6 in discorso, l’indicazione riportata nel comma 1
di quest’ultima disposizione - che pone riferimento alle figure del proprietario,
dell’usufruttuario e del titolare di un diritto personale di godimento601 sulla
cosa che fu utilizzata o che fu destinata alla commissione della violazione - si
profila sufficientemente descrittiva e risulta essenzialmente strutturata sulla
falsariga del modello normativo trasparente dall’art. 2054 c.c.602.
Cfr., sul punto, Cass. 2 novembre 2001, n. 13588. Inoltre la facoltà dell’autore di contestare la
fondatezza della violazione nei confronti del proprietario che lo convenga in giudizio in via di regresso,
ai sensi dell’art. 6 della l. n. 689/1981 (v., ad es., Cass. 30 giugno 1997, n. 5833, in Giust. civ. Mass.,
1997, 1087) dà fondamento all’opinione che esclude la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra gli
obbligati. Così dalla giurisprudenza di merito (cfr., ad es., Pret. Salerno, 19 luglio 1995, cit. e Giud. pace
Torino, 23 dicembre 2002, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2003, 225) è stato asserito che, in tema di infrazioni
amministrative soggette a sanzioni pecuniarie, la responsabilità solidale della persona giuridica tenuta al
pagamento della somma dovuta per l’illecito di cui sia autore il suo rappresentante non comporta che
detta persona giuridica possa considerarsi interessata ai sensi dell’art. 22 della l. n. 689/1981 a proporre
opposizione contro l’ordinanza-ingiunzione emessa esclusivamente a carico del legale rappresentante
(in proprio), attesa l’autonomia delle funzioni dei soggetti obbligati in solido, in confronto dei quali
sussiste l’onere della preventiva contestazione in funzione della successiva ingiunzione di pagamento,
ed attesa altresì l’insussistenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario nelle obbligazioni solidali. Nella
giurisprudenza di legittimità v, in senso conforme, tra le tante, Cass. 23 gennaio 1998, n. 648; Cass. 4
febbraio 1998, n. 1144 e Cass. 2 novembre 2001, n. 13588, cit.
601
La giurisprudenza ha chiarito che in tema di solidarietà nelle sanzioni amministrative, l’espressione
“titolare di un diritto personale di godimento”, contenuta nell’art. 6 della l. n. 689 del 1981, va interpretata
in senso estensivo, così da comprendervi quelle relazioni con il bene riconoscibili come detenzione
autonoma o, comunque, qualificata anche dall’interesse proprio del detentore e tale da legittimarlo alla
tutela possessoria pure nei confronti del proprietario, attraverso l’azione di spoglio, con la conseguenza
che proprietario ed usufruttuario si liberano dalla presunzione di responsabilità, posta a loro carico dallo
stesso art. 6, se provano una detenzione altrui del bene in tal modo qualificata ed, in questo caso, la stessa
presunzione grava sui detentori (cfr. Cass. 28 aprile 1998, n. 4311 e, da ultimo, Cass. 24 settembre 2015,
n. 18988, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2015, 909).
602
Tuttavia, si osserva che la formulazione contenuta nel comma 1 dell’art. 6, in esame appare più ampia,
poiché si riferisce a tutti i casi in cui una “cosa” in senso giuridico (sia essa un bene mobile, un bene immobile
o anche un animale) venga utilizzata strumentalmente per la concretazione di un’infrazione da parte di un
soggetto diverso dal proprietario o dalla persona munita della titolarità dell’effettivo godimento del bene
stesso; pertanto, devono considerarsi destinatari del tipo di responsabilità in questione non soltanto i
soggetti che, secondo il disposto del richiamato art. 2054 c.c., sono tenuti a rispondere del danno causato
da circolazione di veicoli senza guida di rotaie, ma tutti coloro che, in senso generico, rivestono le qualità
soggettive dal medesimo art. 6 riportate (e così il locatario, il comodatario, ecc.).
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
La giurisprudenza ha, peraltro, precisato che il proprietario della cosa che servì
a commettere violazioni comportanti l’applicazione di sanzioni amministrative
ai sensi dell’art. 6 della l. n. 689 del 1981 è obbligato, in solido con l’autore
della violazione, al pagamento della somma dovuta anche nell’ipotesi in cui
quest’ultimo non sia stato identificato, posto che la ratio di tale responsabilità
solidale (prevista dall’art. 6 della legge stessa) non è quella di far fronte a
situazioni di insolvenza dell’autore della violazione, bensì quella di evitare che
la violazione resti impunita quando sia impossibile identificare con certezza
tale ultimo soggetto e sia, invece, facilmente identificabile il proprietario della
“cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione”603.
La prova liberatoria a cui pone riguardo lo stesso comma 1 dell’art. 6 in
commento consiste nella dimostrazione della circostanza che la cosa fu
utilizzata contro la volontà degli stessi soggetti ritenuti per legge solidalmente
responsabili. A questo proposito, la giurisprudenza604 consolidata ha affermato
che non è sufficiente a vincere la presunzione posta a carico del proprietario
(o soggetto equiparato ex lege) la prova che l’utilizzazione della cosa sia
avvenuta senza la sua volontà, cioè a sua insaputa e senza il suo consenso,
poiché tale concetto esprime una condotta passiva o un mero atteggiamento
psichico, mentre è necessaria l’allegazione di un rigoroso riscontro oggettivo
dell’esplicazione di una volontà effettivamente contraria all’utilizzazione
medesima, accompagnata dalla prova dell’adozione di quegli accorgimenti
diretti in modo idoneo ad impedirne l’utilizzazione ad opera di terzi605.
In altri termini, nel (conseguente) giudizio di opposizione a sanzione
amministrativa, l’art. 6 della l. n. 689 del 1981, così come l’art. 2054 c.c.,
Cfr. Cass. 19 dicembre 1996, n. 11350.
Così, ad es., Cass. 14 gennaio 1999, n. 327 ha ritenuto che il disposto dell’art. 6 della l. n. 689 del
1981 pone a carico del proprietario della cosa, utilizzata dall’autore della violazione, l’onere di provare
un concreto e adeguato comportamento ostativo volto ad impedire l’uso della cosa stessa da parte di
estranei, sicché non è idonea a sottrarre il proprietario alla presunzione di responsabilità per la menzionata
violazione la prova di non aver dato un espresso consenso all’uso che l’estraneo abbia fatto della cosa
(nella specie, la S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha escluso che il comportamento del
proprietario del veicolo - alla guida del quale altri aveva commesso una violazione al codice della strada integrasse la manifestazione obbiettiva del divieto, avendo egli parcheggiato la propria autovettura nel
cortile dell’abitazione materna, con la chiave di avviamento inserita, sicché il veicolo poté essere utilizzato
da un parente del proprietario medesimo). Per esempi più recenti v. Cass. 1° agosto 2003, n. 11734 e Cass.
12 agosto 2005, n. 16905.
605
Cass. 26 luglio 2002, n. 11032 (in Arch. giur. circ. sin. strad., 2002, 831) ha statuito che in base al
principio civilistico di solidarietà, richiamato dall’art. 196 c.d.s., l’ordinanza-ingiunzione per la violazione
delle norme del medesimo codice (nella specie, dell’art. 142, comma 9, per il superamento dei limiti di
velocità di oltre 40 km/h) può essere emessa nei confronti del proprietario dell’autoveicolo, quale obbligato
in solido con l’autore della violazione, indipendentemente dalla concreta circostanza che egli sia stato alla
guida dell’automobile e che non sia stato identificato il diretto responsabile, e la sua responsabilità può
essere esclusa solo nel caso in cui fornisca la prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua
volontà.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
pone a carico del proprietario una responsabilità presunta, che il medesimo
può declinare solo ove dimostri che la cosa sia stata utilizzata contro la sua
volontà, in proposito provando non già un mero difetto di assenso bensì
di avere adottato un concreto ed idoneo comportamento specificamente
inteso a vietare od impedire l’illecita utilizzazione del bene, mediante
l’impiego di cautele tali che la volontà del proprietario non possa risultare
superata606.
Peraltro, è importante sottolineare che la giurisprudenza si è portata anche
oltre l’affermazione di questi principi, avendo precisato che la presunzione
fissata dall’art. 6, comma 1, della l. n. 689 del 1981, è operante rispetto a tutte
le conseguenze dell’illecito amministrativo e non solo, pertanto, in ordine alla
sanzione di natura pecuniaria, senza che a ciò sia ostativa la dizione adoperata
nella medesima disposizione laddove pone riferimento al concetto di “somma
dovuta” per la violazione amministrativa607. È stato, infatti, puntualizzato in
sede giurisprudenziale che destinatari delle sanzioni accessorie sono gli stessi
soggetti a quali viene irrogata la sanzione pecuniaria608, onde quelle sanzioni
devono ritenersi applicabili anche nei confronti dei soggetti obbligati in solido
a norma dell’art. 6 in oggetto609.
Lo stesso art. 6, al comma 2, individua una fattispecie di responsabilità
solidale a carico del titolare di un’autorità, direzione o vigilanza per violazioni
amministrative commesse dal sottoposto610, sempre che quest’ultimo sia dotato
della capacità di intendere e di volere. In concreto, sulla scorta delle disposizioni
contenute negli artt. 2048 e 2049 c.c., questi soggetti si identificano con:
-
coloro che insegnano un’arte o un mestiere;
-
i precettori e gli insegnanti di scuole pubbliche o private (per le violazioni
compiute dagli allievi e apprendisti);
V., in proposito, Cass. 3 ottobre 2002, n. 14194.
Tale formulazione, invero, si spiega con la considerazione che essa ripete la disposizione dell’art. 3,
comma 1, della l. 24 dicembre 1975, n. 706, che comminava per l’illecito depenalizzato soltanto sanzioni
pecuniarie, mentre la successiva l. n. 689/1981 ha innovativamente introdotto le sanzioni accessorie a
quella pecuniaria (artt. 11, 20 e 21) senza, tuttavia, coordinare con la nuova previsione le disposizioni che
(come quella dell’art. 6, comma 1) sono state riprese dalla precedente normativa, espressamente abrogata
perché recepita nella nuova legge, che ha riunito tutta la disciplina in materia di depenalizzazione (per
come desumibile dall’art. 42 della stessa l. n. 689/1981).
608
Si confrontino, in proposito, i disposti degli artt. 20, comma 3, e 21, comma 1, della stessa l. n. 689/1981.
609
Del resto la stessa definizione legale di “sanzioni accessorie” indica univocamente che esse seguono
l’applicazione della sanzione pecuniaria principale, senza distinguere tra autore della violazione e
responsabile solidale (cfr., ad es., Cass., Sez. Un. civ., 30 maggio 1989 n. 2633 e Cass. 14 agosto 1992,
n. 9588, in Arch. civ., 1993, 19).
610
Il fondamento riconducibile alla previsione di questa forma di responsabilità è qualificato dalla
prevalente dottrina di natura colposa (si discorre, in proposito, di un tipo di corresponsabilità “per colpa”),
onde in sede processuale consegue l’inversione dell’onere della prova.
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
-
i datori di lavoro domestico e di tipo diverso da quello domestico (in base al
richiamato art. 2049 c.c. e, perciò, con riguardo a qualsiasi rapporto giuridico
anche non subordinato a cui si accompagna un potere di direzione).
Il successivo comma dell’art. 6 in questione estende la responsabilità solidale nei
confronti della persona giuridica, degli enti sprovvisti di personalità giuridica611
e degli imprenditori in ordine alle violazioni commesse dal rappresentante o
dal dipendente, a condizione che sussista un nesso funzionale con l’esercizio
delle incombenze riconducibili allo stesso soggetto rappresentato612.
La giurisprudenza ha sottolineato, da un punto di vista generale, che - sul
presupposto che le sanzioni amministrative rientrano tra quelle sanzioni
repressive per le quali è richiesta, oltre alla capacità di intendere e volere,
la colpa o il dolo (artt. 2 e 3 della l. n. 689 del 1981) - una persona giuridica
non può considerarsi autore della violazione alla quale la legge riconnetta
dette sanzioni ma, ai sensi dell’art. 6 della l. n. 689 del 1981, è solo obbligata
in solido per le violazioni commesse, “nell’esercizio delle proprie funzioni
o incombenze”, dal suo rappresentante o dai suoi dipendenti, con diritto
di regresso nei confronti degli stessi, specificandosi, a tal fine, che non è
sufficiente che l’attività di questi sia imputabile alla persona giuridica ma
occorre anche che sia posta in essere nell’interesse della stessa613.
In relazione alla prova liberatoria incombente ai soggetti solidalmente
responsabili in virtù del comma 2 dell’art. 6 (coincidente con la circostanza di
Con esclusione, pertanto, dei partiti, dei comitati, delle associazioni non riconosciute e delle società
commerciali. In difetto di un’apposita previsione la dottrina predominante rileva, peraltro, che tale
responsabilità non è riconoscibile a carico degli enti pubblici territoriali (che, invece, attraverso i loro
organi che li rappresentano legalmente, possono rispondere delle violazioni amministrative a titolo
di responsabilità diretta). Cass. 23 febbraio 2005, n. 3786 ha sancito che la responsabilità solidale di
persone giuridiche, enti privi di personalità giuridica o imprenditori per le violazioni commesse dal loro
rappresentante o dipendente, prevista dall’art. 6 della l. n. 689/1981, postula che l’autore della violazione
abbia agito nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze, ma non anche che abbia agito nell’interesse o a
vantaggio della persona giuridica, ente privo di personalità giuridica o imprenditore.
612
Cass. 22 giugno 2010, n. 15104, ha precisato che, ai sensi dell’art. 14 della l. 24 novembre 1981, n. 689,
la notifica della contestazione al trasgressore, ove non si riscontri la coincidenza della sua persona fisica
con quella del legale rappresentante della persona giuridica obbligata solidalmente (nei casi previsti
dall’art. 6 della stessa legge n. 689), non equivale alla notificazione a quest’ultimo e ben diverso soggetto
giuridico, ancorché esso abbia incaricato il primo dell’attività oggetto della violazione.
613
Cfr. Cass. 30 maggio 2001, n. 7351, e Cass. 28 aprile 2006, n. 9880. È importante segnalare come,
anche con riferimento alle persone giuridiche, la giurisprudenza (cfr., ad es., Cass. 4 febbraio 1998, n. 1144
e Cass. 21 novembre 2001, n. 14635) ha evidenziato che il vincolo intercorrente tra l’autore materiale
della violazione e la persona giuridica di cui è prevista la responsabilità solidale consente all’autorità
amministrativa competente di agire contro ambedue gli obbligati oppure contro uno o l’altro di essi, ferma
restando la necessità che il soggetto in concreto chiamato a rispondere si sia visto contestare o notificare
la violazione, essendo così messo in grado di far pervenire all’autorità competente scritti a sua difesa; la
legittimazione all’opposizione appartiene, poi, ai soli soggetti in concreto destinatari del provvedimento
sanzionatorio (cfr., da ultimo, Cass. 11 gennaio 2007, n. 325, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2007, 513).
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
non aver potuto impedire la condotta illecita), la prevalente dottrina ritiene che
i maestri, i sorveglianti, i preposti e i direttori (a cui viene accomunata quella
dei padroni e committenti, con esclusione degli imprenditori, per i quali trova
applicazione il regime del successivo comma 3) devono offrire sufficienti riscontri
che comprovino la preventiva predisposizione di specifiche istruzioni atte ad
evitare la realizzazione di eventi contrari a norme e regolamenti, a cui si deve
correlare la prova congiunta e consequenziale di aver esperito tutti i controlli
necessari al fine di salvaguardare l’osservanza delle disposizioni emanate.
Con riferimento ai destinatari del titolo di responsabilità stabilito dal
comma 3 dell’art. 6614 è, invece, indispensabile ribadire che gli stessi
rispondono solidalmente delle violazioni commesse dai loro rappresentanti
o dipendenti allorquando questi ultimi le abbiano realizzate nell’esercizio
dei rispettivi compiti o incombenze615. La giurisprudenza di legittimità616
ha inteso, comunque, precisare che, nel sistema introdotto dalla legge 24
614
Secondo Cass. 11 giugno 2014, n. 13196, ord., ai fini della solidarietà ex art. 6 della legge 24 novembre
1981, n. 689, l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato costituisce una “praesumptio facti” di riferibilità
al datore di lavoro dell’attività lavorativa del dipendente, presunzione vincibile solo dalla prova che tale
attività è stata svolta per conto di terzi o nell’interesse esclusivo dello stesso prestatore.
615
E, peraltro, la dottrina assolutamente predominante rileva che la particolarità di tale tipo di
responsabilità è dovuta al fatto che la legge non prevede alcuna prova liberatoria, onde essa si
atteggia come una responsabilità avente un fondamento essenzialmente oggettivo (Cerbo, Le sanzioni
amministrative, Milano, 1999, 91; Colla-Manzo, op. cit., 323). Con riferimento ad una particolare
fattispecie, la giurisprudenza di legittimità più recente (cfr. Cass. 24 settembre 2015, n. 18988, cit.)
ha stabilito che l’ultima parte dell’art. 196 del codice della strada deve interpretarsi nel senso che il
locatario è un ulteriore soggetto obbligato solidalmente, oltre al proprietario (o ai soggetti equiparati)
ed al conducente. Una diversa interpretazione di detta norma giungerebbe a vanificare il rapporto
di solidarietà, una volta che non sia agevolmente identificabile il conducente e non sia altrettanto
agevolmente accertabile il locatario, specie per i noleggi a breve termine, considerando, altresì, la
differenza ontologica intercorrente, nella struttura contrattuale, tra locazione finanziaria e locazione
pura e semplice.
616
V., da ultimo, Cass. 12 marzo 2012, n. 3879, che in applicazione del riportato principio, ha confermato
la sentenza del giudice di pace che aveva ritenuto la responsabilità diretta del legale rappresentante
di una società per le violazioni amministrative, commesse da singoli operatori, che avevano stipulato,
al di fuori dei locali commerciali, contratti per conto della stessa società mediante utilizzazione di
modulistica da essa predisposta, nella quale l’informazione sul diritto di recesso era riportata in modo
non conforme alla prescrizioni di cui all’art. 5 del d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50. In un’altra particolare
fattispecie è stato affermato (v. Cass. 25 gennaio 2012, n. 1040, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2012, 784)
che, in tema di violazione dell’art. 23 c. strada, che sanziona l’affissione non autorizzata di manifesti
pubblicitari lungo le strade, è tenuto al pagamento della sanzione, in solido con l’autore materiale della
violazione, anche il partito politico proprietario dei manifesti e beneficiario della relativa propaganda,
tenuto conto che l’art. 6 primo e terzo comma, della legge 24 novembre 1971, n. 689 individua nella
proprietà del mezzo usato per la commissione dell’infrazione e nel rapporto oggettivo e funzionale della
condotta tenuta con l’interesse ovvero gli scopi di una persona giuridica o di un ente di fatto, i titoli
stessi della solidarietà del proprietario o di detti enti con l’autore della violazione, indipendentemente
dalla identificazione della persona fisica che ha commesso materialmente la violazione. (Nella specie,
la S.C. ha confermato la decisione del giudice di pace, che aveva ritenuto che il partito politico - il quale
aveva proposto opposizione al verbale di contestazione della violazione di affissione non autorizzata di
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
novembre 1981, n. 689, fondato sulla natura personale della responsabilità,
autore dell’illecito amministrativo può essere soltanto la persona fisica che
ha commesso il fatto, e non anche un’entità astratta, come società o enti
in genere, la cui responsabilità solidale per gli illeciti commessi dai loro
legali rappresentanti617 o dipendenti è prevista esclusivamente in funzione
di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore della violazione,
rispondendo anche alla finalità di sollecitare la vigilanza delle persone e degli
enti chiamati a rispondere del fatto altrui. Il criterio d’imputazione di tale
responsabilità è chiaramente individuato dall’art. 6 della legge n. 689 cit.,
il quale, richiedendo che l’illecito sia stato commesso dalla persona fisica
nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, stabilisce un criterio di
collegamento che costituisce al tempo stesso il presupposto ed il limite
della responsabilità dell’ente, nel senso che a tal fine si esige soltanto che la
persona fisica si trovi con l’ente nel rapporto indicato, e non anche che essa
abbia operato nell’interesse dell’ente.
4. L’intrasmissibilità dell’obbligazione agli eredi
Il disposto dell’art. 7 della l. n. 689 del 1981 sancisce il principio
dell’intrasmissibilità dell’obbligazione derivante dalla responsabilità per
violazione amministrativa a carico degli eredi dell’autore di essa, in tal
modo riconfermando la validità del criterio soggettivo della responsabilità
amministrativa (equiparata - salvi casi eccezionali - alla responsabilità penale)618.
manifesti pubblicitari in suo favore - fosse tenuto al pagamento della sanzione per non aver dato prova
dell’insussistenza della sua responsabilità).
617
In un peculiare caso la giurisprudenza (v. Cass. 25 maggio 2011, n. 11481, ord.) ha precisato che,
allorché una società commerciale di notevoli dimensioni sia articolata in molteplici punti vendita, diffusi
sul territorio, dell’illecito amministrativo consumato in uno di essi (nella specie, esposizione in vendita di
alimenti privi dei prescritti dati identificativi) non può essere chiamato a rispondere il legale rappresentante
della società, ma il responsabile preposto alla singola unità ove è stato commesso il fatto, il quale ne
risponderà in solido con la società medesima, la responsabilità della quale rimarrà ferma anche nel caso in
cui non sia stato possibile, in concreto individuare la persona fisica autrice materiale dell’illecito.
618
La giurisprudenza (cfr., ad es., Cass. 4 dicembre 1996, n. 10823) ha, invero, affermato che costituisce
principio generale, riaffermato in un arco di tempo ormai considerevole e tradotto in esplicite proposizioni
normative, quello per cui le obbligazioni di pagare le somme dovute a titolo di sanzioni per le violazioni
amministrative non si trasmettono agli eredi. Tale principio si rende applicabile a tutte le violazioni per le
quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa
sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale, e trova la sua ragione giustificativa nel
carattere afflittivo di tali sanzioni che le riconduce all’ambito del diritto punitivo, accentuandone - quindi la stretta inerenza alla persona del trasgressore. La più acuta giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 23
marzo 2004, n. 5743, in Dir. & Giust., 2004, n. 30, 105), sul presupposto del principio dell’intrasmissibilità
dell’obbligazione agli eredi del trasgressore e del conseguente effetto della cessazione della materia del
contendere, ha stabilito che si profila inammissibile, per carenza di legittimazione ad agire, il ricorso per
cassazione proposto dai suddetti eredi avverso la sentenza di condanna del loro comune dante causa al
pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
La portata di questa disposizione rimane circoscritta alle sole sanzioni
amministrative pecuniarie619 nel senso che l’inerente declaratoria di estinzione
non si estende alle sanzioni accessorie da irrogare obbligatoriamente620.
Ovviamente il principio sancito dal richiamato art. 7621 non esplica la sua
efficacia, nell’ipotesi di concorso plurisoggettivo nella commissione della
La giurisprudenza (v., Cass. 4 dicembre 1996, n. 10823 e Cass. 25 maggio 2002, n. 7688) ha statuito
che le sanzioni pecuniarie per violazione delle norme tributarie, in virtù del disposto dell’art. 7 della
l. n. 689 del 1981, espressione del principio di responsabilità personale dell’autore della violazione, non
sono trasmissibili agli eredi del contribuente al quale sono state inflitte. Inoltre la stessa ha chiarito che il
menzionato art. 7 è applicabile anche alle violazioni valutarie punite con pena pecuniaria, avendo queste
natura di illecito amministrativo punitivo, e, nell’ipotesi di giudizio pendente, anche alle infrazioni valutarie
commesse prima della sua entrata in vigore, in virtù della disposizione transitoria contenuta nell’art. 40
della stessa legge. Da ciò è stato desunto che il disposto dell’art. 23, comma 1, del d.p.r. 29 settembre 1987
n. 454 (che ha dichiarato espressamente applicabile alle violazioni amministrative valutarie il succitato art. 7
della l. n. 689 del 1981) e l’analogo disposto dell’art. 23, comma 1, del T.U. delle norme di legge in materia
valutaria, approvato con d.p.r. 31 marzo 1988 n. 148, che dall’1 gennaio 1989 ha sostituito il citato d.p.r.
n. 454 del 1987, abrogandolo espressamente, hanno avuto portata non innovativa, ma esplicativa di un
principio già vigente nell’ordinamento preesistente (cfr. Cass. 15 novembre 1994, n. 9588; Cass. 15 dicembre
1995, n. 10720; Cass. 5 gennaio 1996, n. 31; Cass. 13 agosto 1996, n. 7515; Cass. 25 ottobre 1997, n. 10534).
620
Così Cass. 10 ottobre 1989, n. 4206 ha, infatti, precisato che la morte del proprietario della cosa
da confiscare, in qualunque momento intervenga, non incide sull’applicazione della confisca, qualora
essa sia prevista in via obbligatoria ed in modo “rafforzato”, cioè a prescindere dall’irrogazione della
sanzione pecuniaria (cfr. l’art. 20, comma 4, della l. n. 689/1981 per i beni intrinsecamente illeciti e
l’art. 21, comma 3, della stessa legge per i veicoli circolanti senza documenti di circolazione), atteso che,
in queste ipotesi, per effetto dell’indipendenza della confisca stessa dalla sanzione pecuniaria, non è
invocabile il principio dell’intrasmissibilità agli eredi del debito per tale sanzione posto dall’art. 7 della
citata l. n. 689/1981.
621
La cui operatività si prospetta condizionata dalla verifica del decesso dell’obbligato, anteriormente alla
definizione dell’eventuale esecuzione coatta attuata per conto dell’Amministrazione nei suoi confronti,
atteggiandosi come portatore di un effetto propriamente personale. Occorre rilevare che la giurisprudenza
(v., ad es., Cass. 28 aprile 2003, n. 6588) ha, altresì, segnalato che nel caso in cui il procuratore della
parte deceduta o divenuta incapace ometta la dichiarazione in udienza o la notificazione alle altre parti
dell’avvenuto decesso o della perdita di capacità, la posizione giuridica della parte stessa resta stabilizzata,
rispetto alle altre parti ed al giudice, quale persona ancora esistente ed ancora capace, sia nella fase
in corso del rapporto processuale che nelle successive fasi di quiescenza, dopo la pubblicazione della
sentenza, e di riattivazione a seguito di impugnazione, con la conseguenza che il procuratore alle liti resta
legittimato ad impugnare in rappresentanza della parte defunta, in forza del principio di ultrattività della
procura, sempre che questa non fosse limitata a un solo grado di giudizio. Detta disciplina, tuttavia, non
esclude che l’evento morte, ove comunque risultante in giudizio, possa assumere rilevanza in relazione
alla specifica res litigiosa: ed invero, ove la posizione giuridica fatta valere in giudizio si configuri, per sua
natura (come si verifica in relazione a determinati diritti inerenti lo status della persona per previsione di
legge, come nel caso dell’art. 7 della l. n. 689/1981 in tema di sanzioni amministrative), personalissima ed
intrasmissibile, così da estinguersi con la scomparsa del suo titolare, ovvero anche nelle ipotesi in cui sia
l’azione a tutela della posizione sostanziale ad assumere carattere strettamente personale (come si verifica
nel campo delle azioni in materia di filiazione), detto evento vale a determinare il venir meno dello stesso
oggetto della giurisdizione, con la conseguente cessazione della materia del contendere, travolgendo le
eventuali pronunce rese in precedenza e non ancora passate in giudicato.
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
violazione, nei riguardi degli altri soggetti coautori o partecipanti ritenuti,
ognuno a titolo proprio, corresponsabili dell’azione illecita.
Di più difficile risoluzione si profila la ricerca della soluzione adeguata in
relazione agli effetti che conseguono in tema di obbligazioni solidali, in
dipendenza della morte del condebitore solidale.
Mentre è pacifico che la morte dell’autore della violazione produce l’estinzione
dell’obbligazione pecuniaria nel suo complesso (i cui effetti si trasmettono,
perciò, oltre che ai suoi eredi, anche alla posizione degli eventuali condebitori
solidali622), nell’ipotesi di sopravvenuta morte del condebitore l’effetto
estintivo rimane limitato alla sfera del suo patrimonio successorio e non può
riverberarsi come circostanza comportante l’esonero della responsabilità a
carico dell’autore primario della violazione623.
L’evento della morte può rilevare in diversi momenti nell’ambito del procedimento
finalizzato all’irrogazione della sanzioni amministrativa e, in particolare:
- nel corso del procedimento di accertamento dell’infrazione ovvero di
determinazione e riscossione della sanzione;
- nell’ambito del giudizio civile conseguente alla proposizione di rituale
opposizione;
- nel processo penale in cui la violazione amministrativa si presenti
obiettivamente connessa con un reato secondo la configurazione
richiamata nell’art. 24 della l. n. 689/1981.
Nel primo caso la conseguenza non potrà che essere quella dell’archiviazione
degli atti del procedimento, in qualunque fase esso sia pervenuto624.
Nella seconda eventualità - verificandosi, naturalmente, l’effetto
dell’estinzione dell’obbligazione dei riguardi del trasgressore e la correlativa
Cfr. Cass. 2 marzo 1994, n. 2064, e Cass. 6 marzo 2000, n. 2501. V. anche Cass. 21 gennaio 2008, n. 1193,
secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, il disposto dell’art. 7 della l. 689 del 1981 (per il quale
“l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi”) e quello dell’ultimo
comma dell’art. 6 (secondo cui l’obbligato solidale che ha pagato “ha diritto di regresso per l’intero nei
confronti dell’autore della violazione”) sono espressione del principio della personalità della sanzione
amministrativa, per il quale la morte dell’autore della violazione determina non solo l’intrasmissibilità ai
suoi eredi dell’obbligo di pagare la somma dovuta per la sanzione, ma anche l’estinzione dell’obbligazione
a carico dell’obbligato solidale (nella specie, la S.C., enunciando il principio sopra indicato, ha confermato
la sentenza di merito che aveva annullato l’ordinanza ingiunzione con la quale la Direzione provinciale del
lavoro aveva preteso, dopo la morte dell’autore della violazione e nei confronti dell’obbligato solidale, il
pagamento della sanzione amministrativa per violazione della disciplina del collocamento). Nello stesso
senso, ancor più recentemente, v. Cass. 10 marzo 2011, n. 5717.
623
Cfr. Bartolini, op. cit., 377-378.
624
Questa conseguenza deriva, invero, dall’immediata estinzione della pretesa creditoria
dell’Amministrazione che comporta l’improseguibilità della procedura sanzionatoria, con conseguente
restituzione degli eventuali oggetti sottoposti a sequestro, salva la loro intrinseca illiceità e la derivante
assoggettabilità a confisca obbligatoria.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
inutilità dell’accertamento della legittimità o meno dell’esercizio del potere
sanzionatorio da parte dell’opposta Amministrazione - viene a prospettarsi
il sopravvenuto difetto di interesse ad ottenere una decisione giudiziale
sul merito dell’illecito ossia sulle eventuali eccezioni pregiudiziali di rito
sollevate, per cui il giudice, in ogni stato e grado del processo, è tenuto
senz’altro a definire il giudizio provvedendo alla relativa dichiarazione della
cessazione della materia del contendere625. La giurisprudenza ha, inoltre,
precisato che l’intrasmissibilità agli eredi della sanzione amministrativa
pecuniaria, a norma dell’art. 7 l. n. 689 del 1981, non costituisce oggetto
di eccezione in senso proprio, e, poiché la relativa questione attiene alla
fattispecie costitutiva del diritto al pagamento della sanzione, è rilevabile
anche d’ufficio626.
Nel terzo caso - pur ritenendosi da parte di certa dottrina che, sopravvenendo
la dichiarazione di estinzione del reato al quale è connessa obiettivamente la
violazione amministrativa, gli atti relativi a quest’ultima dovrebbero essere
trasmessi alla competente autorità amministrativa per la conseguente
archiviazione - la giurisprudenza, privilegiando anche motivi di economia
processuale, ha rilevato che lo stesso giudice penale può provvedere
direttamente alla declaratoria di estinzione anche della connessa obbligazione
pecuniaria amministrativa.
625
La giurisprudenza consolidata (cfr. Cass. 29 maggio 1993, n. 6048; Cass. 22 settembre 1999, n. 10244;
Cass. 18 febbraio 2000, n. 1854) ha, infatti, asserito che, ai sensi dell’art. 7, capo I, della l. n. 689/1981,
l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione amministrativa non si trasmette agli eredi,
così che la morte di colui il quale nel provvedimento sanzionatorio venga individuato come autore
dell’illecito amministrativo determina l’estinzione dell’obbligazione di pagare la connessa sanzione
pecuniaria, non altro residuando in ragione del carattere strettamente personale della responsabilità
in materia di illecito amministrativo, per il quale sia prevista la sanzione del pagamento di una somma
di danaro. Ed un tale evento fa cessare la materia del contendere, la cui dichiarazione ben può essere
pronunciata dalla Corte di Cassazione (pur in mancanza di esplicita previsione processuale), nel cui
giudizio occorre pervenire ad una pronuncia di inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto
di interesse (v., in proposito, Cass., 13 marzo 2007, n. 5880, ord.). La più recente Cass. 29 ottobre
2010, n. 22199, ha ribadito che la morte di colui che nel provvedimento sanzionatorio adottato
dall’Amministrazione è individuato come autore della violazione comporta l’estinzione dell’obbligazione
di pagare la relativa sanzione pecuniaria - giacché essa, ai sensi dell’art. 7 della legge 24 novembre
1981, n. 689, non si trasmette agli eredi - nonché, in ipotesi di pendenza del giudizio di opposizione
all’ordinanza-ingiunzione di pagamento della sanzione, la cessazione della materia del contendere sia
in ordine alla sussistenza della responsabilità, che all’entità della sanzione applicata. La dichiarazione
di tale cessazione - che fa venir meno la pronuncia sull’opposizione che sia stata impugnata e che
determina l’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza ingiunzione - può essere effettuata anche dalla
Corte di cassazione, dinanzi alla quale la documentazione dell’avvenuto decesso può essere depositata
ai sensi dell’art. 372 c.p.c. .
626
V. Cass. 8 settembre 1999, n. 9554, la quale ha stabilito, perciò, che, in caso di violazione consistente in
omesso versamento di contributi previdenziali, la relativa eccezione può essere fatta valere per la prima
volta in appello.
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
5. Il concorso di illeciti amministrativi e la
problematica dell’applicabilità del regime della
continuazione
La l. n. 689 del 1981 contiene627 anche la previsione - con la consueta clausola
di “salvezza” delle diverse disposizioni normative derogatrici - della disciplina
relativa all’ipotesi della contestuale commissione di una pluralità di violazioni
amministrative ascrivibile ad un unico agente, così occupandosi anche della
fattispecie del concorso formale628 di infrazioni amministrative realizzato
attraverso la trasgressione - mediante una sola condotta - di plurimi precetti
amministrativi (c.d. concorso eterogeneo) o della stessa disposizione
sanzionatoria (c.d. concorso omogeneo), mentre la diversa fattispecie della
“continuazione” non era contemplata nell’impostazione originaria della
richiamata legge depenalizzatrice, avendo ricevuto solo successivamente,
in modo specifico e diretto, un riconoscimento limitato alle sole infrazioni
contemplate in materia previdenziale ed assistenziale629, alla stregua di un
sopravvenuto intervento normativo integrativo dell’art. 8.
E per questo che la giurisprudenza630, a più riprese, ha statuito che in tema
di sanzioni amministrative pecuniarie, l’art. 8 l. n. 689 del 1981 prevede
il cumulo cosiddetto “giuridico” delle sanzioni per le sole ipotesi di
concorso formale, omogeneo od eterogeneo, di violazioni, ossia nelle
Colmando una lacuna del sistema sanzionatorio precedente.
È importante puntualizzare che in tema di concorso di norme contemplanti sanzioni amministrative, il
concorso cosiddetto apparente, che è previsto dall’art. 9 della l. 24 novembre 1981 n. 689, e che è soggetto
al principio di specialità, cioè all’applicazione della disposizione di natura speciale, presuppone che le
norme medesime prendano in considerazione lo “stesso fatto”. Pertanto, in presenza di fattispecie che
presentino un elemento di diversità, ancorché coincidenti in tutto od in parte con riguardo alla condotta
del trasgressore, si deve ravvisare un concorso effettivo, non apparente, con applicazione delle rispettive
sanzioni, ovvero, se si tratti di concorso formale, ai sensi dell’art. 8 della citata legge, della sanzione per
la violazione più grave aumentata sino al triplo (cfr. Cass. 10 settembre 1991, n. 9494). Per un esempio di
concorso formale tra le violazioni di cui agli artt. 23 e 25 c.d.s. commesse con una sola azione v. Cass. 24
novembre 2005, n. 24787, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2006, 616.
629
Secondo l’integrazione dello stesso art. 8, con l’inserimento del nuovo comma 2 ad opera dell’art. 1
sexies del d.l. 2 dicembre 1985, n. 688, convertito, con modif., nella l. 31 gennaio 1986, n. 11. Peraltro
la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 421 del 19 novembre 1987 (in Foro it., 1988, I, 3157) - i cui
contenuti sono stati ribaditi anche nell’ordinanza del 27 luglio 1989, n.468 - aveva dichiarato la manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale della mancata estensione del regime della
continuazione a tutti gli illeciti amministrativi in relazione all’art. 3 Cost., sul presupposto della diversità
tra l’illecito penale e quello amministrativo, nella considerazione che l’elemento dell’identità del disegno
criminoso implica un’indagine su elementi di fatto che ordinariamente non rileva con riferimento agli
illeciti amministrativi. La stessa Corte di Cassazione, successivamente, ha ritenuto conforme ai canoni
costituzionali la previsione del citato art. 8 (cfr., ad es., Cass. 26 ottobre 1998, n. 10636).
630
Cfr., ex multis, Cass. 20 maggio 1992, n. 6063; Cass. 29 marzo 1993, n. 3749; Cass. 18 aprile 1994,
n. 3693; Cass. 27 febbraio 1996, n. 1502; Cass. 1° agosto 1997, n. 7160; Cass. 20 agosto 1997, n. 7765;
Cass. 26 ottobre 1998, n. 10636; Cass. 4 agosto 2000, n. 10244.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
ipotesi di più violazioni commesse con un’unica azione ad omissione; non
lo prevede, invece, nel caso di molteplici violazioni commesse con una
pluralità di condotte. In tale ultima ipotesi non è applicabile per analogia la
normativa in materia di continuazione dettata per i reati dall’art. 81 c.p.631, sia
perché il menzionato art. 8 l. n. 689 del 1981, al comma 2, prevede una simile
disciplina solo per le suddette violazioni in materia di previdenza e assistenza
obbligatoria (evidenziandosi così l’intento del legislatore di non estendere
detta disciplina ad altri illeciti amministrativi), sia perché la differenza
qualitativa tra illecito penale e illecito amministrativo non consente che
attraverso l’interpretazione analogica le norme di favore previste in materia
penale possano essere estese alla materia degli illeciti amministrativi632.
Solo con il nuovo art. 8 bis, introdotto per effetto dell’art. 94 del d.lgs.
30 dicembre 1999, n. 507, nel quadro di un’innovazione più ampia facente
riferimento all’istituto generale della “reiterazione delle violazioni” (che, in un
certo qual senso, riprende la regolamentazione propria della recidiva rilevante
nell’ambito penale), il legislatore ha inteso - con la previsione inclusa nel
comma 4 della recente disposizione - conferire un rilievo diverso ed attenuato
alla continuazione con riguardo a tutti gli illeciti amministrativi, disponendo
che, nel caso di violazioni successive (alla prima), le stesse non sono valutate
ai fini della reiterazione quando sono commesse in tempi ravvicinati e si
prospettano riconducibili ad una programmazione unitaria.
In sostanza, perciò, la rilevanza dell’unicità del “disegno trasgressivo” non è
stata prevista in funzione dell’applicazione di una sanzione unica e ridotta
nella sua determinazione quantitativa complessiva bensì quale situazione
ostativa alla produzione degli effetti che altrimenti conseguirebbero in virtù
Cass. 4 marzo 2011, n. 5252, ha ribadito che, in tema di sanzioni amministrative, l’art. 8 della legge 24
novembre 1981, n. 689 prevede che - salve le ipotesi di cui al secondo comma, in materia di violazione
delle norme previdenziali ed assistenziali - la sanzione più grave aumentata fino al triplo può essere
irrogata nei soli casi di concorso formale, senza che possa ritenersi applicabile il medesimo meccanismo
sanzionatorio alla fattispecie della continuazione di cui all’art. 81, secondo comma, c.p.; la disciplina di cui
al citato art. 8 - che non subisce deroghe neppure in base alla successiva previsione di cui all’art. 8-bis della
medesima legge, che ha introdotto, in tema di sanzioni amministrative, il corrispondente di alcune forme
di recidiva penale - non configura alcuna ipotesi di illegittimità costituzionale sotto il profilo della disparità
di trattamento rispetto alle sanzioni penali, attesa la diversità dei due tipi di violazione.
632
V., in proposito, ad es., Cass. 16 dicembre 2005, n. 27799, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2006, 602, e Cass.
6 ottobre 2008, n. 24655, secondo cui, appunto, l’art. 8 della l. 24 novembre 1981, n. 689, pur prevedendo
l’applicabilità dell’istituto del c.d. “cumulo giuridico” tra sanzioni nella sola ipotesi di concorso formale
(omogeneo od eterogeneo) tra le violazioni contestate - in cui con un’unica azione od omissione sono
commesse violazioni plurime - non è, invece, invocabile con riferimento alla diversa ipotesi di concorso
materiale - in cui una pluralità di violazioni è commessa con più azioni od omissioni -, atteso che la norma
prevede espressamente tale possibilità soltanto per le violazioni in materia di previdenza ed assistenza e
che non è applicabile in via analogica l’art. 81 c.p., stante la differenza morfologica tra illecito penale ed
illecito amministrativo, anche alla luce del diverso atteggiarsi dei profili soggettivi relativi alle due tipologie
di illecito (v. Corte Cost. n. 421 del 1987). Nello stesso senso v., già, anche Cass. 21 maggio 2008, n. 12974.
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
del riconoscimento della sussistenza della “reiterazione”, disciplinata nei
precedenti commi del medesimo art. 8 bis633.
In definitiva, nella materia delle sanzioni amministrative, allorché siano poste
in essere inequivocabilmente più condotte realizzatrici della medesima
violazione, non è applicabile in via analogica l’istituto della continuazione
di cui all’art. 81, secondo comma, c.p., ma esclusivamente quello del
concorso formale, in quanto espressamente previsto dall’art. 8 della
legge 24 novembre 1981, n. 689, il quale richiede l’unicità dell’azione od
omissione produttiva della pluralità di violazioni. La disciplina stabilita dal
citato art. 8 non subisce deroghe neppure in base alla successiva previsione
di cui all’art. 8-bis della medesima legge, che, salve le ipotesi eccezionali
del secondo comma, ha escluso, sussistendo determinati presupposti, la
computabilità delle violazioni amministrative successive alla prima solo
al fine di rendere inoperanti le ulteriori conseguenze sanzionatorie della
reiterazione634.
Pertanto, nell’attuale quadro normativo, al di là del limitato (ed improprio)
effetto conferito alla continuazione in relazione alla sua attitudine ad escludere
le conseguenze della reiterazione, l’unificazione, ai fini dell’applicazione della
sanzione - nella misura massima del triplo di quella prevista per la violazione
più grave635 - in ordine a plurime trasgressioni di diverse disposizioni o della
medesima disposizione, riguarda, ai sensi del comma 1 dell’art. 8 in questione,
esclusivamente l’ipotesi in cui la pluralità delle violazioni discenda da un’unica
condotta e, quindi, non opera nel caso di condotte distinte, quantunque
collegate sul piano dell’identità di una stessa intenzione plurioffensiva (al
di fuori ovviamente delle violazioni attinenti alla materia previdenziale ed
Cfr., in proposito, Bartolini, op. cit., 386-388; Colla-Manzo, op. cit., 280. In concreto, per poter applicare
il beneficio derivante da questa “continuazione anomala” occorre la contemporanea sussistenza di due
elementi: quello temporale (dato dalla ravvicinata commissione degli illeciti) e quello di indole psicologica,
riconducibile ad un’unica programmazione delle violazioni amministrative. Peraltro la giurisprudenza ha
puntualizzato che è inapplicabile alle violazioni amministrative commesse in epoca antecedente all’entrata
in vigore del d.lgs. 507/1999 la disciplina sanzionatoria di cui all’art. 8 l. n. 689/1981 (limitata al solo caso
di pluralità di violazioni commesse con un’unica azione od omissione) nell’ipotesi di pluralità di azioni
od omissioni commesse in violazione della medesima norma di legge, non potendo trovare applicazione
retroattiva il disposto del successivo art. 8 bis, introdotto dall’art. 94 del citato d.lgs. n. 507/1999, che ha
inteso regolare secondo i principi della continuazione (“reiterazione”) anche la pluralità di violazioni della
stessa indole (cfr. Cass. 15 marzo 2001, n. 3756).
634
Cfr., da ultimo, Cass. 16 dicembre 2014, n. 26434, in Foro it., 2015, I, 1663.
635
E’ stato, sul punto, affermato (v. Cass. 13 ottobre 2010, n. 21145) che, ove la P.A. abbia irrogato
un’unica sanzione complessiva per una pluralità di violazioni, non ha anche l’obbligo di specificare la parte
di sanzione riferibile ad ognuna delle violazioni, dovendosi ritenere che l’art. 8 della legge n. 689 del 1981,
nel prevedere solamente che la sanzione complessiva non deve superare il triplo di quella prevista per la
violazione più grave, escluda la necessità di una simile specificazione. Ne consegue che, in caso di ricorso,
resta parimenti esclusa la configurabilità di un obbligo in capo al giudice di specifica motivazione delle
componenti della sanzione.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
assistenziale, indicate nel comma 2), nella cui ipotesi, perciò, trova applicazione
il criterio generale del cumulo materiale delle sanzioni636.
Con riferimento a tali infrazioni la giurisprudenza637 ha chiarito che avverso
più ordinanze-ingiunzioni irrogative di sanzioni amministrative per violazioni
della stessa disposizione di legge è ammissibile la proposizione di un’unica
opposizione da parte dell’ingiunto, fermo restando il potere del giudice del
merito di valutare se ricorrano in concreto gli estremi della continuazione, ai
sensi dell’art. 8, comma 2, della l. 24 novembre 1981 n. 689638.
V. Cass. 21 marzo 1992, n. 3527; Cass. 17 marzo 1994, n. 2573; Cass. 27 febbraio 1996, n. 1502.
Specificamente Cass. 5 luglio 1995, n. 7408, come pure la precedente Cass. 22 giugno 1995, n. 7042,
hanno sancito che l’unificazione della sanzione prevista dall’art. 8, comma 1, l. 24 novembre 1981 n. 689,
quando siano commesse più violazioni della stessa o di diverse disposizioni che prevedono sanzioni
amministrative, riguarda soltanto l’ipotesi in cui tale pluralità di violazioni discenda da un’unica condotta
(concorso formale di violazioni) e, pertanto, non opera nel caso di condotte distinte (concorso materiale
di violazioni) (come nella fattispecie riguardante distinte violazioni del divieto di sosta commesse in tempi
diversi). Così, anche, ad es., Cass. 12 dicembre 1995, n. 12712 (in senso conforme cfr. la successiva Cass. 7
aprile 1999, n. 3433), ha stabilito che in tema di infrazioni amministrative, nel caso di pluralità di violazioni
della medesima norma di legge in materia di collocamento al lavoro (in particolare, assunzione di lavoratori
senza il preventivo nullaosta dell’ufficio del lavoro) compiute in tempi diversi, non è applicabile la disciplina
della “continuazione” ai sensi dell’art. 8 della l. 24 novembre 1981 n. 689, atteso che questa (a parte quanto
specificamente previsto - ex art. 1 sexies del d.l. n. 688 del 1985, convertito con l. n. 11 del 1986 - per
le violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatorie) si riferisce solo all’ipotesi di violazione di
diverse disposizioni o della stessa disposizione compiute con una sola azione od omissione, e non anche
alla diversa fattispecie di più violazioni attraverso una pluralità di azioni od omissioni, pur se esecutive di un
unico disegno. Cass. 21 maggio 2008, n. 12844, ha precisato, altresì, che non è configurabile la continuazione
in caso di contestazione di plurime emissioni di assegni senza provvista o senza autorizzazione, in quanto
l’art. 5 l. 15 dicembre 1990, n. 386, come mod. dal d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, regolamenta il caso di
plurime emissioni di assegni senza autorizzazione o senza provvista, al solo fine di aggravare il trattamento
sanzionatorio di ulteriori sanzioni amministrative accessorie, analogamente a quanto stabilito, per la
cosiddetta reiterazione degli illeciti amministrativi, dall’art. 8 bis legge n. 689 del 1981.
637
Cfr. Cass. 25 maggio 1995, n. 5731. E’ stato, peraltro, soggiunto (v. Cass. 17 gennaio 2011, n. 944, ord., e
Cass. 22 febbraio 2012, n. 2657, ord.) che, in tema di sanzioni amministrative, la competenza per territorio
a conoscere dell’opposizione al verbale di accertamento di infrazione di norme sulla circolazione stradale
ha natura inderogabile, con la conseguenza che, non applicandosi a tali illeciti l’istituto della continuazione
così come disciplinato dall’art. 81 c.p., la connessione derivante dalla reiterazione della condotta non può
avere alcun effetto processuale nel senso di attrarre la competenza per territorio in favore del giudice di
pace competente per l’opposizione al verbale concernente l’accertamento della prima violazione.
638
È stato, altresì, precisato (cfr. Cass. 15 giugno 1998, n. 5957) che, in tema di infrazioni a norme di
legge in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie sanzionabili con pena pecuniaria amministrativa,
il principio secondo il quale la prescrizione (quinquennale ex art. 28 l. n. 689 del 1981) decorre dalla
data della corrispondente violazione trova applicazione anche in presenza di una pluralità di illeciti,
ancorché commessi con più azioni in esecuzione di un medesimo disegno sì da essere legati dal vincolo
della continuazione ex art. 8, comma 2, l. n. 689 del 1981, con la conseguenza che, per ciascuno di essi,
deve essere autonomamente computato detto termine, mentre non rileva l’eventuale unificazione degli
illeciti medesimi, quoad poenam, sotto il vincolo della continuazione, atteso che tale circostanza non può
rendere operante, in una materia in cui la prescrizione è soggetta esclusivamente alle regole civilistiche,
la norma dettata per il reato continuato dall’art. 158 c.p. (decorrenza dalla prescrizione dalla cessazione
della continuazione).
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
Per quanto riguarda il profilo sanzionatorio degli illeciti amministrativi c.d.
“permanenti”, pure configurabili in concreto e caratterizzati dalla protrazione
nel tempo della condotta antigiuridica, in dottrina639 si è fatta osservare
l’incongruità di quella soluzione propugnante il cumulo delle sanzioni da
irrogare ogni qual volta intervenga un autonomo atto di accertamento
della condotta illecita con una conseguente moltiplicazione di ipotesi di
perseguibilità di comportamenti che, però, sostanzialmente, rimangono unici,
ovvero si atteggiano come singole manifestazioni facenti parte di un’unica
azione commessa in uno stesso contesto ideologico e strutturale sul piano
materiale.
La giurisprudenza - comprendendo la natura sottostante all’illecito a
connotazione permanente640 - ha recepito le anzidette considerazioni,
chiarendo che soltanto la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione è idonea a
spezzare l’unicità dell’illecito, per cui sino a tale momento il soggetto privato
deve rispondere di un’unica violazione, malgrado l’eventuale ripetizione di
accertamenti, verbalizzazioni e diffide da parte degli organi accertatori e delle
competenti autorità amministrative641.
Come anticipato, con l’art. 94 del richiamato d.lgs. n. 507 del 1999, il legislatore inserendo il nuovo art. 8 bis nel corpo della l. n. 689 del 1981 - ha individuato,
oltre al profilo della limitata rilevanza dell’istituto della continuazione in
senso generalizzato, anche un regime normativo che conferisse rilievo
pure all’aspetto concernente la reiterazione delle violazioni amministrative,
nell’ottica di garantire un certo equilibrio tra il soddisfacimento di un’esigenza
afferente al decongestionamento del sistema penale e la realizzazione di
quella riconducibile al potenziamento dell’efficacia dissuasiva del complesso
sanzionatorio amministrativo642.
V. Bartolini, op. cit., ibidem.
La giurisprudenza più recente (v. Cass. 14 settembre 2006, n. 19781, in Arch. giur. circ. sin. strad.,
2007, 246) ha sottolineato che, in caso di violazione di natura permanente, l’atteggiamento antidoveroso
di chi viola il precetto si protrae nel tempo fino al compimento dell’azione che pone fine alla situazione
antigiuridica di pericolo, mentre con la contestazione della violazione, anche se seguita dall’applicazione
della relativa sanzione e dall’eventuale pagamento in misura ridotta, la permanenza si interrompe e
nella ulteriore persistenza dell’inadempimento si realizza una nuova violazione del medesimo precetto,
autonomamente sanzionabile.
641
Cfr., in proposito, Cass. 3 ottobre 1988, n. 5334; in termini più precisi la stessa giurisprudenza
(v., ad es., Cass. 21 gennaio 1985, n. 204) ha affermato che, nell’illecito amministrativo di tipo
permanente, il persistere dell’autore dell’infrazione nella propria condotta illegittima dopo
la contestazione del fatto, non consente un ulteriore esercizio del potere sanzionatorio, in
considerazione del carattere unitario della fattispecie illecita, fino a quando il procedimento,
attivato con quella contestazione, non si sia concluso con la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione
irrogativa della sanzione pecuniaria; solo dopo tale notificazione, che segna l’interruzione
dell’indicata permanenza, è configurabile un nuovo autonomo illecito e, quindi, si profila possibile
esperire nuovamente l’esercizio del suddetto potere.
642
Per l’individuazione di questa “ratio” cfr. Colla-Manzo, op. cit., 279.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
Come pure si diceva in precedenza, la disciplina della reiterazione delle
violazioni643 è strutturata sul modello del regime sanzionatorio previsto, nel
campo penale, per la recidiva, pur distinguendosene per alcuni tratti propri.
In primo luogo la reiterazione rileva soltanto con riferimento alle condotte
trasgressive connotate dalla “stessa indole” o relative alla medesima
disposizione normativa (si discorre, in proposito, perciò, di “reiterazione
specifica”), con esclusione della rilevanza della c.d. “reiterazione generica”.
Le condizioni alle quali è subordinata l’operatività della reiterazione sono
essenzialmente due: da un lato, deve ricorrere la commissione di un’altra
violazione della stessa indole644 entro i cinque anni successivi alla commissione di
una violazione amministrativa accertata con provvedimento esecutivo645; dall’altro
lato è necessario che intervenga l’accertamento con un unico provvedimento
esecutivo delle plurime violazioni della stessa indole commesse nel quinquennio.
Malgrado la specificazione di queste condizioni generali, il menzionato art. 8
bis non determina con precisione quali sono gli effetti - come potrebbero
essere, ad esempio, quelli implicanti un aumento proporzionale della
sanzione o l’aggiuntiva irrogazione di una sanzione accessoria - che derivano
dalla constatazione della reiterazione delle violazioni sulla scorta dei precisati
presupposti, ma si limita espressamente a prevedere genericamente che ad
essa conseguono gli effetti che la legge esplicitamente stabilisce646, con la
Che, tuttavia, non costituisce una novità assoluta nell’ambito del sistema sanzionatorio amministrativo
poiché, in precedenza, era prevista una disposizione analoga all’art. 8 bis, ancorché settoriale, contenuta
nell’art. 7 del d.lgs. 18 dicembre 1992, n. 472, con riferimento agli illeciti tributari puniti con sanzione
pecuniaria amministrativa (e che, in virtù della specialità del relativo regime, continuano ad essere
disciplinati dalla normativa settoriale).
644
Il requisito della medesimezza dell’indole tra le varie violazioni si evince dal comma 2 dell’art. 8 bis,
laddove si pone riferimento alla violazione della stessa disposizione normativa ovvero, in caso di infrazioni
relative a differenti disposizioni, alla sussistenza di sostanziale omogeneità o di caratteri fondamentali
comuni, esteriorizzantisi attraverso la natura dei fatti che le costituiscono o desumibili dalle modalità
dell’azione, così dandosi maggiore rilievo - rispetto alla corrispondente disciplina penalistica - all’aspetto
oggettivo della condotta e della omogeneità delle caratteristiche degli illeciti.
645
È importante segnalare che i momenti temporali da prendere in considerazione e da porre a confronto
sono riferiti alla commissione delle violazioni e non già al loro accertamento.
646
Per degli esempi si ponga riferimento: - alla nuova disciplina in tema di assegni bancari, a seguito della
depenalizzazione intervenuta con gli artt. 28 e 29 del d.lgs. n. 507/1999, alla stregua della quale l’istituto
della reiterazione comporta un aumento delle sanzioni amministrative (determinato in modo autonomo e
non in virtù di un meccanismo proporzionale) nell’ipotesi di violazioni successive alla prima nel termine di
cinque anni, oppure fa scattare l’applicazione di sanzioni accessorie (previste nell’art. 31 dello stesso d.lgs.)
nel caso in cui il traente, nel quinquennio precedente, abbia commesso due o più violazioni riguardanti
l’emissione di assegni per una somma complessivamente superiore all’importo di euro 10329,14; - alle
innovazioni concernenti la reiterazione in caso di sanzioni amministrative in materia di autotrasporto e
circolazione stradale, così come introdotte dall’art. 18 del medesimo d.lgs. n. 507/1999, con la previsione, in
particolare nel caso di reiterazione specifica, dell’applicazione di una sanzione pecuniaria più grave ovvero
della sanzione accessoria della confisca amministrativa del veicolo; - all’art. 31 della l. 25 febbraio 1992,
n. 157, in materia di caccia, laddove alla reiterazione delle violazioni è ricondotta l’irrogazione sia di sanzioni
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
puntualizzazione che la stessa non trova modo di operare nell’eventualità
in cui si proceda al c.d. pagamento in misura ridotta (previsto, in generale,
dall’art. 16 della l. n. 689 del 1981), cui consegue l’estinzione dell’illecito e,
quindi, anche l’inidoneità dello stesso a valere come “precedente”647.
Gli effetti conseguenti alla reiterazione possono essere assoggettati
a sospensione fino a quando non sopravvenga la definitività del
provvedimento (provvisoriamente esecutivo) che abbia accertato la violazione
precedentemente commessa e, in tal caso, la legge riconduce la possibilità
di ottenere il provvedimento cautelare di sospensione o da parte della
competente autorità amministrativa quando ancora non si è esaurita la fase
dell’irrogazione del provvedimento amministrativo sanzionatorio successivo
o da parte del giudice investito con l’opposizione in sede giudiziale, a
condizione che si configuri il pericolo di un grave danno648.
Con una disposizione di chiusura, infine, l’art. 8 bis dispone che gli effetti della
reiterazione cessano ipso iure, in ogni caso, quando il provvedimento sanzionatorio
riguardante l’accertamento della precedente violazione venga annullato.
In definitiva649, in tema di sanzioni amministrative, l’istituto della reiterazione
nell’illecito, previsto dall’art. 8 bis della l. 24 novembre 1981 n. 689,
introdotto dall’art. 94 d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507, rappresenta il
corrispondente in materia amministrativa di alcune forme della recidiva
penale (specifica ed infraquinquennale, art. 99, comma 2, nn. 1 e 2, c.p.),
fungendo da circostanza aggravante nei casi espressamente previsti dalla
legge. Pertanto, esso non opera quale elemento unificante ai fini della sanzione
del precedente articolo 8 a guisa di continuazione (art. 81, c. 2, c.p.), e non ha
modificato il principio generale, desumibile dal citato articolo 8, secondo cui
la sanzione più grave aumentata sino al triplo non può essere irrogata, salve
le ipotesi eccezionali del secondo comma (violazioni delle norme previdenziali
ed assistenziali), che nei soli casi di concorso formale (corrispondente al primo
comma dell’art. 81 c.p.). La previsione di cui al comma 4 del medesimo art. 8
bis della l. 24 novembre 1981 n. 689, relativa alle “violazioni amministrative
commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria”,
pecuniarie aumentate che di sanzioni accessorie (come la revoca o l’esclusione ella licenza di caccia); all’art. 3, comma 2, lett. a) del d.lgs. cit. n. 507/1999, che, in materia alimentare, nei casi di reiterazione,
ha sancito l’irrogabilità delle sanzioni accessorie della chiusura o della sospensione dello stabilimento o
dell’esercizio commerciale, con la correlata revoca della licenza od autorizzazione amministrativa.
647
V., ancora, Bartolini, op. cit., 396-397.
648
Da valutare in relazione alla condizione complessiva del soggetto opponente e alla potenziale
irreversibilità del pregiudizio che potrebbe derivare alla sua sfera giuridica dall’esecutività immediata
degli effetti riconducibili alla reiterazione delle violazioni, soprattutto nell’eventualità della previsione di
aggiuntive e particolarmente penalizzanti sanzioni accessorie.
649
Cfr., per tutte, Cass. 8 agosto 2007, n. 17347.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
è dettata al solo fine di escludere l’effetto aggravante che deriverebbe dalla
reiterazione e non in funzione di unificazione della sanzione.
6. I motivi di opposizione e il possibile contenuto della
domanda
Il processo di opposizione a ordinanza-ingiunzione650 era connotato da diversi
elementi di specialità che lo qualificavano come un modello processuale
autonomo nel panorama generale del sistema processualcivilistico, per cui si
riteneva che gli istituti del rito ordinario intanto potessero reputarsi ad esso
applicabili in quanto sussistesse un rapporto di compatibilità con il modello
base individuato nella menzionata l. n. 689/1981 (con riferimento alla parte
allora vigente), influenzato sia dalla previsione di disposizioni processuali
specifiche che caratterizzavano lo stesso rito speciale che, sotto altro profilo,
dalla natura peculiare e dall’oggetto unico propri di quest’ultimo procedimento.
Si è già evidenziato (v., soprattutto, Cap. 1, par. 4) che, però, con l’art. 6
del d. lgs. n. 150 del 2011, le controversie in materia di opposizione ad
ordinanza-ingiunzione – già disciplinate dagli articoli 22 e seguenti della
legge 24 novembre 1981, n. 689 - sono state inserite tra i procedimenti
regolati dal rito del lavoro (individuato, dallo stesso d. lgs., come uno
dei tre riti paradigmatici principali sul cui modello sono stati conformati i
vari riti sparsi nel sistema processualcivilistico), perché presentano caratteri
di concentrazione processuale, risultanti già dai tratti generali del giudizio
previsto dall’art. 23 della legge n. 689 del 1981, anche con riferimento alla
natura essenzialmente officiosa della relativa istruzione.
Tuttavia, sono state mantenute molte delle peculiarità del rito disciplinato
dalla citata l. n. 689/1981 (diverse da quelle realizzabili mediante l’applicazione
della disciplina del rito del lavoro: su cui si rimanda al successivo Cap. VI),
650
Che non rientra tra quelli per i quali l’art. 3 della l. 7 ottobre 1969, n. 742 dispone l’inapplicabilità della
sospensione dei termini in periodo feriale: cfr. Cass. 5 agosto 1996, n. 7146, Cass. 8 novembre 1999, n. 12430
e Cass., Sez. Un., 30 marzo 2000, n. 67/SU, in Gius, 2000, 1650. In particolare con la sentenza a sezioni unite
n. 63 del 30 marzo 2000 la S.C. ha stabilito che il procedimento di opposizione a ordinanza-ingiunzione
relativa all’applicazione di sanzioni amministrative disciplinato (già) dagli artt. 22 e 23 l. n. 689 del 1981 non
rientra tra quelli per i quali l’art. 3 l. n. 742 del 1969 sancisce l’inapplicabilità della sospensione dei termini
in periodo feriale, né l’inapplicabilità della suddetta sospensione può ritenersi nelle ipotesi di violazioni
amministrative concernenti la materia del lavoro o della previdenza e assistenza obbligatorie, sulla base
dell’assunto che tali controversie rientrano tra quelle indicate dagli artt. 409 e 442 c.p.c. e sono, pertanto,
soggette al rito speciale del lavoro, in quanto tale possibilità sussiste solo nei casi espressamente indicati
dall’art. 35 l. n. 689 del 1981 (violazioni consistenti nell’omissione totale o parziale dei contributi e premi o
violazioni dalle quali derivi l’omesso o parziale versamento di contributi e premi), norma che ha la funzione
di valutazione legale tipica della natura del giudizio di opposizione come idoneo a soggiacere, con le sole
eccezioni espressamente previste, al regime di sospensione dei termini in periodo feriale. Nello stesso senso
cfr., più recentemente, Cass. 22 luglio 2008, n. 20189, e Cass. 26 febbraio 2009, n. 4651.
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
valorizzando, soprattutto, il mutato quadro normativo anche per effetto degli
interventi della Corte costituzionale che si sono succeduti in questa materia.
Il ricorso introduttivo dell’opposizione in discorso (la cui procedibilità
non è condizionata dalla necessità del preventivo esperimento del
procedimento di mediazione di cui all’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010,
non rientrando l’oggetto di tale domanda nelle materie assoggettate a
tale tipo di “filtro”) - come è noto - non investe soltanto la legittimità
dell’ordinanza-ingiunzione651 in sé considerata, ma tende anche - e
soprattutto - ad incidere sulla verifica della ritualità formale e sulla legittimità
sostanziale dell’esercizio della potestà amministrativa che sfocia nell’emissione
del provvedimento sanzionatorio applicato in concreto nei confronti del
cittadino652. In questa ottica, la dottrina più acuta653 ha ritenuto che l’oggetto
del processo deve essere individuato nel rapporto di diritto sostanziale (tra
cittadino e P.A.) che costituisce il presupposto dell’atto amministrativo che
può formare oggetto di opposizione, con l’aggiunta del corollario che, una
volta annullato il provvedimento, l’Amministrazione non ha più il potere di
emettere una nuova ordinanza in relazione alla stessa violazione654.
In tal senso, quindi, l’opposizione può riferirsi ad una molteplicità di oggetti
specifici che vanno dalla contestazione delle concrete modalità di manifestazione
della predetta potestà sanzionatoria alla deduzione della fondatezza della
pretesa emergente dall’insussistenza del fatto illecito imputato al ricorrente,
dall’inattribuibilità della condotta integrante la supposta violazione all’ulteriore
deduzione della sussistenza di cause esimenti, dall’irritualità dell’accertamento
Ovvero - come più ampiamente evidenziato nel capitolo terzo - di altro atto amministrativo
sanzionatorio svolgente funzione omologa, come il verbale di accertamento non impugnato con ricorso
in via amministrativa (nell’ambito delle violazioni al c.d.s.) o della cartella esattoriale attraverso la cui
notificazione il presunto trasgressore venga per la prima volta a conoscenza dell’addebito della violazione
amministrativa per inesistenza o nullità della pregressa attività di contestazione e della correlativa
notificazione degli inerenti atti: cfr. Cass. 17 dicembre 1998, n. 12628, in Arch. giur. circ. sin. strad., 1999,
108; Cass. 3 aprile 2000, n. 4006, ivi, 2001, 393; Cass. 3 agosto 2001, n. 10711 e, da ultimo, Cass. 16
febbraio 2007, n. 3647, nonché Cass. 6 agosto 2009, n. 18015.
652
V., tra le tante, Cass. 27 novembre 1999, n. 13263 e Cass. 11 settembre 2001, n. 11582.
653
V., in particolare, F.P. Luiso, Dir. proc. civ., Milano, 2011, IV, 330 e segg., nonché, da ultimo, anche a seguito
delle modifiche introdotte dal d. lgs. n. 150 del 2011, G.C. Poli, op. cit., in Foro it., 2012, V, spec. 142,143.
654
G.C. Poli, ibidem, osserva che il modello impugnatorio reagisce, tuttavia, sui poteri delle parti e sull’ambito di
cognizione, al punto che tutte le ragioni poste a fondamento della domanda di annullamento dell’atto opposto
devono risultare già dal ricorso introduttivo; che l’Amministrazione opposta non può dedurre, a conforto della
pretesa sanzionatoria, motivi o fatti diversi da quelli cristallizzati nel provvedimento ingiunto; che, infine,
al giudice è inibito il rilievo d’ufficio di ragioni di nullità del provvedimento opposto o del procedimento
amministrativo diverse da quelle dedotte dall’opponente, salve le ipotesi eccezionali e limitate dell’inesistenza
dell’atto opposto o della violazione del principio di legalità previsto dall’art. 1 della l. n. 689/1981.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
e degli adempimenti relativi alla fase della contestazione655 all’inapplicabilità in
concreto di sanzioni principali ed accessorie, e via dicendo.
In sostanza, l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione irrogativa di una
sanzione amministrativa (che non ha natura di impugnazione dell’atto della
P.A.) introduce un ordinario giudizio di cognizione sul fondamento della
pretesa dell’autorità amministrativa, nel quale le vesti sostanziali di attore e
convenuto, anche ai fini della ripartizione dell’onere della prova (salvo il potere
istruttorio ora da intendersi attribuito al giudice dall’art. 421 c.p.c., per effetto del
richiamo operato – peraltro limitandone la portata – dall’art. 2, comma 4, del d.
lgs. n. 150 del 2011), spettano, rispettivamente, alla P.A. e all’opponente656.
Il contenuto specifico dell’atto di opposizione si ripercuote sulle singole richieste
finali (costituenti il c.d. petitum immediato) che vengono formulate al giudice
competente e che si traducono, in generale, nell’invocare l’annullamento totale
o parziale del provvedimento sanzionatorio, nella domanda di riduzione della
sanzione irrogata od anche nella declaratoria della cessazione della materia
del contendere per eventi sopravvenuti657, previa, se del caso, la proposizione
dell’istanza tendente all’ottenimento della sospensione dell’esecutività del
provvedimento impugnato.
Ad ogni modo – e nonostante l’attuale applicabilità del rito del lavoro alla
stregua e nei limiti di quanto previsto nell’art. 2 del d. lgs. n. 150 del 2011- è
indiscutibile che l’individuazione dell’oggetto e del contenuto dell’opposizione
assume una determinata e puntuale rilevanza per le parti e per il giudice,
atteso che i principi generali del divieto di mutamento della domanda e della
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato impongono, anche in questa
materia speciale, di indicare, con sufficiente certezza, i limiti dei contenuti
oggettivi e dei profili soggettivi della controversia658.
Su quest’ultimo punto la giurisprudenza è consolidata nell’affermare che
l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione introduce un giudizio di accertamento
Basti pensare, a titolo esemplificativo, alle innumerevoli questioni che vengono dedotte in tema
di assunta illegittimità dell’accertamento dell’illecito amministrativo attraverso strumenti elettronici
rivelatori della velocità: cfr., sul punto, tra le tante, Cass. 5 giugno 1999, n. 5542; Cass. 18 maggio 2000,
n. 6475; Cass. 22 giugno 2001, n. 8515; Cass. 12 giugno 2007, n. 13698.
656
Cfr., ad es., Cass. 7 marzo 2007, n. 5277, e Cass., sez. un., 30 settembre 2009, n. 20930.
657
Come la morte del trasgressore, il pagamento nelle more della sanzione applicata con
ordinanza-ingiunzione e non più contestata successivamente, la revoca o l’annullamento d’ufficio da parte
della P.A. del provvedimento sanzionatorio opposto.
658
Cfr., ad es., Cass. 15 novembre 2001, n. 14320, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2002, 380, secondo cui,
nel giudizio di opposizione già regolato dagli artt. 22 e 23 della l. 24 novembre 1981, n. 689, il giudice
non poteva rilevare d’ufficio vizi dell’atto amministrativo impugnato diversi da quelli fatti valere con l’atto
introduttivo, ostandovi il principio di cui all’art. 112 c.p.c., che vieta al giudice di porre a fondamento della
decisione fatti estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi)
nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della pretesa. Nello stesso senso v. anche Cass.
24 giugno 2003, n. 9987; Cass. 9 marzo 2004, n. 4781 e Cass. 20 aprile 2005, n. 8293.
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
negativo della pretesa sanzionatoria il cui limite è segnato dalle causae
petendi fatte valere con l’atto introduttivo, con la conseguenza che il giudice salve le ipotesi di inesistenza dell’atto impugnato - non può rilevare d’ufficio
motivi di nullità dell’atto medesimo né del procedimento amministrativo
che l’ha preceduto nemmeno sotto il profilo della disapplicazione del
provvedimento659, mentre l’opponente ha facoltà di modificare l’originaria
domanda nei limiti e nei tempi ora consentiti dall’art. 420, co. 2°, ultima parte,
c.p.c.660, ma non può introdurre domande nuove661.
Contrariamente a quanto previsto come ammissibile nel rito ordinario, va, infine,
sottolineato come la giurisprudenza abbia puntualizzato che, nel giudizio in
discorso, non è consentita nemmeno la proposizione di domande fondate
su titoli differenti (da quelli attinenti all’impugnazione della sanzione
amministrativa662), come potrebbe essere quella di risarcimento dei danni
formulata dalla parte ricorrente663. L’affermazione di tale principio è fondata
Cfr., in proposito, Cass. 18 febbraio 2000, n. 1857; Cass. 12 agosto 2000, n. 10796; Cass. 28 giugno
2001, n. 8869, in Foro it., 2002, I, 137; Cass. 17 settembre 2003, n. 13667 e Cass. 9 marzo 2004, n. 4781, cit.
660
Mentre prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 150/2011, alla luce dell’assetto processuale indotto con
l’intervento riformatore di cui all’art. 2, comma 3, lett. c-ter d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., nella l. 14
maggio 2005, n. 80 (come modificato dall’art. 8, comma 1, d.l. 30 giugno 2005, n. 115, conv., con modif., nella l.
17 agosto 2005, n. 168 e, successivamente, dall’art. 1, comma 1, lett. a), nn.1), 2) e 3), della l. 28 dicembre 2005,
n. 263 e dall’art. 39 quater, comma 1, del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, conv., con modif., nella l. 23 febbraio
2006, n. 51, a decorrere dal 1° marzo 2006), si sarebbe dovuto intendere richiamato l’art. 183 c.p.c., siccome
regolamentante la disciplina della contestuale prima udienza di comparizione e di trattazione (con le inerenti
preclusioni attinenti alle allegazioni difensive individuanti il thema decidendum), le cui attività avrebbero dovuto
intendersi conglobate, nel giudizio di cui all’art. 23 della l. n. 689/1981, nella prima udienza fissata a seguito della
formulazione dell’opposizione (stante la incompatibilità del giudizio ex art. 23 della l. n. 689/1981 con le attività
cadenzate proprie del giudizio ordinario di cognizione: cfr. Cass. 16 ottobre 2009, n. 22060).
661
Cfr. Cass. 27 luglio 1996, n. 6822 e Cass. 5 novembre 1999, n. 12324, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2000,
139, con cui - come già segnalato - era stato stabilito che “il principio ricavabile dall’art. 23 della l. 24 novembre
1981, n. 689, secondo il quale nel procedimento di opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento di sanzione
pecuniaria amministrativa il giudice deve controllare non solo la validità formale, ma anche la ricorrenza
dei presupposti di fatto e di diritto dell’infrazione, deve essere coordinato con l’altro derivante dal principio
generale espresso dall’art. 112 c.p.c., secondo il quale deve escludersi il potere del giudice dell’opposizione
di rilevare d’ufficio vizi diversi da quelli fatti valere dall’opponente nei termini di legge con l’atto introduttivo
del giudizio, atteso che questi costituiscono “causae petendi” della relativa domanda”. Lo stesso principio è
stato espresso da Cass. 29 gennaio 1999, n. 777, in Arch. giur. circ. e sin. strad., 1999, 400, con riferimento
all’inammissibilità del rilievo d’ufficio della prescrizione del diritto a riscuotere la sanzione pecuniaria, non
comportando l’inesistenza del provvedimento applicativo della sanzione. In materia cfr., altresì, Cass. 12
agosto 2000, n. 10796; Cass. 3 agosto 2000, n. 10202; Cass. 18 febbraio 2000, n. 1857; Cass. 22 giugno 2001,
n. 8520; Cass. 11 settembre 2001, n. 11595; Cass. 9 marzo 2004, n. 4781 e Cass. 20 aprile 2005, n. 8293, cit.
662
Costituisce, infatti, principio generale l’assunto in base al quale, nel procedimento di opposizione
all’ordinanza-ingiunzione , avuto riguardo all’oggetto del giudizio, limitato all’accertamento della pretesa
punitiva fatta valere dall’amministrazione nei confronti del destinatario ed alla sua peculiare struttura
processuale, non possono essere introdotte domande, eccezioni o questioni diverse da quelle attinenti
alla legittimità dell’atto amministrativo impugnato (v., ancora con riferimento alla previgente disciplina di
cui agli artt. 22 e 23 della l. n. 689/1981, Cass. 2 settembre 2008, n. 22035).
663
Cfr. Cass. 29 ottobre 1999, n. 12190 e Cass. 7 novembre 2003, n. 16714.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
proprio sulla considerazione della peculiarità dell’oggetto664 (predeterminato
e delimitato per legge) e della specifica “struttura processuale” che
caratterizzano il giudizio di opposizione anche alla stregua del nuovo art. 6
del d. lgs. n. 105/2011 (e, già prima, in virtù delle disposizioni racchiuse
negli artt. 22 e 23 della l. n. 689/1981). Per le stesse ragioni è stata ritenuta
inammissibile la proposizione, da parte dell’Amministrazione opposta, di una
domanda riconvenzionale diretta all’accertamento della responsabilità di
soggetti diversi da quello a cui l’infrazione è stata contestata.
RIEPILOGO
1. Chi è legittimato ad essere destinatario dell’attività di accertamento delle
violazioni amministrative?
Ai sensi dell’art. 2 della l. n. 689/1981 può essere assoggettato a sanzione amministrativa
colui che, al momento della commissione della violazione, è maggiorenne e capace
di intendere e di volere. In caso di inapplicabilità di questo criterio generale di
legittimazione passiva, la responsabilità, per il fatto posto in essere dall’incapace,
va attribuita al soggetto che, per legge, in relazione alla concreta situazione di fatto
venutasi a verificare o per condotta è tenuto a sorvegliarlo.
2. Qual è l’elemento soggettivo che caratterizza l’autore della violazione
amministrativa?
Affinché possa ricorrere la responsabilità dell’agente, è necessaria la sussistenza della
“coscienza e volontarietà” dell’azione, sia essa dolosa o colposa, che rimane esclusa
nell’ipotesi in cui l’infrazione sia stata commessa per errore sul fatto non determinato
da colpa del soggetto attivo.
3. Quali sono le cause che giustificano l’esclusione della responsabilità
amministrativa?
Anche agli illeciti amministrativi, per il caso di loro normale configurazione sotto il
profilo dell’elemento soggettivo, si estende l’applicabilità delle cause di esclusione della
responsabilità che l’4 della l. n. 689/1981 identifica nelle esimenti (invero, di impronta
penalistica) dell’adempimento del dovere, dell’esercizio di una facoltà legittima, della
realizzazione della condotta in uno stato di necessità o in una condizione di legittima
difesa, oltre che nella concretazione dell’azione per ordine dell’autorità superiore (nel
qual caso della violazione risponde il pubblico ufficiale che ha impartito l’ordine). La
giurisprudenza ha, peraltro, chiarito che anche le cause escludenti la punibilità del
caso fortuito e della forza maggiore - ancorché non espressamente contemplate per
Limitato all’accertamento della pretesa punitiva fatta valere dall’Amministrazione nei confronti del
destinatario.
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La legittimazione all’opposizione e i motivi del ricorso
le infrazioni amministrative assoggettate alla disciplina della l. n. 689/1981 - sono
estensibili a tali violazioni poiché risultano comunque ostative all’affermazione della
responsabilità per gli illeciti amministrativi, alla stregua dei principi posti dall’art. 3
della stessa legge, tenendo conto che il primo esclude la colpevolezza dell’agente e la
seconda elide la coscienza e la volontarietà dell’azione.
4. E’ configurabile il concorso di persone nella commissione delle infrazioni
amministrative?
Sì. L’art. 5 della l. n. 689/1981 prescrive, al riguardo, che, di norma, a ciascun concorrente
si applica la sanzione prevista per la violazione, salvo che non sia diversamente disposto
dalla legge. Per la configurazione del concorso soggettivo sono richiesti i seguenti requisiti:
- la pluralità degli agenti; - la consumazione di un fatto tipico (alla stessa stregua di una
fattispecie monosoggettiva); - un contributo obiettivamente rilevante di ciascun correo (di
tipo commissivo od omissivo); - la consapevolezza del collegamento finalistico concorsuale.
5. Quando scatta la responsabilità solidale in relazione alla consumazione degli
illeciti amministrativi e quali sono le relative conseguenze?
L’art. 6 della l. n. 689/1981 disciplina la c.d. responsabilità solidale che ricorre quando
l’illecito amministrativo si configura come unico ma risulta imputabile a più responsabili,
ovvero anche a terzi estranei alla commissione della violazione che, però, ne rispondono
in virtù di una loro particolare relazione con l’autore ossia con lo strumento dell’illecito.
Il richiamato articolo distingue vari modelli di responsabilità solidale, ovvero:
-la responsabilità solidale del “vigilante”, che può, tuttavia, provare di non aver
potuto impedire la consumazione dell’illecito;
-
la responsabilità della persona giuridica per il fatto dei dipendenti, senza
possibilità di prova esimente;
-la responsabilità solidale del proprietario (ovvero dell’usufruttuario o titolare di
un diritto personale di godimento qualora si verta in tema di beni immobili) del
bene che servì o fu destinato a commettere l’infrazione (se non prova che fu
utilizzata contro la sua volontà).
In tutti questi casi è prevista l’esercitabilità, in favore dei responsabili a titolo solidale,
dell’azione di regresso per l’intero nei confronti dell’autore effettivo della violazione,
con un richiamo implicito alla corrispondente disciplina civilistica.
6. Quali sono gli effetti che derivano dalla morte dell’autore della violazione
amministrativa?
L’art. 7 della l. n. 689/1981 stabilisce il principio per cui l’obbligazione di pagamento (e
non anche quella implicante l’applicazione di una sanzione accessoria reale obbligatoria)
riconducibile all’accertamento di una violazione amministrativa con la conseguente
irrogazione dell’inerente sanzione si estingue con la morte del trasgressore ed essa,
perciò, non è trasmissibile ai suoi eredi.
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L’OPPOSIZIONE ALLE SANZIONI AMMINISTRATIVE
7. E’ configurabile il concorso tra illeciti amministrativi e qual è il regime
normativo per esso previsto?
In tema di sanzioni amministrative pecuniarie, l’art. 8 della l. n. 689 del 1981 prevede il
cumulo c.d. “giuridico” delle sanzioni per le sole ipotesi di concorso formale, omogeneo
od eterogeneo, di violazioni, ossia nelle ipotesi di più violazioni commesse con
un’unica azione ad omissione; non lo prevede, invece, nel caso di molteplici violazioni
commesse con una pluralità di condotte.
8. E’ applicabile la disciplina della continuazione in tema di illeciti amministrativi?
Nell’ipotesi di consumazione di più infrazioni attraverso una pluralità di condotte non è,
inoltre, applicabile – nemmeno per analogia - la normativa in materia di continuazione
dettata per i reati dall’art. 81 c.p., sia perché l’art. 8 l. n. 689 del 1981, al comma 2,
prevede una simile disciplina solo per le suddette violazioni in materia di previdenza
e assistenza obbligatoria (manifestando così l’intento del legislatore di non estendere
detta disciplina ad altri illeciti amministrativi), sia perché la differenza qualitativa tra
illecito penale e illecito amministrativo non consente che, mediante l’interpretazione
analogica, le norme di favore previste in materia penale possano essere estese alla
materia degli illeciti amministrativi. Tuttavia, deve porsi in evidenza che con il nuovo
art. 8 bis della stessa l. n. 689/1981, introdotto per effetto dell’art. 94 del d.lgs. 30
dicembre 1999, n. 507, il legislatore ha inteso - con la previsione inclusa nel comma
4 - conferire un rilievo diverso ed attenuato alla continuazione con riguardo a tutti gli
illeciti amministrativi, disponendo che, nel caso di violazioni successive (alla prima),
le stesse non sono valutate ai fini della reiterazione quando sono commesse in tempi
ravvicinati e si prospettano riconducibili ad una programmazione unitaria.
9. Quali sono, in linea generale, i motivi che possono essere fatti valere con
l’opposizione alla sanzione amministrativa e come si struttura, di regola, il
relativo ricorso giurisdizionale?
L’opposizione ai provvedimenti irrogativi di sanzioni amministrative può riferirsi ad
una molteplicità di oggetti specifici che vanno dalla contestazione delle concrete
modalità di manifestazione della potestà sanzionatoria alla deduzione della fondatezza
della pretesa emergente dall’insussistenza del fatto illecito imputato al ricorrente,
dall’inattribuibilità della condotta integrante la supposta violazione all’ulteriore
deduzione della sussistenza di cause esimenti, dall’irritualità dell’accertamento e degli
adempimenti relativi alla fase della contestazione all’inapplicabilità in concreto di
sanzioni principali ed accessorie, etc.
Il contenuto specifico dell’atto di opposizione si ripercuote sulle singole richieste finali
(costituenti il c.d. petitum immediato) che vengono formulate al giudice competente
e che si traducono, in generale, nell’invocare l’annullamento totale o parziale del
provvedimento sanzionatorio, nella domanda di riduzione della sanzione irrogata
od anche nella declaratoria della cessazione della materia del contendere per eventi
sopravvenuti, previa, se del caso, la proposizione dell’istanza tendente all’ottenimento
della sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato.
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