Caso clinico Titolo articolo anche lungo [Caso clinico] ri intermittenti alle spalle e al rachide cervicale, che interferiscono con le sue Una ragazza di 16 anni lamenta da due anni dolori intermittenti alle spalle e al rachide cervicale che interferiscono con le sue attività quotidiane. Angela Pirrone1 Roberto Pillon1 Egidio Barbi2 1 Scuola di Specializzazione in Pediatria – IRCCS “Burlo Garofolo”, Università di Trieste 2 Direttore S.C. Pediatria d’urgenza e Pronto soccorso pediatrico – IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse. attività quotidiane, impedendole di andare a scuola e di fare sport; questi Vedi e an.c.h . . 108 Pagg 23 & 1 dolori rispondono solo parzialmente al paracetamolo e ad altri farmaci anti-infiammatori. La ragazza si presenta in ambulatorio insieme alla mamma, che porta con sé un nutrito pacco di esami e referti. Nel tentativo di dare una spiegazione al sintomo sono già stati eseguiti una radiografia del rachide ed alcuni esami ematici (emocromo, indici di flogosi, ANA), risultati negativi. La ragazza è stata inoltre valutata da un reumatologo e da un ortopedico che non hanno riscontrato anomalie organiche alla base del disturbo. A seguito di una sierologia dubbia per Borrelia, AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 3 | luglio-settembre 2014 Il dolore somatoforme 111 Il caso di Claudia. Claudia ha 16 anni e da due anni lamenta dei dolo- Caso clinico Il dolore somatoforme è stato consultato un secondo reumatologo, che nel sospetto di una malattia di Lyme ha consigliato terapia antibiotica, senza però alcun beneficio. La ragazza è arrivata infine all’attenzione di un Centro per la terapia del dolore, dove l’anestesista, nel dubbio se avviare terapia con oppiodi o con agopuntura, l’ha a sua volta inviata al pediatra per una rivalutazione. In tutto questo iter la famiglia ha abbandonato il medico curante perché – parole della mamma – “non ci capiva e non ci ha preso sul serio”. “Dottore, speria- mo che finalmente lei capisca”, aggiunge la mamma di Claudia. L’esame obiettivo non evidenzia nulla di significativo: le condizioni generali della ragazza sono buone, lo stato nutrizionale normale, non vi sono tratti rigidi della colonna vertebrale, la percussione del rachide non evoca dolore in punti elettivi, non vi è una significativa contrattura dello sternocleidomastoideo, non vi sono deficit neurologici periferici. Nulla da segnalare per il resto a cuore, torace e addome. Durante il colloquio con Claudia, ragazza carina, Ci sono elementi anamnestici e obiettivi che possono orientare la diagnosi? Il dolore somatoforme lcuni bambini ‒ con maggiore frequenza in età adolescenziale, raramente sotto i 10–12 anni ‒ si presentano all’attenzione del pediatra a causa di disturbi di natura dolorosa, che a seguito di accertamenti diagnostici non vengono inquadrati all’interno di una patologia organica che ne possa spiegare l’origine. Di solito si tratta di dolori addominali, cefalea, sintomi intestinali ed astenia. L’esclusione di una “organicità”, insieme al riscontro di alcune caratteristiche tipiche della storia, del bambino e della famiglia, devono orientare il pediatra verso la diagnosi di un possibile problema funzionale.1 Di fatto dolori e sintomi di natura funzionale sono discretamente frequenti, spesso transitori e possono essere considerati in qualche modo parte di una risposta del bambino ad alcuni processi adattativi o momenti particolari della vita scolastica o sociale.2,3 Altre volte invece questi sintomi persistono o si ripetono fino a cronicizzarsi andando ad impattare sulla qualità di vita del bambino, limitando le sue normali attività, creando un circolo vizioso in cui il sintomo si rafforza (ad esempio per la difficoltà a rientrare a scuola dopo un’assenza protratta) e generando preoccupazione nel paziente e nella famiglia fino a strutturarsi in una condizione vera e propria di “malattia”.4 Nel dolore somatoforme, a differenza di altre condizioni, quali il “malingering” e il disturbo fittizio, il bambino non simula, non finge, ma sperimenta veramente il dolore e molto spesso ne è seriamente preoccupato.5 In termini formali la diagnosi di dolore somatoforme andrebbe posta basandosi sui criteri del DSM V, ma in sostanza i criteri previsti mal si adattano alla diagnosi in età pediatrica, prevedendo, tra l’altro, disturbi della sfera sessuale e lunga durata dei sintomi. Di fatto in letteratura questi criteri sono ritenuti non applicabili all’età pediatrica e si riconosce il bisogno di una definizione opera- AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 3 | luglio-settembre 2014 112 A intelligente e seriamente preoccupata per la sua salute, ci riferisce che frequenta un Istituto d’arte che la impegna molto: “Sono sempre stanca, è una scuola molto difficile e ho paura di non farcela”, aggiunge infine. Il papà è poco presente in casa essendo spesso all’estero per lavoro. La mamma, persona piuttosto apprensiva, soffre di colon irritabile “molto importante”, diagnosi a cui è giunta dopo indagini estese e ripetute che hanno escluso celiachia e malattie infiammatorie croniche intestinali. tiva più stringente ed adeguata.6 Nonostante i progressi delle neuroscienze in questo campo, non è ancora stato formulato un modello biologico che spieghi in modo soddisfacente come “mente e corpo” interagiscano nel generare il sintomo somatico di natura non organica; sicuramente un ruolo importante è svolto dal sistema di modulazione del dolore. Molteplici invece sembrano essere le interpretazioni psicologiche e psichiatriche alla base di questo tipo di disturbo.7 Dolore somatoforme, quando pensarci? Alla diagnosi si giunge in genere dopo aver escluso le possibili patologie organiche poste in diagnosi differenziale; tuttavia ci sono alcuni elementi utili da tenere in considerazione nel sospetto e nella conferma diagnostica: le lamentele fisiche e la ripercussione che queste hanno sull’attività quotidiana sono incongruenti e sproporzionate rispetto a quanto ci si dovrebbe aspettare dalla storia, dall’esame fisico e dai reperti di laboratorio; il sintomo non rispetta le regole anatomiche e fisiopatologiche, vi è una sostanziale sproporzione tra la possibile/ipotetica diagnosi ed il grado di compromissione funzionale ( “il bambino che arriva in carrozzella”); il sintomo è raccontato spesso in maniera vaga, un po’ incongruente, con sintomi “migranti” la cui entità è difficile da quantificare e la storia difficile da ricostruire; c’è una relazione temporale con un evento stressante (lutto, separazioni, conflitti familiari); è presente difficoltà o ansia da prestazione scolastica, sovraccarico di attività extrascolastiche, problemi di relazione con i coetanei; quest’ultimo aspetto in alcuni casi può rappresentare sia la causa che la conseguenza del disturbo stesso per l’inevitabile assenza da scuola con conseguenze negative dal punto di vista sociale e relazionale;4 · · · · · Caso clinico Il dolore somatoforme Nel caso di Claudia quali erano gli elementi di sospetto? La scarsa risposta del dolore ai farmaci analgesici; l’assenza di dolorabilità o di una minima limitazione funzionale all’esame obiettivo della sede corporea coinvolta; il “pacco” di esami portato dalla mamma, a testimonianza di numerose indagini svolte senza che venisse riscontrata alcuna patologia organica; il fenomeno del “doctor shopping”: la famiglia ha girato diversi specialisti ed ha abbandonato il medico curante, per mancanza di una diagnosi; la presenza di fattori stressanti nella vita della ragazza (la scuola difficile e impegnativa, la scarsa presenza del padre in casa); il carattere ansioso e apprensivo della mamma con tendenza ad un atteggiamento iperprotettivo nei confronti della figlia con un conseguente rinforzo familiare del sintomo. · · · · · · Come agire? D opo esser giunti alla diagnosi di disturbo funzionale si pone il problema della comunicazione della diagnosi alla famiglia. Non è sufficiente dire che gli accertamenti effettuati sono negativi e rassicurare sull’assenza di malattia organica. Nella maggior parte dei casi i genitori e il bambino sono profondamente convinti che il sintomo tragga origine da una condizione puramente medica e sono concentrati ad individuare gli accertamenti diagnostici necessari al fine di dimostrare la presenza di malattia e poterle dare un nome. Il pediatra dopo aver escluso una malattia fisica spesso ritiene di aver chiuso il problema proponendo una visita psichiatrica. In questo modo viene trasmesso implicitamen- . Bibliografia 1. Chambers TL. Semeiology-a well established and challenging paediatric speciality. Archives of disease in childhood 2003;88(4):281–2. 2. Rask CU. Functional somatic symptoms. Danish Medical Journal 2012;59(11):1–30. 3. Eminson D. Medically unexplained symptoms in children and adolescents. Clinical psychology review 2007;27:855–871. 4. Costa P, Zanus C. Il sintomo somatico di natura non organica. Medico e Bambino 2011;296–300. 5. Krasnik C, Grant C. Conversion disorder: Not a malingering matter. Paediatrics & child health 2012;17(5):246. 6. Ghanizadeh A, Firoozabadi A. A review of somatoform disorders in DSM-IV and somatic symptom disorders in proposed DSM-V. Psychiatria Danubina 2012;24(4):353–358. 7. Panizon F. Per il pediatra di famiglia. Il disturbo somatoforme e la patologia psicosomatica. Medico e Bambino 2004;367–381. 113 · protettivo nei confronti del figlio. Spesso emerge dalla storia clinica che la famiglia ha già consultato numerosi specialisti, senza che nessuno riscontrasse alcuna patologia organica; presenza in famiglia di disturbi “funzionali”, con una modalità di relazione e comunicazione condivisa in cui il sintomo fisico assume una valenza comunicativa come mezzo di espressione di un disagio. te alla famiglia il messaggio che il disturbo del bambino non tragga origine dal corpo, ma dalla sua mente. Questo atteggiamento rischia di generare sconforto, incertezza e la sensazione di non essere stati capiti. La famiglia e il bambino raramente hanno consapevolezza dei conflitti e dei disagi emotivi che sono alla base del disturbo somatoforme e l’essere rinviati a un approfondimento psichiatrico può essere interpretato come una negazione della malattia da parte del medico causando frustrazione e percezione di non esser creduti. Tale dinamica rischia di portare la famiglia ad abbandonare il medico, ricorrendo a nuovi specialisti, col risultato di amplificare il fenomeno del “doctor shopping” e far ricominciare da capo l’iter diagnostico con richiesta di numerosi esami inutili, che se positivi – anche in modo poco significativo – spesso vengono sopravvalutati dalla famiglia e presi come punto di riferimento per la ricerca della malattia non ancora diagnosticata. Ecco quindi che il pediatra deve invece diventare una figura di riferimento stabile per la famiglia, rassicurando e riducendo l’ansia provocata dal disturbo. Un rapporto di reciproca fiducia è fondamentale per poter instaurare un processo terapeutico e riabilitativo attraverso il quale il bambino riesca ad affrontare positivamente il disturbo (coping) ricominciando a svolgere le sue normali attività senza che il sintomo interferisca con la scuola, il gioco, la vita familiare. In sostanza il pediatra dovrebbe centrare il suo comportamento su due principi: persistenza e coerenza.4 La persistenza come figura di riferimento centrale e credibile della gestione del paziente evita percorsi di “doctor shopping” che in questo contesto sono frequentissimi e contribuiscono di regola ad alimentare il circolo vizioso di ulteriori consulenze e “furor diagnostico”. La coerenza dovrebbe permettere di resistere alla richiesta di ulteriori approfondimenti inutili AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 3 | luglio-settembre 2014 familiare positiva per disturbi psichiatrici · anamnesi (ansia, depressione, somatizzazione); riscontro rinforzo familiare del sintomo; i geni· tori hannodispesso un atteggiamento ansioso e iper-